Informazione al consumatore

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Comando Regionale Lombardia
Milano - Palazzo Lombardia, 2 ottobre 2014
Seminario
Le regole a tutela della filiera e del consumatore per le
produzioni di qualità DOP e IGP
Informazione al consumatore:
etichettatura e pubblicità
Dir. Sup. Dott.ssa Simonetta De Guz
Comandante Regionale Lombardia
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Cos’è un’etichetta?
L’etichetta è la dichiarazione al consumatore delle caratteristiche,
dei pregi, delle qualità e di specifiche identità del prodotto
alimentare.
Le informazioni contenute nell’etichetta consentono al consumatore
di conoscere la natura e le caratteristiche di un prodotto alimentare
in modo consapevole.
L’etichetta è quindi una sorta di “carta di identità” del prodotto.
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Qual’è la sua funzione?
L'etichettatura di un prodotto alimentare ha un ruolo
strategico, in quanto informa il consumatore sulle
caratteristiche del prodotto, consentendogli di scegliere
quello che maggiormente risponde alle proprie
esigenze: essa rappresenta un “ponte” tra il produttore
e il consumatore.
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Funzione ulteriore dell’etichetta
L’etichetta influenza il consumatore nella decisione sull’acquisto di un
bene. La decisione di acquisto scaturisce, da un lato, dalla valutazione
oggettiva delle informazioni commerciali riportate in etichetta e,
dall’altro, da una serie di elementi, consentiti in etichetta ma non
obbligatori, che connotano la presentazione del prodotto orientando
“emotivamente” la scelta del consumatore.
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Cos’è l’etichettatura secondo la normativa vigente
Ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo n. 109/1992, l’etichettatura
rappresenta l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica
o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto
alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta
appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al
prodotto medesimo, o, in mancanza, sui documenti di accompagnamento
del prodotto alimentare”.
In materia di etichettatura la normativa di riferimento è stata aggiornata
recentemente dal Parlamento Europeo e dal Consiglio con il Regolamento
(UE) 1169/2011 che definisce l’etichettatura come “qualunque menzione,
indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si
riferisce a un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento,
avviso, etichetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale
alimento”.
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Cos’è l’etichetta secondo la normativa vigente
Ai sensi del Reg. (UE) 1169/2011 si intende per etichetta: “qualunque
marchio commerciale o di fabbrica, segno, immagine o altra
rappresentazione grafica scritto, stampato, stampigliato, marchiato,
impresso in rilievo o a impronta sull’imballaggio o sul contenitore di un
alimento o che accompagna detto imballaggio o contenitore”.
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Le finalità dell’etichettatura secondo la legge: divieti e limitazioni
L’etichettatura (ma anche la presentazione e la pubblicità dei prodotti
alimentari) deve assicurare una corretta e trasparente informazione del
consumatore, al fine di:
•non indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare
e precisamente sulla natura, sull’identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla
quantità, sulla conservazione, sull’origine o la provenienza, sul modo di
fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso;
•non attribuire al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
•non suggerire che il prodotto alimentare possieda caratteristiche particolari,
quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche;
• non attribuire al prodotto alimentare proprietà atte e prevenire, curare o
guarire una malattia umana, né accennare a tali proprietà, fatte salve le
disposizioni comunitarie relative alle acque minerali ed ai prodotti alimentari
destinati a un’alimentazione particolare.
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Le finalità dell’etichettatura secondo la legge: divieti e limitazioni
Finalità, divieti e limitazioni in tema di etichettatura si riassumono nel principio
chiave di:
non ingannevolezza, in base al quale “l’etichettatura, la pubblicità e la
presentazione degli alimenti compresi la loro forma, il loro aspetto o
confezionamento, i materiali di confezionamento usati, il modo in cui gli
alimenti sono disposti, il contesto in cui sono esposti e le informazioni rese
disponibili su di essi attraverso qualsiasi mezzo, non devono trarre in inganno il
consumatore”.
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In sintesi, l’etichettatura non deve:
• riportare elementi falsi, ambigui o fuorvianti
• dare adito a dubbi sulla sicurezza e/o adeguatezza nutrizionale di altri alimenti
• incoraggiare o tollerare il consumo eccessivo di un alimento
• affermare, suggerire o sottintendere che una dieta equilibrata e variata non è in
grado, in generale, di fornire una quantità adeguata di tutti i nutrienti
• suscitare timori nel consumatore
• riferirsi ad un benefico effetto nutrizionale/fisiologico senza essere suffragati da prove
scientifiche generalmente accettate ed essere comprensibili per il consumatore medio
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L’evoluzione normativa
Il primo intervento legislativo nazionale sull’etichettatura a tutela del consumatore dal punto
di vista igienico-sanitario si realizzò con la L. n. 283/1962, recante “Disciplina igienica della
produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, il cui articolo 8
prevedeva le regole per la confezione o l’etichettatura di alimenti e bevande.
Nel 1979, perseguendo l’obiettivo di contribuire al funzionamento del mercato comune, con
la Direttiva n. 112 l’allora CEE introdusse una serie di disposizioni relative al riavvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura, la presentazione e la
pubblicità dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale.
La normativa nazionale di riferimento relativa all’etichettatura, presentazione e pubblicità dei
prodotti alimentari e delle bevande è quella prevista dal D.Lgs. n. 109 del 1992 che, in
attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, abrogò la legge n. 283 del 1962.
Il 22 Novembre 2011 è stato pubblicato il Reg. 1169/2011/UE che ha introdotto importanti
novità in tema di informazione del consumatore nel settore alimentare, prevedendo una
nuova etichettatura alimentare obbligatoria a partire dal 13 dicembre 2014.
