Moto nei fluidi - Dipartimento di Fisica

Capitolo 4
Moto nei fluidi
4.1 Descrizione del moto di un fluido
Il nostro programma di studio delle leggi del moto dei corpi si è sviluppato
prendendo in considerazione situazioni via via più complicate a partire dal
modello super-semplificato che identifica un corpo con un punto materiale.
Abbiamo visto che questo modello si applica a tutti i corpi che sono animati
di moto puramente traslatorio ovvero a movimenti nei quali tutte le parti
del corpo eseguono lo stesso spostamento ed il corpo si sposta traslando
nello spazio. In questo caso il corpo stesso può essere identificato con un suo
punto e, di norma, si sceglie il centro di massa come il punto rappresentativo
di tutto il corpo.
Abbiamo poi considerato corpi di natura molto particolare, come i corpi rigidi che conservano la forma geometrica durante il moto ed abbiamo
osservato che il loro movimento può essere descritto dalla combinazione di
traslazioni e rotazioni. Ci siamo limitati al caso di rotazioni attorno ad un
asse fisso ed abbiamo concluso che anche il moto di rotazione può essere considerato come un moto globale del corpo stesso, caratterizzato dalla velocità
angolare e dal momento di inerzia. Stavolta le diverse parti del corpo compiono spostamenti diversi nello stesso tempo e le parti più lontane dall’asse
di rotazione hanno velocità maggiori.
Ad un dato istante del moto di rotazione del corpo rigido si può considerare ogni punto del corpo come animato da una velocità diversa. Usando
il linguaggio che abbiamo imparato ad usare descrivendo i campi di forza,
possiamo considerare il corpo come sede di un campo di velocità ossia per
ogni punto P del corpo, individuato ad esempio da assi cartesiani, possiamo
considerare la sua velocità all’istante t che risulta essere una funzione della
posizione del punto P (ogni punto ha una velocità) e del tempo (al passare
del tempo la velocità del punto può cambiare):
~v (P, t) = ~v (x, y, z, t)
1
2
Il fatto che il corpo sia rigido pone dei vincoli delle condizioni alla velocità
dei vari punti. In particolare noi ci siamo occupati delle rotazioni piane per
le quali tutti i punti di un corpo (per fissare le idee il lettore può pensare ad
una giostra che gira introno al proprio asse) hanno diverse velocità (un punto
della giostra ha velocità oposta a quella del punto ad esso diametralmente
opposto, punti pi‘u lontani dall’ase hanno velocità più grande di quelli vicino
all’asse etc.) ma la rigidità porta a relazioni relativamente semplici. Ad
esempio, per la rotazione piana possiamo considerare i punti come animati
dalla stessa velocità angolare ω
si può considerare che tutti i punti hanno la stessa velocità angolare ω
e, pertanto la velocità di un punto è, sempre tangenziale e il suo modulo è
proporzionale alla distanza r dall’asse di rotazione:
v = ωr
Per un fluido come un gas o un liquido il mantenimento della forma non
è una condizione necessaria. La forma del fluido può modificarsi durante
il moto e questo si traduce nel fatto che se avessi una fotografia in cui
compaiono le velocità dei punti del fluido non trovo necessariamente delle
relazioni fisse tra i vari punti. In generale il moto del fluido è quindi molto
complicato. Per conoscere come varia ogni sua parte e quindi come cambia
la sua forma devo conoscere le forze che si manifestano internamente al fluido
tra le diverse parti.
Anche nel caso dei fluidi inizieremo a trattare i moti più semplici, ad
esempio quelli in cui la velocità di ogni punto del fluido rimane la stessa
al trascorrere del tempo. La velocità può dunque dipendere dalla posizione
all’interno del fluido, ma per un dato punto essa si mantiene costante:
~v (P, t) = ~v (x, y, z)
Un moto di questo tipo è detto stazionario.
La descrizione del moto stazionario di un fluido si fa dando la velocità
che si misura in ogni punto del corpo. Il lettore ha imparato a chiamare
questa descrizione un campo vettoriale delle velocità. La meccanica
dei fluidi si propone di conoscere il campo di velocità di un fluido quando
questo è soggetto alle forze esercitate dai corpi con esso in contatto e le forze a distanza (gravitazionali o elettromagnetiche almeno in prima istanza).
Questo programma è estremamente complesso e non esistono metodi che
permettono di portarlo a compimento in tutti i casi. Spesso ci si deve accontentare di soluzioni approssimate analitiche o numeriche. In alcuni casi
ideali soggetti ad ipotesi semplificatorie, ma che sono modelli abbastanza
fedeli del comportamento dei fluidi reali è possibile ricavare delle leggi che
forniscono utili informazioni sul moto di un fluido.
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3
4.1.1 Risposta di un fluido agli sforzi
Trattando l’effetto delle forze sui corpi non perfettamente rigidi abbiamo
considerato l’effetto che uno sforzo esterno provoca sulla forma di una sbarra.
In particolare abbiamo trattato il caso di uno sforzo applicato ortogonalmente alla base della sbarra, sia in compressione che in trazione. Abbiamo anche
visto che per materiali solidi ordinari la risposta che il materiale mostra a
questi sforzi normali è piuttosto piccola anche per forze macroscopiche.
Una situazione analoga si ha per i liquidi come l’acqua. Torneremo sul
concetto di compressibilità di un fluido quando tratteremo le leggi dei gas,
tuttavia può essere interessante considerare una situazione analoga a quella
della sbarra solida a cui viene applicato uno sforzo di compressione. Pensiamo ad un cilindro di lunghezza L e sezione S dotato di un pistone mobile
al quale è possibile applicare dall’esterno una forza F di compressione. Si
può anche in questo caso considerare il rapporto tra lo sforzo di compressione σ = F/S e la variazione relativa di lunghezza1 = ∆L/L Il rapporto tra queste quantità può essere chiamato, in analogia con il modulo di
Young, modulo di compressibilità del liquido. Per l’acqua esso è dell’ordine
di 1 GPa e pertanto si può considerare l’acqua con buona approssimazione
incompressibile.
Per caratterizzare un mezzo come un fluido dal punto di vista meccanico è utile considerare in continuità con quello che abbiamo fatto degli
sforzi normali, una seconda modalità di deformazione di un materiale solido: applicare una forza parallelamente ad una superficie, ossia esercitare
uno sforzo di taglio2 .
1
Si noti che se il cilindro è idealmente indeformabile la variazione relativa di lunghezza
è uguale alla variazione relativa di volume che è in genere la grandezza che si considera
per i fluidi.
2
In inglese questo prende il nome di shear stress.
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4
In questo caso si ha nel materiale uno scorrimento dei piani molecolari
l’uno rispetto all’altro Con riferimento alla figura anche in questo caso è
possibile definire uno sforzo (tangenziale) σt ed una deformazione relativa
t per scorrimento, e per piccole deformazioni (regime elastico) si ha una
relazione di proporzionalità caratterizzata da un secondo modulo di Young
G:
F
δ
; t = ; σt = Gt
S
h
Un fluido ideale è definito come un materiale che non sopporta sforzi
di taglio. Se si applica una forza trasversale ad una superficie nel fluido
questa scorre (si deforma continuativamente) nella direzione di applicazione
dello sforzo tangenziale, per quanto esso sia piccolo.
Quindi la differenza fondamentale tra solidi (deformabili) e liquidi è che
i primi resistono agli sforzi di taglio deformandosi e facendo nascere forze che si oppongono alla sollecitazioni; i secondi, al contrario non offrono
alcuna resistenza allo shear e per quanto questo sia piccolo subiscono un
moto di scorrimento che permane finché è applicato lo sforzo tangenziale.
