CAPITOLO III L’ATMOSFERA 3.1 STRUTTURA DELL’ATMOSFERA L'atmosfera è formata da diversi strati ideali, che presentano caratteristiche fisiche e chimico-fisiche variabili con la quota (temperatura, pressione, densità), con gli strati più densi in prossimità della superficie. Solitamente si fa riferimento alle seguenti “zone” dell’atmosfera (Figura 3.1): TROPOSFERA (0-14 Km). E’ la parte più densa dell'atmosfera, sede della maggior parte dei fenomeni meteorologici: l'aria degli strati più bassi che tende a salire genera grandi correnti convettive da cui hanno origine venti equatoriali costanti (gli alisei) e le perturbazioni atmosferiche. L'aria della troposfera è riscaldata dalla superficie terrestre ed ha una temperatura media globale di 15°C al livello del mare, che diminuisce con l'altitudine (0,65°C ogni 100m di quota) fino ai circa -60°C della tropopausa. Anche pressione atmosferica decresce con l'altitudine secondo una legge esponenziale. La troposfera include anche il cosiddetto Planet Boundary Layer (PBL, o strato limite planetario) nel quale la struttura del campo di vento risente dell’influenza della superficie, e che si estende per oltre 1 km a partire da essa. Quasi tutti i fenomeni di inquinamento atmosferico avvengono all’interno del PBL. STRATOSFERA (14-60 km). Qui avviene un fenomeno chiamato inversione termica: mentre nella troposfera la temperatura diminuisce con l'altezza, nella stratosfera aumenta, fino alla temperatura di 0°C. Questo è dovuto alla presenza di uno strato di ozono, l'ozonosfera, che assorbe la maggior parte delle radiazioni solari ultraviolette. Nella stratosfera i componenti si presentano sempre più rarefatti, il vapore acqueo e il pulviscolo diminuiscono; esistono ancora alcuni rari fenomeni meteorologici e certi particolari tipi di nubi (cirri). MESOSFERA (60-90 km). In questa zona l'atmosfera non subisce più l'influsso della superficie terrestre: non ci sono più né venti né correnti ascensionali, né nubi o perturbazioni. In queste condizioni, i gas si stratificano per diffusione, e la composizione chimica media dell'aria inizia a variare man mano che si sale. L'anidride carbonica scompare rapidamente, così come il vapore acqueo, e anche la percentuale di ossigeno inizia a diminuire con la quota. Aumentano le percentuali di gas leggeri come elio e idrogeno. La temperatura diminuisce con la quota fino a stabilizzarsi, al limite superiore della mesosfera, a circa -80ºC (mesopausa). TERMOSFERA (90-600 km). In questo strato i gas presenti sono tanto rarefatti che è più opportuno parlare di atomi e molecole, che ricevono quasi interamente la radiazione solare diretta e sono quindi in prevalenza allo stato ionizzato (insieme agli strati superiori della mesosfera, la termosfera costituisce la ionosfera). La temperatura in questo strato sale con l'altitudine, per l'irraggiamento solare, ed arriva ai 1700ºC al suo limite esterno. Al confine fra mesopausa e termosfera hanno luogo le aurore boreali. ESOSFERA (oltre 600 km). E’ la parte meno conosciuta della nostra atmosfera, dove essa decresce in densità fino a perdersi nello spazio. Tramite metodi di osservazione indiretti e calcoli teorici si è ricavato che la temperatura dell'esosfera aumenta con l'altezza fino a raggiungere i 2000°C. Figura 3.1 Struttura verticale dell’atmosfera. L’andamento che indica le variazioni di temperatura Δt in rapporto alla differenza di quota Δz è detto gradiente termico verticale; se la temperatura cresce con la quota il gradiente è positivo, se decresce è negativo. I confini tra strati non sono fissati in modo rigido: ad esempio, il confine tra troposfera e stratosfera varia tra circa 7500 m all’altezza dei poli a circa 17000 m in prossimità dell’equatore, con variazioni stagionali. L’atmosfera standard è un profilo