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EAN– European Astrosky Network
n. 2, giugno 2011
Webzine gratuita
www.eanweb.com
ASTRONOMIA & INFORMAZIONE
INDICE
 Editoriale
 Fabio FALCHI, La protezione del cielo notturno in Italia
 Alberto VILLA, Esperienze di spettrografia amatoriale: l’utilizzo del Star Analyser
 Cristian FATTINNANZI, La ripresa delle immagini di Giove nelle ultime
opposizioni
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AST RO NO MIA NOVA
n. 2, giugno 2011
REDAZIONE
Direttore editoriale: Rodolfo Calanca, [email protected]
Co-direttore: Angelo Angeletti, [email protected]
Redattore responsabile: Manlio Bellesi, [email protected]
Redattore: Lorenzo Brandi, [email protected]
Responsabile dei servizi web: Nicolò Conte [email protected]
In copertina: Foto di Giove realizzata il 12 agosto 2010 da Cristian Fattinnanzi con telescopio di 36cm, f/5, Focale equivalente di 8500mm, DBK21+IR cut.
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PROGETTI EAN
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n. 2, giugno 2011
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EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE EAN
L’uscita del primo numero di ASTRONOMIA NOVA e’ stata accolta con grande favore da centinaia di appassionati che hanno scaricato il PDF della rivista, molti dei quali hanno espresso parere favorevole e
hanno augurato lunga vita a questa nuova iniziativa.
Purtroppo però il secondo numero, propriamente nel formato PDF, esce con ritardo e ce ne scusiamo con
i nostri lettori. In realtà, gli articoli che compongono il numero di giugno erano già disponibili il 31 maggio sul sito EAN. Nonostante ciò, immaginiamo che molti di colori che ci seguono diranno che ci siamo di
nuovo, con una rivista che non è puntuale all’uscita!
Ci scusiamo per questo ritardo che, senza voler trovare giustificazioni inutili, è conseguenza
dell’organizzazione, complessa e difficile, del 4° Convegno EAN, che si è tenuto a Concordia sulla Secchia
(MO) il 27-28-29 maggio, al quale hanno partecipato un gran numero di astronomi,venuti da ogni angolo
del Paese. La serata inaugurale del Convegno, visibile nel sito EAN alla pagina http://www.eanweb.com/
dirette/ .
Detto ciò, promettiamo ai nostri lettori che non usciremo mai più in ritardo!
ALCUNE FOTO DELLA SERATA INAUGURALE DEL 4° CONVEGNO EAN: Rodolfo Calanca e Roberto Casari (presidente di
CPL), consegnano il premio “MARSDEN” a Nico Cappelluti. Nella foto a fianco: da sinistra, Mauro Dolci intervista Cesare Barbieri, Corrado Bartolini, Umberto Guidoni, Stefania Varano, Flavio Fusi Pecci e Jacopo Fo.
LA REDAZIONE DI ASTRONOMIA NOVA
Da sinistra: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Manlio Bellesi, Lorenzo Brandi, Nicolò Conte
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La protezione del cielo notturno in Italia1
Fabio Falchi
CieloBuio-Coordinamento per la Protezione del Cielo Notturno
ISTIL- Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Inquinamento Luminoso
[email protected]
Introduzione
L’inquinamento luminoso è una vera e propria forma di
inquinamento ambientale che sta crescendo esponenzialmente da alcuni decenni. Una sua definizione corretta è: alterazione ad opera dell’uomo dei livelli di luce
naturale presenti nell’ambiente notturno.
Anche se la luce ha solitamente un’immagine positiva,
questo non significa che un suo uso a sproposito e quando dovrebbe esserci il buio non provochi serie conseguenze. La vita si è evoluta nel corso di miliardi di anni
con l’alternanza del giorno e della notte. Quando questa
alternanza viene meno, ottenendo quello che potrebbe
essere chiamato il dì di 24 ore, i danni all’ambiente e
all’uomo cominciano a manifestarsi seriamente.
I primi ad accorgersi del problema sono stati gli astronomi professionisti e dilettanti che si sono visti rubare
uno dei più grandi spettacoli della Natura, forse il più
grande e sicuramente quello che era più universale, osservabile da qualsiasi angolo del pianeta: il cielo stellato
(fig. 1). Quella dovuta alla sparizione del cielo stellato è
una perdita culturale senza precedenti: i giovani d’oggi
non hanno la possibilità di godere della vista di quella
che da sempre è stata una delle principali fonti di ispirazione per la Scienza e la cultura in genere.
Gli astronomi professionisti tentano di porre rimedio al
problema trasferendo i loro grandi strumenti in alcuni
tra i luoghi più remoti della Terra o in lanciando costosissimi telescopi spaziali. Tutti gli altri invece non possono più godere della bellezza del cielo, se non sottoponendosi a veri e propri viaggi alla ricerca degli ultimi
cieli discretamente bui.
Abitando al centro della Val Padana, ad esempio, i siti
relativamente bui, ma certamente non incontaminati,
distano almeno 4-5 ore di auto. Purtroppo però a volte
contribuiscono ad inquinare i nostri cieli proprio gli astronomi professionisti, come si vede bene in figura 2
dove il paraboloide dell’antenna dell’osservatorio di Medicina è illuminato da basso.
L’inquinamento luminoso, a differenza di molti altri
(nucleare, chimico ecc.), sarebbe in teoria immediatamente annullabile, spegnendo tutte le luci notturne.
Questo per ora non risulta socialmente ammissibile sostanzialmente perché l’uomo ha un’ancestrale paura del
buio che viene mascherata da più o meno reali esigenze.
Una tra le più inflazionate è quella della sicurezza. E’
opinione comune che la luce serva da deterrente contro
la criminalità, ma questo non significa che sia vero. Un
tempo era opinione comune che la Terra fosse piatta,
non per questo lo era realmente!
Fig. 1: Il cielo stellato, impreziosito dalla cometa Hale-Bopp (foto
dell'autore).
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Nessuno studio serio ed indipendente ha mai dimostrato che l’aumento dell’illuminazione porti ad una diminuzione della criminalità [1-3], sembrerebbe addirittura
vero il contrario (Fig. 3).
Danni provocati dall’inquinamento luminoso
Sono ben dimostrati, al contrario dei benefici, alcuni dei
danni che l’inquinamento luminoso infligge all’ambiente
e all’uomo [4-6]. Tra questi:
- Alterazione dell’attività fotosintetica nelle piante;
- Difficoltà di orientamento (es. uccelli migratori,
falene, tartarughe, anfibi);
- Modifiche nelle abitudini di predazione, foraggiamento e accoppiamento degli animali notturni;
- Modifiche nella catena alimentare degli ecosistemi
esposti ad inquinamento luminoso. Tutto questo
porta alla morte di singoli esemplari e al pericolo di
estinzione locale e globale delle specie coinvolte;
Immissione non necessaria in atmosfera di gas serra: ogni lampada da 150 W, che per funzionare ha
bisogno di energia prodotta in gran parte mediante
consumo di combustibili fossili, immette in atmosfera tanto biossido di carbonio quanto ne assorbono crescendo circa 15 alberi a medio fusto;
- Alterazione dei ritmi circadiani di animali e uomo;
- Spreco energetico per illuminare dove e quando
non strettamente necessario;
- Danno alla cultura, sia umanistica che scientifica:
l’uomo, fin dall’antichità, ha osservato il cielo traendone fonte di ispirazione scientifica, filosofica, poetica e religiosa. Fonte che si sta inesorabilmente esaurendo;
Fig. 2: L’antenna dell’Osservatorio di Medicina illuminata dal
basso, a destra, fig. 4: è tratta dal comunicato stampa
dell’Internat iona l
Da rk -Sky
As soci at ion
(ht tp :/ /
docs.darksky.org/PR/PR_Blue_White_Light.pdf ), si vede come
il picco di emissione nel blu dei LED usati per illuminazione esterna coincida proprio con la sensibilità massima del nostro
corpo (‘circadian sensitivity’). E’ evidente quindi che l’uso dei
LED di questo tipo va regolato.
Fig. 3: Da La Stampa (pagina di Novara il 26-4-2000).
- Danno economico: in Italia vengono annualmente
spesi circa un miliardo di Euri per l’illuminazione
esterna. Almeno la metà potrebbe essere risparmiata.
