EAN– European Astrosky Network n. 2, giugno 2011 Webzine gratuita www.eanweb.com ASTRONOMIA & INFORMAZIONE INDICE Editoriale Fabio FALCHI, La protezione del cielo notturno in Italia Alberto VILLA, Esperienze di spettrografia amatoriale: l’utilizzo del Star Analyser Cristian FATTINNANZI, La ripresa delle immagini di Giove nelle ultime opposizioni Pagina 2 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 REDAZIONE Direttore editoriale: Rodolfo Calanca, [email protected] Co-direttore: Angelo Angeletti, [email protected] Redattore responsabile: Manlio Bellesi, [email protected] Redattore: Lorenzo Brandi, [email protected] Responsabile dei servizi web: Nicolò Conte [email protected] In copertina: Foto di Giove realizzata il 12 agosto 2010 da Cristian Fattinnanzi con telescopio di 36cm, f/5, Focale equivalente di 8500mm, DBK21+IR cut. SPONSOR PROGETTI EAN AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 3 EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE EAN L’uscita del primo numero di ASTRONOMIA NOVA e’ stata accolta con grande favore da centinaia di appassionati che hanno scaricato il PDF della rivista, molti dei quali hanno espresso parere favorevole e hanno augurato lunga vita a questa nuova iniziativa. Purtroppo però il secondo numero, propriamente nel formato PDF, esce con ritardo e ce ne scusiamo con i nostri lettori. In realtà, gli articoli che compongono il numero di giugno erano già disponibili il 31 maggio sul sito EAN. Nonostante ciò, immaginiamo che molti di colori che ci seguono diranno che ci siamo di nuovo, con una rivista che non è puntuale all’uscita! Ci scusiamo per questo ritardo che, senza voler trovare giustificazioni inutili, è conseguenza dell’organizzazione, complessa e difficile, del 4° Convegno EAN, che si è tenuto a Concordia sulla Secchia (MO) il 27-28-29 maggio, al quale hanno partecipato un gran numero di astronomi,venuti da ogni angolo del Paese. La serata inaugurale del Convegno, visibile nel sito EAN alla pagina http://www.eanweb.com/ dirette/ . Detto ciò, promettiamo ai nostri lettori che non usciremo mai più in ritardo! ALCUNE FOTO DELLA SERATA INAUGURALE DEL 4° CONVEGNO EAN: Rodolfo Calanca e Roberto Casari (presidente di CPL), consegnano il premio “MARSDEN” a Nico Cappelluti. Nella foto a fianco: da sinistra, Mauro Dolci intervista Cesare Barbieri, Corrado Bartolini, Umberto Guidoni, Stefania Varano, Flavio Fusi Pecci e Jacopo Fo. LA REDAZIONE DI ASTRONOMIA NOVA Da sinistra: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Manlio Bellesi, Lorenzo Brandi, Nicolò Conte Pagina 4 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 La protezione del cielo notturno in Italia1 Fabio Falchi CieloBuio-Coordinamento per la Protezione del Cielo Notturno ISTIL- Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Inquinamento Luminoso [email protected] Introduzione L’inquinamento luminoso è una vera e propria forma di inquinamento ambientale che sta crescendo esponenzialmente da alcuni decenni. Una sua definizione corretta è: alterazione ad opera dell’uomo dei livelli di luce naturale presenti nell’ambiente notturno. Anche se la luce ha solitamente un’immagine positiva, questo non significa che un suo uso a sproposito e quando dovrebbe esserci il buio non provochi serie conseguenze. La vita si è evoluta nel corso di miliardi di anni con l’alternanza del giorno e della notte. Quando questa alternanza viene meno, ottenendo quello che potrebbe essere chiamato il dì di 24 ore, i danni all’ambiente e all’uomo cominciano a manifestarsi seriamente. I primi ad accorgersi del problema sono stati gli astronomi professionisti e dilettanti che si sono visti rubare uno dei più grandi spettacoli della Natura, forse il più grande e sicuramente quello che era più universale, osservabile da qualsiasi angolo del pianeta: il cielo stellato (fig. 1). Quella dovuta alla sparizione del cielo stellato è una perdita culturale senza precedenti: i giovani d’oggi non hanno la possibilità di godere della vista di quella che da sempre è stata una delle principali fonti di ispirazione per la Scienza e la cultura in genere. Gli astronomi professionisti tentano di porre rimedio al problema trasferendo i loro grandi strumenti in alcuni tra i luoghi più remoti della Terra o in lanciando costosissimi telescopi spaziali. Tutti gli altri invece non possono più godere della bellezza del cielo, se non sottoponendosi a veri e propri viaggi alla ricerca degli ultimi cieli discretamente bui. Abitando al centro della Val Padana, ad esempio, i siti relativamente bui, ma certamente non incontaminati, distano almeno 4-5 ore di auto. Purtroppo però a volte contribuiscono ad inquinare i nostri cieli proprio gli astronomi professionisti, come si vede bene in figura 2 dove il paraboloide dell’antenna dell’osservatorio di Medicina è illuminato da basso. L’inquinamento luminoso, a differenza di molti altri (nucleare, chimico ecc.), sarebbe in teoria immediatamente annullabile, spegnendo tutte le luci notturne. Questo per ora non risulta socialmente ammissibile sostanzialmente perché l’uomo ha un’ancestrale paura del buio che viene mascherata da più o meno reali esigenze. Una tra le più inflazionate è quella della sicurezza. E’ opinione comune che la luce serva da deterrente contro la criminalità, ma questo non significa che sia vero. Un tempo era opinione comune che la Terra fosse piatta, non per questo lo era realmente! Fig. 1: Il cielo stellato, impreziosito dalla cometa Hale-Bopp (foto dell'autore). AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 5 Nessuno studio serio ed indipendente ha mai dimostrato che l’aumento dell’illuminazione porti ad una diminuzione della criminalità [1-3], sembrerebbe addirittura vero il contrario (Fig. 3). Danni provocati dall’inquinamento luminoso Sono ben dimostrati, al contrario dei benefici, alcuni dei danni che l’inquinamento luminoso infligge all’ambiente e all’uomo [4-6]. Tra questi: - Alterazione dell’attività fotosintetica nelle piante; - Difficoltà di orientamento (es. uccelli migratori, falene, tartarughe, anfibi); - Modifiche nelle abitudini di predazione, foraggiamento e accoppiamento degli animali notturni; - Modifiche nella catena alimentare degli ecosistemi esposti ad inquinamento luminoso. Tutto questo porta alla morte di singoli esemplari e al pericolo di estinzione locale e globale delle specie coinvolte; Immissione non necessaria in atmosfera di gas serra: ogni lampada da 150 W, che per funzionare ha bisogno di energia prodotta in gran parte mediante consumo di combustibili fossili, immette in atmosfera tanto biossido di carbonio quanto ne assorbono crescendo circa 15 alberi a medio fusto; - Alterazione dei ritmi circadiani di animali e uomo; - Spreco energetico per illuminare dove e quando non strettamente necessario; - Danno alla cultura, sia umanistica che scientifica: l’uomo, fin dall’antichità, ha osservato il cielo traendone fonte di ispirazione scientifica, filosofica, poetica e religiosa. Fonte che si sta inesorabilmente esaurendo; Fig. 2: L’antenna dell’Osservatorio di Medicina illuminata dal basso, a destra, fig. 4: è tratta dal comunicato stampa dell’Internat iona l Da rk -Sky As soci at ion (ht tp :/ / docs.darksky.org/PR/PR_Blue_White_Light.pdf ), si vede come il picco di emissione nel blu dei LED usati per illuminazione esterna coincida proprio con la sensibilità massima del nostro corpo (‘circadian sensitivity’). E’ evidente quindi che l’uso dei LED di questo tipo va regolato. Fig. 3: Da La Stampa (pagina di Novara il 26-4-2000). - Danno economico: in Italia vengono annualmente spesi circa un miliardo di