Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 145 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione CristosXiloyannis, Rossano Massai, Bartolomeo Dichio 6.1. Il ruolo dell’acqua nella pianta L’acqua è il costituente principale delle piante e molte funzioni vitali dipendono dalla sua presenza. Il contenuto d’acqua delle cellule vegetali può variare dal 10% nei semi secchi al 95% in alcuni frutti e nelle foglie giovani. L’acqua, inoltre, rappresenta dall’80 al 90% del peso dei tessuti in fase di crescita. Le funzioni dell’acqua nella pianta sono molteplici: – componente principale delle reazioni biochimiche che caratterizzano i processi fotosintetici e traspirativi; – responsabile della pressione di turgore all’interno della cellula vegetale; – regolatore dell’apertura e della chiusura degli stomi, controllando così l’entità della traspirazione e della fotosintesi; – responsabile della riduzione della temperatura dei tessuti ed in particolare della foglia che avviene attraverso la sua evaporazione nel corso della traspirazione; – solvente per i gas, i minerali e le sostanze nutritive che si muovono all’interno della pianta; elemento principale di tutte le reazioni metaboliche che si svolgono all’interno della pianta. Dall’importanza delle funzioni sopra elencate si comprende la necessità di mantenere a livelli ottimali i contenuti idrici dei tessuti della pianta. Una riduzione del contenuto idrico nel suolo determina una riduzione della quantità di acqua assorbita non sufficiente a bilanciare le perdite per traspirazione, determinando, pertanto, uno stato di deficit idrico nei vari tessuti. La condizione di carenza idrica influenza tutte le funzioni per le quali l’acqua svolge un ruolo fondamentale. Il ciclo dell’acqua nella pianta interessa tre fasi: – assorbimento radicale; – movimento all’interno della pianta; – movimento dell’acqua dalla pianta all’ambiente esterno (traspirazione). Le radici assorbono l’acqua dal suolo attraverso un meccanismo attivo e passivo. Il primo consiste nel movimento dell’acqua in un gradiente osmotico che si instaura tra la soluzione circolante e le cellule radicali, ed opera principalmente in condizione di elevata disponibilità idrica nel terreno e ridotta traspirazione; il secondo, il più importante, consiste nel movimento dell’acqua secondo un gradiente di potenziali idrici (forza di suzione) che si genera all’interno del sistema conduttore, per effetto della domanda evapotraspirativa dell’ambiente. Una volta assorbite dalle radici, l’acqua e le sostanze nutritive sono trasportate attraverso lo xilema verso i vari organi della chioma, mentre i fotoassimilati sono distribuiti verso i centri di utilizzazione ed accumulo attraverso i vasi floematici. Per comprendere come l’acqua si muove secondo gradienti di potenziale fino a raggiungere i punti più alti della chioma è importante considerare alcune caratteristiche fisico-chimiche della molecola di acqua. Le forze di coesione che collegano tra loro le molecole, e le forze di adesione tra le molecole di acqua e quelle dei polisaccaridi delle pareti cellulari, consentono di formare all’interno dei vasi conduttori delle colonne ininterrotte che vanno dalle radici alle foglie. Tale soluzione di continuità che si crea all’interno del tessuto conduttore permette di recepire a livello dell’apparato radicale ogni variazione di potenziale che si verifica nell’organo traspirante. La traspirazione può essere cuticolare o stomatica. La traspirazione stomatica rappresenta la via principale, in quanto attraverso gli stomi, che nel pesco si trovano nella lamina fogliare inferiore con una densità di circa 300 mm–2, avvengono i processi di assorbimento di CO2 ed emissione di O2 importanti per l’attività fotosintetica e respirativa. La perdita di acqua attraverso la traspirazione, riduce il potenziale idrico cellulare che raggiunge valo145 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 146 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione ri negativi. Questa condizione richiama un flusso di acqua dallo xilema verso le cellule della foglia, creando una tensione nella linfa xilematica che si trasmette fino alle radici. Il gradiente di tensione causa il movimento dell’acqua dalle cellule radicali verso lo xilema delle radici, nel contempo la diminuzione del potenziale nelle cellule delle radici provoca l’ingresso dell’acqua dal suolo. In relazione alla domanda evapotraspirativa dell’ambiente, alla disponibilità idrica del suolo e alle resistenze che i diversi organi della pianta offrono al passaggio dell’acqua, i potenziali idrici fogliari possono oscillare da –0,3 a –3,0 MPa, i potenziali delle radici da –0,1 a –2,5 MPa e quelli del suolo da –0,03 a –1,5 MPa (fig. 6.1). Il potenziale idrico dell’aria dipende principalmente dall’umidità relativa e può raggiungere valori molto negativi. Infatti se consideriamo una temperatura di 20 °C e 40% di umidità relativa, il potenziale idrico dell’aria raggiunge valori di –124 MPa. Come già accennato il gradiente di potenziale dipende dalle resistenze che l’acqua incontra lungo il percorso suolo-radici-foglie. Ad esempio l’ultrastruttura dell’interfaccia radice/terreno è responsabile della resistenza al flusso di acqua verso l’interno della pianta, la cui intensità varia con l’umidità del suolo e può diventare notevole in un terreno asciutto. Tuttavia la più ampia caduta di potenziale idrico all’interno della pianta si ha nella zona compresa fra la superficie della radice e lo xilema. Infatti, le resistenze al flusso dell’acqua sono molto alte negli strati cellulari corticali della radice da cui, con un percorso radiale, l’acqua raggiunge il cambio ed i vasi. ri foglia limite strato ra dic i su olo Ambiente 20 °C 40% U.R. Ψw –124 MPa Ψw foglia da –0,3 a –3,0 MPa sistema condutt ore sto resistenze e n o in punt Ψw radici da –0,1 a –2,5 MPa Ψw suolo da –0,03 a –1,5 MPa Fig. 6.1 - Le oscillazioni dei potenziali idrici dei tessuti ed il gradiente dei potenziali tra atmosfera pianta e suolo dipendono dalla domanda evapotraspirativa dell’ambiente, dalla disponibilità idrica del suolo, dall’efficienza di trasporto del sistema conduttore e dalla capacità di regolazione stomatica del flusso traspirativo (disegno Dr. Giuseppe Matarazzo). 146 La resistenza a livello radicale rappresenta il 60-70% della resistenza che incontra l’acqua lungo il percorso dal terreno alle foglie. Le resistenze che l’acqua incontra nella risalita nella parte epigea della pianta è considerevolmente più bassa e dipende molto dalle caratteristiche del sistema di trasporto xilematico. I pesco appartiene al gruppo delle caducifoglie che presentano un accrescimento annuale del diametro del tronco e pertanto i vasi xilematici sono disposti lungo i tessuti parenchimatici degli anelli di accrescimento. Generalmente i vasi xilematici restano funzionanti nella porzione di accrescimento degli ultimi 4-5 anni, mentre i vasi che si trovano nel duramen, la porzione più vecchia del legno, non sono più funzionanti ed assolvono funzione di riserva e di sostegno. I vasi xilematici del pesco sono abbastanza piccoli, il loro diametro può variare da 20 a 30 µm, e presentano una densità di circa 200 vasi per mm2. Considerato che la conducibilità specifica del sistema di trasporto è proporzionale alla quarta potenza del diametro dei vasi, l’efficienza di trasporto del fusto dipenderà dalla dimensione e numero dei vasi xilematici e dalla percentuale di area effettivamente conduttiva del fusto. I vasi xilematici piccoli non permettono un rapido e sufficiente apporto idrico alle foglie, pertanto nelle ore della giornata con elevata domanda evapotraspirativa dell’ambiente, la quantità di acqua assorbita e la velocità con cui fluisce verso le foglie non sono sufficienti a compensare le perdite per traspirazione. Di conseguenza il potenziale idrico fogliare diminuisce a causa del consumo parziale delle riserve idriche dei tessuti. In piante come l’actinidia e la vite, caratterizzate da vasi xilematici più grandi (diametro da 300-500 µm), l’efficienza del trasporto è maggiore pertanto le oscillazioni dei potenziali idrici fogliari durante il giorno sono inferiori (fig. 6.2). L’acqua all’interno della pianta di pesco si muove con una velocità massima variabile da 5 a 7 m h–1 mentre le sostanze in essa disciolte si muovono più lentamente (20-100 cm h–1). Per le piante bimembri l’innesto spesso rappresenta un punto di restrizione al passaggio della linfa. Il diverso sviluppo e le caratteristiche dei tessuti parenchimatici e vascolari dei due bionti giocano un ruolo determinante nella conduzione del flusso xilematico e floematico. L’acqua nel fusto si muove principalmente i senso verticale, sebbene sia presente anche un movimento radiale e tangenziale. Pertanto, se una parte del sistema vascolare viene danneggiato, la porzione di chioma corrispondente riceverà una quantità limitata di flusso xilematico. La quantità e la velocità con la quale successivamente l’acqua passa dalle foglie all’ambiente esterno, Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 147 6.2 Carenza idrica e meccanismi di difesa Fig. 6.2 - Andamento giornaliero dei potenziali idrici fogliari in actinidia (pianta isoidrica) e pesco (pianta anisoidrica) in condizioni idriche ottimali. Potenziale idrico fogliare (MPa) 0,00 actinidia -1,00 pesco -2,00 4 dipendono dalle caratteristiche morfo-funzionali dell’apparato stomatico, del mesofillo, dello strato epicuticolare e dello strato limite che creano delle resistenze tanto attive quanto passive. Tale passaggio richiede una elevata quantità di energia (circa 600 cal/g–1) che viene fornita dall’ambiente esterno. Quasi la totalità dell’acqua viene traspirata attraverso le aperture stomatiche in quanto la cuticola oppone elevata resistenza a causa della scarsa permeabilità all’acqua. Lo spessore, la composizione e la morfologia della cuticola dipendono dalla specie, dalle condizioni di crescita e dall’età delle foglie stesse. La lamina di una foglia di pesco cresciuta in piena luce ha uno spessore variabile da 100 a 120 µm ed è composta mediamente da: epidermide superiore di 18 µm; parenchima a palizzata di 50 µm; parenchima spugnoso di 35 µm; epidermide inferiore di 12 µm. Il controllo del bilancio idrico dipende dall’età delle foglie; infatti in quelle giovani, con stomi non ancora completamente formati, la conduttanza stomatica è più bassa rispetto a quella di una foglia che ha completato lo sviluppo. Le foglie giovani però hanno una cuticola meno spessa e quindi una traspirazione cuticolare più elevata. Infine la resistenza dello strato limite è in relazione alle dimensioni, alla conformazione delle foglie alla presenza dei tricomi ed alla velocità del vento. 6.2. Carenza idrica e meccanismi di difesa In termini agronomici la carenza di acqua nella pianta determina complessivamente una riduzione dell’attività vegetativa, della produttività e della qualità dei frutti. In termini fisiologici avviene una riduzione della divisione e distensione cellulare, della traspirazione, della fotosintesi e dell’accumulo delle sostanze di riserva. 6 8 10 12 14 16 18 20 Ora del giorno Le specie arboree da frutto presentano comportamenti diversi nei riguardi della carenza idrica nel terreno. Comportamenti che non sono la conseguenza di singole modificazioni ma il risultato degli adattamenti anatomici, morfologici e biochimici che le varie specie hanno sviluppato nel tempo in risposta all’azione delle variabili ambientali. Il pesco si potrebbe classificare nel gruppo di piante che hanno un comportamento anisoidrico in cui il potenziale idrico dei tessuti, sia in condizioni idriche ottimali sia in condizioni di carenza idrica, subisce variazioni notevoli durante la giornata in risposta sia al contenuto idrico del suolo sia alle condizioni ambientali. Al contrario le piante isoidriche (es. actinidia) in cui il sistema di trasporto, in condizioni idriche ottimali, permette di trasferire alle foglie quasi tutta l’acqua traspirata, presentano lievi variazioni del potenziale idrico fogliare durante il giorno. La pianta di pesco si può classificare come mediamente resistente alla carenza idrica. Il pesco presenta un comportamento simile a quello dell’olivo fino ai valori di potenziali idrici fogliari all’alba di circa – 3,0 MPa. Tale specie durante il periodo di carenza idrica, raggiunti i valori limite di potenziale idrico fogliare, manifesta una modesta attività traspiratoria soltanto nelle prime ore della mattina utilizzando l’acqua accumulata nei vari tessuti durante la notte. Persa tale acqua reagisce chiudendo gli stomi e mantenendosi sui valori di (Ψw uguali o leggermente più bassi a quelli delle piante di controllo. Pertanto, in condizioni di carenza idrica il potenziale idrico fogliare rilevato durante le ore più calde, non può essere utilizzato per stabilire se una pianta è in stato di stress idrico; al contrario il potenziale idrico fogliare rilevato all’alba, quando lo stato idrico della pianta è in equilibrio con quello del terreno, la conduttanza stomatica, l’attività fotosintetica e la temperatura fogliare sono parametri che meglio rappresentano il livello di stress della pianta. 