PILOTARE UN VEICOLO A DUE RUOTE di Gianfranco Di Panfilo

PILOTARE UN VEICOLO A DUE RUOTE
di Gianfranco Di Panfilo –
SSIS IS ciclo FIM A049
Le caratteristiche di un qualunque "modello didattico" sono:
a) riduzione: non deve essere troppo complesso, bisogna evitare le
ridondanze e contemporaneamente non essere riduttivo, in modo che non
ci sia dispersione;
b) accentuazione: deve guardare con particolare importanza agli
aspetti fondamentali;
c) trasparenza: deve essere chiaro e leggibile, non devono esserci
elementi nascosti;
d) prospettiva: devono essere chiari gli obiettivi;
e) produttivita': deve essere efficace sul soggetto dell'apprendimento.
Ma torniamo alla moto (o alla bici).
Innanzitutto dobbiamo stabilire chi e' il nostro pubblico: un ragazzo
o una classe del biennio (14-15-16 anni, l'eta' del motorino! Non
dovrebbe essere difficile catturare l'attenzione e generare
motivazione) dopo aver fatto il capitolo sulla meccanica dei sistemi o
dei corpi rigidi.
Poi bisogna chiarire l'obiettivo, anzi gli obiettivi:
1) smontare le teorie ingenue sull'impostazione di una curva in moto
2) comprendere i principi della dinamica
3) rinforzare le capacita' di analisi di un problema (schematizzazione
concettuale)
Questi sono gli obiettivi per la classe, l'obiettivo per me e':
1) capire "come" pensa lo studente ed cercare di aiutarlo metodologicamente
Poi bisogna definire i prerequisiti: calcolo vettoriale e principi
della dinamica (a meno che non vogliamo applicare il "principio della
scoperta").
E poi mi chiederei quali strumenti didattici posso usare:
1) lezione frontale/dialogata
2) esperienze in laboratorio/nella vita
3) computer (applet/youtube)
Comincerei la lezione con la domanda-chiave: se sono sul motorino (o
su una bici, o su una moto), in rettilineo, perfettamente in asse col
baricentro, e voglio svoltare ad esempio a destra, cosa devo fare?
Una delle risposte possibili e': piego la moto verso destra.
Un'altra potrebbe essere: giro il manubrio a destra.
O una combinazione lineare delle due.
Un esperto potrebbe dire: "Dipende! Specificami cos'hai! Una moto o
una bici? A quanto vai? A 10 o a 100 km/h? E la curva? E' stretta o e'
larga?"
Andiamo con ordine, e analizziamo la prima risposta: "piego la moto
verso destra".
La domanda successiva sarebbe: e come faccio a piegare la moto?
Una risposta plausibile potrebbe essere: come nelle gare di
motociclismo, spostando il mio corpo dal sellino sposto il baricentro,
la moto tende a cadere sotto l'azione della gravita', e questa
"caduta" bilancia l'azione della forza centrifuga.
Ma siamo sicuri? Avete mai provato a guidare una moto di grande
cilindrata? Una 600 o una 1100? Avete mai parlato con un motociclista
abituato a guidare una moto di massa molto maggiore rispetto al peso
del pilota? Spostando il peso del corpo, anche pensandolo di 80 kg, la
moto continua ad andare dritta! Al massimo si possono fare curve molto
larghe (con grande raggio di curvatura).
A questo punto farei riflettere sul fatto che le forze in gioco per
spostare il mio corpo dal sellino sono forze interne, e per il terzo
principio della dinamica ("in un sistema chiuso e isolato, ad ogni
azione corrisponde una reazione uguale e contraria") applicato al
sistema moto+pilota, se applico una forza sulla moto "solo" per
spostare il mio corpo, la moto "risponde" con una reazione e tende a
spostarsi dal lato opposto, mantenendo costante la posizione verticale
del baricentro (come al circo!).
E' il principio d'inerzia: "un corpo tende a mantenere il suo stato di
quiete o di moto rettilineo uniforme fin quando intervenga una forza
esterna a mutarne lo stato".
A questo punto l'obiezione che in realta' questo non e' un sistema
"chiuso e isolato" pone la questione su quali siano le forze che
agiscono sul sistema: la gravita', la spinta del motore, l'attrito
dell'aria e dei pneumatci. Quando siamo in curva si aggiunge anche la
forza centrifuga.
