NUMERO OTTO GENNAIO/FEBBRAIO 2008 Giardinaggio Indoor www.giardinaggioindoor.it [email protected] Pubblicazione e distribuzione gratuita ---------------------------RESPONSABILE DI REDAZIONE Michel Venturelli CAPOREDATTORE Massone Giada REDAZIONE Massone Giada Michel Venturelli Cantabrina Glauco Manzilli Clementina Lodi Lidia Roccatagliata Giustina COLLABORATORI DI REDAZIONE Noucetta Kehdi William Texier Mal Lane Andrea Sommariva Christian Cantelli ---------------------------CONTATTI [email protected] PUBBLICITÀ [email protected] GIARDINAGGIO INDOOR È UNA PUBBLICAZIONE BIMESTRALE A DISTRIBUZIONE GRATUITA EDITA DA: Michel Venturelli Casella Postale 207 6500 Bellinzona 5 Svizzera ---------------------------GIARDINAGGIO INDOOR È DISPONIBILE PRESSO I DISTRIBUTORI UFFICIALI: Indoorline (GE) Italgrow (GE) MCK Bio-Gardening (LI) Arios Grow Shop (CA) Greentown Biogardening Growshop (MI) Il Giardino Idroponico (VE) Growshop (NO) Fronte del porto (SP) City Jungle (UD) IndoorHeart (PR) I contenuti della pubblicazione sono di proprietà dell’editore, nessuna parte della rivista può essere utilizzata senza espresso consenso dell’editore. Le opinioni contenute nella pubblicazione ed espresse negli articoli dai giornalisti partecipanti alla redazione sono da considerarsi personali e non necessariamente condivise dall’editore. Foto copertina: Matt Smith Foto pagina 3: Everton Hadley EDITORIALE 4 GLI ORMONI NELLE PIANTE (SECONDA PARTE) 5 PIANTE RESISTENTI ALLA SICCITÁ 7 L’IMPORTANZA DEL pH 10 COLTIVARE PEPERONCINI NELLA LANA DI ROCCIA 13 PIANTE CARNIVORE 18 (SECONDA PARTE) NEWS 27 L'ESPERTO RISPONDE 30 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 In questo primo bimestre del 2008 vogliamo dedicare un articolo alla coltivazione fuori suolo di una delle varietà vegetali in assoluto più amate del mondo: il peperoncino. Dolce, piccante, rosso, giallo o verde, tondo, allungato, grande o piccolo vanta schiere di appassionatissimi che si dilettano nella coltivazione, nella raccolta e nella degustazione di questo prodigioso e antichissimo frutto. Originario del Messico fu importato in Europa da Colombo. Grazie anche alla sua capacità di adattamento divenne una delle spezie più usate anche nel vecchio mondo, dove si diffuse quasi subito. Oltre al noto utilizzo culinario il peperoncino è un antibatterico e antimicotico utilizzato spesso nella conservazione dei cibi, ha proprietà antiossidanti, favorisce la digestione e allevia alcuni sintomi nelle malattie da raffreddamento. Per gli appassionati italiani è d'obbligo una visita al sito, provvisto di frequentatissimo forum, schede e fotografie www.peperonciniamoci.it. Su questo numero pubblichiamo inoltre la seconda parte di due interessanti articoli: Siglinde ci illustra ancora la funzione degli ormoni nelle piante e Fabio d'Alessi dell'A.I.P.C. prosegue nell'introduzione al mondo delle popolarissime piante carnivore, un genere che suscita sempre curiosità. E' utile infine, per un buon inizio dell'anno, un bel ripasso delle basi: il pH nelle coltivazioni domestiche, capire cos'è e come gestirlo al meglio. In chiusura come sempre i consigli dell'esperto in fuori suolo e alcune interessanti notizie dal mondo nella rubrica delle news, dove scoprirete un battello davvero speciale che porta nel cuore di New York un messaggio importante a favore dell'ambiente e delle tecnologie ecocompatibili, oltre ad ottime verdure idroponiche. FOTO: HILDE VANSTRAELEN Gli ormoni vegetali e quelli umani hanno alcune caratteristiche in comune, ma quelli delle piante non vengono prodotti attraverso ghiandole e vengono trasportati direttamente attraverso le pareti cellulari. Nel precedente capitolo della nostra guida abbiamo parlato dell'auxina, l'ormone più conosciuto, sintetizzato per la produzione di polveri radicanti per talee. Adesso vediamo gli altri tipi di ormoni, non meno importanti per le funzioni della pianta: le gibberelline le citochinine l'acido abscissico e l'etilene. Come abbiamo già visto l'auxina influenza lo sviluppo delle radici e viene prodotta nelle parti verdi più giovani; si muove all'interno della pianta in una maniera particolare, attraversando direttamente le pareti delle cellule, per fluire in una direzione soltanto. Ogni cellula contiene le informazioni relative alla posizione delle foglie e delle radici, e questo permette un “orientamento” tale da inviare l'ormone esattamente dove è richiesto, anche se la pianta viene capovolta. parti del mondo, Europa compresa. Sono state individuate 110 differenti tipologie di gibberelline, il 30% delle quali sono biologicamente attive; quel 70% restante può comunque essere attivato da piccoli cambiamenti. Nonostante queste varietà abbiano differenze strutturali molto piccole, le loro funzioni possono differire parecchio. Una delle proprietà che più colpiscono è quella di far crescere in maniera normale, fino al raggiungimento dell'altezza standard, cultivar geneticamente nane o mutanti: si tratta di un effetto che soltanto le gibberelline hanno, essendo strettamente connesse con il processo di allungamento del fusto. Questi ormoni sono spesso utilizzati nella stimolazione della fioritura, ma svolgono un ruolo di primo piano anche nella germinazione del seme, nella divisione cellulare e nella fruttificazione. Una concentrazione troppo elevata di gibberelline dà effetti contrari a quelli desiderati: crescita rapida caratterizzata da fusto debole e allungato, carenza di raccolto, salute generale precaria. Come nel caso dell'auxina, questi ormoni vengono utilizzati nelle colture commerciali nella gestione delle coltivazioni da frutto, nella produzione di malto e orzo (per accelerare la germinazione delle piante e in seguito la fermentazione della birra) e nell’allungamento della canna da zucchero, con un risultante aumento della resa. Altri impieghi: per aumentare la grandezza dell’uva priva di semi; applicate sui frutti degli agrumi le gibberelline ritardano la senescenza, così i frutti possono rimanere sull’albero più a lungo in modo tale da estendere il periodo commerciale. Nelle piante superiori la gibberellina è prodotta dai meristemi apicali a subapicali del fusto, dalle giovani foglioline, dai editoriale 4 Nel 1926 in Asia era molto diffusa una malattia del riso nota col nome di “foolish seedling”, “crazy rice-sprout disease” o “piantina sciocca”, che causava una crescita estremamente veloce di germogli allungati ed esili, incapaci di resistere al vento e alla pioggia e di dare semi. In quell'anno il professor Eiichi Kurosawa scoprì che l'anomalo sviluppo era da imputare alla secrezione di un fungo, il fungus gibberella, al cui principio attivo venne dato, anni dopo, il nome di acido gibberellico. Oggi il fungus gibberella fujikuroi è classificato come fusarium moniliforme e ne è stata accertata la presenza in diverse gli ormoni nelle piante - seconda parte - LE GIBBERELLINE 5 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 giovani embrioni e dal seme, e viene trasportata attraverso il sistema di circolazione centrale. Le citochinine innescano la proliferazione cellulare in tessuti che contengono una concentrazione ottimale di auxine: entrambi questi ormoni partecipano alla regolazione del ciclo cellulare, l’auxina regola gli eventi che portano alla replicazione del DNA, mentre le citochinine regolano gli eventi che portano alla mitosi. Le Citochinine inoltre promuovono la