- Danni alla salute dell’uomo.
Gli effetti dell’inquinamento luminoso sulla nostra salute derivano principalmente dall’alterazione dei ritmi
circadiani dovuti all’esposizione alla luce durante le ore
notturne. Queste alterazioni possono provocare vari effetti, come disturbi del sonno e della veglia e disordini
metabolici. La melatonina è fondamentale nel regolare i
ritmi circadiani e l’esposizione alla luce ne sopprime o
ne diminuisce la produzione. Il picco di efficacia nel
sopprimere la produzione di melatonina si ha nel blu,
attorno a 460 nm, come si vede in figura 4 (cortesia International Dark-Sky Association).
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La melatonina è anche un oncostatico e di conseguenza
abbassarne il livello nel sangue può far accelerare la crescita di alcuni tipi di cancro [7-9]. Alle conseguenze dirette dovute alle basse concentrazioni di melatonina nel
sangue si sommano anche altri effetti dovuti a disordini
del sonno o alla sua privazione come diabete, obesità ed
altri [6,10].
Come può la luce artificiale, essendo così debole rispetto
a quella solare, avere effetti così grandi sulla fisiologia
dell’uomo e degli animali? Il problema è che la luce artificiale è si molto più debole di quella solare, ma è anche
centinaia di migliaia di volte più intensa di quella che si
avrebbe di notte, in un ambiente naturale. Per la maggior parte del tempo notturno l’illuminamento dovuto
alle sorgenti naturali di luce è di circa un decimillesimo
di lux (o meno, quando il cielo è coperto). Solo nelle notti centrate attorno alla Luna piena si possono avere illuminamenti fino a circa 0,3 lux.
Fig. 6, sopra e sotto: nuove installazioni in Largo Pradella a
Mantova. Apparecchi fuorilegge vengono a volte installati. Le
segnalazioni degli astrofili sono necessarie per una puntuale
azione di controllo.
Le soluzioni
Analizzando in dettaglio la luminanza artificiale del cielo si trova che essa è dovuta principalmente alle emissioni dirette verso l’alto provenienti dagli apparecchi di
illuminazione e, in secondo luogo, alla luce riflessa dalle
superfici illuminate (strade, piazze, edifici ecc.).
L’importanza preponderante delle emissioni dirette è
stata ampiamente dimostrata [11-15] e per questo le migliori leggi contro l’inquinamento luminoso impongono
l’uso di apparecchi completamente schermati.
Esempi di installazioni altamente inquinanti e fuorilegge non mancano però nemmeno dove leggi contro
l’inquinamento luminoso sono in vigore da anni, come
si può vedere in figura 6 e 7.
Per quanto riguarda il tipo di lampade da impiegare per
rendere minimo l’impatto ambientale è necessario orientarsi verso quelle con la massima efficienza e le minori emissioni nel blu: le lampade al sodio ad alta e bassa pressione. Ultimamente, purtroppo, sta prendendo
piede la moda di utilizzare ovunque lampade agli alogenuri (o ioduri) metallici o LED a luce bianca. Queste
sorgenti emettono una luce ad ampio spettro, bianchissima, che inquina tutte le bande spettrali ed in particolare emettono molta luce blu che, come visto, causa la
soppressione della produzione notturna della melatonina.
Figura 5. Apparecchi completamente schermati (i tre al centro e in alto a destra); con errata inclinazione (in alto a sinistra) e a vetro curvo non schermati (in basso a destra) di giorno (foto a sinistra) e di notte (foto a destra). I soli che non emettono luce direttamente verso l'alto sono i tre apparecchi completamente schermati e con inclinazione nulla rispetto all'orizzonte.
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F i g. 7 : Pr oi e tt or i p e r
l’illuminazione dei monumenti
che illuminano oltre le sagome
degli edifici (Mantova).
L’uso di queste lampade ad ampio spettro (invece di
quelle al sodio con picco di emissione a 590 nm) potrebbe rendere le strade meno sicure per i guidatori oltre i
60 anni di età, come si può ben capire confrontando le
curve di trasmissione della luce attraverso il cristallino
mostrate in figura 8.
Fig. 8. Trasmittanza della luce nel cristallino umano in
funzione della lunghezza d’onda (da Brainard, Rollag,
Hanifin, 1997, J. Biol. Rhythms)
L’inquinamento luminoso inteso come luminanza artificiale del cielo si propaga, nelle notti limpide, a centinaia
di chilometri dalle sorgenti. Questo comporta un cospicuo ‘effetto somma’ di tutte le sorgenti nel provocare
l’aumento della luminosità del cielo in un sito.
Non è quindi più possibile allontanarsi di qualche decina di chilometri dalle città per poter tornare a godere di
un cielo incontaminato.
Le mappe pubblicate dal gruppo di ricerca di Pierantonio Cinzano, di cui l’autore fa parte, mostrano come
l’inquinamento luminoso permei gran parte dei territori
dei paesi più sviluppati [16]. La mappa di fig.9 evidenzia
come l’Italia abbia ormai ben poche zone relativamente
poco inquinate (alcune zone della Sardegna, della Toscana e della Calabria).
In tabella 1 sono riportate alcune statistiche che indicano come, ad esempio, circa la metà degli europei viva
sotto un cielo talmente inquinato da nascondere la Via
Lattea.
Per porre un argine efficace nel limitare l’inquinamento
luminoso è necessario adottare provvedimenti legislativi
seri, che basino i loro provvedimenti sulle evidenze
scientifiche e non sugli interessi di qualche singola parte. Una legge dovrebbe:
- eliminare totalmente le emissioni dirette verso
l’alto degli apparecchi (0 cd/klm a 90° e oltre)
- limitare i livelli di luminanza ed illuminamento
- limitare gli orari di accensione ai periodi effettivamente sfruttati
- limitare la crescita del flusso luminoso installat
(per bloccarla dopo qualche anno)
Tra le leggi che più proteggono l’ambiente notturno attualmente in vigore in Italia possiamo citare quelle delle
regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Marche,
Abruzzo, Umbria, Friuli-Venezia-Giulia, Puglia, Liguria,
Molise, Sardegna e Veneto (figura 10).
Fig. 9: Luminanza artificiale allo zenit espressa in rapporto a quella naturale (Cinzano, Falchi, Elvidge
2001).
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Brillanza del
cielo
Nazione
> 0.11
> Bn
> 27
>B
mw
Giappone
100
96
27
73
Russia
87
73
8
44
U.S.A.
99
93
30
71
Europa (E.U.)
99
90
8
51
Mondo
62
43
6
21
Tabella 1: Percentuale della popolazione che vive sotto un
cielo con luminanza artificiale maggiore di 0,11 (limite di
un cielo inquinato) volte, 1 volta (Bn), 27 volte e dove
l’inquinamento luminoso non permette più di osservare la
Via Lattea (Bmw). (Cinzano, Falchi, Elvidge 2001).
Proposta per astronomi ed astrofili
Le leggi, per quanto buone, devono però essere aiutate a
funzionare, soprattutto dal lato dei controlli delle infrazioni. Gli astrofili, nella maggior parte delle regioni, si
sono trovati su un piatto d’argento delle leggi contro
l’inquinamento luminoso, piatto spesso gentilmente
offerto da CieloBuio. In cambio però non fanno nemmeno lo sforzo di iscriversi all’associazione che ha regalato
loro uno strumento così formidabile per proteggere il
cielo. In figura 11 si vede come la brillanza artificiale del
cielo all’osservatorio astronomico di San Benedetto Po
(MN) non sia aumentata negli ultimi anni. Questo nonostante un raddoppio del flusso luminoso installato dovuto a nuovi impianti pubblici e privati e all’aumento
dell’efficienza del parco lampade installato. L’atteso
peggioramento dello stato del cielo non c’è stato grazie
soprattutto all’efficacia delle leggi adottate e nonostante
una loro applicazione solo parziale. Con un’applicazione
puntuale potremmo tornare a godere di cieli che oggi
non possiamo più ammirare da decenni. Per ottenere
questo risultato occorre però lo sforzo congiunto di tutti
gli amanti del cielo. Servono controlli capillari.
Del resto, certamente non mancano le notti nuvolose da
dedicare a qualche segnalazione di impianti fuorilegge.