di riferimento, definito dall’ICAO (International Civil Aviation Organization) che rappresenta la struttura tipica dell’atmosferica a medie latitudini (Tabella 3.1). A livello del mare l’atmosfera standard ha una pressione di 760 mm Hg (1 atmosfera) e temperatura di 15oC; la pressione diminuisce esponenzialmente con l’altezza, dimezzandosi a 5500 m di altezza. Nell'ipotesi che la temperatura vari uniformemente con l'altezza, la relazione esponenziale tra pressione P e altezza z è: P = P0 ⋅ e a − z T [3.1] dove a = 0.0342 K/m e dove P0 = 101.325 kPa è la pressione atmosferica media al livello del mare, da cui si ricava che il tasso di diminuzione di pressione con l’altezza è di circa 1,2 x10-4 m-1. 3.2 COMPOSIZIONE DELL’ATMOSFERA L’atmosfera è composta sostanzialmente da azoto (78%), ossigeno (21%) ed altri gas in proporzioni frazionarie (Tabella 3.1). Sebbene l’atmosfera sia un sistema in continua evoluzione dinamica, queste proporzioni sono pressochè costanti, almeno per quanto riguarda i componenti principali. Tabella 3.1 Composizione tipica dell’atmosfera. Altri componenti possono essere presenti in traccia o come contaminanti immessi da processi naturali o antropici. 3.3 LA STABILITÀ ATMOSFERICA E LE INVERSIONI TERMICHE Il concetto di stabilità atmosferica è centrale rispetto a qualsiasi successiva considerazione sulla dispersione di sostanze inquinanti in essa: esso indica l’attitudine dell’atmosfera a favorire o impedire lo sviluppo e il mantenimento di moti verticali liberi (convezione libera), come quelli indotti dalla turbolenza convettiva o meccanica. In pratica, il profilo verticale di temperatura nell’atmosfera (in particolare nella troposfera) può concorrere a magnificare o ridurre il miscelamento verticale dell’aria e delle sostanze in essa contenute. La condizione di stabilità indica una assenza di miscelamento, dovuto a gradienti interni di grandezze fisiche: mentre in un lago l’acqua è in condizioni di stabilità neutra quando si trova tutta alla medesima temperatura, nell’atmosfera, a causa della comprimibilità dell’aria, la condizione di stabilità è data dall’uguagliarsi del gradiente verticale di temperatura osservato e di quello adiabatico. Il gradiente di temperatura adiabatico è definito come il tasso a cui varia la temperatura di una particella d’aria isolata in seguito a compressione o espansione conseguente a una variazione di quota, nell’ipotesi che tale processo avvenga in modo adiabatico, ovvero senza scambi di calore con l’esterno. Per una atmosfera secca, ovvero una atmosfera che può contenere vapore non condensato, il gradiente adiabatico (gradiente adiabatico secco) vale all’incirca 9,8oC/1000 m, quantità che può essere misurata sperimentalmente o calcolata teoricamente. Da notare che il gradiente adiabatico secco è diverso dal gradiente adiabatico osservabile nell’atmosfera standard, che rappresenta condizioni medie dell’atmosfera terrestre. Con riferimento al gradiente adiabatico secco, possono quindi presentarsi due casi distinti: se il gradiente di temperatura osservato è maggiore del gradiente a.s. (superadiabatico), la particella d’aria che sale verso l’alto di una quota h (ad esempio per effetto di moti vorticosi), e che si muove, per definizione, lungo l’adiabatica secca, si troverà in un ambiente più freddo e più denso e continuerà, quindi a risalire per galleggiamento, amplificando il moto originariamente impostole (Figura 3.2). L’atmosfera in questo caso di dice instabile. Figura 3.2 Atmosfera instabile. Nel secondo caso, se il gradiente osservato è minore di quello adiabatico secco (subadiabatico), la particella d’aria che sale verso l’alto si trova circondata da aria più calda e meno densa e tende quindi ad “affondare”, ritornando nella posizione originale. I moti indotti