sintesi di proteine fotosintetiche. Una talea, immersa nell'acqua e nei nutrienti, inizia a crescere solo nel momento in cui sviluppa la prima radice: qualcosa a livello radicale infatti promuove lo sviluppo di foglie e proteine. Di cosa si tratta? Se somministriamo citochinina alla talea, questa comincerà immediatamente a crescere anche senza radici; questa è una proprietà peculiare di questo ormone. Come è stato riportato nelle conclusioni del “World Water Forum”, tenutosi recentemente in Messico, la popolazione mondiale sta crescendo in modo allarmante e si stima che raggiungerà la soglia dei sei miliardi entro la fine dell’anno 2050. Quel qualcosa infatti che le radici producono e che dà il via alla crescita della piantina è appunto la citochinina. Questi ormoni vengono trasportati passivamente dalle radici al germoglio attraverso lo xilema. Essi si muovono attraverso la pianta sotto forma di nucleotidi, lungo la corrente di traspirazione, insieme all’acqua e ai sali minerali assorbiti dalle radici. Una volta raggiunte le foglie possono essere convertiti in basi libere o in glucosidi. I glucosidi di Citochinine si accumulano ad elevate concentrazioni nelle foglie, e la loro presenza è rilevabile anche nelle foglie più vecchie. L’ACIDO ABSCISSICO Questo ormone deve il suo strano nome al suo coinvolgimento nell'ascissione, ossia la perdita di una parte della pianta, come i fiori o i frutti. gli ormoni nelle piante - seconda parte - Viene spesso definito ormone dello stress per la sua efficacia nel reagire a situazioni critiche con la chiusura degli stomi e conseguente riduzione della perdita dell’acqua dovuta alla traspirazione. La chiusura degli stomi è una evento immediato che può essere osservato in pochi minuti. Nei periodi freddi l'acido abscissico ritarda lo sviluppo delle gemme e dei semi, in caso di siccità promuove lo sviluppo radicale a discapito di quello fogliare, in antagonismo con l'auxina e le giberelline. Di conseguenza, risulta di fondamentale importanza riuscire a coltivare piante anche in terreni che presentano in genere caratteristiche svantaggiose. E’ responsabile della senescenza delle foglie, ed è la sostanza deputata alla stimolazione della dormienza, e per tale ragione è detta anche Dormina. Le piante, durante l’evoluzione, hanno sviluppato una serie di meccanismi di adattamento per sopravvivere alle condizioni ambientali più avverse. [continua sul prossimo numero] In alcuni casi sono in grado di sfuggire agli stress ambientali, modificando per esempio il proprio ciclo vitale; in altri casi FOTO: STEPH P, RONNY SATZKE 6 Pertanto, anche la richiesta di cibo aumenta molto rapidamente. Poiché per produrre cibo serve una quantità di acqua pari a settanta volte quella richiesta per tutti gli altri usi quotidiani, risulta chiaro che ridurre i consumi di acqua in agricoltura è uno degli obiettivi principali della ricerca nel settore agronomico. Inoltre la siccità, assieme ad altri fattori come il freddo e l’alta salinità del terreno, è uno degli stress abiotici che limitano maggiormente la distribuzione geografica delle specie coltivate e che compromettono la crescita e la produttività delle piante. tollerano le avversità, attivando meccanismi di difesa o di adattamento; inoltre possono sfruttare barriere morfologiche o fisiologiche, come la chiusura degli stomi o la presenza di spesse cuticole, per non rischiare un’eccessiva traspirazione. Una delle risposte più immediate delle piante a condizioni di carenza idrica per limitare la traspirazione, consiste nella chiusura dei pori stomatici, dovuta alla perdita di turgore delle cellule di guardia che li circondano. Gli stomi (dal greco “stoma”, cioè bocca) sono dei veri e propri pori presenti sulla superficie degli organi verdi delle piante, Tale processo è regolato dall’ormone acido abscissico, i cui livelli aumentano in risposta alla siccità. circondati da due cellule, chiamate cellule di guardia degli stomi. Attraverso tali pori avviene l’ingresso di anidride carbonica, utilizzata dalla pianta nel processo fotosintetico, e la fuoriuscita di acqua per traspirazione. Ogni anno circa il 40% del carbonio atmosferico (300x1015 g di C) attraversa gli stomi e poco meno della metà viene assimilato nei prodotti della fotosintesi. Inoltre, tramite la traspirazione attraverso gli stomi, ogni anno vengono persi circa 30-40x1018 g di vapor d’acqua. La perdita d’acqua deve essere compensata dall’assorbimento radicale, che dipende dalla disponibilità d’acqua del terreno. L’apertura degli stomi riflette quindi un compromesso tra il fabbisogno fotosintetico di CO2 e la disponibilità di acqua. Recenti studi nella pianta modello Arabidopsis thaliana hanno mostrato come sia possibile ottenere piante più tolleranti alla siccità, modificando alcune componenti del sistema di trasduzione del segnale delle cellule di guardia. Per esempio, aumentando l’espressione di geni che regolano positivamente la risposta all’acido abscissico nelle cellule di guardia, è possibile migliorare la risposta delle piante allo stress idrico. Arabidopsis thaliana è diventata negli ultimi anni un organismo modello per lo studio della genetica e della biologia molecolare e cellulare delle piante, poiché possiede una serie di vantaggi: piccole dimensioni (che la rendono ideale negli spazi ristretti dei laboratori e delle serre negli istituti di ricerca), ciclo vitale breve (circa sei settimane), elevata produttività di semi (fino a 10000 semi per pianta), ridotte dimensioni del suo genoma (circa 125 milioni di paia di nucleotidi, in soli cinque cromosomi), primo ad essere stato sequenziato nel regno vegetale. Un ulteriore vantaggio di Arabidopsis è la semplicità con la quale si piante resistenti alla siccità grazie alla mutazione di un gene LE CITOCHININE 7 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 solo il 17%. Dopo sedici giorni le differenze sono ancora più marcate: mentre il mutante mantiene il 30% di contenuto idrico, il controllo solo il 6%. È interessante notare come le piante mutanti nel gene AtMYB60 non presentino, in condizioni standard di crescita, nessuna anomalia morfologica e di sviluppo rispetto alle piante non geneticamente modificate, a differenza di quanto avviene in molti casi in cui una maggiore tolleranza alla siccità va a scapito della produttività della pianta. possono produrre piante transgeniche, tramite il processo di trasformazione genetica, sfruttando il batterio Agrobacterium tumefaciens per incorporare nuovo DNA nel genoma della pianta. Tramite un’analisi dei profili di trascrizione su scala genomica in piante normali e piante mutanti sono stati identificati alcuni geni apparentemente regolati dal fattore trascrizionale AtMYB60. Per alcuni di essi è stato dimostrato un ruolo nella risposta delle piante alla siccità, avvalorando ulteriormente l’ipotesi di un coinvolgimento diretto di AtMYB60 nella regolazione di questo processo. Dal 2000, anno in cui si è terminato il sequenziamento del genoma di Arabidopsis, il punto focale della ricerca su questa pianta è diventato scoprire quale sia la funzione di ognuno dei suoi circa 26 mila geni. L’obiettivo è quello di estendere le conoscenze di base acquisite su questo organismo modello a specie di interesse agronomico per migliorarne le caratteristiche. piante resistenti alla siccità grazie alla mutazione di un gene 8 Poiché l’apertura degli stomi