capitolo iii - Università degli Studi dell`Insubria

CAPITOLO III
L’ATMOSFERA
3.1 STRUTTURA DELL’ATMOSFERA
L'atmosfera è formata da diversi strati ideali, che presentano caratteristiche fisiche e
chimico-fisiche variabili con la quota (temperatura, pressione, densità), con gli strati più
densi in prossimità della superficie. Solitamente si fa riferimento alle seguenti “zone”
dell’atmosfera (Figura 3.1):
TROPOSFERA (0-14 Km). E’ la parte più densa dell'atmosfera, sede della maggior
parte dei fenomeni meteorologici: l'aria degli strati più bassi che tende a salire genera
grandi correnti convettive da cui hanno origine venti equatoriali costanti (gli alisei) e le
perturbazioni atmosferiche. L'aria della troposfera è riscaldata dalla superficie terrestre
ed ha una temperatura media globale di 15°C al livello del mare, che diminuisce con
l'altitudine (0,65°C ogni 100m di quota) fino ai circa -60°C della tropopausa. Anche
pressione atmosferica decresce con l'altitudine secondo una legge esponenziale. La
troposfera include anche il cosiddetto Planet Boundary Layer (PBL, o strato limite
planetario) nel quale la struttura del campo di vento risente dell’influenza della
superficie, e che si estende per oltre 1 km a partire da essa. Quasi tutti i fenomeni di
inquinamento atmosferico avvengono all’interno del PBL.
STRATOSFERA (14-60 km). Qui avviene un fenomeno chiamato inversione termica:
mentre nella troposfera la temperatura diminuisce con l'altezza, nella stratosfera
aumenta, fino alla temperatura di 0°C. Questo è dovuto alla presenza di uno strato di
ozono, l'ozonosfera, che assorbe la maggior parte delle radiazioni solari ultraviolette.
Nella stratosfera i componenti si presentano sempre più rarefatti, il vapore acqueo e il
pulviscolo diminuiscono; esistono ancora alcuni rari fenomeni meteorologici e certi
particolari tipi di nubi (cirri).
MESOSFERA (60-90 km). In questa zona l'atmosfera non subisce più l'influsso della
superficie terrestre: non ci sono più né venti né correnti ascensionali, né nubi o
perturbazioni. In queste condizioni, i gas si stratificano per diffusione, e la
composizione chimica media dell'aria inizia a variare man mano che si sale. L'anidride
carbonica scompare rapidamente, così come il vapore acqueo, e anche la percentuale
di ossigeno inizia a diminuire con la quota. Aumentano le percentuali di gas leggeri
come elio e idrogeno. La temperatura diminuisce con la quota fino a stabilizzarsi, al
limite superiore della mesosfera, a circa -80ºC (mesopausa).
TERMOSFERA (90-600 km). In questo strato i gas presenti sono tanto rarefatti che è
più opportuno parlare di atomi e molecole, che ricevono quasi interamente la
radiazione solare diretta e sono quindi in prevalenza allo stato ionizzato (insieme agli
strati superiori della mesosfera, la termosfera costituisce la ionosfera). La temperatura
in questo strato sale con l'altitudine, per l'irraggiamento solare, ed arriva ai 1700ºC al
suo limite esterno. Al confine fra mesopausa e termosfera hanno luogo le aurore
boreali.
ESOSFERA (oltre 600 km). E’ la parte meno conosciuta della nostra atmosfera, dove
essa decresce in densità fino a perdersi nello spazio. Tramite metodi di osservazione
indiretti e calcoli teorici si è ricavato che la temperatura dell'esosfera aumenta con
l'altezza fino a raggiungere i 2000°C.
Figura 3.1 Struttura verticale dell’atmosfera.
L’andamento che indica le variazioni di temperatura Δt in rapporto alla differenza di quota
Δz è detto gradiente termico verticale; se la temperatura cresce con la quota il gradiente è
positivo, se decresce è negativo. I confini tra strati non sono fissati in modo rigido: ad
esempio, il confine tra troposfera e stratosfera varia tra circa 7500 m all’altezza dei poli a
circa 17000 m in prossimità dell’equatore, con variazioni stagionali.