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Principi generali dell’etichettatura
Nell’elaborare il contenuto informativo delle etichette, gli operatori del settore alimentare devono
ispirarsi ad alcuni principi generali, ovvero:
chiarezza: le indicazioni devono risultare facilmente comprensibili per un consumatore medio e
non devono ingenerare dubbi sulle caratteristiche del prodotto acquistato; sono pertanto da
evitare codici o altri elementi che non siano di immediata interpretazione e comprensione (es. il
numero di iscrizione al REA del Registro Imprese della CCIAA in sostituzione della sede dello
stabilimento di produzione);
leggibilità: le informazioni devono essere riportate in caratteri di dimensioni tali da poter essere
lette senza troppa difficoltà; a tale scopo, per alcune tipologie di informazioni (ad esempio la
quantità nominale) il legislatore ha definito la dimensione, spessore, colore e contrasto tra scritta
e sfondo;
facilità di lettura: le indicazioni devono figurare nello stesso campo visivo, in modo da essere
facilmente leggibili in una sola occhiata; gli operatori inoltre non devono riportare informazioni in
punti nascosti, di difficile lettura o rimovibili (es. sigillo di confezionamento).
indelebilità: gli operatori devono garantire l’indelebilità delle informazioni riportate in etichetta,
affinché esse siano leggibili per tutta la vita commerciale del prodotto.
Infine, le indicazioni sull’etichetta dei prodotti alimentari destinati alla commercializzazione sul
mercato nazionale devono essere riportate in lingua italiana.
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La normativa comunitaria regola in maniera rigorosa le caratteristiche delle indicazioni
da riportare all’esterno delle confezioni alimentari. Il campo di applicazione comprende
etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari destinati alla vendita
intendendosi per:
a)etichettatura: l’insieme delle menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di
commercio, immagini o simboli che si riferiscono al prodotto e figurano direttamente
sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli,
anelli o fascette legati al prodotto medesimo o, sui documenti di accompagnamento;
b)presentazione: la forma o l’aspetto conferito ai prodotti alimentari o alla loro
confezione, il materiale utilizzato per il loro confezionamento, il modo in cui sono
disposti sui banchi di vendita, l’ambiente nel quale sono esposti;
c)pubblicità: forme corrette di comunicazione - allo scopo di promuovere la vendita, o
comunque l’immagine dell’impresa - delle caratteristiche dei prodotti alimentari, con
particolare riferimento alla natura, all’identità, alla qualità, alla composizione, al luogo
di origine o di provenienza, al modo di ottenimento o di fabbricazione.
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Il Regolamento 1169/2011, seppur entrato in vigore il 13 dicembre 2011,
verrà applicato in modo graduale, tramite tappe intermedie.
Il regolamento, pur non discostandosi in modo marcato dalla disciplina
precedente, introduce alcune novità di rilievo che intendono migliorare
chiarezza e trasparenza delle informazioni fornite al consumatore.
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Le norme sull’etichettatura diventano uniformi per tutti i paesi dell’UE, prevedendo
l’articolo 38 Reg. 1169/2011 che gli Stati Membri non possano adottare disposizioni
nazionali, salvo che il diritto dell’Unione lo autorizzi, purché non ostacolino la libera
circolazione delle merci.
Una prima modifica di rilievo è quella del campo di applicazione.
Precedentemente le disposizioni riguardavano esclusivamente i prodotti alimentari
preconfezionati. Adesso il regolamento si applica a tutti i prodotti destinati al
consumatore finale, comprendendo anche quelli che vengono preparati da ristoranti,
mense e “catering” o venduti a distanza.
Per quanto concerne gli alimenti non preconfezionati il legislatore europeo lascia agli
Stati membri la facoltà di normare il settore.
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Cosa deve contenere un’etichetta?
Ai sensi dell’art. 9 del Reg. 1169/2011, l’etichettatura dovrà riportare i seguenti dati:
1. la denominazione dell’alimento;
2. l’elenco degli ingredienti;
3. qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico che provochi allergie o intolleranze usato
nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto
finito, anche se in forma alterata;
4. la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
5. la quantità netta dell’alimento;
6. il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
7. le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;
8. il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare
9. le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso
adeguato dell’alimento;
10. per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico
volumico effettivo;
11. una dichiarazione nutrizionale;
12. il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto dall’art. 26.
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Il regolamento introduce novità anche per il regime relativo alle notizie sulla
presenza di ingredienti allergenici, individuandole espressamente nell’allegato
II.
Le sostanze dovranno essere evidenziate distinguendo il possibile allergene
mediante diverso carattere, sfondo o stile.
L’obbligo si estende anche ai prodotti non preimballati, nonché ai prodotti
alimentari venduti nel circuito della ristorazione.
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Al fine di contrastare varie malattie riconducibili a diete squilibrate e stili di vita poco salutari, il
regolamento prevede, dal 13.12.2016, l’obbligatorietà dell’etichettatura nutrizionale per tutti i
prodotti, fatta eccezione per alcuni espressamente previsti.
Tutti i prodotti alimentari preconfezionati dovranno riportare in un unico campo visivo una
tabella nutrizionale con i valori di energia (kcal o kj).
Gli alimenti confezionati devono avere una tabella nutrizionale con almeno sette elementi:
contenuto energetico; grassi ; acidi grassi saturi; carboidrati; proteine; zuccheri; sale.
La dichiarazione nutrizionale obbligatoria potrà essere integrata con l’indicazione delle quantità
di uno o più dei seguenti elementi:
acidi grassi monoinsaturi; acidi grassi polinsaturi; polioli; amido; fibre; sali minerali o vitamine
Potranno, inoltre, essere indicati valori riferiti a singole porzioni e alle percentuali giornaliere
raccomandate o indicative.
Per gli alimenti preimballati la dichiarazione nutrizionale potrà limitarsi al solo valore energetico
oppure al valore energetico accompagnato dalla quantità di grassi, acidi grassi saturi, zuccheri e
sale.