Euri per l’illuminazione esterna. Almeno la metà potrebbe essere risparmiata. - Danni alla salute dell’uomo. Gli effetti dell’inquinamento luminoso sulla nostra salute derivano principalmente dall’alterazione dei ritmi circadiani dovuti all’esposizione alla luce durante le ore notturne. Queste alterazioni possono provocare vari effetti, come disturbi del sonno e della veglia e disordini metabolici. La melatonina è fondamentale nel regolare i ritmi circadiani e l’esposizione alla luce ne sopprime o ne diminuisce la produzione. Il picco di efficacia nel sopprimere la produzione di melatonina si ha nel blu, attorno a 460 nm, come si vede in figura 4 (cortesia International Dark-Sky Association). Pagina 6 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 La melatonina è anche un oncostatico e di conseguenza abbassarne il livello nel sangue può far accelerare la crescita di alcuni tipi di cancro [7-9]. Alle conseguenze dirette dovute alle basse concentrazioni di melatonina nel sangue si sommano anche altri effetti dovuti a disordini del sonno o alla sua privazione come diabete, obesità ed altri [6,10]. Come può la luce artificiale, essendo così debole rispetto a quella solare, avere effetti così grandi sulla fisiologia dell’uomo e degli animali? Il problema è che la luce artificiale è si molto più debole di quella solare, ma è anche centinaia di migliaia di volte più intensa di quella che si avrebbe di notte, in un ambiente naturale. Per la maggior parte del tempo notturno l’illuminamento dovuto alle sorgenti naturali di luce è di circa un decimillesimo di lux (o meno, quando il cielo è coperto). Solo nelle notti centrate attorno alla Luna piena si possono avere illuminamenti fino a circa 0,3 lux. Fig. 6, sopra e sotto: nuove installazioni in Largo Pradella a Mantova. Apparecchi fuorilegge vengono a volte installati. Le segnalazioni degli astrofili sono necessarie per una puntuale azione di controllo. Le soluzioni Analizzando in dettaglio la luminanza artificiale del cielo si trova che essa è dovuta principalmente alle emissioni dirette verso l’alto provenienti dagli apparecchi di illuminazione e, in secondo luogo, alla luce riflessa dalle superfici illuminate (strade, piazze, edifici ecc.). L’importanza preponderante delle emissioni dirette è stata ampiamente dimostrata [11-15] e per questo le migliori leggi contro l’inquinamento luminoso impongono l’uso di apparecchi completamente schermati. Esempi di installazioni altamente inquinanti e fuorilegge non mancano però nemmeno dove leggi contro l’inquinamento luminoso sono in vigore da anni, come si può vedere in figura 6 e 7. Per quanto riguarda il tipo di lampade da impiegare per rendere minimo l’impatto ambientale è necessario orientarsi verso quelle con la massima efficienza e le minori emissioni nel blu: le lampade al sodio ad alta e bassa pressione. Ultimamente, purtroppo, sta prendendo piede la moda di utilizzare ovunque lampade agli alogenuri (o ioduri) metallici o LED a luce bianca. Queste sorgenti emettono una luce ad ampio spettro, bianchissima, che inquina tutte le bande spettrali ed in particolare emettono molta luce blu che, come visto, causa la soppressione della produzione notturna della melatonina. Figura 5. Apparecchi completamente schermati (i tre al centro e in alto a destra); con errata inclinazione (in alto a sinistra) e a vetro curvo non schermati (in basso a destra) di giorno (foto a sinistra) e di notte (foto a destra). I soli che non emettono luce direttamente verso l'alto sono i tre apparecchi completamente schermati e con inclinazione nulla rispetto all'orizzonte. AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 7 F i g. 7 : Pr oi e tt or i p e r l’illuminazione dei monumenti che illuminano oltre le sagome degli edifici (Mantova). L’uso di queste lampade ad ampio spettro (invece di quelle al sodio con picco di emissione a 590 nm) potrebbe rendere le strade meno sicure per i guidatori oltre i 60 anni di età, come si può ben capire confrontando le curve di trasmissione della luce attraverso il cristallino mostrate in figura 8. Fig. 8. Trasmittanza della luce nel cristallino umano in funzione della lunghezza d’onda (da Brainard, Rollag, Hanifin, 1997, J. Biol. Rhythms) L’inquinamento luminoso inteso come luminanza artificiale del cielo si propaga, nelle notti limpide, a centinaia di chilometri dalle sorgenti. Questo comporta un cospicuo ‘effetto somma’ di tutte le sorgenti nel provocare l’aumento della luminosità del cielo in un sito. Non è quindi più possibile allontanarsi di qualche decina di chilometri dalle città per poter tornare a godere di un cielo incontaminato. Le mappe pubblicate dal gruppo di ricerca di Pierantonio Cinzano, di cui l’autore fa parte, mostrano come l’inquinamento luminoso permei gran parte dei territori dei paesi più sviluppati [16]. La mappa di fig.9 evidenzia come l’Italia abbia ormai ben poche zone relativamente poco inquinate (alcune zone della Sardegna, della Toscana e della Calabria). In tabella 1 sono riportate alcune statistiche che indicano come, ad esempio, circa la metà degli europei viva sotto un cielo talmente inquinato da nascondere la Via Lattea. Per porre un argine efficace nel limitare l’inquinamento luminoso è necessario adottare provvedimenti legislativi seri, che basino i loro provvedimenti sulle evidenze scientifiche e non sugli interessi di qualche singola parte. Una legge dovrebbe: - eliminare totalmente le emissioni dirette verso l’alto degli apparecchi (0 cd/klm a 90° e oltre) - limitare i livelli di luminanza ed illuminamento - limitare gli orari di accensione ai periodi effettivamente sfruttati - limitare la crescita del flusso luminoso installat (per bloccarla dopo qualche anno) Tra le leggi che più proteggono l’ambiente notturno attualmente in vigore in Italia possiamo citare quelle delle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Abruzzo, Umbria, Friuli-Venezia-Giulia, Puglia, Liguria, Molise, Sardegna e Veneto (figura 10). Fig. 9: Luminanza artificiale allo zenit espressa in rapporto a quella naturale (Cinzano, Falchi, Elvidge 2001). Pagina 8 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Brillanza del cielo Nazione > 0.11 > Bn > 27 >B mw Giappone 100 96 27 73 Russia 87 73 8 44 U.S.A. 99 93 30 71 Europa (E.U.) 99 90 8 51 Mondo 62 43 6 21 Tabella 1: Percentuale della popolazione che vive sotto un cielo con luminanza artificiale maggiore di 0,11 (limite di un cielo inquinato) volte, 1 volta (Bn), 27 volte e dove l’inquinamento luminoso non permette più di osservare la Via Lattea (Bmw). (Cinzano, Falchi, Elvidge 2001). Proposta per astronomi ed astrofili Le leggi, per quanto buone, devono però essere aiutate a funzionare, soprattutto dal lato dei controlli delle infrazioni. Gli astrofili, nella maggior parte delle regioni, si sono trovati su un piatto d’argento delle leggi contro l’inquinamento luminoso, piatto spesso gentilmente offerto da CieloBuio. In cambio però non fanno nemmeno lo sforzo di iscriversi all’associazione che ha regalato loro uno strumento così formidabile per proteggere il cielo. In figura 11 si vede come la brillanza artificiale del cielo all’osservatorio astronomico di San Benedetto Po (MN) non sia aumentata negli ultimi anni. Questo nonostante un raddoppio del flusso luminoso installato dovuto a nuovi impianti pubblici e privati e all’aumento dell’efficienza del parco lampade installato. L’atteso peggioramento dello stato del cielo non c’è stato grazie soprattutto all’efficacia delle leggi adottate e nonostante una loro applicazione solo parziale. Con un’applicazione puntuale potremmo tornare a godere