vengono smorzati (Figura 3.3) e l’atmosfera in questo caso si dice stabile. Figura 3.3 Atmosfera stabile. Una atmosfera instabile, accompagnata da forte turbolenza convettiva, dà luogo a condizioni cosiddette di “looping” (Figura 3.4), in cui un pennacchIo si diffonde in modo molto ampio; un’atmosfera stabile è in condizioni di “fanning” (Figura 3.5), in cui il pennacchio ha una dispersione verticale praticamente nulla. Figura 3.4 Atmosfera instabile e fortemente turbolenta (looping). Figura 3.5 Atmosfera stabile (fanning). Un’atmosfera sostanzialmente neutra dà origine a una situazione intermedia (Figura 3.6). Figura 3.6 Atmosfera neutra (coning). In genere, nella troposfera, il gradiente di temperatura reale è diverso da quello adiabatico secco, e risulta essere di circa 6,5oC/1000 m, e varia durante il giorno con un andamento che dipende principalmente dal grado di insolazione (Figura 3.7). Figura 3.7 Evoluzione del profilo verticale di temperatura in prossimità del suolo. Alle nostre latitudini la condizione più frequente è un’atmosfera in stato subadiabatico ogni giorno oltre i 1000 m di quota, ma anche in prossimità del suolo nelle ore notturne e nelle giornate nuvolose o piovose del semestre freddo. In condizioni di inversione termica (Figura 3.8), il raffreddamento del suolo tende a cedere gradualmente calore ai primi 100500 m di atmosfera dove la temperatura tende a crescere con la quota (si inverte il gradiente termico). In tali condizioni è massima la differenza di temperatura tra l’aria in ascesa o in discesa e l’ambiente subadiabatico circostante: esso rappresenta lo stato atmosferico che maggiormente impedisce il rimescolamento dello strato inferiore con quello superiore, e gli inquinanti, oltre a calore, vapor d’acqua e umidità tendono quindi a ristagnare al suolo. Le inversioni termiche da irraggiamento si originano in presenza di cielo sereno e ventilazione debole; in Val Padana, durante l’estate, lo spessore di tali inversioni è solitamente attorno ai 100-300 m, in inverno attorno ai 400-600 m. In tali condizioni la radiazione solare diurna assorbita dal suolo riesce a rimuovere solo un piccolo spessore (i primi 50-100 m) dell’inversione, dando luogo a una situazione di fumigazione (Figura 3.9) in cui un inquinante emesso, ad esempio, da un camino, incontra dopo una fase di ascesa, uno strato fortemente stabile che ne impedisce l’ulteriore diffusione verticale. Gli inquinanti rimangono quindi intrappolati nello strato iniziale e vengono ridiretti verso terra dai moti turbolenti presenti nello strato inferiore instabile. La fumigazione risulta quindi essere la situazione più critica per l’inquinamento atmosferico. Figura 3.8 Inversione termica al suolo. Figura 3.9 Condizioni di fumigazione. In condizioni di inversione al suolo, ma in presenza di una fonte di inquinanti “elevata” (che immette i fumi al di sopra del livello di stabilità), si hanno delle condizioni dette di “lofting”, in cui gli inquinanti si diffondono senza possibilità di ricadute al suolo (Figura 3.10). Figura 3.10 Condizioni di lofting. Un altro caso abbastanza comune è quello di atmosfera superadiabatica al suolo, che si presenta in estate nelle ore più calde del giorno (Figura 3.11), in cui la particella in ascesa continua a raffreddarsi fino a che la sua temperatura eguaglia quella dell’ambiente circostante, terminando la fase di moto convettivo. Figura 3.11 Moto convettivo di particella in atmosfera inizialmente superadiabatica. Nel caso di aria umida, anzichè al gradiente adiabatico secco di deve far riferimento al gradiente adiabatico umido: per convertire acqua in vapore, l’energia richiesta sotto forma di calore è di 589 calorie per grammo di acqua (a 15oC). Per effettuare la trasformazione inversa (vapore ad acqua), nell’aria viene