L’atmosfera standard è un profilo di riferimento, definito dall’ICAO (International Civil
Aviation Organization) che rappresenta la struttura tipica dell’atmosferica a medie latitudini
(Tabella 3.1). A livello del mare l’atmosfera standard ha una pressione di 760 mm Hg (1
atmosfera) e temperatura di 15oC; la pressione diminuisce esponenzialmente con
l’altezza, dimezzandosi a 5500 m di altezza.
Nell'ipotesi che la temperatura vari uniformemente con l'altezza, la relazione esponenziale
tra pressione P e altezza z è:
P = P0 ⋅ e
a
− z
T
[3.1]
dove a = 0.0342 K/m e dove P0 = 101.325 kPa è la pressione atmosferica media al livello
del mare, da cui si ricava che il tasso di diminuzione di pressione con l’altezza è di circa
1,2 x10-4 m-1.
3.2 COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERA
L’atmosfera è composta sostanzialmente da azoto (78%), ossigeno (21%) ed altri gas in
proporzioni frazionarie (Tabella 3.1). Sebbene l’atmosfera sia un sistema in continua
evoluzione dinamica, queste proporzioni sono pressochè costanti, almeno per quanto
riguarda i componenti principali.
Tabella 3.1 Composizione tipica dell’atmosfera.
Altri componenti possono essere presenti in traccia o come contaminanti immessi da
processi naturali o antropici.
3.3 LA STABILITÀ ATMOSFERICA E LE INVERSIONI TERMICHE
Il concetto di stabilità atmosferica è centrale rispetto a qualsiasi successiva considerazione
sulla dispersione di sostanze inquinanti in essa: esso indica l’attitudine dell’atmosfera a
favorire o impedire lo sviluppo e il mantenimento di moti verticali liberi (convezione libera),
come quelli indotti dalla turbolenza convettiva o meccanica. In pratica, il profilo verticale di
temperatura nell’atmosfera (in particolare nella troposfera) può concorrere a magnificare o
ridurre il miscelamento verticale dell’aria e delle sostanze in essa contenute.
La condizione di stabilità indica una assenza di miscelamento, dovuto a gradienti interni di
grandezze fisiche: mentre in un lago l’acqua è in condizioni di stabilità neutra quando si
trova tutta alla medesima temperatura, nell’atmosfera, a causa della comprimibilità
dell’aria, la condizione di stabilità è data dall’uguagliarsi del gradiente verticale di
temperatura osservato e di quello adiabatico.
Il gradiente di temperatura adiabatico è definito come il tasso a cui varia la temperatura di
una particella d’aria isolata in seguito a compressione o espansione conseguente a una
variazione di quota, nell’ipotesi che tale processo avvenga in modo adiabatico, ovvero
senza scambi di calore con l’esterno.
Per una atmosfera secca, ovvero una atmosfera che può contenere vapore non
condensato, il gradiente adiabatico (gradiente adiabatico secco) vale all’incirca 9,8oC/1000
m, quantità che può essere misurata sperimentalmente o calcolata teoricamente. Da
notare che il gradiente adiabatico secco è diverso dal gradiente adiabatico osservabile
nell’atmosfera standard, che rappresenta condizioni medie dell’atmosfera terrestre.
Con riferimento al gradiente adiabatico secco, possono quindi presentarsi due casi distinti:
se il gradiente di temperatura osservato è maggiore del gradiente a.s. (superadiabatico), la
particella d’aria che sale verso l’alto di una quota h (ad esempio per effetto di moti
vorticosi), e che si muove, per definizione, lungo l’adiabatica secca, si troverà in un
ambiente più freddo e più denso e continuerà, quindi a risalire per galleggiamento,
amplificando il moto originariamente impostole (Figura 3.2). L’atmosfera in questo caso di
dice instabile.
Figura 3.2 Atmosfera instabile.
