DIRITTO e ROVESCIO Nuova Serie C. CASAGRANDE - A. CATRICALÀ - P. CENDON G. FLORIDIA - M. FUSI - A. GRASSO - G. IUDICA R. LANZILLO - L.C. UBERTAZZI G iu f frè Ed ito a cura di P. TESTA e F. UNNIA re PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati DIRITTO e ROVESCIO Nuova Serie C. Casagrande - A. Catricalà - P. Cendon G. Floridia - M. Fusi - A. Grasso - G. Iudica R. Lanzillo - L.C. Ubertazzi èE di to re PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr a cura di P. Testa e F. Unnia © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati AUTORI re CARLA CASAGRANDE, Docente di Storia delle dottrine morali, Dipartimento di Filosofia, Università di Pavia. to ANTONIO CATRICALAv , Presidente Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato èE di PAOLO CENDON, Ordinario di Istituzioni di Diritto privato nell’Università di Trieste. ffr GIORGIO FLORIDIA, Ordinario Diritto industriale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Presidente dell’Istituto di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. G iu MAURIZIO FUSI, Avvocato in Milano. ALDO GRASSO, Professore di Storia della Radio e della televisione nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Critico televisivo. GIOVANNI IUDICA, Ordinario di Istituzioni di Diritto civile nell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. RAFFAELLA LANZILLO, Consigliere della Corte di Cassazione, già ordinario di Diritto commerciale nell’Università di Milano Bicocca. PAOLINA TESTA, Avvocato in Milano. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati VI AUTORI LUIGI CARLO UBERTAZZI, Ordinario di Diritto Industriale nell’Università degli Studi di Pavia. G iu ffr èE di to re FEDERICO UNNIA, Professore a contratto di Diritto dell’Informazione e della comunicazione nell’Università di Trieste, Consulente in comunicazione, giornalista. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati INDICE V XI 1 21 31 47 55 65 77 135 153 167 187 G iu ffr èE di to re Autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. I sette vizi capitali: genesi e fortuna, di Carla Casagrande. 2. Tv, pubblicità e comunicazione: vizi o virtù? conversazione con Aldo Grasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Superbia, di Antonio Catricalà . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Invidia, di Giorgio Floridia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Accidia, di Giovanni Iudica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Ira, di Raffaella Lanzillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. Avarizia, di Paolo Cendon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Gola, di Luigi Carlo Ubertazzi . . . . . . . . . . . . . . . . 9. Lussuria, di Maurizio Fusi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10. I vizi capitali della pubblicità, di Paolina Testa . . . . . . 11. Nuovi vizi, nuove regole? di Federico Unnia . . . . . . . . © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati Gutta cavat lapidem G iu ffr èE di to re TITO LUCREZIO CARO, De rerum natura (I 314 i IV 12819) © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati INTRODUZIONE G iu ffr èE di to re L’idea di questo scritto si perde negli anni. È da 17, per l’esattezza, che mi frulla nella mente. Era dicembre del 1992 quando ebbi l’ispirazione. Dovevo scegliere presso quale facoltà di Giurisprudenza trasferirmi dopo i primi non positivi esiti degli esami sostenuti alla Facoltà di Milano. Con in tasca una laurea in Scienze politiche, lavoravo da alcuni anni nel mondo delle Pr e della comunicazione, ma ero dilaniato da un dubbio amletico. Fare o meno l’avvocato della pubblicità? Si capisce subito quanto sia importante in questo progetto professionale e di vita laurearsi prima possibile anche in Giurisprudenza, recuperando in poco tempo, anni di ritardo. Essenziale, lavorando a Milano, la scelta di una facoltà accessibile. Parma, Modena, Urbino erano le sedi alternative più gettonate. Alla fine nessuna di queste opzioni prevalse e vinse l’orgoglio, o meglio, la comodità, di restare all’Università Statale di Milano. E cosı̀, un giorno, tornando in treno da Modena dopo l’ennesima visita conoscitiva, sfogliavo uno dei primi volumi della collana Diritto&Rovescio, I Dieci comandamenti. Fu allora che pensai: perché non studiare i vizi capitali in pubblicità? Esiste un parallelismo, e se si quale, tra vizi capitali e figure più ricorrenti di illeciti pubblicitari? Cosa meglio di un vizio, con la © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati XII INTRODUZIONE G iu ffr èE di to re pena connessa, esprime ciò che di scorretto, pericoloso e spiacevole la pubblicità alcune volte ci comunica? Non è forse una pena l’inibizione alla diffusione di una campagna pubblicitaria? Peggio poi se di tale vicenda i media hanno parlato, dando enfasi al prodotto e all’impresa, proprio come un processo e gogna medioevale? Scoperto tardivamente ad un corso di Diritto commerciale, tenuto dal Prof. Gian Carlo Rivolta, presso la Facoltà di Scienze Politiche a Milano, l’interesse per la materia nacque a seguito dei primi contatti professionali con le genti dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria. Loro sì, dal 1966, censori dei vizi pubblicitari! Volgarità, indecenza, sfruttamento della persona umana. Ma anche comparazione, imitazione, denigrazione, offesa delle convinzioni religiose, politiche e civili della persona? Con poca immaginazione, certi messaggi pubblicitari dei nostri giorni non ci riportano alla mente gli affreschi medioevali nei quali spiccano le raffigurazioni iconografiche dei vizi e delle pene? Siamo alla fine degli anni ’80, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ancora non operava. Ma non solo: l’interesse per questi temi si concretizza e matura grazie all’attività giornalistica, commentando pronunce, partecipando ai convegni, intervistando luminari del diritto industriale, uomini di agenzia, iniziando a scrivere per pubblicazioni giuridiche. Il tutto senza dimenticare la comunicazione, intesa nel senso più ampio. E si, perché oggi, i vizi pubblicitari, nell’era della convergenza, possono definirsi vizi della comunicazione. Non nascono, forse, dalla pubblicità, le nuove fattispecie © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati INTRODUZIONE XIII G iu ffr èE di to re delle pratiche commerciali scorrette? Ipotesi che spesso sconfinano dal mondo della pubblicità tradizionale per invadere il territorio della comunicazione tout court. Ma torniamo ai vizi capitali e la pubblicità. Più volte negli anni, tra impegni professionali e di studio, mi sono avvicinato a questo tema: prima raccogliendo brani dalla Summa Teologica di San Tommaso; poi articoli e commenti sugli eccessi della pubblicità. Mancava, inutile dirlo, l’ispirazione con la I maiuscola. Ebbene, questa è venuta 8 anni dopo, nel 2000, per l’esattezza: l’uscita del volume I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel medioevo, di Carla Casagrande e Silvana Vecchio. Uno studio sulla struttura del vizio e di come esso sia stato interpretato, classificato e raffigurato nell’iconografia medioevale. Si riaccese l’interesse. Insomma, un viaggio in quello che semplificando, si potrebbe chiamare un codice di autodisciplina dei vizi capitali. Ma come trattare il vizio capitale nello specifico pubblicitario? Anche qui il tempo, la famosa Gutta, si è rilevato il più prezioso alleato. La pubblicità, è fatto noto ai più, concorre a plasmare i nostri comportamenti, forma le nostre opinioni, modella il linguaggio, crea a diffonde un universo valoriale che, piaccia o meno, pervade la società. La pubblicità è come una lenta, piccola goccia che forma opinioni e accredita valori. Proprio come le condotte scorrette che il sistema dei vizi capitali tendeva a sconfiggere. Ecco quindi la chiave di narrazione del testo: il rapporto tra pubblicità e regole, passando attraverso il sistema dei vizi che queste tendono a sconfiggere. In questo cammino Dante- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati XIV INTRODUZIONE G iu ffr èE di to re sco, l’incontro professionale con l’Avv. Paolina Testa è stato risolutore. Il tradizionale convegno pavese del prof. Luigi Carlo Ubertazzi del settembre 2008 il terreno del primo accordo sulla partecipazione a questo scritto. Prende corpo l’idea di una narrazione a più mani, scegliendo un approccio diretto: a 7 grandi giuristi è chiesto di reinterpretare a loro modo, in totale autonomia e libertà creativa, sulla base del loro vissuto pubblicitario e professionale, un singolo vizio. Non scelto, bensı̀ imposto. Proprio come una divina punizione! Il tutto, impreziosito, dalle opinioni di Carla Casagrande, la cultrice dei vizi capitali e del critico televisivo Aldo Grasso. Concludono il volume, le riflessioni degli autori sui nuovi vizi capitali della pubblicità e le prospettiche visioni sul futuro del rapporto tra comunicazione e legge. Insomma, scomodando ben più celebri opere, un percorso umano e culturale, nel mondo delle diverse sfaccettature del vizio pubblicitario. Con un solo unico comune denominatore: l’amore per la pubblicità, nonostante le facili critiche cui è assoggettata, e la fiducia assoluta nell’intelligenza dell’uomo di saper dominare le situazioni più complesse. Al lettore è lasciato il giudizio finale. Tuttavia, sia permessa un’ultima considerazione. Questo lavoro conferma tre regole essenziali nell’agire dell’uomo. In primo luogo, l’impossibilità di porre limiti al proprio sapere. Tutti noi, nei rispettivi settori di attività e di studio, abbiamo coltivato un desiderio scientifico, lo abbiamo portato alla luce, costasse quel che costasse. Lo confermano le simpatiche e in © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati INTRODUZIONE XV G iu ffr èE di to re alcuni casi sorprese reazioni di alcuni autori innanzi all’invito a trattare di un vizio. In secondo luogo l’amore per i libri. Questo lavoro è figlio di un’intuizione nata dalla lettura di un libro, e si è materializzato, dopo molto tempo, grazie alla lettura di un altro libro. Infine, è la valorizzazione di un prezioso patrimonio di relazioni professionali e rapporti umani. Mi piace ricordare proprio l’avv. Paolina Testa e l’avv. Maurizio Fusi, i primi due autorevoli giuristi specializzati in diritto della pubblicità che conobbi nel 1986, lavorando alla mia tesi di laurea in diritto commerciale sui diritti d’autore nell’opera pubblicitaria. I Presidenti Antonio Catricalà e Giorgio Floridia cui molto si deve dell’affermazione di un’etica pubblicitaria nel nostro Paese. Infine, Paolo Cendon, il padre degli esistenzialisti. Con tutti gli altri, in tempi e modi diversi, è nata e si è instaurata una proficua collaborazione professionale, impreziosita dall’omaggio che mi hanno fatto accettando l’invito a realizzare questo scritto. Un buon viaggio, quindi, nell’universo del peccato capitale della pubblicità e della comunicazione, del vizio e della sua intima spiritualità. Un viaggio nelle debolezze umane ed aziendali, che bisogna ammettere, spesso ci fanno ridere, sognare e perché no, invidiare. FEDERICO UNNIA Milano, novembre 2009 © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 1. I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA re di CARLA CASAGRANDE to SOMMARIO: 1. L’ordine del male. — 2. Le immagini dei vizi. — 3. Un sistema universale. — 4. Mutazioni e crisi. — 5. Ai nostri giorni. G iu ffr èE di I sette vizi capitali, superbia, invidia, accidia, ira, avarizia, gola e lussuria, secondo l’enumerazione più diffusa, sono le sette colpe principali, quelle che stanno ‘a capo’ di tutti i peccati, i comandanti di un esercito del male che cerca in vari modi di conquistare la cittadella del cuore umano. Questi sette vizi vengono da lontano: sono un’invenzione della cultura medievale. Certo i vizi sono sempre esistiti e sono un argomento sempre ‘di moda’, un oggetto quasi obbligato per chiunque si occupi o si sia occupato nel passato non solo di etica ma anche di antropologia, psicologia, retorica, politica. Il Medioevo non ha certo inventato né i vizi né il discorso sui vizi. Basti pensare a tutto ciò che è stato detto su questo tema nelle due tradizioni che sono alla base della cultura occidentale, la tradizione greco-romana da una parte e quella ebraicocristiana dall’altra: i filosofi greci hanno più volte riflettuto sulle colpe dell’uomo; dei vizi hanno parlato con abbondanza ed efficacia i principali autori © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 2 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re della letteratura latina, da Cicerone a Orazio, da Giovenale a Seneca; d’altro canto i testi biblici, dell’Antico e del Nuovo Testamento, contengono quasi a ogni pagina riferimenti ai vizi e ai peccati degli uomini. Eppure è soltanto con il Medioevo che nasce e si afferma l’idea di sette vizi capitali. Le origini di quest’idea, ancora in parte oscure, si collocano infatti tra V e VI secolo, periodo tradizionalmente considerato l’inizio del Medioevo; il suo declino sembra coincidere con la frattura della Riforma protestante che segna l’avvio dell’Età moderna. La storia dei sette vizi capitali dura dunque circa mille anni, i mille anni del Medio Evo, e sono mille anni nei quali questo schema diventa progressivamente sempre più importante finendo con il collocarsi al centro della vita morale degli uomini e delle donne. Pensato da monaci per altri monaci, il settenario nasce e si afferma dapprima all’interno dei monasteri dove i sette vizi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di perfezione cui i monaci si sono votati. Ma è soprattutto fuori dal monastero che il settenario celebra il suo trionfo. Tra XII e XIII secolo i profondi cambiamenti che coinvolgono la teologia e la pastorale cristiana impongono una riflessione nuova sul tema del peccato e, soprattutto, l’esigenza di una più capillare opera di istruzione e controllo dei laici. In questo contesto predicatori, confessori, maestri di teologia riscoprono il vecchio schema monastico dei vizi capitali e lo utilizzano per disegnare una mappa del peccato capace di individuare e descrivere i peccati di tutti gli uomini. La longevità e l’universalità del settena- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 3 G iu ffr èE di to re rio dei vizi appaiono dunque come le principali caratteristiche del suo straordinario successo in epoca medievale, un successo del resto ampiamente testimoniato da una massa sterminata di fonti di diverso tipo: regole monastiche, trattati morali, testi esegetici, agiografie, somme di teologia, prediche, testi per la confessione, opere letterarie, rappresentazioni visive (miniature, affreschi, sculture). Un grande successo dunque, che in parte viene meno con l’inizio della modernità, quando finisce l’età d’oro del settenario, ma che tuttavia non si esaurisce del tutto. L’idea dei sette vizi capitali non scompare con la fine del Medioevo; anzi conosce una nuova vita che continua in forme diverse fino ai nostri giorni. Un successo cosı̀ clamoroso non può non suscitare degli interrogativi. Perché il sistema dei sette vizi si rivela cosı̀ potente e duraturo tanto da costituire un topos della cultura occidentale? Quali sono le caratteristiche che consentono di considerare per secoli questi sette concetti come la “geografia del male”? Per rispondere a questa domanda credo sia opportuno risalire alle origini del sistema settenario e individuare nelle sue prime formulazioni quei caratteri che ne hanno garantito la forza e la durata facendone una specie di sempiterna mappa delle umane debolezze. 1. L’ordine del male. I “padri” del settenario dei vizi capitali sono due monaci: Giovanni Cassiano, vissuto nel V secolo tra © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 4 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re Oriente e Occidente, e Gregorio, vissuto in Italia nel secolo successivo, divenuto papa con il nome di Gregorio Magno. Cassiano condensa in due testi scritti per i monaci della sua comunità, le Conferenze e le Istituzioni cenobitiche, la dottrina che il suo maestro, il monaco orientale Evagrio Pontico, aveva elaborato sui vizi. Il suo sistema prevede otto vizi principali dei quali vengono analizzate con accuratezza le caratteristiche, la matrice psicologica, la pericolosità, le filiazioni, gli eventuali rimedi. Distinti in carnali e spirituali, gli otto vizi di Cassiano sono concatenati tra loro in una doppia progressione genealogica. Nella prima genealogia ogni vizio è risultato di un vizio precedente: l’accidia deriva dalla tristezza, la tristezza dall’ira, l’ira dall’avarizia, l’avarizia dalla lussuria, la lussuria dalla gola, che è quindi l’inizio di tutti i peccati. La seconda genealogia, che comprende nell’ordine superbia e vanagloria, si innesta alla fine della prima ma non ne costituisce lo sviluppo. Anzi prende le mosse dal suo superamento: una volta sconfitti tutti i vizi derivati dalla carne, può essere infatti che la vittoria sugli impulsi e sui desideri generi un pericoloso sentimento di superiorità che dà luogo appunto a vanagloria e superbia. Come si vede, in Cassiano, la successione dei vizi capitali scandisce un processo di perfezionamento, tipicamente monastico, che comincia con la rinuncia ai beni del corpo e ai piaceri del mondo e prosegue nella cura dell’interiorità. Un secolo dopo il modello generativo proposto da Cassiano viene ripreso, semplificato e nello © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 5 stesso tempo esaltato da Gregorio in una pagina del Commento morale a Giobbe, uno dei libri più letti durante tutto il Medioevo, una pagina che vale la pena di citare perché costituisce il testo fondatore della tradizione occidentale dei vizi capitali: G iu ffr èE di to re “Tra i vizi che ci tentano e combattono contro di noi una guerra invisibile sotto il dominio della superbia, alcuni avanzano alla testa dell’esercito, come comandanti, altri seguono come soldati semplici … Non appena la regina dei vizi, la superbia, si impadronisce pienamente del cuore dell’uomo dopo averlo piegato, ecco che lo consegna alla devastazione dei sette vizi principali, che sono una sorta di suoi luogotenenti. A seguito di questi comandanti arriva l’esercito poiché non c’è dubbio che da essi traggano origine multitudini di vizi … I vizi sono legati da un vincolo di parentela strettissimo dal momento che derivano l’uno dall’altro. La prima figlia della superbia è infatti la vanagloria, che una volta vinta e corrotta la mente genera subito l’invidia … l’invidia genera l’ira ... dall’ira nasce la tristezza… dalla tristezza si arriva all’avarizia … A questo punto sopravanzano i due vizi carnali, la gola e la lussuria. Ma è noto a tutti che la lussuria nasce dalla gola…” (Moralia in Iob, XXXI, XLV, 89) Pur con modalità diverse, i due sistemi di vizi elaborati da Cassiano e da Gregorio, si fondano su un’idea che costituisce il vero punto di forza del settenario dei vizi, uno dei principali motivi, se non il principale, della sua straordinaria fortuna. L’idea cioè che l’universo del male sia un universo ordinato: il peccato insomma non è puro disordine, è un disordine ordinato, un disordine che mima e capo- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 6 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re volge l’ordine stabilito da Dio. Questo ordine è inoltre un ordine gerarchico. Nell’innumerevole serie dei peccati esistono colpe più gravi e colpe meno gravi, principali e secondarie; alle prime spetta il compito di aggredire e prostrare l’animo umano e solo dopo questa operazione di sfondamento la turba delle colpe minori può dilagare liberamente. I vizi capitali sono per l’appunto i sette luogotenenti dell’esercito, quelli che sono a capo di tutti gli altri peccati. Di più, quell’ordine gerarchico è anche un ordine genealogico. Le colpe principali (i vizi capitali) sono la matrice diretta delle colpe secondarie e sono a loro volta collegate l’una all’altra da un rapporto di filiazione. In Gregorio, la progressione genealogica ha il suo inizio nella superbia che diventa una specie di supervizio, la madre di tutti i vizi, dalla quale direttamente o indirettamente tutti traggono origine, dapprima i sette vizi principalicapitali, poi le loro filiazioni. In questo modo tutti i peccati occupano un posto preciso nella famiglia dei vizi e nessuno resta escluso. Il sistema cioè appare ordinato, completo e tendenzialmente chiuso. Non c’è peccato, per quanto nuovo, fantasioso, inusitato, bizzarro, che non possa essere fatto risalire, più o meno agevolmente, a uno dei sette vizi capitali e attraverso di esso alla superbia. Questo significa che ogni peccato è descrivibile, riconoscibile nelle sue origini, manifestazioni e conseguenze e per questo prevedibile e curabile. Nella misura in cui l’universo della colpa viene ordinato quell’universo diventa controllabile e forse in parte sopportabile. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 7 2. Le immagini dei vizi. G iu ffr èE di to re Tutto questo, e non è poco, viene detto sia da Cassiano sia da Gregorio in modo estremamente efficace e suggestivo attraverso l’uso di due potenti metafore: la battaglia e l’albero. Non c’è nulla di esteriore, ornamentale e occasionale nell’uso di queste immagini. La forma metaforica è spesso la forma del discorso sui vizi capitali, un elemento costante e strutturale del sistema, uno dei motivi della sua forza e della sua fortuna. L’impiego sistematico delle metafore, il loro alternarsi o intersecarsi consente infatti di visualizzare concetti astratti, altrimenti difficili da proporre, con il doppio effetto di aiutare la memoria di quanti sono tenuti a parlare dei vizi (predicatori, confessori, direttori spirituali) e di tradurre in un linguaggio facilmente comprensibile dai meno dotti le idee guida del discorso morale. L’uso della metafora è strutturale nel discorso sui vizi nella misura in cui questo discorso nasce come un discorso pedagogico, che vuole intervenire, controllare, cambiare la vita degli uomini e delle donne, un discorso che deve essere efficace, nel quale la descrizione dell’universo del male, la ricostruzione dell’ordine dei peccati, è sempre funzionale all’individuazione dei rimedi. Nato come discorso figurato, il discorso sui vizi resterà durante tutta la sua storia un discorso figurato. Cosı̀ come avevano fatto Cassiano e Gregorio, anche i loro numerosi discepoli continueranno a parlare dei sette vizi all’interno di immagini, e queste immagini saranno per lo più le immagini della battaglia e dell’albero. Vizi che combattono virtù, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 8 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re tornei di cavalieri del male che cercano di conquistare il trofeo dell’anima dell’uomo, cavalcate di guerrieri minacciosamente armati; grandi alberi malefici che ricordano l’albero del bene e del male posto nel Paradiso e che si espandono in ampie ramificazioni sulle quali prolificano innumerevoli fiori e frutti. Attraverso queste immagini l’idea dei sette vizi capitali attraversa i secoli medievali e si impone nella letteratura, nell’arte, nella teologia, nell’immaginario collettivo della società occidentale. A queste immagini se ne aggiunge un’altra, in qualche modo implicita nei testi dei due monaci fondatori che parlano del settenario dei vizi all’interno di un processo di progressivo perfezionamento spirituale: l’immagine del viaggio. Nessuno si è servito di quest’immagine meglio di quanto abbia fatto Dante: il lungo viaggio nei regni dell’al di là, raccontato nella Commedia, è nel suo complesso un viaggio di penitenza e di rigenerazione spirituale che trova nel Purgatorio, non a caso strutturato secondo lo schema dei sette vizi capitali, il luogo per eccellenza della liberazione dai peccati non solo per i penitenti che espiano ma anche per il pellegrino Dante che vede via via scomparire dalla sua fronte le sette P che l’angelo vi ha impresso con la spada di fuoco. 3. Un sistema universale. Una ordinata e riconoscibile geografia della colpa presentata in modo comprensibile ed estremamente efficace. Basterebbe questo per spiegare il © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 9 G iu ffr èE di to re successo avuto nei secoli dal settenario dei vizi messo a punto da Cassiano e Gregorio. Ma non basta: quel sistema morale non era solo chiaro, ordinato, suggestivo, funzionale agli obiettivi per cui era stato costruito, quel sistema aveva anche una portata universale. Quei sette-otto vizi sembravano infatti aver colto una volta per tutte delle costanti dell’anima umana nelle quali tutti potevano riconoscersi. In realtà quel sistema era stato inventato ad uso e consumo dei monaci per scandire le tappe della loro fuga dal mondo e della loro ricostruzione in terra del Paradiso perduto. Tuttavia sono proprio i padri fondatori del settenario, e in particolare Gregorio, a garantire una dimensione universale al settenario dei vizi mettendolo a disposizione di tutti. Tutto si consuma nel passaggio da Cassiano a Gregorio il quale riesce a trasformare il monastico sistema dei vizi capitali di Cassiano in schema morale “universale” con poche ma decisive mosse: eliminazione di un vizio tipicamente monastico come l’accidia, introduzione di un vizio dai forti risvolti sociali, come l’invidia, e soppressione della doppia genealogia, che descriveva una progressione di vizi tipica di chi si era ritirato dal mondo, a favore di un’unica genealogia fondata sulla superbia, a significare che, per quanto diversi siano gli uomini, tutti i loro peccati, dal peccato di Adamo al più lieve dei peccati che ogni uomo può commettere, non fanno altro che ripetere quel primo peccato di superbia che separò l’angelo ribelle dal suo creatore. A questo punto i vizi capitali sono pronti ad uscire dai monasteri. È soprattutto tra XII e XIII secolo che comincia la grande avventura del sette- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 10 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re nario fuori dai monasteri. Di questa avventura possiamo indicare una data simbolica: il 1215, l’anno del IV Concilio Laterano che impone a tutti i fedeli di confessare una volta all’anno in segreto e al proprio sacerdote tutti i loro peccati. Quella disposizione pone, come mai prima di allora, la necessità di classificare e descrivere l’universo della colpa: tanto per i fedeli quanto per i sacerdoti è ormai necessaria una mappa completa del peccato che consenta loro di riconoscere i peccati, stabilirne la gravità, individuarne le cause, gli effetti, i rimedi. Bisogna insomma che i peccati siano confessati con ordine per essere riconosciuti, valutati, e nel caso perdonati. Il vecchio settenario monastico, con le sue classificazioni genealogiche, si presta mirabilmente allo scopo: mette a disposizione tecniche di introspezione psicologica, stabilisce criteri di gravità, individua contiguità e connessioni, prevede pericoli, insomma mette ordine nei disordinati e lacunosi racconti dei penitenti. Un passo del chierico inglese Roberto di Flamborough, tratto dal suo Libro sulla penitenza composto nei primi anni del secolo XIII, fotografa perfettamente la situazione: “Quasi tutti si confessano in maniera disordinata; trascurando l’ordine dei vizi seguono il criterio dell’età, dei luoghi, dei tempi, e dicono: “A quell’età ho commesso la tale fornicazione, il tale adulterio, il tale furto, il tale spergiuro, il tale omicidio. Inoltre a quell’altra età ho commesso il tale incesto, ho violato quella monaca, ho fatto il tale sortilegio. E in questo modo si confondono e confondono anche la memoria del sacerdote. Mi piace invece che, cominciando dalla superbia, che è la radice di tutti i mali, tu confessi i singoli vizi con le rispettive specie, seguendo l’ordine con cui un vizio nasce e deriva dall’al- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 11 tro; e cioè prima la vanagloria, seconda l’invidia, terza l’ira, quarta l’accidia, quinta l’avarizia, sesta la gola, settima la lussuria” (Liber poenitentialis) G iu ffr èE di to re La scelta del chierico inglese non è frutto di una sua personale predilezione per il settenario. Dalla fine del XII fino a tutto il XV pressoché tutti i testi per la confessione, sia in latino sia in volgare, prevedono che l’individuazione e la confessione dei peccati avvenga secondo l’ordine dei sette vizi capitali e delle loro filiazioni. Il sistema dei vizi capitali si installa, almeno nelle intenzioni dei chierici, all’interno delle coscienze di tutti i fedeli, governa le loro condotte verso Dio e verso il prossimo, decide del loro destino nell’al di là. Il ruolo determinate assunto dal settenario nei testi per la penitenza ne determina e ne amplifica la presenza in altri ambiti. Nella predicazione prima di tutto, divenuta proprio in quegli anni, soprattutto grazie all’opera dei frati francescani e domenicani, veicolo di massa di un’istruzione religiosa nella quale il tema del peccato è certamente centrale. Interi sermoni sono dedicati al settenario o ai singoli vizi che lo compongono. Il predicatore, che è spesso anche confessore, propone nella predica quella griglia di peccati che il fedele dovrà imparare a usare nella confessione e lo fa attraverso definizioni chiare e immagini suggestive che sappiano convincere e indurre al pentimento. Spesso questo avviene in chiese dove alla predica parlata del predicatore si aggiunge quella muta delle immagini. Affreschi e sculture che adornano le chiese mostrano alberi e famiglie di vizi, battaglie e tornei tra © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 12 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re vizi e virtù, diavoli e animali che illustrano ad uso dei meno colti i temi predicati dal pulpito; soprattutto nelle raffigurazioni dell’aldilà i sette vizi trionfano, fornendo una struttura alla rappresentazione dell’Inferno e nel Purgatorio, secondo un modello che ha nel Camposanto di Pisa la sua realizzazione più compiuta. A decretare il grande revival duecentesco del settenario non sono solo i predicatori e i confessori. Anche i teologi dicono la loro su quell’antico e un po’ polveroso schema chiamato ora a nuove e importantissime funzioni. Nelle scuole il settenario viene sottoposto, come mai era accaduto prima di allora, a una analisi razionale volta a indagarne coerenza, completezza, autorità. I teologi sembrano soprattutto preoccupati di dare un fondamento razionale a uno schema che, va ricordato, è privo di fondamenti scritturali. C’è chi predilige un modello psicologico che collega i diversi vizi alle parti dell’anima; chi ravvisa nella struttura stessa dell’uomo una sorta di settenario, costituito dalle tre potenze dell’anima e dai quattro elementi del corpo; chi definisce i vizi come modi della volontà disordinata, chi interseca tra loro queste diverse soluzioni. Ma non c’è solo un problema di coerenza interna al sistema a preoccupare i teologi; bisogna anche che il settenario sia raccordato ad altri schemi morali, le virtù, i precetti del Decalogo, i doni dello Spirito Santo, nel quadro di una teologia morale che si vuole sistematica e razionale. E infine, a decretare che ormai il settenario è entrato anche nella cultura dei laici, il suo ingresso nei testi della letteratura volgare, come testimonia © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 13 to re l’uso che del settenario fanno Dante nella Commedia e Chaucer nei Canterbury Tales. Insomma un unico grande discorso che ha come oggetto i sette vizi capitali risuona per tutto l’Occidente medievale: nello spazio privato e segreto delle coscienze, in quello pubblico delle piazze, in quello professionale delle aule universitarie, all’interno delle navate e di fronte ai portali delle chiese, davanti alle cattedre dei maestri, durante l’incontro del penitente con il suo confessore. di 4. Mutazioni e crisi. G iu ffr èE Tanto successo non poteva non cambiare il vecchio settenario dei vizi. Usciti dai monasteri per entrare nel mondo, a quel mondo i sette vizi hanno dovuto adeguarsi. La migliore testimonianza dello stato del settenario nei secoli del suo trionfo mondano è costituita da un testo, la Somma delle virtù e dei vizi del domenicano lionese Guglielmo Peraldo, scritta verso la metà del secolo XIII. Testo di enorme fortuna, uno dei grandi best-seller medievali, diffuso da centinaia di manoscritti e successivamente da decine di edizioni, volgarizzato in molte lingue, ispira gran parte della trattatistica morale del tardo Medioevo. Il settenario dei vizi di Peraldo è sostanzialmente quello di Gregorio Magno con qualche variante (la vanagloria divenuta specie della superbia, l’accidia che prende il posto della tristezza) che la tradizione aveva già reso canonica. Nulla di nuovo, apparentemente. Se non che i vizi sono divenuti © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 14 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re ipertrofici. L’analisi riservata a ciascuno dei vizi capitali presenta infatti una ricchezza, un’articolazione e un’ampiezza prima sconosciute. Ogni vizio dà luogo a corposi trattati (i più lunghi sono avarizia e lussuria) nei quali, attraverso un uso sapiente della citazione e dell’esempio, il vizio viene analizzato nella sua natura, nelle sue conseguenze, nei suoi rimedi; le filiazioni sono in genere quelle gregoriane all’interno delle quali però trovano ora posto moltissimi peccati, più o meno gravi, alcuni precedentemente sconosciuti, altri rivisitati, altri ancora tipici di particolari condizioni sociali, classi di età, condizioni di vita, professioni. Ogni vizio, mostrando una notevole capacità di espansione e una notevole flessibilità, diventa un grande contenitore di colpe tra loro anche molto diverse quanto a gravità, condizioni e contesti di esecuzione. Si pensi per esempio che all’interno della superbia c’è posto per un’amplissima serie di peccati che vanno dall’atto di rivolta di Lucifero contro Dio a tutti i peccati di vanagloria delle donne che amano i vestiti sontuosi, i gioielli, il maquillage; che l’accidia si declina ora in mancanza di fervore religioso, ora in pigrizia nel lavoro, ora in tristezza e malinconia; che la lussuria diventa da un lato spazio di analisi psicologica sulle dinamiche del desiderio sessuale, con un lungo elenco di tutti i turbamenti che essa procura nell’anima e nel corpo del peccatore, e dall’altro occasione di una tipologia della sessualità proibita, fondata su un’etica matrimoniale che si va costruendo proprio in quegli anni e che presenta forti risvolti sociali; che l’avarizia prevede tutta una serie di attività economiche vecchie e nuove che © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 15 G iu ffr èE di to re vanno dal furto alla simonia, dalla frode alla rapina, dall’usura alla corruzione fino alle diverse forme di tesaurizzazione e sperpero; che l’invidia, vizio sociale per eccellenza, non a caso escluso dalle prime formulazioni monastiche del settenario, offre lo spazio per condannare varie forme di aggressività sociale, dalla competizione economica alla lotta politica fino alla rivoluzione, e cosı̀ via. Questa espansione dei singoli vizi è stata favorita da un altro cambiamento fondamentale che ha come liberato i vizi estendendone i confini interni ed esterni. È un cambiamento che riguarda il sistema nel suo complesso e cioè la progressiva attenuazione dell’ordinamento genealogico. Già in Peraldo, e il processo sarà ancora più evidente successivamente, i vizi non derivano più uno dall’altro, ma si succedono secondo criteri occasionali, in un ordine che può anche cambiare. Non basta. La genealogia viene meno anche all’interno dei singoli vizi che prevedono, nella maggior parte casi, specie e non più filiazioni. Insomma da classificazione genealogica il settenario è diventato una classificazione tassonomica, un grande repertorio tematico, l’indice di una enciclopedia morale all’interno della quale ordinare peccati tra loro simili e contigui. L’ordine dei peccati non sta più nei peccati ma nel modo in cui gli uomini decidono di parlarne. Peraldo, come molti dopo di lui, decide di farlo con una certa libertà, senza preoccuparsi troppo di possibili contraddizioni, incongruenze, ripetizioni. La sua preoccupazione è soprattutto quella di costruire ad uso dei predicatori e dei confessori una mappa dei vizi il più possibile completa, nella quale © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 16 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re avere un elenco affidabile dei peccati più comuni e di quelli più bizzarri, trovare definizioni, sentenze, esempi relativi ai vari peccati, avere a disposizione un repertorio metaforico utile nella predicazione. A questo scopo dopo essersi accorto che c’è un peccato molto diffuso che non ha avuto sufficiente attenzione nell’analisi dei sette vizi tradizionali, il peccato della lingua, non esita ad aggiungerlo ai sette vizi come ottavo vizio distinguendolo in ben 24 peccati, tra i quali campeggiano la menzogna, la diffamazione, l’adulazione, la parola vana, il multiloquio, il turpiloquio, l’insulto, la maledizione, la derisione, il silenzio colpevole. Operazioni simili volte a sopperire alle carenze del settenario e indubbiamente facilitate dalla fine dell’ordinamento genealogico vengono ripetute in seguito da altri autori. Accanto al settenario compaiono sempre più spesso altre liste di peccati che rimediano alle “dimenticanze” del settenario: i peccati di pensiero, parole, opere, i peccati dei cinque sensi, i peccati contro lo Spirito santo, i peccati cosiddetti alieni (quelli che implicano complicità con altri), i peccati travestiti in virtù, e i peccati contro i 10 precetti. Dilatato e integrato, il settenario dei vizi capitali, alla fine del Medioevo, presenta poi un’altra caratteristica importante: è analizzato all’interno di un sistema di liste morali che comprende le virtù, i doni dello Spirito Santo, le beatitudini, i precetti del Decalogo, come accade per esempio nei manuali per sacerdoti e nei trattati di istruzione religiosa per laici che prefigurano i catechismi controriformisti. A volte il settenario non si limita ad essere accompagnato e circondato da altre liste ma le contiene, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 17 G iu ffr èE di to re presentando all’interno dei singoli vizi l’analisi delle virtù, dei doni dello SS, delle beatitudini, dei precetti ad essi relativi. In ogni caso, ormai collocato al centro di un sistema morale complesso e articolato, il settenario è diventato non solo il repertorio delle colpe, il sistema per eccellenza per parlare del peccato, ma il veicolo della dottrina cristiana nel suo complesso. Il successo dei sette vizi sembra completo e lo è. Tuttavia in quel successo ci sono le cause della futura sconfitta, anzi sono proprio gli stessi motivi che garantiscono la fortuna del settenario a costituire la cause del suo lento ma progressivo declino. Innanzitutto la proliferazione di altri sistemi morali dentro o a fianco del settenario: se ne esalta la centralità, ne mette anche in luce le carenze e le difficoltà. La pretesa di completezza, che era stata il suo punto di forza, risulta vanificata dalle continue integrazioni di vizi nuovi o “dimenticati”. D’altra parte il rapporto con le sette virtù canoniche, i doni dello Spirito Santo e i precetti del Decalogo mostra molte incongruenze. All’interno di una morale che si vuole sistematica il settenario procura insomma qualche problema. Inoltre, la dissoluzione dell’impianto genealogico, che garantisce al sistema settenario e ai suoi componenti flessibilità e capacità di espansione, ne mette però in luce la natura convenzionale. Il sistema dei vizi capitali non riflette la dinamica del peccato, si limita, e certo non è poco, a classificare efficacemente i peccati. Il settenario paga il suo ruolo di centro e contenitore di tutta la morale cristiana con la perdita della sua capacità di indagare le anime, di rivelarne i movimenti segreti, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 18 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re di essere strumento di introspezione. Divenuto un semplice sistema di classificazione, certo potente ma convenzionale, può essere sostituito da altri sistemi più autorevoli o più efficaci, come per esempio le tre concupiscenze di cui si parla nel Vangelo di Giovanni, le sette virtù, e soprattutto, i dieci comandamenti, che diventano con il passare del tempo sempre più importanti. I primi a denunciare le insufficienze del settenario sono i teologi. Dalla metà del secolo XIII sottopongono il settenario dei vizi a una serie di critiche che ne denunciano la debolezza dell’impianto generativo, l’incompletezza, l’assenza di fondamento scritturale, le incongruenze all’interno di una morale sistematica. Sconfitto in ambito teologico già nei primi anni del XIV, il settenario continua in realtà a trionfare in ambito pastorale nelle forme e con le funzioni che abbiamo visto, per nulla turbato dalla concorrenza del Decalogo al quale viene spesso affiancato, integrato, sovrapposto. Bisognerà aspettare la Riforma perché quella crisi annunciata esploda. Vituperato da Lutero, rifiutato in ambito riformato, anche presso i cattolici il settenario avrà una presenza sempre più limitata. Insomma, con l’avvento della modernità, la fortuna del settenario finisce; certo si continuerà a fare riferimento a quel sistema in opere religiose e letterarie anche importanti, ma i sette vizi cessano di essere l’ordine del regno del male. La dottrina della Chiesa non porrà più i vizi capitali al centro della vita morale dei fedeli. Nel Catechismo della Chiesa cattolica, redatto per iniziativa di Giovanni Paolo II e pubblicato nel 1992, i sette vizi sono citati ma si tratta di © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati I SETTE VIZI CAPITALI: GENESI E FORTUNA 19 una piccola citazione (quattro righe all’interno del capitolo del peccato), un omaggio alla tradizione più che l’indicazione ai fedeli di uno strumento utile per riconoscere le loro colpe. 