nelle piante mutanti è ridotta e queste risultano più Nel nostro laboratorio è in corso la caratterizzazione della famiglia di geni MYB di Arabidopsis, codificanti per fattori trascrizionali, cioè proteine in grado di legarsi al DNA e di attivare o reprimere l’espressione di altri geni. La nostra attenzione è stata rivolta prevalentemente a geni della famiglia MYB, la cui espressione è modulata in risposta alla siccità, quindi con un possibile ruolo nella risposta a tale stress. Uno di essi è risultato essere il gene AtMYB60 espresso in normali condizioni di crescita, ma non in risposta alla siccità e alla somministrazione di acido abscissico ed espresso in modo estremamente specifico solo nelle cellule di guardia degli stomi. In piante portanti una mutazione in AtMYB60 che lo rende completamente inattivo, i pori stomatici, in normali condizioni di crescita, presentano un’apertura ridotta rispetto alle piante di controllo. Queste piante mutanti, in condizioni di siccità, presentano una drastica riduzione del tasso di traspirazione e, di conseguenza, una maggior resistenza Mappe: su gentile concessione del sito http://www.agriregionieuropa.it/ al disseccamento. Infatti, come mostrato nella figura, piante mutanti (a sinistra) non bagnate per otto giorni presentano foglie ancora verdi e turgide, mentre le piante normali (a destra) mostrano chiaramente gli effetti del disseccamento. Un’analisi quantitativa del contenuto d’acqua di queste piante ha mostrato che gli individui mutanti dopo otto giorni di disseccamento mantengono il 55% di contenuto d’acqua relativo, a differenza delle piante non mutanti che mantengono resistenti alla siccità, la nostra ipotesi è che la perdita della funzione del gene AtMYB60 sia percepita dalle cellule di guardia come un segnale che attiva la risposta allo stress, producendo effetti benefici a lungo termine durante la disidratazione. Lo studio, recentemente confluito in un brevetto curato da Unimitt, apre nuove possibilità per ridurre il consumo di acqua in condizioni normali e incrementare la sopravvivenza e la produttività delle specie coltivate in condizioni di carenza idrica. Le specie su cui abbiamo iniziato a trasferire le conoscenze acquisite in Arabidopsis sono pomodoro, una pianta dicotiledone, e riso, una monocotiledone. Le strategie che stiamo utilizzando riguardano: l’identificazione e la modificazione in tali specie di geni ortologhi di AtMYB60 (geni simili in termini di sequenza ad AtMYB60 e che svolgono la stessa funzione), per aumentare la tolleranza alla siccità e ridurre l’utilizzo di acqua; lo sfruttamento delle sequenze regolative di AtMYB60 o dei suoi ortologhi per far esprimere altre proteine in modo specifico nelle cellule di guardia. Sempre con l’obiettivo di migliorare la tolleranza agli stress. http://www.sisuni.unimi.it/ GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 Per regolare il pH dovremo innanzitutto misurarlo: tutti i fertilizzanti, gli ormoni ed i prodotti aggiunti all'acqua modificheranno il pH dell'acqua in vario modo, doveremo quindi effettuare la misurazione sempre dopo aver aggiunto tutti gli elementi del nostro liquido d'irrigazione. Coltivando indoor prima o poi saremo costretti ad affrontare problemi o situazioni legate al livello di pH dell'acqua di irrigazione o del terreno. Per quest’ultimo i problemi sono relativi, in quanto esso assolve ad un’importante azione “tampone” nei riguardi delle fluttuazioni del pH, la situazione cambia radicalmente invece allorché si decida di passare ad un sistema idroponico. Prima di tutto specifichiamo cos'è il pH esattamente: la scala che misura l'indice di acidità/alcalinità di una sostanza. Parte da 1 ed arriva a 14 dove 1 è la sostanza più acida possibile mentre 14 la più alcalina. A 7, cioè a metà, si trova il pH cosiddetto neutro. Il punto cruciale da sottolineare, ed il principale motivo per cui a noi interessa il pH dell'acqua irrigua, è che la disponibilità dei micro e macro nutrienti varia a seconda del livello di pH dell'acqua. (vedi tabella). Per fare un esempio a pH 8,5 avremo una discreta disponibilità di Potassio (K) ma non avremo Ferro (Fe) e Fosforo(P). Se le nostre piante non riceveranno una dose equilibrata dei vari elementi ad esse necessari si creeranno presto scompensi e disturbi, le piante ad un determinato livello di pH non assorbiranno alcuni elementi i quali saranno presenti ad una concentrazione via via sempre maggiore nel liquido irriguo in un concatenarsi di conseguenze; partendo da una soluzione dal pH non ottimale si potrebbero venire a creare situazioni dannose per la pianta in breve tempo. Nell'esempio riportato in foto una soluzione di pH 8 ha portato ad una evidente carenza di Ferro (Fe), dimostrata dalla clorosi delle foglie. Per far sì che le nostre piante abbiano a disposizione e ricevano la giusta dose di nutrienti il pH dovrà rimanere entro una determinata “fascia”. Come già detto in precedenza la regolazione del pH varia a seconda del substrato, in terra il pH della soluzione nutritiva si dovrebbe attestare indicativamente tra 6 e 7, per il cocco la maggior parte dei produttori di fertilizzante consiglia uno scarto tra il 5,8 e il 6,2 mentre in idroponica si tende ad usare preparazioni leggermente più acide che dovrebbero rimanere tra 5,5 e 5,8. In linea di massima comunque l'acqua dell'acquedotto pubblico è molto più spesso basica che acida tranne nel caso in cui essa non provenga da una cisterna. Sarà molto più comune quindi dover abbassare il livello del pH piuttosto che doverlo alzare. Per misurare il pH esistono sia test manuali che tester elettronici, ovviamente i test manuali sono meno precisi e pratici, ma sicuramente meno dispendiosi, e saranno più adatti a un coltivatore in terra, mentre per un uso più mirato e costante come quello di un coltivatore in idroponica quelli elettronici risulteranno quasi indispensabili. Prendiamo ad esempio una vasca idroponica, per preparare la soluzione aggiungeremo acqua ed i fertilizzanti necessari e quindi effettueremo la misurazione del pH. Se avessimo pH 8 dovremo abbassare tale Sarà bene, soprattutto le prime volte per prendere dimestichezza col procedimento, avanzare per tentativi, aggiungere un piccolo quantitativo di acidificatore e ricontrollare il pH dopo aver mescolato bene. Continuare finché non avremo raggiunto il pH necessario. Con un po’ di pratica, se si utilizzeranno sempre la stessa acqua e gli stessi fertilizzanti e ci segneremo o terremo a memoria di volta in volta quanto pH-down abbiamo usato, col tempo diventerà molto semplice regolare il pH. E’ bene far presente che il liquido irriguo reagirà in modo diverso ai modificatori di pH a seconda della sua densità. Per abbassare il pH dell'acqua demineralizzata ad esempio servirà molto meno pH-down di quanto ne servirebbe per abbassare degli stessi gradi l'acqua del rubinetto (spesso ricca di minerali e calcio). Se poi si dovesse preparare in anticipo la soluzione e lasciarla “riposare” (utile se usando acqua dell'acquedotto si debba far evaporare il cloro) sarà bene regolare il pH successivamente a tale procedimento e non in precedenza. Un elemento piuttosto “pesante” che spesso contribuisce a mantenere stabile il pH del liquido irriguo è ad esempio il Potassio (K). l’importanza del pH nelle coltivazioni domestiche l’importanza del pH nelle coltivazioni domestiche La scala è algoritmica, il che significa che il livello pH 5 è dieci volte più acido del pH 6 e quindi 100 volte più di pH 7, questo è già un indice di come le fluttuazioni di pH non siano un fenomeno trascurabile. valore fino a 5,5 quindi dovremo abbassare il pH, acidificare, di 2,5. Per fare ciò esistono i prodotti cosiddetti pH-down, disponibili presso i Grow-shops sia liquidi che in polvere. 