Le Stelle
Collana a cura di Corrado Lamberti
Fare
astronomia
con piccoli
telescopi
Michael K. Gainer
Tradotto dall’edizione originale inglese:
Real Astronomy with Small Telescopes di Michael K. Gainer
Copyright © Springer-Verlag London Limited 2007
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Versione in lingua italiana: © Springer-Verlag Italia 2009
Traduzione di:
Giusi Galli
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Foto nel logo: rotazione della volta celeste; l’autore è il romano Danilo Pivato, astrofotografo italiano
di grande tecnica ed esperienza
Foto di copertina: le Pleiadi riprese da Michele Bortolotti, Osservatorio Monte Baldo (VR)
Progetto grafico della copertina: Simona Colombo, Milano
Impaginazione: Erminio Consonni, Lenno (CO)
Stampa: Grafiche Porpora S.r.l., Segrate, Milano
Stampato in Italia
A mio figlio Michael con amore e gratitudine
Persino l’ultima delle stelle,
che circoscrive la sua luce
a un puntino così minuscolo
da risultare quasi invisibile ai nostri occhi,
se la guardiamo attentamente
ci indicherà,
come in un libro sacro,
la via per acquisire la conoscenza del cielo.
William Habington
Nox Nocti Indicat Scientiam (1634)
Prefazione
Il piccolo telescopio rifrattore, con il suo semplice progetto ottico e costruttivo, e con
le sue ottiche permanentemente allineate, è lo strumento ideale per uso personale,
che ha dato buona prova di sé nel tempo. Facilmente trasportabile, lo si può spostare
dal chiuso all’aperto predisponendolo in quattro e quattr’otto per l’osservazione.
Oppure, può essere convenientemente impacchettato e caricato in auto per raggiungere un sito osservativo ove il cielo sia limpido e buio. Bastano minime cure e un po’
di manutenzione affinché telescopio e montatura possano durare per generazioni.
I piccoli rifrattori forniscono immagini molto nitide, altamente contrastate della
Luna e dei pianeti. Sono meno suscettibili agli effetti dell’instabilità atmosferica degli
strumenti di largo diametro e, proprio perché non richiedono troppa cura e conservano negli anni le loro qualità, sono ideali per un padre che voglia avviare i figli all’astronomia osservativa. Fino a tempi recenti, tuttavia, l’alto costo dei piccoli telescopi
di qualità ottica accettabile per un uso astronomico serio ne aveva limitato la diffusione.
Nel corso dell’ultimo decennio, una serie di innovazioni nel progetto ottico e nelle
tecniche costruttive ha abbassato i costi e migliorato la qualità di questi strumenti.
Gli attuali sviluppi nella progettazione delle lenti rendono possibile la produzione di
telescopi rifrattori con un prezzo abbordabile, di notevole versatilità e con tubi non
troppo lunghi. Un Maksutov-Cassegrain di 90 mm, un tempo strumento costosissimo, che combina ottiche di qualità con una buona trasportabilità, ora si vende a un
prezzo più che accettabile.
Si legge su libri e riviste che i piccoli strumenti sono giudicati poco degni di considerazione per chi vuole compiere osservazioni serie. Io invece ritengo che quasi
tutti gli strumenti meritino attenzione. Nonostante gli indubbi limiti per ciò che
riguarda taluni tipi di osservazioni, i rifrattori di 80 mm e i Maksutov di 90 mm
hanno un’apertura e un ingrandimento sufficienti per garantire soddisfazioni osservative nell’arco di molti anni. Sono ideali nelle misure dei tempi delle occultazioni
ix
x
Prefazione
lunari, per seguire il ciclo dell’attività solare, per osservare le stelle variabili e per
prendere misure dei sistemi binari. Benché tutte le attività che andremo a descrivere
nel libro valgano anche per strumenti di maggiori dimensioni, non ce n’è alcuna che
richieda in senso stretto un diametro maggiore di 80 mm.