5. Ai nostri giorni. G iu ffr èE di to re Questo non vuol dire che i peccati capitali siano scomparsi. Anzi, essi sono dovunque: nei film, nella pubblicità, nel teatro, nelle opere musicali, nelle rappresentazioni artistiche, nei convegni storici. I vizi capitali siano ormai una categoria della cultura occidentale da tutti più o meno conosciuta. Ma questi vizi, che si trovano dovunque, non hanno più la stessa funzione che avevano nel Medioevo; non provvedono più, come nel Medioevo, all’integrità morale dell’individuo, alla solidità delle famiglie, all’ordine della società e, soprattutto, alla salvezza delle anime. Possono ancora essere un buon sistema di classificazione, ma quel che classificano è qualcosa che non è più o non è solo peccato. I vizi sono diventati soprattutto categorie psicologiche che descrivono attitudini e comportamenti non necessariamente colpevoli. Categorie descrittive, come una volta, ma non più o non solo, come una volta, categorie normative. In quanto tali i vizi non fanno più paura. Non a caso ci si domanda spesso quale sia il peccato preferito; non a caso ci sono vizi che non sembrano più tali e vizi di cui addirittura ci si può vantare: la gola, la lussuria, la superbia … I vizi sono ormai diventati occasione di conversazione, di ricreazione, qualche volta di studio e di riflessione, come © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 20 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re è il caso di questo volume. Insomma il settenario dei peccati capitali è restato un sistema più o meno efficace di catalogazione psicologica e un oggetto culturale molto suggestivo, ma non è più, come era, un oggetto teologico al quale veniva affidata la salvezza dell’umanità. I nostri vizi capitali assomigliano ai vizi capitali degli uomini e delle donne del Medioevo, ma certamente non sono più la stessa cosa. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 2. TV, PUBBLICITA v E COMUNICAZIONE: VIZI O VIRTU v? to SOMMARIO: Conversazione con Aldo Grasso re di ALDO GRASSO èE di Professor Grasso, dal suo osservatorio professionale, come giudica la qualità della nostra comunicazione? G iu ffr Come in molti altri settori, siamo passati da un tempo in cui trionfava l’epopea dell’incomunicabilità, ad un altro, caratterizzato da un eccesso di comunicabilità. Tanta voglia di dire che solo l’urlo sembra essere la modalità vincente per esprimersi: in Tv confronti all’ultimo insulto; fra politici generosi scambi di contumelie e diffamazioni; sui giornali largo spazio a insinuazioni e livorose offese. Tanta smodatezza da incoraggiare la nascita di una nuova professione, quella dell’insultologo, il paziente collezionista dell’offesa verbale. Un presenzialismo esistenziale? Di più, parlerei di un genus. Questo scienziato dell’improperio registra i processi televisivi più sfrenati, ritaglia dalle pagine patinate i vocaboli più ardimentosi, ordina con scrupolo filologico la rac- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 22 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI colta. L’insultologo, pur nell’ambito di una comunicazione hard, pesante, si occupa ancora di messaggi. Insomma, lei crede sia finita la stagione della comunicazione umana? èE di to re La comunicazione soft, o virtuale, è molto simile alla carta di credito. Tutto è cominciato con le segreterie telefoniche, adesso siamo ai social network. Per un certo periodo è esistito persino “il popolo dei fax”. Sintomo diffuso della comunicazione soft è il telefono verde che vari ministeri ed enti hanno installato. La telefonata non costa nulla — non è vero, ma è come se — e funziona come sfogatoio tecnologico. A rispondere c’è una voce umana creata dal computer con un piccolo ventaglio di risposte standard. ffr Ma di cosa si occupa la comunicazione soft che lei teorizza? G iu La comunicazione soft non si occupa di messaggi, non è il suo mandato; non conosce insulti ma solo buone maniere. Deve avvolgere ogni rapporto sociale, mantenere vivo il contatto fra le parti, coprire dei vuoti, accorciare le distanze fra il Palazzo e la Gente, dare del tu al signor Enel e alla signora Alitalia. Deve esibire gli ultimi ritrovarti della tecnica — computer, fax, Tv, cellulare — per fugare ogni idea di rappresentatività, anzi per « rappresentare » il mondo politico in diretta (dalle sedute alla Camera ai processi in video). Il potere classico, anche nelle sue degenerazioni, funziona attraverso messaggi; il potere moderno si abbandona volen- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati TV, PUBBLICITA v E COMUNICAZIONE 23 tieri ai messaggi. Impalpabili, immateriali, immediati. Ma la comunicazione soffre di alcuni mali? re Certo. I più decisivi sono la perdita dell’oggetto, ovvero il costante trionfo dell’astratto sul concreto; il ricatto del contenuto, il disprezzo della forma, quell’attitudine che porta ad avere sommo disinteresse per il manufatto ed eccessiva valutazione della sostanza, per quanto grezza e inerte. to Eppure siamo un paese che ha fatto della parola la sua principale arma di distinzione… G iu ffr èE di Certo. L’Italiano chiacchiera. Su tutto. Il genere più praticato nei palinsesti televisivi è il talk show. Costa poco e si possono tessere tante storie con la ciarla. Ma il genere più praticato nei palinsesti televisivi è il talk show. Costa poco e si possono tessere tante storie con la chiacchiera. Ma il talk show è anche il paradigma più felice di un bisogno antico e insieme modernissimo, il consumo informativo. Trasformare il mondo in tema di discorso, costituisce un’operazione tanto facile quanto inesauribile. Basta creare l’“occasione” per parlare di una qualsiasi cosa, e il gioco è fatto, l’informazione è suscitata. I grandi maestri del talk show non si preoccupano dunque di confezionare menù di argomenti (« oggi parliamo di... ») quanto piuttosto di vagliare i casi umani che incarnano il tema (« c’è un bel malato terminale disposto a venire in trasmissione e quindi parliamo di... »). Per discorsivizzare il mondo lo strumento più idoneo è il calendario; © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 24 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI basta sfogliarlo e creare infinite possibilità di eventi e di ricordi. Ma questo non sempre può essere negativo? èE di to re Il dramma che viviamo è quello della frustrazione espressiva. Siamo tutti risucchiati dalla penosa illusione di dire finalmente la nostra. Ogni tanto qualche lettore del « Corriere » lamenta di non sentire più fischiettare per strada le canzoni di San Remo: dopo la finta scomparsa delle lucciole, dobbiamo anche deplorare quella dei motivetti del Festival? Tecnicamente il lettore ha ragione: difficile sorprendere un passante intento a canticchiare le nuove proposte. Dove però il lettore sbaglia profondamente è nella scelta dei testimonial; scrive che il mutismo inizia dai garzoni dei fornai e dai muratori « che si esibivano come tenori alla Scala ». ffr Ma anche la pubblicità spesso ci presenta Italie non sempre reali… G iu Non vi è dubbio. I garzoni dei fornai in bicicletta, ad esempio, vengono sempre tirati in ballo per deprecare San Remo. È probabile che ai tempi di « Papaveri e papere » qualche ciclista si esibisse alla maniera di Nilla Pizza ma l’ultimo garzone in bicicletta intravisto dalla gente comune risale a trent’anni fa; era Ninetto Davoli nel Carosello di un cracker. A parte la diffusa motorizzazione e la panificazione centralizzata, difficile che a fine febbraio i panettieri sciamino in bici per cantare. Quanto ai muratori, in ossequio alle norme di sicurezza, sono diventati invisibili, avvolti da strutture metalliche e tendoni. Ma, ammesso che esemplari di © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati TV, PUBBLICITA v E COMUNICAZIONE 25 edili canterini esistano ancora, intervengono altri fattori tecnici che impediscono la propagazione bocca a bocca di Sanremo: le radioline sempre accese, l’ipod nelle orecchie, la produzione smisurata di canzoni, il rumore insopportabile. Insomma, lei sostiene che l’Italia della pubblicità non esiste… G iu ffr èE di to re Ogni volta che in una manifestazione vengono scagliate uova contro qualcuno i giornali titolano con ripetuta ossessione: « lancio di uova marce... ». Ma dove sono le uova marce? Esiste uno spaccio segreto, esistono spacciatori di tuorli putridi? Le uova marce sono un’assoluta rarità, i moderni metodi di introspezione e conservazione le hanno quasi del tutto eliminate. Esistevano un tempo, è vero, quando a fine estate, dopo che una mano le aveva fatte ruotare in controluce davanti a una candela, venivano stipate in grandi vasche d’acqua ricoperte di calce. Quelle che venivano a galla erano indiscutibilmente marce e se le lanciavi ottenevi bombe puzzolenti. Eppure i giornalisti, i lettori, noi tutti siamo profondamente legati a figure linguistiche desuete, anche per raccontare una realtà in continuo movimento: ancora l’ago nel pagliaio (chi ha più visto un pagliaio?), il carro davanti ai buoi, la zappa sui piedi e, naturalmente, il tirar l’acqua al proprio mulino (bianco) o il far di ogni erba un fascio. Par di capire che un altro vizio della nostra comunicazione sia l’assenza di idee e contenuti. È cosı̀? Ci sono certi programmi televisivi di successo che sono il nulla, un abisso colmato in genere da una pre- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 26 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re sentatrice che non sa presentare, da comici che non sanno far ridere, da comparse che non sanno comparire. Eppure, queste scatole vuote, a volte riescono a essere la più perfetta metafora dell’Italia. Più sincere e lucide di un rapporto Censis. La Tv è la nostra nuova patria, dove regnano indistinzione e indulgenza. Terra gelatinosa, contaminata dall’anomalia, confinata nell’orizzonte dei suoi piccoli desideri, immersa nell’ipnosi del divertimento. Solo in Tv succede che il governo faccia acqua con i naufraghi albanesi, che un signore proprietario di sette ville in Sardegna non trovi ospitalità per otto profughi adottati in diretta con le lacrime agli occhi, che una setta di fanatici adori il dio Po, che i conflitti di interesse siano norma, che 8000 bambini ogni giorno chiamino il Telefono azzurro, che il racket si sostituisca alla legge, che Gigi Marzullo diventi un problema, che la Rai faccia pubblicità occulta, che Celentano denunci la Rai, che la riforma del sistema televisivo sia diventata una trattativa privata, che le strade si trasformino in autodromi. Come salvarci da tutto questo? Mi creda, solo grazie alla ripetizione. Quando avvertiamo quella sensazione bislacca nel constatare che una parola, ripetuta all’infinito, in modo automatico, perde ogni legame con il suo significato, ebbene, in quel preciso momento, palesiamo la debolezza originaria di ogni comunicazione. Ma questo vale anche per la tv? Certo, anzi più di tutto per la tv. È una macchina grandiosa, intemerata e potente ma che in realtà è © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati TV, PUBBLICITA v E COMUNICAZIONE 27 èE di to re scossa dal terrore del diverso, del sorprendente, dell’insolito; la sua sobria e pacata legge è l’abitudine. E sull’abitudine, che si invera solo nella ripetizione, ha fondato il suo impero. Nulla infatti rende più felice lo spettatore dell’« ancora una volta ». Per questo non dobbiamo stupirci se un programma incontra il favore del pubblico all’ennesima replica. Ogni esperienza televisiva desidera insaziabilmente la ripetizione e il ritorno, il ripristino di una situazione originaria da cui ha preso le mosse. Con questo procedimento psicologico, lo spettatore riesce sia a superare la paura del nuovo sia a gustare nel modo più intenso il già visto attraverso i precorsi laterali dello smussamento, della parodia, della memoria collettiva. Ripetizione che passa dal genere al contenuto? G iu ffr Certo, la ripetizione di un programma non si riduce solo nell’esperienza claustrofobica e maniacale dell’« ancora una volta » ma si presenta anche come la trasformazione della creatività inserita nel processo produttivo, dove sovente la ripetizione sprigiona la sua imprevista novità, in una rassicurazione familiare. C’è anche un motivo linguistico che agisce con perentorietà: uno dei principi che regolano lo stato attuale della comunicazioni è la ripetizione, che è un bisogno puerile (come abbiamo visto) e insieme un sistema di lettura, un rito e un ritmo. Altrimenti, senza ripetizione, ci muoviamo alla sbando, veniamo travolti dall’enorme consumo di immagini e di scrittura. Del resto, tutta la vita somiglia a una lunga replica, dove l’innovazione sta © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 28 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI nella ripetizione: come le onde del mare, le une e le altre dandosi reciprocamente senso e forma. La ripetizione da sicurezza a grande limite? G iu ffr èE di to re La ripetizione ci tutela, fin che può, da una nuova forma di inquinamento: l’eccesso di informazioni. Quando siamo troppo informati su una cosa, è come se non lo fossimo. Non abbiamo più gerarchie, sfuggono i punti di vista, ogni dato equivale a un altro. In linguistica si chiama « effetto rumore »: succede quando il troppo stroppia, quando sei sommerso da una valanga di informazioni e il messaggio fatica a farsi strada, come fosse bloccato da un gigantesco ingorgo. I massmediologi parlano di smog: l’eccesso di informazione diventa qualcosa di irrespirabile. Si produce informazione più di quanto la si possa elaborare, trattare criticamente: troppi Tg, troppi comunicati pubblicitari, troppe notizie. Un cittadino iperinformato non necessariamente è un cittadino ben informato, dice Bill Gates, il fondatore di Microsoft, forse uno dei principali inquinatori del mondo. E sulla pubblicità… In questi anni, la pubblicità ha accompagnato il rapidissimo passaggio della società, specie quella italiana, da uno stato di arretratezza culturale ed economica all’attuale stadio di benessere diffuso e scolarizzazione elevata, attraverso una serie di passaggi successivi. Di questo cambiamento la pubblicità è stata lo specchio, magari un po’ deformante; ma ha anche svolto una indubbia funzione di prefigurazione, anticipazione, legittimazione di modelli © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati TV, PUBBLICITA v E COMUNICAZIONE 29 che, per la loro accessibilità, frequenza, piacevolezza, hanno finito con l’assumere lo statuto dell’ovvietà, della naturalezza, al di là del bene e del male. Forse la pubblicità in alcuni casi eccede. Cosa ne pensa? ffr èE di to re Ogni comunicatore conosce una regola fondamentale: l’informazione recata da un messaggio diminuisce via via che ne aumenta la probabilità. Per questo sia il linguaggio creativo che la pubblicità hanno come compito statutario quello di stupire. In continuazione. La quotidianità—- soprattutto oggi che in Occidente viviamo in una condizione di eccedenza di offerta — rende opaco ogni messaggio, confonde ogni proposta. Perciò ogni nuova forma di pubblicità consiste non nel rappresentare cose nuove, bensı̀ nel rappresentarle con novità. La percezione è tutto, la cosa (i contenuti, gli argomenti, i temi) niente. E per il futuro cosa aspettarsi? G iu Ciò che importerà, in buona parte della pubblicità a venire, non saranno promesse né benefici né confronti, non saranno descrizioni di qualità oggettive né informazioni merceologiche. La pubblicità ribatte e ribatterà sempre più solo instancabilmente la costruzione di un mondo virtuale dove le forme risultano più importanti dei contenuti, dove gli stili di vita prevalgono sulle tradizionali distinzioni sociologiche (sesso, istruzione, censo...) e dove, infine, nella definizione di risorse cognitive e passionali in grado di essere utilizzate dagli individui e dai gruppi, si ricorrerà alla spot come a un laboratorio. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 3. SUPERBIA di ANTONIO CATRICALAv èE 1. Elogio della superbia. di to re SOMMARIO: 1. Elogio della superbia. — 2. Superbo versus consumatore. — 3. Il vizio della finta umiltà. — 4. La superbia del monopolista. — 5. I superbi del cartello. — 6. La speranza di Einaudi. G iu ffr “Il punto è che la superbia di ciascuno è in competizione con quella di tutti…. Ciò che occorre avere ben chiaro è appunto che la superbia è essenzialmente competitiva — è competitiva per sua natura — mentre gli altri vizi lo sono, per cosı̀ dire, solo accidentalmente. La superbia non trae soddisfazione dall’avere qualcosa, ma solo dall’averne più del prossimo… È il confronto che rende superbi: il piacere di essere superiori agli altri. Se svanisce l’elemento competizione, svanisce anche la superbia. Ecco perché dico che la superbia, a differenza degli altri vizi, è essenzialmente competitiva”. Clive Staples Lewis, noto ai più per essere l’autore di “Le cronache di Narnia” descriveva cosı̀ ne ‘Il Cristianesimo cosı̀ com’è” la superbia. E se questa fosse davvero l’unica accezione possibile della © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 32 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re superbia, eccomi qui prontissimo a tesserne, laicamente, le lodi. Prendiamo per buona l’equazione di Lewis “superbia = competizione”, senza altre aggiunte: come presidente dell’Antitrust non potrei che desiderare un mondo di peccatori, di corrotti dal primo vizio capitale, mossi dalla voglia di primeggiare. Pensiamo all’imprenditore di Schumpeter: è un innovatore, motore della “distruzione creativa”, colui che ricombina gli elementi, tecnologici, umani e organizzativi, per creare qualcosa di diverso da ciò che c’era prima. È un creatore, è portatore di “una fonte di energia che di per se stessa disturberebbe qualsiasi equilibrio che potesse essere raggiunto”. Difficile immaginarlo pieno di umiltà… Tuttavia, giacché non vorrei finire subito in Purgatorio, in compagnia di Oderisi da Gubbio, Omberto Aldobrandeschi e Provenzano Salvani, per aver contestato la perniciosità del peggiore dei sette peccati capitali, voglio declinarlo in un modo che considero più appropriato: la competizione diventa superbia quando la si vuole svolgere al di fuori dalle regole. Ecco che cosı̀ descritta l’equazione, benché più complessa, mi pare più correttamente impostata. Soprattutto risulta suffragata dai fatti quotidiani, dall’analisi economica e dai dossier inviati ogni giorno all’indirizzo dell’Antitrust. 2. Superbo versus consumatore. Spicca, tra i dossier che arrivano a Piazza Verdi, la mole di denunce che proviene dalle associazioni © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 33 SUPERBIA G iu ffr èE di to re dei consumatori e dai singoli cittadini. Sono denunce che raccontano di piccoli soprusi quotidiani, di disservizi che metterebbero a dura prova la pazienza di Giobbe e mostrano una partecipazione convinta all’idea che contro le prepotenze si possa chiedere aiuto alle Istituzioni. Nel 2008 sono giunte circa tremila denunce scritte, con un incremento pari al 75% rispetto all’anno precedente. I dati diventano più significativi se si prende in considerazione l’attività del call center, istituito presso l’Autorità nel 2007, che ha registrato quindicimila segnalazioni, la maggior parte delle quali riguarda il settore delle telecomunicazioni. La forza dei numeri e quella di una legge finalmente più attenta ha fatto sı̀ che l’intervento a tutela del consumatore sia diventato una priorità dell’Istituzione. Per l’Antitrust il mercato deve presentarsi come una casa di vetro: la trasparenza ispira fiducia e garantisce la libertà di scelta dei singoli. È questa la regola principe che, se osservata, può essere la via di conversione dell’imprenditore superbo: da soggetto convinto di potere spadroneggiare sul mercato, contando sull’impunità, si trasformerà in un professionista fiero della sua attività e della qualità del prodotto che offre. Se accetterà il confronto con le altre aziende comportandosi lealmente con i consumatori, ecco che la superbia si trasformerà da vizio capitale in virtù. La trasparenza impedisce infatti l’inganno, rispetta i diritti di chi non può avere lo stesso bagaglio di conoscenze, tecniche e giuridiche, dell’azienda. Il diritto dei consumatori apre nuove frontiere di garanzia per i cittadini. Sono frontiere da esplo- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 34 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re rare, che la stessa giurisprudenza valica con timidezza, restia ad abbandonare l’idea della parità contrattuale, cardine del nostro codice civile. Per la prima volta nel 2005 si afferma invece in Italia, con il Codice del consumo, un concreto principio di origine comunitaria, già vigente in altri Paesi: le tutele riservate alle parti contrattuali devono favorire il consumatore. Non solo una tutela formale, già prevista appunto nel Codice civile, ma sostanziale: l’impresa, il negoziante, il professionista, i fornitori di servizi dimostrano diligenza e correttezza se instaurano con il consumatore un rapporto privo di vessazioni e rispettoso delle attese della parte più debole e meno informata sui possibili rischi, i costi e le indeterminatezze di un’offerta contrattuale. Proprio queste clausole generali di correttezza, diligenza e lealtà hanno rappresentato la stella polare che ha seguito l’Autorità al momento di decidere se un determinato comportamento violava la legge e andava dunque sanzionato. Solo per le scorrettezze commerciali l’importo complessivo delle sanzioni pecuniarie comminate dall’Autorità nel corso del 2008 e nei primi mesi del 2009 ha registrato una decisa crescita rispetto al periodo precedente, superando i cinquantadue milioni di euro. Affinché la superbia dell’imprenditore che agisce in spregio delle regole possa essere trasformata in virtù, non bastano tuttavia penitenze, trasformate dall’Autorità in multe milionarie. Occorre che i nuovi principi di tutela si fondino sulle basi di una solida democrazia economica, radicandosi nella cultura di cittadini e imprese, e siano recepiti da una giurisprudenza costante e omogenea. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 35 SUPERBIA to re La crisi economica che ha percorso il 2008 e il 2009 ha svelato tutta la peccaminosità della superbia vizio capitale: ancor più che nel passato, gli imprenditori scorretti hanno approfittato del bisogno altrui. False offerte di lavoro, promozioni di prodotti civetta, finte vendite sottocosto, promesse di vincita alle lotterie, proposte reticenti che alimentano il miraggio di un facile credito al consumo hanno mostrato un aumento omogeneo in Europa e negli Usa. di 3. Il vizio della finta umiltà. G iu ffr èE La virtù che si oppone alla superbia è l’umiltà, il sapere di non essere grandi come altri potrebbero pensare. A volerla declinare cosı̀ l’Italia sembrerebbe piena di imprenditori virtuosi, talmente umili da non considerarsi all’altezza del confronto con i concorrenti, veri o potenziali. Questa forma di vizio capitale è molto diffusa tra le nostre aziende per le quali la pubblicità comparativa, potente strumento per alimentare la concorrenza, al quale l’imprenditore schumpteriano avrebbe di certo fatto ricorso intensamente, è un oggetto sconosciuto. Vietata fino a una decina di anni fa, ai nostri imprenditori la pubblicità comparativa indubbiamente non piace. Qualche cifra; dal 2005 al 2008 su 767 condanne dell’Autorità per pubblicità ingannevole o pratica commerciale scorretta solo 21 hanno riguardato pubblicità comparative. Tanta virtù è tuttavia solo apparente giacché nasconde una superbia, questa sı̀ davvero dannosa, nei confronti dei consumatori, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 36 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re sudditi e vittime delle aziende tanto rispettose del proprio concorrente. Le stesse imprese che non vogliono affrontare il mare sconosciuto della pubblicità comparativa amano infatti proporre con finte promesse, frasi roboanti e filmati accattivanti i propri prodotti. Per ammaliare il consumatore sono pronte a spendere un fiume di quattrini, mettendo in conto anche la sanzione che l’Autorità, inevitabilmente, comminerà. Sono i superbi allo stato puro, convinti di potere essere comunque credibili, pronti a sfruttare le scarse conoscenze dei consumatori, ad approfittare della loro debolezza psicologica quando si tratta di bambini e adolescenti. Numeri del lotto sicuramente vincenti, prodotti dimagranti miracolosi che sciolgono il grasso in una notte, malattie gravissime curate con amuleti ma anche tariffe basse garantite per l’eternità: la casistica delle pubblicità ingannevoli è sconfinata, nonostante il legislatore abbia nel tempo inasprito le sanzioni, prima limitate alla semplice dichiarazione di ingannevolezza da parte dell’Autorità. Quando poi un imprenditore “coraggioso” decide di avventurarsi nella pubblicità comparativa può capitare che la superbia raddoppi: peccherà non perché convinto che il suo prodotto sia effettivamente migliore ma perché denigrerà il prodotto altrui, lo ridicolizzerà, metterà in risalto doti della sua offerta che non fanno la differenza. E ancora una volta danneggerà il consumatore, carpendo la sua fiducia con informazioni inesatte o addirittura false, orientandolo in una scelta che danneggia direttamente il concorrente. Nella casistica ristretta che l’Autorità ha esaminato spiccano confronti © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 37 SUPERBIA G iu ffr èE di to re smaccatamente “truffaldini”, come la comparazione tra diverse tariffe dell’energia elettrica nella quale le tariffe dei concorrenti comprendevano anche i cosiddetti oneri di sistema, risultando inevitabilmente più alte: un po’ come fare un confronto tra stipendi al lordo o al netto delle tasse! C’è poi chi non si fa scrupoli e getta discredito sul concorrente senza troppi giri di parole: non solo si vanta di imbottigliare l’acqua più pura ma rincara la dose e insinua nel consumatore il dubbio che il concorrente abbia gli stabilimenti adiacenti a campi coltivati “certamente con gli anticrittogamici”. Per finire con il ritratto di dipendenti fedelissimi che girano con l’acqua aziendale pur di non bere quella delle altre aziende, contaminata dai nitrati. C’è l’azienda di intermediazione pronta a fornire in modo apodittico dati di mercato che indicano un crollo verticale della posizione del concorrente. Il quale, tuttavia, resta comunque il leader di mercato. Fortunatamente non sempre è cosı̀: lentamente, timidamente, anche da noi la pubblicità comparativa corretta inizia a farsi strada. Per ora c’è un piccolo drappello di innovatori che, siamo convinti, contagerà positivamente il mercato. Finalmente un virus buono, da inoculare nei meccanismi della competizione a beneficio di tutti. 4. La superbia del monopolista. Ogni giudice, a seconda del contesto in cui svolge il suo lavoro, ha i suoi “clienti” affezionati. L’Antitrust ha particolare attenzione, a dire il vero © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 38 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re molto poco benevola, per i monopolisti. Tra questi soggetti il peccato della superbia si insinua come un veleno che dà una dipendenza euforizzante, come una droga dal potere inebriante che fa sentire invincibibili. Difficile liberarsene e non c’è sanzione, economica e reputazionale, che possa indurli a ravvedersi. Non che manchino casi di redenzione, tuttavia la tentazione è sempre lı̀, a portata di mano. Assume sembianze mutevoli, adattandosi al mercato in cui il nostro poco eroico monopolista opera. Cosı̀ una volta indossa le vesti di un prezzo iniquo da far pagare ai consumatori, un’altra un ostacolo da porre di traverso sulla strada del potenziale concorrente. Quando cade in tentazione il monopolista pecca di superbia: dimentica che è più forte solo perché è entrato per primo in un mercato dove ad altri non è stato concesso entrare, identifica la sua forza con un primato naturale inattaccabile, ritiene di essere talmente furbo da poterne approfittare. Ma poiché ci sarà pure un giudice a Berlino, spesso non riesce a farla franca. Per lui e per delimitare meglio il suo operato, dottrina e giurisprudenza hanno anche previsto una “speciale responsabilità” che incide direttamente sul primo imperativo, valido per ogni imprenditore, che è quello di fare profitti. Cosı̀ se a un’impresa che opera in piena concorrenza non si può chiedere di fare gratuitamente spazio ad altri, da un monopolista si può pretendere che conceda le sue strutture ai nuovi entranti a condizioni agevoli e comunque identiche a quelle che pratica a se stesso. Se questo principio viene violato il monopolista abusa della sua posizione e rischia la sanzione. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 39 SUPERBIA G iu ffr èE di to re Basta scorrere i nostri archivi per trovare molti esempi di superbia “escludente”: la tentazione del monopolista è fortissima quando è l’unico a detenere una infrastruttura essenziale per permettere agli altri di competere. L’elenco degli illeciti va dal rifiuto di accesso all’infrastruttura o all’imposizione di prezzi, per l’accesso medesimo, talmente onerosi da rendere impossibile la concorrenza, agli ostacoli frapposti per creare difficoltà impossibili da sormontare. Aeroporti, gas, elettricità, trasporto ferroviario e autostradale sono i settori, per “natura”, più esposti all’abuso. La superbia del monopolista viene sanzionata duramente dall’Antitrust perché un danno causato alla concorrenza è un danno all’intera collettività. Tuttavia, quando ci sono le condizioni, l’Autorità chiude le istruttorie accettando gli impegni della parte “incriminata”. Se utilizzata al meglio, come credo sia stato fatto dal Collegio da me presieduto, questa procedura rappresenta la quadratura del cerchio: l’azienda sotto procedimento evita non solo la sanzione ma anche l’accertamento dell’infrazione, azzerando le conseguenze negative di immagine e limitando in modo consistente il rischio di risarcimento danni in sede civile. I benefici maggiori sono tuttavia per il mercato: gli impegni accettati hanno lo scopo di facilitare l’ingresso dei concorrenti, di cedere loro capacità produttiva, di ridurre i prezzi per i consumatori. Senza la politica degli impegni, a esempio, difficilmente nel nostro mercato sarebbero entrati gli operatori virtuali, le Poste avrebbero progressivamente eroso tutti gli spazi destinati ai concorrenti con la liberalizzazione, Autostrade © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 40 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI avrebbe continuato a non rimborsare ai viaggiatori le carte non utilizzate per il pagamento del pedaggio, i brevetti utilizzabili per la produzione di farmaci generici sarebbero rimasti nelle mani dell’azienda che ne era originariamente proprietaria. 5. I superbi del cartello. G iu ffr èE di to re C’è un’altra forma di superbia che potrebbe essere scambiata per umiltà. Tante “umili” imprese si accontentano di quanto conquistato sul mercato, si dichiarano amorevolmente e vicendevolmente la pace, mettendosi al riparo dalla “distruzione creatrice”. Nessuna di loro ha voglia di rischiare, di innovare, di mettere in discussione la sua quota, garantita, di clienti e di profitti. Le imprese si dividono la torta, fissano i prezzi di ciascuna porzione, convinte che nessuno possa scoprirle. Questa forma del vizio capitale porta alla formazione dei cartelli, essenza stessa della voglia di non competere. I cartelli sono di per se stessi segreti. All’Antitrust, che li considera il male estremo, a volte i giudici amministrativi chiedono “prove diaboliche”, come appunti di riunioni carbonare vergati direttamente da presidenti e amministratori delegati. Per immaginare che manager superpagati lascino tracce come Pollicino nella foresta ci vuole, a dire il vero, molta fantasia. Tuttavia a volte accade. E anche quando le tracce sono meno evidenti l’Antitrust non demorde, consapevole che la giurisprudenza può cambiare. Dunque tenta e ritenta, con caparbietà, perché dietro quella finta umiltà del © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 41 SUPERBIA G iu ffr èE di to re non rischiare, dell’accontentarsi, c’è il prezzo pagato dal consumatore, stimato dagli economisti superiore del 25-30% di quanto sborserebbe in una situazione di concorrenza. Qualcuno, strada facendo, anche se non ha ancora lasciato sul percorso tracce evidenti, finalmente si pente. Si presenta negli uffici dell’Antitrust e racconta. Racconta delle riunioni segrete, degli scambi di e-mail, delle telefonate in codice. A quel punto per l’Antitrust si apre un’autostrada: il pentito si garantisce l’immunità, i complici vengono stangati. Il pentitismo (o meglio la leniency, per dirla con il linguaggio dell’Unione Europea) ha avuto un decollo lento. Ma anche in questo caso non possiamo che essere caparbiamente convinti della necessità di incentivare i “collaboratori di concorrenza”. Stiamo raccogliendo i primi frutti perché anche aziende molto importanti mostrano di temere l’azione dell’Autorità e si presentano nei nostri uffici per raccontare. A volte i cartelli sono particolarmente odiosi, perché colpiscono beni di prima necessità. Spaziano dai prodotti ai servizi, corrodono le regole di mercato senza soluzione di continuità. Dal cemento che utilizziamo per costruire, alle medicine, ai prodotti alimentari, fino ai dispositivi medicali che devono essere utilizzati da malati che ogni giorno lottano per conquistare un mese di vita in più. Ecco la superbia vestita da umiltà: le imprese sperano di farla franca, si arrogano il diritto di decretare qual è il giusto equilibrio di mercato, suggellano la non belligeranza con le monete dei consumatori. Qualche caso chiuso sotto la mia presidenza è © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 42 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re emblematico della superbia che rasenta il delirio di invincibilità, che non teme danni di immagine anche quando gli affari si fanno sulla pelle di chi sta male. L’Antitrust ha condannato quattro aziende che, per garantirsi ciascuna la propria quota di mercato e il livello di prezzi praticato, avevano mandato sistematicamente deserta la gara indetta da una virtuosa azienda sanitaria per ridurre i costi e garantire la qualità dei dispositivi di stomia. Facevano cartello, per intenderci, sulle attrezzature destinate a chi ha subito interventi all’apparato urinario e digerente ed è destinato, nel migliore dei casi, a una vita quotidiana irta di difficoltà. Altre nove imprese avevano invece stabilito prezzi target e clientela attuale e potenziale, calcolando le quote con rigidi criteri proporzionali, nel settore dei disinfettanti e antisettici degli ospedali. Anche nel settore dei farmaci abbiamo scovato intese destinate ad affossare quel poco di liberalizzazione avviata dal legislatore: i grossisti (guarda caso di proprietà di gruppi di farmacisti titolari di farmacie) si rifiutavano in Abruzzo, Puglia e Basilicata di rifornire le parafarmacie, cercando di metterle fuori gioco molto prima che il gioco potesse farsi duro. A volte sono gli ordini professionali a farsi promotori di intese restrittive: obbligano gli iscritti a rispettare tabelle dettagliate degli sconti massimi praticabili, aprono procedimenti a carico di chi vorrebbe misurarsi con il mercato senza i vincoli di tariffe minime o restrizioni al ricorso alla pubblicità. Anche per l’intesa, sia pur molto più raramente che per gli abusi, l’Antitrust ricorre allo strumento © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 43 SUPERBIA di 6. La speranza di Einaudi. to re degli impegni. Lo ha fatto, ad esempio, nei confronti dell’Ordine dei Veterinari di Torino, pronto a radiare dall’albo una collega colpevole di avere istituito la “cassa mutua” per mici e cani. Quel procedimento si è chiuso con impegni che fanno onore alla categoria, diventata apripista della liberalizzazione delle professioni: le tariffe minime sono state abolite del tutto, la pubblicità è stata liberalizzata ancora prima che intervenisse il legislatore e il procedimento a carico della veterinaria ribelle è stato ritirato. G iu ffr èE La battaglia che l’Antitrust conduce tutti i giorni è complicata ma fondamentale per un Paese più moderno. Ecco perché vorrei tornare, citando Einaudi, all’elogio della superbia. Scriveva Einaudi nelle sue “Prediche Inutili”: gli onorari liberamente pattuiti e pagati in compenso di un servizio reso dal professionista, i guadagni incerti degli artigiani e dei commercianti, ed i profitti aleatori degli imprenditori debbono continuare ad esistere, se il sistema economico voglia sentirsi elastico, atto a subire l’urto delle variazioni continue della tecnica, delle invenzioni industriali, se si vuole che la società umana muti e cresca. Il profitto è il prezzo che si deve pagare perché il pensiero possa liberamente avanzare alla conquista della verità, perché gli innovatori mettano alla prova le loro scoperte, perché gli uomini intraprendenti possano continuamente recuperare la frontiera del noto, del già sperimen- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 44 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re tato, e muovere verso l’ignoto, verso il mondo ancora aperto all’avanzamento materiale e morale dell’umanità”. Non c’è l’uomo umile in questa frase di Luigi Einaudi, che certo non avrebbe mai condiviso la scelta di Dante di mettere Oderisi da Gubbio, innovatore nell’arte della miniatura, in Purgatorio. C’è, invece, l’uomo pronto alle sfide, proiettato verso una crescita che ha come fine e mezzo la morale. Ecco tornare alle regole dunque, all’esigenza di controllori ferrei e efficienti, che sappiano accompagnare il mercato senza soffocarlo e, tuttavia, senza consentire abusi, furbizie, prepotenze. È ancora Einaudi a ricordarcelo, nel primo capitolo delle “Lezioni di politica sociale”: “Tutti coloro i quali vanno alla fiera, sanno che questa non potrebbe aver luogo se, oltre ai banchi dei venditori i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, ed oltre la folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos’altro: il cappello a due punte della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario ed il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l’avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere imbrogliati in un contratto, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno alla fiera. E ci sono le piazze e le strade, le une dure e le altre fangose che conducono dai casolari della campagna al cen- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 45 SUPERBIA G iu ffr èE di to re tro, ci sono le scuole dove i ragazzi vanno a studiare. E tante altre cose ci sono, che, se non ci fossero, anche quella fiera non si potrebbe tenere o sarebbe tutta diversa da quel che effettivamente è”. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 4. INVIDIA di GIORGIO FLORIDIA di to re SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. I sistemi di controllo. — 3. Invidia e agganciamento. — 4. Invidia e denigrazione commerciale. — 5. L’invidia è il tallone di Achille del consumatore. èE 1. Premessa. G iu ffr Per puro caso mi è stato assegnato il vizio capitale della invidia che — come è noto — è opposto a quello della superbia, assegnato al Presidente Catricalà. Ed invero, mentre la superbia consiste in una eccessiva considerazione di sé, l’invidia è caratterizzata da una bassa autostima e da una concezione esagerata degli ostacoli e delle difficoltà che sono da superare. Spesso il soggetto invidioso possiede anche delle buone qualità che possono essere riconosciute ma non le considera sufficienti e si ritiene un incapace (da Wikipedia, l’enciclopedia libera). Dovendo coniugare i sette vizi capitali con la fenomenologia giuridica e sociale della pubblicità, viene la tentazione, in apertura del discorso, di compiere una valutazione non solo con riferimento alle motivazioni psicologiche dei comportamenti © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 48 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI pubblicitari ed alle motivazioni di acquisto sulle quali fa leva la pubblicità, ma, prima ancora, con riferimento ai sistemi di controllo che, nel nostro ordinamento sono stati istituiti ed operano per mantenere la pubblicità in un ambito “virtuoso” e parallelamente per impedire che la pubblicità stessa percorra vie caratterizzate dai sette vizi capitali. re 2. I sistemi di controllo. G iu ffr èE di to Riguardata la questione da questo angolo visuale, e cioè da quello della comparazione fra i sistemi di controllo, celiando viene da chiedersi se il sistema presieduto da Antonio Catricalà non sia affetto da una certa qual superbia in contrapposizione al sistema di Autodisciplina Pubblicitaria da me presieduto che — a prima vista — potrebbe sembrare affetto da invidia. Sennonché la superbia dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non ha nulla a che vedere con il vizio capitale perché, mentre questo si manifesta con comportamenti aberranti posti normalmente in essere al di fuori delle regole giuridiche e sociali che garantiscono una accettabile qualità della convivenza civile, la superbia dell’Autorità Garante è — tutt’affatto al contrario — piena autocoscienza delle regole suddette ed orgogliosa rivendicazione della capacità di farle rispettare. L’Autorità Garante giustamente si gloria della sua capacità di trasformare la superbia degli imprenditori e la loro tendenza alla prevaricazione in una sana competizione economica a vantaggio di tutta la collettività. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 49 INVIDIA G iu ffr èE di to re Anche l’Autodisciplina possiede una siffatta superbia? O piuttosto è afflitta dalla invidia alimentata dalla frustrazione di non potere conseguire gli stessi obiettivi dell’Autorità Garante? Cosı̀ sarebbe se l’Autodisciplina fosse invidiosa delle caratteristiche positive che caratterizzano il funzionamento dell’Autorità Garante e dei poteri certamente molto più incisivi che essa esercita nell’ordinamento dello Stato. Se la superbia e l’invidia fossero, in termini psicologici e della morale cattolica dalla quale i vizi capitali traggono origine, il “proprium” della contrapposizione fra il controllo del Garante ed il controllo autodisciplinare, il rischio sarebbe che il primo dei due si involga in una spirale di prepotenza e di prevaricazione mentre il secondo sprofondi nella peggiore prostrazione. Potrebbe allora accadere che nell’Autodisciplina maturino atteggiamenti aggressivi nel tentativo di sminuire il soggetto invidiato del quale si mettano in evidenza le mancanze ed i difetti proprio per dissimulare la propria inferiorità. La storia dell’Autodisciplina Pubblicitaria impedisce però totalmente di configurare il suo rapporto con l’Autorità Garante come governato dall’invidia, proprio perché all’autocoscienza della importanza dei compiti che l’Autorità Garante è chiamata a svolgere, si contrappone una altrettanto autogratificante coscienza dei compiti che l’Autodisciplina è chiamata a svolgere in un contesto completamente diverso ma che rispecchia nel modo migliore la propria prossimità ed immediata derivazione dagli ambienti professionali che, dandosi le regole nella © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 50 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re materia della pubblicità, le interiorizzano per osservarle convintamente anziché subirle per osservarle coattivamente. Se dunque l’Autorità Garante potesse essere superba nello svolgimento del proprio compito, l’Autodisciplina non potrebbe essere invidiosa perché certamente non vuole ciò che caratterizza la funzione dell’Autorità Garante, e cioè non vuole concorrere con il Garante nell’esercizio di un potere coercitivo estraneo ed ostile ai soggetti destinatari delle regole che vengono fatte osservare. In altri termini — e per concludere — l’autostima della Autodisciplina si basa essenzialmente sul fatto di riconoscersi come una istituzione voluta e ben voluta da chi l’ha creata e da chi ne garantisce il funzionamento e, poiché una siffatta matrice della propria autostima non ha e non può avere equivalenti nella struttura dell’Autorità Garante, non c’è spazio per il sentimento negativo dell’invidia che si prova soltanto nei confronti di chi ha qualche cosa che non si possiede e non nei confronti di chi ha qualche cosa che non si vuole possedere. 3. Invidia e agganciamento. Nella morale cattolica i vizi capitali sono rilevanti non soltanto quando si traducono in comportamenti materiali ma anche quando condizionano il foro interno delle coscienze. Non c’è alcun dubbio che anche l’invidia è all’origine di comportamenti pubblicitari che i sistemi di controllo reprimono e, se è vero che la repressione non può prescindere © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 51 INVIDIA G iu ffr èE di to re dalla considerazione del comportamento, è anche vero che non prescinde totalmente neppure dalla matrice psicologica del comportamento, di guisa che, in una certa misura, la regola di condotta viene a formarsi contemporaneamente sulla motivazione intima e sulla sua realizzazione esteriore. L’invidia si caratterizza specificamente come il desiderio di possedere ciò che gli altri possiedono, ed è del tutto evidente che un desiderio siffatto è quello che alimenta la dinamica concorrenziale. In ciascun ambito economico produttivo e commerciale ciascun operatore arde dal desiderio di possedere ciò che possiede ciascun concorrente con il quale specificatamente si misura. L’invidia si manifesta quando, a causa della disistima verso se stessi oppure di una valutazione esagerata degli ostacoli e delle difficoltà che si frappongono al “raggiungimento” del concorrente più accreditato — generalmente il market-leader — l’imprenditore invidioso assume un atteggiamento ed un comportamento ben preciso e riconoscibile che è quello di chi dice: “io non sono lui ma sono come lui”. Il Giurı̀, applicando l’art. 13 del Codice coglie, oltre a molti altri profili, quello più direttamente riconducibile all’invidia. La valorizzazione è il presupposto ineludibile dell’invidia ed al contempo del sentimento della propria inadeguatezza, tanto che si preferisce stabilire una equiparazione che comunque non corrisponde alla realtà. L’invidia del concorrente sleale quasi sempre si riferisce alla notorietà dell’altro ed è perciò che il Giurı̀ richiede che tra lo sfruttato e lo sfruttatore sussista un divario di notorietà, nel senso che il secondo muova da una posizione di notorietà © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 52 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re nulla o marcatamente inferiore rispetto a quella del primo. Le pronunce del Giurı̀ che stigmatizzano il c.d. “agganciamento” sono, anche in fatto, una interessante rassegna di situazioni nelle quali l’aggressività concorrenziale non si manifesta con lo sforzo di eguagliare gli obiettivi raggiunti dal concorrente bensı̀ di appropriarsene ipotizzando un rapporto di equiparazione che è comunque mendace. Poiché l’invidiato è colpevole di evidenziare ciò che l’invidioso non ha, quest’ultimo si ritiene legittimato a colmare il gap non già rimontando il dislivello (che nella dinamica concorrenziale è — come si è detto — normalmente un divario di notorietà) ma negando il dislivello medesimo cosı̀ da porsi sullo stesso piano agli occhi del pubblico e della collettività. 4. Invidia e denigrazione commerciale. G iu Com’è noto l’invidia può provocare uno stato di profonda prostrazione e questa, anche nel campo della competizione economica, si traduce spesso in comportamenti estremamente aggressivi volti a screditare l’oggetto del desiderio insoddisfatto e talvolta persino a deriderlo onde sottrarsi ad un confronto sfavorevole. La casistica della giurisprudenza autodisciplinare in materia di denigrazione, in applicazione dell’art. 14 del Codice, è sterminata. Nel campo della denigrazione commerciale l’invidia assume rilevanza quando l’invidioso è ben consapevole che le supposte manchevolezze in realtà non © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 53 INVIDIA re sussistono perché, in tal caso, il confronto con l’altro non è motivato dalla necessità di proporsi con caratteristiche superiori rispetto a quelle falsamente vantate dal concorrente, bensı̀ di defraudare il concorrente di un merito che Egli invece realmente possiede. Anche sotto questo profilo la casistica è sterminata e spesso la lettura della pronuncia del Giurı̀ suscita più l’interesse dello psicologo che del giurista. to 5. L’invidia è il tallone di Achille del consumatore. G iu ffr èE di Se dovessimo fare una valutazione dell’influenza negativa dell’invidia sulla fenomenologia pubblicitaria, dovremmo certamente concludere che il primato spetta all’invidia come leva utilizzata dagli inserzionisti per “forzare” le determinazioni dei consumatori. Come è stato rilevato nel blog bruttalinvidia, nella pubblicità l’invidia è la più efficace molla emotiva per ottenere l’effetto promozionale. L’esibizione smodata della bellezza, del lusso, del successo altro non è che il mezzo per provocare nel consumatore un irrefrenabile desiderio di beneficiare dei vantaggi reali e/o solo simboliche connessi agli oggetti pubblicizzati. Cosı̀ facendo la pubblicità impone il suo modello di vita che fa leva non solo sul desiderio di possedere e perciò di comprare ma anche sul sentimento angoscioso di subire un giudizio sociale negativo e frustrante. Questa tecnica di promozione non è quella che si manifesta con le comparazioni (“il mio detersivo lava più bianco del tuo”, “la mia macchina è più © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 54 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re veloce della tua” etc. etc.) ma è molto di più quella che impone stili e condizioni di vita che sono — appunto — invidiabili. Nella prospettazione pubblicitaria tutti sono belli, anzi bellissimi, perché usano certi cosmetici; tutti sono sani, anzi sanissimi, perché bevono certe acque minerali; tutti sono felici, anzi felicissimi, purché facciano la colazione con certi biscotti e possibilmente in un bel giardino; etc. etc.. Come ha fatto il Presidente Catricalà facendo l’elogio della superbia fattore di competizione concorrenziale cosı̀ potrei fare io facendo l’elogio dell’invidia come fattore di crescita dei consumi e di espansione produttiva. Può accadere però, ed è accaduto nella stagione del terrorismo, che l’invidia gestita pubblicitariamente come vizio individuale del consumatore si trasformi in invidia sociale delle classi meno abbienti e, poiché l’invidia stimola — come si è detto — l’aggressività, non è certo che si resti in attesa di un riequilibrio. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 5. ACCIDIA di GIOVANNI IUDICA èE 1. L’accidia di Marlowe. di to re SOMMARIO: 1. L’accidia di Marlowe. — 2. L’accidia di Pascal. — 3. L’accidia di Dante. — 4. L’accidia nella pubblicità. — 5. Il mio parere. G iu ffr Christopher Marlowe, in uno dei suoi capolavori, La tragica storia del dottor Faust, descrive l’incontro, orchestrato magistralmente da Belzebù, tra il dannato alchimista e i Sette Peccati Mortali. Il penultimo a essere introdotto è l’Accidia (l’ultimo è la Lussuria). Il Sesto Vizio Capitale si presenta con queste parole: “Sono la Pigrizia. Sono nata su una riva piena di sole e là sono rimasta da allora. Mi avete fatto gran torto a levarmici. Che la Gola e la Lascivia mi riportino là. Non direi una parola di più neppure per riscattare un re”. La Pigrizia, dunque, distesa su una riva assolata, da cui è stata controvoglia allontanata e dove vorrebbe al più presto tornare. È facile immaginarla come una bella donna, dalle lunghe gambe affusolate, distesa su una sabbia rosa, che si abbandona al tepore del sole. Ma anche in questo piacere non si concede del © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 56 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re tutto, essendosi unta dalla testa ai piedi di creme ad alta intensità protettiva dai raggi UVA. Dietro gli occhiali scuri tiene gli occhi socchiusi. Con il vuoto in testa. Senza un desiderio. Senza volontà. Senza un interesse, un progetto, un’aspirazione, una meta. Distesa sulla sabbia dorata senza uno scopo ulteriore e diverso da quello di giacere estenuata per la fatica di aver fatto, da tempo immemorabile, nulla di nulla. Solo alla Gola e alla Lussuria presta ogni tanto, con degnazione, con sufficienza, qualche attenzione. Soltanto a queste sue intime amiche è accordato il piacere di riaccompagnarla sulla riva assolata da cui è stata strappata. Nulla potrebbe distoglierla dal suo deserto spirituale. Neppure lo tzunami di una passione, una fibrillazione del cuore, un terremoto, un urlo di dolore, un grido di aiuto di un poveraccio o di un re. L’Accidia di Marlowe è pigrizia, indolenza, inerzia, apatia, abulia, ignavia. È oblomovite. È quel morbo, quella morbosa condizione umana, magistralmente raccontata da Ivan Aleksandrovic̆ Gonbc̆arov nel suo capolavoro Oblomov: “I tratti del suo volto rivelavano un’assoluta incapacità di determinazione e di concentrazione. Il pensiero volubile trascorreva senza guida sul suo viso, gli svolazzava negli occhi, si arenava tra le labbra semiaperte, si nascondeva tra i solchi della fronte, poi si dileguava di botto, e allora il volto restava rischiarato solo dal vago lucore dell’indolenza. Dalla faccia, l’indolenza si propagava a tutto l’atteggiamento del corpo, addirittura alle pieghe della vestaglia”. L’accidia è declinata come indifferenza verso il prossimo, verso gli altri e dunque come amore © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 57 ACCIDIA smodato di sé: un sentimento che si avvita su se stesso e che conduce a essere prigioniero del proprio io. 2. L’accidia di Pascal. G iu ffr èE di to re “Ho scoperto”, diceva Pascal, “che tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non saper starsene in pace, in una camera”. Secondo il grande matematico, filosofo, umanista francese, l’accidia è favorita non soltanto dall’ozio, ma anche dal suo contrario: il super attivismo. Il nevrotico, insaziabile, ingordo, vorace, smodato attivismo riempie le ore, ma svuota e annichilisce il cervello. Se Pascal fosse vissuto ai giorni nostri avrebbe avuto sott’occhio un vasto campionario di una umanità super attiva, super dinamica, super nevrotica, super impegnata, del tutto incapace di raccogliersi un momento per meditare, anzi atterrita dall’idea di trovare il tempo per pensare, per riflettere, per sognare e, pure, per esprimere con semplicità i propri sentimenti o la propria affettività. Se Pascal avesse incontrato alcuni managers di successo, che occupano, con gigantografia, intere pagine nelle rubriche economiche dei quotidiani o intere copertine dei settimanali, sarebbe rimasto stupito della loro agenda. Sveglia alle 6.30. Un’ora di jogging nel parco, mentre la macchina con l’autista segue a passo d’uomo. Oppure, nella palestra di casa, un’ora con il personal trainer, a sudare con esercizi personalizzati cui segue massaggio tonificante e relax. Ore 7.45 doccia e vestizione. Possibilmente © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 58 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re abito scuro, grigio fumo di Londra, blu gessato, grisaglia. Cravatta regimental o a disegno cachemire. Ore 8.30: prima colazione all’americana, con spremuta di arancia, corn flakes e fettina di pane tostato. Niente burro, niente marmellata. Magari un pò di miele. Due pastiglie di Fish Factor, arricchite da potenti dosi di vitamina E, contro i radicali liberi e contro il colesterolo e i trigliceridi, scandiscono la fine del breakfast. Ore 9: masticando una tavoletta di Supradyn (per accrescere la propria vitalità fisica ivi comprese, diciamo, le proprie virtù teologali) arrivo in ufficio, rapido briefing informativo con la segretaria, esame dell’agenda e primo appuntamento in sala riunioni (al quale si giunge con un certo, opportuno ritardo, per non essere costretto a far la figura di dover attendere l’arrivo di qualche subordinato più lento degli altri) con il direttore generale e i direttori di divisione. Ore 10: meeting con il PDG (presidente e amministratore delegato) della società estera appena acquisita. Ore 11: briefing con il capo del personale. Ore 11.45: dieci minuti di briefing con il capo dell’Ufficio legale. Ore 12 (ma è bene farsi trovare con qualche minuto di anticipo): riunione con il Presidente. Ore 12.30: ritorno in ufficio per telefonate varie, esame della corrispondenza, firma della corrispondenza, dettatura di nuova corrispondenza. Ore 13.15: colazione di lavoro nel ristorante della Società con fornitori o clienti esteri. Conversazione, ovviamente, in inglese. Ore 14.30: di nuovo in ufficio per fronteggiare gli impegni del pomeriggio, molto più numerosi, fitti, assillanti, di quelli del mattino. Senza un minuto di sosta. Senza una pausa. Fatta eccezione per © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 59 ACCIDIA G iu ffr èE di to re una fugace visita ad un Convegno, al solo scopo di farsi notare e di rendere omaggio all’organizzatore. Ore 20: telefonata a casa “Cara, mi spiace, non ce la faccio a tornare per cena! La riunione ha tutta l’aria di finire a notte fonda”. Oppure: “Mi ero dimenticato che ho la cena del Rotary. Scusami!”. “Ma è il compleanno di Tuo figlio!”. Oppure “Ma come? È l’anniversario del nostro matrimonio! Te ne eri dimenticato?”. Quando viene meno un appuntamento, il manager di successo non si chiude in santa pace nel suo studio. Ha paura di restare solo con se stesso. E allora crea, inventa, immagina altri impegni sostitutivi, fasulli, di latta, di cartapesta. Questo dal lunedı̀ al venerdı̀. Poi, finalmente, si giunge ai due giorni del w.e. E qui non c’è posto per nessuno. L’unica cosa che conta è il golf. Due giorni all’aria buona, nel verde, sotto il sole o la pioggia, a inseguire la pallina di buca in buca, a fare nuove conoscenze, a rinsaldare quelle un po’ avvizzite, a creare nuove occasioni d’affari. L’agenda e la giornata di un avvocato di successo (non proprio di tutti, per fortuna) non sono molto diverse. Cambiano le ragioni dei briefing o i contenuti dei meeting, ma il ritmo degli impegni è lo stesso. Dopo venti anni di lavoro, gomito a gomito, giorno dopo giorno, il manager (non proprio tutti, per fortuna) non sa nulla dei suoi dipendenti; li vede algidamente come entità fungibili, con le quali non ha mai neppure tentato di intrecciare un momento di amicizia, o di solidarietà, o di confidenza. Essi sono estranei l’uno all’altro e anche lui per loro è, in fondo, nonostante gli articoli sui giornali o le copertine dei settimanali, un perfetto sconosciuto. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 60 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI èE di to re Se Pascal fosse vissuto ai giorni nostri avrebbe trovato che questa umanità non è felice, perché “non sa starsene in pace, in una camera”, perché ha perduto il gusto dell’equilibrio, il desiderio della serenità. Perché ha paura di stupirsi davanti a qualcosa, ha paura di pensare. Anche qui il grande manager, il grande avvocato, hanno riempito le loro agende di appunti e colmato le loro giornate di eventi, ma hanno fatto il vuoto dentro di sé. Hanno sviluppato una nuova specie di incapacità di vivere, una nuova accezione di infelicità. Anche qui si annida il Peccato Capitale dell’Accidia, declinato come indifferenza verso il prossimo, che genera a sua volta un amore smodato di sé: un sentimento che si avvita su se stesso e che conduce a ignorare gli altri e a essere prigionieri del proprio io. ffr 3. L’accidia di Dante. G iu Immortali, senza dubbio, sono i versi che Dante sputa addosso agli accidiosi nel Canto Terzo dell’Inferno. Virgilio ha un bel dire: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Dante è troppo curioso per passare oltre e per non soffermarsi a guardare inorridito “la lunga tratta di gente”, nuda, avvolta da nugoli di api e mosconi, con il volto deturpato da sangue e lacrime, che insegue correndo una enigmatica insegna. “Questi sciagurati, che mai non furon vivi” sono disprezzati dall’universo intero, dagli uomini, da Dio e persino dal demonio (“A Dio spiacenti ed ai nemici sui”). Questi disgraziati “non hanno speranza di morte/ e la lor cieca vita è tanto © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 61 ACCIDIA G iu ffr èE di to re bassa/ che invidiosi son d’ogni altra sorte”. Persino “Misericordia e Giustizia li sdegna”! Ad essi è precluso il paradiso: non c’è Misericordia divina che possa accogliere nel suo generoso seno questi zombi, che non sono più in vita, ma che non sono neppure pienamente morti. Anche l’inferno li rifiuta, perché si tratta di gente che non è mai stata capace di fare il bene, ma che è stata incapace persino di compiere il male. Delle nullità, insomma. Dei lombrichi. Delle amebe. Persone tristi, “che visser sanza infamia e sanza lodo”. Mischiati a queste “spersone” (avrebbe detto Orwell), ci sono pure “degli angeli che non furon ribelli/ né fur fedeli a Dio, ma per sé foro”. Angeli che non seppero scegliere tra il Bene e il Male e uomini che non furono capaci di prendere partito, né guelfi né ghibellini, né di qua né di là. Ci fu un’epoca in Italia, nei tristi anni settanta, in cui molti intellettuali dalla mente debole, non pochi imbratta giornali, e interi settori di navigatori politici dal basso quoziente morale, dichiaravano senza dignità e con sussiego, in eleganti salotti milanesi di architetti o editori, di non stare né con lo Stato né con le brigate rosse. Oppure, ai giorni nostri, illustri personaggi che non prendono partito per nessuno, per non sporcarsi le mani, offrendosi però al miglior offerente come “tecnici”! Tra questi zombi Dante intravede “l’ombra di colui/ che fece per viltate il gran rifiuto”. Celestino V, rinunciando alla Tiara, aprı̀ le porte del Vaticano a Bonifacio VIII, un papa che ne fece di cotte e di crude e che subı̀, da parte di Filippo il Bello, re di Francia, lo schiaffo di Anagni. Dante odiò Bonifa- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 62 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI di to re cio con tutto il suo livore toscano e per questo lo scaraventò all’Inferno. Ma almeno Bonifacio era degno dell’Inferno, Celestino neppure di quello! Per Dante, dunque, l’accidioso è la persona che non decide. Non prende posizione, o per pigrizia o per viltà o per opportunismo. L’accidia dantesca è declinata come indifferenza verso il prossimo, come je m’enfoutisme nominal per le conseguenze delle proprie scelte nei suoi confronti. Anche in Dante, dunque, l’accidia finisce per essere amore smodato di sé: un sentimento che si avvita su sé stesso e che conduce a ignorare gli altri e a essere prigionieri del proprio io. èE 4. L’accidia nella pubblicità. G iu ffr La “grande tentatrice”, colei che, quotidianamente, ovunque, sui giornali, in televisione, al cinema, nei cartelloni sui muri delle case o lungo i percorsi delle autostrade, invita all’accidia, in tutte le sue declinazioni, è la comunicazione pubblicitaria. Fingiamo di ignorare quella dei nostri giorni. Limitiamoci a guardare al passato. E allora basta ricordare il manifesto di Mataloni, del 1896, che invitava a comprare un giornale, “il Mattino”, per trovare, in un elegante disegno jugendstil, la rappresentazione dell’accidia di Marlowe: una donna nuda, mollemente distesa in riva al mare, con gli occhi socchiusi, la bocca dischiusa, con la mano sensualmente appoggiata a un seno, baciata dal sole. È singolare che l’astro fulgente abbia assunto un volto umano (non è chiaro se di uomo o di © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 63 ACCIDIA G iu ffr èE di to re donna) e che guardi, con desiderio, con passione, la bellezza lasciva di quel corpo abbandonato sulla spiaggia. I messaggi pubblicitari, la réclame, di prodotti che invitano al dinamismo sfrenato, al super attivismo, e dunque all’accezione pascaliana di accidia, non si contano. A partire dai capolavori di Marcello Dudovich dedicati al Cordial Campari o al Bitter Campari. Nello splendido Bacio, del 1920, la carica sessuale di lui su di lei è come una folata morbosa, intensa, irresistibile. Nel Pneu Pirelli, del 1917, firmato Roowy, è rappresentata l’ebbrezza sfrenata, inebriante, ottusa, accidiosa, della assoluta velocità. Ancora un capolavoro di Dudovich è Bugatti, del 1922: un uomo al volante di una due posti scoperta e una femmina eccitata dai capelli fiammeggianti al suo fianco, con le sciarpe al vento, con il vuoto in testa, senza controllo, che vanno all’impazzata. E l’accidia dantesca? Viene in mente il manifesto di Teodoro Wolff Ferrari, del 1912, che ritrae un grande Dante, in toga rossa, col suo tipico, lungo naso toscano, che con decisione, senza tentennamenti, senza accidiose incertezze, indica con sicurezza, perentoriamente, una macchina da scrivere Olivetti. 5. Il mio parere. Se è consentito, come conclusione, esprimere il mio parere, è che questo Vizio Capitale, se preso in dosi moderate, non conduce direttamente all’inferno. Credo anzi che un po’ di pigrizia, un certo © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 64 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re distacco dalle cose o dagli altri, oppure al contrario una buona dose di dinamismo, oppure una certa presa di distanza dal “partito preso”, dalla scelta fanatica priva del senso del dubbio o dell’ironia, facciano bene allo spirito, siano ingredienti che mettono di buon umore. Ma questo vale, del resto, per tutti gli altri sei (anzi tredici, dopo l’ultimo Concilio Vaticano) vizi capitali. Se nella vita non mettiamo un pizzico di Lussuria, un pizzico di Gola, di Iracondia, e perché no, anche di Accidia, perbacco, ma che vita è? È l’eccesso che va punito. Sono la misura smodata, la quantità elefantiaca, l’esagerazione stolta, in un senso o nell’altro, a rendere Capitale il Vizio e che conducono dritto all’inferno. Insomma, se mi trovo a Salina, da Alfredo, e ordino, dopo aver gustato il pane conzato, la sua mitica granita alle mandorle o all’alloro, non perché sono assetato, ma soltanto per il piacere di gustarla in santa pace, guardando il profilo di Panarea e, in lontananza, quello di Stromboli, faccio del bene a me stesso, non c’è dubbio, ma rischio anche di andare all’inferno a braccetto di Belzebù? Io dico di no. Ma se tutti i giorni dell’anno, mezzogiorno e sera, mi abboffo di granite, accompagnandole, magari, a qualche buon cannolo, allora il rischio dell’inferno non è rinviato al domani, ma comincia subito con un diabete galoppante! I Vizi Capitali sono come l’arsenico: se è preso in dosi massicce è un veleno mortale, ma se è assunto a piccole dosi è addirittura un formidabile ricostituente. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 6. IRA re di RAFFAELLA LANZILLO G iu ffr èE di to 1. La pubblicità è componente essenziale dell’agire economico ed, in quanto tale, non si propone di combattere i vizi e le debolezze umane, ma ne tiene conto e se del caso li utilizza, per le sue finalità promozionali. Per l’homo oeconomicus vizi e virtù dei componenti il target a cui si indirizzano i suoi prodotti sono meri dati di fatto. Debbono essere conosciuti e debitamente calcolati, per valutarne l’incidenza sulle opportunità di trarre profitto dall’attività svolta, ma non vanno necessariamente repressi o alimentati, salvo che l’alimentarli od il reprimerli giovi al successo economico. Ed altrettanto si riflette nella pubblicità. Tale caratteristica costituisce contemporaneamente un pregio ed un limite del sistema: un pregio, in quanto appare incompatibile con qualunque tentazione di imporre dall’alto valori e disvalori, sulla base di concezioni e gerarchie del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male, aprioristicamente determinate da coloro che abbiano il potere di parlare e di influenzare gusti, usi e costumi della collettività; un limite in quanto — se abbandonata a se stessa — © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 66 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re condurrebbe a subordinare tutto, ivi inclusi i valori e le libertà della persona, alla logica del profitto, spianando il terreno su cui si alimentano la spiritualità e la cultura all’irrompere delle esigenze della produzione e dei consumi. V’è da dire che spiritualità e cultura non si rassegnano ad essere del tutto accantonate, come risulta dalle varie norme delle leggi e dei codici di autodisciplina delle attività economiche — ed in particolare della pubblicità — che si propongono per l’appunto di regolare il lecito e l’illecito e di porre limiti agli abusi. In questo contesto, il tema dei vizi capitali in relazione alla pubblicità risulta indubbiamente stimolante, poiché impone di confrontarsi con tendenze contraddittorie, che non è sempre facile comporre, come dimostrano il contenzioso ed il dibattito che si sono talvolta instaurati a seguito degli interventi “censòri” del Giurı̀ dell’Autodisciplina Pubblicitaria. G iu 2. Elaborato in epoca anticapitalistica e simbolo di assetti sociali fortemente strutturati intorno ai valori trasmessi dalla tradizione, il sistema dei sette peccati capitali trova un primo embrione in Aristotele (Etica Nicomachea), che li qualifica “abiti del male”, cioè inclinazioni del carattere, alimentate dalla ripetizione di azioni non consone all’etica. È stato formalmente introdotto in epoca cristiana da Gregorio Magno (604 d.C.), che ha qualificato i vizi come altrettante forme di opposizione della volontà e dell’agire dell’uomo alla volontà di Dio, e sistemato nella successione e nella veste oggi conosciuta da Tommaso d’Aquino. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 67 IRA G iu ffr èE di to re Con l’Illuminismo e lo sviluppo dell’economia secondo le nuove concezioni liberali i peccati capitali hanno perso gran parte della loro presa sulle coscienze. Sono trattati nelle opere dei filosofi (Kant) in una nuova lettura, che vi intravede non solo deviazioni morali, quanto inclinazioni del carattere: tendenza sviluppata dai trattati di psichiatria dell’ottocento, che hanno condotto a considerarli come manifestazioni di patologia della psiche, più che questioni attinenti al piano dell’etica. Anche la loro elencazione si ritiene superata dai nuovi vizi che caratterizzano il nostro tempo (1). Oggi pertanto — a differenza che alle loro origini, ove manifestavano sempre un male, quali forme di opposizione della volontà e dell’agire dell’uomo alla volontà di Dio — i c.d. peccati capitali, trovando le loro radici nella personalità, non vengono considerati sempre un male, ma solo in quanto manifestino in termini eccessivi ed esasperati alcune tendenze del carattere, più o meno comuni a tutti gli uomini (la superbia è la manifestazione esasperata e patologica del senso del proprio valore e della propria dignità; l’avarizia è l’eccesso della parsimonia; la lussuria manifesta l’eccesso di abbandono all’istinto sessuale; ecc.). Ciò vale in particolar modo per l’ira, che designa la reazione aggressiva a comportamenti altrui che, a torto o a ragione, si ritengono offensivi, ingiusti o comunque da reprimere: “C’è un tempo (1) U. GALIMBERTI, I vizi capitali e i nuovi vizi, 2a ediz., Feltrinelli, 2008, p. 12-13. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 68 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re necessario per l’ira. Quando pazientare oltre vuol dire arrendersi al male” (2). L’ira viene considerata un vizio, quindi, se non sia giustificata dalla natura della causa che l’ha provocata; quando si esprima con modalità aggressive e smodate e conduca a comportamenti, parole ed azioni particolarmente offensivi e distruttivi. (Viene a proposito la citazione di Aristotele, circa la difficoltà di “…adirarsi con la persona giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa”) (3). Il vizio capitale, cioè, è l’ira, non lo sdegno, ove il confine fra l’una e l’altro passa attraverso i criteri sopra indicati. All’estremo opposto occorre distinguere fra ira e odio, nel senso che la reazione iraconda risponde pur sempre a una pulsione contingente che, cessato l’attacco passionale, normalmente si smorza. Il vero peccato capitale è l’odio, che corrisponde ad una scelta razionale e costante di avversione e di autentico desiderio di nuocere che, si osserva, è tutt’altro che incontrollato e passionale, ma raggiunge i suoi scopi percorrendo le vie della razionalità (4). L’ira diviene peccato capitale solo se e nei limiti in cui conduca, pur episodicamente, a tenere gli stessi comportamenti distruttivi dell’odio. La trasformazione della rabbia in rancore, ed (2) S. NATOLI, Dizionario dei vizi e delle virtù, Feltrinelli, 2008, p. 108. (3) Richiamata da GALIMBERTI, op. cit., p. 17. (4) GALIMBERTI, op. cit., p. 17, che anche a tal proposito richiama una distinzione di Aristotele. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 69 IRA re anche in odio, risulta tanto più probabile quanto più l’iracondo si senta impotente a reagire con altri e leciti mezzi. Quindi manifesta spesso la reazione del debole. Per altro verso è tanto più facile e frequente abbandonarsi all’ira quanto più è debole la persona o la situazione nei confronti dei quali la reazione si indirizza. (Il che porta a condividere l’opinione di Seneca, secondo cui la collera è la più frenetica e odiosa delle emozioni). G iu ffr èE di to 3. Mentre la nostra cultura, di matrice ebraico cristiana, tende a censurare l’ira prevalentemente come eccesso nella reazione e la ritiene giusta, se sollecitata dall’opposizione al male e all’ingiustizia — il Dio della Bibbia si manifesta più volte come un Dio iracondo, nei confronti della disobbedienza del suo popolo, ed anche Gesù nel Tempio ha avuto le sue manifestazioni di sdegno — la cultura orientale, in particolare quella buddista, tende a considerarla sempre negativa, a prescindere dalle sue cause. Il Dalai Lama la include fra le emozioni distruttive poiché compromette la capacità di giudizio e distorce la percezione della realtà, neutralizzando la parte migliore del cervello, che comprende la facoltà di scegliere fra il bene e il male e di valutare le conseguenze delle proprie azioni. Rileva in particolare che essa impedisce di cogliere il vero modo di essere e le vere qualità della persona a cui si indirizza, ponendo ostacolo all’esplicarsi dell’altruismo e della compassione, a cui si debbono sempre ispirare i rapporti umani. Anche quando sia motivata dal desiderio di giustizia, la reazione iraconda è considerata cieca, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 70 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re sterile e inefficiente (5). Per di più nuoce gravemente alla salute, ed in particolare al sistema cardiovascolare, di chi vi si abbandoni (6). Sulla stessa linea si osserva che i giudizi negativi sugli altri — che normalmente stanno alla base dell’attacco d’ira — sono determinati dal fatto di considerare il bene e il male come caratteristiche del tutto esterne a sè. Al contrario, i tratti che meglio vediamo negli altri sono quelli che con più forza sono presenti in noi stessi, pur se inconsapevoli o denegati, in quanto la concezione che abbiamo degli altri è in realtà lo specchio della nostra personalità (7). La reazione iraconda — che è sempre motivata da presunti torti altrui — nasce in realtà dalla percezione passionale ed emotiva (quindi irrazionale) di un conflitto fra sé e l’altro, fra il proprio modo di essere e di sentire e quelli, diversi ed opposti, con cui la vita porta a confrontarsi, ed ha sempre effetti negativi. Si afferma che i sentimenti d’ira portano ad emettere vibrazioni di energia fortemente ostili, che gli altri captano, venendone a loro volta alterati. Sotto ogni profilo, quindi, sono di ostacolo alla (5) DALAI LAMA - H.C. CUTLER, L’arte della felicità, Oscar Mondadori, 2000, p. 103 ss., 213 ss.; DALAI LAMA - D. GOLEMAN, Emozioni distruttive, Oscar Mondatori, 2003, ove pure si pone il problema di distinguere l’ira dall’indignazione, oltre che dall’odio (p. 134 ss., 243 ss.). (6) Il tema è particolarmente sviluppato, fra gli altri, da D. CHOPRA, La mia via al benessere, Milano, Sperling & Kupfer, 1997, cap. 12-15. (7) D. CHOPRA, Le coincidenze, Sperling & Kupfer, 2008, p. 151 ss. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 71 IRA corretta reazione, anche contro ingiustizie e sopraffazioni (8). G iu ffr èE di to re 4. Ma l’ira ha qualcosa a che fare con la pubblicità? Sebbene non si possa dire che i messaggi pubblicitari si astengano sempre dall’indurre nella tentazione di dare libero corso ad alcuni vizi capitali (in particolare alla gola, alla lussuria, alla brama di possedere, con annesse avarizia ed invidia) per rendere appetibili i beni reclamizzati, non sembra che le si possa imputare di indurre all’ira. L’induzione, se mai, può essere indiretta e surrettizia, ove trasmettano scene di violenza e sopraffazione, portando cosı̀ ad attenuare la vigilanza sulle proprie reazioni, quasi che i suddetti comportamenti costituissero risposte normali e lecite alle vere o supposte aggressioni altrui. Ma è raro che ciò avvenga tramite la pubblicità (al contrario di film e telefilm); anche perché il controllo autodisciplinare e giurisprudenziale è molto attento a reprimere ogni sconfinamento in questo senso. La più insidiosa istigazione all’ira può derivare, piuttosto, dall’insofferenza alla pubblicità ed in particolare ai suoi eccessi ed agli eventuali illeciti. Coloro che rifiutano il sistema di valori di cui la pubblicità costituisce espressione; coloro che ne considerano eccessivamente invasiva la presenza o che vedano decantati pregi di cui abbiano constatato la non veridicità; gli imprenditori che vedano (8) DALAI LAMA, L’arte della felicità, cit., p. 236. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 72 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re pedissequamente copiate e banalizzate dai concorrenti le proprie idee creative, con conseguente loro depotenziamento; gli autori le cui opere vengano alterate da interruzioni pubblicitarie eccessive e intempestive; gli spettatori che vedano inesorabilmente interrotto il godimento di uno spettacolo, di un intelligente intervento o di un’appassionante dibattito, dall’irruzione degli spots, magari con la ripetizione ossessiva e martellante dello stesso messaggio, con le stesse immagini, musica e parole, possono anche essere preda di qualche accesso d’ira. Debbo confessare che la prima volta che mi è capitato di subire un interruzione pubblicitaria sul più bello di un film (quando ancora non ci si era abituati) ho provato l’impulso di sfasciare lo schermo televisivo. So che altri hanno avuto la stessa reazione, tipicamente iraconda, poiché l’intrusione inaspettata nel rapporto fatto di idee, sentimenti, parole, che, attraverso l’opera, si crea fra l’autore e lo spettatore; il fatto di venire còlti di sorpresa, agganciati all’esca dello spettacolo, in un momento di abbandono, di emozione o di divertimento, può venire vissuto come una forma di sopraffazione. Ripeto, sono gli eventuali abusi pubblicitari a rischiar di suscitare ira e insofferenza. Le imprese e gli operatori economici hanno la possibilità di scaricare la reazione, difendendo i propri diritti in sede giudiziaria ed autodisciplinare, ben più del singolo spettatore “abusato” nella sua pazienza, nel quale invece la sensazione di impotenza tende ad accentuare e ad incrementare l’ira. Sono reazioni accettabili, perché motivate da © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 73 IRA G iu ffr èE di to re giusta causa, o sono da considerare comunque censurabili, secondo i principi del pensiero orientale? V’è da dire che l’eventuale impassibilità manifesterebbe anche totale disinteresse per la comunicazione, tradendo sotto altro aspetto le aspettative degli inserzionisti e dei media, il cui peggior nemico non è l’ostilità, ma l’indifferenza e la non reattività ai messaggi pubblicitari (cosa che, fra l’altro, si sta in certa misura verificando). Dal punto di vista dell’inserzionista, cioè, meglio l’ira che niente. Sotto questo aspetto, l’impassibilità suggerita dall’insegnamento orientale costituirebbe effettivamente reazione più efficace alle comunicazioni illecite od eccessivamente invasive che non clamorose ribellioni. Ma è vero anche il secondo aspetto, secondo cui la critica dell’operato altrui riflette gli stessi propri atteggiamenti e modi di essere. In primo luogo nel senso che si dimenticano i costi altrui del nostro divertimento. Si rimprovera ad inserzionisti e media di abusare della pubblicità a fini di profitto, ma contemporaneamente si mostra di voler ricevere tutto gratuitamente. Quindi la ribellione contro l’altrui vantaggio in nostro danno riflette in certa misura, e fa dimenticare, un analogo atteggiamento nostro. Ma soprattutto si dimentica che l’interesse di tanti a comunicare — pur con il linguaggio e nelle forme che non ci sono congeniali — ha e deve avere anch’esso diritto di espressione e di ascolto, e che non è giusto rifiutare per principio il contatto ed il dialogo. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 74 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re L’ira e la ribellione contro quel linguaggio, in cui si intravede una forma di massimalismo economicistico, manifestano a loro volta una sorta di massimalismo culturale, in virtù del quale i propri modi di essere e di sentire sono considerati gli unici degni di esprimersi. La forte affermazione, nella nostra cultura, dell’individualismo, quale somma espressione della libertà di essere e di pensare “secondo se stessi”, porta come conseguenza che ogni persona ed ogni “famiglia spirituale” è portata ad assolutizzare il suo mondo di valori, per cui il massimo di liberalità — che il sistema vorrebbe cosı̀ esprimere — rischia di degradare nel massimo di intolleranza personale. Si tratta allora di trovare anche nella pubblicità e tramite essa, un punto di incontro. Da una parte evitando che i messaggi si impongano all’utente in termini eccessivamente invasivi e costrittivi; accentuando nella comunicazione pubblicitaria la qualità del linguaggio e l’aspetto dell’informazione, più che sensazionalismi ed emozioni artificiose, tra il bombardamento delle parole. Ho spesso notato che, togliendo il sonoro, capita di apprezzare meglio le immagini, la fotografia, le idee creative, la regia, ecc., che possono essere molto belle. Ma le parole sono indispensabili per conoscere novità e pregi dei prodotti pubblicizzati. E allora perché non renderle più autentiche e credibili? Oggi che si è sommersi e quasi anestetizzati dalla pubblicità, una maggiore attenzione alla razionalità e alla sensibilità dello spettatore sarebbero a mio avviso più efficaci che non l’andare in cerca del © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 75 IRA G iu ffr èE di to re nuovo shock, visivo od espressivo, per imprimere il prodotto nel ricordo del (volente o nolente) destinatario. Dalla parte degli utenti più restii occorre invece una maggiore disponibilità all’ascolto, anche della pubblicità: l’accettazione ed il riconoscimento dei suoi pregi, con maggiore attenzione e senso critico. Sia la supina accettazione, rendendosi mentalmente tabula rasa, su cui ognuno può scrivere e cancellare quel che vuole; sia il totale e aprioristico rifiuto, manifestano in realtà la sottovalutazione della comunicazione pubblicitaria e delle sue grandi potenzialità, se bene usata, anche come strumento di crescita civile e culturale. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 7. AVARIZIA di PAOLO CENDON G iu ffr èE di to re SOMMARIO: 1.1. Pubblicità di cosa. — 1.2. Avarizia in senso lato. — 1.3. Soggetti deboli. — 1.4. Come dissuadere. — 2.1. Nervi scoperti. — 2.2. Differenztheorie. — 2.3. Tre motivi. — 2.4. Altre convenienze. — 2.5. Economia, lavoro, mondanità. — 2.6. Parlamentari a rischio. — 2.7. Amministrazione di sostegno. — 2.8. Bioetica, danno esistenziale. — 2.9. Senilità, inaridimenti. — 3.1. Fiction. — 3.2. Comicità. — 3.3. Niente da ridere. — 3.4. L’avaro in letteratura. — 4.1. La versione love. — 4.2. Incontrarsi di nuovo. — 4.3. Scelta dei particolari. — 4.4. Comportamenti da avaro. — 4.5. Generosità. — 4.6. No agli sperperi. — 4.7. Fascino del male. — 4.8. Doppiezza. — 4.9. Psicanalisi. — 4.10. Frustrazioni affettive. — 4.11. Il bandolo. — 4.12. Redenzione. — 5.1. Colpi di scena. — 5.2. Altalene, folgorazioni. — 5.3. Il play boy, il sosia, il commediante. — 5.4. La fiaba, l’infiltrato, il giovinetto, il saltimbanco. — 5.5. Il sopravvissuto, il morto, il sociologo. — 6.1. Motivi assistenziali. — 6.2. Pholie à quatre. — 6.3. Un film famoso. — 6.4. Versione all’italiana. — 6.5. Il parsimonioso no-global. — 6.6. La bella disillusa. — 6.7. Una via di mezzo. — 6.8. Bambini a rovescio. 1.1. Pubblicità di cosa. Tema generale: la neo-pubblicità commerciale (sullo sfondo dei sette peccati capitali). Peccato specifico assegnatomi: l’avarizia, nelle sue forme vecchie e nuove. “Ci interesserebbe — è stata la precisazione — il campionario che ha indagato studiando le sue © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 78 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI èE di to re cose, professore. Handicap, disagio, violenze, nuovi diritti, famiglia, servizi sociali, dolo, incidenti, follia. La pubblicità cui gli avari del comparto potrebbero esser sensibili”. Mi è sembrato uno strano discorso. “Pubblicità all’avarizia? — ho chiesto. — Incitare chi è già tirato o parsimonioso di suo ad esserlo ancor più?”. Mi venivano in mente i salvadanai per bambini, i maialini di ceramica. Non è a cose del genere che pensavano i miei editor; e neanche alla réclame di banche o casseforti domestiche. Il contrario semmai: le gioie del consumo, convincere l’avaro a esserlo di meno, ad aprire il portafoglio. 1.2. Avarizia in senso lato. G iu ffr La questione vera — pregiudiziale — mi è parsa un’altra comunque. Di gente oculata o tignosa, nei miei studi sulla fragilità, ne ho in effetti incontrata; non so quanto si trattasse di “avarizia doc” però. Direi che era ogni volta qualcosa a metà fra l’ingenerosità e la smodata oculatezza. Manie spinte all’eccesso, con punte di autoreferenzialità magari, di opportunismo a 360o. Mi hanno subito stoppato i miei editor: “Avarizia in senso lato, professore, senza purismi o accademismi di sorta”. Come meglio credevo: “Chi è poco altruista, chi passa il tempo a pensare a se stesso, alle sue cose. Va bene tutto in questa chiave”. È allora che ho accettato. L’argomento, per me nuovo, mi intriga sotto più di un verso; e quella © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 79 AVARIZIA precisazione ritengo sia corretta: l’avarizia è un peccato vago, più generico degli altri. La gola si vede subito, spesso basta la bilancia: la lussuria gira sempre intorno a “quello”; anche l’ira è monocorde. L’avaro invece ... ci sono tanti modi di esserlo — come tanti sono i modi per essere buoni! re 1.3. Soggetti deboli. G iu ffr èE di to Non parlerò di mercanti di Venezia dunque; né di personaggi alla Balzac, alla von Stroheim. I miei esempi li ho trovati ai bordi dei manicomi, dei tribunali. Nessuno che passasse il tempo a nascondere soldi nelle cappelliere, nei materassi, che scavasse buche notturne in giardino o si vestisse male per sembrare in miseria. Quelle di cui sentirete — restando entro il comparto “debolologico”: egoismi fra i devianti, le vittime, i politici, i mobbizzati, i consumatori, gli psichiatri, i giudici, i bambini, gli assicuratori, i poveri, gli animali selvatici, i giuristi, i morenti — sono figure d’altro genere. Peggiori o migliori sarà ciascuno a giudicare. 1.4. Come dissuadere. Di cosa non mi occuperò. Ai miei editor interessano le tecniche per vendere (vale anche per i peccati capitali). Scrivendo dovrei quindi precisare, man mano: “Quell’avaro potreste tentare di infinocchiarlo cosı̀, quell’altro in © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 80 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI èE di to re una maniera diversa — con lo spauracchio del colesterolo, con gli sconti, con fondali esotici, etc.”. Ebbene, è una cosa che non posso fare. Il mio mestiere è un altro; e neanche dirò volta per volta se questo o quel tipo di réclame sarebbe illecito, secondo i codici di settore. Un’altra cosa farò invece: domandarmi come raggiungere l’obiettivo del “far aprire dei cordoni della borsa” (in senso reale o metaforico) trattando con il duro di turno: con che argomenti farlo desistere, con quali blandizie — volta per volta. È questo il nodo cruciale, no? Ad altri vedere poi se indicazioni del genere siano utili, in chiave pubblicitaria, per che tipo di réclame o se urtino o meno qualche protocollo. ffr 2.1. Nervi scoperti. G iu Nessun dubbio, per quanto concerne gli avari dotati di potere istituzionale (e avvezzi a usarne tignosamente), circa la necessità di individuare quale sia, al di là delle ostentazioni diplomatiche, il “nervo scoperto” del personaggio che si ha di fronte — in quello specifico contesto. Il tratto in grado di fargli cambiare indirizzo. Affrontare di petto esseri del genere — far leva sui sensi di colpa che li tormenterebbero, più o meno segretamente? Niente di più sbagliato. Esaltare i doveri dell’altruismo, l’attitudine di una svolta generosa a migliorare lo status dei bambini, dei lavoratori, dei mammiferi? Sconfitta certa e immediata. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 81 AVARIZIA G iu ffr èE di to re Chi è poco attento ai bisogni del suo prossimo (un legislatore sordo, mettiamo, alle istanze dei soggetti svantaggiati, un magistrato che si ostina a mal interpretare le richieste delle vittime; un gestore del pubblico denaro che riserva quanto può alla sua lobby di partito, un professore che ha depurato il proprio insegnamento di ogni alito non strettamente burocratico/formale) quegli appelli li conosce a memoria. Sulla carta. Nella prassi quotidiana li ignora o li deride. Le sue scelte di vita le ha già fatte, optando per modelli che permettono (poniamo) di guadagnare più denaro, di faticare di meno, di assicurargli consensi presso qualche potentato, di copiare più in fretta, di metterlo in luce presso i superiori. Un tempo era diverso — qualcosa dal di fuori, o dal di dentro, l’ha ad un certo punto trasformato: spingendolo verso altre direzioni. E in quelle vesti si è trovato a proprio agio. Bontà, ascolto, mitezza, solidarietà (i riferimenti che un tempo contavano) sono diventati termini buoni per discorsi da parata. Non sembra intenzionato a tornare indietro. Difficilmente una minaccia è in grado di intimidirlo. Appannamenti di immagine all’esterno? Sono noie che conosce, ha in cambio i suoi ritorni, sa come togliersi d’impaccio. Sanzioni in sede europea, comunitaria? Inconvenienti facili da scaricare, una sorta di ombrello lo protegge. Pericoli di dover risarcire il danno (morale o esistenziale) causato con la sua durezza? Trascurabili, ogniqualvolta sia lui stesso — come i maiali di Orwell — a dettare le regole del settore. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 82 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI 2.2. Differenztheorie. G iu ffr èE di to re Trovare il lato debole, dunque. Non è detto esista sempre un punto simile — beninteso — o può esistere e risultare meno significativo di quanto non si vorrebbe. Sul metodo da seguire, all’insegna della Differenztheorie, possono esservi comunque pochi dubbi, vale a dire: — una bilancia tarata, in partenza, sulle aspettative profonde di quel personaggio (quali si lasciano intuire o riscontrare: speranze inconfessate, passaggi idiosincratici, esigenze probabili); — un confronto tra l’assetto che ha guidato sin lı̀ il nostro avaro e l’equilibrio cui porterebbe, sub specie di ricadute e di vantaggi (misurati secondo i neo-parametri), la rinuncia alle vecchie abitudini. Può darsi che alcuni aspetti l’interessato, pur cosı̀ accorto, non li abbia considerati abbastanza. O è possibile che, avendoli pur riconosciuti, ne abbia rinviato la coltivazione. O il tempo potrebbe aver reso attuali bisogni un tempo inesistenti, e viceversa. Occorrerà che alle emergenze intraviste (ai vuoti sparsi nella sua agenda) siano congeniali le misure che l’aggiustamento proposto introdurrebbe. Un vestito da tagliare su misura — bisogna saper cercare attentamente. 2.3. Tre motivi. Va detto allora come le ragioni per cambiare, presso il nostro interlocutore, siano spesso variegate © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 83 AVARIZIA G iu ffr èE di to re — e come fra esse ve ne sia una che prevale, d’abitudine (decisiva magari, sapendo affondare bene il colpo). Sotto il profilo classificatorio, tre appaiono le partite da giocare. (I) V’è anzitutto il motivo che potremmo chiamare del tornaconto statutario. L’ordine invalso fino a ieri comporta alcuni benefici (finanziari, logistici, istituzionali, araldici), ma il sistema anti-avarizia ne annuncia altri, in prospettiva, sul piano dei diritti soggettivi della persona, la cui importanza non era stata adeguatamente valutata. Opportunità per la collettività nel suo insieme — disponibili tuttavia, al momento giusto, anche per il diretto interessato. Non val la pena pensarci? (II) C’è poi il richiamo a convenienze di tipo demagogico-elettorale. L’ancien régime farà pure risparmiare energie, riempirà le tasche di quattrini, ma appare fiacco o deficitario (ecco l’appunto) sotto il profilo dei consensi che assicura — in termini di qualità e/o di quantità — a quell’aggregazione di potere. Il neo-equilibrio prometterebbe nuovi voti, vanta i necessari beneplaciti, non spaventa i vecchi elettori, attira fasce inedite di pubblico, spalanca carriere meno grigie. La conclusione non si impone da sola? (III) C’è infine il motivo che chiameremo d’ordine terapeutico-ricompositivo. Gli equilibri dell’oggi — ecco il quesito — i menù della cena di lavoro, le cose da fare all’indomani, gli obiettivi segnati in calendario: è questo © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 84 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI èE 2.4. Altre convenienze. di to re l’o.d.g. che il nostro “avaro” immaginava realmente, per se stesso, collima coi sogni dell’infanzia? Il dubbio è che una serie di fermenti sia stata esclusa dal governo, a un certo punto, o non vi sia mai davvero penetrata. Col risultato di un lento incanaglirsi, di un linguaggio ogni giorno meno vivo — adatto forse a nodi contingenti, algido però rispetto a linfe che il nostro percepisce come sue. Al mondo però si può cambiare — tornando al come e al perché delle chiusure, dei lieviti espressivi andati in fumo. Qualche segno non indica che il nostro sarebbe il primo, dentro di sé, a desiderarlo? G iu ffr Altre forme di convenienza appaiono, va detto, meno appetibili o risolutive. Altre ancora rappresentano meri sottotipi delle precedenti, o corrispondono a passaggi gestionali che il nostro aveva messo in conto, inizialmente — ponendoli (secondo distribuzioni che vorremmo ora fargli ritoccare) alla base della sua filosofia. In certi casi potrebbe aggravarsi — meglio vigilare — il rischio di assemblaggi conclusivi intonantisi non già a minori, bensı̀ a maggiori, o diverse e peggiori, forme di aridità o spilorceria. 2.5. Economia, lavoro, mondanità. Cosı̀, ad es. per quanto concerne i motivi di ordine economico. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 85 AVARIZIA G iu ffr èE di to re Ha adottato quello stile, il nostro avaro, perché confida di guadagnare cosı̀ più che altrimenti? Pagando in nero gli stipendi agli operai, versando all’erario meno imposte, imbucando i contributi assistenziali, fruendo di più benefit collaterali? Occorrerà pensare allora a vie d’uscita che (intonate a criteri di maggior fratellanza, con tassi inferiori di spilorceria) siano tali da non nuocere ai suoi conti, da tradursi in ricavi non minori. Con tensioni sindacali ridotte, ove possibile, migliori offerte dalle banche, nessun fondo occulto nei bilanci, pericoli più blandi di ispezioni — emolumenti alla luce del sole, soddisfazioni per chi opera al suo fianco, notti meno insonni e tormentate. Stesso discorso per i motivi dell’impegno di lavoro. Il nostro punta soprattutto a risparmiarsi, intende stare in pace il più possibile? Con le mani conserte tutto il tempo, senza troppi sudori sulla fronte? La mossa giusta sarà allora architettare — a fronte di spiritualità sempre modeste, in vista di un look meno degradato — una o più contro-tabelle alternative; in cui la stringatezza mostrerebbe di calare di alcuni punti (quel tanto che potrà bastare), in cui il totale del carico professionale non aumenterebbe: in cui gli utenti-cittadini si vedrebbero ignorati/maltrattati un po’ meno (soltanto nei giorni dispari, di pomeriggio, quando piove), non più guardati come sudditi importuni. Cosı̀ ancora per le opportunità del tempo libero. Il nostro brama ricadute mondane, vantaggi a livello turistico, ambientale, televisivo, piaceri di tipo © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 86 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI èE di to re artistico, erotico, sportivo, collezionistico — è questo che insegue tutto il tempo? Bisognerà ideare allora contro-schemi che (in cambio di un po’ più di leggerezza) assecondino l’interessato in ciò che sogna: inviti a cena in ristoranti esclusivi, buoni ritorni di popolarità, accesso a salotti raffinati, promozioni per la moglie o per i figli, migliorie per il bosco di proprietà; o magari lauree honoris causa, accettazioni in società segrete, comparsate in qualche film d’autore, indulgenze plenarie, disdoro per compagni di strada spregevoli, vernici in capitali prestigiose: oppure vacanze in alberghi di sogno, prime file alle sfilate delle griffe, assunzioni per l’amante di turno, udienze semestrali in Vaticano, coinvolgimento in arbitrati prestigiosi, vittorie ai tornei di golf, e cosı̀ via. ffr 2.6. Parlamentari a rischio. G iu Cosı̀ quando si abbia a che fare, ulteriormente, (a) con qualcuno in grado di influire sul cammino di un provvedimento legislativo, e (b) vi sia una posta in gioco legata ai diritti fondamentali della persona. Ad esempio nel rilancio dei progetti, come quelli giacenti al parlamento italiano, che mirano ad eliminare dal c.c. gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. Il consiglio sarà qui: (i) di evidenziare, a livello epidemiologico, le statistiche circa la varietà/frequenza dei malanni — dall’Alzheimer agli handicap sensoriali, dalle demenze alle sindromi ossessive, dalle depressioni al- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 87 AVARIZIA G iu ffr èE di to re l’arteriosclerosi, dal Parkinson alla perdita di forze, dalle sclerosi alle difficoltà ambulatoriali — che attendono al varco (dell’età e della sfortuna, sul terreno corporeo o mentale, come qualsiasi essere vivente) tanti fra i soggetti deputati alla discussione/ approvazione di una legge; (ii) di illustrare, sul piano della cronaca, le diffusioni, le curve di devianza, le altalene geografiche, le soglie di rischio, circa la propensione di non pochi fra i giudici italiani, malgrado i chiari avvertimenti della Cassazione, a interdire tutt’oggi, a distanza di qualche anno dall’entrata in vigore della l. 6/2004, cittadini affetti da difficoltà o menomazioni personali — non proprio irrisorie (ma neppure annichilenti); (iii) di ricordare, sul terreno disciplinare, la pesantezza delle restrizioni incombenti sull’ex potente il quale — non avendo provveduto, a suo tempo, ad abrogare gli istituti in esame; colpito più tardi da qualche strale psicofisico, non più in grado di cavarsela da solo, bisognoso di una mano dagli altri, senza agganci con i giudici locali — si trovi lui stesso attorcigliato in quelle spire (non poter più gestire le proprie imprese, allora, veder bloccata ogni possibilità di matrimonio, subire marchi d’infamia all’anagrafe, scoprirsi ostracizzato in famiglia, niente più riconoscimenti dei figli, niente adozioni, niente testamento o donazioni, etc.). 2.7. Amministrazione di sostegno. Cosı̀ ancora sul terreno dell’amministrazione di sostegno — per quanto concerne, in particolare, i © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 88 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re nodi della (necessità della) difesa tecnica e i profili delle gestioni “incapacitanti”. La strategia sarà qui di lumeggiare — di nuovo, presso giudici avvertiti come la salute mentale non sia eterna per nessuno (e consci che ogni appoggio a prassi morbide aumenta la probabilità di goderne, un giorno, i benefici) — l’opportunità di un modello applicativo che: (i) potrà costringere qualche addetto ai lavori, di fronte a un “cliente” poco facile, a faticare occasionalmente un po’ di più (senza avvocato il carico istruttorio può appesantirsi, talvolta, per il g.t. o per il cancelliere; qualora a monte non vi sia un pacchetto rigido, uniforme, bisognerà essere pignoli nei decreti); (ii) ha però il merito di scongiurare a priori le umiliazioni di un patrocinio coatto, neppur propizio o davvero indispensabile — permettendo all’assistito di uscirsene di casa o dall’ospizio, il primo giorno di sole, senza accompagnatori di scorta, per sbrigare lui stesso quanto occorre. 2.8. Bioetica, danno esistenziale. Cosı̀ anche nei rapporti col dolore, specie quello delle fasi terminali. Se proprio a un “fondamentalista” (lo stesso che non crede troppo a Oviedo, che non ama discorrere di autodeterminazione, che non guarda alla qualità della vita, che non crede al ruolo delle circostanze, che osteggia il diritto dal basso) accadesse: — di vedersi centellinata la morfina o altri op- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 89 AVARIZIA G iu ffr èE di to re piacei (una brutta sera) per timore di una caduta nella tossicodipendenza, o perché ciò accorcerebbe un po’ la vita; — di scoprirsi abbandonato a se stesso, là dove le terapie contro la sofferenza ben poco possono (e il solo modo, per smettere di patire, sarebbe poter fare il grande salto); — di non potersi sottrarre al tunnel di una terminal sedation ineluttabile, senza ritorni o prospettive; — di accorgersi, in un momento di lucidità, come il proprio fiduciario non venga neppur interpellato dai sanitari; — di sapere che nessun gradino del calvario sarà risparmiato, a chi pur non lo vorrebbe? Cosı̀ ancora, per quanto concerne le questioni del danno non patrimoniale, specie il d. esistenziale e morale. Se proprio a un giudice “tetragono” (cavaliere templare contro i barbari) capitasse: — di vedere il proprio cane, un brutto giorno, messo sotto da una macchina distratta; di essere preso in giro da un tour operator disinvolto; di viaggiare per mesi su treni freddi, con le cimici, senza toilette? — di restare bloccato con l’automobile per colpa di una buca scavata dal vicino; di aspettare dodici ore all’aeroporto senza informazioni di sorta; di vedersi maltrattato sgarbatamente da chi ha organizzato il banchetto nuziale? — di scoprire che la p.a. ha tagliato gli insegnamenti di sostegno a qualcuno di famiglia; di essere perseguitato neghittosamente dall’ufficio delle imposte; di dover seppellire la propria madre in una © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 90 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI bara piena di quei fronzoli che, da viva, essa detestava? 2.9. Senilità, inaridimenti. G iu ffr èE di to re Cosı̀ infine sul terreno delle durezze professorali — per quanto attiene ai fantasmi più lontani, ai bersagli di sapore “terapeutico”. (I) Il civilista classico — Lo studioso ancora fermo alle pandette, in primo luogo: devoto al suo sistema labirintico, prigioniero di formule e concetti. Ossessionato dai dettami della logica, indifferente ai moniti della statistica, ai costi economici delle soluzioni, alla vita quotidiana degli istituti. Se fosse il caso di riandare — ecco il quesito — agli episodi da cui tutto è cominciato (le rivalità inattese in dipartimento, il farsi strada di nuove timidezze, gli ordini a tornare sempre presto)? Riconoscendo in lui il maggiore interessato a tornare sui bandoli sospesi, a ordinarli in frontali meno rigidi: attenti al suono del diritto comparato, al confronto con le discipline “psi”, alle istanze dei gruppi di soccorso? (II) Il teorico delle scienze — L’epistemologo raffinato, in secondo luogo: lo scienziato che analizza le cerniere, abituato a profili solo macro. Indifferente ai riscontri quotidiani, disattento a tutto ciò che è dentro l’uomo, pressoché ignaro della legislazione speciale, dei tranelli sul piano del processo. Non sarà tempo di tornare, nuovamente, agli episodi che l’hanno influenzato (austerità di certi © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 91 AVARIZIA G iu ffr èE di to re incontri di famiglia, domeniche dai preti in oratorio, imposizione di vestiti un po’ ridicoli)? Ammettendo come sia lui il più disponibile, in effetti, a riprendere gli antichi testimoni: riscontro per gli scambi giornalieri, attenzione ai cespugli del cuore, interesse a controllare in che maniera sono vissute le indicazioni di principio? (III) Il tecnico del mondo degli affari — Il giurista immerso nei problemi del mercato, in terzo luogo: quello deciso a non uscire mai dal quinto libro, esperto in problemi di bilancio, campione del diritto societario. Lontano dai battiti della Costituzione, dai misteri del danno non patrimoniale, dalle stanze del malessere ordinario, da insofferenze di tipo ambientale. Se il punto fosse, anche qui, di riallacciarsi alle vicende da cui tutto ha preso avvio (certe aure casalinghe troppo austere: la proibizione di buttare via gli spaghi, il riutilizzo delle buste rovesciate, il confronto coi coetanei più liberi)? Riconoscendo che è lui quello che più invoca, non da oggi, i giocattoli domestici di un tempo (Rosebud), in vista di un lessico più ricco: sensibile alle contraddizioni tra i formanti, al bisogno di pienezza negli uomini, attento a ciò che al mondo appare liquido, aperto a ogni registro leonardesco? 3.1. Fiction. Tutt’altre le questioni da affrontare nel momento in cui dal piano della “realtà” si passi, tematicamente, al mondo della “finzione”. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 92 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re Non più dissuasioni politico-sociali in vista, questa volta, nessun malvagio da convertire al bene o alla ragione; l’avarizia come elemento al centro, piuttosto, di un contesto di tipo narrativo, immaginifico. Un plot adatto alla pubblicità commerciale (volendo), capace di incantare le grandi masse, spendibile da chi l’avrà realizzato: (a) o come oggetto eminentemente letterario — libro, commedia, serial, dramma, film, soap opera, tv movie, servizio fotografico, fumetto, ballata, madrigale, racconto, poesia, romanzo in versi, poema cavalleresco, opera lirica — utile magari a qualche sponsor (che potrebbe volerlo patrocinare); (b) oppure quale prodotto — spot, volantino, e-mail, video, manifesto per muri, autoadesivo, telefonata promozionale, pieghevole in busta postale, clip radiofonico, sondaggio per strada — di taglio geneticamente/intrinsecamente reclamistico (ed è quanto più interessa ai miei editor). G iu 3.2. Comicità Che sfruttando il tema dell’avarizia sia possibile costruire buoni intrecci, per fruitori grandi e piccoli, non è certo una novità. Resta da vedere quale sarà il taglio preferibile ai nostri scopi. Allorché si toccano argomenti del genere, il pensiero corre abitualmente ad autori e soggetti di tipo comico: Plauto, Arpagone, Goldoni, Paperon de’ Paperoni, gli Charlot d’epoca, le storielle sugli ebrei, sugli irlandesi, sugli istriani, di cui ogni edicola delle stazioni abbonda. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 93 AVARIZIA di to re Non è del tutto sbagliato. E non è un caso che i persuasori occulti, di ogni dove, abbiano spesso sfruttato filoni simili, con finali rocamboleschi tra i più vari. Il “taccagno” che, non avendo voluto investire al momento giusto, si trova scambiato — poi — per un ladro, senza benzina, impantanato, coi pantaloni che gli cascano; oppure inseguito da una capra, ridotto a mangiare radici, lavapiatti in un ristorante: magari costretto a ballare il lago dei cigni, a fare il bagnino senza saper nuotare, penzolante nel vuoto da un grattacielo, etc. èE 3.3. Niente da ridere. G iu ffr Sono le versioni seriose/melodrammatiche però — se ciò che si ha di mira è il grande pubblico (e se si intende restare nel cuore degli spettatori) — quelle su cui puntare. Dante, Michelangelo, i fratelli Grimm, Balzac, Dickens, Dostojevski, Mark Twain, Lee Masters, Caldwell. E in questa chiave tre appaiono — va detto — le vie d’uscita da privilegiare. Ci riferiamo alla versione “romantico-familiare” (il cuore ha le sue ragioni, le cose devono prendere un’altra piega, verrà il tempo in cui lei capirà), a quella del “falso avaro” (l’apparenza inganna, le persone non sono come sembrano, occorre un po’ di pazienza), a quella “assistenziale” (cosı̀ non poteva continuare, la situazione era diventata insostenibile, qualcuno doveva intervenire). © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 94 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI 3.4. L’avaro in letteratura. G iu ffr èE di to re Salvo che in ambito commerciale si tratta — occorre aggiungere — di falserighe abbastanza collaudate. E tuttavia una certa originalità la figura dell’avaro (non l’hanno mal pensata i miei editor) è pur in grado di assicurarla, nella galleria tradizionale dei “cattivi”. Ci troviamo di fronte anzi — per una platea smaniosa di perdersi, timorosa che il male possa vincere, fiduciosa che arrivi il lieto fine — al più redditizio letterariamente, nella rosa dei peccati capitali. Il superbo è probabilmente più antipatico, come vilain della compagnia, però anche tanto più sfruttato fra le muse; e l’osservazione vale altresı̀ per l’invidioso (visto oramai in tutte le salse). Il lussurioso c’è da chiedersi chi lo vivrebbe come un vizioso, oggigiorno. Il goloso, l’iracondo, l’accidioso non sono fatti per suscitare ostilità; emozionano poco, vanno bene per altri scenari. E poi gli avari non sono rari nella cronaca — di gente cosı̀ se ne incontra di continuo. Facile per lo spettatore, scoprendone uno in un film o in un libro, identificarsi nella vittima di turno: ”È la mia storia, non sa cosa l’aspetta poverina!”. 4.1. La versione love. La versione “love” dell’avarizia è, come dice la parola, quella che s’impernia sul classico triangolo amoroso. Nel nostro caso essa implicherà la presenza: (a) di un cattivo, che è il nostro avaro; © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 95 AVARIZIA G iu ffr èE di to re (b) di un buono, che è il rivale generoso; (c) di una ragazza, contesa sentimentalmente fra i due, giovane e con poca esperienza delle cose del mondo. È possibile anche invertire i ruoli di genere — arrischiato però: si modifica il gioco delle parti (potrebbe risultare troppo originale). Destinazione del prodotto: il pubblico femminile, quello all’antica soprattutto, più sognante. I maschi meglio se introversi, oltre i quarant’anni, di provincia. Bambini e adolescenti quelli casalinghi, educati in una certa maniera. Leit-motiv su cui lavorare: chi mai si augurerebbe, oggi che viviamo nel XXI secolo, di trascorrere la vita accanto ad uno che abbia le caratteristiche — mettiamo — del padre di Eugenie Grandet? Un essere che, se da fidanzato dimostra già sintomi preoccupanti, non si sa cosa potrà diventare (ecco il punto) all’indomani: non solo ignaro dei compleanni, nemico dei fiori, dei profumi, degli anniversari, dei ciondoli; ma capace di far storie per l’asilo nido, per i libri scolastici, per le settimane bianche, per un vassoio di paste. 4.2. Incontrarsi di nuovo. Topoi romantico/esistenziali, da valorizzare in sede di sceneggiatura. (a) Lei dev’essere una che intenerisce il pubblico fin dall’inizio; nel suo passato una disgrazia familiare, un errore adolescenziale, un piccolo handicap: comunque una creatura fragile, delicata, cui si © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 96 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re vorrà bene fin dal primo sguardo; impossibile non chiedersi, anche per questo, come l’intera storia andrà a finire. (b) Bisogna che il rivale buono, quello destinato a vincere, sembri poco affidabile inizialmente. Buono e generoso sı̀ — però infantile, spendaccione, vagabondo. Altrimenti come mai lei, che gli era legata fin dal ginnasio, lo lascerebbe per l’altro, alla fine del liceo? (c) L’avaro (che entra in scena a quindici minuti dall’inizio) deve sembrare a prima vista il miglior uomo del mondo. Tutt’altro che tirchio. Meglio fargli compiere anzi, dopo che i due si saranno conosciuti, un gesto nobile, magnanimo: ad es., il riscatto di un’ipoteca a beneficio di una vecchietta decaduta, con relativo salvataggio dall’ospizio (in realtà non erano soldi suoi, lui non poteva tenerli per sé comunque; questo però lo sapremo solo alla fine). (d) Lo spettatore deve vedere — lui sı̀ chiaramente — i segni esteriori dell’avarizia; cosı̀ il tasso alcolico aumenta. Ci saranno cosı̀, da un certo momento in poi, dettagli rivelati solo al pubblico. E ci saranno particolari mostrati anche alla ragazza, che si prestano a essere interpretati in due modi: l’uno, in cui si vede che lui è un taccagno (e lo spettatore capisce essere la versione giusta); l’altro, falso, in cui lui fa bella figura, versione cui lei mostra di credere. “La zia è ancora malata, non possiamo”; “Ho avuto un’infanzia difficile”; “I soldi sono per i bambini dello Zimbabwe”; “Abbiamo fatto un fioretto, decisione comune no?”. Lei (che fa il confronto coi suoi coetanei, tanto più irruenti) pare apprezzarlo ancora di più per questo. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 97 AVARIZIA G iu ffr èE di to re (e) Al tempo stesso le rinunce cominciano a pesarle. Niente oggi, niente domani, ogni week end più grigio e austero del precedente. Vediamo la fanciulla confidare al suo diario: “Zimbabwe sı̀, c’è anche la vita quotidiana però! E se la zia poi non guarisse più?”. Le amiche iniziano a fare qualche insinuazione: “Senti, non sarà che lui … E poi quella zia esiste davvero?”. Lei scaccia i dubbi dalla mente, però … (f) È a questo punto che ricompare in scena il primo giovanotto; e si vede subito che è cambiato (siamo al giro di boa, attenzione!). È stato via trenta mesi; e le novità — ci sarà un primo abbraccio fra i due, affettuoso ma formale, sotto i portici del corso; poi il gioco delle occhiate, da lontano, negli incontri successivi, per strada o al supermercato, sempre casualmente — è anche lei a notarle. È lui, ma non è più lui: adulto ormai, gli studi finiti, uno sguardo diverso, portamento più solido, si è tagliato la barba, già inserito nel mondo del lavoro. (g) Due punti non sono cambiati. Primo, è ancora innamorato di lei: non glielo confessa apertamente, si intuisce al volo però (prende atto che lei appartiene ad un altro; la giustifica, beninteso, quella volta non era maturo lui: e se è quello che desidera …). Secondo, non ha perso il gusto dei regali; pacchettini a sorpresa, sempre fragranti, azzeccati: una volta sono due orecchini liberty, una compilation di Arthur Rubinstein, un’altra le poesie di Emily Dickinson, una camicetta di pizzo di San Gallo, l’ultimo Narciso Rodriguez. La gigantografia degli ex compagni di scuola anche. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 98 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re (h) Una sera escono tutti insieme, li attende una balera di campagna, simpatica e verace. Sono in quattro, al reduce-generoso si accompagna una moretta, graziosa, che sulle prime ingelosirà la protagonista (in realtà è una che conta poco per lui). Ed eccoci alla scena madre: ballano insieme, la nostra bella e l’ ex risorto dal passato; prima un lento, poi un veloce, poi un lento ancora, lungo quanto basta: sguardi incerti, uno strano imbarazzo, le guance che si sfiorano, lui che le sposta un ricciolo di capelli (sulla tempia, usava farlo anche tre anni prima!), lei che sente il cuore battere forte (tanto che anche lui deve sentirlo: o è quello di lui invece che martella?). Altro non succede, si capisce però che è ormai solo questione di tempo. Al momento del conto l’avaro è alla toilette, pagherà tutto il “reduce buono”. G iu 4.3. Scelta dei particolari. Sin qui — il finale è quello che aspettavamo (ma non sono da escludere sviluppi ulteriori: lei e lui felicemente sposati, con bambini, TV, piscina e barbecue; nuove puntate da sceneggiare allora, fra pentole, natali, malattie, problemi con la maestra, viaggi, altri spilorci all’orizzonte …) — lo schema generale della vicenda. Restano da decidere i particolari adesso. Ne indicheremo alcuni possibili: ai miei editor le scelta dei migliori, più consoni al d.n.a. dei personaggi — episodio per episodio. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 99 AVARIZIA 4.4. Comportamenti da avaro. G iu ffr èE di to re Punto primo: non devono sussistere dubbi, in nessun momento, sul fatto che l’avaro è davvero tale. Nulla di più e nulla di meno di quanto serve al pubblico — senza esagerazioni, però anche senza mezze tinte o smentite. Ad esempio, pescando nel repertorio classico: teorizza con tutti che il pane vecchio è più sano, gustoso; conserva in un cassetto le garanzie di ogni elettrodomestico, compresi il phon, la grattugia e il frullino, anche dopo averli cambiati; se può al supermercato sceglie i prodotti quasi scaduti e con lo sconto (“Cosa cambia?”); accomoda personalmente i “ciappini” vecchi, con l’ago è un vero maestro; non butta mai via gli zolfanelli usati, in qualche modo li ricicla (“Un fatto sentimentale”, sostiene); quando è il giorno della domestica nel residence, pagata dalla ditta, controlla sempre il sacchetto della spazzatura; in farmacia lo vediamo porgere la tessera sanitaria anche per l’aspirina; ai buffet dei convegni si fa preparare dai camerieri, cui sussurra nell’orecchio qualcosa, un superfagottino di dolcetti, che porta via con discrezione (tutti sanno che non ha né cani, né nipotini). Ha sempre una scusa per sottrarsi alle collette (“Grazie, preferisco fare per conto mio”, nessuno vede mai niente però). Riconosce al volo quelli simili a lui, sa che la cosa è reciproca; se può si allea con loro, se no si barcamena (“Non ho fame, aspetto fuori”;“Beati voi che potete”; “Ognuno paga per quello che ha mangiato”). Se qualcuno lo prende in giro alza le spalle: nega o ammette secondo le circostanze, non © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 100 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI demorde mai comunque (“Liso sui gomiti? È un ricordo del nonno”; “Mughetti ogni settimana, per forza è fallito”; “L’ultima volta ho pagato io, ricordate?” — era sedici mesi prima). 4.5. Generosità. G iu ffr èE di to re Punto secondo: non dovranno esserci dubbi né sulla generosità del futuro vincitore, e di questo abbiamo parlato, né su quella della protagonista. Lei in particolare: potremmo mostrarla — in episodi diversi della serie — che non esita a perdere due ore per portare un gattino ferito, non suo, dal veterinario; che presta l’unico ombrello della macchina ad un’amica, in un pomeriggio di pioggia (“Avrà smesso quando arrivo”); che regala il suo cono-gelato, con le serrande della gelateria appena abbassate, a un bambino goloso/deluso di passaggio (“Ne hai più voglia tu”); che accompagna una suora semisconosciuta all’aeroporto distante 50 chilometri (“Mi fanno allegria gli aerei”); che consegna agli oggetti smarriti una spilla di smeraldi, trovata la notte prima al parco; che spende a un brindisi, fino all’ultimo centesimo, i soldi di una scommessa vinta coi colleghi (“Porta bene!”). E cosı̀ via. Nessuna possibilità di confusione anche da questo lato. 4.6. No agli sperperi. Punto terzo: generosità non vuol dire prodigalità, dilapidazione. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 101 AVARIZIA G iu ffr èE di to re Sul conto della fanciulla non ci sono problemi: sono poche le ragazze cosı̀, in generale, e sappiamo già che lei detesta gli sprechi; non è questo che spaventerebbe comunque il “buono”. Quanto a quest’ultimo invece. L’ideale è mostrarlo che rifugge dal compiere — nel secondo tempo della storia, sorridendo dell’antico episodio, davanti agli amici — qualche “spacconata” che aveva commesso invece nel primo: buttare ad es. al vento, da una spyder in corsa, di notte, tutti i soldi che ha in tasca (“Ero giovane”); tentare una puntata forte a qualche gioco d’azzardo (“Che noia vincere sempre!”); accendersi una sigaretta con un biglietto da cento euro (“Fallo tu stavolta”); acquistare una costosissima frivolezza d’epoca a un’asta (“Troppo a buon mercato per me!”); organizzare una cena a base di caviale originale e tartufo bianco del Périgord nel locale per miliardari della città (“Sono vegetariano ormai”). È segno che lei potrà fidarsi questa volta. 4.7. Fascino del male. Punto quarto. Scegliere un volto ambiguo, affascinante, per la parte dell’avaro — modello Joseph Cotten, Hitchcock, “L’ombra del dubbio”. Non c’entra con l’avarizia? Esalterà però quegli ingredienti di doppiezza che sono preziosi per il nostro intreccio. Gli avari cronici tendono spesso a occultarsi, certi di non venire sbugiardati; e con un lievito del genere la suspense non può che migliorare. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 102 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI Come si fa a non innamorarsi di uno bello come Cotten (è un passaggio di cui abbiamo bisogno) — e come non disamorarsene d’altronde, una volta caduta la maschera? Soprattutto, è il pubblico che deve cominciare a detestarlo, quando lei non sospetta ancora niente. re 4.8. Doppiezza. G iu ffr èE di to Doppiezza dunque. Vediamo il nostro elargire, cosı̀, mance strepitose davanti alla ragazza e tornare poi a riprendersele di nascosto, accampando uno sbaglio. Infilare una grossa banconota nella cassetta per l’elemosina, con lei al fianco, la candela accesa — un primo piano svelerà allo spettatore che il biglietto gli è rimasto in mano. Compilare con lei accanto un questionario in thailandese — l’ha studiato da giovane — in cui sembra adottare un bambino da lontano (scopriremo più tardi, anche lui tiene un diario, che ha scritto il contrario di quanto a lei dichiarato). Fa ogni tanto questo giochetto, lo diverte: estrae dalla tasca, scorgendo un mendicante all’angolo (meglio se cieco), una moneta da due euro, che ostenta sotto gli occhi di lei, e nascostamente anche una monetina da un centesimo; si tiene fra la ragazza e il mendicante, passando vicino a questi, cosı̀ che lei non possa vedere; commenta poi ad alta voce: “C’è chi dà due centesimi, che gente, meglio nulla!”, nel mentre lascia cadere dentro il cappello il tondino da un cent. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 103 AVARIZIA Un giorno che il diario di lui si apre per caso, in un momento in cui lei è rimasta sola nella stanza, verrà fuori tutto quanto. 4.9. Psicanalisi. G iu ffr èE di to re Punto quinto, la psicanalisi. Sappiamo già — della ragazza — perché si incapricci del nuovo arrivato (alla fine del liceo); sappiamo anche — del “buono” — perché ami lei da sempre (ha tutto per piacere). Poco sappiamo dell’avaro invece, delle sue pulsioni recondite. Uno che pensa solamente ai quattrini, come mai tanto interesse riversato su cose amorose? Non gli bastano i francobolli da pinzettare la sera, i listini di borsa, i gioielli di famiglia sempre lustri? I feltrini su cui pattina in casa (e chiede agli ospiti di fare lo stesso) per non rigare il pavimento di cera? Il punto è evidentemente cruciale. 4.10. Frustrazioni affettive. Risposta che suggerirei ai miei editor di adottare: perché incontrando la ragazza — quel giorno allo sportello della banca — gli era scattato dentro un ricordo. Qualcosa di lei gli aveva fatto venire in mente, all’improvviso, una persona del suo lontano passato. Per il viso, per il modo di fare, per la voce. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 104 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re Qualcuno — ecco Freud in arrivo — che per lui molto aveva contato. Una donna che il nostro aveva adorato per anni, e che l’aveva frustrato di continuo — per ciò che gli aveva preso, per quanto aveva in sé e che lui non aveva avuto il coraggio di chiederle. La madre, ad es., che da piccolo non gli aveva riservato abbastanza carezze, abbracci, che ignorava quasi cosa fossero le coccole; la giovane istitutrice tedesca, che lo proteggeva contro i monelli del villaggio, e ogni sera gli portava via l’orsacchiotto; la sorella che giocava con lui in vasca da bagno, e gli sottraeva regolarmente la paghetta settimanale, imponendogli di tacere; la compagna di scuola che si lasciava sciogliere i nastrini azzurri nei capelli, ridacchiando, ma gli mangiava ogni volta la merenda. Una o più di queste figure del passato — tutte quante magari. G iu 4.11. Il bandolo. Ecco il bandolo profondo. Senza rendersene conto, per un oscuro bisogno di compensazione (per dotarsi di qualcosa che nessuno potesse portargli via o rifiutargli), era sprofondato man mano nell’avarizia. Soldi e diamanti — pur accarezzati ogni sera — non gli avevano dato tuttavia un gran piacere. Se ne era accorto ben presto. Si placava qualcosa in superficie, ma solo per un istante. Era ossessionato dalla vista e dal tocco di quanto possedeva (arazzi, diademi, monili sacri, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 105 AVARIZIA to re titoli, incunaboli, miniature, mobili del settecento, ori di ogni tipo, pissidi, affrancature uniche, argenti antichi, pietre, un Rembrandt perfino); non ne ricavava una vera pace però. Soltanto con la ragazza si era accorto che tutto era diverso: sospese le paure momentaneamente, dileguato quel tremito costante. Come se le ombre femminili della sua infanzia stessero risarcendolo, una alla volta, per ciò che gli avevano sempre negato. di 4.12. Redenzione. G iu ffr èE Sta acquistando punti cosı̀ il nostro avaro? Tutto sommato un infelice da aiutare? È ben possibile — il da farsi, sul piano massmediale, lo suggeriranno comunque i miei editor. Se la scelta è che per le puntate successive nulla cambi, toccherà inventare — che so — qualche colpo di scena: un incidente a metà di quegli amori mancati, un delitto (forse basta colposo), un rapimento malriuscito: un punto di non ritorno comunque, tale da impedire che il percorso di liberazione all’indietro continui. Si vuole che la “redenzione” vada avanti invece? Niente di più semplice: nessun break narrativo col passato, l’avaro cesserà di essere tale sempre di più ogni giorno, l’amore lo avrà guarito definitivamente. Cosı̀ si entra nella seconda parte della trilogia però. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 106 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI 5.1. Colpi di scena. G iu ffr èE di to re Seconda parte dunque: l’avaro che non è — che scopriamo non essere mai stato, che sceglie di non essere più — un vero avaro. È una formula, va detto subito, che può andare incontro a un buon successo. Non sarà una svolta da poco per lo spettatore — parliamo di quello ben ispirato, o che ambirebbe quantomeno a sentirsi tale (il target degli utenti taccagni, in cerca di conferme esistenziali, che vorrebbero cioè il cattivo impenitente e ugualmente vincitore sugli altri, è apparso poco significativo ai miei editor) — scoprire che all’irritazione e al fastidio, sino a quel momento nutriti, fa seguito un quid di roseo, di consolatorio. Con o senza ricadute di tipo sentimentale. Cioè una fanciulla potrebbe anche restare nell’intreccio — non sarebbe impossibile inventare qualcos’altro, tuttavia, come risvolto o trofeo per la metamorfosi. Ad esempio: nessun dubbio, dopo una scoperta del genere, che a meritare la vittoria finale dovrà essere quello, dei cinque in lizza, che era pur emerso come il più bravo e preparato, sin dall’inizio del concorso — e che il consiglio di amministrazione della società, fintantoché avaro, non poteva invece promuovere. Oppure in palio potrà esserci (nella storia) l’assegnazione della parte in un film, il successo in una gara di appalto privato, il primo posto a un concorso di piano, il Nobel per la pace, la consegna delle chiavi della città, la nomina a cardinale, l’amicizia di © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 107 AVARIZIA King Kong — dipenderà via via dal prodotto, dallo sponsor, dalla pubblicità, dall’ampiezza del budget. 5.2. Altalene, folgorazioni. G iu ffr èE di to re Sulla carta le combinazioni possono essere più d’una. Molto sta nell’obiettivo commerciale o culturale che si ha in testa. Dopo l’avaro salvato dall’amore — ma la “folgorazione” potrebbe anche giungere, in alternativa, da un viaggio in India, dall’incontro coi down del quartiere, dalla lettura di un bollettino della Fao, dal ripasso della vita di qualche santa — potremmo immaginare il caso di chi si è preso un colpo in testa, e per questo motivo è diventato tirchio, e per un po’ tutti lo detestano; fino a quando non gli arriva un altro colpo in testa, e torna ad essere il filantropo di sempre (modello “Luci della città”). Le emozioni nel pubblico non dovrebbero mancare. Altra figura non banale: l’adolescente nato e vissuto in una cerchia di soli avari, senza contatti col resto dell’umanità, che trova naturale tenere per sé ogni cosa, specie se profumata o luccicante (un tesoretto sotto il faggio del giardino); finché dal muro della villa accanto non si affacciano due trecce bionde, un sabato mattina, una mano che sporge delle albicocche in regalo, e tutto si rivoluziona. Coi bambini dovrebbe funzionare. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 108 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI 5.3. Il play boy, il sosia, il commediante. G iu ffr èE di to re Proseguendo coi target e con le nicchie — non è detto che la destinazione sia una sola, nessuna specie di avarizia esclusa, ampi spazi riservati al merchandising: (a) Il caso del play boy che fa la parte dell’avaro per scommessa, e alla fine riesce a vincerla, dimostrando che anche cosı̀ non fallisce — uno come lui — nella conquista della bella di turno; finché non salta fuori che lei sapeva in verità del trucco, e gli aveva ceduto per amore di ben altre qualità mascoline: sicché alla fine lui deve restituire i soldi, ma intanto ha trovato la felicità (da abbinare a una linea di cosmetici per uomo, o di farmaci con prestazioni a sorpresa; adatto per la réclame di una casa da gioco; eccellente per Vogue Challenge, nonché per la serie “Fiducia in voi”: da affiancare eventualmente alle neo trasmissioni sportive di Sky). (b) L’affaire dell’“avaro sosia”, la storia cioè del capitano di industria che è di suo fin troppo mecenatesco: e infatti tutti gli vogliono bene, dalla segretaria, ai posteggiatori, al parroco, ai centri sociali perfino; sinché non inizia un giorno a comportarsi in maniera strana, cioè con modi da spilorcio matricolato, il che fa sı̀ che tutti quelli che possono lo abbandonino; sintantoché non si scopre che dietro i nuovi gesti c’è in realtà il gemello monozigote — uguale di faccia ma cattivo di indole, oltre che povero in canna, di cui tutti ignoravano l’esistenza — il quale ha rapito e rinchiuso in una segreta il fratello buono; con un finale della storia © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 109 AVARIZIA G iu ffr èE di to re lieto al cento per cento, coincidente con quello che tutti si auguravano (indicato per il lancio di una serie di autotest; ottimo nel contesto di Class, di “Tranelli 2010”, di Twins, consigliabile per la réclame di macchine della verità amatoriali: buono per spot pomeridiani su fiere di paese, raduni di vecchi artisti, campeggi scout ad alta quota, pensionate di lusso). (c) La vicenda dell’uomo cui gliel’ha ordinato il medico di comportarsi da “avaro estremo”, per guarirlo di una strana idiosincrasia verso le carte di credito — sindrome non ufficializzata, terapia sperimentale, a base ipnotica, giunta dal Nord — fintantoché non sopravviene la guarigione o fino al giorno in cui non si viene a sapere, da Lancet, trattarsi di una diagnosi sbagliata, di una malattia immaginaria e di una cura fasulla (buono per “Corsi antitruffa” a fogli mobili; da abbinare ai dépliant delle banche rurali, adatto a case farmaceutiche alternative: ottimo per Illusion, per le trasmissioni sul laicismo del lunedı̀, per Guinness primati; irrinunciabile nel battage delle enciclopedie dell’Antiscienza). 5.4. La fiaba, l’infiltrato, il giovinetto, il saltimbanco. Altri copioni e pacchetti significativi: — C’è la storia del principino nato generoso, anzi un po’ scialacquone, che viene gettato nell’avarizia il giorno del battesimo, da una strega rancorosa che il re suo padre si era dimenticato di invitare alla cerimonia; e che riuscirà a liberarsi della fat- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 110 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re tura, con somma gioia del popolo, sposando più tardi il drago e trafiggendo la fanciulla in catene (cioè l’inverso: per le bambine dell’asilo e per gli abbonati ai DVD di Hanna e Barbera; meglio nelle versioni a cartoni animati: indicato per gli Amici della fiaba aristocratica, nonché per Case di riposo assistite: perfetto per chi ai Blockbuster segue il ciclo Royaume, oppure la serie Compleanni e Onomastici). — C’è la saga dell’eroe bianco col turbante, agente del controspionaggio, che s’infiltra come “avaro convertito” in una setta di nemici del mondo occidentale (sobri oltre ogni limite, custodi del tesoro nella grotta, chiusi agli allettamenti delle civiltà, amici della scimitarra, autosufficienti sotto tutti i punti di vista), e riesce a sventare cosı̀ varie minacce terroristiche, concentrate nella zona artica e nel mare di Bering (indicato per le nuove avventure di Mandrake o di James Bond; ideale per campagne contro i fondamentalismi; eccellente negli speciali di Limes, del Nouvel Observateur, di “Salgari rivisitato”, di New warriors: sconsigliabili le edizioni in lingua araba, da abbinare alle trasmissioni sui reduci della guerra del Golfo). — C’è la vicenda del giovane blasonato che è costretto dallo zio cuorduro, vittima di retaggi misteriosi, a comportarsi sin dalla prima infanzia come un “avaretto” (non prestare il pony al figlio del fattore, non far copiare il compito di aritmetica in classe, non dividere l’ultimo biscotto al torneo di polo, no regalare agli orfani i costumi smessi di carnevale, non offrire un giocattolo per la pesca di beneficenza), sinché il triste parente non passerà a © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 111 AVARIZIA G iu ffr èE di to re miglior vita, sostituito da nuove presenze femminili e da promettenti scenari nelle università californiane (destinato alla fascia tardo-pomeridiana, buono per le edizioni Dont be cruel, per “Migliorarsi”, per i pacchetti a sorpresa di “Cuccioli del mare”; volendo per la réclame del nuovo Skifidol, discreto come marchio di Telepalingenesi). — Ci sono le avventure del saltimbanco che fa la parte del “finto tirchio” in un musical, e cade vittima a un certo punto di un’amnesia, dopo una capriola, in una landa sconosciuta, dove rammenterà per un po’ di tempo soltanto i gesti e le battute dello spettacolo: cosa destinata a procurargli inconvenienti di varia natura, sul piano amoroso e finanziario, sino a che un fortunoso riposizionamento buñueliano non lo riporta alla vita reale (ottimo per la serie Dont forget, edizioni lilla e azzurra, nonché per il rifacimento de Les enfants du Paradis, dell’“Angelo sterminatore”, e di Freaks; adatto ai fustini di coriandoli a fascia alta: perfetto per gli ammiratori di Danny Kaye, eccellente nell’abbinamento al “Piccolo mago” — con formati pensabili per più età). 5.5. Il sopravvissuto, il morto, il sociologo. Canovacci di particolare delicatezza: (i) Il “Dossier post Lager”, ossia i tormenti dell’ebreo che ha continuato a pensare unicamente a se stesso, mentre era a Buchenwald, ed è riuscito cosı̀ a sopravvivere; e che negli anni seguenti, tornato alla libertà, e non perdonandosi quegli eccessi © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 112 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re di egoismo, reagirà in modo paradossale, giorno per giorno, ossia con sprofondamenti ulteriori nella spilorceria: fino a quando l’incontro con un altro ex internato — da lui salvato inconsapevolmente nel lager — non gli restituisce un po’ di serenità e di autostima (appropriato per campagne antinegazioniste, ottimo per “Stati di necessità”, per “Usuraio e gentiluomo”, per Hard Secrets, consigliabile a spettatori poco impressionabili, buono per gli ammiratori di Rod Steiger e di Spielberg: tarda serata comunque). (ii) Il caso dell’“Avaro morto”, ossia le tribolazioni del magnate che da vivo aveva conosciuto momenti di stringatezza, e a cui viene concesso da S. Pietro di tornare sulla terra, brevemente, per dimostrare che in realtà era stato tutt’altro che avaro; dimostrazione destinata al successo, grazie alle dichiarazioni dei tanti cui in vita aveva regalato di tutto, e grazie alla scoperta che i tre che il nostro aveva preso, in effetti, a calci meritavano anche di peggio: sicché, a tempo scaduto, il falso avaro si vedrà accogliere in paradiso — dopo un breve passaggio in purgatorio (indicato per Mission, serie natalizia, per i quaderni africani di Spiegel, per i fascicoli executive di “Ritornano”; ottimo come lancio di rimedi contro l’insonnia, imprescindibile nell’abbonamento ad “Aldilà”, indovinato per un ciclo pay-tv su Jean Gabin). (iii) Le vicissitudini dello “Studioso sotto mentite spoglie”, la storia cioè del sociologo che imita il percorso scientifico/esplorativo di E.Goffman, entrando quale finto paziente in una clinica per “avari cronici”; e incontra qui una graziosa infermiera con © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 113 AVARIZIA èE di to re cui sarà tanto persuasivo, nel recitare la parte del taccagno, che perfino lei comincerà a detestarlo; sentimento destinato a rovesciarsi completamente, sei mesi più tardi, quando ritornato alla vita normale il nostro scrive il libro sull’avarizia che si prefiggeva, vince il premio Pulitzer, e ha la ventura di reincontrarla, stupefatta sulle prime, raggiante infine, nella libreria dove avviene la presentazione dell’opera (indicato per Classici del sogno, abbinabile ai fascicoli di Psichiatria popolare, agli speciali di Bild, ai quaderni trimestrali dell’Oréal; buono per le edizioni di Smiling Asylum, di Nuovi Travestimenti, di Harmony universitaria). E siamo entrati cosı̀, parlando di disagio, nella terza parte della trilogia. ffr 6.1. Motivi assistenziali. G iu Quello “istituzionalizzante” non è, in effetti, l’unico sbocco da immaginare per i contesti antropologici che sono al centro della terza parte: per le storie in cui l’avarizia si presenta cioè, all’esterno, con forti connotati di morbosità o di stramberia — tanto da richiedere l’entrata in campo (al limite la neo attivazione) di qualche Servizio sociosanitario. Si tratta, osserviamo, di situazioni in cui lo spazio che si offre alla pubblicità commerciale appare quasi sempre di prim’ordine: ricchi gli ingredienti per commuovere o indignare, svariate le figure potenziali dei soccorritori, innumerevoli le combinazioni del bisogno o del pericolo, infinite le possibilità di coups de théâtre e ribaltoni — compresi quelli © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 114 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI di tipo sentimentale (taluni in chiave più “audace” del consueto). 6.2. Pholie à quatre. G iu ffr èE di to re Cominciamo dal caso, non proprio eccezionale, in cui l’avarizia si presenta immersa entro le aure della malattia mentale. Il dossier di lavoro, che suggerirei ai miei editor, è in particolare il n. 15/d, estate 2009 (Folie à quatre). Di chi si parla — Piccolo gruppo di famiglia (le prime scene andranno “in oggettiva”, unico il pubblico a seguirle). Madre non più giovane, tre figli maschi, adulti ormai o quasi. Vediamo i quattro barricati in casa, persi dentro una sorta di preistoria — malgrado la presenza, sembra, di cospicue somme di denaro, nascoste sotto il pavimento. Palazzo elegante, primi del novecento, quartiere alto-borghese; ultimo piano, d’angolo, finestre a est e a nord. Campanello senza scritte, citofono guasto, scuri chiusi; niente antenne o parabole. Cassetta delle lettere zeppa di avvisi, pieghevoli dei supermercati. L’appartamento — Dentro le stanze il bene e il male, mescolati strettamente. Pavimenti ingombri di stracci e immondizie, crepe sulle pareti, niente luce elettrica, né gas, né telefono; un rubinetto che gocciola: sedie traballanti, cristalliera con argenti inglesi, letti sfondati e visibilmente non rifatti: buio, un violino del ’700, ragnatele in alto, vetri sporchi alle finestre. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 115 AVARIZIA G iu ffr èE di to re Tappeti persiani mai puliti, siringhe sparse su una consolle, pentole nere coi buchi, un lampadario storto di Murano; avanzi di candela, un piccolo Bellini, un giradischi a manovella, chiazze di umido sui muri: tracce di topi, due acquerelli di Renoir (autentici), maioliche sbrecciate. Gobelins, una vecchia radio, mobili coi piedi storti, l’Enciclopedia britannica; due gatti malaticci, un pappagallo spaurito, cineserie, cibo andato a male: due minisculture di Manzù, vasetti di salvia e di basilico, carte moschicide lı̀ da mesi. Fuori dell’uscio — Un’assistente sociale, del Comune, seduta sui gradini delle scale: trentadue anni e (come presto sapremo) originaria del sud, da anni trapiantata in settentrione. Sposata, due bimbi piccoli, aspetta il terzo da poco — si comincia a vedere. Viso bianco e luminoso, grandi occhi castani, capelli ricci; florida, voce affettuosa, sorriso aperto. Capace nel suo mestiere. Quel venerdı̀ la ragazza — Appare triste, piange silenziosa. L’avevamo vista informarsi (all’inizio della storia) presso il postino, chiedere ai negozianti della zona, ai condomini: riuscendo a sapere poco o niente però. Quel gruppo familiare? I figli grandi (il maggiore e il mediano) mai incrociati né sentiti da nessuno. Con la madre incontri rari, del vicino di pianerottolo: una donna intabarrata, pallida e magra (pare), sciarpa arancione, il cappello: zero scambio di parole. Nessuno venuto mai a cercarli, a chiamare dal basso (la notte forse). Unico a uscire regolarmente il figlio piccolo, per © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 116 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re le spese. Bruno di capelli — stando al farmacista — pantaloni alla zuava, ciuffo sugli occhi, sguardo perso. Rapido nel gettarsi giù delle scale, nello sgattaiolare su con le cibarie: conta i centesimi sempre. I mesi precedenti — Sei mesi orsono ha bussato, la ragazza, la prima volta: nessun esito. Uno strusciare di qualcosa dall’interno (le è parso), respiri lenti, di più di una persona. Le altre volte che è tornata nessuna risposta, tutto uguale. Da un po’ di tempo ha scelto di arrivare nel primo pomeriggio: talora passa di mattina, o verso sera, niente di nuovo (per il portone suona a caso, “Comune, grazie!”, qualcuno apre). Due volte la settimana ultimamente. Esce dall’ascensore, toc toc, non insiste. Si accomoda sui gradini, apre la borsa, scarta una caramella; estrae un libro o il giornale. Circa dieci minuti dura ogni “visita”; canticchia alle volte: intuisce che dall’altra parte seguono le sue mosse, forse dallo spioncino. Nessuno apre mai. Quegli odori — Spiega che è lı̀ per aiutare, domanda di cosa c’è bisogno; parla a voce alta, quel tanto che occorre. La polizia, i vigili urbani, non pensa certo di chiamarli. Perché non riparare il campanello però? Sceglie argomenti di buon senso. Quegli odori che escono dal sottoporta: non sono granché, meglio pensarci forse. Fa freddo fuori: c’è un giro d’influenza, cattiva quest’anno (“Anche in ufficio, conviene vaccinarsi”). Il vicino di sotto: protesta, infiltrazioni dal soffitto (“Color © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 117 AVARIZIA G iu ffr èE di to re ruggine in bagno, un tubo pare”). La grondaia d’angolo: sembra che perda, quei fili che penzolano al vento poi (“Pericolosi, sono della TV, ma l’avete voi?”). Un pasto caldo dai frati: si potrebbe anche farlo portare a domicilio, sono solerti i religiosi. Una mano di pittura alle pareti: ci vorrebbe, stando al naso perlomeno (anche gli scuri, “Ci penso io a cercare”). Qualcuno tossisce da dentro: non bello da sentire, l’ambulatorio è vicino, basterebbe prenotare (prende lei l’appuntamento? È un po’ infermiera anche). Un contributo in municipio: possono darlo, con lei dentro è più facile — e se non interessa, se i soldi non mancano, lasciarli in casa conviene? Perché triste quel giorno — È passata ugualmente “quel” pomeriggio; per certi versi apposta; come se soltanto lı̀ potessero capirla. Le hanno rubato il portafoglio (spiega), ecco cos’è successo in mattinata. Sull’autobus, non se ne è accorta al momento. Settecento euro, settecentotrenta anzi, il conguaglio di fine anno, appena ritirato alla posta, ancora dentro la busta. Dio sa per quanti voci servivano: il debito dal droghiere, le medicine del primo figlio, il giaccone per il secondo, riparare la lavatrice, una nuova caffettiera, l’abbonamento Rai, due regalini (“Li avevo già scelti”). Continua a raccontare di se stessa, non l’aveva mai fatto — le parole escono da sole dalla bocca. Vita privata — Triste certo, e come se no! Sconsolata, rabbiosa anzi. Tante le cose che non vanno, nella sua vita — piccole magari, ma tutte insieme! La capufficio © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 118 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re odiosa (sempre un “Non si può!”), sfaticate metà delle colleghe, il marito con problemi di salute (“Mai che si curi”), quel dirigente che le sta dietro (“Un metro e quaranta, non si lava”); la suocera con cui non va d’accordo, la casa troppo piccola, i vicini pettegoli, l’asilo sempre più caro, mai una vacanza. È in sovrappeso anche (“Mangio sempre”). E il furto adesso. Tanti i derubati che dicono: “A me importa solo dei documenti”, per lei no, sono i soldi a contare — quelli là perlomeno: spesi già tutti nella testa, fino all’ultimo. Col nuovo arrivo in vista poi … una femminetta parrebbe, tutto bene. Contentissima, non si discute, un regalo del cielo (dopo i due maschi). Un pizzico di fortuna quotidiana in più però! “Studiare, quello sı̀ sarebbe importante; non come me, che ho smesso troppo presto”. Si guarda in grembo, sussurra alla bambina: “Pediatra, chirurgo magari, ti piacerebbe un giorno? Tanta più libertà piccolina, la possibilità di fare ricerca, salvare delle vite …”. Ah, quei soldi rubati — rieccola sulla terra! La testa ancora alle medicine del figlio, al debito da saldare, ai regalini: gli occhi lustri ... Raccoglie le sue cose, punta le braccia per andarsene. In quel momento — È allora che vediamo schiudersi la porta alle sue spalle. Una fessura all’improvviso: tre centimetri, poi sette, poi quindici; un viso che si affaccia. La ragazza nemmeno se ne accorge. Dal pertugio è la madre che si sporge; i figli a un metro, l’uno sull’altro, a sbirciare. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 119 AVARIZIA G iu ffr èE di to re Si apre ancora l’uscio, lentamente; la figura esce per intero sul pianerottolo. La busta — La vediamo finalmente: una donna alta, lineamenti morbidi, il foulard giallo-arancione (dev’essere quello). Si vede che in gioventù era bella, lo è ancora del resto. Avanza leggera, si avvicina alla ragazza. Questa la sente, si volta, balbetta qualcosa, gli occhi sgranati. È la madre che parla però, con dolcezza (un accento ungherese): “Ho sentito signora; anche le altre volte; ma è diverso oggi, abbiamo deciso di aprire”. Dopo un attimo: “Vorremmo fare qualcosa; siamo d’accordo coi ragazzi, tutti quanti”. Tre volti incerti sul dietro che annuiscono. Con voce ferma: “A noi i soldi non mancano: so che può sembrare incredibile, ma è cosı̀”. Cerca le parole: “Per noi quella somma è ben poco, le assicuro; per lei invece … Se permette, quello che le hanno rubato vorremmo darglielo noi, adesso”. Una busta scura, la porge alla ragazza. “Ecco, non dica di no, lei è una persona … — esita — mignonne, com’è che dite voi?”. Con aria saggia: “Deve pensare ai suoi bambini … a tutti e tre adesso”. “Non come quelle altre che venivano prima, minacciose!”. Una pausa: “So che non vuole, che non potrebbe, l’etica professionale, ho lavorato anch’io … le dico questo però: che resterà un segreto, fra noi cinque; per sempre. E che se un giorno ritrova quei soldi, ce li restituirà”. Dopo un momento: “E che se accetta, terza cosa, siamo d’ac- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 120 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re cordo che entri subito, da noi; a parlare, a fare conoscenza … non è per questo?”. Sorride un po’: “Tenteremo, non è la prima volta. Soltanto se accetta questa busta però”. Guardando indietro: “C’è un po’ di disordine dentro, questo però lei lo sa già. Non prenderà paura”. Bisbiglia ancora: “Un secret entre nous”, mentre le fa strada con la mano. Finale di partita — Si ferma qua il dossier 15/d, i particolari del seguito mancano. Da altre fonti però qualcosa è emerso. È sicuro che la ragazza, dopo un attimo di esitazione, si è alzata e ha seguito i quattro dentro casa; e che dopo un’ora ne è uscita. Della busta (la seconda) non si sa esattamente. Risulta che il debito col droghiere è stato pagato tre giorni dopo; risolti anche i problemi dell’asilo. Qualcuno dice che i settecento euro erano stati trovati, dopo 24 ore; altri che il borseggiatore non è mai stato preso. La suocera pare sia ancora lı̀, meno arpia però. La capufficio imperversa sempre, la gravidanza è arrivata intanto al mese giusto: la ragazza è entrata in permesso di maternità. Alla ripresa, è già deciso che avrà il “comando” al reparto minori della provincia. In veste privata (col pancione) va ancora a trovare i quattro, settimanalmente. Sono ancora lı̀, ma seguiti bene ormai, da servizi vari. Alzando gli occhi, si vede che gli scuri della casa sono aperti; aggiustato il campanello, pure il citofono. Dicono che è stato aperto un conto postale; la grondaia all’angolo non perde più, nessun filo che © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 121 AVARIZIA svolazza. Sembra che anche l’allacciamento telefonico sia imminente. 6.3. Un film famoso. G iu ffr èE di to re Vicenda meno tormentata, adesso, nel segno di Frank Capra. Canovaccio ispiratore “Angeli con la pistola”. Ossia la vecchia mendicante ubriacona che — grazie a un’eccezione alla consueta tirchieria, da parte di un azzimato gangster di New York (che ha l’abitudine di comprarle mele portafortuna, pagandole il minimo) — ce la fa a trasformarsi in una ricca gentildonna, per qualche giorno: riuscendo a coincidere, in questo modo, con l’immagine che di lei si era fatta la giovane figlia, vivente da sempre in Europa, promessa sposa a un aristocratico spagnolo; tornata in America due settimane per conoscere la madre. Una messinscena destinata — per merito del malavitoso non più avaro, e della corte dei miracoli locale (ecco il motivo dei Servizi) — al più insperato dei successi, nella gioia generale; culminante in un veglione al Waldorf Astoria, dove interverranno, partecipi alla commedia, entusiasti di poter compiere una buona azione, i personaggi più in vista dello Stato di New York: sicché la figlia potrà ripartire alle volte dell’Europa, insieme al quasi marito, orgogliosa dei lombi da cui proviene, e con una fede raddoppiata nella felicità che l’attende. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 122 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI 6.4. Versione all’italiana. G iu ffr èE di to re Variante all’italiana adesso — che proporrei ai miei editor, con un intreccio più vicino ai nostri tempi (come chiedono loro, del resto!). (a) la “vecchia” mendicante diventa una pensionata (sociale o baby), vivente in un capoluogo del Sud Italia; nell’intento di arrotondare i 367 euro mensili “batte”, ogni tanto, con clienti specializzati; uno di essi, un colombiano, le passa — quand’è in loco per affari — un po’ di coca, del tipo migliore; (b) il gangster è anche qui un gangster, solo, fa il capomafia (o ’ndrangheta, camorra, corona unita ..); signore della cosca locale, temuto da tutti, suo è in particolare un night per miliardari, della zona, l’Happiness: abbronzato, tatuato, bisex dicono, sniffa roba buona: superstizioso, compra soltanto dalla vecchia, pensa che la sua fortuna dipenda da questo; (c) ha varie “fidanzate” di facciata, il nostro boss — quella che si dà per certa è una liaison, intima, col politico locale più influente (partito di maggioranza, un po’ unto, mezza sponda anche lui); (d) sei i guardiaspalle del capomafia, sempre intorno a lui: basco o cappellino da base-ball, piccoli mitra russi nascosti, lo seguono ovunque (colpiscono solo quando devono); (e) la vecchia ha una figlia, che studia a Dallas: manca ormai dall’Italia da dieci anni, segue attualmente uno stage presso una merchant bank di successo, tema di ricerca gli ultimi derivati immobiliari e i bond “salsiccia”; (f) va a letto da un anno col presidente della © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 123 AVARIZIA G iu ffr èE di to re bank, la ragazza: un nababbo texano, anzianotto, arricchitosi vendendo titoli tossici ai latinos; (g) un giorno la vecchia viene a sapere che la figlia ha deciso di venire in Italia, a trovarla; è disperata, ha sempre fatto credere alla ragazza (da lontano) di essere una famosa velina, ha messo su a tal fine fotomontaggi, schede su Google, video finti per You Tube, come fare adesso? (h) si tratta di organizzare una messinscena, è complicato però; l’unico che potrebbe farlo è il malavitoso: il quale rifiuta sulle prime, non vuol spendere (ecco il Leitmotiv dell’avarizia), sino a che il politico/amante non riesce a convincerlo (la vecchia ha delle foto nascoste…) — quel giorno, anzi, pagherà tre volte tanto la bustina; (i) contribuisce a persuaderlo il fratello del politico, un prete misterioso, obeso, senza denti, che trent’anni prima è stato messo a dirigere l’ex manicomio (duemila posti letto): segretamente miliardario, persona ascoltata e influente nel circondario; (l) l’arrivo all’aeroporto è commovente, la vecchia rimessa a nuovo fa un figurone, tutti piangono, ma la super-festa che era stata programmata (per il giorno prima del ritorno) appare in serio pericolo; un assessore del partito avverso sembra non voler dare i nullaosta occorrenti; soprattutto, i piccoli spacciatori locali, e le señoritas arruolate dal colombiano per l’occasione, non riescono a imparare la “parte” di invitati/vip (stilisti, calciatori sudamericani, fotografi illustri, scienziati di regime, escort di lusso, etc.): come riempire il salone danzante? (m) tutto si sistema, però, quando il capoma- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 124 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re fia spiega il retroscena all’assessore, gli spicca un assegno per la rivista di corrente, e mette in moto la macchina mondana: cosı̀ all’Happiness, con l’orchestra ferma e il buffet deserto, si sentirà a un certo punto un rumore lontano di voci, di passi che si avvicinano, ed ecco irrompere (erano tutti a una festa del politico, non meno di un centinaio) attrici del cinema, sultani di passaggio, due giudici della corte, ragazzine per il casting, politici dell’est, padrini vari rilasciati quel giorno (decorrenza dei termini, per quello era la festa!), insieme a tenniste, direttori di giornale, un ex monsignore, industriali, grand commis, metereologhe, professori universitari: un trionfo; (n) è passato un mese e mezzo, ed ecco gli ultimi sviluppi (secondo voci accreditate); il prete è stato chiamato a dirigere una fondazione nazionale, budget triplicato; per i sei guardiaspalle è imminente l’assunzione in Rai; il colombiano è diventato console onorario del suo paese; la figlia ha conseguito il master sui subprime, ha mollato il banchiere di Dallas e si è messa col capomafia locale; il banchiere texano sposerà presto la vecchia, che in realtà è ancora giovane, e come velina tutti si sono accorti che è bellissima; il politico locale è in odore di diventare ministro. 