Materiale di supporto per il “buon giorno” o altri brevi momenti di riflessione
Le diverse pratiche di culto
Nelle seguenti pagine troverai la descrizione delle diverse pratiche di culto delle principali religioni
presenti sul continete asiatico.
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BUDDHISMO
Le principali pratiche del buddhismo sono :
- la meditazione, di cui le varie scuole buddiste hanno sviluppato tecniche particolari e organizzato il processo
meditativo in maniera diversa; è lo strumento più importante per attuare quella trasformazione della mente che
consente di approdare alla visione della libertà. Si possono comunque distinguere due fasi : la meditazione di
calma (samatha) e la meditazione di visione (vipasyana o vipassiana) il cui obiettivo è il raggiungimento di
stati di profonda concentrazione (samadhi) e sviluppo della saggezza trascendente.
- il merito è il potenziale positivo che deriva da un’azione meritoria che sono gli atti di generosità, la recitazione dei sutra, il comportamento moralmente corretto e la meditazione.
- il pellegrinaggio è uno dei modi per acquisire merito. Buddha stesso prescrisse la visita ai 4 luoghi santi
dove ebbero luogo gli eventi più importanti della sua vita : Lumbini (nascita), Bodhgaya (illuminazione),
Sarnath (primo sermone) e Kusinagara (parinirvana). Si aggiunsero le 4 località dove avvennero i miracoli
compiuti dal Buddha e altri luoghi sacri per la presenza di stupa (santuari) o reliquie di Illuminati.
- il rifugio nei tre gioielli : “prendo rifugio nel Buddha, prendo rifugio nel Dharma, prendo rifugio nel Sangha”
(la comunità)
Laici e monaci condividono questa adesione che però si differenzia nella pratica di vita.
Per i laici ciò comporta l’osservanza di 5 precetti :
1. non nuocere a nessun essere vivente
2. non rubare
3. non avere un comportamento sessuale scorretto
4. non mentire
5. non assumere sostanze intossicanti
Nei paesi di tradizione Theravada (sud-est asiatico), i laici possono osservare anche otto precetti. I tre aggiuntivi sono : non mangiare cibi solidi dopo mezzogiorno; non partecipare a feste con musiche e danze e non
vestirsi elegantemente e ornarsi; non dormire su letti alti.
I laici possono assumere questi voti in occasioni particolari, in maniera parziale e per periodi limitati di tempo.
La loro assunzione è considerata un atto importante per il merito.
- la preghiera intesa come supplica o richiesta d’aiuto è del tutto estranea al contesto buddhista, in quanto la
salvezza dipende esclusivamente dall’impegno personale e nulla può venire dall’esterno a migliorare la situazione spirituale. Esiste invece come invocazione, celebrazione delle qualità del Buddha o di un bodhisattva
(illuminato al servizio degli altri), come lettura e recitazione di sutra.
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Intorno agli edifici buddhisti è richiesto di camminare in senso orario, sia all’interno che all’esterno. Non è
permesso fumare o bere alcol nei luoghi santi. I principali edifici religiosi sono le pagode e gli stupa. Lo stupa,
in origine tumulo funerario destinato a contenere le ceneri di un illuminato, è il monumento commemorativo
del Buddha e della sua dottrina. La presenza nello stupa delle ceneri del Buddha (o di un sostituto della reliquia) accende il monumento di potenzialità e lo trasforma in un magico talismano capace di irradiare la propria
forza benefica a chiunque vi si accosti e gli renda omaggio.
- la morte occupa un posto importante nel buddismo e speciali riti sono destinati a questo evento. Nel buddhismo tibetano i riti funerati duranto 49 giorni nel corso dei quali i monaci recitano il Bardo thodol, conosciuto
come “il libro dei morti”. Ad eccezioni del Tibet, dove vengono praticati i “funerali celesti” (in cui il corpo del
defunto viene ritualmente smembrato e offerto come cibo agli avvoltoi), in tutto il mondo buddhista i defunti
vengono cremati(p.282)
(Nicoletta Celli, Buddismo, Dizionari delle religioni, Electa, Milano, 2007)
ISLAMISMO
Le cinque pratiche che sono chiamate i “Cinque Pilastri” dell’Islam, i fondamenti della vita musulmana,
sono: la professione di fede, la preghiera, l’elemosina obbligatoria, il digiuno durante il mese di Ramadân e il
pellegrinaggio alla Mecca per coloro che sono in grado di farlo.
1.
LA PROFESSIONE DI FEDE. « Non vi è alcun Dio al di fuori di Dio e Muhammad è il suo Profeta
»: è detta shahâda ed è identica per tutti i fedeli.
2.