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Paese di origine e luogo di provenienza
L’art. 2, par. 1, lett. g), del Reg. 1169/2011 definisce “luogo di provenienza” qualunque
luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il “paese d’origine”. Se
ne può dedurre che l’origine indichi un legame intrinseco, di causalità, un nesso eziologico
tra l’origine dell’alimento e le sue caratteristiche, mentre la provenienza indichi
genericamente il luogo da cui proviene l’alimento, senza che ne derivino particolari
caratteristiche.
Allo scopo di fare ulteriore chiarezza sull’effettiva provenienza dei prodotti - anche a
seguito del crescente interesse verso alimenti «green» ed ecosostenibili - il regolamento ha
esteso l’obbligatorietà dell’indicazione dell’origine o provenienza di prodotti e materie
prime in tutti quei casi in cui l’omissione possa trarre in inganno il consumatore sul paese
d’origine o sul luogo di provenienza reali dell’alimento (art. 26, par. 2, lett.a)): ciò si
verifica se le informazioni che accompagnano l’alimento o sono contenute nell’etichetta
nel loro insieme possono far ritenere che l’alimento abbia un diverso paese d’origine o un
diverso luogo di provenienza.
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La Commissione Europea avrà poi il compito di valutare l’opportunità di
prescrivere la designazione dell’origine anche per altri prodotti quali gli alimenti
mono-ingrediente, latte e derivati, carni utilizzate come ingrediente di altri cibi.
Inoltre l’art. 39 prevede disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie cd.
complementari. In proposito gli Stati membri possono richiedere ulteriori
indicazioni obbligatorie per specifiche categorie, nel caso in cui si voglia
proteggere il consumatore o la salute pubblica o i diritti di proprietà industriale e
commerciale, delle indicazioni e denominazioni protette o prevenire le frodi o
reprimere la concorrenza sleale.
Tuttavia gli Stati membri possono introdurre disposizioni sull’indicazione
obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza solo ove esista un
nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o
provenienza.
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Le produzioni a denominazione e indicazione geografica protetta
Le caratteristiche, funzioni e contenuti obbligatori delle etichette riguardano
anche il settore delle produzioni alimentari a denominazione e indicazione
protetta.
La normativa attualmente vigente è contenuta nel Reg. (UE) 1151/2012 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 Novembre 2012, sui regimi di
qualità dei prodotti agroalimentari, entrato in vigore dal 3 gennaio 2013, il
quale ha abrogato i Reg. nn. 509 e 510 del 2006.
Recentemente, nel 2014, sono stati emanati i Regolamenti delegati della
Commissione nn. 664, 665, 668, nonché il decreto del Mi.P.A.A.F. 14 ottobre
del 2013 recante disposizioni nazionali per l'attuazione del Regolamento
1151/2012.
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Cosa si intende per produzioni alimentari a denominazione o indicazione
protetta?
Alcuni prodotti alimentari presentano caratteristiche chimico-organolettiche
distintive rispetto agli altri appartenenti alla medesima categoria merceologica,
che derivano dall’ambiente geografico in cui sono stati ottenuti o dal metodo di
produzione.
Tenuto conto dell’importanza e del pregio che queste produzioni rivestono, la
Commissione Europea ha istituito specifici strumenti per la loro tutela e
valorizzazione valevoli su tutto il territorio comunitario: tali strumenti sono la
D.O.P. – Denominazione di Origine Protetta - l’I.G.P. – Indicazione Geografica
Protetta – e la S.T.G. – Specialità Tradizionale Garantita.
Di conseguenza, anche la normativa sull’etichettatura è stata adeguata alle
connesse esigenze di tutela rafforzata.
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La differenza più evidente tra le etichettature delle produzioni alimentari
ordinarie e quelle a denominazione o indicazione protetta è la presenza – resa
obbligatoria solo con il Reg. 1151/2012 - dei seguenti loghi:
D.O.P.
I.G.P.
S.T.G.
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Cosa si deve leggere in etichetta a garanzia che il prodotto sia veramente una Dop
o una IGP?
I nomi registrati come D.O.P., I.G.P. o S.T.G. possono essere utilizzati da qualsiasi
operatore che commercializzi un prodotto conforme al relativo disciplinare e certificato
come tale dagli organismi di controllo.
Secondo quanto originariamente previsto dall’art. 8 del Reg. (CE) N. 510/2006, le
diciture «denominazione d’origine protetta» e «indicazione geografica protetta» o i
simboli comunitari ad esse associati dovevano figurare sull’etichettatura dei prodotti
agricoli e alimentari, originari della Comunità.
L’art 12 del Reg. UE 1151/2012 prevede che per i prodotti originari dell’Unione che sono
commercializzati come denominazione di origine protetta o indicazione geografica
protetta i simboli dell’Unione associati a tali prodotti figurano nell’etichettatura. Inoltre,
il nome registrato del prodotto dovrebbe figurare nello stesso campo visivo.
Le indicazioni “denominazione di origine protetta” o “indicazione geografica protetta” o
le corrispondenti abbreviazioni “D.O.P.” o “I.G.P.” possono figurare nell’etichettatura.
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.
A chiarire la disciplina transitoria è intervenuto il Reg. (UE) N. 664/2014 che ha
integrato l’anzidetto Reg. (UE) n. 1151/2012 allo scopo di garantire continuità tra la
normativa appena istituita e quella abrogata e garantire certezza del diritto e tutela
dei diritti e dei legittimi interessi dei produttori o delle parti interessate. Tale
regolamento prevede che le condizioni di utilizzo dei simboli e delle indicazioni
sull'etichettatura, come prescritto negli abrogati regolamenti (CE) n. 509/2006 e (CE)
n. 510/2006, continuino ad essere applicate fino al 3 gennaio 2016.
L’art. 8 prevede espressamente che fino al 3 gennaio 2016 per i prodotti originari
dell'Unione, il nome registrato, se utilizzato sull'etichettatura, sia accompagnato dal
simbolo corrispondente dell'Unione o dall'indicazione corrispondente di cui
all'articolo 12, paragrafo 3, o all'articolo 23, paragrafo 3, del regolamento (UE) n.