Potrei anche chiedere "centrifuga o centripeta?" per vedere se e'
chiaro il concetto di relativita' del sistema di riferimento (sperando
che questo non porti dispersione, ma anzi aumenti la curiosita').
"Dipende dal punto di vista!"
Ma torniamo al rettilineo.
Sono perfettamente in asse e col manubrio dritto, voglio girare a
destra: cosa devo fare per inclinare la moto a destra?
Abbiamo capito che spostare il nostro peso non puo' essere la sola
causa dell'inclinazione (ovviamente in bici e' piu' che sufficiente),
nonostante nella pratica e nella mentalita' comune questa sia la
risposta piu' naturale.
Riprendiamo la seconda risposta alla prima domanda: "giro il manubrio a destra".
Facendo riferimento all'esperienza quotidiana, dopo aver accennato al
fatto che a basse velocita' questo puo' essere vero, farei notare con
un disegno che quando giriamo lo sterzo da una parte tendiamo a cadere
dall'altra per il principio d'inerzia. Il vincolo direzionale
rappresentato dalla ruota anteriore e' in un certo senso ingannevole,
perche' quando lo direziono verso destra il baricentro tende comunque
a continuare il suo moto rettilineo. L'effetto totale e' che la moto
si sposta leggermente a destra, ma tende a cadere verso sinistra (a
questo punto potrei ricordare o far vedere filmati di incidenti,
rimangono molto impressi!).
Quindi, se vogliamo girare a destra, un movimento aquisito con
l'esperienza, tanto naturale quanto "inconsapevole", ci spinge a
girare il manubrio verso sinistra! "Inconsapevole" non tanto, se
chiediamo ad un pilota di Super-Bike!
Ovviamente e' un attimo! Appena la moto e' inclinata "noi" riportiamo
l'asse su cui scorre la ruota anteriore verso destra. Agendo sul
manubrio, ora siamo in "configurazione curva" e il problema cambia.
Ma siamo veramente "noi" col nostro movimento sul manubrio a riportare
l'asse di scorrimento nella direzione "giusta"?
Si certo, ma anche no, nel senso che aiutiamo un movimento che la
motocicletta farebbe anche senza il nostro apporto.
Adesso, aiutandomi con un disegno, direi che quando la moto e'
inclinata, sul baricentro del sottosistema ruota
anteriore+forcella+manubrio (finora abbiamo supposto le ruote come
lame) la forza di attrito produce un momento di torsione che fa girare
la ruota nella direzione "giusta" attorno all'asse dello sterzo
(cioe', verso destra).
Ricapitolando
1) equazioni cardinali della dinamica
2) in rettilineo la moto possiede una quantita' di moto
3) quando sterzo si produce una componente trasversa d'attrito che
deve essere bilanciata in qualche modo dal sistema (e' una forza
esterna!)
4) faccio una figura
5) rispetto al piano antero-posteriore e all'asse direzionabile si
genera una rotazione che fa cadere la moto sul lato opposto
6) sentendomi cadere, aiuto il sistema forcella-ruota con lo sterzo a
seguire il momento prodotto dall'attrito.
Concludendo, la condizione necessaria ma non sufficiente perche' un
veicolo a due appoggi sia stabile e' che uno degli appoggi sia un
vincolo di scorrimento direzionale.
La sufficienza di questa condizione dipende da altri fattori.
Altri effetti che contribuiscono alle caratteristiche di un mezzo a
due ruote (l'effetto giroscopico, la cosiddetta autostabilita' e la
stabilita' direzionale) sono effetti del secondo ordine e necessitano
di una trattazione piu' raffinata che svolgero' nella seconda parte.
A questo punto introdurrei storicamente i tentativi di Jones negli
anni '70 che si mise a costruire una bici da lui definita
"completamente inguidabile" per confutare tutte le teorie sulla
stabilita' che andavano "di moda" (e' proprio il caso di dire cosi'!)
all'epoca.
Farei riflettere sul fatto che con una bici o con un motorino
l'effetto di spostamento del baricentro dalla verticale e' facilmente
ottenibile con lo spostamento del mio corpo (che ha massa
confrontabile, se non maggiore, con quella del mezzo), ma con una moto
di 200 kg e' necessaria la "tecnica dei semimanubri" (spingendo o
tirando una manopola si ottiene l'effetto di rotazione dello sterzo),
addirittura anticipandola temporalmente rispetto alla curva poiche' il
tempo di risposta del mezzo aumenta all'aumentare della massa, a causa
dell'inerzia.
