PILOTARE UN VEICOLO A DUE RUOTE di Gianfranco Di Panfilo – SSIS IS ciclo FIM A049 Le caratteristiche di un qualunque "modello didattico" sono: a) riduzione: non deve essere troppo complesso, bisogna evitare le ridondanze e contemporaneamente non essere riduttivo, in modo che non ci sia dispersione; b) accentuazione: deve guardare con particolare importanza agli aspetti fondamentali; c) trasparenza: deve essere chiaro e leggibile, non devono esserci elementi nascosti; d) prospettiva: devono essere chiari gli obiettivi; e) produttivita': deve essere efficace sul soggetto dell'apprendimento. Ma torniamo alla moto (o alla bici). Innanzitutto dobbiamo stabilire chi e' il nostro pubblico: un ragazzo o una classe del biennio (14-15-16 anni, l'eta' del motorino! Non dovrebbe essere difficile catturare l'attenzione e generare motivazione) dopo aver fatto il capitolo sulla meccanica dei sistemi o dei corpi rigidi. Poi bisogna chiarire l'obiettivo, anzi gli obiettivi: 1) smontare le teorie ingenue sull'impostazione di una curva in moto 2) comprendere i principi della dinamica 3) rinforzare le capacita' di analisi di un problema (schematizzazione concettuale) Questi sono gli obiettivi per la classe, l'obiettivo per me e': 1) capire "come" pensa lo studente ed cercare di aiutarlo metodologicamente Poi bisogna definire i prerequisiti: calcolo vettoriale e principi della dinamica (a meno che non vogliamo applicare il "principio della scoperta"). E poi mi chiederei quali strumenti didattici posso usare: 1) lezione frontale/dialogata 2) esperienze in laboratorio/nella vita 3) computer (applet/youtube) Comincerei la lezione con la domanda-chiave: se sono sul motorino (o su una bici, o su una moto), in rettilineo, perfettamente in asse col baricentro, e voglio svoltare ad esempio a destra, cosa devo fare? Una delle risposte possibili e': piego la moto verso destra. Un'altra potrebbe essere: giro il manubrio a destra. O una combinazione lineare delle due. Un esperto potrebbe dire: "Dipende! Specificami cos'hai! Una moto o una bici? A quanto vai? A 10 o a 100 km/h? E la curva? E' stretta o e' larga?" Andiamo con ordine, e analizziamo la prima risposta: "piego la moto verso destra". La domanda successiva sarebbe: e come faccio a piegare la moto? Una risposta plausibile potrebbe essere: come nelle gare di motociclismo, spostando il mio corpo dal sellino sposto il baricentro, la moto tende a cadere sotto l'azione della gravita', e questa "caduta" bilancia l'azione della forza centrifuga. Ma siamo sicuri? Avete mai provato a guidare una moto di grande cilindrata? Una 600 o una 1100? Avete mai parlato con un motociclista abituato a guidare una moto di massa molto maggiore rispetto al peso del pilota? Spostando il peso del corpo, anche pensandolo di 80 kg, la moto continua ad andare dritta! Al massimo si possono fare curve molto larghe (con grande raggio di curvatura). A questo punto farei riflettere sul fatto che le forze in gioco per spostare il mio corpo dal sellino sono forze interne, e per il terzo principio della dinamica ("in un sistema chiuso e isolato, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria") applicato al sistema moto+pilota, se applico una forza sulla moto "solo" per spostare il mio corpo, la moto "risponde" con una reazione e tende a spostarsi dal lato opposto, mantenendo costante la posizione verticale del baricentro (come al circo!). E' il principio d'inerzia: "un corpo tende a mantenere il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fin quando intervenga una forza esterna a mutarne lo stato". A questo punto l'obiezione che in realta' questo non e' un sistema "chiuso e isolato" pone la questione su quali siano le forze che agiscono sul sistema: la gravita', la spinta del motore, l'attrito dell'aria e dei pneumatci. Quando siamo in curva si aggiunge anche la forza centrifuga. Potrei anche chiedere "centrifuga o centripeta?" per vedere se e' chiaro il concetto di relativita' del sistema di riferimento (sperando che questo non porti dispersione, ma anzi aumenti la curiosita'). "Dipende dal punto di vista!" Ma torniamo al