di cieli che oggi non possiamo più ammirare da decenni. Per ottenere questo risultato occorre però lo sforzo congiunto di tutti gli amanti del cielo. Servono controlli capillari. Del resto, certamente non mancano le notti nuvolose da dedicare a qualche segnalazione di impianti fuorilegge. Il compito dei controlli non può essere demandato ad altri. Dobbiamo agire in prima persona. Gli strumenti ci sono tutti, i modelli di lettera da spedire sono già pronti. Tutto praticamente è già stato fatto, serve solo che almeno una o due persone per provincia controllino l’applicazione delle leggi. Invito tutti quindi a visitare il sito di CieloBuio (www.cielobuio.org), ad iscriversi all’associazione e alla mailing list (gratuita, ovviamente) Fig. 10: La mappa rappresenta la situazione delle leggi regionali contro l’inquinamento luminoso in Italia al 2010. Con i vari colori si indica l’efficacia dei parametri tecnici adottati per arginare il fenomeno. In blu le leggi che impongono un flusso diretto nullo verso l’alto, in azzurro leggi che ammettono piccole deroghe su alcune tipologie di impianto, in giallo sono ammessi flussi verso l’alto fino al 3%, in rosso sono rappresentate le leggi senza parametri tecnici o con parametri inefficaci, in bianco le regioni senza alcuna regolamentazione. Per ogni regione è indicata la data di approvazione della legge. Mappa tratta dallo studio dell’autore Campaign of sky brightness and extinction measurements using a portable CCD camera, Mon. Not. R. Astron. Soc. 412, 33–48 (2011), doi:10.1111/j.1365-2966.2010.17845.x dove chi ha già esperienza sarà ben lieto di accogliere i nuovi ‘cavalieri della notte’. L’alternativa è l’inazione, la lamentela improduttiva e il continuare a veder peggiorare, di anno in anno, il nostro cielo notturno. Fabio Falchi, fisico, è presidente di CieloBuio e, oltre ad insegnare, studia l’inquinamento luminoso come membro di ISTIL, anche in collaborazione con la National Oceanic and Atmospheric Administration e l'OPCC Cilena. AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 9 Fig. 11. Misure della brillanza artifi- ciale del cielo a San Benedetto Po (MN). Grafico tratto dallo studio dell’autore Campaign of sky brightness and extinction measurements using a portable CCD camera, Mon. Not. R. Astron. Soc. 412, 33–48 (2011), doi:10.1111/j.13652966.2010.17845.x Nota 1: Parte di questo articolo è stata pubblicata in ‘L’eredità di Galileo:1609-2009’, Atti del XLVIII Congresso Nazionale AIF-Associazione per l’Insegnamento della Fisica. Anno XLIII – Supplemento al n.4 OttobreDicembre 2010 di La Fisica nella Scuola. BIBLIOGRAFIA 1. Marchant PR (2004) A Demonstration that the Claim that Brighter Lighting Reduces Crime is Unfounded, The British Journal of Criminology 44, 441-447 http://bjc.oupjournals.org/cgi/content/abstract/44/3/441 2. Marchant PR (2005) What Works? A Critical Note on the Evaluation of Crime Reduction Initiatives, Crime Prevention and Community Safety 7 7-13 3. Clark, Barry A.J., 2002, OUTDOOR LIGHTING AND CRIME, Australia 2002, http://www.cielobuio.org/ supporto/luce/luce.htm 4. Rich, C and Longcore, T., (2004) Ecological Light Pollution, Front. Ecol. Environ.; 2(4): 191-198 5. 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Astron. Soc. 412, 33–48 (2011), doi:10.1111/j.13652966.2010.17845.x 16. Cinzano, P., Falchi, F., Elvidge, C.D., The first world atlas of artificial sky brightness, Monthly Notices of the British Astronomical Society, 328, 689-707, 2001 SITOGRAFIA www.cielobuio.org www.inquinamentoluminoso.it www.istil.it http://sternhell.at/ http://quantestelle.astronomy2009.at www.globeatnight.org Pagina 10 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Spettrografia amatoriale : utilizziamo lo Star Analyser Test eseguiti dal Centro Astronomico di Libbiano Alberto Villa Introduzione Lo spettroscopio è uno strumento in grado di scomporre la luce “bianca” proveniente da una sorgente nei vari colori dell’iride, formando appunto quello che viene chiamato uno "spettro", nell’ambito del quale ad ogni “colore” è associata una determinata lunghezza d'onda. Sono fondamentalmente tre i tipi di spettri che possiamo osservare (fig. 1): lo spettro continuo, originato da un solido incandescente; lo spettro di assorbimento, dove il continuo è solcato da righe scure ben definite generate da gas inerte; lo spettro di emissione, dove righe più brillanti generate da gas eccitato risaltano su un continuo molto più debole, se non addirittura assente. In astronomia abbiamo a che fare con spettri di emissione e di assorbimento, le cui righe identificano gli elementi presenti nell’oggetto esaminato. Il fascino della spettrografia è proprio quello di consentirci di andare oltre la semplice ripresa fotografica, introducendoci alla fisica e alla chimica dell’universo. Il recente avvento di sensibilissimi dispositivi di ripresa basati sulla tecnologia CCD e CMOS, ha aperto le porte ad un interessante lavoro di spettrografia stellare a livello amatoriale, ed è proprio in questo campo che si è cimentata negli ultimi anni la AAAV (Associazione Astrofili Alta Valdera). I risultati ottenuti con lo spettrografo realizzato dall’Ing. Vittorio Lovato sono disponibili sul sito www.astrofilialtavaldera.it alla sezione “Spettrografia”. Fig. 1: Tipi di spettro In pratica si tratta di un reticolo di diffrazione di qualità (100 linee per mm) montato in una cella porta filtro del diametro di 31,8mm e che si può quindi avvitare a qualsiasi oculare o adattatore fotografico/CCD/Webcam delle stesse dimensioni. La superficie del reticolo di diffrazione è protetta con uno speciale vetro antiriflesso. Per le sue caratteristiche, lo Star Analyser può essere utilizzato sia per le riprese che per l’osservazione visuale, in ogni caso senza l’impiego di una fenditura con la possibilità di orientare lo spettro risultante per le esigenze eventualmente richieste da una successiva elaborazione. Interessante analizzare l’immagine dello spettro di Arturo (fig. 3) fornita dallo Star Analyser montato direttamente sull’adattatore fotografico (Anello T2) applicato alla fotocamera digitale Canon 20D oppure su un oculare per l’osservazione visuale. Lo Star Analyser Proprio per l’interesse in questo campo, la nostra attenzione è stata attirata da uno strumento di recente produzione che sembra particolarmente adatto per ottenere interessanti risultati nella spettrografia amatoriale: lo STAR ANALYSER. Lo Star Analyser (fig. 2 a lato) è un particolare tipo di spettrografo recentemente commercializzato, che sì è rivelato molto versatile e pratico da utilizzare per alcune tipologie di spettro. Fig. 2 : Lo Star Analyser AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Al centro della fig. 3 si vede immagine di ordine 0 (zero), ovvero l’immagine di Arturo, e ai suoi lati gli spettri di ordine 1 e 2 in ordine di luminosità decrescente. Il reticolo produce coppie di spettri di “n” ordini, sempre più lontani dall’immagine di ordine zero e sempre più deboli: in fig. 3 sono visibili le due coppie di spettri di ordine 1 e 2. Lo Star Analyser è realizzato in modo tale da rendere il più luminoso possibile uno dei due spettri di ordine 1 (quello a destra in fig. 3): è proprio questo spettro che utilizzeremo per le nostre analisi. Scala dello spettro ripreso con lo Star Analyser Pagina 11 Fig. 4: Prove di ripresa di spettri stellari con lo Star Analyser effettuate con diversa scala di immagine. Come si può notare in fig. 3, l’immagine ripresa inserendo nel treno ottico il solo Star Analyser fornisce uno spettro di dimensioni modeste rispetto alla superficie del sensore