Inoltre, a parita' di raggio di curvatura, con bici e motorini la
tecnica e' meno visibile, e quindi quasi non ce ne accorgiamo di
girare lo sterzo dal lato "sbagliato".
Poi stimolerei la discussione sulla "guida senza mani" e chiederei:
A) "E' piu' facile guidare senza mani una bicicletta o una Super-Bike?"
B) "Cosa dovrei fare per impostare una curva senza mani?"
A questo punto la risposta alla prima domanda dovrebbe essere ovvia,
anche se le questioni sono sempre piu' complesse di quel che appaiono
a prima vista.
Trascurando le questioni piu' tecniche dovute alle modalita'
ingegneristiche di realizzazione del mezzo (acceleratore e freno
anteriore a destra, frizione a sinistra, etc.) direi che la prima
questione dipende dai valori e dalla distribuzione delle masse (si
pensi alla differenza tra una moto da pista e una Harley Davidson, o
un Enduro), mentre per rispondere alla questione della guida senza
mani sembra necessario considerare separate le parti inferiore e
superiore del corpo del pilota.
Infatti, ci chiediamo: senza mani come faccio a girare il manubrio
dalla parte "sbagliata" per provocare lo sbilanciamento e
l'inclinazione "giusta" della moto?
Il meccanismo e' sempre lo stesso: se voglio fare una curva a destra,
quindi con il manubrio rivolto a sinistra e la moto inclinata a
destra, e se all'inizio sono col busto dritto e le braccia attaccate
al corpo, e considerando indipendenti busto e gambe, buttandomi con il
busto a destra, oppure aprendo il braccio destro a mo' di freccia
(con le bici leggere e' sufficiente, con le moto dovrei utilizzare dei
pesi) posso ottenere lo stesso effetto.
Oppure ancora, con un movimento "da ballerino di twist" inclinerei la
moto a destra sfruttando la rigidita' della parte inferiore del mio
corpo; otterrei lo stesso effetto di prima: la moto s'inclinerebbe
dalla parte "giusta", il manubrio girerebbe dalla parte "sbagliata",
ma il momento della forza d'attrito tenderebbe a farlo ruotare nella
direzione "giusta", trovandomi con la moto ben allineata e pronta per
la curva.
SECONDA PARTE TECNICA
Questa e' la parte un po' piu' tecnica del lavoro, dedicata agli appassionati.
La dinamica di un veicolo a due ruote può essere studiata in diversi
modi, per esempio tenendo conto o meno del controllo del pilota, il
quale può esercitare una coppia sul manubrio o modificare la propria
posizione sulla sella. La scelta di un pilota passivo, rigidamente
vincolato al telaio e non in grado di applicare momenti allo sterzo,
semplifica l'analisi e consente di focalizzare l'attenzione
sull'influenza che alcuni parametri geometrici della bicicletta hanno
sull'intrinseca stabilità della stessa.
Le forze che agiscono sul sistema possono essere di due tipi:
"volontarie", come quelle esplicate dal ciclista sul manubrio, oppure
"automatiche", come il fatto che, accelerando, la ruota direzionabile
si allinea da sola alla direzione di marcia (si pensi alle ruote di un
carrello da spesa al supermercato, o al timone di una barca), oppure
che in piega la ruota si gira automaticamente nel verso che accompagna
la curva.
Gli effetti delle forze automatiche si chiamano rispettivamente
•
•
auto-stabilizzante (allineamento in accelerazione)
auto-sterzante (accompagnamento della curva),
e sono i maggiori responsabili di quello che in gergo si chiama il
"carattere" della moto. Questi effetti sono strettamente correlati a
due quantità fisiche e geometriche, due lunghezze misurate dall'asse
dello sterzo che rispettivamente si chiamano "avanzamento" (in inglese
"rake") e "avancorsa" ("trail").
La loro importanza risiede nel fatto che, una volta sollecitate da
alcune forze, ed essendo a tutti gli effetti dei bracci di leva, sono
in grado di produrre rotazioni intorno all'asse dello sterzo.
Si definisce "rake" o "avanzamento" la distanza tra il mozzo anteriore
e l'asse geometrico dello sterzo.
Si definisce invece "trail" o "avancorsa" l'arretramento dell'impronta
a terra della ruota anteriore rispetto all'asse geometrico dello
sterzo, cioè il segmento che, partendo dalla proiezione dell'asse del
mozzo a terra, interseca l'asse dello sterzo.