6.5. Il parsimonioso no-global. Diversa, sempre in punto di avarizia, la sindrome del c.d. “parsimonioso no-global”. Ampio il ventaglio — va detto — degli abbina- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 125 AVARIZIA G iu ffr èE di to re menti possibili: indicato ad es. per campagne su prodotti come l’Infamydol o il Méfiez-vous, buono per il lancio di antidepressivi familiari, adatto ai manuali per fughe adolescenziali, alle ristampe di ciclostilati storici, alle carte geografiche della Siberia, ideale per il portfolio “Ex sessantottini”; preferibilmente in seconda serata. (I) Le tipologie, agli effetti narrativi, possono essere più d’una. C’è il quasi romanziere, ancor giovane, che non ha pubblicato finora cose serie: parla sempre di purezza letteraria, non ha dubbi circa il proprio talento, legge Engels in originale, teorizza che d’inverno non bisogna mettere il paltò (“Coprirsi fa male”); bolla gli autori del suo paese come provinciali (con l’aria di elogiarli), vede seriamente un Nobel nel suo futuro, chiede di continuo microprestiti. C’è il proboviro della Cooperativa di solidarietà ex OPP: arancione, concentrato sul suo respiro (sul punto in cui gli entra ed esce dalla bocca), parla esclusivamente del Nepal, canta i meriti della lentezza, anzi dell’assenza di gesti: vegetariano, si fa il pane in casa, vive con la pensione della nonna (“Cara vecchietta”), compiange chi è diverso da lui, non smette mai di sorridere. C’è il precario che naviga perennemente ai bordi dei Consigli di facoltà, sperando in una riconferma: inseparabile da Skype, fedele al suo preside, vive nel ricordo di un premio di poesia, vinto a tredici anni; si esprime a voce bassa, colleziona samizdat, teorizza che al mondo c’è solo opportunismo (ecco perché è in difficoltà lui), fa valere il “beneficio secondario della povertà”, cosı̀ dice sor- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 126 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re ridendo, per non pagare la sua quota in trattoria (si batte sulla tasca, allora, allargando le braccia,: “Sapete già, a buon rendere!”). C’è il responsabile del Centro Anarchico Regionale: vieux garçon, finanziamenti sospetti, codino brizzolato, dominatore di assemblee, in Tv locale un giorno sı̀ e un giorno no; immancabile alle teste dei cortei, abile a negoziare col vice-questore, beve le aranciate del servizio d’ordine; rievoca spesso i tempi in cui faceva la questua (“Due soldini basteranno, signora: stiamo andando al concerto, anche lei ha figli come noi?”), trova sempre ragazze che lo invitano a cena. C’è il dietrologo dell’America latina: buongustaio, baffi alla Groucho Marx, conosce il pedigree di ogni generale che conti (in Brasile, in Argentina, in Perù), gestisce la bibliotechina del Che Guevara locale: pensa che ogni cosa gli sia dovuta, fa mettere in conto tutto al Circolo: scompare occasionalmente non si sa dove, risponde a chiunque col mento alto, sdegnosamente. C’è la versione lefty di Totò salvato da Gino Cervi ( il “parassita lamentoso”, messo lı̀ dal volontariato, profugo dell’est): la riconoscenza non è il suo forte, ripete che non ha chiesto lui di sopravvivere, vive a sbafo del suo dominus: vorrebbe far venire anche i parenti (sette) dai balcani, elenca spesso i suoi “diritti”, cita volentieri Franz Fanon, parla male dell’Europa, minaccia di buttarsi in mare se non si farà come vuole. (II) Denominatore comune, l’oculatezza nel gestire i soldi — insieme all’abilità nel teorizzarla o nel mascherarla, a seconda dei casi. Se regala un giocattolo, è sempre di quelli in legno di una volta, che si trovano ai banchetti; sette © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 127 AVARIZIA G iu ffr èE di to re euro, cerca se può di farsi togliere qualcosa (“Sconto architetti”), magnifica poi il dono col figlio, ci traffica lui tutto il giorno, spiegando perché è tanto meglio degli eroi sferraglianti della Marvel; qualche volta lo rompe, non sempre lo sa accomodare, trova comunque il modo di ridarlo indietro, recuperando i soldi. Se va a funghi in montagna (col permesso di raccolta di un amico, sa come aggiustarsi), trascina sempre con sé la moglie: nelle soste le insegna a mangiare — a parte l’uovo sodo portato da casa — piccoli cardi del prato, escrescenze buone crude (“Poi sputi”), nocciole selvatiche, certe bacche rosse della sua infanzia (“So quali sono quelle buone”), il trifoglio del bosco (“Mastica bene!”). Se entra al caffè storico del corso, col suo bloc-notes, sceglie un tavolo nel retro, si guarda intorno per vedere chi lo nota: osserva commiseratorio quelli dell’happy hour (spazzola però le ciotoline a portata di mano), per sé ordina un ristretto con molto latte, fa segnare in conto, dice che ricorderà tutti nel libro. Se compra una mozzarella per cena — una sola per l’intera famiglia — schiude a tavola l’involucro con maestria, religiosamente; spiega bene perché ha scelto quella marca, blocca con lo sguardo i bambini ingolositi (“Aspettate!”), disserta sulla goccia bianca che si forma al centro della sfera lattea, dopo che l’ha aperta con la forchetta: richiama tutti — per un paio di minuti — a gustare il profumo, a ingoiare lentamente ciascuno il suo spicchio. Se ha voglia di un the, cerca in credenza — è la sua marca preferita — un sacchetto di Twinings Earl grey (già utilizzato una o due volte), sceglie © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 128 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re quello più fresco, fra gli altri pure usati del cassetto, scende al bar sottocasa; domanda una tazza di acqua calda, ci intinge il sacchetto, sbiadito e infeltrito, lo osserva imbibirsi: sorride per lo zucchero che si fa dare, se c’è versa una goccia di limone, sorseggia dopo cinque minuti il liquido, rosa pallido, che si è formato; recupera il sacchetto, lo ripone in una scatola rossa di metallo, esce ringraziando (un sacchetto basta per dieci tazze, “Viene più buono cosı̀”, gliel’hanno insegnato in Asia, dice). (III) Sulle terapie da seguire non c’è accordo: alcuni operatori, scherzando, propongono cure d’urto (lobotomie, paracadutaggi in isole deserte, lebbrosari, gite frequenti in cengie d’alta montagna, coma insulinici, giudizi sommari del Tribunale del popolo), altri pensano a protocolli più blandi (novene a Lourdes, diete a base di carota, acquerelli, tocchi femminili, cori di montagna). Prevale l’opinione trattarsi di casi disperati. G iu 6.6. La bella disillusa. Più sottile l’avarizia del cuore, difficile estirparla tuttavia — tornare al parco giochi come un tempo. Prendiamo lei. Prima grande delusione a ventun’anni: con quell’uomo che aveva tutto, che al dunque ha scelto di restare con la moglie — sedici mesi di vita persi (metà dei sogni scivolati via per sempre). I flirt successivi? Non ne valeva la pena, alcuni li confonde addirittura. Il matrimonio? A trent’anni, sbagliato fin dall’inizio, sua madre l’aveva messa in © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 129 AVARIZIA G iu ffr èE di to re guardia, durato sin troppo. Gli ultimi incontri? Nessun ricordo, insipide avventure. Oggi? Che sia bella glielo ripete lo specchio, ogni mattina: uguale la luce dei grandi occhi, color verde scuro, nessun filo bianco, fisico snello come a diciott’anni (ne farà quarantadue a maggio). Che il suo potere sia intatto, lo verifica ogni pomeriggio; le basta uscire per strada, vedere come la guardano — entrando al bar una specie di silenzio, la fissano curiosi anche i bambini. Che dell’amore abbia smesso di importarle (che dubiti che esista, in generale), lo avverte ogni sera. Chi vuol bene davvero — ripete alle sue amiche — non è mai ricambiato, rincorrerà di continuo il partner, che si allontanerà di altrettanto (come Achille e la freccia). Se è l’altro a cercarti troppo, sarai tu a stufarti, ogni giorno di più, non potrai evitare di far soffrire (e presto smetterà anche di importartene). Ha telefonato di nuovo quell’ingegnere, ieri mattina, gli ha detto di no, che la scusi; richiamerà domani, non sarebbe dei peggiori, gli dirà di no anche stavolta. Al Consultorio, con quelle operatrici? Dopo l’attacco di panico c’è andata. Romanticismi, acquerelli sdolcinati, psicologia da quattro soldi sul futuro — di “quei” tepori non potrebbe fare a meno, una donna istruita, nel terzo millennio, con tante cose che esistono al mondo? Per il mal di testa tornerà in erboristeria, ricomincerà col flauto dolce, chissà; per quel buio alle tempie (certe mattine dei week end) aprirà un diario © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 130 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI in pergamena, si prenderà un gatto, con gli occhi verdi anche lui. Con la “passione” ha chiuso — troppo grandi le aspettative di partenza. Contro il destino non si va. Lontana la rugiada da jeune fille en fleur, non chiederà più niente; si terrà dentro ogni cosa. re 6.7. Una via di mezzo. G iu ffr èE di to Uno che al Centro non pensa proprio di tornarci — l’uomo che non “viene”, che non vuole eiaculare, mai. Né quando va con le donne (eccezionalmente con gli uomini), né quando fa tutto da solo. Per la verità è quasi sempre solo il nostro, meno problemi da risolvere. Orgasmo “interno”, si sente e non si vede (come piaceva ad Arthur Rimbaud); prendere cura di se stessi, fino al limite estremo, fermarsi in tempo. Niente di niente sarebbe troppo poco. Una via di mezzo, la saggezza. Qualche volta sbaglia, e allora succede il patatrac — è raro però, sa come fare, si conosce a fondo. Un po’ sono stati gli ammonimenti dello zio (vissuto a lungo in oriente), un po’ quei manuali indiani che ha letto, un po’ i discorsi di quel guru di passaggio. Avarizia in che senso? E la sua mamma da bambino cosa c’entra? Quelle brutte esperienza da ragazzo semmai — per questo non vorrebbe mai dei figli. Restare integri, non buttarsi via, non farsi venire l’emicrania. Meglio anche del solito copione. Quel- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 131 AVARIZIA re l’intimità fra sé e sé, senza sprechi, quel mezzo fuoco a un certo punto nella schiena. E non è neanche peccato in senso stretto — comunque meno, ha detto il confessore. Con le ragazze? Le informa in anticipo, decidano liberamente — certe non sono d’accordo, può comprenderle, pazienza. Qualcuna lo imbroglia, o vorrebbe “guarirlo”, o si confonde all’ultimo momento: con lui hanno chiuso per sempre. to 6.8. Bambini a rovescio. G iu ffr èE di Mi hanno pregato, i miei editor di chiudere tornando sui minori. Credevo di averne parlato abbastanza. Continuano a insistere però — il mercato, la famiglia, nuovi intrecci. Una cosa si potrebbe tentare: invertire i ruoli classici, spostando il dato dell’avarizia sui bambini. (a) Il piccolo Lord, ad esempio — Potremmo girare la vicenda in altro modo. Al Centro anziani di un villaggio, in Inghilterra, si presenta una mattina un vecchio signore — dignitoso, intimidito. Spiega che è venuto via dall’America perché senza nessuno al mondo, ormai: l’unico parente che gli rimanga (aggiunge) è il nipotino, ricchissimo, solo anche lui, molto tirato nei soldi, che abita lı̀ al castello, in cima alla rocca. Al Centro sapranno dargli buoni consigli. Il nonno dovrà (ecco la chiave) fare in modo di trovarsi al posto giusto al momento giusto, in occasioni varie. Il nipotino all’inizio gli sarà forse ostile, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 132 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re taccagno com’è, viste anche certe scelte sbagliate che erano state fatte, sul piano matrimoniale. Poi però …. Le cose vanno cosı̀ effettivamente. Cosı̀ cosı̀ il primo incontro: il piccolo lord che diffida (“So chi sei e cosa vuoi”), il nonno allegro e spiritoso. Già meglio il secondo: nipotino un po’ curioso, divertito da quei modi, nonno sempre più gioviale. Terzo, quarto appuntamento: alla quinta volta è il piccolo che andrà a cercare il nonno, alla stamberga, pregandolo di venire a vivere con lui. È quello che accade, e da allora in poi tutto procede per il meglio. Nuova vita al maniero. Messi alla porta certi parenti malintenzionati, generosità inedite con domestici e fittavoli. Comprensione ovunque, balli e grandi feste nei saloni: si capisce che il piccolo, non appena in età, farà testamento e lascerà tutto quanto al nonno. (b) Incompreso adesso — Scenario anche qui da rovesciare: una micro-famiglia allargata, comprendente un ragazzino, il di lui padre biologico, il patrigno (che aveva sposato la madre divorziata, morta in seguito). Il problema stavolta è che il figlioletto non riesce, per ragioni varie, a manifestare affetto se non al patrigno. Gioca solo con lui, lo cerca e lo loda in continuazione. Col padre vero è avaro di abbracci, di attenzioni. Il papà (sensibile, introverso) fa di tutto per piacergli, sempre invano però; anche la sfortuna ci si mette di mezzo: solo rimbrotti, continui malintesi. E © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 133 AVARIZIA G iu ffr èE di to re negli episodi che si susseguono le cose andranno via via peggiorando. Si arriva cosı̀ al finale. Qui terrei fermo (dico subito) il particolare di qualcuno che cade nel lago e sta per annegare. Lasciando che siano i miei editor, per il resto, a decidere. Potremmo, ad esempio, far cadere in acqua il patrigno: con il padre vero che si tuffa per salvarlo, che ci riesce, che muore però nel tentativo: e il figlio capisce a quel punto, troppo tardi, quanto in effetti lo amava. Oppure è il figlio a cadere nel lago: e a buttarsi con successo (mentre il patrigno resta lı̀ a guardare), è il padre vero, che muore di nuovo nel tentativo. O magari, sempre in quest’ultima versione, non muore nessuno: si salvano tutti quanti e vivranno per sempre felici e contenti. Si potrebbero anche girare tutti e tre i finali, lasciando che sia il pubblico a scegliere. (c) Balocchi e profumi infine — Stessa meccanica delle parti, ribaltate: c’è una mamma con poca salute, senza un soldo, sempre a casa, che al mondo ha unicamente la sua bambina, e che dipende in tutto e per tutto da quest’ultima. La bambina però se la fila poco, la sua mamma, e preferisce andare a spasso con gli amichetti. Ce n’è uno in particolare, col quale fa spesso le ore piccole. Festicciole, paninoteche, gelaterie. Un pomeriggio la mamma si ammala sul serio, ai polmoni, e il presagio di una brutta fine la spinge a esprimere un desiderio, quello di sempre: che la sua bambina le compri un profumo speciale, un’essenza francese che la donna aveva visto tante volte © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 134 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re in vetrina, e che da sola non aveva mai potuto acquistare (“Figlia — mormora la mammina — mentre pieni di pianto ha gli occhi — per la tua mammmettina — non compri mai profumi — figlia tu compri soltanto balocchi per te”). La figlia se ne infischia però, di nuovo in giro con gli amici, al minigolf, alla play-station, al parco giochi. Solo all’ultimo momento vengono ad avvertirla, disperati, che la situazione sta precipitando; è sopraggiunta una crisi, non c’è tempo da perdere. Si rende conto finalmente la bambina: corre al negozio, compra in fretta il profumo, torna a casa. Porge il pacchetto variopinto alla mamma; piangendo l’aiuta a disfare il nastro, a scartare, tira fuori la boccetta, riesce a far uscire un leggero spruzzo sul polso … “Grazie!”, mormora la mamma, ma il capo già reclina da un lato, la poveretta muore subito dopo. Alla bambina non resta che singhiozzare. Pensate che funzionerebbe? © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 8. GOLA di LUIGI CARLO UBERTAZZI di to re SOMMARIO: 1. Il vizio della gola. — 2. La sua raffigurazione in pubblicità. — 3. E la sua valutazione in diritto. — 4. L’ingordigia dei pubblicitari. èE 1. Il vizio della gola. G iu ffr Il tema è molto ampio, con mille possibili sfaccettature. Mi è stato chiesto di scriverne. Io lo faccio da giurista che ha alimentato nel tempo una vocazione agli schemi ed alle linee più che alle sfumature ed ai colori, alla semplicità del romanico più che all’ammirevole barocco del Gadda. E ne scrivo in quattro tempi: per ricordare via via l’etica della gola, la rappresentazione del vizio della gola nella pubblicità italiana e la sua valutazione in diritto, e per dedicare infine un cenno all’ingordigia dei pubblicitari. L’uomo ha bisogno di alimentarsi. È dotato di sensi che rendono piacevoli cibi e bevande: e specialmente il gusto dei sapori, ma anche l’olfatto e la sperimentazione degli aromi dei cibi, la vista dei loro colori (ad esempio della tonalità dei vini e degli spicchi di arancia), il tatto di alcuni alimenti (come © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 136 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re la pelle vellutata della pesca). E si interroga ab immemorabili sui modi e sui limiti dell’alimentazione e dei relativi piaceri. La storia dell’uomo ha elaborato su questi temi anche riflessioni e regole etiche di livello. (i) Alcune regole vietano determinati cibi (la carne di porco agli ebrei, il vino ai musulmani, la carne al venerdı̀ non quaresimale del cattolicesimo anteriore al Concilio Vaticano II); o prescrivono modi di preparazione del cibo (ad esempio kosher per gli ebrei); o prevedono momenti rituali di digiuno (il venerdı̀ santo dei cattolici, il ramadan dei musulmani); o organizzano una liturgia dell’alimentazione (e cosı̀ ad esempio le preghiere prima e dopo il pranzo). Queste prime regole mi sembrano sostanzialmente minori: in quanto mi pare abbiano motivazioni di volta in volta diverse, ma che prescindono tutte da una valutazione di necessità etica del comportamento in sé considerato. E qui mi limito invece a considerare principalmente le altre regole etiche, che riguardano la Einstellung, l’approccio dell’uomo al suo rapporto etico col cibo. (ii) Le regole morali qui considerate variano forse in qualche misura secondo i tempi, i luoghi, la concezione laica o religiosa del mondo, le diverse religioni, lo “stato” dell’individuo. Forse vi è tuttavia una larga convergenza tra le etiche laiche dell’occidente (a cominciare da quella nicomachea) e quelle delle religioni abramitiche monoteiste, anche per quanto riguarda specificamente il nostro campo della gola. Ma per parte mia assumerò qui come punto di osservazione soltanto la morale cattolica: non solo e non tanto perché è quella ai cui valori sono stato istruito; ma © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 137 GOLA G iu ffr èE di to re anche perché mi pare quella almeno ufficialmente propria della maggioranza dei cittadini italiani, e comunque di una solida minoranza di cittadini impegnati, e come tale vedremo più avanti costituisce un punto di osservazione molto rilevante nel diritto della pubblicità; senza dire che anche le etiche laiche dell’occidente sembrano radicate in molti secoli di insegnamento cristiano dei grandi valori dell’uomo. Se ben vedo le regole dell’etica cattolica relative alla gola non sono sempre state uguali per tutti. Cosı̀ ad esempio sono diversi i precetti proposti all’asceta, al monaco medievale (di cui hanno trattato ampiamente C. CASAGRANDE - S. VECCHIO, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Einaudi, Torino, 2000) ed ai laici. Sono diverse quelle che si addicono ad una società prevalentemente agricola o a quella dei servizi oggigiorno propria dei paesi industrializzati. Sono diverse quelle che si addicono al povero ed al ricco: perché il primo è per forza di cose obbligato alla continenza oggettiva dal consumo (ma non a quella soggettiva del desiderio), mentre il secondo è invitato a ricordare la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (narrata dal Vangelo secondo Luca 16, 19-31). Sono infine ancora diverse quelle della società opulenta e consumista dei paesi ricchi del nord: in cui aumenta la diffusione di malattie estreme quali l’obesità, la bulimia e l’anoressia, che a ben vedere sono il risultato di un approccio (non episodico ma sistematico) alla vita riconducibile al paradigma etico del vizio della gola; un numero importante di persone che dedicano attenzioni par- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 138 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re ticolari ai problemi della propria alimentazione non ne conoscono nemmeno le regole dell’etica e si orientano invece secondo criteri che non hanno alcunché a vedere con essa, come ad esempio quando puntano alla dieta estetica o al puro benessere del corpo (gli esempi sono di S. SCHIMMEL, The Seven Deadly Sins. Jewish, Christian, and Classical Reflections on Human Psycology, Oxford University Press, New York. Oxford, 1997, 140-141); mentre secondo la concezione cattolica le tentazioni del consumismo secolarizzato ed ateo possono essere resistite soltanto con una forte consapevolezza della scala dei valori che nella società opulenta invita i ricchi tra l’altro ad accrescere il proprio senso della misura anche per rispetto di quelli che non lo sono. Ma al di là di queste variazioni il cuore dell’etica cattolica relativo alla gola è sempre rimasto fermo: ed invita se possibile a comprendere la provenienza divina dei bisogni, dei piaceri e delle cose per soddisfare entrambi; in ogni caso a comportarsi con senso della misura e della continenza nell’uso delle cose per soddisfare (piacevolmente) i bisogni; se possibile a ringraziare Dio per la soddisfazione dei propri bisogni (panem nostrum quotidianum da nobis hodie); mentre qualifica come vizio della gola l’assunzione di cibo e bevande in quantità gravemente sproporzionata (materia grave), accompagnata da piena avvertenza e deliberato consenso, e con un comportamento inizialmente episodico che con la sua ripetizione frequente diviene un modo di vivere. Quando non esprime un’abitudine inconsapevole o un desiderio dell’art pour l’art il rispetto della © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 139 GOLA G iu ffr èE di to re regola etica è normalmente radicato in una condivisione dei suoi valori, mentre il vizio manifesta quantomeno un loro smarrimento se non un loro rifiuto. D’altro canto a partire dall’Ottocento i vizi capitali “sono considerati come la manifestazione della psicopatologia dell’uomo” e “diventano quindi malattie dello spirito” (cosı̀ la voce Vizi capitali di Wikipedia scaricata il 13.3.2009): e da questo punto di vista “i disturbi alimentari rivelano […] un vuoto di senso, una solitudine angosciante che il sapore e il calore del cibo cercano di riempire (nel senso letterale del termine)”, onde il vizio della gola può essere letto “come un tentativo di riempire un vuoto interiore, affettivo e spirituale” (cosı̀ una mail indirizzatami da p. G. CUCCI s.j., autore di Il fascino del male: vizi capitali, Roma, 2008, che tuttavia non vidi). In sintesi. Il vizio della gola implica una perdita del senso dei valori, della misura, delle proporzioni, della continenza, e riguarda anzitutto l’alimentazione. Il medesimo approccio alla vita può tuttavia riguardare anche altre “cose”: come il sesso, i denari, il potere. Per traslato si può allora parlare anche per essi di gola, e qualificare qualcuno come goloso, ingolosito, ingordo dell’uno o dell’altro possibile piacere della vita. 2. La sua raffigurazione in pubblicità. La pubblicità di cibi e bevande ha dimensioni notoriamente vistosissime. Si capisce perciò che in essa vi è tutto ed il contrario di tutto. Se le si guarda © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 140 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re dal punto di vista del vizio della gola, le pubblicità di cibi e bevande possono essere ricondotte ad alcune categorie, alcuni possibili Fallgruppen. E qui mi pare appena il caso di precisare che le categorie e gli esempi non sono esaustivi, e che tutti gli esempi che seguiranno cercano specialmente di illustrare meglio le categorizzazioni proposte, senza voler esprimere su di essi un giudizio di liceità giuridica od etica: tanto più che molte delle pubblicità ricordate sono di indubbio livello tecnico e forse anche artistico, sono caratterizzate dall’enfasi che è consueta nella comunicazione commerciale ed è immediatamente percepita come tale dal consumatore non sprovveduto, e sono spesso intonate ad un forte senso dell’ironia se non addirittura della parodia. Alcune pubblicità si limitano a descrivere (con i toni fisiologicamente piacevoli ed elogiativi propri della comunicazione commerciale) il prodotto e le sue caratteristiche. Alcuni suggeriscono per esse un modello di consumo (almeno apparentemente) moderato: e cosı̀ ad esempio, seguendo il proverbio meneghino on biccér de vin prima de la minèstra per el dottor l’è ona tempesta Activia suggerisce uno yogurt al giorno, e Actimel propone una confezione ogni mattina. Ed entrambi questi tipi di pubblicità non pongono a prima vista alcun problema di rapporti con il vizio della gola. Alcune pubblicità più vicine al nostro tema reclamizzano invece il prodotto come oggetto di un desiderio non misurato/equilibrato: ed anzi centrano tutto su questa sola “passione”. Cosı̀ ad esempio una pubblicità televisiva del gorgonzola rappre- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 141 GOLA G iu ffr èE di to re senta due investigatori, maschio e femmina, che cercano e trovano finalmente un club gorgonzola, vi entrano e vi scorgono molte persone che intingono il dito in fette abbaglianti di gorgonzola morbidissimo e lo assaporano con espressioni di estasi; l’investigatore uomo ne risulta smarrito; un anziano signore chiede ad entrambi se vogliono favorire; l’uomo dichiara di non poterlo fare perché “in servizio”; mentre l’investigatrice non sa resistere e si dedica anche lei ad assaporare il gorgonzola cremoso col dito. Morale della favola: i membri del club sono in Emmaus, e la poliziotta si getta ad assaporare il gorgonzola anche lei nonostante sia “in servizio”. Altre pubblicità ancora associano il prodotto reclamizzato ad altri piaceri della vita, e lo rappresentano come utile a conquistarli. Qui è noto e notorio che negli ultimi decenni è progressivamente dilagato l’uso pubblicitario della bellezza e della sessualità come strumento di persuasione al consumo (anche) di cibi e bevande. Questa pubblicità incarna una gerarchizzazione dei piaceri, che vede la gola in posizione sottoordinata. E certo questo tipo di pubblicità non è in linea con la concezione di fondo delle regole monastiche cattoliche altomedievali, secondo cui “il desiderio di cibo è per sostentare la natura, non per stuzzicare la gola, per supplire la necessità, non per appagare l’avidità” (cosı̀ una mia parafrasi di un brano di Lotario de’ Segni, Il disprezzo dei mondi, trascritto a p. 124 del libro poc’anzi ricordato di C. CASAGRANDE - S. VECCHIO). Altre pubblicità, infine, associano anch’esse il cibo ad altri piaceri dei sensi, ma li gerarchizzano in © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 142 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re modo da collocare la gola al loro vertice. Cosı̀ ad esempio — una pubblicità televisiva di Jaegermeister rappresenta un piano bar elegante. Due giovani uomini sono seduti in conversazione al bancone del bar con una bottiglia di Jaegermeister ed un bicchiere ciascuno. Si scambiano occhiate con una ragazza elegante. Questa percorre tutto il bar per recarsi da loro. Quando giunge loro vicina simula uno svenimento; viene immediatamente sostenuta da uno dei due giovani che le impedisce cosı̀ di cadere, mentre lei profitta del momento per impadronirsi del suo bicchiere di Jaegermeister e per berlo davanti a lui. E la pubblicità termina con il pay off “Jaegermeister: c’è sempre un perché”. Qui la morale della favola è: Jaegermeister è preferibile all’abbraccio ed al corteggiamento di un coetaneo; anzi si può fingere uno svenimento per provocare il suo abbraccio e soffiargli uno Jaegermeister; — una pubblicità televisiva di Magnum vede in sequenza un’immagine di una bella donna che cammina in una camera ed un corridoio lussuosi, mentre la sua voce suggerisce che “le brave ragazze dicono che non bisogna cedere alle tentazioni”. A questo punto la ragazza guarda dal buco di una serratura e si rivede in alcune situazioni di piacere sessuale, mentre la sua voce soggiunge “ma loro non hanno mai giocato con il mistero, non si sono mai abbandonate ai piaceri”. A questo punto la ragazza conclude che “il mio nome è Eva e adoro la tentazione”. E lo spot continua con alcune raffigurazioni molto invoglianti di Magnum, della sua composizione e del piacere di leccarlo, e termina poi con © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 143 GOLA G iu ffr èE di to re l’immagine di una confezione di Magnum e della sua scritta/pay off “nuovo Magnun Temptation”. Morale della favola: le tentazioni sono irresistibili; possono essere resistite soltanto dalle “brave ragazze”; e la tentazione di Magnum è anche superiore a quella del piacere sessuale; — una pubblicità televisiva di Campari mostra una giovane donna molto bella che al ritmo di un tango argentino lento passa in un corridoio accanto ad alcune tentazioni costituite da una proposta di divertimento a tre con sesso e droga, dal piacere di un collier di diamanti da grande regina, da un invito di una ragazza discinta ad un rapporto lesbico: ma viene sedotta soltanto da Campari Red Passion, che forse viene bevuto in solitudine, in una camera che invita a do not disturb. Morale della favola: Campari può suscitare una passione; anzi una passione senza limiti (do not disturb); e certamente una passione superiore ad altre tentazioni che pure sono molto intense; — una pubblicità televisiva di Saila mostra una macchina sportiva che arriva dai viali del parco all’ingresso di una casa grande e magnifica. Da essa esce la sua giovane padrona. Dalla macchina scende invece uno chauffeur in livrea con una scatola di mentine Saila in mano. La ragazza si scatena ad ogni possibile prodezza tra la ginnastica ed i movimenti erotici intorno alla macchina, e ne viene premiata dallo chauffeur con una mentina da lei assaporata con vero piacere. Il pay off chiude infine suggerendo che “faresti di tutto pur di averla”. E questo pay off enuncia evidentemente in modo chiarissimo la morale della favola. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 144 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re I due ultimi tipi di pubblicità sono naturalmente sempre elogiativi del prodotto e della passione che ispirano; usano parole che possono essere lette anche come indicative di tematiche proprie dell’etica (come avviene con la “tentazione” di Magnum e la “passione” di Campari); ma in realtà non fanno e non vogliono fare mai alcun riferimento ai valori dell’etica. Più in generale la pubblicità di cibi e bevande centrata sul piacere della gola è quantomeno rigorosamente laica; alle volte propone esplicitamente la trasgressione della regola etica tradizionale; spesso ha provocato una metamorfosi del linguaggio relativo alle valutazioni etiche: e cosı̀ ad esempio ha sterilizzato la parola passione, che una volta era indicativa di un eccesso, di una mancanza di misura, mentre oggigiorno è normalmente usata e percepita come espressiva di un’attenzione particolare ma non necessariamente priva di equilibrio. G iu 3. E la sua valutazione in diritto. Se ben vedo lo stato italiano non ha mai introdotto regole espressamente relative al rispetto pubblicitario dei principi etici in materia di vizi capitali. Questa circostanza non mi pare derivi necessariamente dalla scelta del modello della separazione tra stato e chiesa e dalla costruzione storica dello stato laico: perché quest’ultimo non è necessariamente indifferente ai valori della morale (religiosa o laica), ed anzi ha conosciuto forme di stato etico, e persino le sue degenerazioni tragiche incarnate dal nazifascismo e dai socialismi c.d. reali. L’assenza di clau- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 145 GOLA G iu ffr èE di to re sole statali di rispetto pubblicitario dei valori etici mi sembra abbia invece prevalentemente altre ragioni: e cosı̀ come minimo è imputabile alla fiducia del legislatore di potere regolare direttamente tutto il necessario; e come massimo (quantomeno oggigiorno) all’avere il legislatore sposato in larga misura l’ideologia del consumismo (e per corollario anche la sua valutazione di opportunità di non limitare le persuasioni pubblicitarie con clausole di rispetto delle concezioni etiche). L’assenza di regole espresse statali non corrisponde tuttavia ancora ad un’indifferenza totale ai temi dell’etica della pubblicità. La riprova è data dal sistema dell’autodisciplina pubblicitaria: che da un lato conosce clausole che in qualche misura rinviano ai codici etici religiosi o laici; e dall’altro riposa su atti di autonomia negoziale che lo stato ritiene meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. anche in parte qua rinviano in qualche misura a regole etiche. L’autodisciplina pubblicitaria conosce anzitutto alcune regole secondo cui la comunicazione rivolta ai bambini ed agli adolescenti “non deve indurre a: [...] adottare l’abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati” (cosı̀ l’art. 11 co. 2 trattino 5); e “la comunicazione commerciale relativa alle bevande alcoliche non deve contrastare con l’esigenza di favorire l’affermazione di modelli di consumo ispirati a misura”, ed in particolare “deve evitare di: incoraggiare un uso eccessivo e incontrollato, e quindi dannoso delle bevande alcoliche; rappresentare situazioni di attaccamento morboso al prodotto [...]; rappresentare come valore negativo la sobrietà” (cosı̀ l’art. 22 co. 1 e 2). Queste regole prescrivono © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 146 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re l’astensione da pubblicità che propongano modelli di consumo non “ispirati a misura”. Con ciò essi sembrano avere qualcosa in comune con le regole dell’etica su virtù e vizi che raccomandano misura e continenza, e cosı̀ dunque anche con quella che qualifica la gola come un vizio. A ben vedere, in realtà, la regola autodisciplinare e quella etica qui considerate hanno in comune soltanto l’obiettivo, costituito dalla misura, ma divergono nella motivazione, nella ratio della sua prescrizione: perché la regola etica si propone il miglioramento valoriale dell’uomo, mentre quella autodisciplinare vuole evitare i pericoli per la salute anzitutto fisica dell’individuo. L’art. 10 del codice di autodisciplina stabilisce inoltre che “la comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini”. L’art. 10 non è naturalmente una regola etica ma una clausola giuridica di matrice negoziale (radicata nell’autonomia privata e nella sua tutela ex art. 1322 c.c.). L’art. 10 ha certo un rapporto con l’etica, ma è un rapporto che appare subito molto debole: anche perché non vieta il vizio della gola ma soltanto alcune delle pubblicità che lo riguardano; non proibisce qualsiasi comunicazione commerciale che raffiguri o addirittura promuova il vizio della gola, ma soltanto gli annunci che offendono le convinzioni altrui relative ad esso; non vuole dunque rafforzare una regola etica ribadendola con un’obbligazione di matrice contrattuale, ma vuole soltanto proteggere direttamente le convinzioni altrui in materia di morale ed indirettamente gli interessi dei pubblicitari; non introduce il suo divieto per ragioni di militanza e di missionari- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 147 GOLA G iu ffr èE di to re smo etico, ma soltanto (lo ripeto) per proteggere gli interessi della pubblicità, e cioè gli interessi della categoria degli operatori pubblicitari ad evitare che i loro “mestieri” siano screditati, per le conseguenze negative che ciò potrebbe comportare loro specialmente in termini economici e sociali. D’altro canto, e come è naturale in una società pluralista e ormai caratterizzata da una lunga storia di radicamento del diritto dell’uomo alla libertà di scegliere e professare la religione preferita, la regola qui considerata dell’art. 10 protegge tutte le convinzioni etiche, anche se non sono proprie della maggioranza dei cives, e purché non siano espressione di minoranze patologiche: e dunque protegge in particolare anche la religione e l’etica cattoliche qui considerate. L’art. 1 del codice di autodisciplina prescrive ancora che “la comunicazione pubblicitaria deve essere onesta, veritiera e corretta”. Questa clausola generale si riferisce in particolare anche all’onestà. Con ciò essa sembra a prima vista la regola più vicina al tema del rilievo dell’etica nella pubblicità, e più precisamente quella che più direttamente potrebbe qualificare come illecito autodisciplinare una pubblicità che raffiguri elogiativamente o persuada al consumo esagerato (e vizioso) di cibi e bevande. A ben vedere l’interpretazione dell’art. 1 ha tuttavia depotenziato il possibile riferimento all’etica: ed ha visto nella clausola dell’onestà un “riferimento ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico e della coscienza etica-sociale (Giurı̀ dell’Autodisciplina pubblicitaria 51/85, 32/78)” (cosı̀ TESTA, nel commento all’art. 1 c.a., in UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e con- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 148 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re correnza, IV ed., Cedam, Padova, 2007, 2055): secondo una linea non isolata ma anzi molto diffusa nell’interpretazione di clausole giuridiche generali, e cosı̀ ad esempio anche nella lettura della clausola dei principi della correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c., che ha da tempo abbandonato le concezioni di questa regola come centrate in tutto o in parte sulle concezioni etiche. Certo è comunque che sino dalla massima di ULPIANO (Dig. 1, I, 10) riprodotta sul frontone del palazzo di giustizia milanese — e secondo cui iuris precepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere — il rinvio all’onestà sembra riferito ai comportamenti che incidono nei rapporti interpersonali più che a quelli puramente privati. E la clausola dell’onestà pare allora lasciare pochi spazi per qualificare come illecito autodisciplinare una strumentalizzazione del vizio della gola alla persuasione pubblicitaria al consumo. L’art. 1 del codice di autodisciplina impone infine alla pubblicità di “evitare tutto ciò che possa screditarla”. Questa clausola generale costituisce la matrice da cui sono tratte alcune specificazioni, quali in particolare i divieti dell’art. 10. L’applicazione della regola puntuale dell’art. 10 esclude quella della norma generale dell’art. 1. E la regola del divieto del discredito pubblicitario mi pare non aggiunga dunque alcunché sul piano dei rapporti tra etica della gola e comunicazione commerciale. In sintesi il codice di autodisciplina offre qualche spazio, anche se molto angusto, ad una possibile valutazione etica del contenuto della pubblicità di cibi e bevande. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 149 GOLA G iu ffr èE di to re Questa offerta mi sembra tuttavia sia rimasta sin qui sostanzialmente teorica. Anzitutto se ben vedo il Giurı̀ non ha sin qui adottato alcuna decisione di accertamento di illiceità autodisciplinare della pubblicità per contrasto con le concezioni etiche relative alla gola. Ancor più significative possono poi essere forse le ragioni di questo mancato intervento: e qui mi pare ragionevole pensare in primis che i casi di violazione reale della regola etica siano sostanzialmente modesti; comunque anche per essi gli interessati non abbiano proposto al Giurı̀ le istanze del caso; e la secolarizzazione ed il consumismo abbiano aumentato il livello di accettazione dell’utilizzo della raffigurazione della disobbedienza alla regola etica come strumento di persuasione al consumo. Il carattere teorico del riferimento del codice di autodisciplina alla regola morale mi pare infine confermato in qualche modo anche da un sondaggio di opinioni che ho svolto quest’anno con la “classe” dei miei studenti universitari pavesi. In questo sondaggio un primo gruppo di domande ha riguardato il rapporto tra le regole etiche centrali e l’autodisciplina pubblicitaria, ed ha posto tre domande successive, per chiedere se l’esortazione pubblicitaria al vizio della gola era considerata dagli studenti come una violazione dell’art. 10, o del precetto dell’onestà previsto dall’art. 1 c.a., o come un inadempimento alla regola dell’art. 1 c.a. secondo cui “la comunicazione commerciale [...] deve evitare tutto ciò che possa screditarla”: ed a tutte e tre queste domande successive una larga maggioranza dei miei studenti ha risposto negativamente. Un secondo gruppo di © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 150 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re quesiti ha riguardato invece il rapporto tra l’autodisciplina pubblicitaria e le regole etiche relative al cibo che ho poc’anzi qualificato come (secondo me) meno centrali, ed ha chiesto in particolare una valutazione dei rapporti tra l’autodisciplina ed una pubblicità ipotetica che proponga ad un musulmano di bere alcolici o ad un ebreo di mangiare carne di porco: e qui la maggioranza dei miei studenti ha ritenuto che questa pubblicità contrasterebbe con tutte e tre le regole dell’art. 10, dell’onestà, e del divieto del discredito della pubblicità. Questo sondaggio non è stato naturalmente condotto con l’osservanza di tutti i criteri messi a punto dalla sociologia per la verifica quantitativa delle opinioni. I suoi risultati mi sembrano tuttavia ciononostante indicativi di una linea di tendenza che potrebbe essere seguita anche al di fuori della mia classe di studenti. Essi confermano ancora una volta il carattere probabilmente teorico del raccordo possibile tra il codice di autodisciplina e la regola etica che vieta il vizio della gola. Mentre d’altro canto prenderei atto che i miei studenti sembrano apparentemente ritenere più grave l’esortazione ad un consumo di cibi ed alimenti in contrasto con le regole etiche che a me sembrano invece minori. Resterebbe da chiedersi se vi sia spazio per una “resurrezione” della regola etica anche nell’applicazione del codice di autodisciplina. Per parte mia mi esimo dal dare qui una risposta. E mi limito invece ad osservare che la sopravvivenza ed il rigoglio dell’etica sono affidati non tanto alle regulae iuris ed alla loro applicazione coattiva quanto piuttosto o © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 151 GOLA comunque specialmente all’istruzione, alla formazione ed alla cultura. 4. L’ingordigia dei pubblicitari. G iu ffr èE di to re Già si è detto che il vizio della gola è un’abitudine di mancanza di misura nell’assunzione di cibi e bevande. Per traslato è tuttavia qualificabile e qualificato come ingordo anche chi ha abitudini non misurate in campi diversi dall’alimentazione. E qui mi chiedo allora se possano essere qualificate come ingorde/viziose anche alcune attività degli operatori pubblicitari diverse dall’induzione a consumi alimentari non equilibrati. E penso qui in particolare all’abitudine di alcune imprese di taluni settori merceologici alla violazione sistematica delle regole (anche) autodisciplinari (e cosı̀ ad esempio al quantitativo di pubblicità ingannevoli nel campo della telefonia ed alla tendenza alla pubblicità occulta che pervade il settore dei prodotti cosmetici); al mordi e fuggi della pubblicità che inizia con un illecito consapevole, conquista con esso una quota di mercato, e subito si ferma alla prima “diffida”; e alla ostensione sistematica di messaggi pubblicitari in luoghi pubblici non aperti/consentiti alla pubblicità. A prima vista sembra ragionevole caricare le tre attività ora dette di un giudizio di disvalore morale: perché mi pare vi sia un precetto etico generale che impone il rispetto delle regole giuridiche non eticamente scorrette, e perché quelle che vietano i tre atti ingordi qui considerati appaiono eticamente ragionevoli. Le attività qui considerate sono tutta- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 152 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re via già qualificate illecite dal diritto anche prima ed a prescindere dalla loro valutazione etica. È da chiedersi allora che cosa aggiunga in diritto la loro qualificazione in termini di disvalore etico. A prima vista si potrebbe rispondere: nulla. A ben guardare la qualificazione dell’ostensione sistematica della pubblicità in luoghi non consentiti dalla collettività come una violazione delle regole autodisciplinari qui considerate potrebbe avere due effetti rilevanti sul piano dell’applicazione del codice di autodisciplina: perché ricondurrebbe ad esso anche questo comportamento pubblicitario, e d’altro canto legittimerebbe il Comitato di controllo e “chiunque ritenga di subire pregiudizio” dall’attività pubblicitaria qui considerata ad agire avanti al Giurı̀ per la repressione dell’illecito. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 9. LUSSURIA re di MAURIZIO FUSI G iu ffr èE di to Confesso che la dottrina cristiana non è mai stata il mio forte, e dai tempi in cui mi preparavo alla prima comunione son passati tanti di quegli anni che la mia memoria catechistica si è ormai spaventosamente sbiadita. Il discorso vale, ça va sans dire, anche per i peccati capitali: dei quali l’unica cosa che so con certezza è che sono sette, riuscendomi invece già più difficile enumerarli tutti senza fare sbagli. Per non dire che per alcuni, come ad esempio per l’accidia, mi è ancor oggi un po’ vago persino in cosa esattamente consistano. In questo deplorevole stato d’ignoranza di un solo vizio ho un’idea abbastanza precisa: ed è la lussuria, ossia la brama di piaceri carnali. Della quale ben difficilmente potrei dimenticarmi non fosse altro perché anch’io, come credo tutti o quasi tutti, di quella brama sono stato spessissino (e nonostante l’età sono a volte tutt’ora) colpevole preda. Del resto ho l’impressione che — diversamente dalla maggior parte degli altri vizi capitali come l’invidia, l’avarizia e la stessa accidia che paiono in qualche modo connaturati all’indole e al modo d’essere delle persone — la lussuria abbia © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 154 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re invece, se cosı̀ mi è permesso esprimermi, un’origine soprattutto fisiologica e in quanto latente in ogni essere umano possa affiorare quando meno ci se l’aspetta anche nei soggetti più morigerati e virtuosi: in altre parole, mi sembra più che altro un problema ormonale e agli ormoni non è facile comandare. Pur essendomi chiaro per grandi linee cosa la lussuria sia, ho tuttavia non poche incertezze sui suoi confini, cioè su dove cominci e su dove finisca. Perché, se non c’è dubbio che attenga alle cose del sesso e in qualche modo si identifichi con la morbosa ricerca nonché con la pratica d’ogni sorta di libidinosa lascivia, e quindi con la dissolutezza, la depravazione, la perversione, la ginecomania, la ninfomania, il priapismo, la satiriasi, il sadismo, il masochismo, la sodomia, il tribadismo e i riti satanici, mi è meno chiaro in che rapporto si ponga con l’erotismo e la pornografia, e soprattutto se includa anche l’impudicizia, l’inverecondia e la licenziosità che — conveniamone — rendono cosı̀ piacevoli le liaisons galantes. O, più semplicemente e per dirla in termini da caserma (del che chiedo venia), a che punto una salutare copula si trasformi nella peccaminosa lussuria. Della lussuria ho insomma una nozione molto sommaria, anche se, in definitiva, troppi distinguo e sottigliezze fanno probabilmente solo perdere tempo perché, a prescindere dal significato strettamente teologico, sembra indubbio che nel vissuto popolare il nostro peccato sia inteso con riferimento non tanto all’atto sessuale come tale o al desiderio che normalmente lo precede quanto piuttosto a © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 155 LUSSURIA G iu ffr èE di to re quell’indefinito insieme di pruriti concupiscenti e di comportamenti fra il malsano e il corrotto che la mia nonna accomunava sotto l’etichetta “tutta roba da sporcaccioni”. E che quel pilastro di saggezza di questo nostro terzo millennio che è Woody Allen sintetizza domandandosi: “Is sex dirty?” e rispondendo: “Only if it’s done right”. Bene. Se è questa la prospettiva, qualcuno potrebbe chiedersi se la lussuria non sia per caso uno dei principali tratti fisionomici della pubblicità commerciale. È un interrogativo che può venire spontaneo soprattutto di fronte ai calendari che reclamizzano marche di pneumatici o candele d’accensione per motori a scoppio e rallegrano le pareti di ogni autofficina che si rispetti, i quali sono effettivamente veri e propri peana ai più lubrichi e scostumati appetiti di godimenti venerei, mostrando ragazze procacissime pressoché ignude i cui sguardi, posizioni e atteggiamenti maliziosi, sensuali e provocanti indurrebbero a pensieri impuri persino il più casto monaco di clausura. A me questi calendari piacciono moltissimo, mentre aspetto che il meccanico mi restituisca la macchina li stacco dalla parete per sfogliarli con malcelato interesse, ed è questa la ragione per cui, a parte la spesa, trovo non totalmente sgradevole farmi sostituire la batteria. Anche se devo riconoscere che spesso sconfinano nel lussurioso. Tuttavia mi chiedo: possono i calendari degli elettrauto davvero considerarsi lo specchio della pubblicità o non rappresentano piuttosto una forma di comunicazione che esaurisce i suoi effetti nell’ambito di un target composto da lavoratori di sesso maschile non particolarmente acculturati e mossi da © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 156 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re primordiali ma sane pulsioni goderecce? Io opterei per questa seconda ipotesi, pur se non posso escludere che qualcuno sostenga che sono invece solo la punta di un iceberg, dal momento che il tema del sesso è in varia misura presente in quasi ogni genere d’annuncio commerciale per qualsivoglia tipologia di prodotto, inclusi quelli che coi piaceri erotici nulla hanno a che vedere come i servizi bancari, i detersivi per stoviglie o i rimedi contro la stitichezza. Ma nei quali, al pari di quanto accade per beni o prestazioni aventi maggiori attinenze con le attività sessuali, il richiamo più o meno scoperto o più o meno allusivo a tette, cosce, sederi, ombelichi, come pure a mutandine e reggicalze, rappresenta un ingrediente pressoché costante e quasi obbligatorio del messaggio. O, se non a seni e giarrettiere, ai muscoli pettorali e addominali nonché ai glutei di vigorosi maschioni o di ambigui efebi, dal momento che il mercato comprende, oltre agli eterosessuali, anche gli homos, ciò che non può certo considerarsi un portato della società contemporanea se è vero che lo stesso padre Dante nel settimo girone del Purgatorio faceva camminare nel fuoco i lussuriosi divisi in due schiere, a seconda, appunto, che fossero rispettivamente secondo o contro natura. E anche qui senza distinzione di ruoli; perché, come un diavolo faceva osservare al divino poeta che protestava: “Ma io sono Dante!” indignato per essere stato scambiato per sodomita e sottoposto alla relativa pena, “Guardi che da noi, Dante o Prendente, la punizione è sempre la stessa”. Quest’ultimo episodio — è appena il caso di avvertire — non appartiene alla Divina Commedia ma a una vecchia © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 157 LUSSURIA G iu ffr èE di to re barzelletta anch’essa un po’ da caserma, del che mi scuso nuovamente. Ma è lo stesso argomento della lussuria, nonostante le buone intenzioni, a far inevitabilmente sconfinare nello scurrile. Superato il primo impatto dei calendari osé, però, alcune considerazioni si impongono. Anzitutto che non necessariamente il richiamo a tette o chiappe ricade nella lussuria. O meglio: ci ricade se uno le ha sempre in mente, ma non in circostanze normali. Il problema è dunque molto soggettivo, come nel caso di quel signore che, assatanato dal sesso, va dallo psichiatra il quale lo sottopone a una specie di test di Rorschach. Disegno di un rettangolo: “Cosa le suggerisce?” chiede il medico. Paziente: “Mi sembra chiaro, dottore, questo è un letto, sopra c’è una magnifica ragazza, nuda, arrivo io e me la faccio più volte …”. Lo psichiatra non dice niente. Secondo disegno: due rettangoli. “E questo?”. “Ma dottore, è ancora più evidente, due letti gemelli, sul primo una bionda, sull’altro una bruna, nude entrambe, arrivo io e passando dall’una all’altra me le faccio ripetutamente …”. Lo psicanalista tace ancora, sospira, e tira fuori un terzo disegno: un cerchio con all’interno dodici circoletti. “E qui, cosa ci vede?” “Ma è elementare, dottore: il cerchio è una piazza, i circoletti dodici alberi disposti intorno, dietro ogni albero c’è una ragazza, tutte nude, arrivo io e di albero in albero faccio varie volte il giro della piazza passandomele una via l’altra …”. Il medico a questo punto sbotta: “Ma lei non pensa che a questo?”. “Per forza, dottore — replica il paziente — Finché lei continua a mostrarmi disegni pornografici!”. I famosi rapporti fra © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 158 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re sesso, pornografia e lussuria continuano a restarmi un po’ oscuri, ma quel signore — si deve ammetterlo — non era del tutto normale. Una seconda osservazione è per sottolineare come, se non si può negare che i messaggi commerciali presentino spesso un notevole spiegamento di nudità o indugino più del necessario su particolari anatomici decisamente allettanti, è anche incontestabile che, di solito, lo fanno in modo abbastanza soft, con un certo buon gusto e misura, astenendosi dal rappresentare situazioni boccaccesche, carnasciali, ammucchiate e mai o quasi mai scadendo nell’osceno. Se ciò derivi dal senso di responsabilità di chi realizza gli annunci o dal timore di passar dei guai non saprei dire; ma è certo, stando a quel che si vede in giro, che il modo di essere della società attuale è alquanto più scollacciato, sbracato e inverecondo di quanto la pubblicità ci presenta; sicché, se un rimprovero le si può muovere è semmai quello opposto, cioè di tenere una irrealistica posizione di retroguardia, mostrando una società ordinata e idilliaca che non esiste: famigliole lietamente riunite a far la prima colazione, giovinetti sorridenti, rispettosi dei genitori e solleciti verso gli anziani, automobilisti non ubriachi che si fermano al rosso e, quanto al sesso, molto molto meno ed in modo decisamente meno cruento e volgare di quello abitualmente oggi praticato. Tanto che, a ben vedere, gli stessi calendari delle autofficine potrebbero essere proposti come testi di bon ton alle allieve delle Orsoline. Non ho alcuna pretesa di erigermi a Catone e tuonare contro il degradante rilassamento dei costumi cui stiamo assistendo, anche perché — © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 159 LUSSURIA G iu ffr èE di to re se vogliamo — la storia dell’umanità presenta al riguardo un curioso andamento ondulatorio (e basti pensare al settecento libertino cui fa seguito il rigore vittoriano, seguito a sua volta dall’odierno sfascio: nihil sub sole novi, fra la Justine di Donatien Alphonse François marchese de Sade e la Valentina di Guido Crepax non ci sono poi molte differenze): ma è certo che, almeno in fatto di lussuria, non è sicuramente la pubblicità che merita di sedere sul banco degli imputati, perché al massimo fotografa la società contemporanea e per di più in forma non esasperata. Un’altra considerazione, infine, per osservare come, anche a voler per assurdo vedere in ogni riferimento pubblicitario al sesso un invito alla lussuria, non si tratterebbe comunque di un vizio della pubblicità ma solo, semmai, di uno strumento cui, vista l’indubbia grande popolarità dell’argomento, questa ricorre per attrarre l’attenzione della gente, renderle gradevole il messaggio e spingerla a comperare il prodotto pubblicizzato. Per cui, se proprio di peccato capitale si volesse parlare, non sarebbe la pubblicità come tale a rendersene autrice, limitandosi essa al massimo a suggerirlo a coloro cui si rivolge: e quindi, in definitiva, un peccato di serie B, allo stesso modo che l’istigazione a commettere un reato è considerata un illecito meno grave della commissione del reato stesso. Tutte queste precisazioni mi sono sembrate, oltre che opportune per inquadrare le interrelazioni fra lussuria e pubblicità, anche doverose. Infatti, dai tempi in cui veniva ancora chiamata réclame e tutto ciò che se ne diceva era che “è l’anima del commer- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 160 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re cio”, essa è stata caricata e imputata di tante responsabilità, di tante colpe, di tante perversioni e di tante malefatte da far considerare, al confronto, lo spaccio di stupefacenti alla stregua di un innocuo passatempo per signorine di buona famiglia. La si è accusata di perenne disinformazione e ingannevolezza, di manipolazione e condizionamento dei suoi destinatari, d’esser causa del deterioramento dei costumi, d’aver provocato la caduta dei valori individuali, famigliari e collettivi, dell’indebolimento dei più elementari principi etici immolati sull’altare di uno sfrenato consumismo, per non dire della sua pervasività, invadenza e violazione della privacy personale e della costrizione a sciropparsi interminabili serie di spot sui servizi di telefonia mobile e sui dentifrici anticarie a chi vuol vedersi per intero un vecchio film della serie di Don Camillo e Peppone (ciò che, per inciso, credo ben pochi desiderino avendo tutti noi visto quelle pellicole almeno venti volte tanto da conoscerle a memoria. Meglio passare sul Grande Fratello). Non intendo mettermi a discutere, sia ben chiaro, delle cosiddette responsabilità sociali della pubblicità, delle quali si è tanto blaterato in tutte le salse negli ultimi cinquant’anni da rendere inutile e di pessimo gusto, oltreché fuori tema, parlarne ancora in questa sede. Mi si lasci però dire che sarebbe sommamente ingiusto, infondato e persino ridicolo aggiungere a quella serie di accuse anche quella di propagandare e fomentare la lussuria sol per il fatto di mostrare giovani donne poco vestite e di coscia lunga. Le quali potran forse ridestare lubriche concupiscenze in chi morbosamente vede ragazze nude © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 161 LUSSURIA G iu ffr èE di to re dappertutto come il signore fissato che consultava lo psicanalista, ma non nelle persone normali. Né del resto potrebbe pretendersi che, al posto delle appetitose fanciulle in minigonna, la presentazione dei prodotti fosse affidata a matrone cellulitiche e baffute. Della saggezza popolare espressa dai proverbi ho il massimo rispetto, ma sono convinto che “donna baffuta sempre piaciuta” non la rispecchi e sia la pietosa invenzione di qualcuno per consolare una cara congiunta — probabilmente una zia zitella — dalla quale gli uomini si tenevano alla larga perché affetta da mustacchi. E quindi, vivaddio, prosciogliamo questa bistrattata pubblicità almeno dall’accusa di incentivare il libertinaggio perché, oltre a rappresentare una forzatura, obiettivamente non la meriterebbe. In un’ottica inevitabilmente deformata dai miei quasi sessant’anni d’avvocatura nello specifico campo del diritto della comunicazione d’impresa, vorrei anche aggiungere che il colpevolizzare la pubblicità d’istigazione alla lussuria sarebbe anche privo di basi giuridiche, dal momento che nessuna norma, né dell’ordinamento dello Stato né dell’autodisciplina pubblicitaria, proibisce, reprime o comunque considera negativamente l’advertising che strizza l’occhio al sesso. Alcuni divieti reperibili nella legge e nelle regole autodisciplinari, come quelli riguardanti l’oscenità e l’indecenza, o le offese alla dignità della persona e alle convinzioni religiose e civili della collettività, o preordinati alla tutela dei minori, coprono è vero aree assai prossime e in molti casi decisamente contigue all’argomento di cui mi sto occupando, ma non vi si iden- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 162 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re tificano né possono essere confusi con esso. Sicché tutto quel che si può dire al riguardo è che alcune di tali norme potrebbero essere utilizzate per colpire le pubblicità che avessero il pessimo gusto di visualizzare o addirittura esaltare comportamenti e pratiche da sporcaccioni, fermo restando però che l’illiceità deriverebbe dalla loro accertata oscenità, indecenza, ripugnanza, contrarietà alle convinzioni collettive e pericolosità nei confronti di fanciulli e adolescenti, ma non dalla loro attinenza alla sfera delle brame carnali. Si tratta — è quasi superfluo insistervi — di due problematiche differenti, in qualche occasione interconnesse le une alle altre, ma appartenenti a due diverse sfere. Le quali, benché nella storia dell’umanità siano state talvolta commiste (si pensi alle streghe arse sul rogo, ai tribunali dell’Inquisizione e in definitiva alla commissione Mc Carthy), è essenziale per il bene di tutti mantenere rigorosamente separate. Per lo stesso motivo, pur se la mia suaccennata deformazione professionale mi invoglierebbe a farlo, rifuggo dall’addentrarmi nella non numerosissima ma tuttavia cospicua casistica, soprattutto autodisciplinare, in qualche modo correlata ai rapporti fra pubblicità e lussuria. Mi limito a ricordare che i problemi presi in esame dalle varie decisioni non hanno mai riguardato la natura più o meno lussuriosa dei messaggi, perché, come ho già detto, nessuna norma vieta la pubblicità basata sulla lussuria e del resto i nostri amici pubblicitari sono in genere molto attenti nell’evitare eccessive insistenze sul tema. Qualche sconfinamento dai limiti del buon gusto se non proprio della morale tuttavia vi fu, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 163 LUSSURIA G iu ffr èE di to re accostamenti lubrichi e volgarmente allusivi come pure disturbanti scene di fornicazione o autoerotismo vennero condannati, e in particolare non ho dimenticato (perché lo difesi io) lo spot per un profumo che visualizzava una coppia impegnata in giochi corporali da contorsionisti verosimilmente ispirati al Kamasutra, del quale il Giurı̀ però dispose solo la programmazione dopo le 22,30, non già in quanto lussurioso ma perché di solito prima di quell’ora i bambini non sono ancora andati a nanna. Sull’argomento, del resto, la giurisprudenza del Giurı̀ è stata sempre intelligentemente liberal: “Dovendosi escludere che la tematica sessuale sia, in sé, contraria a principi codificati e non riscontrandosi nella pur inequivocabile allusione all’intimità fisica che l’annuncio porge alcun tratto di volgarità o indecenza che possa offendere la sensibilità del consumatore dei nostri giorni …. — si leggeva nella motivazione della sentenza resa in uno dei leading cases in tema di “donna-oggetto” che per almeno due decenni rappresentò una delle più scottanti issues dibattute avanti la giustizia autodisciplinare — … la censura, probabilmente influenzata da un residuo di irrisolto imbarazzo di fronte alla rappresentazione delle cose del sesso, non sembra fondata”. E concludeva: “La qualità dell’evocazione, certo, è solo fisica; ma non è indispensabile che un annuncio pubblicitario parli anche dello spirito, basta non avvilirlo”. Si trattava anche qui della campagna per un profumo maschile che il claim presentava come arma di seduzione. Eravamo negli anni ’80, e anche questa l’avevo difesa io. A questo punto ho l’impressione di non aver più © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 164 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re molto da dire sui possibili nessi fra lussuria e pubblicità, i quali — lo si sarà capito — non mi sembrano particolarmente intensi. Cosı̀ come si sarà pure intuito che — fino a quando non degenerino in perversione e siano trattate con garbo — vedo le birichinate sessuali, incluso quel poco di esse che può esser mostrato in pubblicità, con un certo occhio di simpatia. E ad esser sincero non me ne vergogno affatto: cosa volete mai, sono decisamente già parecchio in là negli anni e nessuno ama la vita quanto l’uomo che sta invecchiando, che è poi la stessa cosa che con maggior realismo diceva Virginia Woolf: “più uno diventa vecchio più ama le indecenze”. Non vorrei però essere frainteso: non è che l’età ci trasformi in vecchi porcelloni; è solo che, pur non facendone un dramma, a un certo punto della vita si comincia a percepire che ogni secondo scandito dalle lancette avvicina alla fine. E poiché andarsene nel migliore dei modi è un’aspirazione legittima, non si può fare a meno, pur se sto un po’ esagerando con le citazioni, di ricordare questa volta Ovidio: “O felice chi si consuma nelle battaglie di Venere! Voglia il cielo che sia questa la causa della mia morte!”. Effettivamente dev’essere un modo tutt’altro che spiacevole, probabilmente il meno squallido, di tirar le cuoia. Certamente meno squallido e spiacevole che venir travolti da un motociclista che si è fatto di droga mentre si sta attraversando la strada sulle strisce pedonali. P.S.: Non posso fare a meno di riaprire il discorso per riferire un fatto curioso. Alcune sere fa © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 165 LUSSURIA G iu ffr èE di to re avevo appena finito di buttar giù queste note e mi ero seduto in poltrona davanti al televisore quando, nel far zapping tentando di dribblare le pubblicità più noiose, mi sono imbattuto in uno spot che m’ha fatto fare un salto. Perché, dopo aver scritto in lungo e in largo sugli intrecci fra advertising e lussuria, per la prima volta mi trovavo di fronte, in carne e ossa, a un telecomunicato che utilizzava alcuni vizi capitali, fra cui manco a dirlo la lussuria, come reason why del messaggio. Prodotto pubblicizzato un modello d’autovettura Chevrolet le cui varie caratteristiche venivano volta a volta accostate a questo o a quel vizio senza neppure la consueta licenziosa mediazione di incantevoli glutei femminili o di mascolini bicipiti, ma in forma diretta e quasi brutale, visualizzando la macchina accanto al nome del peccato in block letters, cosı̀ da non lasciar dubbi sull’intenzione di identificare il prodotto con la lussuria, la gola, e via discorrendo. Purtroppo, nonostante il mio girovagare per diversi giorni fra gli station breaks di RAI e Mediaset, non sono riuscito a registrarlo e neppure a rivederlo. E forse, tutto sommato, che non l’abbia trovato ha scarsa importanza, sembrandomi probabile, almeno per quanto riguarda la lussuria, che i suoi ideatori intendessero riferirvisi non tanto nel suo primario significato di sfrenata brama di piaceri carnali (difficilmente persino ai più sessualmente deviati può venire in mente d’andare a letto con un’automobile) quanto piuttosto nell’accezione secondaria e poco usata di “vivere nel lusso” che pure qualche dizionario riporta. Tuttavia l’episodio potrebbe aprire nuovi scorci su ulteriori connessioni © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 166 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re della pubblicità con i vizi capitali e in particolare con la lussuria, chi mai può dirlo? E in ogni caso resta la stranezza della coincidenza. Quando si dice le combinazioni!… © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 10. I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v di PAOLINA TESTA di to re SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Il primo vizio capitale: l’ingannevolezza. — 3. Falsità e mancanza di trasparenza. — 4. Gli asterischi. — 5. I super. — 6. Una parentesi. — 7. Il destinatario indifeso. — 8. Il secondo vizio capitale: il mancato rispetto degli altri. — 9. Il terzo: l’aggressione al patrimonio imprenditoriale altrui. èE 1. Premessa. G iu ffr Dei Vizi Capitali intesi in senso proprio, e dei loro rapporti con la pubblicità e con le norme che la disciplinano, si sono già magistralmente occupati gli Autori che hanno accettato di contribuire a questa strana opera, di incerta collocazione fra il diritto, la storia e la sociologia (ma proprio questa dovrebbe essere la sua particolarità e, mi auguro, la sua specifica attrattiva). Non penso di essere in grado di aggiungere qualcosa di interessante, utile o anche solo sensato a quanto è già stato detto, e quindi provo a cambiare prospettiva. Non mi occuperò di Vizi Capitali e pubblicità, ma dei vizi capitali della pubblicità: la differenza di prospettiva, non sarà sfuggito al lettore, è rappresentata dall’uso delle iniziali minuscole anziché maiuscole; i “vizi capitali” della pub- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 168 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re blicità, in una prima approssimazione, sono i difetti, i difetti gravi, che affliggono la pubblicità. L’ambito di indagine potrebbe essere vastissimo: si potrebbe dire, ad esempio, che il primo vizio capitale della pubblicità, soprattutto televisiva, è di essere quantitativamente eccessiva: di occupare non solo i tradizionali station breaks, o intervalli pubblicitari, ma di invadere persino i campi di calcio (o meglio, le riprese televisive dei campi di calcio), di interrompere sul più bello, anche se per pochissimi secondi, lo svolgimento di una gara di motociclismo o di Formula 1; di presentarsi, sotto forma di lecito product placement, nel bel mezzo di un film, e fra breve anche di uno spettacolo di intrattenimento. Ma io non sono un sociologo, un esperto di comunicazione o un opinionista; sono solo un avvocato, e penso che le mie opinioni personali interessino a pochi; prendo atto che la tendenza legislativa, anche a livello comunitario, è nel senso di ampliare gli spazi dedicati alla pubblicità; e cosı̀ mi chiedo solo se i limiti posti dal testo unico della radiotelevisione siano stati rispettati, e se l’inserimento del prodotto in un film, o in uno spettacolo di intrattenimento, sia stato effettuato nel rispetto di quanto prescrive la legge. Si potrebbe anche dire che un altro vizio capitale della pubblicità è di non sapersi rinnovare, di essere scarsamente creativa: ma, sempre per i motivi di cui sopra, mi permetto di valutare la creatività di un messaggio pubblicitario solo per verificare se questo sia proteggibile nei confronti dell’imitazione da parte di terzi, ai sensi dell’art. 13 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, o se possa a sua volta formare oggetto di un’accusa © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 169 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re di imitazione, sempre alla luce della stessa norma. In casi più rari, mi permetto di valutarne la creatività ai fini di una eventuale proteggibilità in base al diritto d’autore; più rari perché, si sa, agenzie e utenti di pubblicità sono piuttosto restii a chiedere la protezione d’autore ai tribunali; i quali, dal canto loro, sono piuttosto restii a concederla. Insomma, sono un grigio giurista positivo che si occupa di pubblicità, e questo mi impone di parlare di vizi capitali della pubblicità nell’unica ottica che mi è realmente familiare, e nella quale riesco a muovermi a mio agio: quella della disciplina giuridica della pubblicità. Dunque: vizi capitali della pubblicità uguale illeciti pubblicitari. Una rassegna delle norme esistenti, allora, e della relativa casistica? Non esattamente. Nella storia del cattolicesimo, il sistema dei Vizi Capitali risponde ad un’esigenza di ordine, di classificazione: l’universo del male è ordinato gerarchicamente, e gli innumerevoli peccati di cui il genere umano si può rendere colpevole sono comunque riconducibili all’uno o all’altro dei sette peccati maggiori, i sette Vizi Capitali (rinvio sull’argomento a C. CASAGRANDE e S. VECCHIO, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel medioevo ed età moderna, Einaudi, Torino, 2000; e in questo volume a C. CASAGRANDE, I sette vizi capitali: genesi e fortuna). Ma l’esigenza di classificazione è tipica anche del diritto, ed è una tentazione ricorrente per chi di diritto si occupa; mi sono chiesta allora se non fosse possibile ricondurre gli illeciti pubblicitari ad alcune tipologie fondamentali, da considerarsi, appunto, i vizi capitali della pubblicità. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 170 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re Gli illeciti pubblicitari sono molti: li troviamo elencati, in primo luogo, nel codice di autodisciplina, nel codice del consumo e nel decreto legislativo 145/2007; ma li troviamo anche sparsi, qua e là, nelle innumerevoli leggi speciali che disciplinano i vari aspetti della commercializzazione di questo o quel prodotto (si pensi agli alimenti, o ai farmaci, o ai cosmetici) o servizio (si pensi, per tutti, ai prodotti finanziari), e dunque anche il fenomeno pubblicitario; figure particolari di illecito pubblicitario, qualificate in funzione del mezzo utilizzato per la diffusione del messaggio, sono contemplate nel testo unico della radiotelevisione; ed infine, alcuni illeciti pubblicitari sono riconducibili all’una o all’altra figura di concorrenza sleale. Cercando di classificare, unificare, restringere, eliminare il superfluo, sono però giunta alla conclusione che tali illeciti, nonostante la loro numerosità, siano riconducibili a non più di tre tipologie fondamentali: che proverei a definire, convenzionalmente, i vizi capitali della pubblicità. 