rettilineo. Sono perfettamente in asse e col manubrio dritto, voglio girare a destra: cosa devo fare per inclinare la moto a destra? Abbiamo capito che spostare il nostro peso non puo' essere la sola causa dell'inclinazione (ovviamente in bici e' piu' che sufficiente), nonostante nella pratica e nella mentalita' comune questa sia la risposta piu' naturale. Riprendiamo la seconda risposta alla prima domanda: "giro il manubrio a destra". Facendo riferimento all'esperienza quotidiana, dopo aver accennato al fatto che a basse velocita' questo puo' essere vero, farei notare con un disegno che quando giriamo lo sterzo da una parte tendiamo a cadere dall'altra per il principio d'inerzia. Il vincolo direzionale rappresentato dalla ruota anteriore e' in un certo senso ingannevole, perche' quando lo direziono verso destra il baricentro tende comunque a continuare il suo moto rettilineo. L'effetto totale e' che la moto si sposta leggermente a destra, ma tende a cadere verso sinistra (a questo punto potrei ricordare o far vedere filmati di incidenti, rimangono molto impressi!). Quindi, se vogliamo girare a destra, un movimento aquisito con l'esperienza, tanto naturale quanto "inconsapevole", ci spinge a girare il manubrio verso sinistra! "Inconsapevole" non tanto, se chiediamo ad un pilota di Super-Bike! Ovviamente e' un attimo! Appena la moto e' inclinata "noi" riportiamo l'asse su cui scorre la ruota anteriore verso destra. Agendo sul manubrio, ora siamo in "configurazione curva" e il problema cambia. Ma siamo veramente "noi" col nostro movimento sul manubrio a riportare l'asse di scorrimento nella direzione "giusta"? Si certo, ma anche no, nel senso che aiutiamo un movimento che la motocicletta farebbe anche senza il nostro apporto. Adesso, aiutandomi con un disegno, direi che quando la moto e' inclinata, sul baricentro del sottosistema ruota anteriore+forcella+manubrio (finora abbiamo supposto le ruote come lame) la forza di attrito produce un momento di torsione che fa girare la ruota nella direzione "giusta" attorno all'asse dello sterzo (cioe', verso destra). Ricapitolando 1) equazioni cardinali della dinamica 2) in rettilineo la moto possiede una quantita' di moto 3) quando sterzo si produce una componente trasversa d'attrito che deve essere bilanciata in qualche modo dal sistema (e' una forza esterna!) 4) faccio una figura 5) rispetto al piano antero-posteriore e all'asse direzionabile si genera una rotazione che fa cadere la moto sul lato opposto 6) sentendomi cadere, aiuto il sistema forcella-ruota con lo sterzo a seguire il momento prodotto dall'attrito. Concludendo, la condizione necessaria ma non sufficiente perche' un veicolo a due appoggi sia stabile e' che uno degli appoggi sia un vincolo di scorrimento direzionale. La sufficienza di questa condizione dipende da altri fattori. Altri effetti che contribuiscono alle caratteristiche di un mezzo a due ruote (l'effetto giroscopico, la cosiddetta autostabilita' e la stabilita' direzionale) sono effetti del secondo ordine e necessitano di una trattazione piu' raffinata che svolgero' nella seconda parte. A questo punto introdurrei storicamente i tentativi di Jones negli anni '70 che si mise a costruire una bici da lui definita "completamente inguidabile" per confutare tutte le teorie sulla stabilita' che andavano "di moda" (e' proprio il caso di dire cosi'!) all'epoca. Farei riflettere sul fatto che con una bici o con un motorino l'effetto di spostamento del baricentro dalla verticale e' facilmente ottenibile con lo spostamento del mio corpo (che ha massa confrontabile, se non maggiore, con quella del mezzo), ma con una moto di 200 kg e' necessaria la "tecnica dei semimanubri" (spingendo o tirando una manopola si ottiene l'effetto di rotazione dello sterzo), addirittura anticipandola temporalmente rispetto alla curva poiche' il tempo di risposta del mezzo aumenta all'aumentare della massa, a causa dell'inerzia. Inoltre, a parita' di raggio di curvatura, con bici e motorini la tecnica e' meno visibile, e quindi quasi non ce ne accorgiamo di girare lo sterzo dal lato "sbagliato". Poi stimolerei