Due effetti distinti rendono il veicolo controllabile e sono, in
ordine (ma anche qui dipende dalla distribuzione delle masse e dalle
velocita' in gioco):
L'attrito fra pneumatico e terreno che porta alla nascita di
forze laterali
L'effetto giroscopico
CONTATTO PNEUMATICO-TERRENO E STABILITÀ DIREZIONALE
Si consideri una motocicletta che avanza in moto rettilineo con
velocità costante e si supponga che una perturbazione esterna (ad
esempio una irregolarità del piano stradale o un colpo di vento
laterale) provochi una leggera rotazione dello sterzo.
Durante il moto, la tenuta di strada è garantita dalle forze laterali
di attrito generate dal contatto dei pneumatici con il terreno.
Sul pneumatico anteriore agisce una forza di attrito F avente la
medesima direzione della velocità di scivolamento, ma verso opposto.
La componente di questa forza diretta lungo l'asse longitudinale della
ruota non produce momento, in quanto parallela al raggio vettore della
distanza tra l'asse di rotazione (forcella) e il punto di
applicazione; se l'asse di rotazione della ruota non passa per il
baricentro del sistema ruota+forcella+manubrio, la componente
ortogonale produce un momento diretto verticalmente, che a seconda del
verso tende a contrastare o a enfatizzare la perturbazione. In modulo,
questo momento e' proporzionale all'avancorsa.
•
Quando l'avancorsa è positiva (punto di contatto tra ruota e
terreno dietro il punto d'intersezione tra il prolungamento dell'asse
sterzo e il piano stradale), la forza di attrito F genera un momento
che tende a riportare lo sterzo nella posizione di equilibrio. La
coppia raddrizzante risulta proporzionale al valore dell'avancorsa
"normale" (c'e' un coseno di mezzo!): maggiore è l'avancorsa normale
maggiore è il momento di richiamo a parità di velocità di
strisciamento.
•
Se il valore dell'avancorsa è invece negativo (punto di
contatto tra ruota e terreno posto più avanti del punto di
intersezione dell'asse dello sterzo con il piano stradale), la forza
di attrito F, sempre opposta alla velocità di scivolamento, genera una
coppia attorno all'asse dello sterzo che tende ad aumentare la
rotazione dello sterzo verso sinistra. La forza di attrito F , in
questa configurazione, amplifica perciò l'effetto perturbativo,
compromettendo gravemente l'equilibrio del veicolo.
•
Se infine l'avancorsa fosse nulla, la forza laterale non
eserciterebbe nessun momento attorno all'asse dello sterzo e la
stabilità direzionale risulterebbe comunque compromessa.
Concludendo:
•
Valori positivi piccoli dell'avancorsa generano momenti
raddrizzanti piccoli; lo sterzo viene percepito molto "leggero", ma la
stabilità direzionale risulta modesta; piccole perturbazioni del piano
stradale provocano facilmente la rotazione dello sterzo.
•
Valori positivi elevati dell'avancorsa generano momenti
raddrizzanti grandi; il veicolo viene percepito direzionalmente
stabile, ma necessita di coppie applicate al manubrio da parte del
pilota più elevate, a parità di cambiamento di traiettoria.
•
In sporadiche situazioni si preferisce addirittura eliminare
l'avancorsa usando un asse di sterzo verticale. È il caso di
biciclette, come quelle concepite per l'uso ad alte velocità (bici da
"downhill"), soggette a forzanti aerodinamiche laterali: queste
producono forze laterali che possono dare luogo a coppie indesiderate
che producono rotazioni dell'asse di sterzo.
EFFETTI GIROSCOPICI NELLA MOTOCICLETTA
Tornando con la memoria alla gioventu', ricordo che a bicicletta ferma
dovevo compiere grossi sforzi per mantenere il veicolo in equilibrio
sulle due ruote, in quanto questa tendeva a cadere.
Quando il veicolo si muove, sin dalle basse velocità, abbiamo visto
che intervengono fattori esterni che aiutano a mantenere una
traiettoria più o meno rettilinea: "più o meno" in quanto il moto
rettilineo di un veicolo a due ruote puo' essere pensato come formato
da una serie di curve e controcurve a larghissimo raggio,
alternativamente a destra e sinistra, che danno vita alla cosiddetta
"stabilità automatica".
