Novembre/Dicembre 2012
Anno I – Ambiente Lessinia Archeologia – N. 4
Il magazine dei soci ALA
Editoriale di Jacopo Grossule
“Tra le razze più intelligenti, esiste un gran numero di donne i cui cervelli sono più vicini nelle
dimensioni a quelle dei maschi meno sviluppati.
Questa inferiorità è talmente ovvia che nessuno potrebbe contestarla per un momento; quello su
cui si potrebbe discutere è il grado di inferiorità. Tutti gli psicologi che hanno studiato
l’intelligenza delle donne, riconoscono oggi che esse sono la forma più bassa dell’evoluzione
umana e che sono più simili ai bambini e ai selvaggi che non all’uomo adulto e civilizzato.
Senza dubbio esistono donne di notevole talento, superiori all’uomo medio, ma esse sono
eccezionali come la nascita di una qualsiasi mostruosità, e possiamo quindi evitare di prenderle in
considerazione.”
Questa frase assolutamente terrificante risale al 1925 e ne è autore Gustave Le Bon, considerato
eminente psicologo e sociologo francese.
Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate. Esistono uguali diritti all’istruzione, alla crescita
professionale e alla libertà di vivere la propria vita nel modo più consono all’individuo.
Purtroppo la giornata del 25 novembre ci ricorda che ancora adesso non tutte le donne godono di
queste possibilità. Nel 2008 l’ISTAT ha stimato che 6 milioni 743 mila donne, circa un terzo della
popolazione adulta femminile italiana, abbiano subito almeno un episodio di violenza nell’arco
della loro vita, ma sicuramente il dato reale sarebbe ancora più spaventoso.
Il problema, infatti, è che non si possono considerare solo le violenze fisiche, quelle che spesso
portano la malcapitata in ospedale anche in fin di vita, ma anche le violenze psicologiche, di cui è
un chiaro esempio la citazione iniziale, e tutti quei comportamenti che tendono a discriminare i
diversi sessi nel lavoro e nella vita di tutti i giorni.
Purtroppo si potrebbero enumerare moltissimi altri esempi di donne e ragazze private dei più
sacrosanti diritti umani. Si spera che all’incontro al vertice europeo delle Nazioni Unite, in
programma per il 26 novembre, si torni a discutere su misure adeguate al fine di eliminare questa
realtà, divenuta davvero insostenibile ed offensiva per la specie umana.
Forse in futuro non ci sia più bisogno di giornate come questa.
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Vivo naturale
Affrontare la vita lentamente
di Alessandro Mantovani ([email protected])
Senza troppa fretta.
Si chiama “filosofia della lentezza” e prende corpo - appunto - lentamente. Il tutto iniziò con lo
“Slow Food”, cibo lento, da contrapporre al Fast Food, caratterizzato da panino, bibita gasata e
dolce ipercalorico. Successivamente è toccato a “Città Slow”, diffuso in 25 Paesi, per tutelare le
botteghe artigiane, la cucina tradizionale e l’urbanistica antica contro gli ipermercati, il cibo
spazzatura e le tangenziali.
C’è anche lo “Slow Living” che si caratterizza per le vacanze in campagna senza discoteche e lo
“Slow Snow” per chi l’inverno lo preferisce passare con le ciaspole piuttosto che con gli sci da
discesa. Ma c’è pure la Slow Economy fatta di sobrietà, ecosostenibilità, consumo consapevole,
crescita con lentezza.
Adesso c’è anche internet. Si chiama infatti “Slow Communication” contro la web-dipendenza
che porta a restare sempre connessi: mail da controllare ad ogni ora ed in qualsiasi posto, notizie
da leggere, Facebook da aggiornare e tweet da spedire. Insomma un equilibrio tra la velocità e
l’immediatezza del web ed il pensiero lento, lineare e approfondito. Tra i guru dello “Slow
Communication” ci sono il giornalista americano Peter Laufer, teorico delle slow news ed il
saggista John Freeman che pubblicò nel 2009 sul Wall Street Journal un manifesto pro “Slow
Communication” dove affermava: “I nostri giorni sono limitati, le nostre ore sono preziose.
Dobbiamo decidere che cosa dobbiamo fare, che cosa vogliamo dire, di che cosa dobbiamo
prenderci cura. Bisogna pensare come vogliamo ripartire il nostro tempo. Dobbiamo rallentare”.