Grazie all’uso delle comuni camere digitali è possibile migliorare di molto la scala
delle immagini o la magnitudine stellare limite dei piccoli telescopi, ottenendo in tal
modo risultati che di norma ci si aspetterebbe da strumenti più grandi. Ovunque in
questo libro si applica il principio di provare a compiere osservazioni astronomiche
interessanti e utili. Io ho sperimentato nuovi approcci per estendere l’uso dei piccoli
strumenti a osservazioni quantitative precise, per esempio applicando nuovi metodi
di analisi delle fotografie prese con le camere digitali.
Il mio intento è di dimostrare che osservazioni significative, d’utilità scientifica,
possono essere compiute anche con strumentazione modesta e relativamente di
basso costo. Alcune delle attività descritte metteranno l’astrofilo nelle condizioni di
contribuire validamente alla raccolta di dati che poi vengono gestiti da organizzazioni astronomiche internazionali. Altre attività avranno soprattutto un valore educativo, sia per l’astrofilo autodidatta, sia per il docente di scienze. Tutto ciò dovrebbe
essere d’interesse tanto per l’astrofilo alle prime armi quanto per l’osservatore dotato
di buona esperienza. L’enfasi sarà posta su ciò che si può fare utilmente con un piccolo telescopio, piuttosto che solamente su ciò che si può vedere accostando l’occhio
all’oculare.
Ringraziamenti
Sono profondamente grato a Madalon Amenta per il tempo e la competenza che mi
ha dedicato nella lavorazione del manoscritto.
Michael K. Gainer
Giugno, 2006
Sommario
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .ix
Il computer: hardware e software . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .xv
Capitolo uno
La sfera celeste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1
Capitolo due
La misura del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
Tempo solare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3
Tempo siderale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
Datare le osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
Capitolo tre
La montatura equatoriale dei telescopi . . . . . . . . . . . . . .7
Stabilità della montatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
Il motore dell’asse polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
I cerchi di puntamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11
Allineamento di una montatura equatoriale . . . . . . . . . .13
L’uso dei cerchi di puntamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15
Un GEM da tavola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16
Le montature go-to . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17
Capitolo quattro
Considerazioni sui telescopi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19
I limiti imposti dall’apertura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
I limiti imposti dall’ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21
I limiti tipici dei rifrattori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Rifrattori acromatici a corto fuoco . . . . . . . . . . . . . . . . . .22
I limiti tipici di un telescopio Maksutov . . . . . . . . . . . . . .22
I riflettori newtoniani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23
Oculari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24
xi
xii Sommario
La messa a fuoco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24
Il cercatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24
Accessori da raccomandare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25
Quale piccolo telescopio dovreste acquistare? . . . . . . . . .25
Capitolo cinque
La fotografia astronomica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
La fotografia digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27
La scelta della fotocamera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29
Come montare la camera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29
Il campo di vista afocale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29
Teleobiettivi di conversione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30
Come processare le stampe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31
La fotografia con la pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32
Stampare le immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32
Capitolo sei
Il Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
Osservazioni visuali del Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .35
Classificazione delle macchie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .35
Numero delle macchie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .36
Osservazioni visuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .37
La fotografia digitale del Sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38
L’elaborazione delle foto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .38
I dischi di Stonyhurst . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39
Misurare la rotazione solare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .44
La fotografia del Sole su pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .45
Capitolo sette
La Luna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
Le osservazioni visuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .47
La fotografia lunare con camere digitali . . . . . . . . . . . . . .48
L’analisi delle fotografie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .48
Misure sul monitor del computer . . . . . . . . . . . . . . . . . . .50
La misura delle librazioni lunari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .51
La fotografia lunare su pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .53
Le occultazioni lunari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .53
Capitolo otto
I pianeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Disegnare i pianeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .55
I filtri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56
La fotografia digitale dei pianeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56