Nel secondo caso, se il gradiente osservato è minore di quello adiabatico secco
(subadiabatico), la particella d’aria che sale verso l’alto si trova circondata da aria più
calda e meno densa e tende quindi ad “affondare”, ritornando nella posizione originale. I
moti indotti vengono smorzati (Figura 3.3) e l’atmosfera in questo caso si dice stabile.
Figura 3.3 Atmosfera stabile.
Una atmosfera instabile, accompagnata da forte turbolenza convettiva, dà luogo a
condizioni cosiddette di “looping” (Figura 3.4), in cui un pennacchIo si diffonde in modo
molto ampio; un’atmosfera stabile è in condizioni di “fanning” (Figura 3.5), in cui il
pennacchio ha una dispersione verticale praticamente nulla.
Figura 3.4 Atmosfera instabile e fortemente turbolenta (looping).
Figura 3.5 Atmosfera stabile (fanning).
Un’atmosfera sostanzialmente neutra dà origine a una situazione intermedia (Figura 3.6).
Figura 3.6 Atmosfera neutra (coning).
In genere, nella troposfera, il gradiente di temperatura reale è diverso da quello adiabatico
secco, e risulta essere di circa 6,5oC/1000 m, e varia durante il giorno con un andamento
che dipende principalmente dal grado di insolazione (Figura 3.7).
Figura 3.7 Evoluzione del profilo verticale di temperatura in prossimità del suolo.
Alle nostre latitudini la condizione più frequente è un’atmosfera in stato subadiabatico ogni
giorno oltre i 1000 m di quota, ma anche in prossimità del suolo nelle ore notturne e nelle
giornate nuvolose o piovose del semestre freddo. In condizioni di inversione termica
(Figura 3.8), il raffreddamento del suolo tende a cedere gradualmente calore ai primi 100500 m di atmosfera dove la temperatura tende a crescere con la quota (si inverte il
gradiente termico). In tali condizioni è massima la differenza di temperatura tra l’aria in
ascesa o in discesa e l’ambiente subadiabatico circostante: esso rappresenta lo stato
atmosferico che maggiormente impedisce il rimescolamento dello strato inferiore con
quello superiore, e gli inquinanti, oltre a calore, vapor d’acqua e umidità tendono quindi a
ristagnare al suolo.
Le inversioni termiche da irraggiamento si originano in presenza di cielo sereno e
ventilazione debole; in Val Padana, durante l’estate, lo spessore di tali inversioni è
solitamente attorno ai 100-300 m, in inverno attorno ai 400-600 m. In tali condizioni la
radiazione solare diurna assorbita dal suolo riesce a rimuovere solo un piccolo spessore (i
primi 50-100 m) dell’inversione, dando luogo a una situazione di fumigazione (Figura 3.9)
in cui un inquinante emesso, ad esempio, da un camino, incontra dopo una fase di
ascesa, uno strato fortemente stabile che ne impedisce l’ulteriore diffusione verticale. Gli
inquinanti rimangono quindi intrappolati nello strato iniziale e vengono ridiretti verso terra
dai moti turbolenti presenti nello strato inferiore instabile. La fumigazione risulta quindi
essere la situazione più critica per l’inquinamento atmosferico.
Figura 3.8 Inversione termica al suolo.
Figura 3.9 Condizioni di fumigazione.
In condizioni di inversione al suolo, ma in presenza di una fonte di inquinanti “elevata” (che
immette i fumi al di sopra del livello di stabilità), si hanno delle condizioni dette di “lofting”,
in cui gli inquinanti si diffondono senza possibilità di ricadute al suolo (Figura 3.10).
Figura 3.10 Condizioni di lofting.
Un altro caso abbastanza comune è quello di atmosfera superadiabatica al suolo, che si
presenta in estate nelle ore più calde del giorno (Figura 3.11), in cui la particella in ascesa
continua a raffreddarsi fino a che la sua temperatura eguaglia quella dell’ambiente
circostante, terminando la fase di moto convettivo.
Figura 3.11 Moto convettivo di particella in atmosfera inizialmente superadiabatica.