LA PREGHIERA. Salât è il nome delle preghiera rituale che si recita cinque volte al giorno e che
costituisce il legame diretto tra il credente e Dio. Non esistono autorità gerarchiche, né sacerdoti nell’Islam, di
conseguenza la guida della preghiera è affidata a una persona che conosca il Corano, scelta dall’assemblea. La
preghiera rituale contiene versetti del Corano, è recitata in lingua araba, la lingua della Rivelazione e si svolge secondo rigide prescrizioni per quanto riguarda le varie posizioni del corpo. Suppliche personali possono
essere tuttavia recitate nella lingua di ogni fedele. La preghiera si recita all’alba, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto e quando cade la notte, scandendo così il ritmo dell’intera giornata. Sebbene sia preferibile
pregare insieme in una moschea, un musulmano può pregare quasi ovunque, nei campi, in ufficio, in fabbrica,
all’università. Chi visita il mondo arabo rimane colpito dall’ importanza delle preghiere nella vita quotidiana
delle persone. Per calcolare gli orari della preghiera secondo il luogo di residenza.
3.
LA ZAKAT. Tutte le cose appartengono a Dio e quindi la ricchezza è data solo in affidamento all’uomo. La parola zakât significa sia purificazione, sia crescita. I nostri averi sono purificati mettendo da parte una
porzione di essi per i bisognosi. Trattandosi di un’elemosina legale, sottostà a condizioni particolari e ha di
solito un valore fisso. Tuttavia forme e contenuti della zakât sono evolute con il progresso degli scambi. Una
seconda zakât al-Fitr (l’elemosina della rottura del digiuno) è piuttosto simbolica e convalida il digiuno del
Ramadân. Inoltre una persona pia può dare quello che desidera come sadaqa, dono spontaneo e preferibilmen-
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te in modo riservato. Sebbene il termine possa essere tradotto come carità volontaria esso ha un significato
molto più ampio.
4.
IL DIGIUNO. Ogni anno, durante il mese di Ramadân, tutti i Musulmani digiunano dall’alba al tramonto, astenendosi da cibo, bevande e rapporti sessuali. Si tratta di un digiuno rituale e legale. Gli ammalati,
i vecchi, chi si trovi in viaggio e le donne in stato interessante o che allattino, sono autorizzati a interrompere
il digiuno, osservando poi nel corso dell’anno un numero di giorni di digiuno equivalente a quelli non effettuati. Coloro che sono fisicamente impossibilitati ad osservare il digiuno debbono offrire cibo a una persona
bisognosa per un numero di giorni uguale a quello in cui non si è osservato il digiuno. I bambini iniziano a
digiunare (e a recitare le preghiere) dalla pubertà, sebbene molti inizino ancora prima. Il digiuno, anche se
molto salutare, viene osservato principalmente come metodo di autopurificazione. Chi digiuna, anche se per
breve tempo, si pone in sintonia con tutti coloro che digiunano e, nel contempo, cresce spiritualmente.
5.
IL PELLEGRINAGGIO. Il pellegrinaggio alla Mecca - Hajj - è un dovere, una volta nella vita, per
tutti coloro che siano in grado di adempierlo sia fisicamente, sia economicamente. Circa due milioni di fedeli,
provenienti da ogni parte del mondo, si recano ogni anno alla Mecca e ciò rappresenta, tra l’altro, un’opportunità unica di incontro tra individui di diverse nazionalità. Sebbene la Mecca sia sempre piena di visitatori,
il pellegrinaggio annuale inizia il dodicesimo mese dell’anno islamico (che è lunare, non solare, quindi sia
l’Hajj, sia il Ramadân possono cadere con regolarità tutti i mesi dell’anno). I pellegrini si mettono in stato di
purità rituale e indossano vesti speciali: indumenti semplici che cancellano ogni distinzione sociale e culturale,
affinché tutti siano uguali davanti a Dio. Il rito dell’Hajj, che risale ad Abramo, vuole che si compiano sette giri
attorno alla Ka’ba e che si percorra sette volte il tragitto tra le alture di Safa e Marwa, come fece Hagar, moglie
di Abramo, mentre era alla ricerca dell’acqua per suo figlio Ismaele. Poi i pellegrini si raccolgono sui pendii
e intorno al monte Arafat e si uniscono in preghiera per impetrare il perdono divino, cosa che viene spesso
vista come anticipazione del Giudizio Universale. Concludono con la lapidazione simbolica di Satana. La fine
del pellegrinaggio è segnata da una festività - Eid al-Adha - che si celebra con l’immolazione degli animali
sacrificali (per lo più un montone), con preghiere e scambio di doni in seno alle varie comunità musulmane.
(www.arab.it)
Tra le pratiche che segnano i passaggi della vita, ricordiamo:
- la circoncisione benché non prescritta dal Corano, è praticata tradizionalmente da tutti i musulmani, ma l’età
varia molto: in Arabia e in Egitto tra i 3 e i 7 anni; in Turchia tra i 7 e i 12; a Giava tra i 14 e i 16.