rilasciato calore. La condensazione dell’acqua contenuta nell’aria apporta quindi a questa grandi quantità di calore, che mitigano il raffreddamento adiabatico che avviene quando la massa d’aria risale. Il gradiente adiabatico umido può variare tra 3.6 e 5,5oC/1000 m, a seconda delle condizioni; quindi mentre una massa d’aria secca con gradiente termico verticale di –4oC/1000 m risulta stabile, nelle stesse condizioni una massa umida potrebbe essere stabile o instabile. La Figura 3.12 mostra il diagramma adiabatico in cui sono illustrate le adiabatiche secche (rette con pendenza di 9.8oC/1000 m) e le adiabatiche umide (curve che si avvicinano alle adiabatiche secche per basse temperature). Figura 3.12 Il diagramma adiabatico. Nella realtà, si possono avere situazioni miste, in cui una massa d’aria secca risale adiabaticamente fino al punto in cui l’umidità contenutavi condensa e forma una nube; da quel punto la massa d’aria risale seguendo la corrispondente adiabatica umida (Figura 3.13). Figura 3.13 Processo di formazione delle nubi cumuliformi. 3.3.1 L’altezza di rimescolamento Lo strato di rimescolamento è definito come lo strato di atmosfera adiacente alla superficie terrestre, all’interno del quale viene disperso verticalmente per turbolenza convettiva un composto, introdotto a livello del suolo, in un tempo pari a circa 1 ora. L’altezza di mescolamento è un parametro importante perchè permette di identificare la porzione di atmosfera interessata dalla diffusione di contaminanti emessi al suolo; un semplice metodo per la stima dell’altezza di miscelamento è dato dall’esame del profilo effettivo di temperatura osservato. Nella Figura 3.14 è tracciato un profilo di temperatura osservato: lo spessore dello strato di rimescolamento è stimato tracciando una linea, con pendenza pari al gradiente adiabatico secco, a partire dalla temperatura misurata (o stimata) al suolo. La temperatura mattutina è assunta uguale alla temperatura minima di + 5oC, la temperatura del pomeriggio è indicata con Tmax; lo strato di miscelamento varia quindi tra un minimo mattutino e un massimo pomeridiano. Figura 3.14 Stima dell’altezza di rimescolamento. 3.4 LA CIRCOLAZIONE PLANETARIA La circolazione globale nell’atmosfera ha come fonte principale di energia l’irraggiamento solare: la costante solare (ovvero la potenza rilasciata dal sole su un’area perpendicolare ai suoi raggi) vale, al di fuori dell’atmosfera, circa 1400W/m2; all’incirca la metà di questo valore arriva direttamente sulla superficie della Terra, e parte viene riflessa verso l’atmosfera. Il riscaldamento è massimo all’equatore e minimo ai poli: le masse d’aria riscaldate tendono a risalire in prossimità dell’equatore per venire rimpiazzate da aria più fredda proveniente dai poli (Figura 3.15), formando celle convettive in ogni emisfero, che trasportano energia verso i poli. A causa della rotazione terrestre, entra in gioco un ulteriore insieme di forze geostrofiche: la ben nota forza di Coriolis, diventa apprezzabile quando i moti fluidi avvengono a grande scala, come in questo caso, e ha come effetto quello di deviare la traiettorie dei fluidi in direzione perpendicolare alla loro velocità, quindi verso destra nell’emisfero Nord, verso sinistra in quello Sud. In questo modo la situazione descritta nella Figura 3.15 si complica per dare origine a uno schema di circolazione globale del tipo illustrato in Figura 3.16. Figura 3.15 Circolazione nord/sud nell’atmosfera. Figura 3.16 Circolazione a celle. Dalla combinazione delle forze in gioco di formano tre fasce principali di venti superficiali per ogni emisfero: ad esempio, nell’emisfero settentrionale, gli alisei - tra l’equatore e i circa 30° di latitudine nord - soffiano da nordest verso sudovest, le correnti occidentali soffiano