Nel caso di aria umida, anzichè al gradiente adiabatico secco di deve far riferimento al
gradiente adiabatico umido: per convertire acqua in vapore, l’energia richiesta sotto forma
di calore è di 589 calorie per grammo di acqua (a 15oC). Per effettuare la trasformazione
inversa (vapore ad acqua), nell’aria viene rilasciato calore. La condensazione dell’acqua
contenuta nell’aria apporta quindi a questa grandi quantità di calore, che mitigano il
raffreddamento adiabatico che avviene quando la massa d’aria risale. Il gradiente
adiabatico umido può variare tra 3.6 e 5,5oC/1000 m, a seconda delle condizioni; quindi
mentre una massa d’aria secca con gradiente termico verticale di –4oC/1000 m risulta
stabile, nelle stesse condizioni una massa umida potrebbe essere stabile o instabile. La
Figura 3.12 mostra il diagramma adiabatico in cui sono illustrate le adiabatiche secche
(rette con pendenza di 9.8oC/1000 m) e le adiabatiche umide (curve che si avvicinano alle
adiabatiche secche per basse temperature).
Figura 3.12 Il diagramma adiabatico.
Nella realtà, si possono avere situazioni miste, in cui una massa d’aria secca risale
adiabaticamente fino al punto in cui l’umidità contenutavi condensa e forma una nube; da
quel punto la massa d’aria risale seguendo la corrispondente adiabatica umida (Figura
3.13).
Figura 3.13 Processo di formazione delle nubi cumuliformi.
3.3.1
L’altezza di rimescolamento
Lo strato di rimescolamento è definito come lo strato di atmosfera adiacente alla superficie
terrestre, all’interno del quale viene disperso verticalmente per turbolenza convettiva un
composto, introdotto a livello del suolo, in un tempo pari a circa 1 ora. L’altezza di
mescolamento è un parametro importante perchè permette di identificare la porzione di
atmosfera interessata dalla diffusione di contaminanti emessi al suolo; un semplice
metodo per la stima dell’altezza di miscelamento è dato dall’esame del profilo effettivo di
temperatura osservato. Nella Figura 3.14 è tracciato un profilo di temperatura osservato: lo
spessore dello strato di rimescolamento è stimato tracciando una linea, con pendenza pari
al gradiente adiabatico secco, a partire dalla temperatura misurata (o stimata) al suolo. La
temperatura mattutina è assunta uguale alla temperatura minima di + 5oC, la temperatura
del pomeriggio è indicata con Tmax; lo strato di miscelamento varia quindi tra un minimo
mattutino e un massimo pomeridiano.
Figura 3.14 Stima dell’altezza di rimescolamento.
3.4
LA CIRCOLAZIONE PLANETARIA
La circolazione globale nell’atmosfera ha come fonte principale di energia l’irraggiamento
solare: la costante solare (ovvero la potenza rilasciata dal sole su un’area perpendicolare
ai suoi raggi) vale, al di fuori dell’atmosfera, circa 1400W/m2; all’incirca la metà di questo
valore arriva direttamente sulla superficie della Terra, e parte viene riflessa verso
l’atmosfera. Il riscaldamento è massimo all’equatore e minimo ai poli: le masse d’aria
riscaldate tendono a risalire in prossimità dell’equatore per venire rimpiazzate da aria più
fredda proveniente dai poli (Figura 3.15), formando celle convettive in ogni emisfero, che
trasportano energia verso i poli.
A causa della rotazione terrestre, entra in gioco un ulteriore insieme di forze geostrofiche:
la ben nota forza di Coriolis, diventa apprezzabile quando i moti fluidi avvengono a grande
scala, come in questo caso, e ha come effetto quello di deviare la traiettorie dei fluidi in
direzione perpendicolare alla loro velocità, quindi verso destra nell’emisfero Nord, verso
sinistra in quello Sud. In questo modo la situazione descritta nella Figura 3.15 si complica
per dare origine a uno schema di circolazione globale del tipo illustrato in Figura 3.16.
Figura 3.15 Circolazione nord/sud nell’atmosfera.
Figura 3.16 Circolazione a celle.