la discussione sulla "guida senza mani" e chiederei: A) "E' piu' facile guidare senza mani una bicicletta o una Super-Bike?" B) "Cosa dovrei fare per impostare una curva senza mani?" A questo punto la risposta alla prima domanda dovrebbe essere ovvia, anche se le questioni sono sempre piu' complesse di quel che appaiono a prima vista. Trascurando le questioni piu' tecniche dovute alle modalita' ingegneristiche di realizzazione del mezzo (acceleratore e freno anteriore a destra, frizione a sinistra, etc.) direi che la prima questione dipende dai valori e dalla distribuzione delle masse (si pensi alla differenza tra una moto da pista e una Harley Davidson, o un Enduro), mentre per rispondere alla questione della guida senza mani sembra necessario considerare separate le parti inferiore e superiore del corpo del pilota. Infatti, ci chiediamo: senza mani come faccio a girare il manubrio dalla parte "sbagliata" per provocare lo sbilanciamento e l'inclinazione "giusta" della moto? Il meccanismo e' sempre lo stesso: se voglio fare una curva a destra, quindi con il manubrio rivolto a sinistra e la moto inclinata a destra, e se all'inizio sono col busto dritto e le braccia attaccate al corpo, e considerando indipendenti busto e gambe, buttandomi con il busto a destra, oppure aprendo il braccio destro a mo' di freccia (con le bici leggere e' sufficiente, con le moto dovrei utilizzare dei pesi) posso ottenere lo stesso effetto. Oppure ancora, con un movimento "da ballerino di twist" inclinerei la moto a destra sfruttando la rigidita' della parte inferiore del mio corpo; otterrei lo stesso effetto di prima: la moto s'inclinerebbe dalla parte "giusta", il manubrio girerebbe dalla parte "sbagliata", ma il momento della forza d'attrito tenderebbe a farlo ruotare nella direzione "giusta", trovandomi con la moto ben allineata e pronta per la curva. SECONDA PARTE TECNICA Questa e' la parte un po' piu' tecnica del lavoro, dedicata agli appassionati. La dinamica di un veicolo a due ruote può essere studiata in diversi modi, per esempio tenendo conto o meno del controllo del pilota, il quale può esercitare una coppia sul manubrio o modificare la propria posizione sulla sella. La scelta di un pilota passivo, rigidamente vincolato al telaio e non in grado di applicare momenti allo sterzo, semplifica l'analisi e consente di focalizzare l'attenzione sull'influenza che alcuni parametri geometrici della bicicletta hanno sull'intrinseca stabilità della stessa. Le forze che agiscono sul sistema possono essere di due tipi: "volontarie", come quelle esplicate dal ciclista sul manubrio, oppure "automatiche", come il fatto che, accelerando, la ruota direzionabile si allinea da sola alla direzione di marcia (si pensi alle ruote di un carrello da spesa al supermercato, o al timone di una barca), oppure che in piega la ruota si gira automaticamente nel verso che accompagna la curva. Gli effetti delle forze automatiche si chiamano rispettivamente • • auto-stabilizzante (allineamento in accelerazione) auto-sterzante (accompagnamento della curva), e sono i maggiori responsabili di quello che in gergo si chiama il "carattere" della moto. Questi effetti sono strettamente correlati a due quantità fisiche e geometriche, due lunghezze misurate dall'asse dello sterzo che rispettivamente si chiamano "avanzamento" (in inglese "rake") e "avancorsa" ("trail"). La loro importanza risiede nel fatto che, una volta sollecitate da alcune forze, ed essendo a tutti gli effetti dei bracci di leva, sono in grado di produrre rotazioni intorno all'asse dello sterzo. Si definisce "rake" o "avanzamento" la distanza tra il mozzo anteriore e l'asse geometrico dello sterzo. Si definisce invece "trail" o "avancorsa" l'arretramento dell'impronta a terra della ruota anteriore rispetto all'asse geometrico dello sterzo, cioè il segmento che, partendo dalla proiezione dell'asse del mozzo a terra, interseca l'asse dello sterzo. Due effetti distinti rendono il veicolo controllabile e sono, in ordine (ma anche qui dipende dalla distribuzione delle masse e dalle velocita' in gioco): L'attrito fra