- il matrimonio musulmano,“la metà della religione”, non è un sacramento, ma un semplice accordo legale,
nel quale ogni partner è libero di includere clausole. Gli usi in tale ambito variano molto da paese a paese. Il
divorzio, pur essendo considerato come estremo rimedio, (“l’atto lecito più odiato da Dio”), si presenta spesso
sotto forma di ripudio unilaterale da parte dell’uomo. Secondo l’Islam, nessuna ragazza musulmana può essere indotta a sposarsi contro la sua volontà: i suoi genitori le potranno semplicemente suggerire i giovani da essi
ritenuti più idonei. Di fatto, negli ambienti tradizionali, è per lo più la famiglia (i tutori) a scegliere. Tentativi
di modernizzare le leggi e la prassi al riguardo incontrano spesso forte opposizione.
- il rito funebre prevede che il corpo, dopo le preghiere e le abluzioni, sia avvolto da abiti usuali o dal sudario
che era stato indossato durante il pellegrinaggio; poi, coperto da un drappo, è trasportato sino alla tomba su
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una barella, a passo veloce...Non è obbligatorio un cimitero; è possibile seppellire nel giardino di casa o in un
terreno di proprietà, ma il corpo deve essere sempre collocato nella terra, sul lato destro, con il viso rivolto
verso La Mecca.
INDUISMO
L’induismo “ pubblico” viene praticato nel tempio, con rituali diversi dei quali il più conosciuto è la puja.
Rituale quotidiano – da uno a otto al giorno – che consiste in offerte di doni ( luci e alimenti) al dio che “abita” quel tempio. Il rituale quotidiano è completato da cerimonie periodiche (mensili, annuali,...) che variano
secondo il luogo e che sono fissate in funzione del calendario in uso nella regione. Spesso le cerimonie sono
delle purificazioni.
Molte delle visite al tempio sono però iniziative personali, non dettate da orari o prescrizioni, ma dal bisogno
di avvicinarsi al proprio dio e di avere un’esperienza diretta del sacro (anubhava), partendo dalla sua tenue
presenza in noi e cercando con una diversità di mezzi di renderla concreta, immediata, sensibile al cuore se
non sempre ai sensi.
Nei templi induisti sono in genere ammessi solo gli induisti stessi.
Le frequenti sessioni di canti devozionali (bhajan e kirtan), organizzate sia nei templi sia in luoghi pubblici
profani che in case private possono essere sia improvvisate sia collegate a un periodo liturgico determinato.
Numerosissime sono le feste e i pellegrinaggi soprattutto negli alti luoghi santi (Bénarès, Hardwar, Gaya,
Prayag...).
Il gesto più conosciuto è però il Namasté (termine indi derivante dal sanscrito, da Namas + te, la radice Nam
ha valore di piegarsi, umile sottomissione e te=tu).
Namas: “Saluto reverenziale, inchino, adorazione, rispettosa obbedienza; l’inchino a mani giunte dedicando,
con l’unione delle dieci dita, i dieci sensi alla Divinità. È l’espressione esteriore dell’abbandono interiore”.
In sintesi : Namasté significa etimologicamente “mi inchino a te” ed in un più ampio significato il saluto Namasté significa: “Il divino che è in me saluta il divino che è in te”.
“Il gesto utilizzato come saluto per gli Hindu è chiamato “Namaskaram”, le due mani unite portate all’altezza
del cuore con il capo leggermente chino, dicendo Namaste, Namskar, o Namaskara nelle varie lingue del subcontinente indiano. È un gesto di amicizia e cortesia, anche un ringraziamento. Esso è divenuto una vera icona
dell’ospitalità e della spiritualità dell’india, Bharat.
In sanscrito namas significa “saluto riverente, inchino”, che deriva dalla radice nam, che ha significati come
“piegarsi, umile sottomissione”. Te significa “a te”. Quindi letteralmete “Mi inchino a te”, e comunica significati come “Onoro la luce che è in te” o “Adoro la divinità che è in te”. Namaste ci rammenta che tutti gli
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esseri, ogni esistenza è sacra.
Nel misticismo indiano è chiamato “Namaskaram mudra”, e molti ne sono significati e poteri. È simultaneamente un saluto parlato e un gesto, un mantra e un mudra. Il gesto delle mani giunte è chiamato “anjali” (radice anj, onorare, celebrare, ornare), che può rappresentare un cosmo apparentemente duale, oppure, il riunirsi
dello spirito e della materia, la mano destra la natura divina quella sinistra la natura terrena. Secondo alcuni
questa posizione delle palme e delle dita (mudra) agisce come una semplice asana , bilanciando ed armonizzando le energie, permette un riequilibrio interiore.
Il namasté può esprimere una più profonda venerazione quando si portano le dita delle palme unite alla fronte,
tra le sopracciglia, dove è localizzato i mistico “terzo occhio”, in corrispondenza del Ajna cakra. Un’ulteriore
forma di namasté porta le palme completamente al di sopra del capo, in corrispondenza del Brahma-randra,
l’apertura del Sahasrara chakra”.
(www.namaste.it/linkart/namaste.htm)
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