2. Il primo vizio capitale: l’ingannevolezza. Tra i vizi capitali della pubblicità uno si staglia sugli altri, primo in ordine cronologico e di importanza: l’ingannevolezza. È il primo in ordine cronologico: omnis mercator mendax, dicevano con un pizzico (abbondante) di indulgenza i latini, e una giurisprudenza a noi molto più vicina nel tempo. La disciplina della pubblicità ha avuto come oggetto, inizialmente, il © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 171 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re divieto della pubblicità ingannevole: la prima legge che in Italia vieta l’inganno pubblicitario (relativamente ai soli prodotti all’epoca degni di rilievo: le sostanze di uso agrario e i prodotti agrari) risale al 1925 (regio decreto legge n. 2033/1925, art. 51); l’autodisciplina pubblicitaria è nata in Italia, nel 1966, con l’intento fondamentale di reprimere il mendacio pubblicitario; e quando, nel 1984, l’Europa ha disciplinato per la prima volta il fenomeno pubblicitario, lo ha fatto con l’emanazione di una direttiva (84/450/CEE) sulla pubblicità ingannevole. È il primo in ordine di importanza, se pensiamo al numero di norme ispirate dall’esigenza di vietare l’inganno pubblicitario: non solo quelle a contenuto negativo, che si ritrovano in leggi generali e speciali, ma anche quelle, numerosissime, di fonte comunitaria, statale e autodisciplinare, che impongono particolari obblighi informativi alla pubblicità di determinati prodotti, servizi o sistemi di vendita, e che rispondono anch’esse all’intento fondamentale di evitare l’inganno del destinatario per omissione di notizie e informazioni ritenute rilevanti ai fini della scelta del consumatore. E d’altro canto la direttiva 05/29/CE sulle pratiche commerciali sleali — seguita ovviamente dal codice del consumo — dedica un ampio spazio alle pratiche commerciali ingannevoli, e uno spazio quantitativamente molto minore alle pratiche commerciali aggressive. Gli interessi delle imprese nei confronti della pubblicità ingannevole sono ora tutelati da un’apposita direttiva (dir. 84/450/CEE, quale modificata dalla direttiva n. 29 del 2005), e in ambito nazionale da un apposito decreto legislativo (d.lgs. 145/2007). © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 172 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI di to re Al divieto di ingannevolezza sono poi riconducibili anche le norme che impongono di mantenere una netta distinzione fra pubblicità e informazione (la distinzione fra pubblicità e spettacolo sta ormai venendo a cadere, grazie alla liberalizzazione sostanzialmente generalizzata del product placement): le quali rispondono all’esigenza di evitare l’inganno del consumatore relativamente alla fonte di provenienza della comunicazione, al fine di impedirgli di scambiare per giudizi indipendenti, e quindi più affidabili, quelle che invece sono solo opinioni di parte. èE 3. Falsità e mancanza di trasparenza. G iu ffr L’ingannevolezza, come è noto, assume due vesti: la falsità e la mancanza di trasparenza. Con un pizzico di ottimismo, mi sento di affermare che l’ingannevolezza intesa come falsità non è più tanto di moda, almeno nel nostro paese. Oltre quarant’anni (quarantatre, per l’esattezza) di attività dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e diciassette anni di attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nello specifico settore pubblicitario hanno insegnato a tutti, con la poco lodevole eccezione di qualche impresa particolarmente riottosa, o operante in settori particolari, che le bugie in pubblicità non si dicono. La mancanza di trasparenza è, invece, drammaticamente attuale. La pubblicità non trasparente non dice il falso, dice delle mezze verità, e della verità tace la metà più sgradevole; contiene affermazioni peren- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 173 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re torie, che poi mitiga, circoscrive, limita a casi ben determinati; afferma come universalmente valide determinate verità, salvo poi specificare che quelle verità sono vere solo in alcuni casi; oppure sommerge il consumatore con una congerie di informazioni, molte delle quali inutili, che affollano il messaggio e impediscono al destinatario di soffermare l’attenzione su quell’unico dato veramente importante per comprendere i reali vantaggi del servizio che gli viene offerto, o la reale convenienza dell’offerta che gli viene proposta; oppure ancora lo costringe a ricorrere a calcoli complicatissimi per determinare il vero costo di una telefonata, o di un volo low cost, o di un finanziamento proposto per l’acquisto di un’automobile o di una lavatrice. A differenza della pubblicità ingannevole, la pubblicità non trasparente è un vizio di grande attualità. La situazione è ben fotografata dal legislatore comunitario (con l’art. 6 comma 1 della direttiva n. 29/ 2005), ed ancor meglio dal legislatore nazionale con l’art. 21 comma 1 del codice del consumo, che considera ingannevole una pratica commerciale (nella specie: una pubblicità) non solo quando “contiene informazioni non corrispondenti al vero” (l’ingannevolezza intesa come falsità dell’affermazione), ma anche quando “seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio”, relativamente a taluno degli aspetti espressamente elencati nella norma (l’ingannevolezza intesa come mancanza di trasparenza). Se le pubblicità false sono relativamente poche, le pubblicità non trasparenti sono tante, e ad esse si © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 174 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI èE 4. Gli asterischi. di to re riferiscono la maggior parte delle pronunce del Giurı̀ per violazione dell’art. 2 del codice di autodisciplina, e dei provvedimenti dell’Autorità garante per violazione degli articoli da 21 a 23 del codice del consumo (e, prima della riforma del 2007, per violazione degli artt. 20 e 21 dello stesso codice). E del resto, secondo una recente ricerca di mercato svolta su incarico dell’associazione che riunisce i principali investitori pubblicitari (UPA), oggi i consumatori richiedono alla pubblicità soprattutto trasparenza: la trasparenza della pubblicità è percepita come una assoluta necessità, una caratteristica fondamentale che poche campagne possiedono. G iu ffr La mancanza di trasparenza si rivela attraverso una pluralità di elementi sintomatici: ai quali, se posso permettermi una notazione personale, va la mia più cordiale antipatia, in quanto avvocato che spesso si trova costretto — contro le sue più intime convinzioni — a sostenerne in giudizio l’assoluta idoneità ad evitare qualsiasi rischio di inganno del consumatore. Un’avvertenza doverosa per chi mi legge: all’occorrenza, negherò di avere mai scritto queste parole, e se proprio sarò costretta ad arrendermi all’evidenza, ebbene … allora sosterrò che si trattava di considerazioni di carattere generale, assolutamente inapplicabili al caso di specie, il quale, come ognun vede, è radicalmente diverso. Non esiterò insomma a comportarmi come gli avvocati di quelle gustosissime vignette di Daumier che hanno © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 175 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re come protagonisti Les gens de justice, incarnazione di tutti i (veri) luoghi comuni sugli avvocati. Il primo posto fra gli elementi che denunciano la mancanza di trasparenza della pubblicità va assegnato senza dubbio alcuno all’asterisco, capostipite di tutte le avvertenze insufficienti, padre di altre e più sofisticate forme di dico-e-non-dico. Non mi riferisco qui all’asterisco corretto perché effettivamente esplicativo: all’asterisco cioè che funziona come una nota a pie’ pagina, per precisare ad esempio che una certa quota di mercato risulta dalle rilevazioni compiute da un certo istituto in una certa data, o che un certo test di efficacia, di cui sono citati i risultati, è stato effettuato da una certa università o altra istituzione di ricerca. Mi riferisco invece all’asterisco malizioso, quello utilizzato per veicolare informazioni che ridimensionano fortemente, o addirittura contraddicono, la portata del claim principale: per precisare, ad esempio, che il prezzo incredibilmente basso pubblicizzato per un viaggio aereo non comprende le tasse aeroportuali e altre voci che lo fanno lievitare enormemente; o che una certa tariffa telefonica, apparentemente molto conveniente, in realtà si applica solo al traffico telefonico di un certo tipo, e quindi in pratica ad un numero ristrettissimo di chiamate; o che l’effetto di un certo cosmetico, presentato come sostanziale e in grado di modificare la struttura della pelle o del corpo, deve in realtà intendersi come riferito al solo aspetto estetico; o che il risultato conseguito nell’80% dei casi è stato in realtà ottenuto nell’ambito di un test al quale hanno partecipato dieci soggetti, sı̀ che sono © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 176 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re solo otto coloro che hanno ottenuto il risultato vantato; o che il tanto decantato “tasso zero” di un finanziamento si riferisce solo al TAN, mentre il TAEG si guarda bene dall’essere pari a zero. Poco male se l’asterisco rinviasse ad una spiegazione collocata in un punto facilmente accessibile agli occhi di chi legge, ben visibile, scritta con caratteri chiari. No, questo non si verifica mai, o quasi: sennò, perché ricorrere all’asterisco? L’asterisco in realtà richiama una spiegazione che nessuno deve leggere, se non l’avvocato che dovrà difendere quella pubblicità o l’organismo che dovrà giudicarla. Per arrivare alla spiegazione, è necessario girare ripetutamente la confezione da tutti i lati, ed individuare in quale punto di quale facciata secondaria sia stata stampata; oppure ruotare di novanta gradi il giornale, per leggere quanto è scritto in senso verticale rispetto all’annuncio e dunque rispetto al normale senso di lettura; o ancor peggio ruotare di novanta gradi la testa, quando la scritta in senso verticale compare su un manifesto affisso per le strade; senza contare della necessità, in ogni caso, di munirsi di strumenti ottici potentissimi, senza i quali è impossibile decifrare cosa sia stato scritto. A volte poi gli asterischi sono più d’uno: uno precisa quale sia effettivamente l’azione del prodotto, un altro quante persone abbiano partecipato al test, un altro ancora come debba leggersi un certo risultato che è annunciato a caratteri di scatola nella head-line. È trasparente una pubblicità del genere? Certamente no. L’asterisco è sufficiente a rendere conto dell’effettiva natura dell’offerta pubblicizzata, o dell’effettiva portata del claim? Altrettanto certa- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 177 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re mente no. Ha qualche seria probabilità, una pubblicità cosı̀ congegnata, di essere assolta da un’accusa di ingannevolezza? Assolutamente no. Sostenere che la spiegazione fornita attraverso l’asterisco è sufficiente ad eliminare ogni equivoco rischia di essere, in certe occasioni, un insulto all’intelligenza di chi parla e di chi ascolta: vi prego di credere che l’imbarazzo è grande quando si deve sostenere che un’avvertenza scritta in verticale e in caratteri piccoli su un manifesto è facilmente leggibile dal passante e ancor più dall’automobilista …. Ma la domanda più importante è un’altra: qual è la reazione del consumatore a fronte di una pubblicità cosı̀ congegnata? La mia impressione è sempre stata che il consumatore dovrebbe sentirsi preso in giro, e quindi sviluppare una sorta di avversione o quanto meno un giudizio negativo nei confronti del prodotto pubblicizzato, o di chi lo ha pubblicizzato in quel modo. La ricerca UPA che ho ricordato poc’anzi sembra darmi ragione. E allora, per favore, liberiamoci degli asterischi: attenuiamo la portata del claim, indichiamo chiaramente il prezzo del volo low cost (che tanto è sempre favorevole, favorevolissimo, se comparato con le tariffe normali delle compagnie di bandiera), non parliamo di tasso zero se non è proprio vero. Il consumatore non si sentirà preso in giro, l’impresa risparmierà qualche decina (in alcuni casi, qualche centinaio) di migliaia di euro in sanzioni amministrative conseguenti all’accertamento della scorrettezza della pratica, la sua immagine e le sue finanze miglioreranno, e molto probabilmente le vendite del prodotto non subiranno cali degni di nota. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 178 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI 5. I super. G iu ffr èE di to re Figlio televisivo dell’asterisco è il super, e per essere più precisi quello che le aziende chiamano “il super legale”: un nome che è tutto un programma, verrebbe da dire. Tutti hanno visto i super legali, anche se non tutti sanno che si chiamano cosı̀. Si tratta di quelle scritte che scorrono in basso sui teleschermi, abbastanza velocemente, in caratteri abbastanza piccoli e senza particolare contrasto rispetto allo sfondo, mentre lo spot prosegue nel suo regolare svolgimento, con parole e immagini spesso assolutamente scollegate rispetto alle informazioni fornite con il super; oppure di quelle scritte, sempre in caratteri piccoli e non particolarmente visibili, che affollano la scena finale del telecomunicato, restando sullo schermo un paio di secondi, poco più o poco meno. Insomma, caratteristica esteriore comune dei super legali è la assoluta illeggibilità: e ancora una volta l’imbarazzo del povero avvocato è grande, quando si sente chiedere da qualche membro del Giurı̀ (dotato in verità di vista normalissima): “ma insomma, dov’è il super?” (nota bene: non “cosa dice il super?”, ma “dov’è il super?”). Per la risposta, si recita a soggetto. Oltre che dall’illeggibilità, i super legali sono accomunati anche dal contenuto: in ogni caso infatti contengono informazioni essenziali sulla tariffa pubblicizzata, sui limiti di validità dell’offerta, sulle condizioni di finanziamento, sull’azione del prodotto pubblicizzato. Sotto questo profilo, il super rappresenta un’evoluzione genetica rispetto a suo © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 179 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re padre l’asterisco. È infatti più ricco di notizie e informazioni rispetto alla nota cui l’asterisco rimanda; molte delle informazioni che nella pubblicità televisiva sono affidate al super, in una pubblicità stampa trovano posto nella body-copy, il che le rende sicuramente più leggibili, con grande vantaggio per la completezza dell’informazione e per la correttezza del messaggio. Il super legale è volutamente illeggibile? Non credo (in dubio pro reo, recita il latinetto dei giuristi). Non credo cioè che le aziende volutamente nascondano al pubblico informazioni essenziali, fidando sull’inganno come elemento per attrarre la clientela. Non dimentichiamo che i super legali trovano la loro massima occasione di utilizzo nel caso di servizi (telefonia, internet, finanziamenti) che il consumatore non trova sugli scaffali dei supermercati, ai quali accede soltanto dopo ulteriori e specifici contatti con l’operatore pubblicitario, in occasione dei quali è in condizioni di venire agevolmente a conoscenza delle reali condizioni dell’offerta. Semplicemente, le informazioni legali sono noiose, sciupano il film, costringono a mettere in secondo piano la creatività a scapito dell’informazione, rischiano di trasformare lo spot in un modulo contrattuale, ed è per questo che vengono inserite per mettersi a posto la coscienza, ma dedicando loro il minor spazio possibile. Forse, però, esistono altre soluzioni. Il codice di autodisciplina consente in alcuni casi messaggi che non contengano tutte le informazioni richieste dalle norme che pongono a carico dell’inserzionista un particolare onere di informazione, “quando i messaggi stessi si limitino a enunciazioni generiche” (art. 16 secondo comma); © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 180 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr 6. Una parentesi. èE di to re e il codice del consumo (art. 22, terzo comma) stabilisce che “qualora il mezzo di comunicazione impiegato per la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata un’omissione di informazioni, si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per rendere disponibili le informazioni ai consumatori con altri mezzi”. Insomma, qualcosa si può fare per coniugare efficacia della comunicazione e informazione del consumatore: forse basta solo scindere i due momenti. Quindi: dopo esserci liberati dell’asterisco, liberiamoci per favore anche della sua progenie, il super legale. Ancora una volta, credo che avremo tutti da guadagnarci. G iu Apro a questo punto una parentesi, per osservare come la mancanza di trasparenza della pubblicità raggiunga risultati particolarmente umoristici quando si combini con la smania di confronto, che sembra affliggere una certa parte degli inserzionisti pubblicitari. Parlo di smania di confronto, e non di comparazione: la comparazione pubblicitaria è una cosa seria, svolge una funzione informativa e proconcorrenziale, è seriamente disciplinata dall’art. 15 del codice di autodisciplina e dall’art. 4 del d.lgs. 145/2007, ed è abbastanza rara, forse perché i casi in cui un’impresa sente di poter seriamente comparare il suo prodotto con quelli della concorrenza non sono frequenti. La smania di confronto è diversa: e © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 181 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v ffr èE di to re caratterizza tutte quelle pubblicità che avvertono la necessità di proclamare a gran voce un primato, o una differenza, quando il primato o la differenza non sussistono rispetto al resto del mercato, ma solo rispetto ad altri prodotti della stessa impresa, o comunque all’interno di un ambito ben limitato. Cito, ad esempio, il caso della pubblicità che qualifica un prodotto come “il primo” o “il più venduto”, salvo poi precisare — ecco l’asterisco che ritorna! — che la qualifica di “primo” deve in realtà essere riferita alla marca pubblicizzata, sı̀ che quel determinato prodotto non è il primo all’interno di una certa categoria, ma è semmai il secondo, il decimo, il ventesimo; o che il prodotto è sı̀ il più venduto, ma solo nell’area Nielsen 2, canale super + iper, e solo in un bimestre ormai trascorso da tempo. Il risultato, come dicevo, è umoristico, ma chi ricorre a questo tipo di affermazioni sembra non accorgersene. G iu 7. Il destinatario indifeso. Nell’ambito delle pubblicità ingannevoli, una considerazione particolare merita la pubblicità che approfitta delle disgrazie o delle debolezze dei destinatari, di coloro cioè che costituiscono il suo target di riferimento. Alcuni esempi classici: la pubblicità delle pillole dimagranti (recte, come recita un apposito regolamento autodisciplinare: degli integratori alimentari proposti per il controllo del peso), che si rivolge a persone afflitte, a torto o a ragione, dal problema del peso, promettendo un © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 182 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re dimagrimento rapido e senza sacrifici; la pubblicità degli istituti privati che promette il titolo di dottore a chi è troppo pigro, o troppo occupato, per iscriversi ad una regolare facoltà universitaria, ma ha ugualmente l’ambizione — la debolezza — di qualificarsi come “dott.” sui biglietti da visita o sull’elenco telefonico; la pubblicità dei corsi professionali che promette a chi si iscrive un lavoro sicuro; la pubblicità degli istituti finanziari che promette di erogare con rapidità prestiti a tutti, tacendo sul tasso di interesse e sulle garanzie richieste. Si tratta senz’altro di pubblicità ingannevoli: spesso false, a volte poco trasparenti. Nel generale panorama delle pubblicità ingannevoli, esse si caratterizzano tuttavia per la particolare gravità che l’inganno riveste quando si rivolge a persone disposte a credere a tutto, e a comprare di tutto, pur di risolvere i loro problemi, veri o presunti che siano; persone che non si accorgono dell’inganno, anche se l’inganno è evidente, anche se qualunque persona dotata di normale intelligenza è in grado di rendersi conto che non è possibile perdere tre chili in una settimana continuando a mangiare come prima. E la particolare gravità dell’inganno ha condotto dapprima la giurisprudenza (del Giurı̀, della Corte di Giustizia, dell’Autorità garante: la citazione segue l’ordine cronologico), e successivamente il legislatore, a formulare una regola particolare, applicabile specificamente alla pubblicità che si approfitta delle disgrazie dei destinatari: “Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vul- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 183 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v nerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere, sono valutate nell’ottica del membro medio di tale gruppo” (dir. 2005/29/CE, art. 5 comma 3; codice del consumo, art. 20 comma 2). to re 8. Il secondo vizio capitale: il mancato rispetto degli altri. G iu ffr èE di L’ingannevolezza dunque fa la parte del leone, nell’ambito dei vizi capitali della pubblicità. Al confronto, gli altri due che ho individuato sono sicuramente meno rilevanti, se non altro dal punto di vista quantitativo. Al secondo posto fra i vizi capitali della pubblicità metterei il mancato rispetto degli altri, delle loro disgrazie, delle loro ideologie, della loro dignità. Ne è affetta, innanzitutto, la pubblicità che sfrutta le disgrazie, sociali o individuali, come elemento di richiamo dell’attenzione del consumatore. Il fenomeno non è più tanto di moda, mi sembra, ma ha conosciuto grande fortuna negli anni novanta, con qualche epigono ai giorni nostri. Abbiamo visto cimiteri di guerra, malati di AIDS, miliziani morti raffigurati nella pubblicità di una marca di abbigliamento, regolamenti di conti fra mafiosi nella pubblicità di automobili, morti ai quali venivano rubate le scarpe, una ragazza gravemente anoressica fotografata nuda per pubblicizzare una © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 184 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI ffr èE di to re borsetta: tutte pubblicità condannate dal Giurı̀ perché in contrasto con l’art. 1 del codice di autodisciplina, in quanto volte a gettare discredito sulla pubblicità come istituzione; oppure per violazione dell’art. 10 (offesa alla dignità della persona). Non rispetta gli altri la pubblicità che sbeffeggia e ridicolizza ideologie e religioni, che utilizza il corpo della donna — o dell’uomo, ma è molto più raro — semplicemente come strumento di vendita, che con la sua volgarità offende la sensibilità di una parte del pubblico, che propone ai bambini modelli di comportamento moralmente sbagliati, o dannosi per la loro incolumità: tutti comportamenti puntualmente vietati dalle norme autodisciplinari (artt. 9, 10 e 11 del codice di autodisciplina), tutti comportamenti, in definitiva, riconducibili ad uno stesso vizio capitale. G iu 9. Il terzo: l’aggressione al patrimonio imprenditoriale altrui. Veniamo, brevissimamente, a quello che mi sembra di poter indicare come il terzo vizio capitale della pubblicità: l’aggressione del patrimonio imprenditoriale del concorrente. L’imitazione pubblicitaria (art. 13 comma 1 del codice di autodisciplina; ma anche art. 2598 n. 1 cod. civ.) e l’agganciamento alla notorietà altrui (art. 13 comma 2 c. a.; ma anche art. 2598 n. 2 cod. civ.) sono sicuramente riconducibili al vizio di cui stiamo parlando. Ma anche la denigrazione (art. 14 c.a., e art. 2598 n. 2 cod. civ.) e la comparazione ingannevole o per altro verso © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 185 I VIZI CAPITALI DELLA PUBBLICITA v G iu ffr èE di to re scorretta (art. 15 c.a., art. 2598 n. 2 cod. civ., art. 4 d.lgs. 145/2007) sono espressioni dello stesso vizio capitale. E qui mi fermo. Mi sono accorta che tutti i comportamenti richiamati sono manifestazioni dell’Invidia, e non vorrei invadere il terreno di altri. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 11. NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? di FEDERICO UNNIA èE 1. I nuovi vizi. Quali regole? di to re SOMMARIO: 1. I nuovi vizi. Quali regole? — 2. Pubblicità e informazione: binomio immorale? — 3. Tutti colpevoli nessuno responsabile. — 4. La nuova bussola: verso un’interpretazione omnicomprensiva di messaggio pubblicitario. — 5. 2020: il pianeta dei vizi pubblicitari. — 6. Post scriptum: per i nuovi vizi è tempo di scomunica pubblicitaria? G iu ffr Il mondo della pubblicità, e con essa quello dei consumi, si trovano ad affrontare una realtà nuova. Un super vizio aleggia nell’area. Un super virus — stile febbre suina. Stiamo parlando della pratica commerciale scorretta che, con le pesanti multe inflitte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, si pone come l’evoluzione darwiniana dei tradizionali peccati pubblicitari. Mendacio, imitazione, denigrazione, comparazione, sfruttamento della notorietà altrui; e ancora, violenza, volgarità, indecenza, camuffamento della natura pubblicitaria; tutti poca cosa innanzi alla condotta posta in essere sia prima che dopo la conclusione di un contratto, facendo ricorso a mezzi e pressioni psicologiche inaudite. Stiamo parlando di forme aggressive di comuni- © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 188 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re cazione pubblicitaria, che arrecano al consumatore non solo un pregiudizio economico, ma spesso ledono qualcosa di più prezioso. La propria integrità, l’autonomia e la libertà di convincimento nella scelta d’acquisto. La casistica è ricca, con riferimento sia alle grandi imprese, sia a piccoli operatori senza scrupoli. Ma non è tutto: una ventata di esistenzialismo pervade l’animo e il cuore di chi giudica le pubblicità. Cosı̀, anche la sfera soggettiva, la caratterizzazione esistenziale del consumatore cui si rivolge un determinato prodotto, diviene un parametro di giudizio. È il caso del grasso che cerca in ogni modo di dimagrire utilizzando un prodotto miracoloso (sugli altri!), spinto all’acquisto facendo leva sul disagio e sulla riprovazione che la sua forma fisica gli induce vedendosi circondato da modelli di magri. La salute va bene, ma è lecito denigrare o svilire chi non sia in linea con gli stilemi della moda? E ancora, il cuore solitario, che cerca l’anima gemella, è giusto sia indotto ad accedere ad un servizio di ricerca per cuori solitari attraverso false promesse e sfrucugliando il suo patimento? Infine, il disoccupato, cosı̀ come l’anziano che ha difficoltà di accedere al credito, è corretto siano stuzzicati all’acquisto banalizzando rispettivamente l’accesso al lavoro (magari attraverso un corso a pagamento!) o una semplice apertura di una linea di credito? Ebbene, è su queste figure, su queste relazioni psicologiche che la pubblicità gioca molto della sua credibilità presente e futura. È su questi illeciti che il mondo degli spot mette in gioco la sua reputazione. Mai come in questi casi, vale il disposto © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? 189 secondo cui “La pubblicità deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò che possa screditarlo” (1). 2. Pubblicità e informazione: binomio immorale? G iu ffr èE di to re L’illecito pluri-soggettivo per eccellenza. Una delle forme più subdole d’inganno del consumatore. Un illecito che presenta molteplici sfaccettature: tutela del consumatore, tutela del concorrente che ha diritto a competere ad armi pari; tutela del mercato e dei limiti di affollamento. Stiamo parlando del vizio trasversale al mondo della comunicazione. Il camuffamento della pubblicità, ovvero quando il messaggio promozionale, assunte le vesti di un articolo redazionale, celi cosı̀ all’ignaro lettore e al concorrente leale, la sua natura pubblicitaria. Un inganno che sta non nella sostanza bensı̀ nella forma del messaggio. Sfoglio un giornale, noto un articolo, lo leggo, non attivo i naturali — e magari inconsci — meccanismi di diffidenza che invece operano per la pubblicità tradizionale, dichiarata. Ebbene, il contenuto — che credo indipendente e critico perché scritto da un giornalista — in realtà è un testo pubblicitario, che mi prospetta una realtà inclinata ad un legittimo (ma non esplicitato) interesse di parte. Ebbene, negli anni, causa la crisi di autorevolezza dei media e dei giornalisti da un lato e il boom (1) Art. 1, Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, 2009. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 190 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re della tv commerciale e della convergenza tecnologica dall’altro, dalla carta stampata l’illecito camuffamento è migrato nell’etere. Cosı̀, nel corso di trasmissioni d’intrattenimento, assistiamo sempre più spesso ad inquadrature, citazioni, ostentazioni di marchi e prodotti innaturalmente inseriti nel contesto scenico e narrativo. La cronaca di questi mesi è stata particolarmente generosa di sfacciati inserimenti pubblicitari la dove, per dovere etico e professionale, prima ancora che giuridico, non dovrebbero stare. Perché tutto questo avviene? E poi, è realmente tutto deprecabile e sanzionabile? Domande legittime, ma alla cui risposta concorrono differenti valutazioni. Viviamo in un mondo di spettacolo, in una società che privilegia la forma, l’apparenza alla sostanza. Se cosı̀ è, e la maggioranza del pubblico dimostra di apprezzare questo modello, allora occorre capovolgere la scala dei valori. Ciò che fino ad oggi era illecito, di colpo, corum populi, diviene la regola. Questo discorso vale anche per la carta stampata, quindi, dove mai come oggi, la voce del più forte, dell’investitore, detta la linea. Del resto, umanamente e professionalmente parlando, tra il citare un amico che mi aiuta ed uno indifferente alla mia necessità, è facile intuire quale sia la scelta. In tutto questo, infine, chi sono i protagonisti del gioco? Non più solo i pubblicitari, ma anche i comunicatori, i giornalisti, i conduttori, i registi. Tutti soggetti che a diverso titolo concorrono alla realizzazione di questo illecito, ciascuno confidando in un proprio ritorno. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? 191 to re Resta tuttavia un dilemma di fondo: fino a che punto possono i giudici e la legge classificare una citazione, un’inquadratura, una presenza come messaggio pubblicitario e non piuttosto espressione della libertà e del genio creativo di un regista e di un conduttore? Un indirizzo, questo, che ha trovato spesso conferma nelle parole delle pronunce tanto del Giurı̀ di autodisciplina quanto nei provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, a conferma di quanto la questione sia spigolosa. di 3. Tutti colpevoli nessuno responsabile. G iu ffr èE Innanzi al continuo divenire e mutarsi dell’illecito pubblicitario, viene da chiedersi se il sistema di sanzioni previste dalle norme vigenti sia realmente efficace. L’inibitoria alla diffusione del messaggio riprovato, prevista sia in ambito statuale sia autodisciplinare. La pubblicazione di un estratto della decisione di condanna, come sopra. La pubblicazione di un annuncio di rettifica, di cui la sola Autorità garante della concorrenza e del mercato può far uso. Infine, sanzioni pecuniarie che possono arrivare fino a 500.000 Euro nei casi più gravi. Orbene, tutte queste misure sono sufficienti e realmente efficaci per contrastare le forme più gravi e scorrette? La domanda sorge spontanea in quanto spesso l’accusa che viene mossa ai giudici della pubblicità è proprio quella di non essere in grado di contrastare e fermare la diffusione di messaggi giudicati scorretti. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 192 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re Problema reale, considerato il duplice fatto che da un lato le decisioni pervengono molto spesso a distanza di tempo dalla diffusione del messaggio e dalla conclusione della campagna pubblicitaria stessa (anche se in verità il Giurı̀ di autodisciplina chiude la pratica mediamente in 4 settimane). Dall’altro, le campagna si assomigliano e quindi, dopo una sanzione, apportando anche piccole modifiche, possono riprendere la loro regolare diffusione. Senza per altro dimenticare, incisivamente, che in sede autodisciplinare la decisione del Giurı̀ — come quella del Comitato di controllo — non è impugnabile, mentre quella dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che viene emessa mediamente dopo 150-180 giorni dall’apertura del procedimento, lo è. E per ben due gradi di giudizio. Insomma, quanto è efficace la giustizia pubblicitaria? Cosa può farsi per renderla più stringente e per farle esplicitare tutta la forza persuasiva e deterrente necessaria a contrastare gli eccessi pubblicitari? Ad oggi, sono state avanzate alcune proposte. Dall’introduzione di un regime sanzionatorio ancora più pesante, ad un sistema di pene pecuniarie calcolate percentualmente sull’investimento pubblicitario complessivamente sostenuto. E ancora; dalla previsione di una multa calcolata sull’investimento pubblicitario della campagna sanzionata da destinarsi ad una comunicazione di controinformazione e correttiva, fino alla pena estrema del divieto di accesso ai mezzi pubblicitari per finestre di tempo e alla sospensione dall’attività (sia per il management aziendale sia per i profili pubblicitari autori della campagna sanzionata) per alcuni mesi. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? 193 ffr èE di to re Insomma, un girone dantesco di pene pubblicitarie, tutte pensate e strutturate al solo fine di sanzionare la condotta e punire i responsabili. Poca attenzione è — per contro — rivolta al consumatore e al concorrente. Non è un caso, quindi, che dalle pirotecniche aule dei tribunali pubblicitari (ricordatevi che avanti al Giurı̀ ci si può difendere di persona. L’hanno fatto in tempi diversi tanto Renzo Arbore quanto recentemente il compianto Mike Bongiorno) molte aziende preferiscano poi spostarsi a quelle polverose dei tribunali civili, forti di un provvedimento favorevole del Giurı̀, sul quale basano la richiesta risarcitoria. Una giustizia nella giustizia, quindi, che va estendendosi a conferma della rilevanza che assume nella moderna economia dei segni la quantificazione del danno d’immagine da comunicazione pubblicitaria scorretta. G iu 4. La nuova bussola: verso un’interpretazione omnicomprensiva di messaggio pubblicitario. Un sistema di controllo e repressione di illeciti pubblicitari fatto a macchia di leopardo. Questa — in estrema sintesi — l’immagine che si ha passando a volo d’uccello sui banchi del Giurı̀ e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Restano ai margini, astutamente, alcuni settori della comunicazione che forse non assurgono agli onori della cronaca, ma che nei fatti concorono a mettere in essere forme assai subdole di pubblicità. Pensiamo alla categoria dei comunicatori d’azienda, i public relation manager, figure assai potenti © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 194 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re nella struttura organizzativa dell’impresa, che svolgono un’attività border line sui temi della correttezza pubblicitaria. Spesso chiamati in causa su questioni scottanti quali le ipotesi di pubblicità camuffata, si sono sempre difesi sostenendo la natura informativa del loro lavoro. No pubblicità, please, ci occupiamo solo di costruzione di consenso ed informazione. È vero? In linea teorica certamente si, ma nella prassi dubbi ne esistono. E allora, sfogliando l’album dei ricordi pubblicitari, si scopre che non sono mancati casi in cui le attività prettamente di ufficio stampa, e gli strumenti connessi, siano finiti sul banco degli imputati. E sempre per ipotesi di pubblicità camuffata e contenuti ingannevoli. Il problema esiste, quindi, e va assumendo un’importanza maggiore in considerazione dell’evoluzione dei sistemi e delle modalità di comunicazione da un lato, e della globalizzazione della comunicazione dall’altro. Che fare? Quale potrebbe essere una soluzione percorribile per ricondurre ad unità il sistema di controllo? A parere di chi scrive la strada da percorrere è quella tracciata con le nuove norme sulle pratiche commerciali scorrette e subito fatta propria anche dallo Iap. Attraverso il concetto di messaggio pubblicitario e di pratica commerciale, interpretati in senso omnicomprensivo, ricondurre al rispetto dei principi di correttezza sanciti nel Codice del consumo e nel Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale tutto ciò che concorre all’accreditamento dell’immagine e della notorità di un marchio e prodotto, tutto quello che comunque © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? 195 di to re produce un anche minimo effetto promozionale in favore della marca e del prodotto. L’oggetto — e il campo di applicazione — delle nuove norme devono essere le comunicazioni tour court che provengono da un’impresa o che concorrono ad accreditare il suo marchio e il suo prodotto. Una rivoluzione significativa, che quindi fa della comunicazione un corpo unico, chiamato a rispettare regole diverse e a sottoporsi a giudizi e sanzioni differenti. Un unico genus — fatto al tempo stesso di contributi e messaggi differenti — tutti però assoggettabili al rispetto delle medesime regole. èE 5. 2020: il pianeta dei vizi pubblicitari. G iu ffr Il Pianeta delle scimmie, celebre film di Franklin J. Schaffner, come ipotetico punto di arrivo del sistema vigente di regole e giudici pubblicitari? Il pensiero sorge spontaneo, proiettando lo sguardo e la mente ai prossimi anni. Gli eccessi di normazione, il proliferare di autorità e competenze, il sovrapporsi di norme e sanzioni, il moltiplicarsi, il parcellizzarsi ossessivo, di tutele, fa davvero bene alla giustizia pubblicitaria? Immaginare, e da qui, realizzare un sistema di tutele e controlli che si presume sia perfetto, non può costituire l’anticamera di una rivoluzione copernicana, di capovolgimento dei valori e delle reali tutele? Il dubbio esiste, è inutile nascondersi dietro un dito. L’iper specializzazione genetica del vizio e dell’illecito pubblicitario, non corre il rischio di far perdere di vista le tutele essenziali? Inoltre, proprio © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 196 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re nel mondo della pubblicità e della comunicazione, ove il desiderio la fa da padrone, non è congenito un minimo di inganno? Il celebre dolus bonus di romana memoria, è compatibile con un livello minimo e fisiologico di decettività pubblicitaria? Se questa è la cornice in cui muoversi, francamente non resta che rimpiangere i sani, vecchi cari vizi pubblicitari; quelli, per intenderci, su cui sono nate e cresciute generazioni di consumatori, creativi e manager di successo, incappati magari in bufale pubblicitarie ma cresciuti con anticorpi in grado di farne soggetti tutelati e consumatori smaliziati. Se proprio vogliamo, alcuni illeciti, più di altri, travalicano questo confine, ponendosi di fato a tutti gli effetti come i veri, unici vizi capitali della pubblicità. Stiamo parlando una volta ancora del camuffamento della natura pubblicitaria del messaggio; condotta vietata dall’art. 7 del Codice di autodisciplina della comunicazione pubblicitaria. La norma, che trova eguali in tutti i principali codici di autoregolamentazione vigenti nei paesi occidentali, e tra i doveri di alcune categorie professionali, quali giornalisti e pubblicitari, afferma un principio basilare del sistema delle relazioni tra pubblicità, consumatori, concorrenti ed operatori dell’informazione. Infatti “L’art. 7 rappresenta da sempre uno dei pilastri del Codice. Vuole assicurare la separazione tra informazione giornalistica e comunicazione aziendale: separazione che meglio consente a ciascuno di svolgere in modo autonomo la propria diversa, specifica funzione, e meglio consente in particolare alla pubblicità di essere, di presentarsi e di venir riconosciuta come messaggio che, © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? 197 G iu ffr èE di to re pur se ricco di informazioni, resta necessariamente espressione di un punto di vista pro parte, ed è volta a promuovere gli interessi dell’impresa-utente pubblicitario. L’art. 7, d’altro canto, protegge tutti gli interessi tipici cautelati dal Codice. Protegge innanzitutto gli interessi dei consumatori: che debbono restare il più possibile liberi nelle proprie scelte, e possono esserlo solo se il messaggio pubblicitario sia chiaramente “riconoscibile come tale” e solo se i consumatori possono dunque valutarlo con un senso critico più vigile e maggiore di quello altrimenti consueto di fronte alle informazioni giornalistiche. L’art. 7 tutela inoltre gli interessi dell’intero sistema pubblicitario: che è tanto più facilmente “accettato” dai consumatori e dalla collettività in generale quanto più la pubblicità “sia sempre riconoscibile come tale” ed il mondo dei pubblicitari sia trasparente e si allontani dal modello negativo dei “persuasori occulti”. L’art. 7 protegge infine l’interesse delle imprese concorrenti: evitando che una di esse riesca, con una pubblicità camuffata da informazioni giornalistiche, ad avere più presa sui consumatori di quanto i concorrenti non abbiano con annunci pubblicitari chiaramente identificabili come tali (2)”. Infine il secondo è l’abuso sistematico del super in pubblicità. Ovvero del ricorso a scritte mobili sesso di impossibile decifrazione e lettura, collocate nei posti meno accessibili dei messaggi, il cui contenuto è essenziale per al corretta comprensione dell’offerta pubblicizzata. Un escamotage, astuto, (2) Giurı̀ dell’Autodisciplina pubblicitaria 19 novembre 1989 n. 150, Giur. Pubbl., III, 1991, 436. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati 198 PUBBLICITÀ: I VIZI CAPITALI G iu ffr èE di to re grazie al quale creata l’attenzione sul contenuto visivo e sonoro del messaggio, accreditata nel consumatore una certa idea dell’offerta pubblicitaria e del suo costo, si ridimensiona, si completa o si smentisce la portata del messaggio grazie a informazioni fornite ma con modalità impossibili da comprendere. Un’orchestrazione del messaggio dolosamente scorretta, dove formalmente le informazioni sono si fornite e presenti, ma lo sono con modalità e dimensioni impossibili di lettura agli umani. Una condotta sleale, scorretta, mendace, che abusa della naturale attenzione che il consumatore assorto dedica più al parlato e al veduto, ingannandolo del tutto sul messaggio propostogli. Il tutto aggravato, se possibile, dal ricorso a personaggi, storie, serialità narrative che molto attraggano lo spettatore, portato alla fine a credere, ricordare e ricercare un’offerta che non c’è. 6. Post scriptum: per i nuovi vizi è tempo di scomunica pubblicitaria? In un mondo pubblicitario perfetto, conosciute le regole, tutti sono padroni del proprio destino. Conosco cosa la legge mi impone o vieta di fare, ne conosco le conseguenze, quindi accetto liberamente il livello di rischio che ritengo tollerabile affrontare. Ma se poi vengo ritenuto responsabile, che ne è di me e della mia impresa? Ecco che pare prospettarsi all’orizzonte una soluzione sanzionatoria nuova. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati NUOVI VIZI, NUOVE REGOLE? 199 G iu ffr èE di to re Che guarda caso trae la sua ragion d’essere dal diritto canonico: la Scomunica pubblicitaria. Si tratta di una sanzione che richiama alla memoria l’atto legale della chiesa cristiana che implica vari gradi di esclusione di un suo membro dalla comunità dei fedeli a causa di gravi e ostinate infrazioni ai principi della morale e alla dottrina riconosciuta. Nel XV secolo si inizia a distinguere fra coloro che devono essere allontanati a causa di gravi errori (i vitandi) e coloro che possono essere tollerati (i tolerati, ma che dovevano essere solo rigidamente esclusi dai sacramenti). Nell’ambito del diritto canonico cattolico, la scomunica è la più grave delle pene che possa essere comminata a un battezzato: lo esclude dalla comunione dei fedeli e lo priva di tutti i diritti e i benefici derivanti dall’appartenenza alla Chiesa, in particolare quello di amministrare e ricevere i sacramenti. La scomunica, è una delle censure ecclesiastiche previste dal diritto canonico con l’interdetto e la sospensione a divinis (quest’ultima può essere inflitta solo ai chierici). Essa può essere inflitta solo a una persona fisica, laica o ecclesiastica, non a enti e confraternite, e cessa con l’assoluzione che può e deve essere data non appena lo scomunicato si pente sinceramente della colpa commessa. In chiave pubblicitaria ecco la nuova prospettiva: chi sbaglia paga in prima persona. Via dal sistema, fuori dai media, negato l’accesso ai mezzi che fanno audience. Insomma, una cacciata dal paradiso pubblicitario, per finire dritti dritti nel mondo dei peccatori pubblicitari. © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to di èE ffr G iu © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati re to G iu ffr èE di STAMPATO CON I TIPI DELLA TIPOGRAFIA «MORI & C. S.p.A.» VA R E S E © Giuffrè Editore - Tutti i diritti riservati