FITODEPURAZIONE La fitodepurazione è un processo che utilizza le piante per risanare l’ambiente dalla presenza di sostanze tossiche inquinanti. Questa parola è generalmente usata per descrivere un qualsiasi sistema in cui le piante sono introdotte nell’ambiente per rimuovere i contaminanti in esso presenti in differenti modi. Le piante sono in grado di assorbire inquinanti tramite l’apparato fogliare e radicale; per questo vengono studiati i meccanismi per trasformare una sostanza tossica in una più innocua. La fitodepurazione è principalmente usata per depurare l’ambiente e risolvere problemi legati all’eutrofizzazione causata da un eccesso di nutrienti quali l’ammoniaca (NH4), nitrati (NO3-) e nitriti (NO2-), di cui le piante si nutrono. L’eutrofizzazione dell’ ambiente si ha quando vi viene apportata una quantità spropositata di sostanze nutritive provenienti da terreni agricoli e da acque di scarico che causa un boom algale con conseguente degradazione aerobica; in queste acque gli esseri viventi muoiono per anossia. Per evitare ciò si ricorre alla fitodepurazione che avviene tra la fonte di inquinamento e l’ambiente di immissione dell’acqua. Nel nostro caso per esempio tra l’allevamento dei pesci e la laguna di Orbetello. Considereremo il procedimento relativo ad effettuare una decontaminazione in situ di contaminanti organici, i quali grazie a processi di mineralizzazione o rottura delle molecole possano essere resi meno pericolosi. La fitodepurazione è un metodo sicuro e non costoso per risanare l’ambiente. Infatti la coltivazione delle piante richiede una minima manodopera e genera un irrilevante impatto all’ambiente mentre il risanamento di acqua e suolo con mezzi chimici è più costoso e dannoso per l’ambiente. Nonostante questo grande vantaggio economico, l’uso di questa tecnica non è adatto in tutti i luoghi e, se la contaminazione è troppo profonda a livello del sedimento o se la concentrazione del contaminante è troppo elevata, allora le piante da sole non sono in grado di risanare efficientemente una determinata zona inquinata. I maggiori vantaggi ottenuti con questa metodica riguardano la possibilità di minimizzare i disturbi d’impatto ambientale e la capacità di lasciare i suoli trattati in condizioni tali da essere nuovamente utilizzabili per l’uomo. Gli inquinanti interessati dagli studi di laboratorio e nel campo della fitodepurazione sono moltissimi e comprendono: metalli pesanti (Cd, Cr(6), Pb, Co, Cu, Ni, Se, Zn) radionuclidi (Cs, Sr, Ur) solventi clorinati (TCE, PCE) idrocarburi del petrolio (BTEX) bifenili policlorinati (PCBs) idrocarburi aromatici polinucleari (PAHs) pesticidi clorinati insetticidi organofosfati (parathion) esplosivi (TNT, DNT, RDX) nutrienti (nitrati, fosfati, ione ammonio) surfattanti. Sostanze quali i nutrienti e la sostanza organica in generale possono essere considerati fattori inquinanti solo nel caso in cui superino la concentrazione naturale. Per misurare con precisione queste quantità si utilizza il metodo della BOD (domanda biochimica di ossigeno). La fitodepurazione è basata su specifici processi compiuti dalle piante tra cui: • l’assorbimento di metalli e sostanze organiche dall’acqua e dal suolo • il trattamento di questi composti via lignificazione • volatilizzazione • metabolismo • mineralizzazione • l’attivazione di enzimi capaci di trasformare composti complessi in alcuni più semplici (fino ai prodotti terminali anidride carbonica ed acqua). Ci sono sei tipi base di tecniche di fitodepurazione, distinte a seconda dei diversi composti da eliminare ed in particolare abbiamo: meccanismi per i metalli pesanti: Fitoaccumulo Rizofiltrazione Fitostabilizzazione meccanismi per i contaminanti organici: Fitodegradazione Fitostimolazione Fitovolatilizzazione Fitoaccumulo: è un metodo che si basa sull’accumulo di