Questa proprietà implica che in un fluido a riposo (idrostatica) non possano
sussistere forze di taglio.
σt =
4.1.2 Parametri rilevanti nel moto dei fluidi
Trattando dell’equilibrio dei corpi abbiamo brevemente analizzato alcuni
aspetti dell’idrostatica, cioè la legge di Pascal, la legge di Archimede etc.,
vogliamo ora delineare gli aspetti principali dell’idrodinamica, cioè del
moto dei fluidi.
Anche in questo caso la pretesa di applicare le leggi microscopiche al
problema appare irrealistica, visto il numero di molecole in gioco. Si tratta
allora di capire quali sono i parametri fisici che possono essere usati per
descrivere il moto macroscopico, in analogia a quanto visto, ad esempio,
per le deformazioni dei solidi. Dunque, dobbiamo prima capire i parametri
e dopo formulare le relazioni fra di essi, che logicamente devono essere in
accordo con i principi della dinamica, cioè le leggi di Newton.
Il punto più rilevante nella descrizione di un fluido è l’ipotesi del continuo, cui abbiamo già accennato nell’idrostatica: rinunciamo a seguire una
per una le molecole ed usiamo dei parametri medi, definiti su scala macroscopica, assumendo una continuità per questi parametri. Questa è una filosofia
diversa da quella usata nella descrizione del moto delle particelle. In quel
caso ogni particella aveva delle proprietà fisiche, ad esempio le coordinate,
la velocità etc., e ci si chiedeva come queste cambiassero col tempo, la legge
che regolava questi cambiamenti era la legge di Newton. Qui invece ci si
concentra su un punto di un fluido, o meglio su un piccolo volume ∆V tracciato attorno ad un dato punto, e si fanno delle misure di certe quantità, che
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sono delle medie di quantità microscopiche, ovvero che si calcolano tenendo
conto della struttura particellare della Materia. Ci interesserà sapere come
cambiano queste misure nel tempo, o come variano nello spazio, cambiando
cioè punto.
Per capire di che cosa si tratta in concreto facciamo un elenco delle
grandezze che compariranno nella nostra descrizione:
• densità - Sappiamo bene che gli effetti delle forze su una parte di
fluido dovranno dipendere dalla massa del fluido c’è nel volumetto
∆V intorno ad una data posizione, individuata dalla coordinata3 x.
Misurata la massa di fluido in questo cubetto, il rapporto
ρ=
∆m
∆V
definisce la densità del fluido intorno al punto x.
Come si capisce per un volumetto finito questo rapporto fornisce un
valore medio della densità che in principio potrebbe non essere la
stessa in tutto il volumetto. Il valore trovato corrisponde tanto meglio
alla densità puntuale quanto più il volumetto è piccolo4 . L’ipotesi di
continuità significa che variando x con continuità anche ρ varia con
continuità. Si assume dunque che ρ(x) sia in generale una funzione di
x. Essa è dunque un campo scalare, ossia una grandezza fisica scalare
il cui valore dipende dalla posizione in un certa regione dello spazio.
Nel caso particolare in cui ρ = costante si parla di densità uniforme.
• pressione - Abbiamo già considerato questa grandezza in vari momenti del corso. Essa caratterizza la intensità della forza che il fluido
esercita perpendicolarmente ad una superficie con la quale è in contatto. Ricordiamo che la pressione può variare da punto a punto ed è
quindi anche essa un campo scalare.
• temperatura - Un terzo campo scalare che definisce lo stato macroscopico di un fluido è la temperatura. Su questa grandezza torneremo
diffusamente quando studieremo la Termodinamica.
3
Usiamo qui una sola coordinata per semplicità. In realtà nel caso generale si dovranno
usare per un fluido nello spazio tre coordinate.
4
Questo porta ad una difficoltà, che tratteremo nel seguito del corso, perché se il
volumetto è piccolissimo e le sue dimensioni diventano confrontabili con le distanze intermolecolari, allora l’ipotesi di continuità viene ovviamente meno e la massa del volumetto
viene a dipendere dal numero di molecole individuali che appartengono a ∆V . Questo
numero non è fisso, ma varia continuamente (fluttua) per effetto dell’agitazione molecolare. Bisogna dunque considerare piccolissimi non già volumetti infinitesimi, ma volumetti
che sono piccoli rispetto al dettaglio con cui siamo interessati a conoscere la disomogeneità di un corpo, ma abbastanza grandi da contenere un numero grande di molecole.
Dal momento che queste ultime occupano in un fluido volumeti che sono dell’ordine di
10−30 m3 ci troviamo in una situazione promettente perché nella maggior parte dei casi
siamo interessati a dettagli che sono molti ordini di grandeza più grandi di questo.
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• velocità - Come accennato nella introduzione a questo capitolo, se
siamo interessati al movimento di un fluido sicuramente ci interesserà
sapere in ogni punto del fluido, qual è la velocità. Sottolineiamo che
questa è un vettore e la descrizione della velocità in un fluido richiede
un campo vettoriale. L’equivalente delle linee di campo ossia delle
curve che sono in ogni punto tangenti al campo vettoriale, qui alla
velocità che in ogni punto ha il fluido in moto, si chiamano linee di
flusso.
4.1.3 Fluido stazionario in un condotto
Per semplicità noi tratteremo solo casi di moto stazionario, in cui cioè le
quantità elencate in precedenza non dipendono dal tempo. Se si facesse una
fotografia in cui sono visibili quelle grandezze fisiche, considereremmo stazionario il fluido in cui la fotografia è sempre uguale a sè stessa in qualunque
istante venga scattata. Ad esempio, un fiume che scorre sempre nello stesso
modo può essere descritto come un fluido stazionario.
Una tipica situazione in cui si incontrano fluidi stazionari si ha nello scorrimento di un fluido in un condotto. Come detto il fluido può essere un fiume
nel suo alveo oppure, un caso di maggiore interesse per un biotecnologo, la
circolazione del sangue in un’arteria.
Consideriamo una sezione S del condotto, la massa di fluido che passa
attraverso questa sezione in un tempo ∆t sia ∆m. Il (limite del) rapporto
∆m/∆t è detto portata
∆m
dm
=
(1.1)
∆t→0 ∆t
dt
Dalla definizione è chiaro che l’unità di misura della portata sono i chilogrammi al secondo (kg/s).
Se il movimento è stazionario e non ci sono perdite nel condotto evidentemente il fluido che passa in due diverse sezioni del condotto in un dato
tempo deve essere lo stesso (altrimenti si avrebbe un accumulo di materiale o un suo diradamento nel volume tra le due sezioni, e questo è contro
l’ipotesi di stazionarietà perché cambierebbe, ad esempio, la densità.) La
costanza della portata esprime dunque matematicamente la conservazione
della massa. Se il fluido ha densità uniforme, come capita spesso in un liquido, ∆m = ρ∆V e si può definire una portata volumetrica QV , dividendo
l’equazione precedente per ρ:
Q = lim
∆V
Q
=
∆t→0 ∆t
ρ
QV = lim
(1.2)
QV ha le dimensioni di un volume diviso un tempo e, quindi nel SI si
misura in m3 /s. Per ragioni pratiche, si possono anche usare unità di misura
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non standard. Ad esempio se vogliamo caratterizzare la portata di un vaso
nel sistema circolatorio risulta di uso pratico l’unità litri/min.