Il compito dei controlli non può essere demandato ad
altri. Dobbiamo agire in prima persona. Gli strumenti ci
sono tutti, i modelli di lettera da spedire sono già pronti.
Tutto praticamente è già stato fatto, serve solo che almeno una o due persone per provincia controllino
l’applicazione delle leggi. Invito tutti quindi a visitare il
sito di CieloBuio (www.cielobuio.org), ad iscriversi
all’associazione e alla mailing list (gratuita, ovviamente)
Fig. 10: La mappa rappresenta la situazione delle leggi regionali contro l’inquinamento luminoso in Italia al 2010. Con i
vari colori si indica l’efficacia dei parametri tecnici adottati
per arginare il fenomeno.
In blu le leggi che impongono un flusso diretto nullo verso
l’alto, in azzurro leggi che ammettono piccole deroghe su alcune tipologie di impianto, in giallo sono ammessi flussi verso
l’alto fino al 3%, in rosso sono rappresentate le leggi senza
parametri tecnici o con parametri inefficaci, in bianco le regioni senza alcuna regolamentazione. Per ogni regione è indicata
la data di approvazione della legge. Mappa tratta dallo studio
dell’autore Campaign of sky brightness and extinction measurements using a portable CCD camera, Mon. Not. R. Astron.
Soc. 412, 33–48 (2011), doi:10.1111/j.1365-2966.2010.17845.x
dove chi ha già esperienza sarà ben lieto di accogliere i
nuovi ‘cavalieri della notte’. L’alternativa è l’inazione, la
lamentela improduttiva e il continuare a veder peggiorare, di anno in anno, il nostro cielo notturno.
Fabio Falchi, fisico, è
presidente di CieloBuio
e, oltre ad insegnare,
studia l’inquinamento
luminoso come membro
di ISTIL, anche in collaborazione con la National Oceanic and Atmospheric Administration
e l'OPCC Cilena.
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Fig. 11. Misure della brillanza artifi-
ciale del cielo a San Benedetto Po
(MN). Grafico tratto dallo studio
dell’autore Campaign of sky brightness and extinction measurements using a portable CCD camera, Mon.
Not. R. Astron. Soc. 412, 33–48
(2011), doi:10.1111/j.13652966.2010.17845.x
Nota 1: Parte di questo articolo è stata pubblicata in
‘L’eredità di Galileo:1609-2009’, Atti del XLVIII Congresso Nazionale AIF-Associazione per l’Insegnamento
della Fisica. Anno XLIII – Supplemento al n.4 OttobreDicembre 2010 di La Fisica nella Scuola.
BIBLIOGRAFIA
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Brighter Lighting Reduces Crime is Unfounded, The British
Journal of Criminology 44, 441-447
http://bjc.oupjournals.org/cgi/content/abstract/44/3/441
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4. Rich, C and Longcore, T., (2004) Ecological Light Pollution,
Front. Ecol. Environ.; 2(4): 191-198
5. Rich, C and Longcore, T., editors, (2006) Ecological Consequences of Artificial Night Lighting, Island Press.
6. Navara, K., J., Nelson, R., J., (2007) The dark side of light at
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8. Glickman, G., Levin, R., Brainard, G. C., (2002) Ocular Input
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9. Kloog, I., Haim, A., Stevens, R.G., Barchana, M., Portnov,
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10.Stevens, R.G., Blask, E. D., Brainard, C. G., Hansen, J.,
Lockley, S. W., et al., (2007) Meeting Report: The Role of
Environmental Lighting and Circadian Disruption in Cancer and Other Diseases, Environmental Health Perspectives, vol. 115, n.9, p.1357-1362
11.Cinzano, P. and Diaz Castro, F.J., 2000, The artificial sky
luminance and the emission angles of the upward light flux,
Memorie della S.A.It, vol.71, n.1, p.251
12.Cinzano, P., 2002a LIGHT POLLUTION BY LUMINARIES
IN ROADWAY LIGHTING, Presented at the CIE Division 4
- Meeting in Torino 28 Sep/2 Oct 2002 http://
www.cielobuio.org/supporto/luce/luce.htm
13.Cinzano, P., 2002 b, INTENSITA’ LUMINOSA DI UNA SUPERFICIE STRADALE PER UNITA’ DI FLUSSO LUMINOSO INSTALLATO, AGLI ANGOLI GAMMA PER CUI RISULTA PIU’ INQUINANTE, ControLuce 2002, http://
www.cielobuio.org/supporto/luce/luce.htm
14. Luginbuhl, C.B., Walker, C.E., Wainscoat, R.J., Lighting and
astronomy, Physics Today, December 2009, 32-37
15. Falchi, F., Campaign of sky brightness and extinction measurements using a portable CCD camera, Mon. Not. R.
Astron. Soc. 412, 33–48 (2011), doi:10.1111/j.13652966.2010.17845.x
16. Cinzano, P., Falchi, F., Elvidge, C.D., The first world atlas of
artificial sky brightness, Monthly Notices of the British
Astronomical Society, 328, 689-707, 2001
SITOGRAFIA
www.cielobuio.org
www.inquinamentoluminoso.it
www.istil.it
http://sternhell.at/
http://quantestelle.astronomy2009.at
www.globeatnight.org
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Spettrografia amatoriale : utilizziamo lo Star Analyser
Test eseguiti dal Centro Astronomico di Libbiano
Alberto Villa
Introduzione
Lo spettroscopio è uno strumento in grado di scomporre
la luce “bianca” proveniente da una sorgente nei vari
colori dell’iride, formando appunto quello che viene
chiamato uno "spettro", nell’ambito del quale ad ogni
“colore” è associata una determinata lunghezza d'onda.
Sono fondamentalmente tre i tipi di spettri che possiamo osservare (fig. 1):

lo spettro continuo, originato da un solido incandescente;

lo spettro di assorbimento, dove il continuo è solcato da righe scure ben definite generate da gas
inerte;

lo spettro di emissione, dove righe più brillanti
generate da gas eccitato risaltano su un continuo
molto più debole, se non addirittura assente.
In astronomia abbiamo a che fare con spettri di emissione e di assorbimento, le cui righe identificano gli elementi presenti nell’oggetto esaminato. Il fascino della
spettrografia è proprio quello di consentirci di andare
oltre la semplice ripresa fotografica, introducendoci alla
fisica e alla chimica dell’universo.
Il recente avvento di sensibilissimi dispositivi di ripresa
basati sulla tecnologia CCD e CMOS, ha aperto le porte
ad un interessante lavoro di spettrografia stellare a livello amatoriale, ed è proprio in questo campo che si è cimentata negli ultimi anni la AAAV (Associazione Astrofili Alta Valdera).
I risultati ottenuti con lo spettrografo realizzato dall’Ing.
Vittorio
Lovato
sono
disponibili
sul
sito
www.astrofilialtavaldera.it alla sezione “Spettrografia”.
Fig. 1: Tipi di spettro
In pratica si tratta di un reticolo di diffrazione di qualità
(100 linee per mm) montato in una cella porta filtro del
diametro di 31,8mm e che si può quindi avvitare a qualsiasi oculare o adattatore fotografico/CCD/Webcam delle stesse dimensioni. La superficie del reticolo di diffrazione è protetta con uno speciale vetro antiriflesso.
Per le sue caratteristiche, lo Star Analyser può essere
utilizzato sia per le riprese che per l’osservazione visuale, in ogni caso senza l’impiego di una fenditura con la
possibilità di orientare lo spettro risultante per le esigenze eventualmente richieste da una successiva elaborazione. Interessante analizzare l’immagine dello spettro
di Arturo (fig. 3) fornita dallo Star Analyser montato
direttamente sull’adattatore fotografico (Anello T2) applicato alla fotocamera digitale Canon 20D oppure su un
oculare per l’osservazione visuale.
Lo Star Analyser
Proprio per l’interesse in questo campo, la nostra attenzione è stata attirata da uno strumento di recente produzione che sembra particolarmente adatto per ottenere
interessanti risultati nella spettrografia amatoriale: lo
STAR ANALYSER.
Lo Star Analyser (fig. 2 a lato) è un particolare tipo di
spettrografo recentemente commercializzato, che sì è
rivelato molto versatile e pratico da utilizzare per alcune
tipologie di spettro.