Disegnare la posizione orbitale di un pianeta . . . . . . . . .58
Le coordinate eclittiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .58
Le fasi di Venere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .65
Marte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .65
Il moto retrogrado di Marte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67
Scattare fotografie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67
Disegnare i risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .68
Osservazioni visuali di Giove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .68
Osservazioni di Giove con la camera digitale . . . . . . . . . .69
I satelliti di Giove . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .70
Il metodo di Roemer per la misura
della velocità della luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .70
Osservazioni per applicare il metodo di Roemer . . . . . . .71
Saturno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .72
Sommario xiii
Capitolo nove
Comete e asteroidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
Comete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .73
Osservazioni visuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .74
La fotografia digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .76
Scoperte casuali di comete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .76
Fotografia su pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .76
Asteroidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77
La fotografia digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77
Inseguire un asteroide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77
Fotografia su pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .83
Capitolo dieci
Stelle binarie visuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
La fotografia digitale delle stelle binarie . . . . . . . . . . . . . .86
Stampare le immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .90
La misura della separazione delle componenti . . . . . . . .90
La misura dell’angolo di posizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .91
La fotografia su pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .95
Capitolo undici
Un proiettore per le orbite delle stelle binarie . . . . . . .97
Capitolo dodici
Osservazione visuale delle stelle variabili . . . . . . . . . .103
Il telescopio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .104
Preparativi per l’osservazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .104
Eseguire le osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .107
Capitolo tredici
La fotografia delle stelle variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . .109
Elaborare l’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .109
Il metodo di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .110
Come compiere le misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .111
L’analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .112
La fotografia su pellicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .113
Capitolo quattordici
Ammassi stellari e nebulose . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .115
Fotografia digitale di ammassi stellari . . . . . . . . . . . . . . .117
Capitolo quindici
Un diagramma colore-magnitudine per le Pleiadi . .119
La raccolta dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .121
L’analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .122
Capitolo sedici
Il progetto di uno spettrografo a prisma obiettivo . .123
Come si ottiene lo spettro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .125
Capitolo diciassette
Il moto proprio della Stella di Barnard . . . . . . . . . . . .129
Prendere fotografie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .129
Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .131
Il computer:
hardware e
software
Aspetti essenziali di questo libro sono l’elaborazione al computer delle immagini e
l’analisi dei dati presi da piccoli telescopi per ottenere risultati scientificamente significativi. Se il lettore non ha di già un computer adeguato, dotato della strumentazione ausiliaria essenziale, tenga conto di queste raccomandazioni.
Hardware
Il computer che io ho utilizzato per tutto quanto viene descritto nel libro ha un processore Intel Celeron da 2,93 GHz, una memoria RAM di 512 MB e un disco rigido
di 80 GB. Computer un poco più lenti, dotati di meno memoria operativa, potrebbero avere difficoltà a lavorare con qualcuno dei software che qui raccomandiamo. Il
computer dovrebbe avere un numero sufficiente di porte USB per poter gestire uno
scanner e per scaricare le immagini da una camera digitale. Le porte adatte alle
schede di memoria delle camere digitali sono più convenienti delle porte USB.
Essenziale è anche uno scanner capace di lavorare sulle diapositive e sui negativi formato 35 mm.
Software
Benché Guide 8.0, un programma tipo planetario, non si presenti con immagini
spettacolari come quelle che vengono proposte da molti altri programmi più costosi,
è comunque, a mio avviso, il migliore software disponibile, e il più a buon mercato.
Con esso si ha la possibilità di predisporre carte stellari ove vengono indicate le
xv
xvi Il computer: hardware e software
magnitudini delle stelle fino al valore limite per ogni telescopio e per ogni campo
visuale. È anche possibile identificare stelle variabili e asteroidi, oltre che ottenere
tutte le effemeridi e i parametri necessari per l’osservazione del Sole, della Luna e dei
satelliti gioviani.
Il programma Picture It! 7.0, o versioni successive, della Microsoft è un programma di elaborazione delle foto di basso costo che racchiude in sé tutti gli strumenti che occorrono per lavorare sulle foto delle camere digitali al fine di svolgere le
attività proposte in questo libro. Grazie a questo programma è possibile sovrapporre
una griglia o una scala a un’immagine, attenuandole nella misura che si vuole, fino
alla completa trasparenza, ingrandirle a piacere e ruotarle di un qualunque angolo.