pneumatico e terreno che porta alla nascita di forze laterali L'effetto giroscopico CONTATTO PNEUMATICO-TERRENO E STABILITÀ DIREZIONALE Si consideri una motocicletta che avanza in moto rettilineo con velocità costante e si supponga che una perturbazione esterna (ad esempio una irregolarità del piano stradale o un colpo di vento laterale) provochi una leggera rotazione dello sterzo. Durante il moto, la tenuta di strada è garantita dalle forze laterali di attrito generate dal contatto dei pneumatici con il terreno. Sul pneumatico anteriore agisce una forza di attrito F avente la medesima direzione della velocità di scivolamento, ma verso opposto. La componente di questa forza diretta lungo l'asse longitudinale della ruota non produce momento, in quanto parallela al raggio vettore della distanza tra l'asse di rotazione (forcella) e il punto di applicazione; se l'asse di rotazione della ruota non passa per il baricentro del sistema ruota+forcella+manubrio, la componente ortogonale produce un momento diretto verticalmente, che a seconda del verso tende a contrastare o a enfatizzare la perturbazione. In modulo, questo momento e' proporzionale all'avancorsa. • Quando l'avancorsa è positiva (punto di contatto tra ruota e terreno dietro il punto d'intersezione tra il prolungamento dell'asse sterzo e il piano stradale), la forza di attrito F genera un momento che tende a riportare lo sterzo nella posizione di equilibrio. La coppia raddrizzante risulta proporzionale al valore dell'avancorsa "normale" (c'e' un coseno di mezzo!): maggiore è l'avancorsa normale maggiore è il momento di richiamo a parità di velocità di strisciamento. • Se il valore dell'avancorsa è invece negativo (punto di contatto tra ruota e terreno posto più avanti del punto di intersezione dell'asse dello sterzo con il piano stradale), la forza di attrito F, sempre opposta alla velocità di scivolamento, genera una coppia attorno all'asse dello sterzo che tende ad aumentare la rotazione dello sterzo verso sinistra. La forza di attrito F , in questa configurazione, amplifica perciò l'effetto perturbativo, compromettendo gravemente l'equilibrio del veicolo. • Se infine l'avancorsa fosse nulla, la forza laterale non eserciterebbe nessun momento attorno all'asse dello sterzo e la stabilità direzionale risulterebbe comunque compromessa. Concludendo: • Valori positivi piccoli dell'avancorsa generano momenti raddrizzanti piccoli; lo sterzo viene percepito molto "leggero", ma la stabilità direzionale risulta modesta; piccole perturbazioni del piano stradale provocano facilmente la rotazione dello sterzo. • Valori positivi elevati dell'avancorsa generano momenti raddrizzanti grandi; il veicolo viene percepito direzionalmente stabile, ma necessita di coppie applicate al manubrio da parte del pilota più elevate, a parità di cambiamento di traiettoria. • In sporadiche situazioni si preferisce addirittura eliminare l'avancorsa usando un asse di sterzo verticale. È il caso di biciclette, come quelle concepite per l'uso ad alte velocità (bici da "downhill"), soggette a forzanti aerodinamiche laterali: queste producono forze laterali che possono dare luogo a coppie indesiderate che producono rotazioni dell'asse di sterzo. EFFETTI GIROSCOPICI NELLA MOTOCICLETTA Tornando con la memoria alla gioventu', ricordo che a bicicletta ferma dovevo compiere grossi sforzi per mantenere il veicolo in equilibrio sulle due ruote, in quanto questa tendeva a cadere. Quando il veicolo si muove, sin dalle basse velocità, abbiamo visto che intervengono fattori esterni che aiutano a mantenere una traiettoria più o meno rettilinea: "più o meno" in quanto il moto rettilineo di un veicolo a due ruote puo' essere pensato come formato da una serie di curve e controcurve a larghissimo raggio, alternativamente a destra e sinistra, che danno vita alla cosiddetta "stabilità automatica". Fra i fattori esterni che aiutano il ciclista, c'è l'effetto giroscopico delle masse rotanti e delle masse collegate al sistema sterzante quali: la ruota, la forcella, il manubrio nel suo insieme, la porzione di peso del pilota gravante sul