147 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 148 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione In generale i meccanismi di risposta che le varie specie adottano in caso di carenza idrica vengono classificati in quelli che le piante mettono in atto per evitare lo stress e quelli per tollerarlo. Il pesco rientra nel gruppo di specie che tollerano la carenza idrica mantenendo bassi i potenziali idrici dei tessuti. Le cultivar a maturazione precoce invece, possono essere classificate nel gruppo che evita lo stress. Queste cultivar riescono ad evitare o limitare le conseguenze dello stress idrico, durante le fasi particolarmente delicate del loro ciclo annuale, principalmente per il fatto che il tempo che intercorre tra la fioritura e il completamento della crescita del frutto è breve. Tali cultivar, inoltre, possiedono anche quei meccanismi che caratterizzano le specie tolleranti lo stress (controllo della traspirazione, riduzione della crescita vegetativa ed elevato rapporto radici/foglie, aggiustamento osmotico, modifiche morfoanatomiche delle strutture cellulari). In terreni con buona capacità di immagazzinamento idrico ed in ambienti con basso deficit idrico, tali specie riescono, con qualche intervento irriguo di soccorso, a fiorire e portare il prodotto a maturazione in condizioni buone per la commercializzazione. Questo è possibile in quanto le necessità idriche, nel breve intervallo di tempo tra la fioritura e la raccolta, sono limitate sia per la contenuta richiesta evapotraspirativa dell’ambiente che per la bassa area traspirante per ettaro. Una volta raccolto il prodotto vengono a mancare le competizioni tra il frutto e gli altri organi della pianta. Gli alberi, dalla raccolta fino alla caduta delle foglie, dispongono abbastanza tempo per poter ripristinare parte delle riserve nutrizionali nei vari organi ed evitare o limitare il fenomeno dell’alternanza. 6.3. Acqua ed assorbimento minerale Le radici assorbono dalla soluzione del suolo i vari elementi minerali attraverso meccanismi di diffusione e di convezione (o flusso di massa). La diffusione si verifica quando, per un determinato elemento, si instaura un gradiente di concentrazione nel suolo interessato dalle radici. Tale meccanismo coinvolge principalmente gli ioni P, K, B, Fe, Zn, Mn. Gli ioni si muovono lentamente e per distanze molto limitate; risulta quindi molto importante, per il loro assorbimento, lo sviluppo, la conformazione e la densità dell’apparato radicale. Gli altri elementi principalmente si muovono nel suolo verso la radice con il movimento dell’acqua (convezione). Per tale processo risulta quindi molto importante la disponibilità idrica del suolo e l’attività traspiratoria la quale, richiamando acqua dal suolo, induce un movimento anche dei vari elementi verso la superficie radicale. Il 148 movimento del calcio e del magnesio è quasi totalmente controllato dal processo di convezione. Entrambi i processi sono favoriti da disponibilità idrica del suolo ottimali e costanti nel tempo, temperature tra 20 e 25 °C, densità radicali elevate e buona attività traspiratoria e fotosintetica delle foglie. Una volta raggiunti i vasi xilematici delle radici, i vari elementi minerali seguono il percorso dell’acqua con destinazione i vari organi della pianta. Le foglie rappresentano la sede preferenziale, in quanto attraverso loro passa quasi la totalità dell’acqua traspirata. Molti elementi si muovono anche per via floematica e raggiungono un certo equilibrio all’interno della pianta. Altri elementi invece non si muovono o sono poco mobili all’interno della pianta. È il caso tipico del calcio, elemento determinante per la qualità e la conservabilità dei frutti dopo la raccolta. La concentrazione nelle foglie di questo elemento aumenta durante la stagione di crescita mentre diminuisce nei frutti con l’aumentare del loro volume in quanto il calcio arriva nei frutti principalmente nei primi stadi di crescita quando la traspirazione è elevata. Per il calcio e per tutti gli altri elementi che si muovono con difficoltà (Mn, Zn, B ecc.) per via floematica è quindi necessario conoscerne anche il contenuto nei frutti per meglio definire il piano di concimazione. In pratica spesso si verificano casi di carenza di tali elementi nonostante una buona dotazione nel suolo e nelle foglie. 6.4. Scelta e progettazione del metodo irriguo Al fine di effettuare una scelta razionale del metodo e della tecnica irrigua è necessario conoscere: le caratteristiche del suolo; il clima della zona; la disponibilità e la qualità dell’acqua; alcune caratteristiche della specie coltivata; l’impatto ambientale della pratica irrigua. 6.4.1. Le caratteristiche del suolo Le caratteristiche fisico-meccaniche del profilo di suolo potenzialmente a disposizione delle radici, la dotazione in sostanza organica ed il tipo di gestione determinano la sua capacità di assorbire e trattenere l’acqua delle piogge e quella d’irrigazione. L’insieme delle forze che trattengono l’acqua all’interno del profilo di suolo è chiamato potenziale idrico del suolo. Convenzionalmente l’acqua disponibile viene definita come la differenza tra la quantità contenuta alla capacità idrica di campo (–0,03 MPa) e quella contenuta al punto di appassimento (–1,5 MPa). Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 149 6.4 Scelta e progettazione del metodo irriguo La differenza tra il quantitativo di acqua contenuto in un suolo alla CIC e quello contenuto all’inizio dello stress idrico rappresenta la riserva di acqua facilmente utilizzabile dalle piante (RFU). In generale, il pesco presenta i primi sintomi di stress idrico quando il potenziale idrico del suolo è all’incirca pari a –0,05 MPa. Per la scelta del metodo irriguo e della portata degli erogatori, dei turni e dei volumi di adacquamento, è importante la conoscenza della quantità di acqua che attraversa il terreno nell’unità di tempo (conducibilità idraulica) (tab. 6.1). Il valore di tale parametro varia in relazione alle caratteristiche fisico-chimiche, al tipo di gestione e al contenuto idrico del suolo, alla modalità ed alla durata dell’erogazione dell’acqua (fig. 6.3). Quando la portata degli erogatori supera la velocità d’infiltrazione dell’acqua, si possono verificare fenomeni di ruscellamento e di erosione, nei terreni in pendenza, o di ristagno superficiale per quelli pianeggianti. La conducibilità idraulica del suolo e la portata degli erogatori sono parametri necessari per stimare il movimento laterale e verticale dell’acqua nel suolo. In particolare per i metodi irrigui localizzati, questo permette di conoscere il volume di suolo bagnato dall’erogatore. In terreni argillosi a tessitura fine, generalmente prevale lo spostamento in direzione laterale; nei suoli sabbiosi, quello verticale, mentre nei terreni franchi esiste un certo equilibrio tra le due direzioni (fig. 6.4). Il suolo può immagazzinare notevoli quantitativi di acqua provenienti dalle piogge, in particolar modo durante l’autunno e l’inverno, quando il consumo idrico da parte del pesco è nullo e l’evaporazione dal suolo molto limitata. Terreni profondi di medio impasto possono trattenere fino a circa 2.000 m3 ha–1, se si considera lo sviluppo dell’apparato radicale fino alla Tab. 6.1 - Classificazione della conducibilità idraulica Conducibilità (K) cm h–1 Molto lenta Lenta Moderat. lenta Moderata Moderat. elevata Elevata Molto elevata < 0,1 0,1-0,5 0,5-2 2,0-6,5 6,5-12,5 12,5-25 > 25 Fig. 6.3 - Quantità di acqua immagazzinata in due tipologie di gestione del suolo durante i primi 14 minuti di una pioggia simulata (da Pastor et al. 2000, rielaborato). infiltrazione cumulata (mm) 45 40 35 terreno inerbito 30 25 20 terreno lavorato 15 10 5 0 0 2 4 6 8 10 12 14 Tempo (min) argilloso franco sabbioso Fig. 6.4 - Esempio di distribuzione spaziale dell’acqua erogata a goccia in funzione delle caratteristiche fisiche del terreno. 149 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 150 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione profondità di 1 m. L’acqua contenuta in tale volume di suolo può soddisfare il 30-40% della domanda annua di un pescheto situato in un ambiente meridionale. Al fine di aumentare la capacità di ritenzione idrica da parte di un determinato suolo, in particolare nelle zone con elevato deficit idrico ambientale, è necessario migliorare la capacità di infiltrazione dell’acqua attraverso l’incremento della sostanza organica e l’aumento dei “macropori” che permettono il movimento verticale dell’acqua nel suolo (inerbimento). I terreni in pendenza, se non gestiti correttamente, presentano una bassa capacità di ritenzione delle acque piovane. In quelli pianeggianti, se vengono lavorati sempre alla stessa profondità, si favorisce così la formazione della suola di lavorazione che ostacola l’infiltrazione verticale dell’acqua. 6.4.2. Le caratteristiche del clima La temperatura e l’umidità relativa dell’aria, il vento, la radiazione e la piovosità sono i principali fattori climatici che devono essere presi in considerazione, sia per la scelta del metodo irriguo sia per la sua corretta gestione, poiché agiscono sia sulla traspirazione che sull’evaporazione dell’acqua dal suolo. I fattori ambientali sopra riportati sono utili per la caratterizzazione, in linea generale, del clima della zona e sono necessari al progettista ed al tecnico per la scelta e la progettazione del metodo irriguo. Per la progettazione è indispensabile disporre di serie storiche di dati climatici (almeno ventennali), mentre per la gestione del metodo irriguo bisogna disporre, nell’ambito di zone omogenee, di informazioni tempestive (al massimo ogni settimana) concernenti la piovosità e l’evapotraspirazione di riferimento (ETo). 6.4.3. Stima dell’evapotraspirazione L’evapotraspirazione rappresenta la quantità di acqua dispersa nell’atmosfera in condizioni idriche ottimali da una superficie vegetata attraverso i processi di evaporazione dal suolo e di traspirazione dalla pianta. La sua misura è fondamentale per la determinazione dei fabbisogni idrici della coltura. Per scopi pratici e per facilitare il confronto fra ambienti diversi è stato introdotto il concetto dell’evapotraspirazione di riferimento (ETo). L’evapotraspirazione può essere determinata attraverso metodi diretti ed indiretti. I metodi diretti per la misura della ETo sono: il metodo lisimetrico ed il metodo micrometeorologico dell’Eddy Covariance. L’uso dei metodi diretti è limitato quasi esclusivamente a scopi di ricerca e sperimentazione, sia per l’elevato costo sia per le difficoltà operative insite nella gestione delle apparecchiature richieste, comunque, rappresentano un riferimento per il confronto dell’ETo stimata con metodi indiretti. I metodi indiretti sono in genere più semplici da utilizzare perché richiedono strumentazioni relativamente poco costose e facili da gestire. Per la stima della ETo, la FAO consiglia il metodo Penman-Monteith che può essere utilizzato in ogni località senza necessità di una calibrazione locale. Il principale svantaggio del metodo è la necessità di una accurata misura (con cadenza oraria o al massimo giornaliera) delle principali variabili meteorologiche dell’atmosfera. La scelta del metodo da utilizzare per la stima della ETo è, innanzitutto, funzione della sua precisione e della possibilità di disporre delle misure dei parametri meteorologici necessari per le equazioni (tab. 6.2). Tab. 6.2 - Parametri climatici e colturali necessari per la stima dell’ETo attraverso vari metodi ed errore medio rispetto al valore lisimetrico Metodi per la stima dell’Eto Penman-Monteith Radiazione Blaney-Criddle Penman Evaporimetro Hargreaves Thornthwaite Parametri climatici indispensabili Tmed, URmed, VV, Rn, G Tmed, Rg o Ss T Tmed, URmed, VV, Rg o Ss Ev Tmin, Tmax Tmed Parametri climatici stimati Parametri colturali ra, rc UR,VV UR, VV, Ss UR, VV d Variazione rispetto al lisimetro (%)* Ambienti umidi Ambienti aridi +4 + 23 + 16 + 30 –5 + 26 –2 –1 +6 +1 + 12 + 18 –9 + 20 Rielaborata da Doorenbos e Pruitt, 1977. Tmin, Tmax, Tmed = temperatura minima, massima e media giornaliera; URmed = umidità media giornaliera; Rg, Rn, Ss, G = radiazione globale, radiazione netta, eliofania e flusso di calore nel terreno; VV = velocità e direzione del vento; ra, rc = resistenza aerodinamica e resistenza stomatica della coltura; d = distanza relativa dell’evaporimetro rispetto alla coltura; * i valori rappresentano le medie delle stime riscontrati da diversi autori in ambienti climatici differenti. 150 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 151 6.4 Scelta e progettazione del metodo irriguo 6.4.3.1. PIOGGIA UTILE chilogrammo di pesche. Per esempio per le cultivar a maturazione precoce il costo idrico può variare da 400 litri negli ambienti meridionali ai 200 litri in quelli dell’Emilia Romagna. Di questo consumo idrico mentre nel primo caso circa l’85% deve essere apportato con l’irrigazione, nel secondo ambiente il contributo dell’irrigazione si riduce al 35-40% circa. La quantità di pioggia utile, ai fini dell’assorbimento radicale, dipende dalla sua intensità, dal tipo, dalla pendenza, dalla gestione e contenuto idrico del suolo, dalle caratteristiche della coltura e dalla domanda evapotraspirativa dell’ambiente. Si può ritenere, in via generale, che una pioggia di consistenza limitata (inferiore a 4-6 mm) non sia utilizzabile dall’apparato radicale in particolare nei suoli lavorati. In generale, per la compilazione dei bilanci idrici si può considerare come pioggia utile il 70% di quella misurata anche se tale valore oscilla tra il 50 ed il 95% per i terreni in pendenza e quelli pianeggianti rispettivamente, a seconda del tipo di suolo, della sua gestione (lavorato, inerbito) e del tipo di pioggia. 