Fra i fattori esterni che aiutano il ciclista, c'è l'effetto
giroscopico delle masse rotanti e delle masse collegate al sistema
sterzante quali: la ruota, la forcella, il manubrio nel suo insieme,
la porzione di peso del pilota gravante sul manubrio, etc…
Mentre risulta relativamente semplice determinare le masse, lo è molto
meno valutare l'effetto giroscopico generato dalla ruota e dalle masse
poste in rotazione.
Risulta impressionante la stabilità che si ottiene non trascurando gli
effetti giroscopici della ruota anteriore in una simulazione numerica
a partire dalle equazioni del moto di un sistema moto- o bi-cicletta +
pilota, specialmente in curva.
L'effetto giroscopico agisce in maniera abbastanza insolita sulle
caratteristiche della sterzata: se si procede in avanti, infatti,
induce lo sterzo a chiudersi all'interno della curva; se si procede
all'indietro, invece, tende a rallentare qualsiasi rotazione del
manubrio (per rendersene conto basta sollevare da terra la ruota
anteriore di una bici, farla girare e inclinare lateralmente il
telaio: se la rotazione e' nel senso di marcia, lo sterzo cadra'
immediatamente di lato; se e' nel verso opposto si notera' una certa
esitazione nel movimento del manubrio). In quest'ambito, negli anni
'80 Klein sviluppo' un prototipo di bicicletta "non convenzionale",
avente la ruota sterzante in posizione posteriore anziche' anteriore.
Anche la forza di gravita' tende a far cadere lo sterzo all'interno
della curva: cio' e' dovuto al fatto che l'asse di rotazione dello
sterzo non divide la ruota in parti uguali, e che quindi la differenza
di peso tra la parte anteriore e posteriore della ruota inneschi la
rotazione. Quanto piu' l'asse dello sterzo sara' "discriminante" tanto
piu' gli effetti dello sbilanciamento saranno evidenti e il manubrio
verra' percepito leggero. Non e' infatti un caso che con la bici in
salita si percepisca la sensazione che lo sterzo diventi piu' leggero,
meno direzionale e talvolta molto propenso a chiudersi di lato
(specialmente nelle salite molto ripide).
La forza centrifuga, invece, interagendo con l'avancorsa innesca una
dinamica che tende a compensare i primi due effetti, e quindi a
rendere stabile l'avantreno anche in curva. Le forze sono in questo
caso trasversali al telaio (sono le stesse che obbligano il pilota a
inclinarsi di lato in curva) e proporzionalmente alla lunghezza
l'avancorsa generano un momento opposto a quello che tende a far
cadere lo sterzo verso l'interno della curva. Quanto piu' e' grande
l'avancorsa tanto piu' sara' evidente l'effetto autostabilizzante.
UN PO' DI STORIA (MATEMATICA)
I primi tentativi di ricavare le equazioni del moto di una bicicletta
risalgono agli inizi del '900. A tal fine, vennero sviluppati modelli
semplificati di bicicletta, generalmente formati da quattro corpi
rigidi connessi fra loro:
• La ruota anteriore
• La ruota posteriore
• Il gruppo forcella-manubrio
• Il gruppo ciclista-telaio
Per la determinazione delle equazioni, i ricercatori si basavano sulle
leggi di Newton applicate ai singoli corpi rigidi o sulle equazioni di
Eulero-Lagrange.
I modelli proposti trascuravano molti parametri fondamentali che come
abbiamo visto influenzano la stabilità del sistema.