10 11 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 Uno dei tanti metodi per coltivare in idroponica prevede l'uso di un substrato di lana di roccia, versatile e gestibile, che offre la possibilità di monitorare al meglio le piantine. Questo articolo intende aiutare i novelli coltivatori ad iniziare al meglio le loro colture. l’importanza del pH nelle coltivazioni domestiche 12 NB: Si sconsiglia vivamente l'uso di rimedi fai-da-te per modificare il pH dell'acqua o del terreno in ambito domestico a meno che non si sappia bene quel che si sta facendo. Aggiungere cenere sulla superficie del terriccio inacidisce sì ma può causare una grave intossicazione delle piante data dagli elementi presenti in essa, aggiungere bicarbonato di sodio per alzare il pH fa in modo che si creino sali nell'apparato radicale che impediscono l'assorbimento di qualsiasi sostanza da parte dello stesso. Aggiungere succo di limone abbasserà solo temporaneamente il pH ma presto, essendo organico degraderà ed il pH fluttuerà inesorabilmente. Controllare e regolare il pH ad ogni irrigazione per la terra e con regolarità per l'idroponica consentirà alle nostre piante di avere a disposizione la quantità ottimale di micro e macro elementi e la possibilità di assorbirli in modo efficace garantendo una migliore, più rapida e più produttiva crescita. AVVIO INDOOR Come la vermiculite, l'argilla espansa e altri materiali inorganici, la lana di roccia è un medium neutro ed inerte che non contiene nessun nutriente, ma con un alto potere di assorbimento e mantenimento dell'acqua. Come il nome suggerisce la lana di roccia è costituita da roccia disciolta dal calore e solidificata successivamente in fibre all'interno di appositi contenitori, che viene successivamente tagliata nelle pratiche forme che il nostro garden di fiducia ci offre, come la classica lastra, i cubi in varie dimensioni e i pannelli. E' importante ricordare che solo la lana di roccia commercializzata specificamente per uso ortobotanico può essere utilizzata nella coltivazione, e che quella venduta per altri scopi, ad esempio come isolante, è trattata con sostanze chimiche e olii che ucciderebbero le piante. La scelta di questo materiale è dettata anche dal fatto che anche quando è saturo d'acqua mantiene una grande quantità di aria fra le sue fibre, scongiurando così il pericolo di marcescenze nelle radici; inoltre è un substrato sterile, che non sembra gradito ai funghi infestanti, facile e leggero da maneggiare e che non sporca. Ovviamente c'è anche il rovescio della medaglia, ad esempio il fatto che un medium neutro richiede un costante monitoraggio dei valori del pH, ma soprattutto la necessità di attenersi a qualche semplice regola. SICUREZZA Sebbene la teoria secondo la quale il rockwool sarebbe cancerogeno sia stata smentita da parecchio, è bene prendere le dovute precauzioni per evitare l'effetto irritante che questo materiale ha quando è manipolato a secco. Ricordiamo dunque che è buona norma spruzzarlo con acqua prima di maneggiarlo, indossare guanti ed evitare di respirarne la polvere, in quanto le fibre hanno un'azione meccanica sulla pelle e sulle vie respiratorie che possono causare arrossamento, prurito, ed irritazioni. SAPORE Bene, stabilito come procedere facciamo una piccola premessa riguardo a diffusi pregiudizi sul gusto dei prodotti ottenuti idroponicamente. Molte persone associano il classico pomodoro “che non sa di niente” o la verdura acquosa alla coltura fuorisuolo, dimenticando che il fattore che più influisce sul sapore è la genetica scelta. Il prodotto economico del supermercato infatti è solitamente un cultivar veloce, che matura in fretta, ottenuto badando al soldo per avere frutta e verdura bella da vedere, resistente alle malattie e al trasporto, spesso raccolta acerba e maturata in bui container. E' ovvio che con queste premesse non avremo mai nel piatto saporite prelibatezze ma solo insipidi vegetali, siano cresciuti essi in idroponica o nel migliore terriccio. Una pianta cresciuta con abilità e cura da un buon giardiniere idroponicamente avrà un aroma senza nulla da invidiare alla coltura organica bio, pronto nella metà del tempo. coltivare peperoncini nella lana di roccia Esistono inoltre complessi minerali da aggiungere nelle vasche idroponiche concepiti proprio per questo scopo. La stabilità del pH è un elemento chiave per il successo, dato che un sistema idroponico perderebbe la sua praticità se fossimo costretti a dover controllare e regolare costantemente il pH del liquido irriguo. Oltretutto le fluttuazioni di pH sarebbero molto dannose per le piante: sarà bene quindi fermare gli impianti a circolazione continua se dovessimo immettere liquido non regolato nella cisterna e regolarlo prima di rimettere in funzione il tutto. 13 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 Altrettanto indispensabili sono i nutrienti, specifici per idroponica: mai utilizzare per nessuna ragione fertilizzanti generici o pensati per altri substrati o sostanze estranee valide nella coltura in terra (sangue di bue, gusci d'uovo, cenere). In idroponica infatti, essendo un tipo di coltivazione “pulita” sono assenti i funghi e i batteri utile alla decomposizione di tali fertilizzanti che finirebbero per marcire. PH ED EC coltivare peperoncini nella lana di roccia 14 Se avete quindi deciso di diventare un buon coltivatore idroponico la prima cosa di cui preoccuparsi è del nutrimento delle piantine: per sapere se state lavorando correttamente è basilare monitorare i valori di pH ed EC. La sigla pH (potentia hidrogenii) indica il grado di acidità della soluzione nutritiva. Un valore di 7.0 determina una soluzione neutra, mentre con un pH di 0.0 sarebbe totalmente acida e con pH 14 totalmente basica. Nella coltivazione in terra il valore ottimale si aggira intorno al 7, ma in rockwool è preferibile un valore compreso tra 5.5 e 6.5, in modo che i nutrienti siano facilmente assimilati dalle radici. Con un pH inferiore a 5 le piante iniziano a soffrire, e sotto a 4.5 le radici vengono irrimediabilmente danneggiate. EC significa electrical conductivity, ovvero conducibilità elettrica, e permette di misurare la quantità di sali disciolti attraverso la capacità di una soluzione come conduttore elettrico: l'acqua distillata ha un valore EC di 0.0. Per i peperoncini adulti è consigliabile mantenere l'EC tra 1.4 e 1.8, mentre le piantine appena germinate e le talee vanno tenute in valori compresi tra 1.0 e 1.2. Rilevando valori superiori a 2.0 abbiamo un chiaro indizio di sovrafertilizzazione, verificabile anche dai sintomi della pianta, come arrotolamento e necrosi delle foglie, che presentano punte brune e morte. Utilizzando un substrato inerte come la lana di roccia abbiamo la certezza che non altererà in nessun modo i valori che ci interessano. ATTREZZATURA NECESSARIA Alla luce di quanto appena detto sono è indispensabile procurarsi un misuratore del pH e uno dell EC (o una versione combinata) che ci permetteranno un perfetto controllo della