6.4.4. Le caratteristiche della specie coltivata Le foglie rappresentano la parte della pianta attraverso cui passa la quasi totalità dell’acqua (99,5%) assorbita dal suolo, pertanto le notevoli variazioni dell’area fogliare per ettaro (LAI) nei primi anni del frutteto e durante ogni ciclo annuale, incidono in maniera rilevante sui consumi idrici. Nei primi anni il LAI varia in relazione alla forma di allevamento, densità di piantagione, vigoria della cultivar e del portinnesto, fertilità del suolo e tecnica colturale (fig. 6.6). Impianti ad elevata densità di piantagione (1.000 - 1.500 p ha–1) raggiungono il valore massimo del LAI, circa 4-5, verso la fine della terza foglia. Successivamente le variazioni tra gli anni sono minime e sono trascurabili ai fini del calcolo dei consumi idrici. Le variazioni dell’area fogliare durante il ciclo annuale, nei pescheti che hanno completato la loro struttura, sono notevoli mentre sono contenute nelle specie sempreverdi. Nel pesco il ritmo di crescita dell’area fogliare nelle prime fasi dopo il germogliamento è lento e dura circa 20-30 giorni; segue un periodo 6.4.3.2. DEFICIT IDRICO AMBIENTALE Viene calcolato come differenza tra l’evapotraspirazione di riferimento e la pioggia totale, anche se tale definizione non è molto precisa in quanto, come già riportato sopra, non tutta l’acqua piovana può considerarsi utile per la pianta; infatti essa dipende dalle caratteristiche e dalla gestione del suolo, dal tipo di pioggia e dal periodo durante il ciclo annuale in cui si verifica l’evento piovoso. La conoscenza del deficit idrico ambientale e della disponibilità di acqua per l’irrigazione permette di definire se un determinato territorio possa essere destinato alla coltivazione del pesco e la scelta delle cultivar (fig. 6.5). Dal deficit idrico ambientale dipende il “costo idrico” e cioè la quantità di acqua necessaria per produzione di un 250 Metapontino 200 Deficit mm 1.120 ETo 150 100 pioggia 50 mm 0 250 Cesenate 200 150 ETo Deficit mm 158 100 pioggia 50 Fig. 6.5 - Evapotraspirazione di riferimento (ETo) e precipitazioni in due ambienti peschicolo. 0 g f m a m g l a s o n Mesi 151 d Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 152 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione 5 Y trasversale LAI (m2 m-2) 4 3 vaso ritardato 2 1 Fig. 6.6 - Evoluzione del LAI in piante di pesco allevate ad Y trasversale (1.111 p ha–1) ed a vaso ritardato (416 p ha–1) nei primi cinque anni d’impianto (Nuzzo et al., 2003). 0 1 2 3 4 5 Anni dall’impianto della durata di 90-110 giorni caratterizzato da una crescita rapida che permette al pescheto di raggiungere il LAI massimo verso la metà di luglio. Successivamente, l’area fogliare rimane costante fino ad ottobre-novembre (a seconda del clima) per poi diminuire più o meno rapidamente in relazione all’andamento climatico (fig. 6.7). Nelle fasi iniziali del ciclo annuale, durante le quali l’area fogliare per ettaro è limitata, i consumi idrici per traspirazione sono contenuti mentre possono essere elevati quelli per evaporazione dal suolo (fig. 6.8). Nei terreni con una buona dotazione idrica, il pescheto, durante il primo mese dal germogliamento raramente entra in stress da carenza idrica, sia per il limitato sviluppo dell’area fogliare (elevato rapporto radici/foglie) sia per la bassa domanda evapotraspirativa dell’ambiente. È ovvio, quindi, che durante tale periodo sono notevoli le perdite di acqua per evaporazione dal suolo, in particolare nei pescheti in cui si adottano metodi irrigui che bagnano tutta la superficie del suolo. L’evoluzione dell’area fogliare negli anni e durante il ciclo annuale rappresenta il principale fattore che, unitamente alla domanda evapotraspirativa dell’ambiente, determina le necessità idriche del pescheto. Il consumo idrico per traspirazione dei frutti è molto limitato (da 100 a 400 litri di acqua giornalieri per ettaro). D’altre parte, però, la presenza dei frutti aumenta di circa il 10-15% l’attività traspiratoria delle foglie. Se consideriamo la competizione esistente tra la crescita dei frutti e quella dei germogli, una maggior presenza di frutti sulla pianta provoca una riduzione della superficie fogliare che spesso si traduce in una riduzione dei consumi idrici per pianta; 5,0 Potatura verde LAI (m2 m-2) Y trasversale 2,5 vaso ritardato 0,0 31-mar 20-mag 09-lug Giorno dell’anno 152 28-ago 17-ott Fig. 6.7 - Variazione annuale del LAI in piante di pesco (cv Springcrest) allevate ad Y ed a vaso ritardato (Nuzzo et al., 2003). Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 153 6.4 Scelta e progettazione del metodo irriguo Evaporazione (mm giorno–1) 6 5 4 3 2 1 Fig. 6.8 - Relazione tra evaporazione e contenuto idrico del suolo, rilevato nei primi 8 cm di profondità. (Eto= 8 mm/giorno) (da Fernández & Moreno, 1999, rielaborato). 0 0,05 è possibile quindi che una pianta carica consumi meno acqua di una scarica o del tutto priva di frutti sin dall’inizio del ciclo annuale. La conoscenza del volume di suolo esplorato dalle radici e delle sue caratteristiche idrologiche, permette di calcolare la capacità di ritenzione idrica di tale volume e la quantità di acqua facilmente utilizzabile dalla pianta. La velocità con la quale le radici esplorano il volume di suolo a disposizione di ogni pianta è molto diversa e dipende prevalentemente dal portinnesto e dalla tecnica colturale. Ci sono portinnesti le cui radici “colonizzano” molto lentamente il suolo ed altri, invece, che lo fanno molto rapidamente (tab. 6.3 - fig. 6.9). Tali informazioni sono indispensabili sia per la progettazione dell’impianto irriguo (disposizione, portata e numero degli erogatori, ecc.) (tab. 6.4) sia per la sua corretta gestione, in particolare per la definizione dei turni e dei volumi di adacquamento. In considerazione di ciò, è possibile adottare, nei primi anni dall’impianto, una disposizione dei gocciolatori secondo lo schema riportato in figura 6.10. La densità radicale costituisce un altro parametro fondamentale per la valutazione dell’efficienza dell’apparato radicale stesso, relativamente all’utilizzazione dell’acqua e degli elementi minerali presenti nel volume di terreno esplorato dalle radici. La densità radicale condiziona la disponibilità idrica e viceversa. Una densità radicale elevata implica la riduzione della distanza media tra una radice e l’altra, il decremento sia del gradiente di potenziale idrico sia 0,10 0,15 0,25 0,20 Contenuto idrico (% vol.) Tab. 6.3 - Volume di suolo esplorato e riserva idrica in piante di pesco cv. Vega innestate su portinnesto Missour ed Mr. S. 2/5 nei primi quattro anni dall’impianto Anni dall’impianto “Missour” “Mr. S.2/5” I II III IV Volume di suolo (m3 p-1) 1,22 3,39 3,60 3,60 Riserva idrica (L p-1) 134 373 407 407 Volume di suolo (m3 p-1) 0,56 1,97 2,80 2,80 62 217 311 311 Riserva idrica (L p-1) Da Xiloyannis et. al., 1993, rielaborata . Tab. 6.4 - Distanze consigliate tra i gocciolatori in relazione alla loro portata ed al tipo di terreno, per poter bagnare almeno il 25% del volume di terreno esplorato dalle radici Portata del gocciolatore (L h–1) Tipo terreno 2 4 8 Distanza tra i gocciolatori (m) Sabbioso 0,65 0,75 0,95 Franco sabbioso 0,85 0,95 1,15 Franco 1,05 1,15 1,35 Franco argilloso 1,25 1,35 1,55 Limoso 1,35 1,45 1,65 Da Anconelli et al., 1999, rielaborata . 153 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 154 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione b) a) Fig. 6.9 - La scelta del portinnesto, in particolare negli ambienti con scarse disponibilità idriche, deve essere effettuata prendendo in considerazione anche la sua capacità di massimizzare l’assorbimento dell’acqua dal suolo, e la tolleranza alla carenza idrica. Portinnesto con apparato radicale profondo “Missour” (a) e portinnesto con apparato radicale superficiale “Mrs 2/5” (b). 0,2 m 0,5 m 0,5 m 1,5 m 3m 1° anno 2° anno Tab. 6.5 - Densità radicale (cm cm–3) di diverse specie da frutto a confronto con le conifere e le graminacee, in condizioni di pieno campo (cm cm–3) Melo Pero Ciliegio Pesco Olivo Actinidia Conifere Graminacee Da Xiloyannis et al., 2000b. 154 0,04 - 0,20 0,12 - 0,56 0,1- 0,5 0,05 - 0,56 0,014 - 0,038 0,56-1,6 0,5 - 0,2 2,6 - 5,0 3° anno Fig. 6.10 - Esempio di posizionamento dei gocciolatori nei primi 3 anni dall’impianto finalizzato ad aumentare l’efficienza del metodo irriguo. di quello di concentrazione dei vari elementi minerali nel suolo e, conseguentemente, una più efficiente utilizzazione delle risorse. In tutte le specie arboree da frutto, ad eccezione dell’actinidia, la densità radicale è molto più bassa rispetto a quella delle graminacee e delle conifere (tab. 6.5). 6.4.5. Disponibilità e qualità dell’acqua Il settore agricolo assorbe circa il 60% dell’acqua totale consumata in Italia. Spesso, però, i metodi di distribuzione e le tecniche adottate sono tali da comportare notevoli sprechi. In molte zone frutticole i metodi impiegati, sono ancora quelli tradizionali con “efficienza” del 40-50% circa (tab. 6.6 e figg. 6.11, Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 155 6.4 Scelta e progettazione del metodo irriguo 6.12, 6.13). Con l’utilizzo dei metodi irrigui localizzati, si riesce a diminuire le perdite per evaporazione e ad annullare quelle per ruscellamento, per percolazione e quelle che si verificano durante la distribuzione. In particolare nei primi 2-3 anni dall’impianto, si può, talvolta, conseguire un risparmio dell’8090% dell’acqua distribuita rispetto ai metodi che bagnano tutta la superficie del terreno. Tab. 6.6 - Efficienza di distribuzione dei vari metodi irrigui Metodi irrigui Efficienza di distribuzione (%) Sommersione Infiltrazione Aspersione 45 55-75 65-75 Microirrigazione 90-95 Fig. 6.11 - Nella scelta del metodo irriguo devono essere sconsigliati quelli con bassa efficienza e con forte impatto ambientale (sommersione efficienza≈45%). Fig. 6.12 - I sistemi a micro aspersione sottochioma permettono di bagnare un volume di suolo più elevato rispetto ai sistemi a goccia e pertanto possono essere presi in considerazione nei casi in cui non si ha la possibilità di irrigare a domanda (efficienza≈70%). Fig. 6.13 - La microirrigazione è il sistema irriguo che permette di raggiungere efficienza del 90-95%. Per la sua corretta gestione è indispensabile disporre di acqua consortile a domanda, in modo da irrigare con turni in funzione delle esigenze idriche della coltura. 155 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 156 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione Conoscere le caratteristiche qualitative dell’acqua di irrigazione al momento della realizzazione dell’impianto irriguo è condizione indispensabile per la scelta dei filtri più idonei e per l’eventuale trattamento preventivo a cui sottoporre l’acqua, in particolare con i metodi irrigui localizzati. Nel caso vengano utilizzate acque di scarsa qualità e filtri non idonei, l’irrigazione localizzata può risultare antieconomica per gli elevati costi di manutenzione, per la durata limitata dei vari componenti dell’impianto e per la non uniforme distribuzione dell’acqua nel pescheto. L’analisi chimica dell’acqua è, inoltre, utile per una corretta impostazione del piano di concimazione. Le analisi da effettuare devono riguardare la definizione dei seguenti parametri: – fisici (temperatura, solidi in sospensione e loro dimensione); – chimici (salinità, pH, macro e microelementi); – biologici (batteri, alghe, funghi, ecc.). 6.4.5.1. PARAMETRI FISICI La temperatura dell’acqua, misurata nel punto di prelievo, può essere molto diversa a seconda che si tratti di acque superficiali o sotterranee. Generalmente essa non rappresenta un limite per l’impiego negli impianti di microirrigazione, anche se può essere un parametro importante poiché coinvolto in alcune reazioni chimiche e nello sviluppo di microrganismi nel corpo idrico. In particolare, valori elevati di temperatura dell’acqua rimasta nelle tubazioni tra due interventi irrigui, favoriscono la trasformazione del bicarbonato in carbonato di calcio insolubile; il successivo abbassamento della temperatura non induce il ritorno dei carbonati in soluzione. Anche le elevate escursioni termiche favoriscono, nelle acque a pH alcalino e ricche di carbonato di calcio, la deposizione di carbonati insolubili nei vari segmenti dell’impianto. Un altro problema è rappresentato dalla presenza nell’acqua di particelle solide in sospensione (sabbia, limo, argilla e altri corpuscoli anche di origine organica) che, negli impianti irrigui localizzati, spesso possono causare intasamenti dei filtri, delle elettrovalvole, degli erogatori, ecc. Generalmente il carico di torbidi risulta alto quando si superano i 50 mg/l e basso per valori intorno a 6 mg/l. Le acque più contaminate sono quelle di superficie e la concentrazione di torbido è molto variabile durante la stagione. Le acque reflue urbane per uso irriguo hanno invece un contenuto di solidi in sospensione piuttosto elevato e, pertanto, devono essere attentamente ed adeguatamente trattate prima della loro utilizzazione. Infine la temperatura dell’acqua assume importanza fondamentale in caso in cui si interviene con l’irrigazione per la difesa della pianta dalle basse temperature. 