Vediamo di legare la portata ai parametri elencati e in prima istanza assumiamo, per semplicità, una velocità costante attraverso una sezione
trasversale della condotta. Questo significa che in tutti i punti della sezione la velocità è la stessa. Il campo di velocità è rappresentato da vettori
uguali in ogni punto della sezione e i vettori sono tutti perpendicolari alla
sezione stessa. In questo caso particolare, in un tempo ∆t il fluido che passa
attraverso la sezione è quello che occupa un volume a monte della sezione
che ha superficie di base S ed altezza pari al tragitto ` percorso dal fluido
nel tempuscolo ∆t ossia, dal momento che il fluido si sposta con velocità v,
` = v∆t
∆V = S` = Sv∆t
e la portata ha la forma
QV = Sv;
Q = ρSv
(1.3)
La costanza della portata nelle varie sezioni implica che il restringimento
di un condotto, ossia la riduzione della sezione S è accompagnato da un
aumento di velocità. Un’altra conseguenza è che se un condotto, ad esempio
un’arteria, si suddivide in più rami, la somma delle portate dei rami a valle
della diramazione deve essere uguale alla portata a monte della biforcazione.
Esercizio svolto: stima nel numero dei capillari
Sappiamo (vedi esercizio più avanti) che la portata Q del sangue nell’aorta
è di circa 5 litri al minuto. Questo è l’apporto di sangue all’intero sistema
circolatorio dato che l’aorta é il vaso primario in cui viene inizialmente spinta
la gittata cardiaca. Altre misure stabiliscono che la velocità del sangue v nei
capillari è di circa 0.33 mm/s, mentre il diametro medio d dei capillari è circa
8 µm. Sulla base di questi dati, vogliamo calcolare, considerando il flusso
del sangue come ideale, una stima approssimativa del numero dei capillari
nel sistema circolatorio.
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8
La risposta al quesito si basa sulla conservazione della massa che nel caso
del fluido si traduce nella costanza della portata. Se all’aorta la portata è Q
a livello dei capillari la somma delle portate vale ancora Q. Per un capillare,
di sezione A la portata è:
π
q = vA = v d2
4
Per N capillari, supposti uguali, la portata totale è la somma delle portate
ossia:
π
N q = N v d2 = Q
4
dove l’ultima uguaglianza esprime appunto la costanza della portata totale.
Quindi, il numero dei capillari è:
N=
4Q
πvd2
Convertiamo tutte le grandezze nel sistema internazionale:
10−3 m3
lt
=5
= 8.33 10−5 m3 /s.
min
60 s
mm
10−3 m
m
v = 0.33
= 0.33
= 3.3 10−4 .
s
s
s
d = 8 µm = 8 10−6 m.
Q=5
ed eseguendo i calcoli:
N=
4 · 8.33 10−5
= 5.02 109
π · 3.3 10−4 · 64 10−12
ossia la stima è di circa cinque miliardi di capillari. Essa deve essere considerata come una valutazione molto grossolana, influenzata dalla semplicità
delle assunzioni fatte. Occorre anche tenere conto che in condizioni di riposo
solo una frazione del totale dei vasi capillari è aperta.
Es.1
Il fiume con la massima portata è il Rio delle Amazzoni, con QV = 290 000 m3 /s. Un
appartamento abbastanza grande ha una cubatura di circa 300m3 . Quanti appartamenti di questa
taglia hanno un volume equivalente a quello che il Rio delle Amazzoni scarica nell’Oceano ogni
secondo?
Es.2
Per l’aorta numeri tipici sono: v = 0.33 m/s; S = πr2 , r = 9 mm. Calcolare la portata
volumetrica dell’aorta ed esprimere il risultato in cm3 /s ed in l/min. Quale volume di sangue passa
in 80 anni di vita attraverso una sezione di aorta? Quanti appartamenti della taglia ipotizzata
nell’esercizio precedente ci si potrebbero riempire?
Es.3
Un tubo flessibile di raggio un centimetro è usato per riempire un secchio di 20 litri in un
minuto. Calcolare, nell’ipotesi di flusso stazionario ed ideale, la velocità dell’acqua nel flessibile.
Se si mette un beccuccio di diametro un centimetro il tempo di riempimento del secchio varia?
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4.2 Fluido perfetto
Come appena visto anche il semplice calcolo della portata di un condotto
richiede la conoscenza di qualche dettaglio sulla distribuzione di velocità
in un fluido, nell’esempio precedente si è assunto v costante sulla sezione
trasversale del condotto. La teoria generale del moto dei fluidi è abbastanza
complicata e una delle complicazioni maggiori è dovuta alle interazioni di
attrito che una parte del fluido esercita su un’altra, tendendo a seconda dei
casi a frenarla o accelerarla (ed essendone a sua volta, accelerata o frenata,
rispettivamente) .
La drastica semplificazione che si può preliminarmente operare è di trascurare questo tipo di forze (dette anche forze viscose). Un fluido in cui
le forze di attrito interno non agiscono si chiama fluido perfetto e nasce,
in certo qual modo, da una procedura di astrazione simile a quella che abbiamo fatto ipotizzando l’esistenza del corpo rigido, come approssimazione
adeguata a descrivere corpi costituiti da certi materiali solidi.
Nel caso dei fluidi l’approssimazione di fluido perfetto è una semplificazione molto spinta che contraddice perfino alcune idee che nascono nell’esperienza quotidiana: ad esempio noi riusciamo a bagnarci le mani mettendole
sotto l’acqua di un rubinetto. Questo avviene perchè si esercita una forza
di attrito fra le mani e l’acqua, che viene frenata e aderisce alla cute. Se
l’acqua fosse un fluido perfetto non ci bagneremmo!
Malgrado questi difetti il modello permette di analizzare, almeno in casi
semplici, alcune caratteristiche generali del moto, in particolare la velocità.
In una tubazione un fluido perfetto non subisce attrito da parte delle pareti,
quindi l’assunzione di velocità costante lungo la sezione trasversale è corretta
e la portata si calcola come visto sopra.
Occorre tuttavia capire come questa velocità che non risente delle forze di
attrito interne al fluido è influenzata da altri fattori dinamici, come la forza
di gravità o la pressione, che sicuramente agiscono su un fluido. Tratteremo il
problema sempre nel caso di moto stazionario, cioè indipendente dal tempo.
Prima di affrontare questo problema abbiamo bisogno di un richiamo ad una
conseguenza molto importante delle leggi di Newton : il teorema delle forze
vive, o teorema dell’energia cinetica.
4.2.1 Teorema dell’energia cinetica (semplificato)
Formuliamo in forma semplificata il teorema dell’energia cinetica, considerando il caso di una particella di massa m e velocità v, soggetta ad una forza
costante. Definiamo energia cinetica di questo corpo la quantità:
1
K = mv 2
2
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(2.4)
10
Se la velocità resta costante, ovviamente l’energia cinetica della particella
resta costante, o come si dice in fisica si conserva nel moto. Se il modulo
della velocità cambia, allora si ha una variazione di energia cinetica. Come
abbiamo visto, la soluzione della equazione di Newton porta alla conoscenza
della legge oraria del moto, ovvero della posizione occupata dal corpo ad ogni
istante di tempo che, nel caso unidimensionale, è espressa dalla funzione x(t)
che ad ogni istante di tempo fa corrispondere la coordinata (rispetto ad una
origine) della posizione occupata in quell’istante dal corpo. La conoscenza
della legge oraria permette subito di calcolare ad ogni istante la velocità,
come derivata della posizione, e, quindi anche la energia cinetica ad ogni
tempo. Ciò che afferma il teorema delle forze vive è che spesso si può
calcolare la variazione di energia cinetica in due momenti del moto, senza
risolvere le equazioni dinamiche e quindi senza ricavare esplicitamente
come la posizione varia nel tempo.