della camera utilizzata. Per ingrandire la scala dell’immagine è necessario aumentare opportunamente la distanza tra lo Star Analyser ed il sensore, con la possibilità di intervenire ulteriormente con un teleextender (o lente di Barlow), adeguatamente posizionato per evitare di ottenere effetti negativi sull’immagine finale. Presso il Centro Astronomico di Libbiano sono state eseguite alcune prove sul rifrattore Apo 180mm f/9, per determinare la scala di immagine più opportuna, prove che sono riassunte nella fig. 4 e di seguito TEST N. 2 – Arturo Treno ottico: 20D + T2 + Prolunga Meade + Star Analyser + Apo 180 Rispetto al test precedente, viene inserito nel treno ottico l’accessorio della Meade che consente di fotografare in proiezione da oculare: senza alcun oculare al suo interno come in questo caso, funge unicamente da elemento che aumenta la distanza tra il sensore della 20D e lo Star Analyser. Lo spettro di Arturo risulta infatti più ingrandito, pur lasciando ancora gran parte del sensore inutilizzato. La prolunga è stata tolta in quanto non più necessaria per mettere a fuoco l’immagine. commentate. TEST N. 3 – Arturo Treno ottico: 20D + T2 + Prolunga Meade + Star Analyser + Barlow 2X + Apo 180 Di seguito, un commento ai test illustrati in fig. 4. TEST N. 1 - Arturo Treno ottico: 20D + T2 + Star Analyser + Prolunga + Apo 180mm Lo Star Analyser è stato semplicemente introdotto nella configurazione ottica che vede la Canon 20D posta al fuoco diretto del rifrattore Apo 180mm. Otteniamo in questo modo l’immagine più piccola dello spettro, con la maggior parte del sensore non utilizzato. La prolunga viene inserita solo per raggiungere la corretta posizione di messa a fuoco. Rispetto al test precedente, viene inserita una lente di Barlow 2X che, posizionata tra lo Star Analyser e l’obiettivo del rifrattore, ingrandisce l’immagine del disco stellare di cui lo Star Analyser deve produrre lo spettro. Dato che la distanza tra Star Analyser e sensore non cambia, lo spettro prodotto avrà la stessa dispersione del test precedente, ma con le dimensioni del disco stellare raddoppiate. La risoluzione dello spettro però, non può che diminuire, peggiorando il risultato finale, come appare dal confronto tra i test 2 e 3 in fig. 4. Come regola generale, se ne ricava che è da evitare l’ingrandimento delle dimensioni dell’oggetto “target” prima che la sua immagine raggiunga il reticolo dello Star Analyser . Fig. 3 – Arturo osservato attraverso un oculare sul quale è stato applicato lo Star Analyser Pagina 12 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 TEST N. 4 – Arturo Treno ottico: 20D + Tele Ext. 2X + T2 + Prolunga Meade + Star Analyser + Apo 180 Rispetto al test precedente è stata rimossa la lente di Barlow. Tra il sensore (corpo macchina) e lo Star Analyser è stato invece aggiunto il Tele Extender Sigma 2X, che consente di aumentare la dispersione dello spettro risultante, senza aumentare le dimensioni della stelle da analizzare e sfruttando le dimensioni del sensore di cui si dispone. Per oggetti più deboli è in dotazione anche un Tele Extender Sigma 1,4X il cui utilizzo potrebbe risultare meno critico lasciando più margine per quanto riguarda il posizionamento sul sensore dell’immagine “stella + spettro”. TEST N. 5 - Denebola Treno ottico: 20D + Tele Ext. 2X + T2 + Distanz. Meade + Star Analyser + Apo 180 Treno ottico invariato rispetto al precedente test. Si tratta in questo caso dello spettro di Denebola che – se osservato attentamente – mostra qualche dettaglio in più rispetto ad Arturo per quanto riguarda le righe di assorbimento della serie di Balmer dell’idrogeno. Tipologia di oggetti celesti e caratteristiche delle ottiche adatte all’utilizzo dello Star Analyser Confrontando lo spettro di Vega ripreso con il CCD Starlight Express attraverso lo spettrografo a prisma dotato di fenditura posto al fuoco diretto del RC 500 di Libbiano (Fig. 5) con lo spettro di Denebola ripreso con la Canon 20D collocata al fuoco diretto del rifrattore Apo 180mm sempre in dotazione al Centro astronomico di Libbiano ed equipaggiata con Star Analyser e quindi senza fenditura (Fig. 6), si nota come le righe di assorbimento siano molto più nette e visibili quando la fenditura viene utilizzata. Nelle immagini riprese con lo Star Analyser, proprio a causa della mancanza di una fenditura le porzioni più luminose e brillanti dello spettro tendono ad invadere le righe di assorbimento, la cui identificazione diventa sempre più critica a mano a mano che queste diminuiscono di ampiezza e di intensità. Fig. 6: Spettro di Denebola (a colori) ripreso con lo Star Analyser senza Operando con il RC 500mm di Libbiano, l’utilizzo della fenditura (Fig. 7) è opportuno anche per la ripresa di spettri stellari. E questo principalmente per due ragioni: con una focale di 4 metri e pur con un minimo di turbolenza, anche una sorgente stellare non è puntiforme e l’uso di una fenditura di appropriata apertura fornisce una buona risoluzione delle righe spettrali; quando l’oggetto ripreso dovesse spostarsi anche impercettibilmente durante la posa, nel momento in cui la stella esce dalla fenditura sul sensore non arriva più luce, preservando ancora una volta la buona risoluzione dello spettro. Dalle prove fin qui effettuate, si è pertanto accertato che lo Star Analyser risulta particolarmente indicato per la ripresa di spettri stellari caratterizzati: - da righe di assorbimento particolarmente evidenti (ad es. stelle al carbonio) - da righe di emissione (ad es. stelle con righe di emissione come β Lyr e γ Cas, stelle Wolf Rayet, comete, galassie attive, nebulose planetarie, ecc …) - da peculiarità dello spettro presenti su vasta scala (ad es. stelle al carbonio e comete) Utilizzo dello Star Analyser con una fotocamera digitale In fig. 8, riportiamo gli spettri delle stelle Wolf Rayet HD 192163 e HD 192641 e della stella al carbonio SAO 69636 (magnitudini comprese tra la 7,5 e la 8,5) ottenute con la Canon 20D nella configurazione ottica utilizzata nei precedenti test n. 4 e n. 5. Fig. 5: Spettro di Vega ripreso con l’utilizzo della fenditura AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 13 Si è applicato lo stesso “treno ottico” illustrato in fig. 9 ad un rifrattore Apo 150mm f/6.7 (focale di 1000mm) che dovrebbe fornire un’immagine stellare ancora più puntiforme e allo stesso tempo più luminosa. In fig. 10 è illustrato lo spettro della stella al carbonio SAO 69636 ripreso con entrambe le ottiche: evidente il miglior risultato ottenuto con la focale più corta (e in questo caso anche più luminosa) che mostra righe più definite e più numerose in relazione a una maggiore risoluzione determinata da un disco stellare più puntiforme. Fig. 7: Vista frontale della fenditura dello spettrografo e manopola per la regolazione della sua apertura. La tecnica della somma risulta particolarmente indicata in quanto l’esposizione più breve garantisce una maggiore puntiformità della stella da analizzare, aumentando quindi la definizione dello spettro. Sulla base dei test effettuati, possiamo affermare che per ottenere un buon risultato con lo Star Analyser è necessario lavorare su immagini stellari puntiformi, il che significa: un’ottica di buona qualità; una focale piuttosto corta; tempi di posa possibilmente contenuti, ovvero una guida precisa. Per quanto ovvio, più la sorgente da analizzare è luminosa, più siamo agevolati nel nostro lavoro: è pertanto indicato un rapporto focale piuttosto basso. In fig. 9 viene illustrata la configurazione ottica con la quale sono stati ottenuti gli spettri mostrati in fig. 8, ponendo il