156 6.4.5.2. PARAMETRI CHIMICI La salinità dell’acqua viene normalmente espressa in quantità di sali disciolti ossia grammi/litro (g l–1), in percentuale millesimale (‰), parti per milione (ppm), oppure attraverso la sua conducibilità elettrica (EC) (mmhos cm–1). Nei terreni senza un buon drenaggio e in ambienti con bassa piovosità, la concentrazione salina del suolo aumenta in relazione ai volumi di adacquamento stagionali ed alla concentrazione dei sali nell’acqua impiegata. Il contenuto dei sali dovrebbe essere valutato in relazione all’attività ionica che può derivare in seguito all’idrolisi dell’acqua, piuttosto che in maniera complessiva. Per esempio, il SAR (rapporto di assorbimento del sodio), che tiene conto del contenuto di sodio in relazione a quello del calcio e del magnesio, permette una classificazione dell’acqua in base all’alcalinità. Un alto valore di SAR (es. >18) indica una netta prevalenza, nella soluzione circolante del suolo, di ioni Na+ che tendono a scambiare gli altri ioni adsorbiti dai colloidi argillosi con conseguenze molto negative sulla struttura del suolo e sull’attività dell’apparato radicale. Un elevato contenuto di ioni Ca2+ e Mg2+, a cui corrisponde un elevato valore di durezza dell’acqua, comporta interventi di manutenzione più frequenti, nel caso di impianti di irrigazione localizzata. La presenza di carbonato di sodio, espressa come RSC (carbonato di sodio residuale) nell’equazione RSC= (CO32– + HCO3–) (Ca2+ + Mg2+), fornisce indicazioni di massima sulla possibilità di utilizzazione dell’acqua per uso irriguo. Acque con valori di RSC superiori a 2,5 sono sconsigliate per l’irrigazione, mentre acque con RSC<1,5 si possono usare senza particolari problemi. Il contenuto in sali solubili condiziona notevolmente la qualità dell’acqua ad uso irriguo, limitandone spesso l’utilizzazione. Gli aspetti più importanti riguardano: la tolleranza alla salinità della specie coltivata, la progressiva salinizzazione e/o sodicizzazione dei terreni ed i fenomeni di tossicità (tab. 6.7). Quando è necessario ricorrere all’impiego di acque salate, è da evitare di bagnare le piante e la loro distribuzione con metodi che bagnano tutta la superficie del terreno in quanto questi comportano, oltre ad un maggior apporto di acqua e di sali, turni di adacquamento più lunghi rispetto ai metodi localizzati. In tal caso, nel lasso di tempo che intercorre tra due interventi irrigui, la concentrazione salina del terreno può aumentare anche di 3-5 volte rispetto a quella dell’acqua. Con l’irrigazione localizzata, grazie ai turni brevi, viene mantenuto, nel volume di suolo bagnato dagli erogatori, un potenziale idrico elevato e costante tra un turno e l’altro. I sali, con l’irrigazione a goccia, si concentrano maggiormente sulla superficie e nei bordi del “bulbo bagnato”; al fine di abbassare la concentrazione salina nei punti di maggiore accumulo è consigliabile interve- Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 157 6.5 Gestione del metodo irriguo Tab. 6.7 - Sensibilità delle specie arboree al contenuto salino del suolo Riduzione percentuale della produzione Specie Olivo Arancio Limone Pero Melo Pesco Albicocco Vite Mandorlo Susino 0% 25% 100% ECe mmhos cm–1 ECe mmhos cm–1 ECe mmhos cm–1 2,7 1,7 1,7 1,7 1,7 1,7 1,6 1,5 1,5 1,5 5,5 3,2 3,3 3,3 3,3 2,9 2,6 4,1 2,8 2,9 14 8 8 8 8 6,5 5,8 12 6,8 7,1 Da: FAO 1989. nire, durante il periodo di elevata domanda evapotraspirativa, con volumi di adacquamento più elevati favorendo così l’allontanamento delle zone con più alta concentrazione salina. Le aziende che dispongono anche di modeste quantità di acqua di buona qualità potrebbero, una o due volte all’anno, utilizzarle per bonificare il ristretto volume di suolo interessato dall’irrigazione localizzata; per i terreni di medio impasto e con buon drenaggio, sarebbero sufficienti per ogni intervento circa 200 m3 ha–1 di acqua di buona qualità per dilavare i sali accumulati sotto i gocciolatori. Molta attenzione si deve porre alla presenza di ioni Ca2+, Fe2+, Fe3+, PO43- in quanto i precipitati dei sali del calcio, gli ossidi di ferro, i composti fosfatici di calcio ecc., possono essere causa di intasamenti degli erogatori. Alla fine di ogni stagione irrigua è consigliabile ispezionare alcuni erogatori per valutare lo stato di deposizione dei precipitati: precipitati bianchi indicano presenza di calcare, rugginosi indicano ossidi di ferro, melme nere e brillanti indicano la presenza di batteri. La fertirrigazione potrebbe favorire l’insorgere di problemi di otturazione, in quanto lo stesso concime può presentare solubilità diversa a seconda della qualità dell’acqua. I metalli ed i non metalli, oltre ad alcuni composti inorganici e organici di sintesi (pesticidi) presenti soprattutto nelle acque di scarico e di recupero, meritano di essere citati, poiché spesso tossici per l’uomo e per le piante. Non rappresentano comunque un problema dal punto di vista della manutenzione e della funzionalità degli impianti. Il valore ottimale del pH dell’acqua irrigua oscilla tra 6,5 e 7,5. Con valori di pH superiore a 8 i precipitati di Fe e di CaCO3 rimangono insolubilizzati causando frequenti problemi di intasamento degli erogatori. I com- posti formati con il ferro, i tannini e le sostanze umiche sono più solubili a pH 6,5. Il trattamento con cloroderivati (ipoclorito di sodio) per l’abbattimento della carica microbica non è sostanzialmente influenzabile dal pH. 6.4.5.3. PARAMETRI BIOLOGICI La presenza di microrganismi nelle acque irrigue è, entro certi valori, normale ma può diventare pericolosa quando vengono superati dei valori soglia, per quantità e per qualità. Oltre al pericolo che alcuni batteri rappresentano per la salute dell’uomo, si possono verificare proliferazioni di melme batteriche capaci di causare intasamenti ed una distribuzione non uniforme dell’acqua all’interno del frutteto. Melme prodotte da batteri del genere Pseudomonas ed Enterobacter possono agire da cemento all’interno delle linee adacquatrici e provocare la formazione di aggregati di sabbie fini e/o limo. Batteri filamentosi del genere Gallionella, Leptothrix, Crenothrix, Spareotilus possono causare la precipitazione del ferro nelle condotte tramite l’ossidazione del Fe2+ a Fe3+, mentre batteri aerobici del genere Beggiatoa e Thiothrix possono produrre melme ossidando H2S a S. Alghe, attinomiceti e funghi possono crescere sulle superfici dei serbatoi e dei bacini di raccolta esposti alla luce. 6.5. Gestione del metodo irriguo 6.5.1. Stima dei consumi idrici della coltura Il consumo idrico di un pescheto è determinato dalla somma della quantità di acqua trasferita dal terreno all’atmosfera attraverso i processi di evaporazione e 157 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 158 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione di traspirazione da parte del frutteto e da altre specie eventualmente presenti sul terreno in esame. L’evapotraspirazione è, ai fini irrigui, il termine più importante del bilancio idrico. L’approccio più usato per la sua determinazione è rappresentato dal metodo a “due fasi”. Nella prima fase si stima l’evapotraspirazione di riferimento (ETo). Nella seconda fase si applica all’ETo il coefficiente colturale (Kc), che tiene conto degli aspetti dell’evapotraspirazione legati allo stadio di sviluppo della coltura. Il risultato della stima è ETc = Kc * ETo, ed esprime il consumo idrico della coltura in esame in condizioni non limitanti o “standard”. Questo approccio anche se spesso criticato non è stato ancora superato da qualunque altro metodo proposto per il calcolo di fabbisogni irrigui colturali, comprese le piante arboree. 6.5.1.1. SCELTA DEL KC Nel quaderno FAO n. 24 del 1977 e nella sua successiva revisione (n. 56 del 1998) il ciclo annuale del pesco è suddiviso in quattro fasi: iniziale, sviluppo, massimo e finale (fig. 6.14). La lunghezza della fase iniziale è relativamente breve. Successivamente, avviene una rapida crescita dell’area fogliare che raggiunge i valori massimi tra la fine di giugno e la metà di luglio. Questi valori si mantengono per tutto il mese di ottobre e nel mese di novembre iniziano i processi di senescenza fogliare, che si completano a dicembre. Solo tre valori di Kc sono necessari per la costruzione di una curva stagionale di Kc, cioè: il coefficiente colturale della fase iniziale (Kcini), il coefficiente colturale massimo (Kcmid) e il coefficiente colturale finale (Kcend). In tabella 6.8 si riportano i coefficienti colturali del pesco ripresi dal quaderno n. 56 della FAO. Questi Kc 1,2 0,6 inizio sviluppo massimo finale 0 1 30 90 210 240 Fase vegetativa (giorni dalla schiusura gemme) Fig. 6.14 - Andamento del Kc in piante di pesco con suolo lavorato e con metodi irrigui che bagnano tutta la superficie del frutteto durante le varie fasi della stagione vegetativa (Da FAO, 1998, rielaborato). 158 Tab. 6.8 - Coefficiente colturale di pescheti in piena produzione in condizioni di inerbimento e suolo nudo e con metodi irrigui che bagnano tutta la superficie Kcini 0,55 0,80 Kcmid SUOLO NUDO 0,96 SUOLO INERBITO 1,21 Kcend 0,65 0,85 Rielaborata secondo le procedure riportate nel Quaderno 56 della FAO. Il Kc si riferisce ad alberi al massimo sviluppo (3 m di altezza) che, nelle ore centrali (11:00 ÷ 15:00) della giornata ombreggiano l’80% della superficie del suolo ed irrigati con sistemi che bagnano tutta la superficie. Il Kcend rappresenta il valore del Kc prima della caduta delle foglie. In assenza di foglie, con suolo nudo, il Kc è pari a 0,15 - 0,2. coefficienti integrano l’effetto della traspirazione e dell’evaporazione dal suolo per cui qualche aggiustamento può essere necessario per adattarlo alle reali condizioni di campo. 6.5.1.2. AGGIUSTAMENTO DEL KC Per i pescheti che non hanno ancora raggiunto le dimensioni finali il Kc dovrà essere corretto sottraendo una quota (Acm) pari alla frazione di LAI non ancora sviluppato o pari alla frazione di suolo non ancora ombreggiata. Il termine Acm può essere determinato anche attraverso la seguente espressione: Acm = 1 – fc /f cmax dove fc indica la frazione di suolo attualmente ombreggiata dalla coltura e fcmax indica la frazione di suolo potenzialmente ombreggiata da un pescheto in piena produzione ed in condizioni biotiche ed abiotiche non limitanti (circa il 70% del suolo ombreggiato nel mese di luglio). La frazione di suolo ombreggiata può essere misurata facilmente, anche se essa varia con l’ora del giorno ed il giorno dell’anno, si consiglia di effettuare la misura intorno alle ore 12:00 solari nel periodo estivo: – nei sistemi a parete si misura l’ampiezza della zona ombreggiata, la si moltiplica per la lunghezza del filare, si divide l’area ottenuta per la superficie di 1 ettaro; – nei sistemi in volume con alberi singoli, l’area ombreggiata può essere approssimata all’area (cerchio) della proiezione della chioma al suolo. Tale area sarà moltiplicata per il numero di piante per ettaro, e si dividerà il risultato per la superficie (m2) di 1 ettaro. Ai fini della gestione irrigua, nelle aree per le quali si riscontrano difficoltà oggettive nell’ottenere i dati di ETo in tempo reale, si possono utilizzare i valori Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 159 6.5 Gestione del metodo irriguo medi di ETo provenienti da una serie storica di dati rilevati nelle stesse aree in quanto la variabilità tra i vari anni è molto contenuta. Stimato l’ETc, il fabbisogno irriguo di un frutteto può essere valutato attraverso un bilancio idrico giornaliero sulla base della seguente equazione: (VI × 10) = (ETc+D+R–Pu–Af - RU)/ em (m3/ha) In cui: VI = Volume idrico da restituire (m3/ha) em = Efficienza del metodo irriguo (0,45÷0,95) 10 = Coefficiente di conversione da mm a m3/ha ETc = Evapotraspirazione colturale (mm) D = perdite per drenaggio e percolazione (mm) R = perdite per ruscellamento superficiale (mm) Pu = apporti idrici naturali da pioggia utili per la coltura (mm) Af = apporti idrici naturali da falda (mm) RU = apporto idrico dalla riserva idrica del suolo (mm) Questa equazione può essere calcolata per periodi lunghi (pluriannuali, annuali, stagionali) o brevi (mensili, decadali o giornalieri). La precisione dipende sia dalla possibilità di misurare i singoli termini dell’equazione sia dall’ampiezza delle zone per cui si vuole farla valere. Nei casi di corretta gestione dei volumi irrigui e nelle situazioni di falda profonda i termini D, R, Af sono trascurabili, pertanto l’equazione (1) può essere approssimata alla seguente: VI (m3/ha) = [(ETc - Pu) / em)]*10 6.5.2. Inizio della stagione irrigua Può essere stabilito valutando la riserva idrica utile del terreno esplorato dalle radici, il fabbisogno idrico delle piante e la piovosità. Diversi sono gli strumenti ed i metodi che permettono di valutare lo stato idrico del terreno (tensiometri, gessetti di Bouyoucos, sonda a neutroni, riflettometria nel dominio temporale, ecc.) e delle piante (potenziale idrico fogliare, flusso xilematico, diametro del tronco e/o dei frutti, temperatura delle foglie, ecc.). Si tratta di strumenti e tecniche comunemente impiegate nella sperimentazione ma che risultano sconosciute agli operatori agricoli. Nella quasi totalità delle aziende frutticole, l’inizio della stagione irrigua viene stabilito in modo