Se si sceglie un altro software, si deve fare in modo che abbia queste stesse caratteristiche.
CAPITOLO UNO
La sfera
celeste
Se si vogliono effettuare osservazioni utili, è necessario definire un sistema di riferimento
rispetto al quale compiere le misure. Affinché l’osservazione della posizione di una stella o di
un pianeta possa essere fissata nello spazio e nel tempo, occorre stabilire come standard certe
direzioni e orientazioni. Per definire un tale sistema di coordinate, le stelle possono essere considerate fisse su un’ideale sfera celeste trasparente che ruota da est a ovest attorno all’asse della
Terra, compiendo un giro ogni 24 ore. La figura 1.1 illustra questa sfera immaginaria sulla
quale sono indicate le coordinate standard. Le definizioni che seguono servono per comprendere l’illustrazione.
I poli celesti sono le proiezioni dei poli terrestri sulla sfera celeste. L’equatore celeste è la
proiezione dell’equatore terrestre (nella figura 1.1) sulla sfera celeste.
Un osservatore sito nel punto p sulla Terra vede un orizzonte indicato dal piano NOSE che
indica le direzioni nord, ovest, sud, est. Lo zenit dell’osservatore, indicato con p', è il punto che
sta direttamente sopra la sua testa. Il meridiano locale è una linea immaginaria che passa dal
nord dell’orizzonte, attraverso il polo nord celeste e lo zenit fino all’orizzonte sud.
Poiché la Terra si muove intorno al Sole alla velocità di circa 1° al giorno (precisamente 360° / 365,25 = 0°,986 al giorno), il Sole sembra muoversi sulla volta celeste fra le
stelle fisse alla stessa velocità. Il cammino apparente del Sole è detto eclittica ed è la proiezione sulla sfera celeste del piano dell’orbita terrestre.
Il punto in cui l’eclittica attraversa l’equatore, da sud a nord andando verso est, è l’equinozio di primavera. Il punto d’intersezione opposto, spostato di 180° sull’equatore, è l’equinozio
d’autunno. Il punto più meridionale dell’eclittica è il solstizio d’inverno; il più settentrionale è il
solstizio d’estate. Si tenga presente che equinozi e solstizi sono punti sulla sfera celeste e non
istanti temporali nel corso dell’anno. La primavera inizia quando il Sole passa dall’equinozio di
primavera, non quando “avviene” l’equinozio di primavera. Nella figura 1.1, il Sole apparente
(il Sole fittizio, “attaccato” alla sfera celeste) viene indicato da un cerchietto posto al solstizio
d’inverno. L’equinozio di primavera è sull’orizzonte orientale. Una freccia indica la direzione
effettiva in cui si trova il Sole.
A causa dell’interazione gravitazionale tra la Terra e la Luna, l’asse di rotazione della Terra
1
2
Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 1.1. La sfera celeste.
va soggetto a un moto di precessione percorrendo un cono aperto di un angolo di 23°,5 con un
periodo di 25.800 anni relativamente alle stelle. Come risultato di ciò, la posizione siderea degli
equinozi va cambiando nel tempo, con lo stesso periodo. Allo scopo di fissare un sistema di
coordinate, tuttavia, in prima approssimazione li possiamo considerare fissi.
Poiché l’equinozio di primavera rappresenta un punto fisso sulla sfera celeste, noi lo useremo come origine del sistema di coordinate al quale riferire le posizioni delle stelle.
Supponiamo che un osservatore nel punto p guardi una stella nel punto s sulla sfera celeste.
Possiamo immaginare un cerchio massimo che va da nord fino all’equatore celeste passando
per la stella. Definiremo l’angolo tra questo cerchio e quello analogo che corre passando attraverso l’equinozio di primavera come l’ascensione retta (AR) della stella. Per ragioni che vengono spiegate nel capitolo 2, l’ascensione retta viene misurata in ore, minuti e secondi (da 0h a
24h), lungo l’equatore celeste, andando verso est a partire dall’equinozio di primavera.