manubrio, etc… Mentre risulta relativamente semplice determinare le masse, lo è molto meno valutare l'effetto giroscopico generato dalla ruota e dalle masse poste in rotazione. Risulta impressionante la stabilità che si ottiene non trascurando gli effetti giroscopici della ruota anteriore in una simulazione numerica a partire dalle equazioni del moto di un sistema moto- o bi-cicletta + pilota, specialmente in curva. L'effetto giroscopico agisce in maniera abbastanza insolita sulle caratteristiche della sterzata: se si procede in avanti, infatti, induce lo sterzo a chiudersi all'interno della curva; se si procede all'indietro, invece, tende a rallentare qualsiasi rotazione del manubrio (per rendersene conto basta sollevare da terra la ruota anteriore di una bici, farla girare e inclinare lateralmente il telaio: se la rotazione e' nel senso di marcia, lo sterzo cadra' immediatamente di lato; se e' nel verso opposto si notera' una certa esitazione nel movimento del manubrio). In quest'ambito, negli anni '80 Klein sviluppo' un prototipo di bicicletta "non convenzionale", avente la ruota sterzante in posizione posteriore anziche' anteriore. Anche la forza di gravita' tende a far cadere lo sterzo all'interno della curva: cio' e' dovuto al fatto che l'asse di rotazione dello sterzo non divide la ruota in parti uguali, e che quindi la differenza di peso tra la parte anteriore e posteriore della ruota inneschi la rotazione. Quanto piu' l'asse dello sterzo sara' "discriminante" tanto piu' gli effetti dello sbilanciamento saranno evidenti e il manubrio verra' percepito leggero. Non e' infatti un caso che con la bici in salita si percepisca la sensazione che lo sterzo diventi piu' leggero, meno direzionale e talvolta molto propenso a chiudersi di lato (specialmente nelle salite molto ripide). La forza centrifuga, invece, interagendo con l'avancorsa innesca una dinamica che tende a compensare i primi due effetti, e quindi a rendere stabile l'avantreno anche in curva. Le forze sono in questo caso trasversali al telaio (sono le stesse che obbligano il pilota a inclinarsi di lato in curva) e proporzionalmente alla lunghezza l'avancorsa generano un momento opposto a quello che tende a far cadere lo sterzo verso l'interno della curva. Quanto piu' e' grande l'avancorsa tanto piu' sara' evidente l'effetto autostabilizzante. UN PO' DI STORIA (MATEMATICA) I primi tentativi di ricavare le equazioni del moto di una bicicletta risalgono agli inizi del '900. A tal fine, vennero sviluppati modelli semplificati di bicicletta, generalmente formati da quattro corpi rigidi connessi fra loro: • La ruota anteriore • La ruota posteriore • Il gruppo forcella-manubrio • Il gruppo ciclista-telaio Per la determinazione delle equazioni, i ricercatori si basavano sulle leggi di Newton applicate ai singoli corpi rigidi o sulle equazioni di Eulero-Lagrange. I modelli proposti trascuravano molti parametri fondamentali che come abbiamo visto influenzano la stabilità del sistema. Più in dettaglio: Whipple (1899): considera il pilota rigidamente vincolato alla bicicletta, che può ruotare lateralmente Carvallo (1901): sviluppa un modello di bicicletta con ruote identiche, in cui il ciclista e il telaio sono considerati una singola entità, la massa del gruppo anteriore è posizionata nel centro della ruota anteriore e le sue proprietà inerziali sono quelle della ruota Bower (1915): elabora un modello che consiste in un telaio posteriore con il centro di massa sopra il punto di contatto posteriore; rispetto ai modelli precedenti aggiunge l'inerzia delle ruote, ma considera lo sterzo bloccato; nei calcoli, ignora i prodotti di inerzia, scelta plausibile solo per la parte posteriore, ma non per quella anteriore, a meno di trascurare l'avancorsa; infine, non considera lo spostamento laterale dei centri di massa anteriore e posteriore causato dall'angolo di rollio Timoshenko e Young (1948): derivano equazioni non lineari per un modello di bicicletta caratterizzato dall'avere una sola massa puntiforme nella parte posteriore e l'angolo di sterzo controllato dal ciclista; il loro modello non