empirico e, dunque, dipende dalla preparazione e dall’esperienza dell’operatore agricolo. Nei terreni profondi ed in assenza di scheletro, possono essere impiegati anche i tensiometri per la de- terminazione del primo intervento irriguo. Tali strumenti, però, richiedono un’accurata manutenzione affinché i valori indicati siano vicini a quelli reali. È consigliabile, in particolare nelle aziende che adottano metodi irrigui localizzati, intervenire quando i tensiometri posti negli strati del terreno maggiormente esplorati dalle radici, indicano valori intorno a –0,04 MPa per i seguenti motivi: – l’inizio precoce della stagione irrigua consente di conservare, negli strati più profondi e nei punti non interessati dagli erogatori, una sufficiente riserva idrica costituita dalle piogge dal momento che l’assorbimento radicale avviene maggiormente dai punti interessati dall’irrigazione, dagli strati superficiali e dalle aree più prossime al tronco delle piante; – la conservazione di una certa riserva idrica nel volume di terreno non interessato dall’irrigazione è utile in quanto consente di mantenere attive anche le radici presenti in tali strati; – durante il periodo di massimo consumo idrico da parte delle piante (luglio - agosto), è forte anche la domanda di acqua da parte di altri settori produttivi (in particolare turismo) che vengono spesso privilegiati rispetto al settore agricolo; per le piante disporre, in tale periodo, della riserva di acqua costituita dalle piogge significa avere la possibilità si superare eventuali periodi di mancanza di acqua per irrigazione, senza entrare in stress idrico severo; – le piante difficilmente entrano in stress (soprattutto in terreni con elevata capacità di ritenzione idrica) per effetto di errori nel calcolo dei volumi e dei turni di adacquamento o a causa di temporanee interruzioni del rifornimento idrico. Nel caso dei metodi irrigui che bagnano tutta la superficie di terreno, il primo intervento potrebbe essere anche ritardato dal momento che, con tali metodi, è possibile ripristinare la riserva idrica in tutto il volume di terreno esplorato dalle radici. 6.5.3. Volumi e turni di adacquamento Per definire i turni ed i volumi di adacquamento è necessario conoscere le necessità idriche delle piante, il volume di terreno esplorato dalle radici, le caratteristiche idrologiche del terreno ed il tipo di impianto irriguo. La domanda evapotraspirativa dell’ambiente ed il contenuto idrico del suolo controllano sia la traspirazione sia l’evaporazione dal suolo. I turni di adacquamento saranno più frequenti durante i periodi caratterizzati da elevata domanda evapotraspirativa, da scarsa piovosità e nei terreni con bassa ritenzione idrica. In tali situazioni, i turni 159 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 160 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione da adottare con l’irrigazione localizzata nel periodo di massimo consumo idrico (giugno-agosto), dovranno essere frequenti considerando che l’acqua immagazzinabile nel volume di suolo interessato dall’irrigazione è sufficiente per soddisfare le esigenze della pianta per circa 2-3 giorni. Il distanziamento dei turni implica un aumento dei volumi di adacquamento che potrebbe creare, nei terreni pesanti, condizioni asfittiche in corrispondenza degli erogatori ed indurre, nei terreni leggeri e/o superficiali, perdite di acqua negli strati profondi. All’inizio della stagione irrigua e durante l’autunno i turni possono essere anche più distanziati (7-10 giorni) in quanto i consumi idrici sono più bassi. Nei casi in cui la distribuzione dell’acqua è regolata da un Consorzio con turni fissi che nel periodo estivo, spesso, sono superiori ai 3-4 giorni, le aziende che adottano l’irrigazione localizzata dovranno organizzarsi con invasi aziendali che permettano di irrigare indipendentemente dai turni consortili (foto 6.5). 6.5.4. Fine della stagione irrigua In molte aree peschicole italiane, le favorevoli condizioni climatiche per l’attività delle foglie e l’assenza di apporti idrici naturali, rendono necessario il funzionamento dell’impianto irriguo anche nel periodo autunnale. Prolungando l’attività delle foglie si facilita l’accumulo delle sostanze di riserva nei vari organi della pianta. Queste sostanze di riserva esplicano un ruolo importante nella differenziazione delle gemme e nella qualità del fiore, nella resistenza dei diversi tessuti agli abbassamenti termici invernali e contribuiscono ad una migliore ripresa vegetativa nell’anno successivo. In zone in cui esiste il rischio di repentini e precoci abbassamenti termici autunnali è consi- gliabile, soprattutto negli impianti giovani, abbassare gradualmente l’apporto idrico per rallentare l’attività delle piante ed aumentare la loro resistenza al freddo. Interventi irrigui durante il periodo invernale si possono rendere necessari soltanto in caso di siccità prolungata o per immagazzinare una certa quantità di acqua in zone contraddistinte da scarsa piovosità e da disponibilità idriche limitate nel periodo primaverile-estivo. 6.5.5. Irrigazione in condizioni di scarsa disponibilità idrica In annate con scarsa piovosità e quindi con poca disponibilità idrica si è costretti a gestire l’irrigazione applicando riduzioni dei volumi irrigui determinando pertanto nel pescheto una condizione di stress idrico. Al fine di conoscere, definire e governare situazioni di carenza idrica del frutteto, di seguito viene riportata una descrizione di tre livelli di carenza idrica con i relativi effetti sulla pianta. Leggero: la pianta ha assorbito una buona parte dell’acqua facilmente utilizzabile contenuta nel suolo (30-40% della riserva idrica utile con potenziali idrici fogliari all’alba che oscillano da –0,4 a –0,6 MPa). Sintomi: riduzione dell’attività traspirativa e fotosintetica (20-30% circa) durante le ore più calde della giornata; durante il pomeriggio e la notte, la pianta recupera quasi tutte le riserve idriche dei vari tessuti; rallentamento del ritmo di crescita dei germogli; leggero aumento della temperatura fogliare; leggera diminuzione della crescita del frutto; immediato recupero di tutte le funzionalità, una volta ripristinate le condizioni idriche ottimali del suolo; nessun effetto negativo sull’attività vegetativa e produttiva dell’anno Fig. 6.15 - Quando la disponibilità idrica consortile non è a domanda, per ottimizzare la gestione della microirrigazione, è necessario disporre di piccoli invasi a livello aziendale. 160 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 161 6.5 Gestione del metodo irriguo successivo; effetti positivi sulla qualità del prodotto e sull’efficienza dell’uso dell’acqua, in particolare se la carenza si verifica nelle fasi meno sensibili. Moderato: la pianta ha esaurito tutta la riserva idrica facilmente utilizzabile (50-60% della riserva idrica utile con potenziali idrici fogliari all’alba che oscillano da -0,7 a -0,9 MPa); l’estrazione dell’acqua dal suolo continua, ma con difficoltà. Sintomi: blocco della crescita per allungamento dei germogli; riduzione del 50-60% dell’attività traspirativa e fotosintetica; aumento della temperatura fogliare nelle ore più calde della giornata, anche di 4-5 °C rispetto a quella di piante ben irrigate; moderata riduzione della crescita del frutto, in particolar modo durante la distensione cellulare; nessun effetto se lo stress idrico si verifica durante la seconda fase di crescita del frutto; la pianta non riesce a ristabilire, durante le ore notturne, le riserve idriche nei vari tessuti che sono state cedute al flusso traspirativo durante il giorno, con conseguente abbassamento del potenziale idrico fogliare rilevato all’alba; per il pieno recupero della sua funzionalità, la pianta necessita, una volta ristabilite nel suolo le condizioni idriche ottimali, di un periodo di 4-7 giorni; nessun effetto negativo sulla produzione dell’anno successivo se la carenza idrica si verifica dopo la raccolta, in particolare per le cultivar a maturazione precoce. Severo: l’umidità del suolo è vicina al punto di appassimento della pianta (potenziali idrici fogliari all’alba da –1,5 a –2,0 MPa), la quale di notte riesce ancora ad estrarre dal suolo piccoli quantitativi di acqua che vengono accumulati nelle foglie e nei frutti; tali quantitativi sono sufficienti a sostenere una certa funzionalità delle foglie durante le prime 2-3 ore della mattina. Sintomi: inizio dell’abscissione delle foglie; blocco della traspirazione e della fotosintesi durante le ore più calde della giornata, con conseguente aumento della temperatura fogliare anche di 8-10 °C rispetto a quella di foglie di piante ben irrigate; si evidenzia il disseccamento della lamina fogliare a partire dai margini; arresto totale della crescita di germogli e frutti, che perdono acqua durante il giorno; con la caduta delle foglie, le piante, se non disseccano, entrano in dormienza (eco-dormienza) per poi riprendere a vegetare e fiorire (seconda fioritura) in coincidenza delle prime piogge autunnali o di un intervento irriguo di soccorso, con forti ripercussioni sull’attività vegetativa e produttiva dell’anno successivo. Spesso si verifica un aumento delle anomalie fiorali (fiori con doppio pistillo). La riduzione della disponibilità idrica specie nelle aree meridionali, caratterizzate da elevata domanda evapotraspirativa e scarsa piovosità, ha portato alla definizione di nuovi metodi di gestione della irriga- zione, finalizzati al risparmio della risorsa ed al miglioramento della qualità delle produzioni. L’applicazione del deficit idrico consiste nell’erogare una quantità di acqua inferiore a quella di cui la coltura necessita per il suo ottimale sviluppo. Una delle modalità di applicazione di recente più utilizzata è il deficit idrico controllato o regolato, attraverso il quale l’apporto idrico alla coltura viene ridotto e/o sospeso nelle fasi fenologiche meno sensibili, garantendo, invece, un adeguato rifornimento idrico nelle fasi più sensibili. Pertanto, per poter applicare lo stress idrico controllato, con buoni risultati sia in termini di risparmio della risorsa idrica, sia in termini produttivi, è indispensabile conoscere gli effetti della carenza idrica sulla coltura ed individuare le fasi fenologiche meno sensibili. Per poter applicare il livello di carenza idrica desiderato è indispensabile il monitoraggio dello stato idrico del suolo e della pianta. Ai fini applicativi, per il monitoraggio dello stato idrico della pianta, si può utilizzare il potenziale idrico dello stelo rilevato nell’ora più calda. Questa misura viene effettuata con la camera a pressione di Scholander o strumentazioni simili utilizzando una foglia non traspirante, nella quale il potenziale idrico fogliare si trova in equilibrio con il potenziale dello stelo e quindi con quello xilematico dell’intera pianta. Per raggiungere questa condizione di equilibrio basta semplicemente coprire la foglia circa un ora prima della lettura con un foglio di alluminio. La foglia deve essere scelta in una posizione intermedia del ramo situato in una posizione preferibilmente ombreggiata della pianta. Questa misura rispetto alla misura del potenziale idrico fogliare è meno influenzata dalla traspirazione istantanea della foglia e quindi risulta meno variabile. Inoltre può rappresentare un buon indicatore dello stato idrico della pianta senza necessariamente far ricorso al potenziale idrico fogliare rilevato all’alba che comporta difficoltà logistiche. Tale parametro nel pesco è ben correlato con il valore del potenziale idrico fogliare all’alba e con i valori di traspirazione e fotosintesi. Per quanto riguarda il monitoraggio dell’umidità del suolo tra gli strumenti che hanno trovato qualche applicazione per la gestione dell’irrigazione sono i tensiometri. In linea generale per il pesco le fasi più sensibili alla carenza idrica sono: differenzazione a fiore, fioritura, allegagione, accrescimento del frutto per divisione e distensione cellulare. Il periodo in cui applicare lo stress idrico e la sua durata, è funzione delle caratteristiche della specie e delle cultivar all’interno di essa. L’applicazione del deficit idrico controllato è facilmente praticabile in 161 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 162 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione suoli con una bassa capacità di immagazzinamento idrico e con impianti di irrigazione localizzata, caratteristiche che permettono il controllo dell’umidità nel suolo ed il raggiungimento di livelli di stress desiderati in tempi brevi. Per tutte le cultivar a maturazione precoce lo stress idrico controllato è applicabile con minore difficoltà nella fase post-raccolta. Su piante di pesco durante tale fase è possibile applicare una riduzione del 50% della evapotraspirazione colturale. La riduzione dei volumi irrigui non ha effetti negativi sulla quantità e qualità della produzione dell’anno successivo, riduce la crescita dei succhioni e degli anticipati ed aumenta la concentrazione dei solidi solubili e dell’azoto negli organi di riserva in quanto riduce il consumo di tali sostanze da parte degli apici vegetativi. Il maggior accumulo dei carboidrati e delle sostanze azotate migliora la qualità dei rami e delle gemme ed, inoltre, favorisce il processo di ripresa vegetativa dell’anno successivo. Durante il periodo di deficit idrico, per evitare che si determinino forti stress con riflessi negativi sull’attività vegetativa sulla qualità dei fiori (fig. 6.16) e sulla produzione, i valori del potenziale idrico xilematico dello stelo rilevati nell’ora più calda devono essere compresi tra –1,5 e 1,7 MPa. Con l’applicazione di questa tecnica si possono risparmiare nella peschicoltura meridionale fino a 2.000 m3 di acqua per ettaro all’anno. Per le cultivar di pesco a maturazione tardiva, si può applicare agevolmente uno stress idrico controllato nella seconda fase di crescita del frutto (indurimento del nocciolo). Questa fase, in relazione alle cultivar, può durare anche un mese ed è caratterizzata da una crescita rallentata del frutto ed in genere da una ele- Fig. 6.16 - Una condizione di stress idrico severo ha ripercussioni sui processi di differenziazione fiorale determinando la formazione di fiori con pistillo doppio e pertanto frutti non commercializzabili. 