Più in dettaglio:
Whipple (1899): considera il pilota rigidamente vincolato alla
bicicletta, che può ruotare lateralmente
Carvallo (1901): sviluppa un modello di bicicletta con ruote
identiche, in cui il ciclista e il telaio sono considerati una singola
entità, la massa del gruppo anteriore è posizionata nel centro della
ruota anteriore e le sue proprietà inerziali sono quelle della ruota
Bower (1915): elabora un modello che consiste in un telaio
posteriore con il centro di massa sopra il punto di contatto
posteriore; rispetto ai modelli precedenti aggiunge l'inerzia delle
ruote, ma considera lo sterzo bloccato; nei calcoli, ignora i prodotti
di inerzia, scelta plausibile solo per la parte posteriore, ma non per
quella anteriore, a meno di trascurare l'avancorsa; infine, non
considera lo spostamento laterale dei centri di massa anteriore e
posteriore causato dall'angolo di rollio
Timoshenko e Young (1948): derivano equazioni non lineari per
un modello di bicicletta caratterizzato dall'avere una sola massa
puntiforme nella parte posteriore e l'angolo di sterzo controllato dal
ciclista; il loro modello non considera l'inerzia delle ruote,
l'avancorsa e la distanza del centro di massa della parte anteriore
dall'asse di sterzo
Collins (1963): sviluppa in collaborazione con la Harley
Davidson un modello di bicicletta su cui è applicata una forza di
guida sulla ruota posteriore e una forza per simulare la resistenza
aerodinamica sul gruppo forcella; deriva poi espressioni non lineari
per la velocità e l'accelerazione dei centri di massa anteriore e
posteriore e, come i precedenti, linearizza attorno alla posizione di
equilibrio
verticale; considera le forze di guida e aerodinamica funzioni del
quadrato della velocità di avanzamento, alterando le forze di contatto
sulle ruote anteriore e posteriore, e considera nulli l'angolo e la
velocità di scivolamento laterale, riducendo da tre a due i gradi di
libertà del sistema
- Singh (1964): aggiunge al modello di Collins lo scivolamento
laterale del pneumatico in funzione dell'angolo di rollio, ma solo nel
caso di curva stazionaria
- Roland (1971): pubblica un articolo per la Schwinn Bicycle Company
contenente il primo studio al computer delle equazioni non-lineari
rappresentanti il moto di una bicicletta; considera lo scivolamento
laterale del pneumatico e il rollio del ciclista; ricava otto
equazioni del moto: tre descrivono il bilancio di forze per l'intera
bicicletta, tre il bilancio dei momenti, la settima il bilancio dei
momenti per il gruppo anteriore attorno all'asse sterzo e l'ottava
rappresenta il grado di libertà di rollio della parte superiore del
corpo del ciclista
- Singh e Goer (1975): presentano un modello matematico del
dodicesimo ordine; sviluppano una formulazione Lagrangiana, ma
considerano una distribuzione delle masse asimmetrica lateralmente, lo
scivolamento laterale, le forze aerodinamiche, lo smorzamento viscoso
sullo sterzo e soprattutto le forze e i momenti che si sviluppano nei
pneumatici
- Lowell e McKell (1982): sviluppano un sistema di equazioni
linearizzate considerando una massa puntuale nella parte posteriore,
l'inerzia dell'asse sterzo, gli effetti giroscopici delle ruote, ma
trascurando la massa anteriore e l'inclinazione dell'asse dello
sterzo; la bicicletta perde la capacità di auto-riallineamento
Purtroppo nessuno di loro risolse le equazioni, risultando di fatto
impossibile confrontare i risultati ed ottenere da questi lavori
informazioni qualitative o quantitative.
Solo nel 1988 Richard Scott Hand ha sviluppato un modello semplificato
di bicicletta, ha ricavato le equazioni di moto e ha studiato la
stabilità del sistema adottando il criterio di Routh-Hurwitz:
attraverso il calcolo degli autovalori (le radici del polinomio
caratteristico del sistema) e dei corrispondenti autovettori è
possibile determinare le frequenze proprie e le forme dei modi del
sistema che rappresenta una bicicletta in moto a una data velocità.
L'analisi degli autovalori permette di valutare quantitativamente la
stabilità della bicicletta. Le informazioni relative agli autovettori
possono essere utilizzate per cercare di capire come la bicicletta
diventi instabile e quali gradi di libertà del sistema contribuiscano
all'instabilità.
Lo studio di autovalori e autovettori può però essere condotto solo su
un sistema di equazioni di moto lineari o linearizzate. L'applicazione
del criterio di Routh-Hurwitz permette di valutare la stabilità di una
posizione di equilibrio attraverso un'analisi dei coefficienti del
polinomio caratteristico del sistema. Tale analisi consente di
determinare eventuali autovalori a parte reale positiva (causa di
instabilità) senza calcolarli.
Molto sinteticamente, diciamo che - linearizzando e parametrizzando le
equazioni del sistema in funzione di una "variabile di controllo
totale" K, che definiamo intuitivamente dicendo che la condizione
necessaria e sufficiente per l'asintotica stabilità del sistema è che
questa stia al di sopra di un valore minimo (sotto il quale il sistema
è instabile) - lo studio dei veicoli a due ruote diventa una buona
palestra e un ottimo campo di applicazione dei metodi matematici piu'
avanzati nello studio dei sistemi dinamici complessi.