Fig. 2 : Lo Star Analyser
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Al centro della fig. 3 si vede immagine di ordine 0
(zero), ovvero l’immagine di Arturo, e ai suoi lati gli
spettri di ordine 1 e 2 in ordine di luminosità decrescente. Il reticolo produce coppie di spettri di “n” ordini,
sempre più lontani dall’immagine di ordine zero e sempre più deboli: in fig. 3 sono visibili le due coppie di
spettri di ordine 1 e 2. Lo Star Analyser è realizzato in
modo tale da rendere il più luminoso possibile uno dei
due spettri di ordine 1 (quello a destra in fig. 3): è proprio questo spettro che utilizzeremo per le nostre analisi.
Scala dello spettro ripreso con lo Star Analyser
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Fig. 4: Prove di ripresa di spettri stellari con lo Star
Analyser effettuate con diversa scala di immagine.
Come si può notare in fig. 3, l’immagine ripresa inserendo nel treno ottico il solo Star Analyser fornisce uno
spettro di dimensioni modeste rispetto alla superficie
del sensore della camera utilizzata. Per ingrandire la
scala dell’immagine è necessario aumentare opportunamente la distanza tra lo Star Analyser ed il sensore, con
la possibilità di intervenire ulteriormente con un teleextender (o lente di Barlow), adeguatamente posizionato per evitare di ottenere effetti negativi sull’immagine
finale. Presso il Centro Astronomico di Libbiano sono
state eseguite alcune prove sul rifrattore Apo 180mm
f/9, per determinare la scala di immagine più opportuna, prove che sono riassunte nella fig. 4 e di seguito
TEST N. 2 – Arturo
Treno ottico: 20D + T2 + Prolunga Meade + Star Analyser + Apo 180
Rispetto al test precedente, viene inserito nel treno ottico l’accessorio della Meade che consente di fotografare
in proiezione da oculare: senza alcun oculare al suo interno come in questo caso, funge unicamente da elemento che aumenta la distanza tra il sensore della 20D e
lo Star Analyser. Lo spettro di Arturo risulta infatti più
ingrandito, pur lasciando ancora gran parte del sensore
inutilizzato. La prolunga è stata tolta in quanto non più
necessaria per mettere a fuoco l’immagine.
commentate.
TEST N. 3 – Arturo
Treno ottico: 20D + T2 + Prolunga Meade + Star Analyser + Barlow 2X + Apo 180
Di seguito, un commento ai test illustrati in fig.
4.
TEST N. 1 - Arturo
Treno ottico: 20D + T2 + Star Analyser + Prolunga +
Apo 180mm
Lo Star Analyser è stato semplicemente introdotto nella
configurazione ottica che vede la Canon 20D posta al
fuoco diretto del rifrattore Apo 180mm. Otteniamo in
questo modo l’immagine più piccola dello spettro, con la
maggior parte del sensore non utilizzato. La prolunga
viene inserita solo per raggiungere la corretta posizione
di messa a fuoco.
Rispetto al test precedente, viene inserita una lente di
Barlow 2X che, posizionata tra lo Star Analyser e
l’obiettivo del rifrattore, ingrandisce l’immagine del disco stellare di cui lo Star Analyser deve produrre lo spettro. Dato che la distanza tra Star Analyser e sensore non
cambia, lo spettro prodotto avrà la stessa dispersione
del test precedente, ma con le dimensioni del disco stellare raddoppiate. La risoluzione dello spettro però, non
può che diminuire, peggiorando il risultato finale, come
appare dal confronto tra i test 2 e 3 in fig. 4. Come regola generale, se ne ricava che è da evitare l’ingrandimento
delle dimensioni dell’oggetto “target” prima che la sua
immagine raggiunga il reticolo dello Star Analyser .
Fig. 3 – Arturo osservato attraverso un oculare sul quale è stato applicato lo Star Analyser
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TEST N. 4 – Arturo
Treno ottico: 20D + Tele Ext. 2X + T2 + Prolunga Meade + Star Analyser + Apo 180
Rispetto al test precedente è stata rimossa la lente di
Barlow. Tra il sensore (corpo macchina) e lo Star Analyser è stato invece aggiunto il Tele Extender Sigma 2X,
che consente di aumentare la dispersione dello spettro
risultante, senza aumentare le dimensioni della stelle da
analizzare e sfruttando le dimensioni del sensore di cui
si dispone. Per oggetti più deboli è in dotazione anche
un Tele Extender Sigma 1,4X il cui utilizzo potrebbe risultare meno critico lasciando più margine per quanto
riguarda il posizionamento sul sensore dell’immagine
“stella + spettro”.
TEST N. 5 - Denebola
Treno ottico: 20D + Tele Ext. 2X + T2 + Distanz. Meade
+ Star Analyser + Apo 180
Treno ottico invariato rispetto al precedente test. Si tratta in questo caso dello spettro di Denebola che – se osservato attentamente – mostra qualche dettaglio in più
rispetto ad Arturo per quanto riguarda le righe di assorbimento della serie di Balmer dell’idrogeno.
Tipologia di oggetti celesti e caratteristiche delle
ottiche adatte all’utilizzo dello Star Analyser
Confrontando lo spettro di Vega ripreso con il CCD Starlight Express attraverso lo spettrografo a prisma dotato
di fenditura posto al fuoco diretto del RC 500 di Libbiano (Fig. 5) con lo spettro di Denebola ripreso con la
Canon 20D collocata al fuoco diretto del rifrattore Apo
180mm sempre in dotazione al Centro astronomico di
Libbiano ed equipaggiata con Star Analyser e quindi
senza fenditura (Fig. 6), si nota come le righe di assorbimento siano molto più nette e visibili quando la fenditura viene utilizzata. Nelle immagini riprese con lo Star
Analyser, proprio a causa della mancanza di una fenditura le porzioni più luminose e brillanti dello spettro
tendono ad invadere le righe di assorbimento, la cui identificazione diventa sempre più critica a mano a mano
che queste diminuiscono di ampiezza e di intensità.
Fig. 6: Spettro di Denebola (a colori) ripreso con lo Star
Analyser senza
Operando con il RC 500mm di Libbiano, l’utilizzo della
fenditura (Fig. 7) è opportuno anche per la ripresa di
spettri stellari. E questo principalmente per due ragioni:

con una focale di 4 metri e pur con un minimo
di turbolenza, anche una sorgente stellare non è
puntiforme e l’uso di una fenditura di appropriata
apertura fornisce una buona risoluzione delle
righe spettrali;

quando l’oggetto ripreso dovesse spostarsi
anche impercettibilmente durante la posa, nel
momento in cui la stella esce dalla fenditura sul
sensore non arriva più luce, preservando ancora
una volta la buona risoluzione dello spettro.
Dalle prove fin qui effettuate, si è pertanto accertato che
lo Star Analyser risulta particolarmente indicato per la
ripresa di spettri stellari caratterizzati:
- da righe di assorbimento particolarmente evidenti
(ad es. stelle al carbonio)
- da righe di emissione (ad es. stelle con righe di
emissione come β Lyr e γ Cas, stelle Wolf Rayet,
comete, galassie attive, nebulose planetarie, ecc …)
- da peculiarità dello spettro presenti su vasta scala
(ad es. stelle al carbonio e comete)
Utilizzo dello Star Analyser con una fotocamera
digitale
In fig. 8, riportiamo gli spettri delle stelle Wolf Rayet
HD 192163 e HD 192641 e della stella al carbonio SAO
69636 (magnitudini comprese tra la 7,5 e la 8,5) ottenute con la Canon 20D nella configurazione ottica utilizzata nei precedenti test n. 4 e n. 5.
Fig. 5: Spettro di Vega ripreso con l’utilizzo della fenditura
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Pagina 13
Si è applicato lo stesso “treno ottico” illustrato in fig. 9
ad un rifrattore Apo 150mm f/6.7 (focale di 1000mm)
che dovrebbe fornire un’immagine stellare ancora più
puntiforme e allo stesso tempo più luminosa.
In fig. 10 è illustrato lo spettro della stella al carbonio
SAO 69636 ripreso con entrambe le ottiche: evidente il
miglior risultato ottenuto con la focale più corta (e in
questo caso anche più luminosa) che mostra righe più
definite e più numerose in relazione a una maggiore risoluzione determinata da un disco stellare più puntiforme.