La distanza angolare del punto s dall’equatore celeste è la declinazione della stella che si trova
in quel punto. Tutti i punti che hanno la medesima declinazione stanno su un cerchio che corre
parallelo all’equatore celeste. Le declinazioni sono misurate in gradi nord o sud: le declinazioni
nord vanno da +0° a +90° e quelle sud da –0° a –90°. L’ascensione retta e la declinazione, che
sono dette coordinate equatoriali, sono equivalenti alla longitudine e alla latitudine sulla Terra.
CAPITOLO DUE
La misura
del tempo
Tempo solare
Nell’antichità, nel corso della giornata, il tempo veniva misurato dalla direzione dell’ombra gettata da uno gnomone. Si sviluppò così un’ampia varietà di meridiane sofisticate ed eleganti che
vennero assunte come cronografi standard. Le meridiane erano anche utilizzate come riferimento per verificare e correggere altri modi e tecniche di misura del tempo, come le clessidre.
Il tempo che si misura in questo modo è detto tempo solare apparente. Il tempo che intercorre tra due successivi transiti del Sole al meridiano locale definisce il giorno solare apparente.
La Terra percorre un’orbita che è ellittica, non circolare, e perciò la distanza angolare che essa
copre ogni giorno varia nel corso dell’anno. La Terra si muove più rapidamente in inverno,
quando si avvicina al perielio, che in estate, quando è prossima all’afelio. La conseguenza è che
varia anche la velocità alla quale il Sole apparente si muove lungo l’eclittica verso est. Ciò fa sì
che l’intervallo di tempo tra due consecutivi ritorni del Sole al meridiano locale, il giorno solare
apparente, cambi nel corso dell’anno. Nei tempi antichi ciò non era un problema, ma quando
le attività civili richiesero regolazioni più rigorose e quando si ebbe un’espansione del commercio internazionale, ecco che si rese necessario un metodo più sicuro per la misura del
tempo.
Per mediare le ineguaglianze del tempo solare apparente fu inventato il concetto di tempo
solare medio. Attualmente viene definito sulla base di un Sole medio che si muove verso est a
velocità costante lungo l’equatore celeste. La differenza tra il tempo solare medio e il tempo
solare apparente per ogni data particolare è detta equazione del tempo.
Per regolamentare le attività civili, la superficie terrestre è stata convenzionalmente suddivisa in fusi orari, all’interno dei quali l’ora è la stessa indipendentemente dalla longitudine, che
si differenziano di un’ora, o approssimativamente di 15° di longitudine, a partire dal meridiano
di Greenwich. Per esempio, il fuso dell’Eastern Standard Time (quello della costa orientale
degli Stati Uniti) è centrato a circa 75° di longitudine ovest: il tempo solare medio di quel fuso
è 5h più indietro di quello di Greenwich.
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4
Fare astronomia con piccoli telescopi
Come detto, l’equazione del tempo è la differenza tra il tempo che si legge su una meridiana e
quello che si legge su un orologio da polso (il tempo solare medio), espressa in minuti:
tempo solare apparente – tempo dell’orologio = equazione del tempo
Essa può essere negativa, oppure positiva, a seconda del periodo dell’anno.
Le meridiane possono essere costruite in un’ampia varietà di forme e sono il mezzo ideale
per combinare l’arte con la scienza. Si possono costruire dispositivi che tengono conto dell’equazione del tempo e della longitudine, in modo da misurare il tempo solare medio con una
precisione fino al minuto.
Le meridiane orizzontali sono semplicemente la proiezione del piano equatoriale su un
piano orizzontale, come mostra la figura 2.1. L’angolo che lo gnomone forma con il piano orizzontale è pari a quello della latitudine del luogo. Le meridiane verticali, disposte su una parete
che guarda verso sud, vengono costruite sulla base dello stesso principio. In queste, lo gnomone
punta in basso, nel verso opposto a quello del polo celeste. Ogni meridiana deve essere allineata
con il polo celeste al fine di misurare il tempo solare apparente.