1151/2012.
Da ultimo il Reg. (UE) N. 668/2014 all’art. 13 ha precisato che, laddove i simboli
dell’Unione, le indicazioni o le abbreviazioni figurino sull’etichetta di un prodotto,
questi devono essere accompagnati dalla denominazione registrata.
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Nell’ambito dell’etichettatura dei prodotti a indicazione protetta, dovrà altresì figurare
in etichetta la dicitura “certificato da Organismo di Controllo autorizzato dal
Mi.P.A.A.F.”, così come previsto dalla circolare della Direzione Generale per la
promozione della qualità agroalimentare del 13.09.2012.
Questa indicazione sostituisce la precedente dicitura “garantito dal Ministero delle
politiche agricole alimentari e forestali ai sensi dell’art. 10 del Reg. Ce n. 510/2006”.
Il motivo ispiratore di questo cambiamento deve essere rintracciato nel fatto che la
precedente dicitura non era più in linea con le attuali previsioni normative
comunitarie in materia di individuazione degli enti competenti incaricati dello
svolgimento dei controlli.
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.
Oltre a queste indicazioni obbligatorie, le etichette
dei prodotti DOP e IGP possono riportare
facoltativamente ulteriori distintivi utili all’identificazione quali:
• logo o segno distintivo del prodotto;
• logo o riferimenti al Consorzio di tutela;
• ulteriori modalità identificative previste dai singoli disciplinari di produzione.
Esse hanno quindi lo scopo di fornire maggiori informazioni in merito alle caratteristiche
dell’alimento: ad esempio a particolari metodi di lavorazione (es. impiego di strumenti
tradizionali), alla qualità delle materie prime (es. cultivar impiegate), alle proprietà dell’alimento.
La regola generale per l’utilizzo di queste indicazioni, richiamandosi al Codice del consumo,
impone la veridicità delle informazioni: tutto ciò che viene comunicato al consumatore
mediante l’etichetta (o altri supporti informativi) deve corrispondere al vero e deve essere
supportato da evidenze documentali che le Autorità competenti verificheranno durante i
controlli presso l’azienda.
Inoltre, le indicazioni facoltative non possono in alcun modo sostituire quelle obbligatorie, che
devono essere sempre presenti in etichetta né, tantomeno, possono contravvenire ad esse.
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L’etichetta può inoltre prevedere una serie di indicazioni accessorie previste al Reg.
1151/2012:
•In primo luogo, l’art. 12 par. 4 prevede che possano figurare nell’etichettatura,
unitamente alla denominazione di origine protetta o all’indicazione geografica protetta,
riproduzioni della zona di origine geografica del prodotto; riferimenti testuali, grafici o
simbolici allo Stato membro e/o alla regione in cui è collocata la zona di origine
geografica.
•Ai sensi dell’art. 12 par. 5 è consentito l’uso nell’etichettatura di marchi collettivi
geografici come disciplinati dall’articolo 15 della direttiva 2008/95/CE, recante
“Disposizioni particolari concernenti i marchi collettivi, i marchi di garanzia e i marchi di
certificazione”.
•Inoltre, l’art. 27 disciplina le c.d. indicazioni facoltative di qualità, allo scopo di
agevolare la comunicazione, da parte dei produttori, delle caratteristiche o proprietà
dei prodotti agricoli che conferiscono agli stessi valore aggiunto, ferma restando la
facoltà degli Stati membri, prevista dall’art. 28, di mantenere le disposizioni nazionali
sulle indicazioni facoltative di qualità purché conformi al diritto dell’Unione.
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UTILIZZO DELLA DENOMINAZIONE CONTESTUALMENTE AD ALTRI MARCHI QUALI QUELLI
COLLETTIVI GEOGRAFICI
Per marchio collettivo si intende il marchio la cui registrazione viene richiesta non già da
un singolo imprenditore che lo utilizza per contraddistinguere i prodotti provenienti dalla
propria azienda, bensì da “… soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la
natura o la qualità di determinati prodotti e servizi” al fine di “concederne l’uso secondo le
norme dei rispettivi regolamenti, a produttori e commercianti”.
Pertanto, a differenza del marchio individuale o d’impresa, il marchio collettivo non serve
a ricondurre un prodotto a un’impresa bensì a garantire l’origine, la natura o la qualità di
determinati prodotti ed esprime quindi un collegamento con una pluralità di imprese,
quelle imprese cioè che svolgono o sono in grado di svolgere la predetta funzione di
garanzia.
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Il codice della proprietà industriale prevede, in deroga alla normativa generale, che un marchio
collettivo possa avere carattere geografico, cioè consistere in segni o indicazioni che nel commercio
possano servire per designare la provenienza geografica di prodotti o servizi.
Tuttavia, poiché il toponimo costituente il marchio collettivo è generico e la sua gestione in via
esclusiva da parte del titolare può prestarsi ad abusi ed effetti distorsivi della concorrenza, il
legislatore ha adottato particolari cautele.
Così, innanzitutto, si prevede che l’ente competente possa rifiutare, con provvedimento motivato, la
registrazione del marchio collettivo, quando “i marchi richiesti possano creare situazioni di
ingiustificato privilegio, o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative della
regione “.
L’art. 12, par. 5, Reg. 1151/2012 consente l’uso nell’etichettatura, unitamente alla DOP o all’IGP, di
marchi collettivi geografici, che quindi sono facoltativi. Tali marchi sono disciplinati dall’articolo 15
della direttiva 2008/95/CE, la quale attribuisce agli Stati membri la facoltà di stabilire che i segni o le
indicazioni utili a designare la provenienza geografica costituiscano marchi collettivi, di garanzia o di
certificazione.
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Esiste una distinzione a livello normativo tra marchi collettivi geografici e denominazioni di origine ed indicazioni
geografiche.