Consideriamo allora, per semplicità, un moto orizzontale lungo l’asse x
e supponiamo che ci sia una forza F (costante), diretta lungo x. Il corpo è
sottoposto ad un’accelerazione a = F/m e sappiamo scrivere come cambiano
nel tempo lo spazio percorso e la velocità:
x(t) = x0 + v0 t +
v(t) = v0 +
1F 2
t
2m
F
t
m
(2.5)
Vogliamo calcolare di quanto è cambiata l’energia cinetica in questo moto, tra due istanti iniziali e finali, indicati con gli indici i e f . La variazione ∆K dell’energia cinetica è, naturalmente, la differenza tra il valore
dell’energia cinetica all’istante finale e il valore all’istante iniziale:
1
1
1
1
∆K = Kf − Ki = mvf2 − mvi2 = m(vf2 − vi2 ) = m(vf − vi )(vf + vi )
2
2
2
2
Nel caso particolare in esame consideriamo come iniziale l’istante a ti = 0
nel quale la velocità iniziale è v0 e la posizione iniziale x0 . L’istante finale
sia al tempo tf = t cosicché possiamo usare le leggi orarie (2.5).
1
1 F
F
∆K = m(v − v0 )(v + v0 ) = m t(2v0 + t)
2
2 m
m
cioè
1
Kf − Ki = F (v0 t + at2 ) = F (x − x0 ) = F s
2
Si è indicato con s lo spostamento s = x − x0 avvenuto tra gli istanti in
cui abbiamo calcolato la variazione di energia cinetica. Il prodotto F s della
forza costante che agisce lungo lo spostamento si chiama lavoro L della
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forza. Esso ha le stesse dimensioni dell’energia cinetica ossia una massa per
una velocità al quadrato. Le sue unità di misura nel sistema internazionale
sono, dunque, kg · m2 /s2 che prendono il nome di Joule (J).
Più in generale, la forza e lo spostamento sono dei vettori: anche una
forza costante può non essere diretta nel verso dello spostamento. Si pensi
in proposito al moto parabolico di un proiettile soggetto alla sola forza di
gravità. Questa è costantemente diretta lungo la verticale verso il basso.
Lo spostamento tra due qualunque istanti del moto ha invece anche una
componente orizzontale e la sua componente verticale può essere diretta
verso il basso o verso l’alto. Il punto importante da tenere a mente è che solo
la componente della forza lungo lo spostamento è rilevante per il calcolo del
lavoro ( o viceversa se ci si concentra sulla direzione della forza, è importante
solo la componente dello spostamento lungo la forza). Quantitativamente
questo si traduce nella definizione di lavoro di una forza costante:
L = F~ · ~s
ossia il lavoro è il prodotto scalare tra il vettore forza e il vettore spostamento. Ricordando la definizione geometrica di prodotto scalare, se θ è l’angolo
tra la forza e lo spostamento:
F~ · ~s = F s cos θ
e si osserva che il lavoro è positivo se l’angolo tra la forza e lo spostamento
è acuto e negativo se è maggiore di 90◦ . Dato che la variazione di energia
cinetica è uguale al lavoro si vede che l’energia cinetica aumenta se il lavoro
è positivo e diminuisce se il lavoro è negativo.
La definizione di lavoro si estende immediatamente anche al caso in cui
la forza non è costante: basta dividere il percorso in tratti sufficientemente
piccoli in cui la forza si può considerare praticamente costante. Su ciascuno
di questi tratti, l’i-simo dei quali indichiamo con d~si , si applica la definizione
data sopra:
dLi = F~i · d~si
e il lavoro totale è la somma dei lavori sui singoli tratti:
X
X
L=
dLi =
F~i · d~si
i
i
La definizione precedente dà un risultato univoco quando la suddivisione della traiettoria avviene con tratti infinitesimi e la somma diventa un integrale.
Ritorneremo piú avanti su questo punto.
La cosa essenziale è che la relazione che abbiamo trovato per il caso della forza costante e diretta come lo spostamento e cioè che la variazione di
energia cinietica è uguale al lavoro della forza è valida in generale e per la risultante di un numerro arbitrario di forze arbitrarie. Questa generalizzazione
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porta a considerare la relazione:
∆K = L
un teorema che prende il nome di teorema dell’energia cinetica:
La variazione di energia cinetica di un corpo è data
dal lavoro effettuato dalle forze sul sistema.
Sottolineiamo che la tesi del teorema ha validità del tutto generale e riguarda
corpi composti da un numero qualunque di particelle interagenti. In questo
caso l’energia cinetica del sistema è la somma delle energie cinetiche delle
particelle che lo costituiscono ed il lavoro è la somma dei lavori compiuti
da tutte le forze (esterne ed interne) che agiscono sulle parti del sistema.
Un caso particolarmente importante si ha quando nel moto di un punto
materiale la forza è opposta allo spostamento, come avviene per le forze
di attrito. In questo caso il lavoro è sempre negativo5 la energia cinetica
diminuisce durante tutto il moto. Le forze con questa caratteristica sono
anche chiamate forze dissipative.
4.2.2 Equazione di Bernoulli
Ora che abbiamo a disposizione il teorema della energia cinetica, possiamo
sfruttarlo per analizzare il moto di un fluido perfetto. Consideriamo il moto
stazionario di un fluido in un tempo ∆t, attraverso un condotto generico
della forma indicata in figura dove il fluido scorre, ad esempio, da sinistra a
destra (quindi anche dall’alto in basso).
Come in tutti i problemi di meccanica, per studiare il moto dobbiamo
fissare il sistema da studiare: nel nostro caso il sistema è costituito dal fluido
contenuto nel tratto indicato in figura compreso tra le superfici S1 ed S2 ,
che delimitano la zona colorata nella prima parte della figura.
Consideriamo ora due istanti di tempo, t, e t + ∆t. La figura può essere
considerata come un’istantanea del moto del fluido ai due istanti considerati.
In un tempo ∆t all’estremità di sinistra, dove il fluido ha la velocità v1 , si
ha l’ingresso del fluido che si sposta di un piccolo tratto v1 ∆t a monte di S1
ed analogamente a quella di destra, si ha l’uscita del fluido che si muove per
un tratto v2 ∆t. Usando la notazione indicata in figura, la massa della parte
colorata del fluido (il nostro sistema) è, ai due istanti considerati
m(t) = mA + mB
m(t + ∆t) = mB + mC
5
Basta applicare la definizione di lavoro come prodotto scalare di forza e spostamento
e osservare che in questo caso i vettori formano un angolo di 180◦
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S1
A
p1
B
S2
p2
v1
h1
B
C
v2
h2
Siccome la massa si deve conservare si ha ovviamente
mC = mA ≡ ∆m
Notiamo che, siccome stiamo studiando un moto stazionario per il fluido, noi
non ci accorgiamo nemmeno di quanto succede fra le due estremità, è come
se un serpente scivolasse, la parte intermedia si muoveva prima e si muove
dopo, semplicemente è come se un pezzetto di coda ora apparisse a valle.
La conservazione della portata, applicata al moto, fornisce (consideriamo ρ
costante)
∆m = ρS1 v1 ∆t = ρS2 v2 ∆t
(2.6)
Consideriamo ora la variazione di energia cinetica. Ai due istanti
Ei = KA + KB ;
Ef = KB + KC
Siccome il moto è stazionario l’energia cinetica del tratto B è la stessa nei
due istanti, quindi la variazione di energia cinetica è:
1
∆K = ∆m(v22 − v12 )
2
Per il teorema dell’energia cinetica questa variazione di energia cinetica
eguaglia il lavoro fatto dalle forze agenti sul sistema. Queste sono: la forza
di gravità e le forze di pressione dovute al resto del fluido (a monte e a valle
di quello disegnato).