Un’altra forma di meridiana viene illustrata nella figura 2.2. Qui lo gnomone è l’asse di un
semicilindro che punta nella direzione del polo celeste. Le linee delle ore, separate di 15°, vengono tracciate parallelamente allo gnomone.
Il lettore che volesse applicare il proprio senso estetico a un lavoro artistico pratico può trovare in libreria diversi testi di approfondimento sulle meridiane.
Figura 2.1. La meridiana orizzontale.
Figura 2.2. Una meridiana equatoriale.
La misura del tempo
Tempo siderale
Il tempo solare apparente e il tempo solare medio si legano entrambi ai transiti consecutivi del
Sole al meridiano locale, o di una sua rappresentazione fittizia. Poiché il Sole apparente si
muove all’incirca di 1° al giorno verso est relativamente alle stelle, il tempo solare non è di
alcuna utilità nel compiere misure con riferimento alle stelle.
Il giorno siderale è il tempo che trascorre tra due transiti consecutivi di una particolare stella
al meridiano locale. Il tempo siderale che si misura quando una stella passa al meridiano è pari
alla sua ascensione retta; alternativamente, potremmo dire che l’ascensione retta di una stella è
data dal tempo siderale nel momento in cui essa attraversa il meridiano locale. Questo, in
effetti, è il modo in cui vengono misurate le ascensioni rette.
A causa della precessione dell’asse terrestre relativamente alle stelle, la posizione siderale dei
poli celesti, l’equatore celeste e gli equinozi cambiano nel tempo. In aggiunta, ciascuna stella è
dotata di un suo moto proprio relativamente alle altre. Di conseguenza, il giorno siderale viene
definito in modo più rigoroso come il tempo che passa tra due transiti consecutivi dell’equinozio di primavera, legandolo in tal modo a un sistema di riferimento fisso. La posizione dell’equinozio di primavera relativamente alle stelle può essere determinata registrando l’istante
in cui il Sole, nel suo moto annuale, attraversa l’equatore celeste da sud a nord.
Il giorno siderale è più breve del giorno solare medio di 3m 55,91s. Poiché le attività civili
sono legate al tempo solare, il tempo siderale è utile solo per le osservazioni astronomiche.
L’ascensione retta e la declinazione vengono definite relativamente all’equinozio di primavera e all’equatore celeste. L’equinozio, come si è già detto, si muove verso ovest attraverso le
costellazioni dello Zodiaco in un ciclo che dura 25.800 anni. La conseguenza è che i valori catalogati delle coordinate equatoriali delle stelle devono sempre essere riferiti alla particolare posizione dell’equinozio per una data epoca. Per esempio, le posizioni delle stelle nei cataloghi di
questi anni sono riferite all’equinozio del 2000,0. Gli effetti della precessione e del moto proprio sulle coordinate di una stella vengono riportati nei cataloghi come variazioni annuali in
ascensione retta e declinazione di cui tenere conto. La posizione attuale esatta di una stella viene
determinata a partire dal tempo intercorso tra il tempo attuale e l’epoca del catalogo. Con l’eccezione delle stelle più vicine, le variazioni annuali si misurano in frazioni di secondo d’arco.
Datare le osservazioni
Le osservazioni astronomiche non sono di alcuna utilità se non viene registrato il tempo in cui
sono state fatte. Per mettere in relazione osservazioni compiute in differenti località geografiche, è necessario che la misura del tempo sia indipendente dalla longitudine, o dal tempo civile
dell’osservatore. Il Tempo Universale (TU), regolato da un orologio atomico internazionale, è
il tempo solare medio misurato al meridiano di Greenwich (GMT). Il Tempo Universale
Coordinato è il tempo dato dai segnali radio.