In particolare:
- il nome che costituisce la denominazione d’origine, consacrando quest’ultima il legame esistente tra un prodotto
ed un dato territorio, sarà già socialmente affermato, laddove per la registrazione del marchio collettivo geografico
si richiede necessariamente la novità del segno;
- qualsiasi soggetto (persona fisica o giuridica, pubblico o privato, di diritto nazionale o estero) può accedere alla
registrazione del marchio collettivo, mentre la richiesta di registrazione delle denominazioni è riservata alle
“associazioni” di produttori e/o trasformatori;
- le regole d’uso del marchio collettivo hanno una fonte privatistica, essendo i “regolamenti concernenti
l’utilizzazione, i controlli e le sanzioni” elaborati dal soggetto richiedente, mentre il disciplinare di produzione delle
denominazioni soggiace, quanto al contenuto, a precise disposizioni di legge ed è approvato con apposito
provvedimento normativo, ovvero il regolamento comunitario di registrazione della denominazione;
- per effetto della registrazione del marchio il richiedente acquista il diritto all’uso esclusivo che poi, attraverso atti
negoziali di natura privatistica, può essere consentito a terzi; alla registrazione di una denominazione d’origine
consegue, invece, un diritto di utilizzazione direttamente in capo a tutti i produttori, trasformatori o distributori del
prodotto conforme al disciplinare della denominazione.
Bisogna tuttavia precisare che i marchi collettivi non autorizzano comunque il titolare a vietarne l’uso commerciale
a terzi, purché l’utilizzazione sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale. In
particolare tali marchi non potranno essere fatti valere nei confronti di terzi abilitati a usare una denominazione
geografica.
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La tutela della denominazione d’origine è più incisiva di quella del marchio. La
registrazione del marchio, infatti - come già ricordato - non impedisce ai terzi di utilizzare il
nome geografico secondo i canoni di correttezza professionale, cioè in funzione
meramente descrittiva dell’origine del prodotto, mentre la protezione delle denominazioni
è assoluta.
Ed ancora tra le cause di decadenza del marchio figura la sua sopravvenuta
volgarizzazione, ove “divenuto nel commercio per il fatto dell’attività o dell’inattività del
suo titolare, denominazione generica del prodotto o del servizio”, mentre in base alla
normativa vigente “le denominazioni protette non possono diventare generiche”.
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ESISTE UN PROBLEMA DI COMPATIBILITA’ DEL MARCHIO COLLETTIVO GEOGRAFICO
CON UNA DOP/IGP?
Entrambe le forme di tutela hanno come presupposto il legame di un prodotto con un
determinato territorio, ma – come ha chiarito la Corte di giustizia europea nella
sentenza del 7.12.2000 sulla “birra Warsteiner” – mentre in una DOP/IGP è il territorio
che genera la qualità, le caratteristiche o anche la semplice rinomanza del prodotto,
nel marchio collettivo geografico questo nesso diretto di causa/effetto non esiste o
comunque non deve essere considerato.
Pertanto un problema di incompatibilità può presentarsi in concreto qualora non si
abbia l’accortezza, allorché si indica l’origine o la provenienza di un prodotto che si
vuole tutelare con un marchio collettivo geografico, di non evidenziare eventuali nessi
diretti di causalità fra l’area di produzione e le caratteristiche distintive del prodotto.
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Comando Regionale Lombardia
UN MARCHIO COLLETTIVO GEOGRAFICO PUÒ INTERFERIRE CON UNA DOP/IGP?
I casi di interferenza sono configurabili e sono disciplinati dalla normativa.
In primo luogo può accadere che una domanda di registrazione del marchio collettivo
per lo stesso tipo di prodotto sia presentata posteriormente alla data di
presentazione della domanda di registrazione di una DOP/IGP presso la Commissione.
In questo caso la domanda di registrazione del marchio viene respinta e i marchi
registrati in violazione di tale prescrizione sono annullati.
Una seconda ipotesi si può verificare qualora un marchio sia stato depositato,
registrato o acquisito con l’uso in buona fede sul territorio comunitario anteriormente
alla data di protezione della DOP/IGP.
In questo caso l’uso del marchio può proseguire, nonostante la registrazione della
corrispondente DOP/IGP, purché esso non incorra in una delle cause di nullità o
decadenza previste dalla normativa comunitaria.
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Le indicazioni facoltative di qualità
Le indicazioni facoltative di qualità sono state introdotte dall’art. 27, allo scopo di agevolare la
comunicazione nel mercato interno delle qualità dei prodotti agricoli e consentire ai produttori di
comunicare il valore aggiunto di un determinato prodotto.
Ai sensi del successivo art. 29, i requisiti che i prodotti devono soddisfare per ricevere tale indicazione
sono:
a) l’indicazione deve riferirsi a una caratteristica di una o più categorie di prodotti o ad una modalità di
produzione o di trasformazione agricola applicabili in zone specifiche;
b) l’uso dell’indicazione deve conferire valore al prodotto rispetto ad altri prodotti di tipo simile;
c) l’indicazione deve presentare una dimensione europea.
Sono escluse da tale regime le indicazioni che descrivono qualità tecniche di un prodotto ai fini
dell’applicazione di norme di commercializzazione obbligatorie e che non hanno lo scopo di informare i
consumatori riguardo a tali qualità del prodotto.
L’art. 31 introduce quale indicazione facoltativa di qualità l’indicazione “prodotto di montagna”,
intendendo per tale quello destinato al consumo umano, in merito al quale sia le materie prime che gli
alimenti per animali provengono essenzialmente da zone di montagna; nel caso di prodotto trasformato,
anche la trasformazione ha luogo nelle zone di montagna.
Ulteriori integrazioni sono state apportate con il Reg. (CE) N. 665/2014, che ha completato le sintetiche
previsioni del Reg. 1151/2012.