Il lavoro fatto dalle varie forze è
∆K = Ef − Ei = KC − KA
⇒
• Forza di gravità : Lg = ∆m g(h1 − h2 ) (lo spostamento in gi, lungo la
forza di gravità, è h1 − h2 .
• Forza di pressione a sinistra : L1 = p1 S1 v1 ∆t (lo spostamento v1 ∆t è
verso destra, lungo la forza p1 S1 ).
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14
• Forza di pressione a destra : L2 = −p2 S2 v2 ∆t (lo spostamento v2 ∆t è
verso destra, opposto alla forza p2 S2 )
Eguagliamo il lavoro totale, somma dei lavori delle singole forze, alla
variazione di energia cinetica:
1
∆m(v22 − v12 ) = ∆m g(h1 − h2 ) + p1 S1 v1 ∆t − p2 S2 v2 ∆t
2
e, utilizzando la (2.6), si trova:
1
ρ(v22 − v12 ) = ρg(h1 − h2 ) + p1 − p2
2
ovvero, portando ai due membri dell’uguaglianza separatamente le quantità
che si riferiscono ai punti 1 e 2 del condotto,:
1
1
p1 + ρgh1 + ρv12 = p2 + ρgh2 + ρv22
2
2
e si trova il teorema di Bernoulli che afferma:
In un fluido perfetto in moto stazionario la quantità
1
p + ρgh + ρv 2
2
è costante lungo una linea di flusso.
Esercizio svolto: idrodinamica di una siringa da iniezione
Es.4
Una siringa ipodermica contiene una medicina che ha la densità ρ = 1 g/cm3 . La canna
della siringa ha una sezione di area A = 2.50 10−5 m2 e l’ago ha una sezione di area a = 10−2 mm2 .
La pressione, in assenza di forza sul pistone è ovunque p0 = 1 atm. Si applica una forza F = 2 N sul
pistone tenendo la siringa in posizione orizzontale. Si vuole calcolare, assumendo flusso stazionario
e non viscoso, la velocità di fuoriuscita dall’ago.
Prendendo un punto di una linea di flusso nel corpo della siringa ed uno della
stessa linea all’ago si può applicare, nelle ipotesi del problema, il teorema di
Bernoulli che per flusso orizzontale si legge:
v12
v2
= p2 + ρ 2
2
2
Il rapporto delle aree A/a è 2500, quindi la velocità v1 nel corpo della siringa,
per la costanza della portata, è 2500 volte più piccola di quella all’ago e può
p1 + ρ
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15
essere trascurata rispetto a quest’ultima. La pressione p1 è la pressione
atmosferica più la pressione F/A dovuta alla forza applicata. Per cui:
p0 +
F
v2
= p0 + ρ 2
A
2
e si ricava v2 :
s
v2 =
2F
=
ρA
r
2·2
= 12.6 m/s
1000 · 2.50 10−5
Esercizio svolto: effetti emodinamici di una stenosi
Consideriamo il sangue un fluido perfetto. In una arteria si viene a determinare una stenosi ossia un restringimento del lume Vogliamo calcolare la
differenza di pressione tra le due parti quando il raggio si restringe di un
fattore 3. La densità del sangue è ρ = 1.05 g/cm3 e la velocità del sangue
nella parte non ostruita vale v1 = 0.5m/s.
Una riduzione del raggio di un fattore α porta ad una riduzione della
sezione, che è proporzionale al quadrato del raggio di un fattore α2 e quindi,
per la costanza della portata volumetrica, ad un aumento della velocità che
è inversamente proporzionale alla sezione, di un fattore 1/α2 . Quindi la
velocità v2 nel secondo tratto aumenta di un fattore 9 rispetto a quella nel
primo tratto v2 = 9 v1 = 4.5m/s.
L’assunzione di mancanza di attrito (fluido perfetto) permette di applicare la formula di Bernoulli. Il tratto di arteria preso in considerazione è
molto breve e trascuriamo la variazione di quota6 per cui scriviamo:
v12
v2
= p2 + ρ 2
2
2
ricordiamo che quando, come in questo caso v2 > v1 ossia la velocità aumenta
occorre che p2 < p1 in modo che il fluido sia soggetto ad una forza netta
verso valle che rende conto dell’aumento di velocità. Quantitativamente:
p1 + ρ
ρ 2 2
ρ
ρ
(v −v ) = (81v12 −v12 ) = 80v12 = 1050·40(0.5)2 = 10500P a
2 2 1
2
2
Il Torricelli (o Torr) è una unità di misura non standard che, tuttavia,
è ancora usata ad esempio per esprimere la pressione arteriosa. Il Torr è
ispirato alla celebre esperienza di Torricelli che misurò l’equilibrio di una
colonna di mercurio soggetta al suo peso ed alla pressione atmosferica esercitata alla base della colonna stessa. L’altezza della colonna dava una misura
della pressione atmosferica (barometro di Torricelli).
∆p = p1 −p2 =
6
Questo giustifica anche di trascurare le eventuali forze di attrito dato che, come
vedremo più avanti, la differenza di pressione dovuta alla viscosità è, a fissa portata,
proporzionale alla lunghezza del vaso.
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16
Si trova che la colonna è alta 760 mm e si dice che la pressione atmosferica
vale 1 atm = 760 mmHg = 760 T orr D’altra parte sappiamo anche che
1 atm = 1.013 105 P a = 760 T orr. Da questa si ricava:
1 T orr =
1
1.013 105 P a = 133.3 P a
760
o, viceversa
1
T orr = 7.5 10−3 T orr
133.3
che è il fattore che ci serve per convertire i Pa in Torr:
1Pa =
10500 P a = 10500 · 7.5 10−3 = 78.8 T orr (mmHg)
La pressione nella zona di riduzione del vaso si è ridotta di quasi 80 Torr.
Questa caduta è una delle ragioni che rende pericolosa la stenosi in quanto il
calo di pressione a valle dell’ostruzione può portare ad una prevalenza della
pressione esterna e ad un collasso del vaso che si chiude. Se questo accade
ad una arteria che irrora il muscolo cardiaco (coronaria) può portare ad un
infarto e alla distruzione di parte del tessuto muscolare cardiaco.
4.3 Fluido newtoniano: viscosità
Il fluido perfetto privo di attriti interni e con i corpi con i quali è in contatto
è una astrazione alquanto drastica. Questo è testimoniato anche dal fatto
che Newton quando applicò le leggi della meccanica al moto dei fluidi si
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
17
rese conto ben presto che avrebbe dovuto tenere conto di queste interazioni e formulò un modello dell’attrito in un fluido che faceva intervenire un
parametro detto viscosità. I fluidi che si avvicinano a questo modello, che
presentiamo nel seguente paragrafo, vengono definiti fluidi newtoniani.
Seguiamo, dunque, il procedimento originale di Newton che è anche un
significativo esempio di come si costruisca un modello macroscopico a partire
dai principi e dagli esperimenti.
Per prima cosa ricordiamo che le forze viscose, come tutte le altre, possono agire solo attraverso la superficie di un volume di fluido. Consideriamo
un fluido immerso fra due piastre (di area S molto grande in modo da eliminare gli effetti di bordo) e distanti h fra loro. Sia x l’asse orizzontale nel
cui verso è diretto il moto e y l’asse verticale, perpendicolare alle piastre.
Nelle considerazioni che seguono la gravità non gioca alcun ruolo e non ne
terremo conto.
Se il fluido è fermo non agisce nessuna forza su di esso lungo l’asse x.