Un bellissimo pensiero questo che si può applicare benissimo alla nostra realtà della Lessinia,
organizzando camminate, passeggiate, giri in bici, pranzi in malga per riscoprire la natura magica
di questi luoghi e gli antichi sapori. Mi viene in mente questo bellissimo pensiero di
Paramahamsa Prajnanananda (L’Universo Interiore): “La Terra di per se stessa è uno spettacolo
incantevole con le sue alte vette, i laghi ed i fiumi, le valli e le fertili pianure, ma con i ritmi di
vita che conduciamo al giorno d’oggi, siamo tutti sempre così presi dalle nostre attività ed
impegni, che quando abbiamo del tempo libero, le nostre menti si focalizzano solo sulla ricerca
di svaghi, del buon cibo o delle ore di meritato riposo e ci dimentichiamo di volgere lo sguardo
alla perfezione della Creazione di Dio”.
Ho già in mente cosa fare: un bellissimo giro nella nostra bellissima Lessinia con la persona
amata.
Senza troppa fretta, però.
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Le Male Erbe
Portulaca oleracea var. oleracea
di Roberto Cazzador ([email protected])
Porcellana comune, Succolenta selvatica, Porsëlara
Classe Magnoliospida
Sottoclasse Caryophyllidae
Ordine Caryophyllales
Famiglia Portulacaceae
Genere Portulaca
Specie Oleracea
Pianta spontanea erbacea con portamento strisciante
originaria del medio oriente (sebbene non si sappia con certezza la sua origine) e diffusasi in tutto
il mondo in seguito alla migrazioni dei luoghi coltivati. Il nome latino deriva da ‘piccola porta’
(portula) a causa del suo modo di aprire le sue capsule ed il termine oleracea deriva da oleraceus
termine latino che indica qualsiasi ‘verdura che viene dall’orto’ come a sottolineare la sua
diffusione anche nel periodo Romano Antico. Viene considerata dai più una pianta
particolarmente infestante e difficile da eliminare.
È una piccola pianta la quale raggiunge di rado i 10 cm seppure i suoi fusti siano lunghi per
almeno 20 cm, tende ad occupare, strisciando, notevoli spazi di superficie. Le radici sono
fittonanti, poco profonde e poco robuste: si estrae facilmente l’intera radice dal terreno. Il fusto è
di colore rosso, ma tende a diventare verde con il tempo, ha un aspetto carnoso e dalla consistenza
gommosa al tatto. Le foglie sono carnose ovali ed sub sessili grandi da pochi millimetri a 5 cm a
seconda della loro esposizione; di un colore verde scuro sulla pagina superiore e grigio argentato
nella pagina inferiore dovuta alla presenza di cere protettive per gli stomi. Le foglie sono portate a
rosetta all’apice del fusto. I fiori sono monoclini (ermafroditi) riuniti in capolini di colore giallo
molto piccoli portato al centro della rosetta fogliare, la fioritura è continua da maggio a settembre.
I frutti sono delle capsule verdi che tendono ad
scoperchiarsi liberando i semi neri piccoli e molto
caratteristici. La maturazione avviene dopo un mese la
fecondazione.
La portulaca è una pianta eliofila con carattere pioniere
dei terreni mossi teme, però, le gelate. Resiste
ottimamente alla siccità ed ha una elevata capacita di
radicamento lungo tutto il fusto e una buona capacità
germinativa dei semi. Si trova soprattutto lungo le
strade o in terreni frequentemente dissodati come
coltivi o massicciate delle ferrovie. Attualmente si
conoscono varie varietà di portulaca, ne esistono 200
circa, la specie oleracea è la più comune, ma nei paesi
asiatici vivono varietà da sottobosco e varietà cascanti.
Cresce su qualsiasi tipo di terreno. La sua coltivazione
non richiede molti sforzi: praticamente cresce da sola.
Non ha bisogno di un terreno specifico, ma è meglio se
è ben concimato. Non ha bisogno di irrigazioni: è
sufficiente dare acqua con uno spruzzino una volta la
settimana nei periodi di lunga siccità.
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Cresce esclusivamente in posizione soleggiata. Si consiglia di coltivarla in vaso o in un terreno
isolato per evitare il suo carattere infestante possa essere un problema per il giardino o per l’orto.