soluzione nutriente; senza di essi il fallimento è praticamente assicurato perché sarebbe impossibile contrastare le fluttuazioni dei valori. La marca che consiglio -economica e affidabile- è Milwaukee. Per tenere sotto controllo il pH è necessario dotarsi anche di apposite soluzioni condizionanti, chiamate solitamente pH down e pH up, anche se solitamente l’acqua del rubinetto tende ad essere troppo basica per via degli elementi disciolti in essa, rendendo così necessario il solo utilizzo di un prodotto acidificante (pH down). Per dosare i vari prodotti procuratevi qualche dosatore e pipetta graduata, o siringa, assicurandovi che abbiano una scala comprendente i millilitri. Peri nutrimenti, i pH down-up e i dosatori la mia marca di riferimento è General Hydroponic Europe. FOTO: SANTERI KYRÖHONKA risparmiare tempo e fatica con un serbatoio capiente (intorno ai 40 litri) che basterà per una settimana e mezzo/due. In rari casi di acqua con grandi concentrazioni di carbonati può essere veramente difficoltoso mantenere il pH stabile, ma si può rimediare attrezzandosi con un filtro ad osmosi inversa. QUALITÀ DELL'ACQUA Inizialmente sarà bene determinare la qualità dell'acqua a disposizione, dura (con alte percentuali di calcio e magnesio) o morbida. L'acqua dura ha un pH e un EC elevati: è necessario controllarla regolarmente ed abbassare i valori con il pH down, ma si può LA SOLUZIONE NUTRITIVA Come abbiamo detto il rockwool non contiene nessun nutrimento, quindi sarà il coltivatore a somministrare quanto la pianta necessita aggiungendolo all'acqua a pH controllato. Nella scelta dei fertilizzanti bisogna leggere le etichette e badare che nel set primario di nutrienti figurino gli elementi NPK, ovvero nitrato, fosforo e potassio (Nitrate, Phosphorus e Kalium). Inoltre un buon prodotto segnalerà la presenza di tutti i nutrienti secondari utili. Nella mia esperienza personale trovo particolarmente apprezzabili i fertilizzanti tricomponenti, composti appunto da tre bottiglie contenenti ognuno una formula diversa, due delle quali riferite ad un diverso stadio della crescita e la terza ricca di microelementi. Utilizzando questo tipo di fertilizzazione sarà possibile avere completo e diretto controllo su ogni fase dello sviluppo della pianta: radicazione, fase vegetativa, fase di fioritura, produzione dei frutti. Nel caso dei peperoncini a volte le ultime fasi possono sovrapporsi, perché capita che la pianta continui a fiorire anche durante la crescita dei frutti. Ogni stadio ha specifiche esigenze, per cui nella radicazione aumenta il bisogno di fosforo, nella vegetazione quello di nitrati e potassio, durante la fruttificazione bisogna somministrare più potassio e diminuire i nitrati per mantenere le foglie sane. Molti fertilizzanti per idroponica sono stati pensati per nutrire piante ad uso medico ed enfatizzano molto la fase della fioritura, con un focus sui principi attivi derivanti: nel nostro caso però quello che ci interessa è il frutto, per cui è bene iniziare con una dose dimezzata rispetto a quella indicata in etichetta, misurare l'EC e verificare che tutto sia nella norma. Potremo poi procedere e sistemare il pH. E' altamente raccomandabile tenere nota di quello che facciamo, in modo da non essere costretti a procedere per tentativi avendo segnato le giuste combinazioni e le quantità adatte. Se durante la coltivazione doveste correggere il pH ricordate di farlo sempre gradualmente, un cambiamento troppo repentino dell'acidità rovinerebbe la soluzione e danneggerebbe la pianta. PREPARARE LA LANA DI ROCCIA Per funzionare al meglio e conservare le proprie caratteristiche la lana di roccia deve essere condizionata prima dell'uso, preparate dunque una soluzione di acqua con un pH stabilizzato intorno al valore di 5.2, quindi immer- getevi il rockwool e lasciatelo in ammollo 24 ore. Questo assicurerà che l'acqua penetri in ogni fibra e stabilizzerà il pH del substrato. Ora lasciate defluire strizzando se è necessario, e bagnate infine con la soluzione nutritiva. ANNAFFIATURE La lana di roccia può essere utilizzata in sistemi Ebb and flow o con gocciolatore, ma non in Deep Water, dove le radici marcirebbero o soffocherebbero. La scelta migliore resta la combinazione rockwool/gocciolatore, dove la soluzione può essere somministrata da una a molteplici volte in una giornata, in quantità tale da far defluire circa il 10-20% della soluzione stessa ad ogni innaffiatura in modo da eliminare indesiderati depositi di sali. Ogni una o due settimane si bagneranno le piantine con acqua pura a pH stabile, per sciacquare eventuali residui. Ovviamente si può procedere all'annaffiatura a mano, seguendo tempi e criteri vicini a quelli della coltivazione in terra. Nella GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 fase di radicazione può essere d'aiuto lasciare asciugare un poco il cubetto di lana di roccia, perché le radici crescano di più alla ricerca dell'acqua. La fase preparatoria della coltivazione in rockwool richiede un po’ di lavoro; dovranno essere effettuate parecchie misurazioni, in modo da conoscere perfettamente, nelle fasi avanzate, quali sono e come dovrebbero essere i valori della soluzione. I campioni prelevati con una siringa dal cubetto risulteranno un po' differenti dalla soluzione nel serbatoio, con pH più alto ed EC più basso. Un EC alto significherà che c'è uno sgradito deposito di sali che deve essere immediatamente risciacquato via con acqua pura a pH stabilizzato. Un pH alto invece ci dice che l'acqua non è stata adeguatamente corretta o sufficientemente decantata prima dell'uso e i carbonati l'hanno resa basica. TRAPIANTO Uno dei maggiori vantaggi del substrato scelto è che possiamo direttamente prendere il cubetto dove la piantina è germinata e semplicemente infilarlo in un cubo più grosso, che a sua volta verrà posto sulla lastra. Niente sporcizia e nessuno shock per la pianta dunque. Immediatamente dopo il trapianto è buona norma somministrare più fosforo e meno nitrati per incoraggiare la radicazione, tenendo sempre presente che nessun elemento va mai tolto del tutto o sorgeranno delle carenze. L'articolo è online sul sito http://fatalii.net/ GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 Continuiamo dal numero scorso l'articolo sulle piante carnivore. Dopo l'introduzione e la presentazione delle varietà, riprendiamo con la categorizzazione. tipo esclusivamente carnivoro, ad ascidio. Un unico genere con un’unica specie: Cephalotus follicularis, australiana. Abbastanza raro, abbastanza costoso, abbastanza difficile, assolutamente meraviglioso. SARRACENIA FLAVA CEPHALOTUS FOLLICULARIS SARRACENIA E DARLINGTONIA Pianta molto rara e particolare, esistente in un unico genere con una unica specie, Abbandoniamo le trappole ad ascidio a “bicchiere” per arrivare alle piante con PIANTE CON TRAPPOLA AD ASCIDIO E qui passiamo dal regno del “piccolo e carino” al regno del “grande e meraviglioso”. Innanzitutto, cos’è una trappola ad ascidio? Tecnicamente l'ascidio è una foglia modificata in modo da formare una specie di contenitore con la forma più o meno di un bicchiere. Qui le prede vengono intrappolate e digerite lentamente. L’ascidio è prodotto dalle foglie che si ripiegano su se stesse, richiudendosi. Il funzionamento è piuttosto semplice: le piante producono questi ascidi con una apertura libera. Successivamente attirano gli insetti con