Supponiamo ora di volerlo mettere in moto, tenendo fissa la piastra inferiore
e facendo scorrere a velocità costante la piastra superiore. Sappiamo per
esperienza che se facciamo scivolare una mano appoggiata alla superficie
libera di un recipiente, il fluido in esso contenuto in effetti si muove. Questo
implica che la forza che noi applichiamo alla piastra si trasmette al fluido,
e questo è appunto un effetto dell’attrito, il fluido aderisce alla piastra e
viene trascinato nel moto. D’altra parte, il fluido a contatto con la piastra
inferiore aderisce a quest’ultima, e quindi resta fermo se questa non si muove.
La velocità del fluido deve quindi variare lungo l’asse y. Nella figura questa
variazione è rappresentata con i vettori che rappresentano la velocità e la
cui lunghezza diminuisce andando dalla piastra superiore a quella inferiore.
L’esperienza (ed il buonsenso visto che si tratta di attrito) indica che
è necessario mantenere una forza F affinché la situazione descritta continui, cioè il fluido e la piastra continuino a muoversi, con velocità costante.
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
18
Consideriamo il moto a regime stazionario in cui le velocità del fluido e delle piastre non cambiano e analizziamo la situazione alla luce dei principi
fondamentali della dinamica.
• Per la stazionarietà del moto, il sistema totale fluido + piastre ha
un impulso costante, quindi la forza esterna totale sul sistema deve
essere nulla, cioè per mantenere ferma la piastra inferiore deve essere
applicata una forza contraria a quella applicata alla faccia superiore.
Se chiamiamo F la componente della forza applicata alla piastra di
sopra nel verso del suo spostamento la componente della forza sulla
piastra di sotto è −F . Questo naturalmente può essere verificato anche
sperimentalmente.
• Se consideriamo la sola piastra superiore questa si muove con velocità
costante. Dunque, per il secondo principio, la somma delle forze su di
essa deve essere nulla. Allora il fluido deve esercitare su di essa una
forza −F contraria a quella che noi stiamo applicando.
• Per il terzo principio la forza che la piastra superiore esercita sul fluido
deve essere opposta a quella che il fluido esercita sulla piastra, cioè
−(−F ) = +F , cioè la piastra trasmette al fluido la stessa forza che
stiamo applicando noi dall’esterno. Considerazioni analoghe valgono
per la piastra inferiore.
In linea generale questo quadro è lo stesso qualunque sia il fluido che si
trova tra le due piastre. L’esperienza ci dice però che la forza che dobbiamo
applicare è diversa a seconda del fluido. Se pensiamo di muovere la piastra
superiore a contatto con un gas oppure con un fluido come il miele ci aspettiamo che la forza che dobbiamo applicare sia diversa. Inoltre ci aspettiamo
anche che all’aumentare della superficie di contatto tra la piastra ed il fluido la forza aumenti e che se la velocità della piastra in moto è maggiore
si richieda una forza maggiore. Per trovare il modello corretto che dia una
espressione attendibile della dipendenza della forza da questi parametri si
può ricorrere all’esperimento e misurare la forza necessaria per diversi valori
dei parametri cercando di inferire la dipendenza. Questo è stato fatto e si
è trovato che la forza è direttamente proporzionale alla superficie della piastra e alla differenza di velocità7 tra la piastra superiore e quella inferiore.
Inoltre la forza è inversamente proporzionale alla distanza tra le piastre. In
formule:
7
Il fatto che la forza dipenda solo dalla differenza delle velocità è una conseguenza del
primo principio della dinamica. In effetti la velocità della piastra superiore dipende dal
sistema di riferimento in cui osserviamo il fenomeno, mentre la differenza di velocità tra
le due piastre no. Dato che la forza deve essere la stessa in due sistemi che si muovono relativamente l’uno rispetto all’altro con una velocità costante questa dipendenza è
necessaria.
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19
(v2 − v1 )
(3.7)
h
La costante di proporzionalità η tiene conto delle proprietà del fluido
specifico ed è detta viscosità e, come discende dalla (3.7) ha unità di misura
[η] = P a·s = N s/m2 , indicato anche con PI (Poiseuille). Un’unità di misura
spesso usata è il poise, che vale
F = ηS
1 poise = 0.1 Ns.m2 = PI/10
Il coefficiente η dipende spesso fortemente dalla temperatura, alcuni valori
di η sono riportati sotto per referenza.
(0◦ )
olio da motore
olio da motore (20◦ )
aria (0◦ )
acqua (0◦ )
acqua (90◦ )
sangue (37◦ )
viscosità (N s/m2 )
0.11
0.03
1.8 10−5
1.0 10−3
0.32 10−3
4.0 10−3
La relazione (3.7) può ora essere applicata ad uno strato piccolo di fluido
di spessore infinitesimo dy e superfici di base di coordinate y e y + dy (vedi
figura).
Al di sopra ed al di sotto dello strato in questione scorrono gli strati adiacenti con velocità che differiscono della quantità infinitesima dvx =
vx (y + dy) − vx (y). Essi svolgono la funzione delle piastre nello schema
che abbiamo usato all’inizio. Dunque, il modulo della forza per unità di
superficie nella direzione del moto vale dunque:
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20
Fx
dvx
=η
S
dy
(3.8)
Esso è dunque proporzionale al gradiente lungo y della velocità vx . Il
gradiente ha lo stesso segno in tutti i punti. Per tenere conto del verso
opposto della forza sulle superfici inferiore e superiore dello strato di fluido,
occorre usare una regola. Sulla superficie in cui il verso positivo dell’asse
y è uscente (superficie superiore nella figura) la forza ha il segno positivo.
Sulla superficie in cui l’asse y è entrante la forza ha verso opposto. Quindi
per il caso della figura si ha la situazione che ci aspettiamo: sulla superficie
superiore la forza (indicata in figura con f2 ) esercitata dallo strato del fluido
che si trova sopra e che viaggia più velocemente tende a trascinare in avanti
lo straterello. Al contrario, sulla superficie inferiore il fluido sottostante è
più lento e tende a frenare il moto applicando una forza negativa (indicata
in figura con f1 ).
Dato che lo strato di fluido si muove di velocità costante occorre che le
due forze abbiano uguale modulo. Quest’ultimo è, come detto, proporzionale
alla derivata lungo y della velocità che deve, dunque essere costante. Dalla
(3.8), risolvendo rispetto alla derivata:
dvx
F
=
dy
ηS
che è una equazione di primo ordine in cui la derivata della funzione incognita
è costante che ha per soluzione:
vx (y) =
F
y+c
ηS
e la costante arbitraria si determina dalla conoscenza della velocità sulla
piastra inferiore (y = 0). Essendo questa nulla si trova:
vx (y) =
F
y
ηS
La velocità cresce linearmente dalla piastra inferiore a quella superiore. Questa situazione è rappresentata dalle frecce della prima figura le cui lunghezze
crescono proporzionalmente alla quota sopra la origine.
4.3.1 Moto in un condotto circolare
La situazione descritta sopra di uno strato rettangolare di fluido è importante per ragioni didattiche, ma il caso di gran lunga più rilevante nelle
applicazioni pratiche delle considerazioni precedenti è quella del moto di un
fluido viscoso in un condotto di sezione circolare, ad esempio una conduttura
d’acqua, un vaso sanguigno etc.
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21
Un fluido perfetto può scorrere a velocità costante in un condotto, mentre
è ben noto dall’esperienza che è necessario un gradiente di pressione per
muovere un fluido reale, per vincere gli attriti.
Consideriamo dunque, un tubo di raggio a, con asse lungo x che contiene
un fluido omogeneo di viscosità η, in moto stazionario con il campo di velocità parallelo all’asse del tubo. Ci aspettiamo che la velocità dipenda dalla
distanza dalle pareti che in questo caso sono fisse. Per trovare la funzione
v(r), consideriamo un piccolo cilindro di fluido di raggio r e lunghezza dx
(vedi figura).