verso nordest tra i 30° e i 60° di latitudine e le correnti polari soffiano verso est oltre il 60° parallelo. Queste tre celle di circolazione convettiva si trovano nei confini della troposfera, e contribuiscono alla rapida miscelazione del suo contenuto. Le due celle immediatamente a contatto con l’equatore sono spesso dette celle di Hadley. La circolazione sopra descritta rende conto dei fenomeni di inquinamento osservati a scala globale: ad esempio, le piogge acide che vengono originate dagli insediamenti industriali dell’Inghilterra e ricadono sui Paesi Scandinavi. Va fatto notare che i movimenti delle masse d’aria sopra descritti, ancorchè validi a scala planetaria, sono soggetti a variazioni a scala locale dettate da condizioni topografiche e atmosferiche regionali e locali: la situazione locale di variabilità dei venti è meglio descritta dalla cosiddetta rosa dei venti (Figura 3.17), un diagramma che può essere graficamente espresso in diverse forme e che esprime, per un punto geografico dato, la variabilità statistica dei venti in termini di velocità e direzione nel periodo considerato (Figura 3.18). Figura 3.17 La classica “rosa dei venti”. Figura 3.18 La rosa dei venti, nella forma grafica “a cannocchiale” data per l’aeroporto O’Hare di Chicago (USA) nel periodo 1965-1969. 3.5 LA CIRCOLAZIONE SINOTTICA Il movimento delle masse d’aria troposferiche a scala sinottica (che corrisponde all’incirca a un migliaio di km) è responsabile dei cambiamenti del tempo e della qualità dell’aria osservati giornalmente. Le masse d’aria possono assumere caratteristiche particolari quando rimangono per un tempo sufficiente sopra ambienti terrestri o marini particolari: le masse d ‘aria continentali sono caratterizzate da minor contenuto di umidità e temperatura più estrema (calda o fredda, in funzione della loro provenienza) rispetto alle masse d’aria oceanica che in genere hanno contenuto di umidità prossimo alla saturazione. Muovendosi, una massa d’aria genera un fronte che, a contatto con una massa d’aria di diverse caratteristiche, può dar luogo a fenomeni specifici: quando una massa d’aria calda in moto viene a contatto con una massa d’aria fredda (Figura 3.19), essa tende a risalire sopra di essa (fronte caldo). In tali condizioni, il raffreddamento adiabatico che ne segue fa condensare l’umidità presente con la formazione di nubi ed eventualmente di precipitazione. Figura 3.19 Fronte caldo. Quando una massa di aria fredda raggiunge una massa di aria calda, essa tende a “infilarsi” al di sotto di questa (fronte freddo); anche in questo caso si ha la formazione di nubi (cumulonembi) e precipitazione (Figura 3.20). Solitamente un fronte freddo si muove più velocemente di un fronte caldo. Figura 3.20 Fronte freddo. Quando un fronte freddo incontra un fronte caldo si ha il cosiddetto fronte occluso con intrappolamento di aria calda nel mezzo (Figura 3.21) Figura 3.21 Fronte occluso. Oltre che dal movimento delle masse d’aria, alcuni aspetti dei fenomeni a scala sinottica possono essere spiegati dall’esistenza di cicloni e anticicloni, vortici atmosferici dell’ampiezza di centinaia di km. Oltre a contribuire alla miscelazione a scala troposferica, essi dominano l’andamento dei venti e del tempo a scala regionale. Un ciclone è un vortice il cui verso di rotazione è il medesimo dell’emisfero in cui agisce, mentre l’anticlone ruota in senso opposto. Su questi vortici agiscono quattro forze principali: il gradiente di pressione, la forza di Coriolis, l’attrito e la forza centrifuga (Figure 3.22 e 3.23). In molti cicloni, la forza di Coriolis è maggiore della forza centrifuga, tuttavia, essendo questa proporzionale a v2 (mentre la forza di Coriolis è proporzionale a v), all’aumentare della velocità o delle dimensioni del ciclone