vari sistemi (colori, nettare). Gli insetti che cadono negli ascidi vi muoiono e vengono digeriti lentamente. Vista la relativa semplicità di questa trappola, ci sono più generi di piante carnivore che l'hanno adottata, in maniere diverse. Vediamoli. CEPHALOTUS - FOTO: JEAN SCHROETER - JUST CHAOS PHOTOS NEPENTHES ALATA piante carnivore - seconda parte 18 Nel genere Nepenthes gli ascidi sono formati all’estremità delle foglie. L’aspetto di queste piante è quindi di piante con foglie “normali” con delle specie di “bicchieri” pendenti attaccati alla punta delle foglie. Gli ascidi sono ripieni di liquido digestivo che uccide e assimila le prede. Qui a destra una tipica Nepenthes, con le sue foglie ad ascidio pendente. Come si può vedere, sono piante estremamente belle e affascinanti, con colori che vanno dal rosso al viola, al nero, in combinazioni di colori che hanno spesso dell’incredibile. Esiste un unico genere: il genere NEPHENTES - FOTO: KEVIN TUCK Nepenthes, con decine di specie. Sono tutte piante tropicali (provengono dalle zone del Borneo e lontano oriente), ed hanno bisogno di condizioni di crescita molto particolari, con temperature e umidità controllate, fotoperiodo costante, ecc. In natura spesso hanno comportamento spesso epifita o semi rampicante e crescono abbarbicate su altre piante, nelle foreste tropicali, o comunque su detrito di origine vegetale. Alcune delle specie sono quasi estinte o esistono solo in coltivazione. Le dimensioni sono notevoli, e ci sono Nepenthes che possono arrivare a metri di lunghezza con ascidi della capacità di 1-2 australiana, il Cephalotus follicularis. In questa pianta, al contrario della Nepenthes (dove le foglie hanno un aspetto normale, al cui apice è attaccato l’ascidio) esistono due tipi distinti e separati di foglie. C'è un tipo di foglia a lamina, che è in tutto e per tutto una foglia normale, come potrebbe essere quella di una qualsiasi pianta non carnivora. Alternate a queste foglie ci sono poi delle foglie esclusivamente ad ascidio, con una forma tipica di bicchiere con coperchietto. Questa pianta, se cresciuta bene, presenta gruppi di decine di foglie normali e decine di trappole. Le trappole ad ascidio possono arrivare a 10 centimetri d’altezza e sono delle vere e proprie tombe per formiche. Tipico dell'Australia, il Cephalotus è abbastanza raro ed impegnativo da coltivare. Cresce su terreni torbosi e umidi, in condizioni di pieno sole. Ripetiamo quindi: due tipi di foglia distinti: un tipo non carnivoro, normale e un allungato, una specie di cono gelato piantato per terra. Gli insetti, anche qui, sono attirati verso il cono, dove cadono e muoiono, e lentamente vengono assimilati. trappole ad ascidio a “cono”. In questo caso le foglie sono sempre richiuse su se stesse a formare un contenitore, ma questo contenitore non è pendulo e portato all'estremità delle foglie, bensì è eretto, Come si può vedere le sarracenie hanno spesso un aspetto assolutamente incredibile e che non richiama in alcun modo le altre piante. Non hanno foglie a lamina, di aspetto normale, bensì solamente foglie a cono (salvo rari casi), hanno colori che vanno dal giallo-verde al rosso porpora. Tutte le sarracenie provengono dagli Stati Uniti, e sono adattate a climi da temperato freddo a temperato caldo. Richiedono molte ore di sole pieno, terreni sempre fradici e torbosi (tipici di paludi torbose) e inverni freddi durante i quali entrano in dormienza. Esistono sarracenie che arrivano anche a più di un metro di altezza e che possono formare delle vere e proprie colonie di centinaia di ascidi a cono. Le forme vanno dal cono eretto ed allungato a coni schiacciati a terra, a coni piccoli a forma di becco-di-pappagallo. Due generi: Sarracenia, con 8 specie, tutte assolutamente meravigliose e non impossibili da coltivare. Hanno la caratteristica di potersi incrociare bene tra loro, con la possibilità quindi di formare un numero infinito di ibridi diversi dalle 8 specie esistenti. DARLINGTONIA CALIFORNICA, unico genere con unica specie. Molto affine alle Sarracenie, è detta anche pianta-cobra per Le piante carnivore sono piante che mangiano animali. Sarà vero? Definite così potrebbero sembrare degli esseri mostruosi e pericolosi. In effetti è così, ma gli “animali” di cui queste piante si nutrono sono per lo più insetti non più grandi di una vespa o di un moscone. Questo è il motivo per il quale spesso si usa il termine piante insettivore, senz’altro meno cruento e impressionante. Per la verità, le piante carnivore si nutrono di insetti per necessità. Sono piante, infatti, che in natura vivono in ambienti particolarmente poveri di quei nutrienti necessari alla crescita di tutte le piante. Le ritroviamo in paludi, in torbiere acide, su rocce spoglie, abbarbicate su tronchi di altre piante, sott’acqua... Le piante carnivore riescono a sopravvivere in questi ambienti sterili e inospitali ricavando il loro nutrimento dagli insetti. In questo modo, anche se il terreno è sterile, queste piante riescono comunque a crescere e moltiplicarsi. piante carnivore - seconda parte - litri. Sono piante impegnative, alcune rarissime, e spesso molto costose. Sono, d’altronde, piante che danno un enorme soddisfazione se coltivate con successo, e alcuni dei migliori coltivatori mondiali di piante carnivore sono appunto coltivatori di Nepenthes. 19 CEPHALOTUS - FOTO NORMAN LEE la forma particolare delle trappole, che somigliano alla testa di un cobra. É anche questa una pianta tipica di zone torbose e umide degli Stati Uniti. Più rara delle Sarracenie e più impegnativa da coltivare. Sarracenie e Darlingtonia sono tutte piante delicate, impegnative ma non impossibili da coltivare. Crescono lentamente ma sono, come le Nepenthes, dei veri e propri sogni da coltivare. Alcuni tra i più grandi coltivatori ed esperti di piante carnivore sono coltivatori di Sarracenia. piante carnivore - seconda parte 20 HELIAMPHORA NUTANS Altro genere di piante carnivore con trappole ad ascidio di forma conica ed allungata. Come le sarracenie e la Darlingtonia, non presenta foglie normali, ma esclusivamente foglie a cono allungato verticalmente. Le trappole sono ritenute molto primitive, in quanto sono meno sofisticate e perfezionate di quelle di sarracenie e Darlingtonia. L’aspetto richiama in qualche modo quello delle sarracenie, con la differenza che gli ascidi non hanno il “coperchio” come succede per quelli delle sarracenie. DARLINGTONIA - FOTO: LUCAS THORNTON - HTTP://WWW.FLICKR.COM/PHOTOS/CHUG/ GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 Un unico genere: Heliamphora, comprendente 5 specie. Sono tutte piante di montagna tropicale (tepui). Richiedono particolarissime condizioni di coltivazione. Rare, alcune rarissime, impegnative, costose, lente a crescere e delicatissime. Insomma, hanno tutti i difetti ma anche un piccolissimo pregio: sono bellissime. ALTRE TRAPPOLE, ALTRE SPECIE DARLINGTONIA - FOTO: FREDERICK DEPUYDT Le piante sono talmente belle e impegnative che tutti gli appassionati di piante carnivore ritengono sia uno “status symbol” riuscire ad avere una Heliamphora in buona condizione nella propria collezione. UTRICULARIA Le utricolarie sono piante molto strane. Alcune specie sembrano muschi con foglie piccolissime e fiori coloratissimi ma molto minuti; altre specie risultano invece più piante carnivore - seconda parte - Le heliamphore sono piante