Applichiamo i principi della meccanica al cilindro. Su di esso agiscono
due tipi di forze, la forza d’attrito che ha modulo proporzionale al gradiente
di velocità (derivata) in direzione trasversale al moto, esercitata sulla superficie laterale di area Alat = 2πr dx, e la differenza di pressione esercitata
sulle due facce circolari di superficie Abase = πr2 . Se il moto è stazionario
la somma delle forze deve essere nulla, quindi:
η
dv
Alat + p(x)Abase − p(x + dx)Abase = 0
dr
Sostituendo le espressioni per le superfici e isolando al primo membro la
derivata della velocità si trova:
dv
1 p(x + dx) − p(x)
1 dp
=
r=
r
dr
2η
dx
2η dx
Facciamo ora l’assunzione che il flusso stazionario riguardi un condotto
sufficientemente lungo e lontano da transizioni di sezione che il profilo di
velocità v(r) non dipenda da x. Dalla equazione precedente risulta che anche
dp/dx non dipende da x ed è quindi costante nella direzione del flusso. Con
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
22
questa osservazione, che è ben verificata sperimentalmente, la equazione
differenziale diventa:
dv
1 dp
=
r = kr
dr
2η dx
che ha come soluzione generale:
v(r) =
1 dp 2
k 2
r +c=
r +c
2
4η dx
e la costante arbitraria c si determina imponendo che sulla superficie interna
del condotto il fluido sia fermo:
v(a) =
1 dp 2
a +c=0
4η dx
⇒
c=−
1 dp 2
a
4η dx
e, infine:
v(r) =
1 dp 2
(r − a2 )
4η dx
Il termine tra parentesi è negativo (a > r) per cui la condizione per cui la
velocità è positiva, ossia diretta nel verso delle x positive è che il gradiente
di pressione sia negativo, ovvero diminuisca da monte a valle. Dal momento
che la derivata è costante questa si può calcolare su un tratto di condotto L
facendo il rapporto tra la differenza di pressione (in modulo) alle estremità
e la lunghezza del tratto:
dp
∆p
=−
dx
L
⇒
v(r) =
1 ∆p 2
(a − r2 )
4η L
La velocità è massima al centro del condotto e diminuisce quadraticamente
fino ad annullarsi sulla parete del condotto. Il profilo si chiama ovviamente
parabolico, la velocità massima si trova ponendo r = 0:
vmax =
1 ∆p 2
a
4η L
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23
Se indichiamo con p1 e p2 le pressioni a monte ed a valle del condotto di
lunghezza L la relazione precedente mette in relazione la caduta di pressione
con la velocità al centro del flusso:
p1 − p2 =
4ηL
vmax
a2
Portata in un fluido reale: formula di Poiseuille
In pratica siamo spesso interessati a calcolare la quantità di fluido, ovvero
la portata, che attraversa un condotto quando alle estremità del condotto
si stabilisce, ad esempio con una pompa, una differenza di pressione ∆p.
La velocità varia nei diversi punti della sezione e, quindi, non possiamo
usare la semplice definizione (1.3), valida per velocità uniforme sulla sezione
S. Possiamo però usarla suddividendo la sezione circolare del condotto in
elementi di area dS su ciascuno dei quali la velocità è costante. Essendo la
velocità una funzione del raggio v = v(r) si può prendere una corona circolare
compresa tra i raggi r e r + dr la cui area è8 dS = 2π rdr. Su questa corona
circolare la velocità è costante ed il suo contributo alla portata volumetrica
è:
dQV = ρv(r)dS =
1 ∆p 2
(a − r2 ) 2π rdr
4η L
8
(3.9)
Basta fare la differenza tra i due cerchi di raggio r + dr ed r e trascurare il termine
(dr)2 .
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24
Per trovare la portata totale occorre sommare su tutte le corone circolari
a partire da r = 0 fino ad r = a. Questa somma di quantità infinitesime
prende il nome di integrale e torneremo più avanti sulla sua definizione. Qui
di seguito diamo alcune istruzioni pratiche per il calcolo dell’integrale che,
valgono in generale ma che noi useremo quando l’espressione da sommare è
relativamente semplice.
Richiamo: formula fondamentale del calcolo integrale
Supponiamo di avere scritto una quantità infinitesima che dipende da una variabile x nella forma:
dI = f (x)dx
e di volere sommare tutte queste quantità quando x varia da un
valore x = a, detto estremo inferiore dell’integrale e x = b, detto
estremo superiore. Tale somma si indica con la scrittura:
Z
b
f (x)dx
a
ed il suo valore è detto (somma) integrale di f(x) tra a e
b. La interpretazione geometrica di questa operazione è molto
importante e può essere facilmente compresa esaminando il grafico della funzione f (x). Ad esempio consideriamo una funzione
lineare come nella figura. La quantità f (x)dx equivale al rettangolo di base dx ed altezza uguale al valore della funzione in x.
La somma di tutte le quantità approssima l’area sottostante il
grafico di f (x) nell’intervallo di integrazione [a, b].
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
25
Ora risulta che per calcolare il suo valore basta conoscere una
funzione F (x) la cui derivata dia f (x). F (x) è chiamata funzione primitiva di f (x). Se conosciamo una primitiva di f (x)
allora vale la formula fondamentale del calcolo integrale:
I = F (b) − F (a)
ovvero il valore dell’integrale, e dell’area sotto il grafico, coincide
con la differenza del valore della primitiva calcolata nell’estremo
superiore meno il valore della primitiva calcolato nell’estremo
inferiore.
Torniamo alla somma delle portate infinitesime espresse dalla (3.9). Si
tratta di eseguire l’integrale:
Z a
Q=
f (r)dr
0
con
f (r) =
π ∆p 2
(a r − r3 )
2η L
Lasciamo al lettore di verificare (basta fare la derivata) che
F (r) =
π ∆p 2 r2 r4
(a
− )
2η L
2
4
è una primitiva di f (r) e di applicare la formula fondamentale del calcolo
integrale per trovare finalmente la formula di Poiseuille:
QV = F (a) − F (0) =
πa4
∆p
8ηL
(3.10)
La formula di Poiseuille permette di calcolare, note la lunghezza e il raggio del condotto e la viscosità del fluido, la portata di un condotto in funzione
del gradiente di pressione, o viceversa il gradiente di pressione necessario a
sostenere una data portata.
Esercizio svolto: portata di un arteriola
L’arteriola è un vaso di piccolo lume che sta, nella gerarchia dei vasi, tra le
arterie ed i capillari. Il suo diametro tipico è di 0.1 mm. Si vuole mostrare
che una riduzione del diametro a 0.08 mm, ossia una riduzione del 20 %
porta ad una riduzione della portata, a parità di differenza di pressione ∆p
agli estremi, di oltre il 50 %.
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
26
Sin tratta di una semplice e diretta applicazione della formula di Poiseuille. Nel problema, le portate della arteriola nei due casi (raggio R1 e
raggio R2 ) sono note essendo gli altri parametri fissi:
Q1 =
∆pπR14
8ηL
Q2 =
∆pπR24
8ηL
da cui si ricava il rapporto:
Q2
R4
= 24 =
Q1
R1
0.04
0.05
4
= 0.41
ossia la portata si è ridotta al 40 % di quella iniziale. Si osservi che dovendo fare il rapporto tra due grandezze omogenee (i due raggi) esse possono
espresse in unità qualunque purché le stesse. Qui si è scelto di esprimere i
raggi in mm, dimezzando i diametri dati.
Es.5
Con i dati dell’esercizio svolto, quale riduzione percentuale del diametro iniziale dell’arte-
riola porterebbe ad una riduzione della portata del 90% ?