tutto al fuoco diretto del rifrattore APO 180mm f/9 del Centro Astronomico di Libbiano. Per verificare come l’utilizzo di un’ottica differente possa influenzare il risultato finale, dopo aver effettuato le prime riprese di spettri con lo Star Analyser applicato al rifrattore 180mm f/9 di Libbiano (focale di 1620mm), sono stati ripetuti alcuni test. Valutazione dei risultati ottenuti con lo Star Analyser Abbiamo ricavato il profilo degli spettri ottenuti su alcune stelle Wolf Rayet, provvedendo a confrontarli con curve, reperite in rete, di qualità professionale. Fig. 9 – Il treno ottico utilizzato per riprendere gli spettri di alcune stelle peculiari (WR e stelle al carbonio) presso il Centro Astronomico di Libbiano. Da sinistra:la fotocamera digitale,il tele-extender Sigma 1.4X (per oggetti luminosi per i quali sia visibile sia la sorgente che tutto lo spettro attraverso il mirino della fotocamera si può sostituire con il tele-extender Sigma 2.0X);l’anello T2 dedicato alla fotocamera utilizzata; un tubo di prolunga sul quale sia possibile avvitare lo Star Analyzer (in questo caso è stato utilizzato l’accessorio da utilizzarsi per la fotografia in proiezione da oculare, ovviamente senza inserire al suo interno alcun oculare). Fig. 8: Spettro delle stelle Wolf Rayet HD 192163 e HD 192641, e della stella al carbonio SAO 69636 ottenuti con lo Star Analyser. Pagina 14 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Di sicuro interesse, in fig. 11, il risultato ottenuto per la stella Wolf Rayet HD 192163 (denominata anche WR 136). Confrontando nella stessa figura il profilo ricavato per lo spettro, ripreso a Libbiano, con quello professionale reperito in rete, si tenga presente che il primo è stato ottenuto con la camera digitale Canon 20D e non è calibrato in intensità. Si deve inoltre considerare che il sensore CMOS montato su molte reflex digitali ha un notevole calo di sensibilità per le lunghezze d’onda ai bordi del visibile (violetto/rosso). Nonostante ciò, appare molto evidente la corretta identificazione delle righe di emissione e l’andamento generale del profilo dello spettro. Il risultato è molto incoraggiante e da paragonare con le prove effettuate sugli stessi oggetti con il CCD (vedi oltre): in ogni caso si consideri che utilizzando il rifrattore Apo 150mm f/6.7 è stato possibile registrare lo spettro della galassia attiva di Seyfert NGC 4151 di magnitudine integrata 10.3, ricavandone una curva attendibile e significativa, come appare dal confronto (Fig. 12) con la curva ottenuta con un telescopio da 122 cm equipaggiato con spettrografo professionale presso l’Osservatorio Astronomico di Asiago. Fig. 10 – Spettro della stella al carbonio SAO 69636, situata nella costellazione del Cigno, ripreso con rifrattore Apo 180mm f/9 (in alto) e con rifrattore Apo 150mm f/6.7: evidente la migliore qualità/ definizione dello spettro ripreso con focale più corta. L’immagine della stella analizzata è mostrata anche ad ingrandimento 2X per evidenziare le differenti dimensioni dei due dischi stellari. Fig. 12: Galassia attiva di Seyfert NGC 4151: confronto tra lo spettro ottenuto presso l’Osservatorio Astronomico di Asiago con strumentazione professionale e CCD (in alto) e quello ottenuto dalla AAAV con camera digitale (in basso). Calibrazione dello spettro ripreso con lo Star Analyser: utilizzo di due punti con lunghezza d’onda nota Abbiamo visto che lo Star Analyser viene utilizzato senza fenditura e pertanto l’immagine tipica ottenuta, prima delle successive elaborazioni, è simile a quella mostrata in fig. 13. Per utilizzare in modo corretto il software di elaborazione degli spettri, è importante che lo Star Analyser sia orientato in modo che lo spettro generato risulti parallelo alla base del fotogramma e con il rosso sulla destra dell’immagine. Il software attualmente più indicato per l’elaborazione e la calibrazione di spettri è senza dubbio “Visual Spec” (utilizzato anche da osservatori professionali, www.astrosurf.com/ vdesnoux/), anche se buoni risultati si possono ottenere pure con “Astrospectrum”, www.astropix.it/software/ astrospectrum.html. Entrambi i software citati necessitano di una immagine in formato “*fit” per poter processare lo spettro. Nel caso in cui l’immagine non sia già in formato “fit” ma in formato “jpeg” o “raw”, è necessario provvedere alla trasformazione utilizzando un software appropriato (ad es. “Maxim DL” o “IRIS”). L’esempio che segue illustra la procedura di calibrazione da seguire con “Visual Spec”. Alcuni accorgimenti: si deve utilizzare sia l’immagine dello spettro che quello della sorgente che lo ha generato Lo Star Analyser scompone la luce a mezzo di un reticolo, lo spettro risultante è pertanto caratterizzato da una dispersione / distribuzione omogenea delle frequenze. E’ perciò sufficiente disporre di due valori noti di lunghezze d’onda per calibrare lo spettro. Fig. 11: In basso a colori: lo spettro di HD 192163 ottenuto a Libbiano con Canon 20D e Star Analyser e la successiva elaborazione con Photoshop. Al centro: il relativo profilo ottenuto con Maxim DL. In alto: Spettro professionale di HD 192163 reperito in rete. AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Si procede come segue: A) Attivare il software Visual Spec e aprire (File – Apri) l’immagine in formato “fit” che contiene lo spettro da elaborare insieme alla stella che lo ha generato. B) Una volta aperta correttamente l’immagine, cliccare su “display reference binning zone” (*) portando con il mouse il rettangolo rosso che appare nell’immagine, sullo spettro da elaborare (Fig. 14). Lo spessore del rettangolo può essere opportunamente regolata agendo con il mouse sul lato superiore dello stesso C) Cliccare su “Object binning” (+): in questo modo appare il profilo non calibrato dello spettro che comprende anche la stella che lo origina (Fig. 15). Allo stesso tempo compaiono anche le icone per la successiva calibrazione in frequenza. Pagina 15 G) Si ripete ora l’operazione per una riga dello spettro di cui sia nota la lunghezza d’onda: nel nostro caso identifichiamo il picco del C IV situato a 5806 Å; premiamo “Enter/Invio” dopo aver digitato tale valore. Il software a questo punto ha recepito i due valori necessari e sufficienti per calibrare uno spettro a dispersione lineare prodotto da un reticolo. H) Cliccando quindi su “graduation” (x) infatti, il grafico si completa con i valori calibrati in Angstrom (fig. D) Cliccare su “Calibration 2 lines” E) Se appare la maschera raffigurata qui sotto, proseguire cliccando su “Sì / Yes” . F) Quindi, agendo con il mouse sul cursore scorrevole rosso, selezionare una piccola area del grafico centrata sul picco generato dalla stella: si apre una casella nella quale digitiamo il valore 0 (zero) e confermiamo il tasto “Enter / Invio” Fig. 13: Tipica immagine ripresa con lo Star Analyzer, che mostra diverse stelle con i relativi spettri. Evidente lo spettro con le righe di emissione generato dalla stella Wolf Rayet HD 192641 Fig. 14: L’immagine “fit”da elaborare, aperta con Visual Spec Pagina 16 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Calibrazione dello spettro ripreso con lo Star Analyser: Utilizzo della sola immagine di ordine zero Il reticolo di diffrazione dello Star Analyser produce uno spettro a dispersione lineare. Ciò significa che uno stesso numero di Angstrom (Δλ) occupa esattamente la stessa estensione in qualsiasi posizione dello spettro. Questo fatto è molto importante in quanto gli Angstrom che “misurano” lo spettro possono essere convertiti in pixels dell’immagine visualizzata sullo schermo di un