Per il consumo umano è bene utilizzare le varietà ‘sativa’ se non fosse possibile procurarla vanno
bene piante selvatiche raccolte lungo il ciglio della strada, ma non le varietà floreali.
Per motivi estetici si possono trovare molte varietà in commercio con colori diversi dei fiori, con
portamento più o meno eretto e talvolta cascante, con epoca di fioritura diverse cercate bene
oppure fatevi consigliare (p.s. molto probabilmente dovrete parlare di succolente e non
portulache), ma attenzione teme il gelo, va tenuta in luogo soleggiato e riparato. Viene coltivata
soprattutto nei paesi mediterranei meridionali come insalata da taglio invernale o per motivi
estetici floreali.
È la pianta ideale per chiunque non abbia tempo per coltivare o fare giardinaggio.
La portulaca è stata molto importante per l’alimentazione umana. Può essere usata come verdura a
foglia verde a crudo (solo foglie e fiori) o cotta in brodo come addensante per risotti e minestre
(anche i fusti) e apprezzata per il suo gusto acidulo di fondo. È una buona fonte primaria di
vitamina C e B3, le sue foglie sono considerate come la fonte terreste più ricca di grassi Omega-3
vegetale. Inoltre la sua sostanza mucillaginosa dei fusti è utile per lenire qualsiasi irritazione e
bevuta in infuso come lenitivo di ulcere e acidosi gastrica oppure sfregata sulla pelle contro le
punture di insetti e dermatiti.
Questo particolare vegetale, purtroppo, non gode di buona stima presso i veronesi. Questa pianta,
infatti, ha la sgradevole caratteristica di crescere in modo invasivo negli orti e anche nei campi
coltivati. Essendo molto vigorose e tappezzanti ben presto entrano in competizione con giovani
piante rischiando di soffocarle. I contadini, perciò, la eliminavano dai coltivi in modo continuo,
visto la capacità di ricaccio, fino ad averne una quantità elevata che non riuscivano o non
sapevano come eliminare. Essendo una pianta succolenta con una notevole scorta di liquidi nel
fusto brucia poco e male; e se interrata ricacciava velocemente. E neppure la consumavano come
si fa nei paesi mediterranei meridionali perché nel veronese, dato il clima, è possibile consumarla
solo nel periodo primaverile/estivo: periodo di raccolta anche dell’insalata preferita di gran lunga
alla portulaca. Dato la sua invasività dei coltivi, inoltre, era considerata una ‘cattiva’ erba in tutti i
sensi perfino nel gusto. Perciò la gettavano incuranti nell’aia oppure direttamente negli stazzi dove
si trovano gli animali e in qualche modo veniva consumata. I maiali o ‘porsëi’ in particolare erano
attratti dal suo gusto fresco e un po’ acidulo e questo veniva notato, da cui il nome dialettale la
quale significa“erba dei maiali” o “porsëlara”.
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Approfondimenti
Gli Omega-3
Il nome Omega-3 raggruppa degli acidi grassi polisaturi essenziali (chiamati anche acidi o
vitamine F dall’inglese Fatty Acids) sono formati in una catena carbonica il cui ultimo legame
carbonio detto Carbonio ω (omega) è preceduto da 3 ranghi di doppi legami: è un tipo di acido
stabile che tende a rimanere in soluzione invece di accumularsi nel tessuto adiposo. Importante
per il metabolismo cellulare, perché aiutano a mantenere integre tutte le membrane cellulari del
nostro corpo e hanno un effetto antiradicale generale per il nostro organismo. È definito
essenziale perché l’essere umano ha perso la capacità di autoproduzione di questo elemento per
cui siamo costretti ad ingerirlo. In natura questi acidi essenziali si possono trovare nelle cellule
fontosintetiche (come le foglie di un albero o in un’alga) oppure nei pesci ossei i quali non hanno
perduto la propria capacità di accumulare gli omega-3 vegetali e di sintetizzare grassi Omega-3
propri (pesce spada, tonno, arringa, sardina, salmone ecc…). Comunque anche i pesci riescono a
sintetizzare gli Omega-3 ‘animali’ solo partendo dall’acido linolenico (ALA) di origine
vegetale, un omega-3 presente soprattutto nell’alga klamth e nelle alghe unicellulari, ma che
prende il nome dalla specie terreste più ricca di questo acido: il lino.