considera l'inerzia delle ruote, l'avancorsa e la distanza del centro di massa della parte anteriore dall'asse di sterzo Collins (1963): sviluppa in collaborazione con la Harley Davidson un modello di bicicletta su cui è applicata una forza di guida sulla ruota posteriore e una forza per simulare la resistenza aerodinamica sul gruppo forcella; deriva poi espressioni non lineari per la velocità e l'accelerazione dei centri di massa anteriore e posteriore e, come i precedenti, linearizza attorno alla posizione di equilibrio verticale; considera le forze di guida e aerodinamica funzioni del quadrato della velocità di avanzamento, alterando le forze di contatto sulle ruote anteriore e posteriore, e considera nulli l'angolo e la velocità di scivolamento laterale, riducendo da tre a due i gradi di libertà del sistema - Singh (1964): aggiunge al modello di Collins lo scivolamento laterale del pneumatico in funzione dell'angolo di rollio, ma solo nel caso di curva stazionaria - Roland (1971): pubblica un articolo per la Schwinn Bicycle Company contenente il primo studio al computer delle equazioni non-lineari rappresentanti il moto di una bicicletta; considera lo scivolamento laterale del pneumatico e il rollio del ciclista; ricava otto equazioni del moto: tre descrivono il bilancio di forze per l'intera bicicletta, tre il bilancio dei momenti, la settima il bilancio dei momenti per il gruppo anteriore attorno all'asse sterzo e l'ottava rappresenta il grado di libertà di rollio della parte superiore del corpo del ciclista - Singh e Goer (1975): presentano un modello matematico del dodicesimo ordine; sviluppano una formulazione Lagrangiana, ma considerano una distribuzione delle masse asimmetrica lateralmente, lo scivolamento laterale, le forze aerodinamiche, lo smorzamento viscoso sullo sterzo e soprattutto le forze e i momenti che si sviluppano nei pneumatici - Lowell e McKell (1982): sviluppano un sistema di equazioni linearizzate considerando una massa puntuale nella parte posteriore, l'inerzia dell'asse sterzo, gli effetti giroscopici delle ruote, ma trascurando la massa anteriore e l'inclinazione dell'asse dello sterzo; la bicicletta perde la capacità di auto-riallineamento Purtroppo nessuno di loro risolse le equazioni, risultando di fatto impossibile confrontare i risultati ed ottenere da questi lavori informazioni qualitative o quantitative. Solo nel 1988 Richard Scott Hand ha sviluppato un modello semplificato di bicicletta, ha ricavato le equazioni di moto e ha studiato la stabilità del sistema adottando il criterio di Routh-Hurwitz: attraverso il calcolo degli autovalori (le radici del polinomio caratteristico del sistema) e dei corrispondenti autovettori è possibile determinare le frequenze proprie e le forme dei modi del sistema che rappresenta una bicicletta in moto a una data velocità. L'analisi degli autovalori permette di valutare quantitativamente la stabilità della bicicletta. Le informazioni relative agli autovettori possono essere utilizzate per cercare di capire come la bicicletta diventi instabile e quali gradi di libertà del sistema contribuiscano all'instabilità. Lo studio di autovalori e autovettori può però essere condotto solo su un sistema di equazioni di moto lineari o linearizzate. L'applicazione del criterio di Routh-Hurwitz permette di valutare la stabilità di una posizione di equilibrio attraverso un'analisi dei coefficienti del polinomio caratteristico del sistema. Tale analisi consente di determinare eventuali autovalori a parte reale positiva (causa di instabilità) senza calcolarli. Molto sinteticamente, diciamo che - linearizzando e parametrizzando le equazioni del sistema in funzione di una "variabile di controllo totale" K, che definiamo intuitivamente dicendo che la condizione necessaria e sufficiente per l'asintotica stabilità del sistema è che questa stia al di sopra di un valore minimo (sotto il quale il sistema è instabile) - lo studio dei veicoli a due ruote diventa una buona palestra e un ottimo campo di applicazione dei metodi matematici piu' avanzati nello studio dei sistemi dinamici complessi.