PC. Quando si inizia la procedura di calibrazione in lunghezza d’onda, il software Visual Spec (VS) è in grado di indicare la posizione del cursore sia in pixel che in Angstrom: per quanto ovvio prima della calibrazione è indicato solo il valore relativo ai pixel, mentre a calibrazione effettuata appaiono entrambi i valori (vedi sopra). Trattandosi in questo caso di uno spettro a dispersione lineare, si può ragionevolmente supporre che - mantenendo invariata la scala / dimensione del file da analizzare – tra l’immagine di ordine zero e una riga di lunghezza d’onda nota ci sia sempre (anche prima di calibrare lo spettro) lo stesso numero di pixels: si effettua di seguito una verifica prima sullo spettro di Beta Lyr (fig. 17) e quindi di HD 192163 (fig. 20), nei quali siamo in grado di identificare a priori e con certezza il picco dell’idrogeno a 6563 Å (riga Hα). Fig. 16: Spettro di HD 193793 calibrato in lunghezza d’onda Nel grafico relativo allo spettro di Beta Lyr (fig. 17), indichiamo con A) il picco relativo all’immagine di ordine zero e con B) quello relativo alla riga Hα dell’idrogeno. Posizionando opportunamente il cursore sui picchi in questione, leggiamo nell’apposito campo di Visual Spec i seguenti valori in pixel: 433 per A), con valore in Angstrom noto a priori = 0 Å; 1465 per B) con valore in Angstrom noto a priori = 6563 Å per la riga Hα. Per calcolare la distanza in pixels tra i due punti considerati basta effettuare la semplice sottrazione 1465 – 433 = 1032 L’immagine di ordine zero (0 Å) e la riga Hα (6563 Å), nel nostro grafico distano pertanto tra loro 1.032 pixel (valore che dovremo ritrovare per conferma in tutte le immagini prodotte nella stessa scala ed analizzate con la stessa procedura). Se 6563 Å sono distribuiti su 1032 pixels, sarà immediato ricavare la risoluzione “Angstrom per pixel” del nostro grafico con la semplice operazione 6563 : 1032 = 6.3595 (arrotondato) Ogni pixel corrisponde pertanto in questo caso a 6.3595 Angstrom; valore che – se il ragionamento impostato è corretto – può essere considerato una costante da utilizzare per effettuare l’operazione inversa: ovvero risalire dal valore in pixel a quello in Angstrom per un qualsiasi punto lungo lo spettro da analizzare, come di seguito illustrato (Fig. 18). Chiamiamo la nostra costante KÅ. Fig. 15: Profilo non calibrato dello spettro e stella generatrice AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 17 Fig. 17: Relazione tra pixels e Angstrom nello spettro di Beta Lyrae. Come accennato, quando abbiamo già a disposizione la lunghezza d’onda di una riga oltre al valore Å = 0 per l’immagine di ordine zero, possiamo calibrare lo spettro con la procedura appena illustrata. Facendo riferimento alla fig. 18, proviamo invece a individuare il valore di un’altra riga dello spettro utilizzando la costante calcolata, anche per verificare l’efficacia del procedimento. Per la riga evidenziata nel cerchietto rosso, il valore in pixel è di 1.357. La sua distanza dall’immagine di ordine zero è pertanto di 924 pixels: 1.357 – 433 = 924 Moltiplicando tale valore per KÅ otteniamo il seguente valore in Angstrom: 924 X 6.3595 = 5.876,18 Å identificando davvero con buona approssimazione la riga del He I caratterizzata da una lunghezza d’onda di 5875 Å (Fig. 19). A questo punto dobbiamo solo verificare che in un’altra immagine ripresa con la stessa identica strumentazione la distanza tra l’ordine zero e la riga Hα sia sempre di 1032 pixel. Utilizziamo a questo scopo lo spettro della stella Wolf Rayet HD192163, ottenuta con lo stesso sensore/configurazione ottica (fig. 20). Anche in questo caso la distanza tra l’immagine di ordine zero e la riga Hα è esattamente di 1.032 pixels, e la risoluzione Angstrom per pixel conferma la costante: KÅ = 6.3595 La verifica è molto importante perché solo così potremo affermare che questa costante è valida per qualsiasi ripresa effettuata con lo stesso sensore/configurazione ottica e che sia stata elaborata con la medesima procedura. Ciò significa che potremo identificare le righe caratteristiche di un nuovo spettro avendo a disposizione il solo valore noto di Å = 0 dell’immagine di ordine zero. Per ottenere la lunghezza d’onda basterà rilevare la distanza in pixel tra la riga esaminata e l’ordine zero e quindi moltiplicare tale valore per la costante KÅ. Se si cambia la scala dell’immagine, avendo modificato anche solo uno dei seguenti elementi: tipo di sensore; configurazione ottica; distanza dello Star Analyser dal sensore; procedura di elaborazione dell’immagine; la costante KÅ dovrà essere opportunamente ricalcolata per essere applicata con efficacia alla nuova scala d’immagine. Fig. 18 : Determinazione della lunghezza d’onda di una riga nello spettro, calcolata utilizzando la costante “Angstrom per pixel” Pagina 18 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Fig. 19: Spettro di Beta Lyr reperito in rete nel quale è evidenziata anche la riga di emissione del He I con lunghezza d’onda di 5875 Å. A titolo d’esempio, la fig. 22 mostra come appare lo spettro della stella al carbonio SAO 69636 ripresa con il CCD del centro Astronomico di Libbiano. Per effettuare un confronto appropriato tra i risultati ottenuti con i due sensori, abbiamo nuovamente ripreso lo spettro della stella Wolf Rayet HD 192163 con il CCD. La curva ottenuta è illustrata in fig. 23. Come si può notare l’andamento del profilo – rispetto a quello ottenuto con la fotocamera digitale - è molto più equilibrato e più vicino nel suo andamento a quello ripreso da un osservatorio professionale (Fig. 24) calibrato in intensità. Utilizzo dello Star Analyser con un CCD Nel corso delle prove eseguite presso il Centro astronomico di Libbiano abbiamo impiegato un CCD Starlight SXVF-H5. Lo Star Analyser va semplicemente applicato davanti al sensore avvitandolo alla filettatura già predisposta (Fig. 21). Come nel caso della fotocamera digitale, lo Star Analyser deve essere collocato alla giusta distanza affinché sul sensore si formi uno spettro di dimensioni opportune. Questo spettro comprenderà anche l’immagine di ordine zero per consentire la calibrazione con il procedimento sopra illustrato. Per quanto riguarda le modalità di impiego, nulla varia concettualmente rispetto a quanto esposto per la fotocamera digitale. L’immagine stellare dovrà essere il più puntiforme possibile, in particolare quando si cercheràdi evidenziare qualche riga di assorbimento. La puntiformità dell’immagine stellare è direttamente proporzionale alla risoluzione dello spettro ottenuto. Grazie alla maggiore sensibilità del CCD, rispetto alla fotocamera digitale, cambieranno invece: i tempi di posa a parità di magnitudine dell’oggetto da riprendere; la magnitudine limite raggiungibile la resa del sensore alle diverse frequenze. Fig. 21: Applicazione dello Star Analyser sul CCD utilizzato a Libbiano Oltre a un miglior andamento generico del profilo per quanto riguarda l’intensità, lo spettro ripreso a Libbiano con il CCD risulta molto più sensibile nel rosso, tanto da evidenziare in maniera netta la riga di emissione del N IV a 7117 Å che la fotocamera digitale non riusciva a rilevare per un netto calo di sensibilità che si verifica a lunghezze d’onda superiori ai 7700 Å. La riga del N IV è tra l’altro molto importante se ricordiamo cha la stella Wolf Rayet HD 192163 A classificata nella classe spettrale WN6 proprio per la presenza dell’azoto. Per contro, il CCD Starlight SXVF-H5 utilizzato a Libbiano, concede qualcosa alla fotocamera digitale nel blu / violetto dove quest’ultima riesce a rilevare ancora qualche riga significativa