Fig. 7: Vista frontale della fenditura dello spettrografo e manopola per la regolazione della sua apertura.
La tecnica della somma risulta particolarmente indicata
in quanto l’esposizione più breve garantisce una maggiore puntiformità della stella da analizzare, aumentando quindi la definizione dello spettro.
Sulla base dei test effettuati, possiamo affermare che per
ottenere un buon risultato con lo Star Analyser è necessario lavorare su immagini stellari puntiformi, il che
significa:

un’ottica di buona qualità;

una focale piuttosto corta;

tempi di posa possibilmente contenuti, ovvero una guida precisa.
Per quanto ovvio, più la sorgente da analizzare è luminosa, più siamo agevolati nel nostro lavoro: è pertanto
indicato un rapporto focale piuttosto basso.
In fig. 9 viene illustrata la configurazione ottica con la
quale sono stati ottenuti gli spettri mostrati in fig. 8,
ponendo il tutto al fuoco diretto del rifrattore APO
180mm f/9 del Centro Astronomico di Libbiano.
Per verificare come l’utilizzo di un’ottica differente possa influenzare il risultato finale, dopo aver effettuato le
prime riprese di spettri con lo Star Analyser applicato al
rifrattore 180mm f/9 di Libbiano (focale di 1620mm),
sono stati ripetuti alcuni test.
Valutazione dei risultati ottenuti con lo Star Analyser
Abbiamo ricavato il profilo degli spettri ottenuti su alcune stelle Wolf Rayet, provvedendo a confrontarli con
curve, reperite in rete, di qualità professionale.
Fig. 9 – Il treno ottico utilizzato per riprendere gli spettri
di alcune stelle peculiari (WR e stelle al carbonio) presso il
Centro Astronomico di Libbiano. Da sinistra:la fotocamera digitale,il tele-extender Sigma 1.4X (per oggetti luminosi per i quali sia visibile sia la sorgente che tutto lo spettro attraverso il mirino della fotocamera si può sostituire
con il tele-extender Sigma 2.0X);l’anello T2 dedicato alla
fotocamera utilizzata; un tubo di prolunga sul quale sia
possibile avvitare lo Star Analyzer (in questo caso è stato
utilizzato l’accessorio da utilizzarsi per la fotografia in
proiezione da oculare, ovviamente senza inserire al suo
interno alcun oculare).
Fig. 8: Spettro delle
stelle Wolf Rayet HD
192163 e HD 192641,
e della stella al carbonio SAO 69636 ottenuti
con lo Star Analyser.
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Di sicuro interesse, in fig. 11, il risultato ottenuto per la
stella Wolf Rayet HD 192163 (denominata anche WR
136).
Confrontando nella stessa figura il profilo ricavato per lo
spettro, ripreso a Libbiano, con quello professionale
reperito in rete, si tenga presente che il primo è stato
ottenuto con la camera digitale Canon 20D e non è calibrato in intensità. Si deve inoltre considerare che il sensore CMOS montato su molte reflex digitali ha un notevole calo di sensibilità per le lunghezze d’onda ai bordi
del visibile (violetto/rosso). Nonostante ciò, appare molto evidente la corretta identificazione delle righe di emissione e l’andamento generale del profilo dello spettro. Il risultato è molto incoraggiante e da paragonare
con le prove effettuate sugli stessi oggetti con il CCD
(vedi oltre): in ogni caso si consideri che utilizzando il
rifrattore Apo 150mm f/6.7 è stato possibile registrare lo
spettro della galassia attiva di Seyfert NGC 4151 di magnitudine integrata 10.3, ricavandone una curva attendibile e significativa, come appare dal confronto (Fig. 12)
con la curva ottenuta con un telescopio da 122 cm equipaggiato con spettrografo professionale presso
l’Osservatorio Astronomico di Asiago.
Fig. 10 – Spettro della stella al carbonio SAO 69636, situata nella costellazione del Cigno, ripreso con rifrattore Apo
180mm f/9 (in alto) e con rifrattore Apo 150mm f/6.7: evidente la migliore qualità/ definizione dello spettro ripreso
con focale più corta. L’immagine della stella analizzata è
mostrata anche ad ingrandimento 2X per evidenziare le
differenti dimensioni dei due dischi stellari.
Fig. 12: Galassia attiva di Seyfert NGC 4151: confronto tra lo
spettro ottenuto presso l’Osservatorio Astronomico di Asiago
con strumentazione professionale e CCD (in alto) e quello ottenuto dalla AAAV con camera digitale (in basso).
Calibrazione dello spettro ripreso con lo Star
Analyser: utilizzo di due punti con lunghezza
d’onda nota
Abbiamo visto che lo Star Analyser viene utilizzato senza fenditura e pertanto l’immagine tipica ottenuta, prima delle successive elaborazioni, è simile a quella mostrata in fig. 13. Per utilizzare in modo corretto il software di elaborazione degli spettri, è importante che lo
Star Analyser sia orientato in modo che lo spettro generato risulti parallelo alla base del fotogramma e con il
rosso sulla destra dell’immagine. Il software attualmente più indicato per l’elaborazione e la calibrazione di
spettri è senza dubbio “Visual Spec” (utilizzato anche da
osservatori
professionali,
www.astrosurf.com/
vdesnoux/), anche se buoni risultati si possono ottenere
pure con “Astrospectrum”, www.astropix.it/software/
astrospectrum.html. Entrambi i software citati necessitano di una immagine in formato “*fit” per poter processare lo spettro. Nel caso in cui l’immagine non sia già in
formato “fit” ma in formato “jpeg” o “raw”, è necessario
provvedere alla trasformazione utilizzando un software
appropriato (ad es. “Maxim DL” o “IRIS”). L’esempio
che segue illustra la procedura di calibrazione da seguire
con “Visual Spec”.
Alcuni accorgimenti:
 si deve utilizzare sia l’immagine dello spettro che
quello della sorgente che lo ha generato
 Lo Star Analyser scompone la luce a mezzo di un reticolo, lo spettro risultante è pertanto caratterizzato da
una dispersione / distribuzione omogenea delle frequenze. E’ perciò sufficiente disporre di due valori
noti di lunghezze d’onda per calibrare lo spettro.
Fig. 11: In basso a colori: lo spettro di HD 192163 ottenuto a
Libbiano con Canon 20D e Star Analyser e la successiva elaborazione con Photoshop. Al centro: il relativo profilo ottenuto
con Maxim DL. In alto: Spettro professionale di HD 192163
reperito in rete.
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Si procede come segue:
A) Attivare il software Visual Spec e aprire (File – Apri)
l’immagine in formato “fit” che contiene lo spettro da
elaborare insieme alla stella che lo ha generato.
B) Una volta aperta correttamente l’immagine, cliccare
su “display reference binning zone” (*) portando con il
mouse il rettangolo rosso che appare nell’immagine,
sullo spettro da elaborare (Fig. 14). Lo spessore del rettangolo può essere opportunamente regolata agendo
con il mouse sul lato superiore dello stesso
C) Cliccare su “Object binning” (+): in questo modo
appare il profilo non calibrato dello spettro che comprende anche la stella che lo origina (Fig. 15). Allo stesso
tempo compaiono anche le icone per la successiva calibrazione in frequenza.
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G) Si ripete ora l’operazione per una riga dello spettro di
cui sia nota la lunghezza d’onda: nel nostro caso identifichiamo il picco del C IV situato a 5806 Å; premiamo
“Enter/Invio” dopo aver digitato tale valore. Il software
a questo punto ha recepito i due valori necessari e sufficienti per calibrare uno spettro a dispersione lineare
prodotto da un reticolo.
H) Cliccando quindi su “graduation” (x) infatti, il grafico si completa con i valori calibrati in Angstrom (fig.
D) Cliccare su “Calibration 2 lines”
E) Se appare la maschera raffigurata qui sotto, proseguire cliccando su “Sì / Yes” .