8 0,8 6 0,6 4 0,4 frutti 2 0,2 Accrescimento germogli (mm d-1) Accrescimento frutti (mm d-1) 10 germogli 1,0 0 0 162 M G L 1ª fase 2ª fase 3ª fase Fig. 6.17 - Velocità di crescita dei frutti e dei germogli (da: Natali et al., 1984). Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 163 6.7 Irrigazione ed impatto ambientale vata crescita dei germogli (fig. 6.17). L’applicazione del deficit idrico controllato in questo caso oltre ad essere vantaggioso per l’ottimizzazione della risorsa idrica, risulta uno strumento efficace per rallentare la crescita dei rami vigorosi e dei succhioni, determinando una economia sugli interventi di potatura. La riduzione della velocità di crescita determina una migliore allocazione dei fotoassimilati e quindi una più elevata qualità del legno e delle gemme. 6.6. Architettura della chioma ed efficienza dell’uso dell’acqua Per efficienza dell’uso dell’acqua (WVE) s’intende il rapporto tra la quantità di anidride carbonica fissata e quella di acqua traspirata. Di tutta l’acqua assorbita dalle radici e trasferita alla parte aerea della pianta, il 99,5% circa viene emessa nuovamente nell’atmosfera attraverso la traspirazione stomatica e cuticolare delle foglie. Il consumo idrico dei frutti rappresenta una minima parte di quella totale ma essi contribuiscono indirettamente ad aumentare il consumo idrico delle foglie (dal 5 al 15% circa). Per l’elaborazione degli zuccheri, la pianta deve assorbire la CO2 dall’atmosfera attraverso le aperture stomatiche. È necessario, quindi, che la via stomatica non sia ostacolata ma libera. Mentre durante il giorno l’attività traspirativa è regolata prevalentemente dalla domanda evapotraspirativa dell’ambiente e secondariamente dalla disponibilità luminosa, per l’attività fotosintetica il fattore limitante è soprattutto la luce. Le foglie che ricevono luce sufficiente (800-1.000 mol m–2/s–1 PPFD) per raggiungere il livello massimo di fotosintesi, anche traspirando di più, hanno un’efficienza dell’uso dell’acqua di circa 10 volte superiore a quella delle foglie site nelle zone ombreggiate (< 20% della radiazione incidente). Ad esempio: a 1.000 litri di acqua traspirata da foglie bene esposte alla luce, corrisponde una organizzazione di carbonio di circa 3 kg, mentre, con lo stesso quantitativo di acqua, le foglie ombreggiate assimilano appena 0,3 kg di carbonio, un quantitativo insufficiente per far fronte al consumo di carbonio dovuto alla respirazione notturna. La parte della chioma che riceve meno del 20% della radiazione disponibile, quindi, non costituisce per il frutteto un centro di produzione di assimilati bensì un altro centro di assorbimento, con notevoli consumi idrici che, in alcune forme di allevamento, possono raggiungere anche il 30% del consumo totale. Nella scelta della forma di allevamento, quindi, bisogna tenere in debita considerazione l’efficienza dell’uso della risorsa idrica, efficienza che aumenta con l’aumentare del rapporto foglie esposte/foglie ombreggiate. Tale aumento può essere ottenuto attraverso la riduzione delle dimensioni delle piante, l’adozione di quelle forme che consentono di massimizzare la quota di foglie esposte e l’esecuzione di interventi di potatura verde (vedi fig. 6.7) (fig. 6.18). 6.7. Irrigazione ed impatto ambientale L’irrigazione, in particolare nelle aree con elevato deficit idrico ambientale e nei terreni con scarso drenaggio, rappresenta spesso la causa principale dei fenomeni di salinizzazione e alcalinizzazione dei suoli. La conoscenza della composizione chimica dell’acqua utilizzata a scopi irrigui è necessaria ma non sufficiente per valutare la sua idoneità per l’irrigazione. Altri fattori, quali il clima, le caratteristiche del suolo, le condizioni di drenaggio ed il metodo irriguo dovrebbero essere considerati per valutare il rischio di salinizzazione e alcalinizzazione dei terreni. WUE (mg CO2/mg H2O) 10 Fig. 6.18 - Efficienza dell’uso dell’acqua nelle diverse forme di allevamento (Da Giuliani et al., 1999, rielaborato). 8 6 4 2 0 Y trasversale vaso palmetta Forme di allevamento 163 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 164 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione Considerando i notevoli volumi idrici che spesso vengono utilizzati nella frutticoltura, la scarsa piovosità di molti ambienti e la sempre più bassa qualità delle acque impiegate, ogni anno vengono apportati grossi quantitativi di sali che, in pochi anni, possono rendere i suoli non idonei alla coltivazione in particolare di quelle specie più sensibili alla salinità ed alla alcalinità. La salinizzazione dei suoli colpisce soprattutto le zone costiere, dove spesso l’acqua utilizzata per l’irrigazione viene prelevata da pozzi il cui tenore in sali è in continuo aumento, a causa del mancato ripristino della falda freatica da parte dell’acqua piovana e del conseguente ingresso di acqua marina. Gli elevati volumi idrici impiegati nel settore agricolo (circa il 60-70% del consumo totale) hanno un forte impatto ambientale, in quanto il soddisfacimento del fabbisogno di tale settore comporta prelievi da corpi idrici superficiali e/o sotterranei che spesso modificano gli equilibri naturali. In particolare, il prelievo incontrollato di acque sotterranee o in misura superiore alla capacità di ricarica, spesso determina un abbassamento del livello piezometrico, con conseguente aumento dei costi di pompaggio, peggioramento della qualità delle acque, l’ingresso di acque marine nelle zone litoranee ed il progressivo abbassamento del suolo. L’irrigazione, se non gestita correttamente, può causare l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee attraverso il trasporto, per scorrimento o infiltrazione negli strati più profondi, di elementi minerali, pesticidi, e diserbanti. L’utilizzo dei metodi irrigui localizzati (irrigazione a goccia e subirrigazione) correttamente gestiti contribuisce ad evitare l’inquinamento delle acque sia superficiali che sotterranee. La non-lavorazione del suolo, l’uso della fertirrigazione ed una buona dotazione di sostanza organica costituiscono, inoltre, degli strumenti in grado di ridurre l’impatto ambientale della tecnica irrigua. 6.7.1. Irrigazione con acque reflue urbane trattate In Italia, ogni anno vengono immessi nelle reti fognarie circa 4 miliardi di metri cubi di “acqua”. Se si riuscisse ad utilizzare, anche solo in parte, le quantità di acque reflue prodotte, si potrebbe rendere irrigabile una superficie considerevole e/o integrare ed aumentare la disponibilità idrica in quelle aree in cui l’acqua rappresenta il fattore limitante per l’ulteriore sviluppo delle specie idroesigenti come il pesco. Grazie all’adeguamento strutturale degli impianti di depurazione in futuro si potrà disporre di volumi sempre maggiori di refluo e di qualità migliore. Per rendere tale risorsa utilizzabile nel settore agricolo è necessario effettuare un ulteriore trattamento finalizzato principalmente all’abbattimento della carica microbica. Nella scelta del tipo di trattamento da adottare, bisognerebbe tenere in considerazione anche le necessità minerali delle piante, in modo da lasciare nell’acqua gli elementi minerali utili alle piante stesse e possibilimente una quantità elevata di sostanza organica. Gli inquinanti più pericolosi, che possono provocare danni in agricoltura per effetto della loro fitotossicità, sono i microelementi come il boro ed i metalli pesanti quali zinco, cadmio, rame e piombo. È da considerare, però, che questi elementi si trovano generalmente a concentrazioni elevate solo nelle acque reflue industriali, mentre, in quelle urbane, le loro concentrazioni, dopo il trattamento di depurazione, sono quasi sempre nei limiti imposti per legge. Un vantaggio da considerare quando si utilizzano le acque reflue urbane è l’apporto al suolo di sostanza organica, di fosforo e azoto, ed altri elementi minerali. Il loro contenuto dipende dalla composizione originaria delle acque e dal tipo di trattamento effettuato, pertanto bisogna prendere in considerazione la composizione chimica delle acque reflue nella redazione dei programmi di concimazione (tab. 6.9). Uno degli aspetti salienti da esaminare, una volta accertata l’idoneità agronomica delle acque reflue, è il rischio sanitario per l’inquinamento dei prodotti agricoli e delle acque di falda. I principali problemi sono legati alla presenza di microrganismi patogeni dannosi per l’uomo in seguito ad ingestione ed all’eventuale lisciviazione dell’azoto sotto forma nitrica. Il tempo di sopravvivenza dei microrganismi patogeni nel suolo varia da poche ore ad alcuni mesi in funzione della radiazione solare e della presenza di microflora antagonista che ne riduco- Tab. 6.9 - Contenuto in sostanza organica, azoto e fosforo in acque reflue urbane trattate con diversi metodi Sostanza organica mg L–1 Azoto mg L–1 Fosforo mg L–1 Acque grezze non trattate 300-450 30-55 7-12 Acque sedimentate Trattamento di ossidazione Nitrificazione e denitrificazione 200-350 30-50 20-30 25-45 25-40 5-10 6-10 4-7 4-7 – – <1 Trattamento per la rimozione del fosforo 164 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 165 6.8 Manutenzione dell’impianto irriguo no la durata. Pertanto, nella gestione dell’irrigazione con reflui urbani, risulta di fondamentale importanza scegliere metodi irrigui che riducano il contatto diretto delle acque con la vegetazione. L’irrigazione a goccia e la sub-irrigazione sono i metodi più consigliati anche se altri metodi irrigui localizzati a bassa pressione potrebbero essere applicati senza particolari problemi. Per ottimizzare l’utilizzo delle acque reflue è indispensabile la corretta gestione del metodo irriguo. Una gestione razionale eviterebbe apporti di volumi irrigui superflui che potrebbero aumentare il pericolo di accumulo di sostanze indesiderate nel sistema suolo e favorire la lisciviazione dei nitrati e la contaminazione delle acque sotterranee. 6.8. Manutenzione dell’impianto irriguo Nell’ambito della gestione del sistema ha un ruolo fondamentale la sua manutenzione, che prevede trattamenti di tipo fisico e/o chimico. 6.8.1. I trattamenti fisici Rimuovono dall’acqua i solidi in sospensione grandi abbastanza da causare l’otturazione degli elementi dell’impianto. Tali solidi possono essere di origine inorganica (sabbia, limo, argille, scaglie delle pareti delle condutture) e organica (semi di infestanti, alghe, piccoli organismi acquatici). In funzione delle dimensioni dei corpuscoli da rimuovere, si ricorre a metodi diversi di risanamento: – filtri a vortice, per le sabbie grosse; – bacini di sedimentazione a monte dell’impianto di irrigazione, per rimuovere le particelle mediogrosse (diametro >270 µm); – filtri a rete con maglie di 100 µm; – filtri a sabbia o graniglia per eliminare le particelle di origine organica. I problemi legati alla precipitazione del ferro nell’impianto sono risolvibili ricorrendo all’ossigenazione intensa dell’acqua prima del suo utilizzo. Dopo una forte agitazione, la quantità di ossigeno incorporata nell’acqua ossida il ferro ferroso che precipita come ossido ferrico insolubile e sedimenta. Il metodo, relativamente poco costoso, comporta alcuni problemi quando si ricorre all’utilizzo di acque profonde direttamente pompate nell’impianto. In questi casi, è necessario costruire una piccola vasca per l’ossigenazione e sedimentazione ed aggiungere, a valle di questa, un’altra pompa per rimettere l’acqua in pressione. La scelta del filtro più appropriata va fatta in relazione alla qualità dell’acqua, al tipo di erogatore ed alla portata dell’impianto. Nei casi in cui la ditta costruttrice del materiale per l’impianto non fornisca indicazioni precise, si consiglia di filtrare tutte le particelle con diametro superiore ad 1/10 del diametro dell’erogatore. Utilizzando acque con elevato carico di torbidi, è consigliabile l’adozione di più filtri in serie e con una capacità di circa il 20% superiore a quella della portata dell’impianto. I filtri devono essere mantenuti in buono stato di efficienza intervenendo con una pulizia (manuale o automatica) ogni qualvolta la pressione all’entrata e all’uscita del filtro risulta diversa. 