metalli pesanti nella chioma di una specifica pianta che poi è portata ad un inceneritore ed in questo modo si pensa di recuperare una maggior quantità di queste sostanze contenute nelle ceneri. Rizofiltrazione: tramite l’uso di piante acquatiche con questo processo si possono bonificare acque lacustri inquinate sfruttando la capacità di assorbimento di ioni da parte delle radici. Di solito vengono utilizzate piante che hanno una rapida crescita (girasole, grano, segale) fatte crescere in colture idroponiche, minimizzando il substrato e facendolo diventare inerte, così da non avere scambi e nessuna funzione, se non quella di mero supporto, così che l’acqua diventa la quasi totalità del mezzo a cui ancorarsi. Inoltre i metalli sono rimossi anche attraverso la produzione di essudati, cioè liquidi rilasciati dai tessuti vegetali. Fitostabilizzazione: questo metodo utilizza le piante per assorbire contaminanti, generalmente metalli, in modo da ridurre la loro biodisponibilità nel suolo garantendo così un minor rischio di esposizione per l’uomo e di contaminazione delle falde freatiche sottostanti. E’ anche usato per ripristinare la vegetazione di determinate zone colpite da un alto contenuto di inquinanti tossici ed in questo caso sono molto importanti le specie metallo-tolleranti che diminuiscono il potenziale sviluppo della contaminazione che avviene, per esempio, mediante l'erosione dal vento. Queste piante devono avere determinate caratteristiche, cioè devono essere tolleranti ad alte concentrazioni di contaminanti e sviluppare un ampio apparato radicale capace di immobilizzarli. Per questo tipo di fitodepurazione vengono usate piante che non trasferiscono inquinanti ai germogli poiché altrimenti potrebbe entrare nella catena alimentare umana attraverso l’assimilazione da parte degli animali di sostanze di origine vegetale. Fitodegradazione: è chiamata anche fitotrasformazione e può essere effettuata in situ o ex situ; si tratta di un metodo che comporta la trasformazione in sostanze più semplici tramite specifici enzimi prodotti dalla pianta stessa. Questa tecnica è attualmente usata nei confronti di residui esplosivi contenuti nelle falde freatiche tra cui TNT e RDX in Tennessee. Fitostimolazione: questo metodo accoppia il risanamento attuato dai vegetali con l’attività microbica di funghi e batteri che quindi contemporaneamente degradano i contaminanti presenti a livello della rizosfera; in particolar modo c’è una stretta interazione tra le piante che, rilasciando nel mezzo esterno ossigeno, incrementano l’attività degradativa degli stessi microrganismi. Fitovolatilizzazione: sfrutta la pianta come se fosse una "pompa idraulica naturale" la quale, mediante l’energia solare, riesce ad assorbire insieme all’acqua anche le sostanze tossiche che così non riescono più ad andare in profondità. I VANTAGGI DELLE VARIE TECNICHE: Vantaggi Rizofiltrazione Fitoaccumulo Fitostabilizzazione Controllo migratorio Minore impatto ambientale X X X X Applicazione su vasta gamma di contaminanti X X X X Minor spreco di acqua, aria e suolo X X X X Eliminazione X X della tossicità con formazione di acqua e CO2 Terreni riutilizzabili dall’uomo X Volume ridotto dell’inquinant e tramite inceneriment o X Rischio di esposizione alla contaminazio ne ridotto X Un’altra applicazione della fitodepurazione è quello di utilizzare la normale capacità degradativa che possiedono le zone umide, naturali e artificiali. Le zone umide regolano il regime delle falde e dei corsi d’acqua, riducono la concentrazione di inquinanti e influenzano il microclima, e quindi sono molto importanti per il trattamento delle acque reflue. Nonostante queste diverse metodologie, sono stati stabiliti principi generali per progettare e poi attuare la phytoremediation che comprendono: caratteristiche locali della zona