Dalla combinazione delle forze in gioco di formano tre fasce principali di venti superficiali
per ogni emisfero: ad esempio, nell’emisfero settentrionale, gli alisei - tra l’equatore e i
circa 30° di latitudine nord - soffiano da nordest verso sudovest, le correnti occidentali
soffiano verso nordest tra i 30° e i 60° di latitudine e le correnti polari soffiano verso est
oltre il 60° parallelo.
Queste tre celle di circolazione convettiva si trovano nei confini della troposfera, e
contribuiscono alla rapida miscelazione del suo contenuto. Le due celle immediatamente a
contatto con l’equatore sono spesso dette celle di Hadley.
La circolazione sopra descritta rende conto dei fenomeni di inquinamento osservati a scala
globale: ad esempio, le piogge acide che vengono originate dagli insediamenti industriali
dell’Inghilterra e ricadono sui Paesi Scandinavi.
Va fatto notare che i movimenti delle masse d’aria sopra descritti, ancorchè validi a scala
planetaria, sono soggetti a variazioni a scala locale dettate da condizioni topografiche e
atmosferiche regionali e locali: la situazione locale di variabilità dei venti è meglio descritta
dalla cosiddetta rosa dei venti (Figura 3.17), un diagramma che può essere graficamente
espresso in diverse forme e che esprime, per un punto geografico dato, la variabilità
statistica dei venti in termini di velocità e direzione nel periodo considerato (Figura 3.18).
Figura 3.17 La classica “rosa dei venti”.
Figura 3.18 La rosa dei venti, nella forma grafica “a cannocchiale” data
per l’aeroporto O’Hare di Chicago (USA) nel periodo 1965-1969.
3.5
LA CIRCOLAZIONE SINOTTICA
Il movimento delle masse d’aria troposferiche a scala sinottica (che corrisponde all’incirca
a un migliaio di km) è responsabile dei cambiamenti del tempo e della qualità dell’aria
osservati giornalmente.
Le masse d’aria possono assumere caratteristiche particolari quando rimangono per un
tempo sufficiente sopra ambienti terrestri o marini particolari: le masse d ‘aria continentali
sono caratterizzate da minor contenuto di umidità e temperatura più estrema (calda o
fredda, in funzione della loro provenienza) rispetto alle masse d’aria oceanica che in
genere hanno contenuto di umidità prossimo alla saturazione. Muovendosi, una massa
d’aria genera un fronte che, a contatto con una massa d’aria di diverse caratteristiche, può
dar luogo a fenomeni specifici: quando una massa d’aria calda in moto viene a contatto
con una massa d’aria fredda (Figura 3.19), essa tende a risalire sopra di essa (fronte
caldo). In tali condizioni, il raffreddamento adiabatico che ne segue fa condensare l’umidità
presente con la formazione di nubi ed eventualmente di precipitazione.
Figura 3.19 Fronte caldo.
Quando una massa di aria fredda raggiunge una massa di aria calda, essa tende a
“infilarsi” al di sotto di questa (fronte freddo); anche in questo caso si ha la formazione di
nubi (cumulonembi) e precipitazione (Figura 3.20). Solitamente un fronte freddo si muove
più velocemente di un fronte caldo.
Figura 3.20 Fronte freddo.
Quando un fronte freddo incontra un fronte caldo si ha il cosiddetto fronte occluso con
intrappolamento di aria calda nel mezzo (Figura 3.21)
Figura 3.21 Fronte occluso.
Oltre che dal movimento delle masse d’aria, alcuni aspetti dei fenomeni a scala sinottica
possono essere spiegati dall’esistenza di cicloni e anticicloni, vortici atmosferici
dell’ampiezza di centinaia di km. Oltre a contribuire alla miscelazione a scala troposferica,
essi dominano l’andamento dei venti e del tempo a scala regionale.
Un ciclone è un vortice il cui verso di rotazione è il medesimo dell’emisfero in cui agisce,
mentre l’anticlone ruota in senso opposto. Su questi vortici agiscono quattro forze
principali: il gradiente di pressione, la forza di Coriolis, l’attrito e la forza centrifuga (Figure
3.22 e 3.23).