particolarissime che vivono in ambienti estremi sulle cime degli altopiani (detti tepui) in Venezuela e Brasile, dove ci sono condizioni ambientali proibitive, costanti precipitazioni, forte vento, notti gelide. Queste qui sopra esposte sono i tre tipi di trappola più noti e comuni nel mondo delle piante carnivore. Ma non sono gli unici. Esistono infatti specie a volte meno note e meno coltivate, ma non per questo meno interessanti. Diamo una veloce occhiata: SARRACENIA - FOTO KEVIN TUCK 23 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 CHIAVE RICONOSCIMENTO Riassumiamo tutto ciò esposto sin d'ora, cercando di fissare in memoria almeno uno schemino di minima. Abbiamo diviso le piante carnivore in vari gruppi a seconda del meccanismo di cattura. Costruiamoci quindi uno schema a “domanda/risposta” (tipo chiave dicotomica) per riconoscere i principali generi di piante carnivore. - Foglia che si chiude a scatto? Trappola a tagliola: Dionaea muscipula Unico genere, una sola specie. Comune, di facile coltivazione. USA. - Foglia con superficie viscida? Trappola a colla: *Ghiandole invisibili, foglia dall'apparenza liscia? Pinguicula Un genere, parecchie decine di specie, alcune comuni e di facile coltivazione. Distribuite su tutto il globo, in tutti i tipi di terreni. Particolare il gruppo delle pinguicole messicane. Pinguicula moranensis molto indicata per i principianti. HELIAMPHORA - FOTO: LUCAS THORNTON HTTP://WWW.FLICKR.COM/PHOTOS/CHUG/ vistose con foglie a “penna” o di altre forme e fiori meravigliosi. Alcune terrestri, altre completamente acquatiche. Unico genere Utricularia con decine di specie sparse su tutto il globo. La caratteristica di queste piante è che sono dotate di piccolissime trappole sotterranee o subacquee, simili a piccolissimi sacchettini. Questi sacchettini sono sottovuoto e quando un microscopico animaletto ci passa vicino si aprono per una frazione di secondo, lo risucchiano all’interno e si richiudono. Col tempo poi l’animaletto muore e viene assimilato. Le trappole non sono molto grandi (nell'ordine di 1-2 millimetri) e spesso la parte visibile della pianta è scarna e misera, e questo è il motivo piante carnivore - seconda parte UTRICULARIA - FOTO: TIM WATERS 24 per cui sono molto rare da trovare in coltivazione. Nonostante questo la bellezza dei fiori e la semplicità di coltivazione rendono le utricolarie una interessante alternativa alle solite carnivore. ALDROVANDA VESICULOSA Unica specie di un genere ormai quasi scomparso. In pratica è una piccola dionea acquatica. Senza radici, vive in acqua e ha piccolissime trappole (microscopiche) che funzionano in maniera simile a quelle della dionea, cioè a scatto. É una pianta che una volta era molto comune in tutta Europa. A tutt’oggi, ormai, si ritiene sia praticamente scomparsa da quasi tutti gli ambienti dove era prima presente, a causa dell'inquinamento. Rarissima da trovare in coltivazione, perchè spesso vista come specie di poco interesse, piccola e insignificante. É invece una pianta molto interessante per la sua parentela con una pianta apparentemente così diversa come appunto la Dionaea muscipula. Ci sono altri generi di piante carnivore (Genlisea, Ibicella e altri) ma sono talmente rare e insolite da trovare in coltivazione da essere note solamente ad alcuni coltivatori particolarmente esperti. *Ghiandole ben visibili, foglia dall’appa- renza pelosa? Drosera Un genere, parecchie decine di specie, alcune comuni e di facile coltivazione. Distribuite su tutto il globo, su terreni spesso umidi e torbosi. Particolari il gruppo delle drosere nane australiane, delle giganti africane, delle drosere tuberose e altre ancora. Drosera capensis indicata per i principianti. - Foglia a tubo o a bicchiere? Trappola ad ascidio: *Foglie normali, con bicchiere pendente all’estremità? Nepenthes Un genere, parecchie decine di specie, tutte tropicali e di coltivazione impegnativa. Distribuite in zone tropicali autraliane e orientali. Due gruppi: gruppo di pianura e gruppo di montagna (più esigenti). Rare e costose, molto ricercate per la particolare bellezza. Crescono su altre piante o su detriti di origine vegetale in ambiente umido. *Due tipi di foglie distinte: foglie normali a lamina, non carnivore, e foglie completamente a bicchiere, carnivore? Cephalotus follicularis Un genere, una specie, di origine australiana. Di coltivazione impegnativa, e difficile da trovare. Molto bella, cresce in colonie molto vaste, su terreni torbosi e umidi, in piane assolate. *Ascidi tutti a cono, allungati e verticalmente inseriti nel terreno, con un prolungamento a “cappello” o “coperchio” che copre l'apertura dell’ascidio? Sarracenia Un genere, 8 specie, tutte di zone paludose e umide degli USA. Impegnative (ma non troppo), e di particolare bellezza. Indicata per i principianti la Sarracenia purpurea venosa ed alcuni ibridi in commercio. *Ascidi tutti a cono, allungati e verticalmente inseriti nel terreno, ma privi di “cappello”? Heliamphora Un genere, 5 specie, tutte di zone di montagna tropicale del Sud America. Estremamente rare, impegnative, ma particolare bellezza. [CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO] Sito di riferimento: aipcnet.it GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 GIARDINI PER GUARIRE Gli healing gardens mirano nelle strutture di cura a migliorare le condizioni di vita e di salute sia dei pazienti, sia del personale, sia dei parenti, come hanno dimostrato numerose ricerche. La più celebre è quella “storica” condotta da Roger Ulrich, della A & M University del Texas, nella quale venne esaminato nel 1984 un reparto che ospitava pazienti operati di calcoli renali: i malati che potevano scorgere gli alberi dal loro letto avevano minori complicazioni, meno dolori e guarigioni più rapide di quelli sprovvisti di visioni sulla “natura”. Rachel e Stephen Kaplen dell’Università del Michigan hanno dimostrato una rigenerazione delle capacità di attenzione dopo un periodo di sforzo mentale, aspetto particolarmente utile per il personale sanitario. I giardini curativi sottintendono due aspetti: il giardino dove coltivare le piante e i fiori a fini riabilitativi, e il giardino piacevole dove curarsi passeggiando e sostando. Ciò che va sottolineato è come l’abbinamento tra architettura del verde e strutture di cura non sia nuovo: si pensi ai tradizionali ospedali a padiglioni del primo Novecento, immersi in viali alberati. Tale attenzione si è progressivamente ridot- ta nelle realizzazioni successive, costringendo gli spazi verdi a spazi residuali. Dagli Stati Uniti gli healing gardens si sono sviluppati in Europa e si stanno affermando anche in Italia. Al fine di colmare una lacuna progettuale, la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano ha istituito nel 2006, e ripropone per il 2008, un corso di perfezionamento su questo tema. GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 Al fine di conferire rigore scientifico al percorso progettuale degli healing gardens è stato costituito un gruppo di lavoro (denominato Club di Milano) che riunisce al suo interno sia le componenti tecnicoprogettuali che quelle mediche. Il gruppo interdisciplinare comprende, tra gli altri, esperti di bioclimatologia medica, psicologi e psichiatri, nonché docenti ed operatori del settore farmaceutico. Al momento sono in corso due ricerche applicate: la prima è relativa alla valutazione