interessata scelta di piante adatte tests preliminari per rifinire i parametri di valutazione risanamento su larga scala Le zone umide possono considerarsi aree di fitodepurazione. Solo da trent’anni si è assistito ad una rivalutazione di queste zone; infatti prima l’uomo ha bonificato circa l’ 80% delle zone umide per risolvere il problema della malaria e per avere più spazi coltivabili; adesso invece le zone umide sono considerate degli ottimi fitodepuratori. I benefici delle zone umide sono: Possibilità di approvvigionamento delle acque (ricarica degli acquiferi, utilizzo per acqua potabile e per irrigazione) Buona funzionalità per il controllo idrico (intrusione del cuneo salino) Casse di espansione per eventi alluvionali Sfruttamento per attività estrattive (cava di sabbia, ghiaia per uso edilizio) Presenza di animali allo stato libero, di pesci ed invertebrati Utilizzo di piante presenti nelle zone naturali Possibilità di utilizzo per colture integrate (piscicoltura abbinata alla coltivazione del riso con minimo rilascio nell’ambiente) Controllo dei fenomeni erosivi e della desertificazione Possibilità di utilizzo di fonti energetiche Attività educative e ricreative (p.e. osservazione degli uccelli) Mentre gli svantaggi comprendono: un’ estrema variabilità delle loro componenti funzionali che rendono virtualmente impossibile la previsione delle conseguenze dell’ apparato di acque inquinate e la traslazione da una zona geografica ad un’altra. impossibilità di quantificare precisamente l’efficienza del trattamento, sebbene lo scorrimento delle acque reflue nelle zone umide naturali comporti un significativo miglioramento delle loro qualità. Sistemi umidi artificiali Dagli anni ’70 in seguito all’ esperienza conseguita nel campo delle zone umide l’uomo ha cominciato a costruirne di artificiali (constructed wetlands) per depurare le acque reflue provenienti da piccoli centri urbani o da effluenti industriali,trattati con sistemi tradizionali; gli inquinanti sono rimossi da processi chimici, fisici, e biologi: sedimentazione, precipitazione, assorbimento, assimilazione da parte delle piante o da attività microbiche. Le specie vegetali usate sono diverse, ma sono tutte piante acquatiche o strettamente igrofile. I principali vantaggi dei sistemi umidi artificiali sono: Maggior controllo dell’area, poiché viene realizzata sul substrato più idoneo; Scelta del sito; Flessibilità delle scelte; Controllo dei flussi idraulici e tempi di ritenzione; I sistemi di fitodepurazione basati sulla ricostruzione di zone umide artificiali si possono distinguere in diverse tipologie, brevemente riassumibili nella maniera che segue. Sistemi a macrofite galleggianti (pleustofite); Sistemi a macrofite radicate sommerse (idrofite in senso stretto); Sistemi a macrofite sommerse (idrofite) Sistemi a macrofite radicate emergenti (elofite); ; Sistemi multistadio, dati da combinazioni delle tre classi precedenti. I primi due sistemi prevedono la presenza di una superficie di acqua, in maniera similare a quanto accade in natura negli ambienti palustri e lagunari, mentre il sistema a macrofite radicate emergenti consente di operare sia con superfici di acqua (come nei casi precedenti), sia senza superfici esterne di acqua, che permane invece sotto al livello del suolo. Infatti questi sistemi, tra i più diffusi per la loro flessibilità, possono subire una ulteriore classificazione dipendente dal cammino idraulico delle acque reflue: Sistemi a flusso superficiale Sistemi a flusso sommerso orizzontale Sistemi a flusso sommerso verticale Sistemi con macrofite galleggianti Sono costituiti da appositi bacini impermeabilizzati di opportuna geometria e dimensioni, dove transitano le acque reflue. Sulla superficie di queste vengono coltivate specifiche piante acquatiche in grado di agire sugli inquinanti