F) Quindi, agendo con il mouse sul cursore scorrevole
rosso, selezionare una piccola area del grafico centrata
sul picco generato dalla stella: si apre una casella nella
quale digitiamo il valore 0 (zero) e confermiamo il tasto
“Enter / Invio”
Fig. 13: Tipica immagine ripresa con lo Star Analyzer,
che mostra diverse stelle con i relativi spettri. Evidente
lo spettro con le righe di emissione generato dalla stella
Wolf Rayet HD 192641
Fig. 14: L’immagine “fit”da elaborare, aperta con Visual Spec
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Calibrazione dello spettro ripreso con lo Star
Analyser: Utilizzo della sola immagine di ordine
zero
Il reticolo di diffrazione dello Star Analyser produce
uno spettro a dispersione lineare. Ciò significa che uno
stesso numero di Angstrom (Δλ) occupa esattamente la
stessa estensione in qualsiasi posizione dello spettro.
Questo fatto è molto importante in quanto gli Angstrom
che “misurano” lo spettro possono essere convertiti in
pixels dell’immagine visualizzata sullo schermo di un
PC.
Quando si inizia la procedura di calibrazione in lunghezza d’onda, il software Visual Spec (VS) è in grado di indicare la posizione del cursore sia in pixel che in Angstrom: per quanto ovvio prima della calibrazione è indicato solo il valore relativo ai pixel, mentre a calibrazione effettuata appaiono entrambi i valori (vedi sopra).
Trattandosi in questo caso di uno spettro a dispersione
lineare, si può ragionevolmente supporre che - mantenendo invariata la scala / dimensione del file da analizzare – tra l’immagine di ordine zero e una riga di lunghezza d’onda nota ci sia sempre (anche prima di calibrare lo spettro) lo stesso numero di pixels: si effettua di
seguito una verifica prima sullo spettro di Beta Lyr (fig.
17) e quindi di HD 192163 (fig. 20), nei quali siamo in
grado di identificare a priori e con certezza il picco
dell’idrogeno a 6563 Å (riga Hα).
Fig. 16: Spettro di HD 193793 calibrato in lunghezza
d’onda
Nel grafico relativo allo spettro di Beta Lyr (fig. 17), indichiamo con A) il picco relativo all’immagine di ordine
zero e con B) quello relativo alla riga Hα dell’idrogeno.
Posizionando opportunamente il cursore sui picchi in
questione, leggiamo nell’apposito campo di Visual Spec i
seguenti valori in pixel:
433 per A), con valore in Angstrom noto a priori = 0
Å;
1465 per B) con valore in Angstrom noto a priori =
6563 Å per la riga Hα.
Per calcolare la distanza in pixels tra i due punti considerati basta effettuare la semplice sottrazione
1465 – 433 = 1032
L’immagine di ordine zero (0 Å) e la riga Hα (6563 Å),
nel nostro grafico distano pertanto tra loro 1.032 pixel
(valore che dovremo ritrovare per conferma in tutte le
immagini prodotte nella stessa scala ed analizzate con la
stessa procedura).
Se 6563 Å sono distribuiti su 1032 pixels, sarà immediato ricavare la risoluzione “Angstrom per pixel” del nostro grafico con la semplice operazione
6563 : 1032 = 6.3595 (arrotondato)
Ogni pixel corrisponde pertanto in questo caso a 6.3595
Angstrom; valore che – se il ragionamento impostato è
corretto – può essere considerato una costante da utilizzare per effettuare l’operazione inversa: ovvero risalire
dal valore in pixel a quello in Angstrom per un qualsiasi
punto lungo lo spettro da analizzare, come di seguito
illustrato (Fig. 18). Chiamiamo la nostra costante KÅ.
Fig. 15: Profilo non calibrato dello spettro e stella generatrice
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Fig. 17: Relazione tra pixels e Angstrom nello spettro di Beta Lyrae.
Come accennato, quando abbiamo già a disposizione la
lunghezza d’onda di una riga oltre al valore Å = 0 per
l’immagine di ordine zero, possiamo calibrare lo spettro
con la procedura appena illustrata. Facendo riferimento
alla fig. 18, proviamo invece a individuare il valore di
un’altra riga dello spettro utilizzando la costante calcolata, anche per verificare l’efficacia del procedimento. Per
la riga evidenziata nel cerchietto rosso, il valore in pixel
è di 1.357. La sua distanza dall’immagine di ordine zero
è pertanto di 924 pixels: 1.357 – 433 = 924
Moltiplicando tale valore per KÅ otteniamo il seguente
valore in Angstrom: 924 X 6.3595 = 5.876,18 Å
identificando davvero con buona approssimazione la
riga del He I caratterizzata da una lunghezza d’onda di
5875 Å (Fig. 19). A questo punto dobbiamo solo verificare che in un’altra immagine ripresa con la stessa identica strumentazione la distanza tra l’ordine zero e la riga
Hα sia sempre di 1032 pixel. Utilizziamo a questo scopo
lo spettro della stella Wolf Rayet HD192163, ottenuta
con lo stesso sensore/configurazione ottica (fig. 20).
Anche in questo caso la distanza tra l’immagine di ordine zero e la riga Hα è esattamente di 1.032 pixels, e la
risoluzione Angstrom per pixel conferma la costante:
KÅ = 6.3595
La verifica è molto importante perché solo così potremo
affermare che questa costante è valida per qualsiasi ripresa effettuata con lo stesso sensore/configurazione
ottica e che sia stata elaborata con la medesima procedura.
Ciò significa che potremo identificare le righe caratteristiche di un nuovo spettro avendo a disposizione il solo
valore noto di Å = 0 dell’immagine di ordine zero.
Per ottenere la lunghezza d’onda basterà rilevare la distanza in pixel tra la riga esaminata e l’ordine zero e
quindi moltiplicare tale valore per la costante KÅ.
Se si cambia la scala dell’immagine, avendo modificato
anche solo uno dei seguenti elementi:
tipo di sensore;
configurazione ottica;
distanza dello Star Analyser dal sensore;
procedura di elaborazione dell’immagine;
la costante KÅ dovrà essere opportunamente ricalcolata
per essere applicata con efficacia alla nuova scala
d’immagine.
Fig. 18 : Determinazione della lunghezza d’onda di una riga nello spettro,
calcolata utilizzando la costante “Angstrom per pixel”
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Fig. 19: Spettro di Beta Lyr reperito in rete nel quale è evidenziata anche la riga di emissione del He I
con lunghezza d’onda di 5875 Å.
A titolo d’esempio, la fig. 22 mostra come appare lo
spettro della stella al carbonio SAO 69636 ripresa con il
CCD del centro Astronomico di Libbiano.
Per effettuare un confronto appropriato tra i risultati
ottenuti con i due sensori, abbiamo nuovamente ripreso
lo spettro della stella Wolf Rayet HD 192163 con il CCD.
La curva ottenuta è illustrata in fig. 23.
Come si può notare l’andamento del profilo – rispetto a
quello ottenuto con la fotocamera digitale - è molto più
equilibrato e più vicino nel suo andamento a quello ripreso da un osservatorio professionale (Fig. 24) calibrato in intensità.
Utilizzo dello Star Analyser con un CCD
Nel corso delle prove eseguite presso il Centro astronomico di Libbiano abbiamo impiegato un CCD Starlight
SXVF-H5. Lo Star Analyser va semplicemente applicato
davanti al sensore avvitandolo alla filettatura già predisposta (Fig. 21). Come nel caso della fotocamera digitale, lo Star Analyser deve essere collocato alla giusta distanza affinché sul sensore si formi uno spettro di dimensioni opportune. Questo spettro comprenderà anche l’immagine di ordine zero per consentire la calibrazione con il procedimento sopra illustrato.
Per quanto riguarda le modalità di impiego, nulla varia
concettualmente rispetto a quanto esposto per la fotocamera digitale. L’immagine stellare dovrà essere il più
puntiforme possibile, in particolare quando si cercheràdi evidenziare qualche riga di assorbimento. La puntiformità dell’immagine stellare è direttamente proporzionale alla risoluzione dello spettro ottenuto.
Grazie alla maggiore sensibilità del CCD, rispetto alla
fotocamera digitale, cambieranno invece:

i tempi di posa a parità di magnitudine
dell’oggetto da riprendere;

la magnitudine limite raggiungibile

la resa del sensore alle diverse frequenze.