6.8.2. I trattamenti chimici Prevedono l’aggiunta nell’acqua di uno o più agenti chimici per controllare lo sviluppo di alcuni microrganismi. L’acqua, prelevata da una falda per essere introdotta in un impianto di irrigazione, subisce una serie di alterazioni chimiche (pH, solubilità) e fisiche (pressione, temperatura). Ad esempio: mentre nelle falde il ferro è presente soprattutto nella forma solubile (Fe2+), dopo l’affioramento è più presente la forma insolubile (Fe3+) che precipita facilmente, grazie anche all’azione di alcuni batteri ossidanti (Gallionella ferruginea, Leptothrix ochracea e Toxothrix trichogenes), determinando spesso problemi di otturazione. Tali microrganismi possono produrre depositi ferrosi quando nell’acqua si trovano piccole quantità di Fe2+ (0,3-0,5 ppm). Se il contenuto di ferro supera 1 ppm ed i complessi tannino simili superano i 5 ppm, l’acqua difficilmente potrà essere utilizzata con i metodi di irrigazione localizzata. Per ovviare agli inconvenienti legati alla presenza del ferro si possono seguire due strade: a) eliminazione per precipitazione attraverso l’aerazione e sedimentazione per ossidazione naturale o con l’impiego del cloro. L’utilizzo del cloro risulta eccessivamente costoso per impianti di grosse dimensioni poiché le dosi a cui si fa ricorso (1 mg di Cl per ogni 0,7 mg/L di ferro) sono piuttosto elevate. A sedimentazione avvenuta, con un filtro a rete sarà possibile rimuovere i precipitati che altrimenti andrebbero a depositarsi nelle parti periferiche dell’impianto; b) mantenimento del ferro in soluzione tramite l’impiego di acidi che abbassano il pH (almeno a 4) per 30-60 minuti, in modo che si sciolgano tutti gli ossidi depositati e possano essere eliminati dall’impianto. La precipitazione di sali di calcio nei gocciolatori e nelle linee erogatrici si manifesta con la formazio165 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 166 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione ne di un sottile strato bianco che ricopre la superficie interna dei tubi e di tutti i componenti dell’impianto. La soluzione a questo problema è l’iniezione di acidi con la stessa modalità sopra descritta per il ferro. L’acido non dovrà essere corrosivo nei confronti dei materiali che compongono l’impianto. Gli acidi a cui normalmente si fa ricorso sono HNO3, H3PO4 e H2SO4; questi devono essere aggiunti all’acqua (mai il contrario) nella dose calcolata in base al volume di acqua che si intende sottoporre a trattamento e alla concentrazione e al titolo dell’acido impiegato. Tale trattamento di correzione deve essere eseguito ad impianto funzionante e a monte dei filtri, solo se questi sono resistenti alla corrosione e deve essere ripetuto durante la stagione irrigua in relazione alla durezza dell’acqua impiegata. In assenza di luce, spesso si verifica la proliferazione, in alcune parti dell’impianto, di microrganismi batterici, mentre diverse specie di alghe si moltiplicano nei bacini di sedimentazione e nelle parti dell’impianto illuminate. Le melme batteriche possono occludere gli erogatori oppure agire da adesivanti per le altre piccole particelle in sospensione, favorendo la formazione di aggregati piuttosto grossi che intasano i filtri. Le alghe cresciute sulla superficie dei corpi d’acqua vanno ad attorcigliarsi intorno alle maglie dei filtri a rete occludendoli oppure formano uno spesso strato sulla superficie dei filtri a sabbia. Un buon metodo per contenere lo sviluppo dei microrganismi consiste nel ridurre l’ossigeno e la luce nell’impianto. L’intervento consigliato per la rimozione della contaminazione organica è l’uso del cloro secondo i seguenti dosaggi: clorazione continua, iniettando basse concentrazioni (1-2 mg L–1) secondo lo schema impiegato negli acquedotti urbani oppure intervenendo con concentrazioni più elevate (1020 mg L–1) per 30-60 minuti, ogni qualvolta si verificano intasamenti di una certa entità. In commercio sono disponibili diversi prodotti in forma solida, liquida e gassosa. L’ipoclorito di sodio e di calcio possono reagire con i concimi, gli erbicidi e gli insetticidi annullando la loro efficacia. Per il controllo delle alghe nei bacini idrici è consigliabile utilizzare il solfato di rame in dosi diverse variabili da 0,05 a 2 mg/L, in funzione del tipo di alga. Conviene non superare tali concentrazioni per non mettere in pericolo gli organismi presenti nell’acqua. Da quanto sinora discusso, risulta che la qualità dell’acqua deve essere conosciuta al momento della progettazione dell’impianto per poter adottare tutti i necessari accorgimenti ed evitare così i successivi interventi di manutenzione, risanamento ed adeguamento. 166 6.9. L’irrigazione e la difesa dagli abbassamenti termici La difesa attiva dalle gelate può essere attuata con diversi metodi tra cui il più diffuso e meno costoso è quello dell’irrigazione soprachioma (fig. 6.19). Per una corretta gestione degli impianti irrigui per prevenire i danni da abbassamenti termici, è importante rilevare la temperatura dell’aria a 30-40 cm dal suolo in modo da far avviare l’impianto irriguo quando tale temperature è vicina a 1 °C. Spesso, ed erroneamente, gli impianti irrigui vengono messi in funzione quando la temperatura dell’aria, misurata a 1,5-2 m dal suolo, è prossima a 0 °C, ma in questo modo non è possibile ottenere l’effetto desiderato in quanto la temperatura in prossimità del suolo è di circa 2-3 °C più bassa e potrebbe causare il blocco, per la formazione di ghiaccio, delle valvole e/o degli erogatori. Inoltre, all’inizio dell’intervento irriguo, e con umidità relativa bassa, una parte dell’acqua erogata evapora provocando così un’ulteriore abbassa- Fig. 6.19 - In ambienti suscettibili di abbassamenti termici primaverili è consigliabile il metodo irriguo sopra chioma per la difesa antibrina. Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 167 6.10 Fertirrigazione mento della temperatura dei tessuti e dell’ambiente circostante. Sarebbe opportuno controllare la temperatura dell’aria in più punti privilegiando quelli all’esterno del frutteto, dove maggiormente si accumula l’aria fredda. Per la rilevazione della temperatura, sono consigliabili i termometri classici in caso di utilizzo di irrigazione sottochioma; mentre sono preferibili i termometri a bulbo asciutto e bagnato nei casi in cui si fa ricorso all’irrigazione soprachioma, in ogni caso è necessaria la verifica della precisione e dell’affidabilità della strumentazione. L’incremento della temperatura dei tessuti della pianta rispetto a quella dell’aria ottenibile con l’irrigazione soprachioma dipende dalla portata dell’impianto e dalla uniformità di distribuzione dell’acqua sulle piante. Impianti irrigui con portata oraria di circa 1015 m3 ha–1 possono salvaguardare l’integrità dei tessuti quando le temperature dell’aria, a 30-40 cm dal suolo, è di –4/–5 °C, mentre portate di 30-35 m3 ha–1 h–1 proteggono i tessuti anche se la temperatura dell’aria scende a –6 °C. Con l’irrigazione sovrachioma si possono proteggere le piante sia dalle gelate per avvezione che per irraggiamento. L’irrigazione sottochioma è efficace per la difesa dalle gelate per irraggiamento durante le quali la temperatura dell’aria a 30-40 cm dal suolo non è inferiore ai –4/–5 °C. La sua efficacia può aumentare se il frutteto è inerbito, in quanto il cotico erboso aumenta la superficie su cui l’acqua di irrigazione gela e di conseguenza anche il calore liberato per unità di superficie. I volumi idrici necessari oscillano da 20 a 30 m3 ha–1 h–1 e l’efficienza di tale metodo è molto ridotta in caso di movimento di masse di aria fredda (gelata per avvenzione) o gelata mista (avvezione + irraggiamento). Relativamente alla durata dell’intervento irriguo, l’impianto dovrà funzionare fino a quando la temperatura dell’aria a 30-40 cm dal suolo, rilevata all’esterno del frutteto, non avrà raggiunto valori di 0,5/1,0 °C. L’aumento della temperatura si ottiene grazie all’apporto di calore all’interno del pescheto sia perché l’acqua per l’irrigazione ha una temperatura superiore a quella dell’ambiente sia perché una parte dell’acqua si trasforma in ghiaccio (ogni grammo di acqua che passa allo stato solido libera 80 calorie). Inoltre gli impianti irrigui sottochioma durante il loro funzionamento rallentano il movimento dell’aria calda verso l’alto (effetto coperta), mantenendo così la temperatura vicino allo 0 °C. Il sistema può essere automatizzato attraverso l’utilizzo di sensori per la misura della temperatura dell’aria, collegate alla centralina che controlla sia l’avviamento della pompa che le elettrovalvole di commutazione dei vari settori irrigui. Lo stato idrico del suolo può contribuire a ridurre i danni da gelate. Infatti, un terreno bagnato può accu- mulare un quantitativo di calore, che sarà ceduto all’atmosfera durante la notte, maggiore rispetto ad un suolo asciutto (anche se solo negli strati superficiali). Il terreno asciutto presenta una conducibilità termica ridotta che non facilita ne l’accumulo ne la successiva cessione di calore. 6.10. Fertirrigazione Al momento della progettazione dell’impianto irriguo, in particolare per quelli localizzati è necessario predisporlo anche per la distribuzione dei concimi, per i seguenti motivi: – l’apparato radicale delle giovani piantine nei primi 2-3 anni dall’impianto interessa un volume di suolo molto limitato, ed è quindi conveniente distribuire il concime con l’acqua per contenere le perdite in particolare quelle azotate aumentando così l’efficienza; – la pianta ha bisogno di assorbire elementi minerali dal suolo durante tutto l’anno, ed è quindi necessario distribuirli frequentemente durante tutto il ciclo vegetativo, evitando i “consumi di lusso” ed i problemi di mancato assorbimento dovuti agli antagonismi fra i vari elementi; – durante il ciclo annuale, per effetto della mineralizzazione della sostanza organica, si rende disponibile azoto in forma nitrica ed ammoniacale. Mediante la tecnica della fertirrigazione si possono meglio gestire gli apporti minerali tenendo in considerazione, oltre all’azoto derivante dalla sostanza organica, quello contenuto nell’acqua d’irrigazione e quello delle piogge; – riduzione dei costi sia per l’acquisto che per la distribuzione dei concimi, grazie alla riduzione dei quantitativi di elementi minerali e delle possibilità di automazione dell’impianto; – il concime distribuito con l’acqua viene portato immediatamente a contatto con le radici e quindi assorbito, mentre con la distribuzione tradizionale si verifica che, nelle zone non interessate dall’irrigazione ed in assenza di piogge, i fertilizzanti rimangono in superficie dove subiscono trasformazioni che li rendono meno disponibili ad essere assorbiti (retrogradazione del fosforo, fissazione del potassio), o definitivamente persi (gassificazione dell’azoto). L’innovazione tecnologica degli ultimi anni ha prodotto soluzioni relative alle attrezzature per la distribuzione dei concimi con il metodo della fertirrigazione che stanno rivoluzionando anche il settore frutticolo. Quello delle colture ortofloricole, in particolare delle 167 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 168 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione colture fuori suolo, è stato il settore pioniere di tale innovazione che ha interessato, in particolare, l’informatizazione nei sistemi di controllo e distribuzione della soluzione nutritiva nei momenti programmati. 6.10.1. Concimi da utilizzare La scelta del concime da impiegare va effettuata considerando il costo per unità fertilizzante, la qualità dell’acqua, il pH del suolo, la solubilità del concime, la sua compatibilità con altri elementi minerali (tabb. 6.10 e 6.11) e le necessità nutrizionali della pianta. In un concime idrosolubile è importante anche l’assenza di cloro, la purezza (% minima di residui insoluti) la velocità di solubilizzazione e la solubilità in relazione alle temperature dell’acqua (tab. 6.12). Per quanto riguarda i concimi azotati, l’urea è il più utilizzato per la fertirrigazione per i seguenti motivi: – – – – elevata concentrazione di azoto; costo più basso per unità di azoto; limitate perdite per percolazione; elevata solubilità. Il suo impiego, però, determina un aumento del pH della soluzione (vedi tab. 6.10). All’inizio del ciclo annuale, temperature dell’ambiente non favorevoli alla trasformazione dell’azoto organico in azoto ammoniacale e nitrico, è conveniente impiegare formulati a base di azoto nitrico o ammoniacale. Il pericolo di precipitazione di fosfati insolubili è molto elevato quando vengono utilizzati il fosfatomonoammonico (PMA) o fosfato-diammonico (PDA) con acque d’irrigazione a elevato contenuto di calcio o di magnesio, perché possono verificarsi occlusioni degli erogatori e problemi alle valvole. L’acido fosforico, oltre a fornire il fosforo necessario alla coltura, abbassa il pH della soluzione e pulisce le tubazioni. Data la sua elevata azione corrosiva, si impone l’uso di materiali adeguatamente resistenti. I concimi PMA e PDA non sono così solubili come l’acido fosforico ma hanno il vantaggio di fornire anche azoto ammoniacale. Il nitrato di potassio viene maggiormente consigliato per la sua solubilità e per il suo contenuto in azoto. Il solfato di potassio è meno impiegato nel settore della fertirrigazione in quanto la sua solubilità è più bassa. Il cloruro di potassio è quello che fornisce potassio a prezzo più basso, ma la presenza del cloro può creare problemi, in particolare per le specie sensibili. I concimi liquidi sono quelli che creano meno problemi ma il loro costo elevato, dovuto prevalentemente ai maggiori costi di trasporto, ne limita l’impiego. Altri macroelementi: formulati solubili per il calcio, magnesio e zolfo esistono ma sono molto costosi e non sempre sono compatibili con altri elementi minerali; possono determinare precipitazioni e quindi problemi di occlusione nei vari componenti dell’impianto. Non viene, quindi, consigliata la distribuzione di questi elementi attraverso la fertirrigazione. Microelementi: concimi sotto forma di chelati e sol- Tab. 6.10 - Solubilità, pH ed altre caratteristiche di alcune soluzioni fertilizzanti Quantità Tempo massima (kg) di solubilizzata solubilizzazione in 100 L a 20 °C (min) pH soluzione % insolubilizzato trascurabile Urea 105 20 9,5 Nitrato ammonico NH4NO3 195 20 5,6 Solfato ammonico (NH4)2SO4 43 15 4,5 0,5 Fosfato monoammonico (PMA) 40 20 4,5 11 Fosfato biammonico (PDA) 60 20 7,6 15 Cloruro di potassio KCl 34 5 7-9 0,5 Solfato di potassio K2SO4 11 5 8,5-9,5 0,4-4 Nitrato di potassio KNO3 31 3 10,8 0,1 Da Aa.Vv., 2000. 