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Etichettatura prodotti interi, preincartati, preconfezionati e relative differenze nella
tutela della denominazione, anche in riferimento alla possibilità di porzionatura se
non prevista dal disciplinare di produzione
L’etichettatura dei prodotti a denominazione d’origine varia in funzione della
modalità di presentazione alla vendita della specifica categoria merceologica di
appartenenza del prodotto.
Questo può presentarsi:
1. Intero
(quando il prodotto alimentare si presenta nella sua integrità. In
questo caso soggiace alle norme generali sull’etichettatura)
2. Porzionato
a) preimballato
(ex preconfezionato)
b) non preimballato (ex preincartato)
3. Sfuso
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I prodotti porzionati
Per prodotto porzionato si intende semplicemente il prodotto diviso o
confezionato in porzioni singole, prescindendo dal momento e dal luogo in cui
questa fase avviene.
La “porzionatura”, se non esplicitamente vietata dal disciplinare, è ad oggi non
normata.
Quindi, così come nel caso del Prosciutto di Parma o del Grana Padano, sarà cura
dei Consorzi rivedere i disciplinari affinché i prodotti non possano essere
porzionati o che comunque lo possano essere ma solo nell’ambito dell’areale di
produzione e/o da operatori autorizzati in maniera tale da garantire la tracciabilità
del prodotto.
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Prodotto preimballato (ex preconfezionato)
Il prodotto preconfezionato è definito sostanzialmente nello stesso modo dall’art. 1, co.
2, lett. b), del D. Lgs. 109/92 e dall’art. 2, par. 2, lett e), del Reg. UE n. 1169/2011,
intendendosi per tale l’unità di vendita destinata a essere presentata come tale al
consumatore finale ed alle collettività, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui è
stato confezionato prima di essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale
imballaggio, ma comunque in modo tale che il contenuto non possa essere alterato senza
aprire o cambiare l’imballaggio.
Tuttavia il Regolamento 1169, oltre a modificare la denominazione del prodotto
preconfezionato, ora “preimballato”, introduce un quid pluris essenziale rispetto al
D.L.vo n. 109/92, poiché precisa che “L’alimento preimballato non comprende gli
alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per
la vendita diretta”.
Si tratta quindi di prodotti alimentari confezionati nello stabilimento di confezionamento e
in assenza dell’acquirente, avvolti, totalmente o in parte, in un imballaggio che deve
essere mantenuto integro fino al momento del consumo.
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Prodotto non preimballato (ex preincartato)
Precedentemente, il D.Lgs. 109/92 intendeva per prodotto preincartato quello presentato
all’interno di un involucro nel quale veniva posto o avvolto presso l’esercizio di vendita.
Con il Reg. UE n. 1169/2011 sono da intendersi alimenti non preimballati (ex preincartati)
quelli imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore, nonché quelli preimballati
per la vendita diretta.
Si tratta quindi di prodotti alimentari confezionati sul punto vendita o al momento della
richiesta del cliente o antecedentemente, ma ai fini della vendita immediata nello stesso
locale dove sono stati confezionati (es: pane, carne fresca, formaggi e salumi al taglio, ecc.).
Un formaggio, come ad esempio il Grana Padano, può essere venduto a spicchi preimballati
(ex preconfezionati) dal produttore, oppure non preimballati (ex preincartati) con film
protettivo applicato nel punto vendita per la vendita diretta: i due casi soggiacciono a
modalità di etichettatura differenti che prevedono una diversa tipologia di informazioni.
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Il regolamento 1169/2011 demanda alla normativa nazionale la definizione delle
informazioni che dovranno accompagnare la vendita degli alimenti sfusi o “preincartati” e
delle modalità da adottare per la loro etichettatura.
Attualmente è di fatto esclusa dal rispetto della nuova normativa la c.d. GDO – Grande
Distribuzione Organizzata .
In altri termini, gli alimenti pre-confezionati dai supermercati per «la vendita diretta»,
cioè prodotti come le carni, i salumi ed i formaggi che vengono messi in vendita da parte
della grande distribuzione avvolti nel cellophane e porzionati rimangono esclusi dalla
quasi totalità delle informazioni obbligatorie.
Sarà pertanto compito del legislatore nazionale colmare questa lacuna legislativa che non
trova ragione d’essere e che crea un eccessivo squilibrio a favore della GDO.
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Le considerazioni esposte valgono, a maggior ragione, in relazione ai prodotti a
denominazione d’origine, per i quali sussiste un vuoto normativo e mancano linee guida
in relazione all’etichettatura.
Solo quando il disciplinare di produzione, come nel caso del Prosciutto di Parma, entra
nel merito anche della porzionatura/taglio e confezionamento il prodotto
preconfezionato dovrà avere una specifica e ben codificata etichettatura che, oltre a dare
le dovute garanzie, ulteriormente certificherà che la porzionatura/taglio ed il
confezionamento sono stati effettuati nella zona d’origine da operatori codificati e loro
stessi certificati.
Ad oggi, quindi, i Consorzi che vogliono garantita la certificazione da frodi in commercio
determinate da preimballi (ex preconfezionature) fatte dal dettagliante distributore con
sue etichette dovranno rivedere ed implementare i disciplinari di produzione.
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A riprova di quanto sopra, la Sentenza della Suprema Corte di Cassazione Penale n.
3178/2013 ha respinto il ricorso di un titolare di un esercizio di vendita al dettaglio
denunciato ai sensi degli articoli 515 e 517-bis c.p. per aver immesso in vendita confezioni di
prosciutto affettato riportante la dicitura “Branchi prosciutto di San Daniele” e “Branchi
prosciutto di Parma”.
Il Tribunale di primo grado aveva motivato la condanna osservando che le modalità di
conservazione (in vaschette contenenti il marchio del dettagliante previo affettamento nel
laboratorio di questi) facevano venir meno l’indispensabile requisito della tracciabilità, sicché
il prodotto ormai privo delle caratteristiche di prosciutto DOP era da considerarsi diverso,
proprio perché privato dell’ultima fase della lavorazione (affettamento e incarto)
espressamente prevista dal disciplinare, secondo cui le caratteristiche di particolare pregio
vanno mantenute sino al consumo finale.