e quindi di depurare le acque. Attualmente si conoscono vari tipi di piante acquatiche per trattare acque di scarico, ma quelle con migliori capacità di depurazione e maggiormente utilizzate sono la Lemna (Lemna sp., Spirodela sp., e Wolffia sp), ed il Giacinto d'acqua (Eichhornia crassipes). La lemna, è la più piccola e semplice pianta galleggiante utilizzata per il trattamento di depurazione di reflui. La caratteristica principale di tali piante è la rapidità della crescita che le consente, con opportune condizioni ambientali, di raddoppiare la superficie coperta in soli 4-6 giorni. Altra caratteristica positiva della lemna è la resistenza alle basse temperature (temperatura minima di crescita di 7-8°C) che la rende adatta anche in climi relativamente freddi. Sistemi a flusso superficiale I sistemi a flusso superficiale consistono in vasche o canali dove la superficie dell’acqua è esposta all’atmosfera ed il suolo, costantemente sommerso, costituisce il supporto per le radici delle piante emergenti. In questi sistemi il flusso è orizzontale e l’altezza delle vasche generalmente limitata a poche decine di centimetri. In questi sistemi i meccanismi di abbattimento riproducono esattamente tutti i fattori in gioco nel potere autodepurativo delle zone umide. Sistemi a flusso sommerso orizzontale I sistemi a flusso sommerso orizzontale sono costituiti da vasche contenenti materiale inerte con granulometria prescelta al fine di assicurare una adeguata conducibilità idraulica (i mezzi di riempimento comunemente usati sono sabbia, ghiaia, pietrisco); tali materiali inerti costituiscono il supporto su cui si sviluppano le radici delle piante emergenti (comunemente utilizzate le Phragmites australis); il fondo delle vasche viene opportunamente impermeabilizzato con uno strato di argilla, o con membrane sintetiche. Il flusso di acqua rimane costantemente al di sotto della superficie del vassoio assorbente e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto. 5. Sistemi a flusso sommerso verticale La configurazione di questi sistemi è del tutto simile a quelli appena descritti. La differenza consiste nel fatto che il refluo da trattare scorre verticalmente nel medium di riempimento (percolazione) e viene immesso nelle vasche con carico alternato discontinuo. Per tale ragione questi sistemi hanno la prerogativa di consentire una notevole diffusione dell'ossigeno anche negli strati più profondi delle vasche, e di alternare periodi di condizioni ossidanti a periodi di condizioni riducenti. CONCLUSIONI La fitodepurazione è nata insieme con l’esigenza di costruire sistemi a sempre minore impatto ambientale per i sistemi di depurazione di acque reflue municipali o industriali, richiedendo inoltre considerazioni sempre più legate a valutazioni di carattere sociale ed istituzionale, oltre che alle tradizionali valutazioni tecniche. La ricerca di sistemi di trattamento con esigenze e caratteristiche tecniche "sostenibili" ha favorito negli ultimi anni lo sviluppo di metodi che non richiedono componenti meccanici complessi ad elevato consumo energetico, ma che tendono a sfruttare appieno la componente "naturale" che sta alla base di una qualsiasi tecnica di depurazione. Purtroppo in Italia non è presente una vera e propria “cultura della fitodepurazione” probabilmente perchè le aree umide sono molto impegnative da un punto di vista territoriale, nel senso che è necessaria una vasta area per ottenere un buon livello di fitodepurazione. Per questo motivo non è molto diffusa nel piccolo Bel Paese ma lo è in altri Paesi come la Francia,dove vi è più disponibilità di terreni. O forse molto probabilmente dovremo solo aspettare qualche anno per vedere degli efficaci impianti di fitodepurazione, perché come sempre l’Italia resta indietro nel campo della ricerca e delle innovazioni.