Spesso in Fisiologia la formula di Poiseuille viene scritta in una forma
simile alla legge di Ohm e, in quanto tale, si può applicare anche a condotti
non circolari:
∆p
(3.11)
R
R si chiama resistenza del condotto9 , ∆p fa le veci della differenza di potenziale e Q quelle della corrente elettrica. In campo fisiologico la (3.11)) si
chiama legge di Darcy. Come abbiamo visto, per un condotto circolare di
lunghezza L
8ηL
R=
πa4
Per un condotto di forma generica è possibile misurare la resistenza in modo
analogo a quanto si farebbe per la misura delle resistenza elettrica. Si applica
QV =
9
Il suo inverso viene anche detto conduttanza.
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
27
una differenza di pressione nota e si misura la portata indotta. Il rapporto
tra le due quantità dà il valore delle resistenza che può essere utilizzato per
prevedere una delle due grandezze in una situazione differente.
La formula di Poiseuille appare molto potente. Dalla conoscenza dei
parametri macroscopici appare possibile calcolare le caratteristiche del flusso
di un fluido generico attraverso un condotto. Tuttavia, come avviene sempre
per le formule derivate dalle leggi fisiche occorre tenere conto delle assunzioni
che sono state fatte per ricavarle. Queste assunzioni ci dicono una cosa
molto importante, ossia che quando esse non sono verificate il modello è
inadeguato e va utilizzato con cautela. In altre parole, questa analisi ci
induce a vagliare i limiti del modello. Il modello di moto viscoso fin qui
esposto presuppone di poter identificare uno stato stazionario in cui il fluido
può essere pensato come un insieme di piccoli tubi in cui le particelle si
muovono, in modo relativamente ordinato. Si pensi ad esempio a come è
stato descritto il parametro di viscosità. In realtà per alte velocità (e piccole
viscosità) il fluido comincia a mescolarsi, si mescolano, in un certo senso,
fra loro i tubi di flusso. Nel primo caso si parla di moto laminare, nel
secondo di moto turbolento. La differenza fra i due regimi è illustrata
schematicamente in figura. Occorre notare che le linee di flusso del caso
turbolento non sono fisse, ossia non esiste uno stato stazionario in cui le linee
rimangono le stesse. Infatti, non sarebbe possibile l’intersezione delle linee,
come appare in figura. Occorre semplicemente intendere che i vari strati
del fluido tendono a mescolarsi nel regime turbolento, mentre rimangono
separati, interagendo solo alla superficie di contatto, nel regime laminare.
Un esempio in cui spesso coesistono i due regimi si osserva nel fumo di
una sigaretta. Chiunque puo sperimentarlo facendo bruciare una sigaretta
(senza fumarla!) in un ambiente in cui l’aria è a riposo. Si dovrebbe vedere
che vicino alla brace il fumo, ossia la corrente di gas resa visibile dal fatto
F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011
28
che trasporta piccole particelle combuste, appare costituito da filamenti che
scorrono uno accanto all’altro. Ad un certo punto, si innesca un processo
turbolento e i filamenti di fumo tendono a mescolarsi allargandosi in modo
irregolare. Nella foto è ritratto il grande attore americano Humphrey Bogart
al cui mito ( ma anche alla precoce fine) ha contribuito anche il fatto di essere
un grande fumatore. È chiaro il passaggio da un regime laminare ad uno
turbolento nel fumo che si alza dalla sigaretta.
Numero di Reynolds
La fisica dei fenomeni turbolenti è molto complicata, e ancora non ben capita. Un’indicazione del regime di movimento di un fluido può essere data
facendo il rapporto tra l’energia cinetica di una certa regione con lunghezza
tipica L ed il lavoro fatto dalle forze d’attrito. Sia R tale rapporto. Se
il rapporto è molto piccolo le forze d’attrito sono dominanti ed il moto è
laminare, se è molto grande, gli effetti inerziali dominano ed il moto tende
a diventare caotico.
Consideriamo dunque, per capire gli ordini di grandezza in gioco, una
porzione di fluido le cui dimensioni sono dell’ordine di L e che si muove con
velocità v. L’ordine di grandezza della energia cinetica si deduce con:
K ≈ mv 2 ≈ ρL3 v 2
dove con ≈ si è indicata l’espressione è dell’ordine di grandezza di. Con la
stessa notazione sappiamo che la forza di attrito è dell’ordine della superficie
moltiplicato per il gradiente della velocità:
v
Fa ≈ L2 η
L
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ed il lavoro delle forze di attrito:
La ≈ Fa L ≈ ηvL2
Il rapporto tra l’energia cinetica ed il lavoro dissipativo è una quantità adimensionale e prende il nome di numero di Reynolds. Con le notazioni di
sopra esso vale:
ρ
Re = Lv
η
Ogni apparato o tipo di condotto ha un numero di Reynolds al di sopra
del quale il flusso diventa turbolento. Se chiamiamo Rec tale numero di
Reynolds critico, si ha che il flusso è turbolento per
v > vc =
ηRec
ρL
4.4 Attrito e moto in un fluido
Abbiamo già trattato in modo elementare il moto di un corpo in un fluido,
come ad esempio la caduta di una pallina nell’acqua. Il modello della forza
che il fluido esercita sul corpo dipende dal valore del numero di Reynolds.
Abbiamo già accennato al fatto che un corpo che si muove a bassa velocità in
un fluido subisce una forza d’attrito (viscosa) proporzionale alla sua velocità,
fa = −γv
Il coefficiente d’attrito dipende dalla viscosità del fluido e dalle caratteristiche geometriche del corpo. Un caso particolarmente interessante, perchè si
può prevedere teoricamente γ, è quello di una sfera di raggio R. In questo
caso vale la formula di Stokes:
γ = 6πηR
Per velocità grandi la legge d’attrito cambia e di solito viene parametrizzata nella forma
1
fa = −C ρv 2 A
2
C è un coefficiente adimensionale, come è facile verificare, che spesso si
chiama Cd (dall’inglese drag force) o Cx, in ambito automobilistico. Esso,
in un certo intervallo di velocità può essere ritenuto costante ed usato per
stimare l’effetto del fluido sul moto del corpo. A è la sezione trasversale del
corpo e ρ la densità del fluido.
Si può giustificare la formula con considerazioni elementari. Si consideri
un corpo che si muove in un fluido e si assuma il fluido inizialmente a riposo.
Nell’impatto con le molecole del fluido il corpo trascina il fluido con sè
trasmettendogli una velocità v. In un tempo ∆t il fluido spostato è quello
in un parallelepipedo di area di base A ed altezza v∆t, quindi con massa
∆m = ρAv∆t.
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Per il teorema dell’energia cinetica la variazione di energia del fluido
puòessere addebitata ad una forza media F che il corpo esercita sul fluido
per il tratto v∆t, compiendo il lavoro L = F v∆t. Quindi eguagliando
la variazione di energia cinetica del fluido, inizialmente a riposo, al lavoro
compiuto su di esso:
1
(ρAv∆t)v 2 2 − 0 = F v∆t
2
⇒
1
F = ρv 2 A
2
che è l’espressione che cercavamo con C = 1.
ciclista
sfera (alto v)
sfera (basso v))
uomo in piedi
F-4 Phantom II
Cd
0.9
0.4
0.1
1.0÷1.3
0.021
Questa espressione ci dice anche per quali velocità è valida la formula di
Stokes. La condizione è che la forza viscosa proporzionale a v sia molto più
grande di quella cinetica che abbiamo trovato:
1
C ρv 2 πR2 6πηRv
2
⇒
v
3 η
C ρR
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