La Corte ha osservato che l’utilizzazione delle denominazioni protette - individuanti
caratteristiche di qualità affatto possedute o comunque irrimediabilmente perdute dal
prodotto - su involucri non preimballati configura i reati suddetti, evidenziando oltretutto il
dato oggettivo della avvenuta lavorazione al di fuori delle condizioni del disciplinare.
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I prodotti sfusi
Sono tutti quei prodotti alimentari sui quali non è possibile apporre l’etichetta in quanto
privi della confezione (frutta-ortaggi ecc.).
Gli alimenti commercializzati sfusi o incartati al momento dell’acquisto da parte del
consumatore soggiacciono a regole di etichettatura meno restrittive rispetto a quelle dei
prodotti preconfezionati, finalizzate a facilitare le operazioni di vendita garantendo, al
contempo, l’adeguata informazione e tutela del consumatore.
Le indicazioni comunque obbligatorie per questa categoria di prodotti sono la
denominazione di vendita e l’eventuale elencazione degli ingredienti.
Tali informazioni devono essere apposte sul prodotto e/o sulla confezione che lo contiene
e/o sul banco di vendita.
A queste indicazioni si aggiungono quelle di volta in volta individuate dal singolo
disciplinare di produzione.
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Evocazione, utilizzo, imitazione di una denominazione per altri prodotti alimentari simili del territorio
I limiti, i vincoli e le disposizioni relative all’etichettatura costituiscono uno strumento indispensabile per il
consumatore – ma anche per gli operatori commerciali – per distinguere il prodotto originale da quello
contraffatto. Naturalmente tali previsioni devono essere accompagnate da un sistema sanzionatorio che il
Reg. 1151/2012, all’art. 13 prevede nei confronti di:
a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono
oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l’uso
di tale nome consenta di sfruttare la notorietà del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano
utilizzati come ingrediente;
b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o
se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo»,
«alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente;
c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle
qualità essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull'imballaggio, nel materiale pubblicitario o sui
documenti relativi al prodotto considerato nonché l'impiego, per il confezionamento, di recipienti che
possano indurre in errore sulla sua origine;
d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.
Il regolamento demanda agli Stati membri l’adozione delle misure amministrative e giudiziarie adeguate
per prevenire o far cessare l’uso illecito delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni
geografiche protette ai sensi del paragrafo 1, prodotte e/o commercializzate in tale Stato membro.
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In conformità a quanto sopra, l’art. 1 del D.Lgs. 297/2004 ha predisposto una tutela dei prodotti a
indicazione protetta nei confronti di tutti quei comportamenti atti a evocare, utilizzare, imitare una
denominazione per altri prodotti alimentari simili del territorio.
Si prevede che, fatta salva l'applicazione delle norme penali, chiunque impiega commercialmente in
maniera diretta o indiretta una denominazione protetta sia sottoposto a sanzioni amministrative
differenziate in funzione del comportamento illecito compiuto, precisamente:
a)per prodotti comparabili, in quanto appartenenti allo stesso tipo, non aventi diritto a tale
denominazione a causa o del mancato assoggettamento al controllo della struttura preposta o per
mancato ottenimento della certificazione di conformità rilasciata dalla struttura di controllo a
sanzioni che variano da un minimo di euro duemila ad un massimo di euro ventimila;
b) per prodotti non comparabili, nella misura in cui l'uso della denominazione protetta consente di
sfruttare indebitamente la reputazione della stessa, alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro
cinquecento ad euro tremilacinquecento;
c) per prodotti composti, elaborati o trasformati che recano nell'etichettatura, nella presentazione
o nella pubblicità, il riferimento ad una denominazione protetta, alla sanzione amministrativa
pecuniaria da euro duemilacinquecento ad euro sedicimila.
Per tutti gli illeciti sopra previsti e' disposta la sanzione accessoria dell'inibizione all'uso della
denominazione protetta per le quantità accertate e, tenuto conto della gravità del fatto, può essere
disposta la pubblicazione del provvedimento che accerta la violazione a spese del soggetto cui la
sanzione e' applicata.
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L’art. 2 del D.Lgs. 297/2004 prevede:
1) la sanzione amministrativa pecuniaria da euro tremila ad euro quindicimila per la modifica - per
la commercializzazione o l'immissione al consumo - della denominazione protetta, o del segno
distintivo o del marchio;
2) la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemila ad euro tredicimila per l’usurpazione,
l’imitazione, o l’evocazione di una denominazione protetta, o del segno distintivo o del marchio,
anche se l'origine vera del prodotto e' indicata o se la denominazione protetta e' una traduzione
non consentita o e' accompagnata da espressioni quali genere, tipo, metodo, alla maniera,
imitazione, o simili;
3) la sanzione amministrativa pecuniaria da euro tremila ad euro ventimila per l’utilizzazione sulla
confezione o sull'imballaggio, nella pubblicità, nell'informazione ai consumatori o sui documenti
relativi ai prodotti considerati di indicazioni false o ingannevoli relative alla provenienza, all'origine,
alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti o l’utilizzazione delle indicazioni non conformi a
quanto indicato nei disciplinari di produzione, nonché l’impiego, per la confezione, di recipienti che
possono indurre in errore sull'origine;
4) la sanzione amministrativa pecuniaria da euro tremila ad euro ventimila per qualsiasi altra prassi
o comportamento idoneo ad indurre in errore sulla vera origine dei prodotti;
5) la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquemila ad euro cinquantamila per l’uso di un
marchio d'impresa che riproduce od evoca una denominazione protetta, ovvero la contraffazione
del segno distintivo o del marchio o di altro sigillo o simbolo oggetto di registrazione ovvero la
detenzione o l’uso di tale segno distintivo o marchio o altro sigillo o simbolo contraffatto.