al di sotto dei 4550 Å. Fig. 20: Verifica della risoluzione Angstrom per pixel sullo spettro di HD 192163 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 19 Per quanto ovvio, i sensori a disposizione degli astrofili sono numerosi, ed ognuno è caratterizzato dalla propria risposta caratteristica: valutazioni di questo genere – soprattutto a livello amatoriale - devono quindi essere fatte in funzione del CCD o della fotocamera digitale effettivamente utilizzati. Conclusioni Si può senza dubbio affermare che lo Star Analyser offre all’astrofilo una vasta gamma di impiego nell’ambito della spettrografia, arrivando, in certi casi, ad un livello di prestazioni semi – professionali. Mi preme sottolineare la facilità d’impiego di questo accessorio, agevolata dalla mancanza della fenditura. A Libbiano si sono ripresi spettri di stelle Wolf Rayet, stelle al Carbonio, nebulose planetarie, galassie, comete ed asteroidi e non è certamente da escludere – ad esempio – la possibilità di misurare in proprio lo spostamento verso il rosso di un quasar sufficientemente luminoso come 3C 273 (magnitudine 13); Tutto ciò senza dimenticare la cosa forse più importante: e cioè che lo Star Analyser è in grado di fornire questi risultati utilizzando anche telescopi da campo che in alcuni casi hanno addirittura fornito risultati migliori di quelli ottenuti con una strumentazione semiprofessionale. Ritengo lo Star Analyser un ottimo incentivo per stimolare l’astrofilo ad occuparsi di spettrografia, oltretutto divertendosi! Fig. 23 – Spettro della stella Wolf Rayet HD 192163 ottenuto con il CCD a Libbiano. Nel cerchio rosso la riga di emissione non rilevata con la fotocamera digitale (N IV a 7117 Å). Fig. 24: (a destra) spettri di HD 192163, per confronto con la fig. 23. In alto: spettro ripreso da un osservatorio professionale. In basso: spettro ripreso a Libbiano con fotocamera digitale. Fig. 22: Spettro della stella al carbonio SAO 69636 ripreso con il CCD di Libbiano Alberto Villa è Presidente della AAAV - Ass.ne Astrofili Alta Valdera di Peccioli (PI), nell’ambito della quale è responsabile delle sezioni “Spettrografia”, “Eclissi” e “Pianeti extrasolari”. Osserva dall' Osservatorio “Galileo Galilei” del Centro Astronomico di Libbiano (e - mail: [email protected] ). Pagina 20 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 La ripresa delle immagini di Giove nelle ultime opposizioni Cristian Fattinnanzi Bravi astrofili, che hanno seguito, negli ultimi anni, con costanza, precisione ed efficacia, fenomeni eccezionali sui maggiori pianeti del Sistema Solare! Hanno così avuto occasioni uniche per contribuire allo studio di questi corpi celesti con un livello di dettaglio mai prima raggiunto. Giove, tra il 2009 e fino alla primavera del 2011, si è esibito in una serie di accadimenti molto particolari. Successivamente è stata la volta di Saturno che, dalla fine del 2010, ha presentato aspetti continuamente cangianti e altamente spettacolari, tutti puntualmente catturati da astrofili di tutto il mondo. Molti si chiedono come sia oggi possibile, anche per un astrofilo medio, catturare dettagli planetari di altissima qualità: che cosa è esattamente accaduto di così straordinario nel mondo della tecnologia nell’ultimo decennio? Racconteremo anche noi una storia: correva l’anno 2001…. In quell’anno ancora molti studiosi di pianeti disegnavano meticolosamente con carta e matita quanto osservavano con l’occhio all’oculare, un’autentica arte, mentre la fotografia chimica replicava in modo molto grossolano, con i piccoli telescopi, gli aspetti planetari. In quegli anni cominciarono ad apparire delle autentiche meraviglie tecnologiche: i primi, costosissimi, CCD raffreddati per uso astronomico, essenzialmente pensati per immagini di profondo cielo, ma che consentivano, ai loro fortunati possessori, di catturare anche discreti “ritratti planetari”. Ecco una delle migliori immagini di Giove che si potevano ottenere, con pellicola chimica, negli anni Settanta. La foto è stata scattata il 7 settembre 1974 con il “mitico” telescopio di San Vittore (BO) di 45cm di diametro. Fu allora che si scoprirono delle possibilità inaspettate dall’impiego delle webcam, delle rudimentali telecamere che disponevano di sensori CCD piccolissimi. Alcuni geniali astrofili, esperti di informatica, le utilizzarono per riprese digitali astronomiche, aprendo, di fatto, una porta verso un nuovo straordinario modo, rivoluzionario ed economico, di fotografare i pianeti. Le webcam sono oggetti di largo consumo, praticamente alla portata di tutti e nonostante non siano di grande qualità elettronica, se usate nel modo giusto, assumono un potenziale addirittura superiore a quello delle costose camere CCD, espressamente studiate per uso astronomico. Con le webcam è possibile registrare brevi filmati invece del singolo scatto, accumulando così centinaia di fotogrammi, i quali, una volta selezionati, allineati e sommati, forniscono un’immagine di straordinaria qualità, “filtrata” dai disturbi atmosferici. La singola immagine ottenuta dopo un’attenta elaborazione, può essere di elevatissima qualità, di gran lunga migliore di quella dei singoli fotogrammi e spesso consente di percepire dettagli eccezionalmente fini. Penso che a quegli astrofili che circa un decennio fa introdussero la tecnica di ripresa basata sulla webcam (non ne riporto i nomi per evitare di dimenticarne qualcuno), vada riconosciuto il merito di essere stati degli autentici precursori perché diedero l’avvio ad un’autentica rivoluzione nell’imaging planeta- Una delle mie prime riprese webcam in assoluto: Giove ottenuto con un newton da 20 cm autocostruito ed una Philips Vesta AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 21 Alcune delle webcam più usate tra gli astrofili per la ripresa dei pianeti: la Philips Vesta, con cui ho iniziato e ripreso fino al 2009, la Philips Toucam, la DBK21 (con cui riprendo attualmente). Da quel momento la strumentazione si è progressivamente raffinata, l’elettronica si è potenziata, ma i criteri di ripresa ed elaborazione sono rimasti sostanzialmente invariati. Dopo questo excursus storico, torniamo ai fenomeni osservati recentemente su Giove. Durante la scorsa opposizione, geometricamente più favorevole agli osservatori australi, il gigante gassoso aveva dato la possibilità ad un bravo (e non meno fortunato) astrofilo australiano, Anthony Wesley, di riprendere per primo la piccola macchia nera generata da un impatto asteroidale avvenuto sul pianeta il 19 luglio 2009. Anthony ha immediatamente dato “l’allarme” e grazie ad un efficiente giro di mail, nei giorni successivi al primo avvistamento, la macchia scura dell’impatto è stata fotografata da moltissimi astrofili in tutto il mondo, oltre che dai professionisti e dal telescopio spaziale “Hubble”, consentendone così uno studio continuativo della sua evoluzione dinamica. Con puntualità che ha dell’incredibile, un fenomeno analogo, sebbene di intensità inferiore, si ripeté all’inizio dell’opposizione 2010. Il 3 giugno 2010 infatti, Christopher Go, dalle Filippine ed ancora Anthony Wesley, documentano addirittura con due video indipendenti (e ovviamente contemporanei), un flash della durata di qualche secondo, avvenuto nella banda equatoriale di Giove. Questo secondo impatto, nonostante l’impegno degli astroimagers, nei giorni successivi non mostra segni evidenti e persistenti sul pianeta come il precedente del 2009, forse perché di minore energia o per il differente luogo dell’impatto, molto più vicino all’equatore del pianeta. Sebbene questo secondo impatto sia assai