In molti cicloni, la forza di Coriolis è maggiore della forza centrifuga, tuttavia, essendo
questa proporzionale a v2 (mentre la forza di Coriolis è proporzionale a v), all’aumentare
della velocità o delle dimensioni del ciclone questa diventa molto maggiore della prima. In
un uragano (violento ciclone tropicale, generalmente sopra un oceano), la forza centrifuga
è quindi molto maggiore di quella di Coriolis, e in un tornado (piccolo ciclone localizzato
sulla terraferma) con venti più intensi di un uragano, la forza di Coriolis è trascurabile. La
zona centrale del ciclone (occhio) è un’area a bassa pressione; le forze di attrito che
agiscono in prossimità del suolo rallentano la velocità dell’aria, e con essa le forze dirette
esternamente; l’aria viene quindi risucchiata dal gradiente di pressione verso il centro del
ciclone e, per ragioni di bilancio di massa, si dirige verso l’alto al centro dello stesso
(Figura 3.22). Se l’aria è umida, l’acqua al suo interno condensa formando nubi e
rilasciando energia, che va ad aumentare l’energia cinetica del ciclone che di
conseguenza si intensifica, arrivando a formare un uragano.
In un anticiclone (Figura 3.23), che ha una zona di alta pressione al centro, la forza di
Coriolis è diretta all’interno; l’attrito in prossimità del suolo riduce la velocità (e quindi la
forza di Coriolis), permettendo all’aria di muoversi secondo il gradiente di pressione, dal
centro della formazione verso l’esterno. Per la legge di conservazione della massa, l’aria
deve quindi scendere dagli strati più alti della troposfera riscaldandosi adiabaticamente nel
mentre: gli anticicloni sono quindi associati a bel tempo e assenza di nuvolosità, anche se
possono dar luogo a fenomeni di inversione, causando l’aumento delle concentrazioni di
inquinanti in prossimità del suolo.
Figura 3.22 Ciclone.
Figura 3.23 Anticiclone.
I sistemi meteorologici (Figura 3.24) sono dominati da una stretta relazione tra fronti e
cicloni (e anticicloni), con relazioni spaziali che spesso sono tutt’altro che casuali: i cicloni
alle medie latitudini possono essere formati dall’attrito che si verifica tra due masse d’aria
che si muovono parallelamente l’una con l’altra (Figura 3.25).
Figura 3.24 Carta meteorologica.
Figura 3.25 Formazione di ciclone per attrito tra masse d’aria.
3.6 EFFETTI LOCALI
A livello locale, variazioni del regime dei venti (campo di vento) possono essere indotte
dalla presenza di particolari caratteristiche topografiche o costitutive del terreno. Tra i
principali fenomeni locali si possono elencare: il terreno complesso, i venti di valle, le
brezze di mare, l’effetto barriera, l’isola di calore urbana e l’effetto canyon urbano.
3.6.1 Il terreno complesso
La presenza di una collina isolata può indurre modifiche del campo di vento in quanto,
comportandosi come un ostacolo, produce interazioni di tipo meccanico con il campo di
vento (Figura 3.26). Un terreno complesso è definito come un sistema di creste e valli con
quote e orientamenti generici. In questi casi i flussi di vento si incanalano lungo le valli e
possono dare origine a comportamenti assai diversi rispetto alle zone pianeggianti
circostanti.
Figura 3.26 Effetto di un ostacolo sulla diffusione di un pennacchio.
3.6.2 I venti di valle
L’effetto del terreno complesso può essere amplificato da fenomeni di origine termica
dovuti all’irraggiamento differenziato dei pendii in diversi istanti della giornata (Figura
3.27). Si consideri una valle in assenza di altre funzioni forzanti a livello sinottico (calma di
vento). Durante il giorno l’aria nella valle si scalda maggiormente rispetto alla pianura
(maggior superficie irradiata per unità di volume, riflessione del calore sui versanti), per cui
si forma un flusso d’aria canalizzato dalla pianura lungo la valle e, all’interno di questa, dei
venti di pendio dovuti alla differenza di irraggiamento dei pendii rispetto al fondovalle. Di
notte, l’aria nella valle si raffredda più rapidamente rispetto alla pianura, per cui la
direzione del vento si inverte e i venti di pendio riportano l’aria verso il centro della valle.