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L’art. 2, co. 6, del D.Lgs. 297/2004 prevede, altresì, la sanzione amministrativa
pecuniaria di euro cinquantamila per l'uso di espressioni da parte di qualsiasi
soggetto non autorizzato che - nella pubblicità e nell'informazione ai consumatori sono dirette a garantire o ad affermare lo svolgimento di attività di controllo o di
vigilanza su una denominazione protetta, attività che la normativa vigente
attribuisce in via esclusiva alla struttura di controllo e al Consorzio di tutela.
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La tutela prevista dall’ordinamento è anche penale.
Particolarmente rilevante è l’art. 517-quater c.p., che sanziona i casi di contraffazione
o di alterazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti
agroalimentari.
La norma prevede che chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o
denominazioni di origine di prodotti agroalimentari sia punito con la reclusione fino a
due anni e con la multa fino a euro 20.000.
La medesima pena è prevista per chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio
dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o
mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o
denominazioni contraffatte.
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Commercializzazione e etichettatura: chi è responsabile?
A definire la gestione delle etichette è l’art. 7, par. 1, lett. h), del Reg. UE 1151/2012 che,
nel regolamentare il contenuto del disciplinare di produzione, prevede che lo stesso
individui “qualsiasi regola specifica per l'etichettatura del prodotto in questione”.
Pertanto, è il Consorzio di produttori che gestisce l'etichetta; l’Organismo di Controllo nell’ambito del piano dei controlli - valuterà se l’etichettatura è conforme al disciplinare.
A definire la responsabilità è l’art. 8 1169/2011 che stabilisce il principio della
responsabilità a valle della filiera in quanto l’ultimo operatore del settore alimentare che
appone o modifica l’etichetta è responsabile di quanto dichiarato anche dai precedenti
operatori.
Inoltre, ai paragrafi 5 e 6, si definiscono le responsabilità dei Consorzi (anch’essi da
individuarsi tra gli operatori del settore alimentare nell’ambito delle imprese che
controllano) relativamente ai requisiti di conformità alle normative in materia di
etichettatura.
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Comando Regionale Lombardia
L’art 8 del Reg. 1169/2011 in materia di responsabilità degli operatori del settore alimentare
stabilisce che:
1) l’operatore responsabile delle informazioni sugli alimenti è quello con il cui nome o con la cui
ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione,
l’importatore nel mercato dell’Unione.
2) l’operatore responsabile delle informazioni sugli alimenti assicura la presenza e l’esattezza delle
informazioni, conformemente alla normativa applicabile in materia di informazioni e ai requisiti
delle pertinenti disposizioni nazionali.
3) gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti
non forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso
in qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli
alimenti applicabile e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali (responsabilità a valle della
filiera).
4) gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, non modificano le
informazioni che accompagnano un alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore
finale o ridurre in qualunque altro modo il livello di protezione dei consumatori e le possibilità del
consumatore finale di effettuare scelte consapevoli. Gli operatori del settore alimentare sono
responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che
accompagnano il prodotto stesso.
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Comando Regionale Lombardia
Relativamente alla responsabilità dei consorzi, lo stesso art. 8 prevede che, fatti salvi i paragrafi
da 2 a 4, gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano (id est i
consorzi), assicurano e verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di
informazioni sugli alimenti e dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività.
Gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, assicurano che le
informazioni sugli alimenti non preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività siano
trasmesse all’operatore del settore alimentare che riceve tali prodotti, in modo che le
informazioni obbligatorie sugli alimenti siano fornite, ove richiesto, al consumatore finale.
Può quindi affermarsi che ricade sul consorzio la responsabilità della gestione delle etichette,
sanzionabile in base al D.L.vo n. 297/04.
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Acquistare un prodotto con denominazione d’origine è garanzia di migliore qualità?
Si, un prodotto con denominazione d’origine è garanzia di qualità. Occorre però
definire in questo contesto il concetto di qualità.
Un prodotto “casalingo”, fedele alle tradizioni, realizzato con materie prime del
territorio è di certo un prodotto di qualità solo ed esclusivamente dal punto di vista
organolettico e sensoriale, nel senso che “è buono al palato”.
Esso, per contro, non ha alcuna garanzia di rintracciabilità, la sua produzione non è
standard e né standardizzabile ma, soprattutto, è a rischio dal punto di vista sanitario
rispetto ad un prodotto “convenzionale”, essendo al di fuori di ogni normativa di
controllo.
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Il prodotto convenzionale/industriale (ma non DOP) dà garanzia di sanità (ergo non fa male),
essendo soggetto a tutta la normativa igienico/sanitaria ed è standardizzato (il consumatore
troverà sempre gli stessi sapori/colori/odori).
Esso, tuttavia, non necessariamente è anche di qualità organolettica/sensoriale.
Le materie prime sono tutte quelle consentite dalla normativa ed è sovente lontano dalle
tecnologie produttive caratterizzanti ed identificanti un territorio. E’ un prodotto sano ma
non necessariamente salubre.
Prodotto sano
Non fa male
Prodotto salubre
Oltre a non fare male, può anche far bene alla salute
(vitamine, proteine nobili, assenza di additivi chimici)
In definitiva un prodotto con certificazione d’origine è di “certa qualità”, in quanto unisce
alle tradizionali tecnologie produttive di una zona, comprese le materie prime, una piena
rispondenza a tutta la cogente normativa igienico/sanitaria, doppiamente garantita, sia dai
controlli rituali in quanto prodotto alimentare, sia dagli specifici controlli degli organi
istituzionali preposti.
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Comando Regionale Lombardia
CORPO FORESTALE DELLO STATO
Dir. Sup. Dott.ssa Simonetta De Guz
Comandante Regionale Lombardia
Via Vitruvio, 43
20124 MILANO
( 02.6709476-7-8-9 )
[email protected]
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