Fonti
Mangiare le piante spontanee (Gelli)
Piante e fiori di campagna e di bosco (Christiansen; Brunerye E.P.)
Wikipedia.it
Riflessioni da Presidente
La forza della Natura
di Pietro Nicolis ([email protected])
La provincia di Verona sembrava essere esente da quegli eventi naturali come alluvioni, dissesti
idrogeologici e terremoti, che a rotazione infliggono danni e talvolta vittime in qualche luogo
d'Italia. Ma ci si sbagliava. Tutta la terra, dato il suo carattere dinamico e mutevole, può regalare
sempre, anche nel luogo sulla superficie terrestre apparentemente più stabile e sicuro, una
manifestazione della sua vivacità. Una variabilità che però andrebbe letta non solo come pericolo,
morte e distruzione, ma anche e soprattutto come trasformazione, cambiamento, rinnovamento e
nuova vita. Non si può negare poi come la memoria umana possa essere labile ed i media delle
casse di risonanza agevolate da filmati e tecnologie impensabili in passato. E' infatti noto,
attraverso documenti o altre fonti, che eventi del genere si sono già registrati in tempi più o meno
lontani. Inoltre, studi ed attente analisi di campioni e morfologie dei luoghi, ci raccontano della
vita movimentata del nostro pianeta. Eppure sembriamo spesso sorpresi ed impreparati di fronte a
tutto questo. Forse siamo ancora troppo distratti e superficiali rispetto alle dinamiche del mondo
che ci circonda. Analizziamo alcuni eventi accaduti nell'ultimo anno nel territorio veronese.
La scossa di terremoto di 4.2 gradi della scala Richter registratasi nel comune di Negrar il giorno
25 del mese di Gennaio 2012.
Si tratta nei fatti di una zona già soggetta in tempi geologici a terremoti, fuoriuscite sottomarine di
magmi, acque bollenti ricche di zolfo e metalli, esplosioni. Le testimonianze di tutta questa attività
si trovano ancora li, nella montagna. Non va poi dimenticato che fu un forte terremoto avvenuto
nel "700 a causare il crollo di una parte dell'ala esterna dell'Arena.
Le esondazioni dei fiumi Alpone, Tramigna, Aldegà e la piena dell'Adige dell'11 Novembre 2012.
Anche in questo caso, non si può dire che si sia trattato di eventi così eccezionali o imprevedibili,
dato che è nota da sempre la notevole piovosità delle aree nord - orientali della provincia e la
minore permeabilità di questi terreni. Non va mai infatti dimenticato che non è quasi mai una sola
la causa di questi eventi e soprattutto delle loro conseguenze.
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E se l'intensità e la durata delle precipitazioni sono fattori senza i quali straripamenti e dissesti non
potrebbero accadere, esistono tutta un'altra serie di fattori che compartecipano a rendere un evento
frequente o raro. Si tratta delle permeabilità dei suoli e della roccia del substrato, del grado di
saturazione del terreno appena prima dell'inizio dell'evento piovoso, dell'uso del suolo, della
dimensione del bacino idrografico del fiume e di tutto un'insieme di altri caratteri morfologici,
topografici ed idrologici.
Una questione piuttosto complessa ed articolata dunque. L'uso che l'uomo fa poi del territorio
risulta determinante nel determinare le conseguenze in termini di danni e vittime. La ricerca, le
nuove conoscenze e la tecnologia molto hanno fatto e potranno fare, ma mai potranno garantire un
rischio nullo. A titolo di esempio, se nel tempo siamo riusciti a meglio prevedere e proteggerci
dalle piene dei grandi fiumi italiani, ancora molto vulnerabili sembriamo di fronte alle esondazioni
dei corsi d'acqua minori, più piccoli, caratterizzati da portate inferiori ma che possono gonfiarsi
con precipitazioni intense e di breve durata, con velocità elevate e forte potere distruttivo. Questi
sono diffusi in modo capillare sul territorio e per questo risulta più difficile monitorarli e
controllarne sistemazione e pulizia.
Mai dimenticare però che
questi sono prima di tutto una
preziosa risorsa che ci ricorda
come in Italia l'acqua sia
ancora disponibile e vada
tutelata in tutte le sue forme
ed espressioni.