Fig. 21: Applicazione dello Star Analyser sul CCD utilizzato a Libbiano
Oltre a un miglior andamento generico del profilo per
quanto riguarda l’intensità, lo spettro ripreso a Libbiano
con il CCD risulta molto più sensibile nel rosso, tanto da
evidenziare in maniera netta la riga di emissione del N
IV a 7117 Å che la fotocamera digitale non riusciva a rilevare per un netto calo di sensibilità che si verifica a lunghezze d’onda superiori ai 7700 Å.
La riga del N IV è tra l’altro molto importante se ricordiamo cha la stella Wolf Rayet HD 192163 A classificata
nella classe spettrale WN6 proprio per la presenza
dell’azoto.
Per contro, il CCD Starlight SXVF-H5 utilizzato a Libbiano, concede qualcosa alla fotocamera digitale nel
blu / violetto dove quest’ultima riesce a rilevare ancora
qualche riga significativa al di sotto dei 4550 Å.
Fig. 20: Verifica della
risoluzione Angstrom
per pixel sullo spettro
di HD 192163
AST RO NO MIA NOVA
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Per quanto ovvio, i sensori a disposizione degli astrofili
sono numerosi, ed ognuno è caratterizzato dalla propria
risposta caratteristica: valutazioni di questo genere –
soprattutto a livello amatoriale - devono quindi essere
fatte in funzione del CCD o della fotocamera digitale
effettivamente utilizzati.
Conclusioni
Si può senza dubbio affermare che lo Star Analyser offre
all’astrofilo una vasta gamma di impiego nell’ambito
della spettrografia, arrivando, in certi casi, ad un livello
di prestazioni semi – professionali.
Mi preme sottolineare la facilità d’impiego di questo
accessorio, agevolata dalla mancanza della fenditura.
A Libbiano si sono ripresi spettri di stelle Wolf Rayet,
stelle al Carbonio, nebulose planetarie, galassie, comete
ed asteroidi e non è certamente da escludere – ad esempio – la possibilità di misurare in proprio lo spostamento verso il rosso di un quasar sufficientemente luminoso
come 3C 273 (magnitudine 13);
Tutto ciò senza dimenticare la cosa forse più importante: e cioè che lo Star Analyser è in grado di fornire questi
risultati utilizzando anche telescopi da campo che in
alcuni casi hanno addirittura fornito risultati migliori di
quelli ottenuti con una strumentazione semiprofessionale.
Ritengo lo Star Analyser un ottimo incentivo per stimolare l’astrofilo ad occuparsi di spettrografia, oltretutto
divertendosi!
Fig. 23 – Spettro della stella Wolf Rayet HD 192163 ottenuto con il CCD a Libbiano. Nel cerchio rosso la riga di emissione non rilevata con la fotocamera digitale (N IV a 7117
Å).
Fig. 24: (a destra) spettri di HD 192163, per confronto
con la fig. 23. In alto: spettro ripreso da un osservatorio professionale. In basso: spettro ripreso a Libbiano
con fotocamera digitale.
Fig. 22: Spettro della stella al carbonio SAO 69636 ripreso con il CCD di Libbiano
Alberto Villa è Presidente della AAAV - Ass.ne Astrofili Alta Valdera di Peccioli (PI), nell’ambito della quale è
responsabile delle sezioni
“Spettrografia”, “Eclissi” e “Pianeti extrasolari”.
Osserva dall' Osservatorio “Galileo Galilei” del Centro Astronomico di Libbiano (e - mail: [email protected] ).
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n. 2, giugno 2011
La ripresa delle immagini di Giove
nelle ultime opposizioni
Cristian Fattinnanzi
Bravi astrofili, che hanno seguito, negli ultimi anni, con
costanza, precisione ed efficacia, fenomeni eccezionali
sui maggiori pianeti del Sistema Solare!
Hanno così avuto occasioni uniche per contribuire allo
studio di questi corpi celesti con un livello di dettaglio
mai prima raggiunto.
Giove, tra il 2009 e fino alla primavera del 2011, si è esibito in una serie di accadimenti molto particolari. Successivamente è stata la volta di Saturno che, dalla fine
del 2010, ha presentato aspetti continuamente cangianti e altamente spettacolari, tutti puntualmente catturati
da astrofili di tutto il mondo.
Molti si chiedono come sia oggi possibile, anche per un
astrofilo medio, catturare dettagli planetari di altissima
qualità: che cosa è esattamente accaduto di così straordinario nel mondo della tecnologia nell’ultimo decennio?
Racconteremo anche noi una storia: correva l’anno
2001….
In quell’anno ancora molti studiosi di pianeti disegnavano meticolosamente con carta e matita quanto osservavano con l’occhio all’oculare, un’autentica arte, mentre
la fotografia chimica replicava in modo molto grossolano, con i piccoli telescopi, gli aspetti planetari.
In quegli anni cominciarono ad apparire delle autentiche meraviglie tecnologiche: i primi, costosissimi, CCD
raffreddati per uso astronomico, essenzialmente pensati
per immagini di profondo cielo, ma che consentivano, ai
loro fortunati possessori, di catturare anche discreti
“ritratti planetari”.
Ecco una delle migliori immagini di Giove che si potevano
ottenere, con pellicola chimica, negli anni Settanta. La foto è
stata scattata il 7 settembre 1974 con il “mitico” telescopio di
San Vittore (BO) di 45cm di diametro.
Fu allora che si scoprirono delle possibilità inaspettate
dall’impiego delle webcam, delle rudimentali telecamere
che disponevano di sensori CCD piccolissimi.
Alcuni geniali astrofili, esperti di informatica, le utilizzarono per riprese digitali astronomiche, aprendo, di fatto,
una porta verso un nuovo straordinario modo, rivoluzionario ed economico, di fotografare i pianeti.
Le webcam sono oggetti di largo consumo, praticamente
alla portata di tutti e nonostante non siano di grande
qualità elettronica, se usate nel modo giusto, assumono
un potenziale addirittura superiore a quello delle costose camere CCD, espressamente studiate per uso astronomico.
Con le webcam è possibile registrare brevi filmati invece
del singolo scatto, accumulando così centinaia di fotogrammi, i quali, una volta selezionati, allineati e sommati, forniscono un’immagine di straordinaria qualità,
“filtrata” dai disturbi atmosferici. La singola immagine
ottenuta dopo un’attenta elaborazione, può essere di
elevatissima qualità, di gran lunga migliore di quella dei
singoli fotogrammi e spesso consente di percepire dettagli eccezionalmente fini. Penso che a quegli astrofili che
circa un decennio fa introdussero la tecnica di ripresa
basata sulla webcam (non ne riporto i nomi per evitare
di dimenticarne qualcuno), vada riconosciuto il merito
di essere stati degli autentici precursori perché diedero
l’avvio ad un’autentica rivoluzione nell’imaging planeta-
Una delle mie prime riprese webcam in assoluto: Giove
ottenuto con un newton da 20 cm autocostruito ed una
Philips Vesta
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n. 2, giugno 2011
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Alcune delle webcam più usate tra gli astrofili per la ripresa dei pianeti: la Philips Vesta, con cui ho iniziato e ripreso fino
al 2009, la Philips Toucam, la DBK21 (con cui riprendo attualmente).
Da quel momento la strumentazione si è progressivamente raffinata, l’elettronica si è potenziata, ma i criteri
di ripresa ed elaborazione sono rimasti sostanzialmente
invariati.
Dopo questo excursus storico, torniamo ai fenomeni
osservati recentemente su Giove.
Durante la scorsa opposizione, geometricamente più
favorevole agli osservatori australi, il gigante gassoso
aveva dato la possibilità ad un bravo (e non meno fortunato) astrofilo australiano, Anthony Wesley, di riprendere per primo la piccola macchia nera generata da un
impatto asteroidale avvenuto sul pianeta il 19 luglio
2009.
Anthony ha immediatamente dato “l’allarme” e grazie
ad un efficiente giro di mail, nei giorni successivi al primo avvistamento, la macchia scura dell’impatto è stata
fotografata da moltissimi astrofili in tutto il mondo, oltre che dai professionisti e dal telescopio spaziale
“Hubble”, consentendone così uno studio continuativo
della sua evoluzione dinamica.
Con puntualità che ha dell’incredibile, un fenomeno analogo, sebbene di intensità inferiore, si ripeté all’inizio
dell’opposizione 2010.