rilevante, l’opposizione gioviana 2010 si farà ricordare per un altro ben più evidente motivo: il pianeta si è presentato all’osservazione completamente privo di una delle due principali bande scure di nubi. Candide nubi di ammoniaca hanno infatti nascosto alla vista la sottostante banda equatoriale sud (SEB), lasciando visibile a quelle latitudini solamente la Grande Macchia Rossa, apprezzabile in tutto il suo splendore come un’enorme isola in mezzo ad un oceano bianco. Questo anomalo e piuttosto raro fenomeno per la prima volta “impressionava” i sensori digitali degli astrofili, risultando quindi come un’occasione imperdibile per documentarne l’evoluzione. L’analisi costante e la qualità delle immagini ottenute dai dilettanti hanno permesso di sorvegliare continuamente e approfonditamente il pianeta, in attesa di capire quale segno atmosferico avrebbe sancito l’inizio del diradamento delle nubi e la successiva ricomparsa della SEB. Come atteso, ormai nella seconda parte dell’opposizione, il 9 novembre 2010, un piccolo punto bianchissimo compare nel bel mezzo della ancora coperta SEB! Sembra piccola, ma si tratta di un’enorme, potentissima, tempesta: ben visibile con filtri al metano è lei che da la scintilla iniziale alla ricomparsa della banda equatoriale sud, scomparsa da mesi….. Il primo a documentare questo dettaglio, guarda caso, è Christopher Go, ancora una volta attento e costante nelle sue osservazioni. La mia prima immagine dell’impatto del 19 luglio 2009, a circa 20 ore dalla scoperta. Pagina 22 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Una successiva ripresa della zona dell’impatto eseguita in condizioni atmosferiche migliori. E’ stata elaborata anche un’immagine 3D che mostra dall’alto la morfologia dell’impatto Questo punto luminoso si espande ed inizia a generare vorticosi pennacchi scuri e disturbi nella SEB che, gradualmente, scoprono varie parti della banda scura. Siamo ormai in marzo 2011 e l’imminente fine dell’opposizione purtroppo rende difficilissimo seguire le ultime fasi del fenomeno, con Giove sempre più basso al tramonto. Tutto questo testimonia quanto il lavoro e la grande passione degli astrofili possa risultare complementare al lavoro dei professionisti, i quali, non sempre, sono in grado di dedicare tempo all’osservazione di questi fenomeni. E’ molto positivo il fatto che queste scoperte su Giove siano opera di due astrofili. Non è del tutto casuale, però. Gioca la sua parte, ovviamente, anche la fortuna, ma grandissimi sono i meriti delle persone che hanno seguito con costanza il pianeta, dimostrando rigore, accuratezza e una dedizione straordinaria al monitoraggio del pianeta. L’ovale BA e la Grande Macchia Rossa in transito, circondata da un candido mare di nubi di ammoniaca L’inconsueto aspetto di Giove nell’opposizione 2010, qui visibile con il satellite Io in transito L’evento che si attendeva da tempo: dopo la comparsa di un piccolo puntino bianco, si genera una tempesta vorticosa nella SEB (in alto a destra della banda centrale bianca). Nel settembre 2010, intorno ai giorni dell’opposizione, la SEB risultava ancora completamente bianca AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Contribuiscono anche altri fattori, ad esempio la collocazione in latitudine degli osservatori: non dimentichiamo che Giove solo da quest’anno si è mostrato con un’altezza accettabile sull’orizzonte dell’emisfero boreale. Negli anni scorsi, è stato l’emisfero australe a godere delle migliori condizioni di visibilità. Gli osservatori italiani non sono stati favoriti perché, quando i fenomeni in questione furono osservati la prima volta, il Sole era alto sull’orizzonte! La scoperta di fenomeni rilevanti sulle superfici planetarie è un premio riservato a pochi fortunati, ma non per questo bisogna demoralizzarsi e interrompere un’attività costante che, se ben eseguita, consente di raccogliere, in ogni caso, dati utili allo studio di fenomeni che devono essere costantemente monitorati. L’esperienza che ho accumulato in circa 10 anni di riprese planetarie mi ha fatto capire che, prima di tutto, occorre costanza. La variabile principale che determina la qualità dell’immagine è il seeing, cioè la turbolenza dell’aria. L’evoluzione della tempesta è rapida: nel giro di due settimane è già estesa per diverse decine di gradi di longitudine gioviana Pagina 23 L’ultima mia immagine del pianeta, ripresa ormai di giorno, mostra i bordi esterni della SEB completamente riemersi Considerando che le condizioni atmosferiche ottimali sono piuttosto rare, quantificabili in non più di 10 serate in un anno in località tipiche italiane, se non si è disposti a uscire spesso con il telescopio, sarà molto probabile che eventuali buone condizioni atmosferiche, tra l’altro difficilmente prevedibili, ci sfuggiranno. Questa costanza comporta grossi sacrifici, significa rinunciare ad impegni, ore di sonno, tempo libero, resistere al freddo delle rigide notti invernali….. In secondo luogo occorre essere scrupolosi, ci sono alcune regole indispensabili per produrre un risultato di qualità e scientificamente valido: collimare accuratamente lo strumento, focheggiare finemente, tempificare precisamente le immagini (considerando l’istante “centrale” del filmato), elaborare con delicatezza i risultati ottenuti, senza esagerare con le funzioni di contrasto. Altri consigli utili: -in linea di massima, si utilizzino strumenti mediograndi, tra i 18 e i 40 cm di diametro, l’elevata luminosità aiuterà i sensori a riprendere con tempi più rapidi. -utilizzare webcam o telecamere con sensori a colori o in bianco e nero (in questo caso abbinato a una ruota porta filtri per poi ricomporre l’immagine a colori) in gradi di registrare filmati della durata di circa 2 minuti (il valore massimo dipende dalla velocità di rotazione del pianeta) La SEB inizia a ricomparire, ma ormai l’opposizione è a alla fine, Giove risulta sempre più difficile da riprendere -in base al tipo di camera CCD e allo strumento utilizzato, allungare la focale per raggiungere un valore adeguato a risolvere i dettagli alla portata della propria attrezzatura. Pagina 24 AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 -per meglio “congelare” la turbolenza atmosferica, privilegiare tempi di esposizione più brevi possibili, di solito compresi tra 1/10 di secondo e 1/100 di secondo, in base alla luminosità del soggetto. Impostare di conseguenza un frame-rate elevato, tra i 10 e i 30 fotogrammi al secondo, per acquisire entro il tempo fissato più frames possibili. Rispettando queste di semplici ma irrinunciabili regole, sarete pronti per ottenere immagini planetarie che in qualsiasi caso potranno fornire un contributo scientifico. Se poi la fortuna vorrà premiarvi lasciando su qualche pixel del vostro sensore la traccia di un evento unico, in grado di rendervi “famosi” nell’ambiente astronomico…. beh, meglio ancora! Le fatiche sostenute spariranno in un istante e la soddisfazione personale sarà enorme. Detto questo, non rimane che augurare a tutti voi buone riprese e buon seeing! A sinistra Christopher Go e Anthony Wesley, due tra i migliori astrofotografi al mondo. Un fotomontaggio con Giove e Saturno in congiunzione! Una splendida immagine di Giove ripresa da Anthony Wesley, sotto un cielo spettacolare, da Murrumbateman (Australia). Un cielo con queste straordinarie caratteristiche non lo si trova in alcuna località italiana Io ed il newton da 25 cm che uso, oltre all’altro strumento da 36 cm di diametro, per le mie riprese astronomiche dal terrazzo di casa, a Montecassiano (MC). AST RO NO MIA NOVA n. 2, giugno 2011 Pagina 25