dell’effetto della fruizione del verde sui familiari degli ospiti della Residenza per anziani Saccardo di Milano; la seconda, per news 28 la quale è stato redatto uno specifico protocollo di studio, si svolge presso la Clinica psichiatrica Ville di Nozzano (Lucca) e riguarda uno studio osservazionale sugli effetti, nei soggetti affetti da disturbi dell’umore, di un ambiente ospedaliero confortevole con rimandi alla natura e alla frequentazione del verde. Da "Healing gardens: giardini per guarire di Alessandro Toccolini, Istituto di Ingegneria agraria, Università degli Studi di Milano". http://www.sisuni.unimi.it/jumpNews.asp? idLang=IT&idChannel=14&idUser=0&id News=10874 LA FATTORIA GALLEGGIANTE NEL CUORE DI NEW YORK Creato dall’ente non profit New York Sun Center for Sustenible Engineering, è stato varato -è proprio il caso di dirlo- il progetto Science Barge. Nell’ambito del PlanNYC 2030, programma che si prefigge una serie di migliorie ambientali per la Grande Mela da realizzarsi nei prossimi anni, vede la luce un’imbarcazione davvero speciale. Alimentata da una combinazione di energia solare, turbine eoliche e biodisel rappresenta il grado zero delle emissioni inquinanti. A bordo sono in funzione serre idroponiche in grado di produrre verdure in gran quantità utilizzando un quarto delle risorse idriche impiegate nella coltura tradizionale, applicando le tecniche tipiche del fuorisuolo (riciclaggio dell’acqua, substrato in rockwool e fibra di cocco). Questo cibo viene coltivato con gran dispendio di acqua e utilizzo di pesticidi, ed essendo prodotto lontano dalla città causa un grande consumo di carburante, traffico sulle strade, emissione di monossido di carbonio durante il trasporto. La Science Barge, placidamente adagiata nel fiume Hudson, è meta di visite scolastiche e turistiche, ed è possibile non solo ammirare e fare foto, ma anche eseguire piccoli esperimenti idroponici e fare uno snack a base di sanissime verdure prodotte a bordo. Quanto coltivato nelle serre oltre ad essere consumato in loco viene venduto ai ristoranti e ai negozi della zona. La popolazione mondiale è in continuo aumento, sostiene ancora Caplow, e chiaramente le cose andranno peggiorando a meno che non si cambi radicalmente politica. Solo imparando a gestire le risorse naturali, e soprattutto quelle rinnovabili, saremo in grado di far fronte alle esigenze di tutti. La tecnologia e la ricerca avranno un ruolo di spicco nei cambiamenti necessari per avviarsi ad un più intelligente impiego delle energie. Oltre a rappresentare un modo originale e coinvolgente di mostrare tecnologie come l’idrocoltura e i pannelli solari al grande pubblico, il progetto si propone di sensibilizzare le masse verso temi ecologici. La fattoria galleggiante promuove anche l’utilizzo di sistemi idroponici per produrre ortofrutta sui tetti, un tema di grande sviluppo in questi giorni nelle metropoli. Secondo i costruttori, Science Barge rappresenta anche una metafora per l’umanità e il futuro del pianeta: “possiamo galleggiare insieme, o sicuramente insieme affonderemo”. Altre informazioni e foto sul sito http://www.nysunworks.com/ Foto: http://www.aidg.org/ (The Appropriate Infrastructure Development Group) Come ricorda Ted Caplow, direttore esecutivo del Sun Center, produrre cibo per sfamare la popolazione di New York richiede un'estensione di 60.000 acri, pari alla superficie dell’intero stato del Wyoming. In queste pagine la Science Barge, la chiatta - fattoria galleggiante simbolo dell’imminenza di importanti cambiamenti ambientali nelle strade di New York. news La prima edizione del corso, svoltasi nei mesi di aprile e maggio 2006, ha visto la partecipazione di circa 50 iscritti. Gli argomenti trattati sono stati: il processo di progettazione delle aree verdi; i criteri generali per la progettazione degli healing gardens; l’accessibilità; la componente verde; gli healing gardens per i malati di Alzheimer; l’horticultural therapy; l’approccio medico agli healing gardens; alcune esperienze estere di progettazione. Tra i docenti, Clare Cooper Marcus della University of California, riconosciuta esperta internazionale della materia, professori delle Università di Torino e di Firenze, esperti e professionisti del settore. GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 29 GIARDINAGGIO INDOOR - N. 8 --MI PIACEREBBE INIZIARE A COLTIVARE MEGLIO L’ACQUA DEL RUBINETTO O ORCHIDEE MA NON SO BENE DA DOVE INI- QUELLA DEL POZZO? ZIARE. NOCIVO NELL’ACQUA? DELLE MI HANNO DETTO DI SAPROFITE PERCHÉ SONO PRENDERE LA TERRA. VORREI COSA PUÒ ESSERCI DI PIÙ FACILI DA COLTIVARE IN MODO TRADIZIONALE CON ANCHE UNA PIANTA CHE NON MUOIA SUBITO, MA VIVA A LUNGO. CHE TIPO DI PIANTA È PIÙ ADATTA A ME? Le Orchidee fanno parte di una famiglia assai vasta, differiscono fra loro moltissimo in forma, colore, odore, esigenze. Si può fare una prima suddivisione a partire dal substrato: si definiscono Epiphites (o epifite) quelle che si sviluppano su tronchi, Litophytes (o litofite) quelle che crescono abbarbicate alle rocce, e Saprophytes (o saprofite) quelle che in natura crescono su foglie morte o altri medium simili e semplicemente terricole o terrestri quelle che crescono in terra o sabbia. I coltivatori si avvalgono di una grande varietà di substrati, adeguatamente annaffiati e fertilizzati. Si tratta di piante meno difficili da trattare di quanto spesso si creda, facendo una scelta ben ragionata al momento dell'acquisto è possibile senz’altro trovare una bella piantina con poche esigenze adatta anche ai principianti. Se ben curata, un’orchidea è per sempre, vista la longevità che caratterizza la maggior parte delle specie. Per qualche buon consiglio e un primo approccio consiglio il popolare sito con l’annesso forum http://www.orchidando.net/ l’esperto risponde 30 --E' Purtroppo parecchi elementi contaminanti possono essere disciolti nell’acqua che utilizzi, che sia quella della fornitura municipale o venga dal pozzo. Ecco i più frequenti: - Alto tasso di TDS (elementi solidi disciolti), potrebbero bloccare il corretto assorbimento dei nutrienti. - Cloro, utilizzato dall’acquedotto come battericida, a seconda della concentrazione può essere anche mortale per le piante. - Durezza. L’acqua dura è caratterizzata da un’alta presenza di calcio e magnesio, può impedire alla pianta di nutrirsi, e formare depositi che ostruiscono i tubi. - Fluoruri, dannosi sia per l’uomo che per le piante, sono purtroppo spesso presenti. Bloccano l’azione naturale degli enzimi nello sviluppo della pianta. - Composti organici volatili, possono portare alla morte di fiori, foglie e frutti. - Ferro/ Zolfo favoriscono lo sviluppo delle alghe ma bloccano la crescita delle piante. L’acqua può diventare maleodorante e macchiare. - Pesticidi/ Erbicidi posso finire nelle falde se nelle vicinanze ci sono aree agricole. - Batteri. Si trovano spesso nei pozzi a causa di rifiuti in decomposizione, possono contaminare frutti e fiori e sono dannosi per l’uomo. - Nitrati. In grandi quantità sono sostanze tossiche, causano sviluppo di alghe. Puoi richiedere le analisi dell’acqua del rubinetto direttamente all’azienda erogatrice e fare esaminare quella del pozzo da un laboratorio, per stabilire se necessiti di un sistema di filtraggio ed eventualmente che tipo scegliere. La qualità dell’acqua è degli elementi che maggiormente influenzano la riuscita del raccolto.