Il 3 giugno 2010 infatti, Christopher Go, dalle Filippine
ed ancora Anthony Wesley, documentano addirittura
con due video indipendenti (e ovviamente contemporanei), un flash della durata di qualche secondo, avvenuto
nella banda equatoriale di Giove.
Questo secondo impatto, nonostante l’impegno degli
astroimagers, nei giorni successivi non mostra segni
evidenti e persistenti sul pianeta come il precedente del
2009, forse perché di minore energia o per il differente
luogo dell’impatto, molto più vicino all’equatore del pianeta. Sebbene questo secondo impatto sia assai rilevante, l’opposizione gioviana 2010 si farà ricordare per un
altro ben più evidente motivo: il pianeta si è presentato
all’osservazione completamente privo di una delle due
principali bande scure di nubi.
Candide nubi di ammoniaca hanno infatti nascosto alla
vista la sottostante banda equatoriale sud (SEB), lasciando visibile a quelle latitudini solamente la Grande
Macchia Rossa, apprezzabile in tutto il suo splendore
come un’enorme isola in mezzo ad un oceano bianco.
Questo anomalo e piuttosto raro fenomeno per la prima
volta “impressionava” i sensori digitali degli astrofili,
risultando quindi come un’occasione imperdibile per
documentarne l’evoluzione.
L’analisi costante e la qualità delle immagini ottenute
dai dilettanti hanno permesso di sorvegliare continuamente e approfonditamente il pianeta, in attesa di capire quale segno atmosferico avrebbe sancito l’inizio del
diradamento delle nubi e la successiva ricomparsa della
SEB. Come atteso, ormai nella seconda parte
dell’opposizione, il 9 novembre 2010, un piccolo punto
bianchissimo compare nel bel mezzo della ancora coperta SEB! Sembra piccola, ma si tratta di un’enorme, potentissima, tempesta: ben visibile con filtri al metano è
lei che da la scintilla iniziale alla ricomparsa della banda
equatoriale sud, scomparsa da mesi…..
Il primo a documentare questo dettaglio, guarda caso, è
Christopher Go, ancora una volta attento e costante nelle sue osservazioni.
La mia prima immagine dell’impatto del 19 luglio
2009, a circa 20 ore dalla scoperta.
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Una successiva ripresa della zona dell’impatto eseguita
in condizioni atmosferiche migliori. E’ stata elaborata
anche un’immagine 3D che mostra dall’alto la morfologia dell’impatto
Questo punto luminoso si espande ed inizia a generare
vorticosi pennacchi scuri e disturbi nella SEB che, gradualmente, scoprono varie parti della banda scura.
Siamo ormai in marzo 2011 e l’imminente fine
dell’opposizione purtroppo rende difficilissimo seguire
le ultime fasi del fenomeno, con Giove sempre più basso
al tramonto.
Tutto questo testimonia quanto il lavoro e la grande passione degli astrofili possa risultare complementare al
lavoro dei professionisti, i quali, non sempre, sono in
grado di dedicare tempo all’osservazione di questi fenomeni.
E’ molto positivo il fatto che queste scoperte su Giove
siano opera di due astrofili. Non è del tutto casuale, però. Gioca la sua parte, ovviamente, anche la fortuna, ma
grandissimi sono i meriti delle persone che hanno seguito con costanza il pianeta, dimostrando rigore, accuratezza e una dedizione straordinaria al monitoraggio del
pianeta.
L’ovale BA e la Grande Macchia Rossa in transito, circondata da un candido mare di nubi di ammoniaca
L’inconsueto aspetto di Giove nell’opposizione 2010,
qui visibile con il satellite Io in transito
L’evento che si attendeva da tempo: dopo la comparsa
di un piccolo puntino bianco, si genera una tempesta
vorticosa nella SEB (in alto a destra della banda centrale bianca).
Nel settembre 2010, intorno ai giorni dell’opposizione,
la SEB risultava ancora completamente bianca
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Contribuiscono anche altri fattori, ad esempio la collocazione in latitudine degli osservatori: non dimentichiamo che Giove solo da quest’anno si è mostrato con
un’altezza accettabile sull’orizzonte dell’emisfero boreale. Negli anni scorsi, è stato l’emisfero australe a godere
delle migliori condizioni di visibilità. Gli osservatori italiani non sono stati favoriti perché, quando i fenomeni
in questione furono osservati la prima volta, il Sole era
alto sull’orizzonte! La scoperta di fenomeni rilevanti
sulle superfici planetarie è un premio riservato a pochi
fortunati, ma non per questo bisogna demoralizzarsi e
interrompere un’attività costante che, se ben eseguita,
consente di raccogliere, in ogni caso, dati utili allo studio di fenomeni che devono essere costantemente monitorati. L’esperienza che ho accumulato in circa 10 anni
di riprese planetarie mi ha fatto capire che, prima di
tutto, occorre costanza. La variabile principale che determina la qualità dell’immagine è il seeing, cioè la turbolenza dell’aria.
L’evoluzione della tempesta è rapida: nel giro di due settimane è già estesa per diverse decine di gradi di longitudine gioviana
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L’ultima mia immagine del pianeta, ripresa ormai di
giorno, mostra i bordi esterni della SEB completamente
riemersi
Considerando che le condizioni atmosferiche ottimali
sono piuttosto rare, quantificabili in non più di 10 serate
in un anno in località tipiche italiane, se non si è disposti a uscire spesso con il telescopio, sarà molto probabile
che eventuali buone condizioni atmosferiche, tra l’altro
difficilmente prevedibili, ci sfuggiranno.
Questa costanza comporta grossi sacrifici, significa rinunciare ad impegni, ore di sonno, tempo libero, resistere al freddo delle rigide notti invernali…..
In secondo luogo occorre essere scrupolosi, ci sono alcune regole indispensabili per produrre un risultato di
qualità e scientificamente valido: collimare accuratamente lo strumento, focheggiare finemente, tempificare
precisamente le immagini (considerando l’istante
“centrale” del filmato), elaborare con delicatezza i risultati ottenuti, senza esagerare con le funzioni di contrasto. Altri consigli utili:
-in linea di massima, si utilizzino strumenti mediograndi, tra i 18 e i 40 cm di diametro, l’elevata luminosità aiuterà i sensori a riprendere con tempi più rapidi.
-utilizzare webcam o telecamere con sensori a colori o in
bianco e nero (in questo caso abbinato a una ruota porta
filtri per poi ricomporre l’immagine a colori) in gradi di
registrare filmati della durata di circa 2 minuti (il valore
massimo dipende dalla velocità di rotazione del pianeta)
La SEB inizia a ricomparire, ma ormai l’opposizione è a
alla fine, Giove risulta sempre più difficile da riprendere
-in base al tipo di camera CCD e allo strumento utilizzato, allungare la focale per raggiungere un valore adeguato a risolvere i dettagli alla portata della propria attrezzatura.
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-per meglio “congelare” la turbolenza atmosferica, privilegiare tempi di esposizione più brevi possibili, di solito
compresi tra 1/10 di secondo e 1/100 di secondo, in base
alla luminosità del soggetto. Impostare di conseguenza
un frame-rate elevato, tra i 10 e i 30 fotogrammi al secondo, per acquisire entro il tempo fissato più frames
possibili.
Rispettando queste di semplici ma irrinunciabili regole,
sarete pronti per ottenere immagini planetarie che in
qualsiasi caso potranno fornire un contributo scientifico.
Se poi la fortuna vorrà premiarvi lasciando su qualche
pixel del vostro sensore la traccia di un evento unico, in
grado di rendervi “famosi” nell’ambiente astronomico….
beh, meglio ancora!
Le fatiche sostenute spariranno in un istante e la soddisfazione personale sarà enorme.
Detto questo, non rimane che augurare a tutti voi buone
riprese e buon seeing!
A sinistra Christopher Go e Anthony Wesley, due tra i
migliori astrofotografi al mondo.
Un fotomontaggio con Giove e Saturno in congiunzione!
Una splendida immagine di Giove ripresa da Anthony Wesley, sotto un cielo spettacolare, da Murrumbateman
(Australia). Un cielo con queste straordinarie caratteristiche
non lo si trova in alcuna località italiana
Io ed il newton da 25 cm che uso, oltre
all’altro strumento da 36 cm di diametro,
per le mie riprese astronomiche dal terrazzo di casa, a Montecassiano (MC).
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