168 Note Abbassa la temperatura della soluzione Corrosivo per ferro e ottone galvanizzati Corrosivo per acciaio dolce Corrosivo per acciaio al carbonio Corrosivo per acciaio al carbonio Corrosivo per ottone e acciaio dolce Corrosivo per acciaio dolce Abbassa la temperatura della soluzione. Corrosivo per i metalli Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 169 6.10 Fertirrigazione Tab. 6.11 - Miscibilità dei concimi più comuni per fertirrigazione (C= compatibile, L= limitatamente compatibile, X= incompatibile) Urea NA SA NC PMA PMK AP NK SMg SOK C C C C C C C C C C C C C C C C C L C C X X X C C L C C C X C C C X C C X C L C Urea Nitrato ammonico (NA) C Solfato ammonico (SA) C C Nitrato di calcio (NC) C C L Fosfato monoam. (PMA) C C C X Fosf. Monopotas. (PMK) C C C X C Acido fosforico (AP) C X C C Nitrato di potassio (NK) C C C C C C Solfato di Mg (SMg) C C C X X X L Solfato di K (SOK) C C L C C C C L L C C Da Uzi Montag, 1999. Tab. 6.12 - Solubilità (grammi di prodotto per 100 grammi di acqua) a diverse temperature di alcuni concimi utilizzati nella fertirrigazione Temp. °C KNO3 KCl K2SO4 NH4NO3 Urea 10 20 39 21 31 46 31 34 37 9 11 13 158 195 242 84 105 133 Da Uzi Montag, 1999. fati dei vari microelementi vengono utilizzati nel settore della fertirrigazione per correggere eventuali carenze. Questi concimi devono essere preventivamente sciolti ed aggiunti in soluzione nel serbatoio del fertirrigatore. I microelementi che possono essere iniettati nel sistema irriguo sono: rame, ferro, zinco, manganese, boro e molibdeno. 6.10.2. Scelta delle attrezzature La scelta dell’impianto di fertirrigazione deve essere tale da consentire di regolare e programmare: – la quantità del concime; – la proporzione dei vari concimi; – l’inizio e la fine degli interventi. In genere vengono utilizzate due modalità: – distribuzione proporzionale: il ritmo di immissione del concime è proporzionale alla portata di acqua (es.: 1 litro di soluzione per m3 di acqua); – distribuzione quantitativa: una quantità di soluzione nutritiva viene distribuita globalmente per ogni intervento irriguo e per ogni settore. Il concime può essere distribuito a ritmo costante dall’inizio alla fine dell’intervento irriguo oppure la sua distribuzione può avvenire dopo qualche minuto dall’inizio del funzionamento del sistema e terminare prima della completa erogazione del volume di acqua prestabilito, dando così la possibilità al sistema di auto pulirsi da eventuali residui di concime. La distribuzione del concime nel volume di suolo interessato dall’irrigazione è molto diversa, in particolar modo per l’azoto, per concentrazione e diffusione sia in profondità che lateralmente. Tali variazioni di concentrazione e diffusione sono determinate dal momento di immissione del concime nell’impianto di irrigazione, dal quantitativo applicato e dal tipo di suolo. La distribuzione è abbastanza uniforme se: a. il concime viene immesso nel sistema durante tutta la durata dell’intervento irriguo; 169 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 170 6. L’acqua e la tecnica dell’irrigazione b. è presente una maggiore quantità del concime negli strati più profondi, nel caso in cui la sua distribuzione venga fatta soltanto all’inizio dell’intervento irriguo; c. c’è maggior presenza del concime negli strati superficiali del suolo, nel caso in cui l’immissione avvenga solo nella parte finale dell’intervento irriguo. Nei terreni leggeri e/o superficiali e nei pescheti con apparati radicali superficiali è preferibile una distribuzione dei concimi azotati nella fase terminale dell’erogazione dell’acqua, mentre nei terreni con elevata capacità di ritenzione idrica e con gli elementi minerali poco mobili nel suolo conviene una loro distribuzione all’inizio di ogni intervento irriguo. 6.10.3. Sistemi di fertirrigazione I fertirrigatori si possono dividere nei seguenti sistemi: – a pressione differenziata; – Venturi; – a pompa. 6.10.3.1. SISTEMA A PRESSIONE DIFFERENZIATA È il meno costoso, consente comunque di regolare la distribuzione dei concimi solo nel modo quantitativo. Vantaggi: semplicità nella realizzazione della soluzione madre la quale non deve essere premiscelata, è facile da installare, richiede poca manutenzione, semplice il cambio dei concimi, ideale per i concimi solidi. Inconvenienti: la concentrazione della soluzione diminuisce con il tempo di funzionamento, richiede perdita di pressione nella tubazione principale, capacità limitata, la distribuzione dei concimi è determinata dal volume di acqua (impossibile la fertirrigazione proporzionale), da sconsigliare nei terreni leggeri e/o superficiali, difficile l’automazione. 6.10.3.2. SISTEMA VENTURI Questo sistema, attraverso la differenza di velocità che si instaura nella tubazione principale, crea un gradiente di pressione con valori più elevati a valle della strozzatura. Tale depressione (10-30% della pressione a valle) consente l’aspirazione e l’introduzione nell’impianto d’irrigazione della soluzione nutritiva dal contenitore. Operando sulla valvola del by-pass si può regolare l’immissione del concime. Vantaggi: molto semplice da installare, richiede poca manutenzione, l’immissione del concime può essere controllata con una certa precisione, bassi costi d’investimento e di manutenzione. 170 Inconvenienti: richiede una perdita di pressione nella tubazione principale (può raggiungere il 30%), ed è difficilmente automatizzato. Il sistema irriguo deve operare al massimo delle sue potenzialità per poter iniettare la soluzione nutritiva. 6.10.3.3. SISTEMA A POMPA È il metodo più comune per iniettare il concime ed altre sostanze (es. acidi) nelle tubazioni irrigue. Vengono usate pompe azionate dall’energia elettrica oppure dalla pressione idraulica presente nell’impianto irriguo. Queste ultime, che possono essere a pistone o a diaframma, sono quelle che attualmente dominano il mercato della fertirrigazione. Vantaggi: semplicità nell’installazione e manutenzione; la distribuzione del concime può avvenire sia nel modo proporzionale che quantitativo; non richiede differenze di pressione nella tubazione principale, facile automazione, precisione molto elevata. Inconvenienti: elevato numero di componenti, necessita di una pressione minima nel sistema per poter operare, sensibile alla presenza di aria nell’impianto, costi più elevati d’investimento e di manutenzione. 6.10.4. Gestione del sistema L’efficienza della fertirrigazione spesso dipende da quella del sistema irriguo e dalla sua corretta gestione. È indispensabile, quindi, la conoscenza delle necessità idriche e nutrizionali della coltura, negli anni e durante le varie fasi di crescita. A causa dell’effetto corrosivo di molti concimi, le componenti dell’impianto irriguo a contatto con la soluzione nutritiva dovranno essere di plastica, di acciaio inossidabile o di altro materiale che non venga corroso. La concentrazione totale dei concimi nella tubazione principale non deve superare i 5 grammi per litro. Se i concimi non vengono completamente disciolti e miscelati prima della loro immissione nel sistema irriguo possono provocare otturazioni agli erogatori, bloccaggio di valvole e difformità di distribuzione. La fertirrigazione aumenta la presenza nell’impianto dei vari elementi minerali i quali portano ad un aumento dei batteri, delle alghe e della mucillagine. È necessario, quindi, intervenire ad intervalli regolari per la pulizia dell’impianto. La moderna fertirrigazione si basa sulla gestione delle soluzioni nutritive affidata a sistemi centralizzati ed informatizzati, con software che consente di memorizzare un certo numero di programmi, offrendo la possibilità al tecnico di definire non soltanto la distribuzione dei concimi ma anche degli acidi per il controllo del pH della soluzione. Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 171 Bibliografia Bibliografia AA.VV. (1981) - Il pesco “frutticoltura anni 80”, REDA. AA.VV. (1993) - Uso razionale della risorsa idrica negli ambienti meridionali. L’Informatore Agrario, 18 Verona 25 febbraio 1995. AA.VV. (2000) - Fertirrigacion y control en frutakes y vinas. Edit. Bioamerica. ANCONELLI S., BATTILANI, A., GALLINA D., GENOVESI R., GUIDOTTI G., MANNINI P., PIETROSI I. (1999) - La microirrigazione. Regione Emilia Romagna - C.E.R. Collana Studi e Ricerche, Bologna. DICHIO B., XILOYANNIS C., NUZZO V., MONTANARO G., CELANO G. (2001) - Risparmiare acqua attraverso lo stress idrico controllato: l’esempio della cultivar Springcrest nel Metapontino. Italus Hortus, 8 (3): 47-49. DOORENBOS J.E., PRUITT W.O. (1977) - Guidelines for prediciting crop water requirements. FAO Irrigation and Drainage Paper 24, Roma, pag. 156. FAO (1998) - Guidelines for computing crop water requirements. FAO Irrigation and Drainage Paper 56, Roma. FERNÁNDEZ J.E., MORENO F. (1999)- “Water use by the olive tree”. In Water use in crop production. Ed. M.B. Kirkham, Food Products Press. Imprint of Haworth Press, Inc.: 101-162. GALLOTTA P. (2000) - Efficienza produttiva ed economica in piante di pesco (Prunus persica L. Batsch) allevate a Y trasversale ed a Vaso. Tesi di Laurea, AA 1999-2000, Università degli Studi della Basilicata - PZ). GIARDINI L., (1977) - Agronomia Generale. Patron Editore, Bologna. GIULIANI R., MAGNANINI E., CORELLI GRAPPADELLI L. (1999) Relazioni tra scambi gassosi e intercettazione luminosa in chiome di pesco allevate secondo tre forme. Frutticoltura 3: 65-69 GIULIVO C., XILOYANNIS C. (1986) - Considerazioni ed orientamenti per un razionale uso dell’irrigazione nel pesco. Atti del “XVIII Convegno Peschicolo “, Cesena, 3 maggio 1986, pp. 83-99. MARANGONI B., TAGLIAVINI M., SCUDELLARI D. (1995) - La gestione del suolo, l’irrigazione e la fertilizzazione del pesco. Atti del convegno “La peschicoltura veronese alle soglie del 2000”, Verona, 25 febbraio, pp. 273-294. MASSAI R., REMORINI D. (2000) - Estimation of water requirements in a young peach orchard under irrigated and stressed conditions. Acta Horticolturae, 537 (1): 77-86. NATALI S., XILOYANNIS C., MUGANO M. (1984) - Consumi idrici del pesco ad elevata densità di piantagione. Convegno Internazionale del Pesco, Verona 9-14 luglio, pp. 481-488. NUZZO V., CARUSO T., MATTATELLI B. (2003) - Configurazioni d’impianto per una peschicoltura di qualità nel mezzogiorno d’Italia. Atti del convegno nazionale “La peschicoltura meridionale di fronte alle nuove esigenze di mercato”, Metaponto 21-22 giugno 2001. PASTOR M., CASTRO J., HUMANES M.D., MUÑOZ J. (2000) Gestione del suolo nell’olivicoltura dell’Andalusia. L’Informatore Agrario, 8: 83-92. RAGONE A., XILOYANNIS C. (1988) - Qualità dell’acqua e manutenzione degli impianti di irrigazione localizzata. Frutticoltura 7-8: 19-24. REMORINI D., MASSAI R. (2003) - Comparison of water status indicators for young peach trees. Irrigation Science, 22: 39-46. UZI MONTAG (1999) - Fertigation in Israel. In: IFA Agricultural Conference on Managing Plant Nutrition. Barcellona, 29 giugno - 2 luglio. XILOYANNIS C. (1992). “Irrigazione”. In: Frutticoltura Generale. (F. Lalatta Ed.). Ediz. REDA - Roma: 597-623. XILOYANNIS C., DICHIO B., CELANO G., MONTANARO G. (1999) - La risorsa idrica fattore limitante per l’ulteriore sviluppo della frutticoltura meridionale. Frutticoltura, 7-8: 56-63. XILOYANNIS C., MASSAI R., PICCOTINO D., BARONI G., BOVO M. (1993) - Method and technique of irrigation in relation to root system characteristics in fruit growing. Acta Horticulturae, 335: 505-510. XILOYANNIS C., MONTANARO G., MATTATELLI B., VENTIMIGLIA M. (2000) - Fertirrigazione: per una frutticoltura di qualità a basso impatto ambientale. Attività dell’Osservatorio di Competizione Tecnologica, Ed. Archivia: 127-147. XILOYANNIS C., NUZZO V., DICHIO B., CELANO G. (1997) L’importanza delle caratteristiche dell’apparato radicale e dell’architettura della chioma nella scelta e nella gestione del metodo irriguo per l’actinidia. Frutticoltura, 5: 31-37. XILOYANNIS C., NUZZO V., DICHIO B., CELANO G., MONTANARO G. (1999) - Disponibilità radiativa ed efficienza dell’uso dell’acqua in impianti arborei da frutto. Rivista di Irrigazione e Drenaggio, 46 (2): 47-51. XILOYANNIS C., MONTANARO G., SOFO A. (2002) - Proposte per contenere i danni da siccità alle piante da frutto. Frutticoltura 7/8, 19-27. ZINONI F., ROSSI F., PITACCO A., BRUNETTI A. (2000) - Metodi di previsione e difesa dalle gelate. Edagricole Bologna. 171 Sansavini_p145-172_c06 24/03/2005 08:58 Pagina 172