questa diventa molto maggiore della prima. In un uragano (violento ciclone tropicale, generalmente sopra un oceano), la forza centrifuga è quindi molto maggiore di quella di Coriolis, e in un tornado (piccolo ciclone localizzato sulla terraferma) con venti più intensi di un uragano, la forza di Coriolis è trascurabile. La zona centrale del ciclone (occhio) è un’area a bassa pressione; le forze di attrito che agiscono in prossimità del suolo rallentano la velocità dell’aria, e con essa le forze dirette esternamente; l’aria viene quindi risucchiata dal gradiente di pressione verso il centro del ciclone e, per ragioni di bilancio di massa, si dirige verso l’alto al centro dello stesso (Figura 3.22). Se l’aria è umida, l’acqua al suo interno condensa formando nubi e rilasciando energia, che va ad aumentare l’energia cinetica del ciclone che di conseguenza si intensifica, arrivando a formare un uragano. In un anticiclone (Figura 3.23), che ha una zona di alta pressione al centro, la forza di Coriolis è diretta all’interno; l’attrito in prossimità del suolo riduce la velocità (e quindi la forza di Coriolis), permettendo all’aria di muoversi secondo il gradiente di pressione, dal centro della formazione verso l’esterno. Per la legge di conservazione della massa, l’aria deve quindi scendere dagli strati più alti della troposfera riscaldandosi adiabaticamente nel mentre: gli anticicloni sono quindi associati a bel tempo e assenza di nuvolosità, anche se possono dar luogo a fenomeni di inversione, causando l’aumento delle concentrazioni di inquinanti in prossimità del suolo. Figura 3.22 Ciclone. Figura 3.23 Anticiclone. I sistemi meteorologici (Figura 3.24) sono dominati da una stretta relazione tra fronti e cicloni (e anticicloni), con relazioni spaziali che spesso sono tutt’altro che casuali: i cicloni alle medie latitudini possono essere formati dall’attrito che si verifica tra due masse d’aria che si muovono parallelamente l’una con l’altra (Figura 3.25). Figura 3.24 Carta meteorologica. Figura 3.25 Formazione di ciclone per attrito tra masse d’aria. 3.6 EFFETTI LOCALI A livello locale, variazioni del regime dei venti (campo di vento) possono essere indotte dalla presenza di particolari caratteristiche topografiche o costitutive del terreno. Tra i principali fenomeni locali si possono elencare: il terreno complesso, i venti di valle, le brezze di mare, l’effetto barriera, l’isola di calore urbana e l’effetto canyon urbano. 3.6.1 Il terreno complesso La presenza di una collina isolata può indurre modifiche del campo di vento in quanto, comportandosi come un ostacolo, produce interazioni di tipo meccanico con il campo di vento (Figura 3.26). Un terreno complesso è definito come un sistema di creste e valli con quote e orientamenti generici. In questi casi i flussi di vento si incanalano lungo le valli e possono dare origine a comportamenti assai diversi rispetto alle zone pianeggianti circostanti. Figura 3.26 Effetto di un ostacolo sulla diffusione di un pennacchio. 3.6.2 I venti di valle L’effetto del terreno complesso può essere amplificato da fenomeni di origine termica dovuti all’irraggiamento differenziato dei pendii in diversi istanti della giornata (Figura 3.27). Si consideri una valle in assenza di altre funzioni forzanti a livello sinottico (calma di vento). Durante il giorno l’aria nella valle si scalda maggiormente rispetto alla pianura (maggior superficie irradiata per unità di volume, riflessione del calore sui versanti), per cui si forma un flusso d’aria canalizzato dalla pianura lungo la valle e, all’interno di questa, dei venti di pendio dovuti alla differenza di irraggiamento dei pendii rispetto al fondovalle. Di notte, l’aria nella valle si raffredda più rapidamente rispetto alla pianura, per cui la direzione del vento si inverte e i venti di pendio riportano l’aria verso il centro della valle. Figura 3.27 Il fenomeno del vento di valle. 