Figura 3.27 Il fenomeno del vento di valle.
3.6.3 Le brezze di mare
Questo fenomeno è indotto dalle diverse caratteristiche termiche dell’acqua e del terreno:
in assenza di altri venti e in presenza di irraggiamento solare, durante il giorno la
superficie del terreno si calda più velocemente della massa d’acqua, cedendo maggiori
quantità di calore all’aria sovrastante, che risale verso l’alto richiamando per
compensazione un flusso dal mare verso la terra in prossimità della superficie (Figura
3.28). Dopo il tramonto, la massa d’acqua, con maggiore capacità termica, cede il suo
calore all’aria sovrastante richiamando un flusso dalla terra ormai raffreddata. Oltre che
sulle linee costiere, questo fenomeno può generarsi sui laghi.
Figura 3.28 Brezza di mare.
3.6.4
Effetto barriera
È la situazione tipica delle aree del nordovest degli Stati Uniti, dovuta alla presenza della
catena delle Montagne Rocciose: nello Stato di Washington, l’area costiera ha una delle
piovosità annuali maggiori del mondo (oltre 2 m/anno), mentre le zone interne dello stato,
a est delle montagne, hanno clima semidesertico.
In questo caso, per la presenza di una catena montuosa sufficientemente elevata in
prossimità della costa (Figura 3.29), l’aria umida proveniente dall’oceano viene forzata
verso l’alto, raffreddandosi adiabaticamente mentre sale fino a formare, una volta
raggiunto il punto di condensazione, delle nubi. La massa d’aria continua quindi a salire
raffreddandosi con un gradiente adiabatico umido, perdendo nel frattempo, per
precipitazione, gran parte del suo contenuto di umidità. Raggiunta la cresta della catena
montuosa, discende sul versante opposto, scaldandosi seguendo il gradiente adiabatico
secco; il risultato è un clima secco con la quasi totale assenza di precipitazione in queste
zone.
Figura 3.29 Effetto di una barriera montuosa.
3.6.5
L’Isola di calore urbana
L’isola di calore è un fenomeno tipico delle grandi aree urbane (Figura 3.30), dovuto al
maggior riscaldamento differenziale delle superfici urbane rispetto alle superfici rurali.
Tale fenomeno è dovuto alle caratteristiche dei materiali presenti in città (asfalto, cemento)
a maggior calore specifico del terreno naturale, e che quindi trattengono più a lungo
l’energia termica solare, e al maggiore input di calore dovuto alle attività antropiche
(riscaldamento e condizionamento, traffico, industrie). In tali condizioni si sviluppa una
cappa d’aria calda che trattiene tutte le immissioni, con continuo rimescolamento e
accumulo di inquinanti al suo interno. L’estensione e gli effetti di questo fenomeno
dipendono dalle caratteristiche dell’area urbana, e dalla stagione; non è raro osservare, in
aree urbane, temperature maggiori, rispetto alle zone rurali circostanti, di 3-4 gradi, sia
durante la stagione invernale che in quella estiva. Il massimo spessore della cappa
corrisponde alle zone più densamente edificate.
In condizioni di vento, la cappa può essere spostata sottovento, dando origine a un
pennacchio urbano (Figura 3.31).
Figura 3.30 Isola di calore.
Figura 3.31 Pennacchio urbano.
Una conseguenza dell’isola di calore, in presenza di fronti freddi, può essere un aumento
delle precipitazioni nelle aree urbane o suburbane.
3.6.6
L’effetto canyon urbano
L’effetto canyon si verifica in presenza di strade relativamente strette circondate da edifici
relativamente alti (Figura 3.32): questa situazione può provocare modifiche della
circolazione locale. Se il vento soffia trasversalmente all’asse della strada, la cavità
formata dai profili dei palazzi favorisce lo sviluppo di turbolenze locali che possono
condurre all’accumulo di inquinanti nelle zone sopravvento.
Figura 3.32 Effetto canyon urbano.