Nei prossimi numeri del
Magazine verranno presi in
esame alcuni casi specifici di
studio, con una trattazione di
carattere tecnico - scientifico,
con riferimento anche alla
pianificazione territoriale e
alla valutazione degli impatti
che alcune opere possono
apportare nei confronti dei
recettori ambientali e non
solo.
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Pillole di Biologia
Tu dormi come un ghiro?
di Jacopo Grossule ([email protected])
Avere la compagnia di un animale come il
criceto oltre che piacevole può risultare molto
interessante in determinati periodi dell’anno.
Durante i periodi più freddi, questi animali
devono adattarsi a stili di vita diversi rispetto
alla stagione estiva. Essi infatti non migrano
verso luoghi più caldi ed ospitali. Fanno parte
di quel gruppo di mammiferi che preferiscono
trascorrere i mesi più difficili in uno stato di
torpore più o meno profondo.
Il criceto, come lo scoiattolo o il pipistrello,
nel corso dell’inverno va in uno stato chiamato
di semi-letargo. Questo rallenta notevolmente i
ritmi vitali ma lo mantiene comunque in uno
condizione di semi attività permettendogli di
svegliarsi di tanto in tanto per cercare del cibo.
È quindi ancora possibile sentirlo uscire dalla
tana durante la notte per nutrirsi e svolgere le
sue mansioni di ristrutturatore del giaciglio.
Ricci, ghiri e marmotte, invece, nella stagione
fredda, cadono in un sonno profondo chiamato
ibernazione, subendo dei veri e propri
mutamenti fisiologici. Il loro è il vero e
proprio letargo, dal greco lethargos, oblio
inoperoso, che consiste in un rallentamento
significativo di tutte le funzioni vitali
dell’animale, il quale resta in stato di
quiescenza per periodi più o meno lunghi. La
pressione del suo sangue cala notevolmente, la
frequenza delle pulsazioni si riduce fino a
pochi battiti al minuto, la respirazione diventa
irregolare e molto lenta e la temperatura
corporea si abbassa fino quasi al congelamento.
L'animale si alimenta abbondantemente nella
tarda estate per digiunare poi durante tutto il
periodo di sonno e sopravvivere bruciando
lentamente il grasso accumulato in precedenza.
Il rallentamento delle funzioni vitali rende
possibile questa sorta di digiuno prolungato
che porterebbe altrimenti alla morte
dell'animale.
Questa condizione fornisce parecchi vantaggi
agli omeotermi di piccole dimensioni, per i
quali sarebbe troppo costoso mantenere una
temperatura corporea elevata durante questi
freddi periodi.
La loro taglia infatti, implica un’elevata
dispersione termica richiedendo quindi un
metabolismo troppo rapido per le scarse
riserve di cibo disponibili.
Nonostante si creda che l’orso trascorra
l’inverno in uno stato di ibernazione, in realtà
non è così. Gli orsi bruni, e tutti i suoi più
stretti parenti, in realtà cadono in un
particolare sonno invernale. Essi infatti
possono risvegliarsi facilmente come gli
animali che vanno in semi-letargo e lasciano
che la temperatura corporea diminuisca solo di
pochi gradi sotto la norma. Durante questo
stato, gli orsi, non bevono e non mangiano.
Essi possono anche riciclare l’urea che
normalmente viene espulsa con l’urina. L’urea
viene dunque degradata in amminoacidi a loro
volta incorporati nelle proteine del sangue.
Come si può notare il letargo è un processo
difficile da generalizzare. Ogni specie entra in
questo torpore in modo leggermente diverso.
In questo periodo dell’anno, a causa di nebbia
e cielo griglio, sembra, a volte, che anche
l’Uomo tenda ad entrare in uno stato di sonno
invernale. A questo punto non resta che
augurare a tutti buone nanne.
ALA Ambiente Lessinia Archeologia
www.ala.joomlafree.it
[email protected]
Anno I – N. 4 NOVEMBRE/DICEMBRE 2012
InformAla è una pubblicazione bimestrale riservata ai Soci ALA
Responsabile: Jacopo Grossule
Hanno collaborato: Alessandro Mantovani, Pietro Nicolis,
Roberto Cazzador, Anita Casarotto, Tania Busato.