3.6.3 Le brezze di mare Questo fenomeno è indotto dalle diverse caratteristiche termiche dell’acqua e del terreno: in assenza di altri venti e in presenza di irraggiamento solare, durante il giorno la superficie del terreno si calda più velocemente della massa d’acqua, cedendo maggiori quantità di calore all’aria sovrastante, che risale verso l’alto richiamando per compensazione un flusso dal mare verso la terra in prossimità della superficie (Figura 3.28). Dopo il tramonto, la massa d’acqua, con maggiore capacità termica, cede il suo calore all’aria sovrastante richiamando un flusso dalla terra ormai raffreddata. Oltre che sulle linee costiere, questo fenomeno può generarsi sui laghi. Figura 3.28 Brezza di mare. 3.6.4 Effetto barriera È la situazione tipica delle aree del nordovest degli Stati Uniti, dovuta alla presenza della catena delle Montagne Rocciose: nello Stato di Washington, l’area costiera ha una delle piovosità annuali maggiori del mondo (oltre 2 m/anno), mentre le zone interne dello stato, a est delle montagne, hanno clima semidesertico. In questo caso, per la presenza di una catena montuosa sufficientemente elevata in prossimità della costa (Figura 3.29), l’aria umida proveniente dall’oceano viene forzata verso l’alto, raffreddandosi adiabaticamente mentre sale fino a formare, una volta raggiunto il punto di condensazione, delle nubi. La massa d’aria continua quindi a salire raffreddandosi con un gradiente adiabatico umido, perdendo nel frattempo, per precipitazione, gran parte del suo contenuto di umidità. Raggiunta la cresta della catena montuosa, discende sul versante opposto, scaldandosi seguendo il gradiente adiabatico secco; il risultato è un clima secco con la quasi totale assenza di precipitazione in queste zone. Figura 3.29 Effetto di una barriera montuosa. 3.6.5 L’Isola di calore urbana L’isola di calore è un fenomeno tipico delle grandi aree urbane (Figura 3.30), dovuto al maggior riscaldamento differenziale delle superfici urbane rispetto alle superfici rurali. Tale fenomeno è dovuto alle caratteristiche dei materiali presenti in città (asfalto, cemento) a maggior calore specifico del terreno naturale, e che quindi trattengono più a lungo l’energia termica solare, e al maggiore input di calore dovuto alle attività antropiche (riscaldamento e condizionamento, traffico, industrie). In tali condizioni si sviluppa una cappa d’aria calda che trattiene tutte le immissioni, con continuo rimescolamento e accumulo di inquinanti al suo interno. L’estensione e gli effetti di questo fenomeno dipendono dalle caratteristiche dell’area urbana, e dalla stagione; non è raro osservare, in aree urbane, temperature maggiori, rispetto alle zone rurali circostanti, di 3-4 gradi, sia durante la stagione invernale che in quella estiva. Il massimo spessore della cappa corrisponde alle zone più densamente edificate. In condizioni di vento, la cappa può essere spostata sottovento, dando origine a un pennacchio urbano (Figura 3.31). Figura 3.30 Isola di calore. Figura 3.31 Pennacchio urbano. Una conseguenza dell’isola di calore, in presenza di fronti freddi, può essere un aumento delle precipitazioni nelle aree urbane o suburbane. 3.6.6 L’effetto canyon urbano L’effetto canyon si verifica in presenza di strade relativamente strette circondate da edifici relativamente alti (Figura 3.32): questa situazione può provocare modifiche della circolazione locale. Se il vento soffia trasversalmente all’asse della strada, la cavità formata dai profili dei palazzi favorisce lo sviluppo di turbolenze locali che possono condurre all’accumulo di inquinanti nelle zone sopravvento. Figura 3.32 Effetto canyon urbano.