Le osservazioni di fenomeni che avvengono su lunghi periodi temporali sono datate con il
Giorno Giuliano, un metodo di numerazione dei giorni introdotto nel 1582 da Joseph Justus
Scaliger e che prese il nome da suo padre Julius Caesar Scaliger. Scaliger introdusse questo
metodo di datazione per far sì che i riferimenti agli eventi storici fossero indipendenti dai calendari locali. Gli astronomi lo hanno adottato per le stesse ragioni. Il Giorno Giuliano di un’osservazione può essere ottenuto dal menu [Time Set] di Guide 8.0. Il calendario con i giorni
giuliani può essere scaricato anche dal sito web dell’American Association of Variable Star
Observers (AAVSO).
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CAPITOLO TRE
La montatura
equatoriale
dei telescopi
Per compiere serie osservazioni con un piccolo telescopio è essenziale disporre di una
montatura equatoriale. Tali montature possono essere di due tipi: alla tedesca (GEM) e a
forcella. La prima è mostrata nella figura 3.1, la seconda nella figura 3.2. Entrambe hanno
due assi perpendicolari tra loro per il posizionamento in ascensione retta e in declinazione. Nella forma più semplice, entrambi gli assi sono equipaggiati con cerchi calibrati.
L’asse polare dispone di un motore per l’inseguimento, mentre il motore di declinazione
richiede un controllo manuale per piccoli spostamenti. Nei prossimi paragrafi proporremo suggerimenti e innovazioni per risolvere alcune pecche o problemi costruttivi che
riguardano i piccoli telescopi.
Stabilità della montatura
Poiché un telescopio traballante ben difficilmente può essere messo perfettamente a fuoco,
una montatura rigida è importante quanto l’eccellenza delle ottiche. Avranno un influsso
negativo sulle osservazioni anche lievi vibrazioni indotte da una leggera brezza oppure
dalla mano che si appoggia sul pomello della messa a fuoco. Ciò è particolarmente fastidioso se si opera con modelli dalla lunga focale. Sfortunatamente, gran parte degli strumenti commerciali della classe degli 80 mm presenta montature inadeguate.
La figura 3.1 mostra le montature equatoriali standard fornite con i piccoli telescopi.
Quella sulla destra è generalmente conosciuta come EQ2, quella sulla sinistra come EQ3.
In genere, i rifrattori a corto tubo di 80 mm e i Maksutov-Cassegrain di 90 mm vengono
venduti con la montatura EQ1. Quest’ultima, essendo più leggera della EQ2, è inadeguata
per osservazioni serie. I rifrattori di lunga focale di 80 mm usualmente vengono venduti
con la EQ2: benché tale montatura abbia una base solida per i rifrattori di fuoco corto o
per un Maksutov di 90 mm, non è sufficientemente stabile per smorzare le vibrazioni
indotte da tubi lunghi.
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8
Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 3.1. Confronto tra montature equatoriali alla tedesca.
I rifrattori di lungo fuoco dovrebbero essere montati sulla più robusta EQ3, come
quella della figura 3.1. La Orion vende la montatura sulla destra sotto il nome di
AstroView; altri produttori vendono montature equivalenti sotto nomi diversi. Tale montatura è più stabile della EQ2 e presenta in aggiunta un piccolo telescopietto per l’allineamento al polo. Benché un po’ più pesante delle altre, è ancora abbastanza leggera da essere
facilmente trasportabile. La soluzione migliore è di acquistare separatamente il tubo ottico
e la montatura.
Uno dei vantaggi del Maksutov-Cassegrain compatto di 90 mm è che esso può essere
piazzato rigidamente su un’altrettanto compatta montatura equatoriale a forcella, con il
tubo fissato tra i due rebbi della forcella, come mostra la figura 3.2. Il motorino d’inseguimento è posto dentro la base della montatura. La base della forcella ruota attorno all’asse
polare, mentre un asse che corre attraverso i rebbi della forcella provvede alla rotazione in
declinazione.
Il treppiede da tavola che viene fornito con alcune montature a forcella è conveniente,
ma per osservazioni soddisfacenti richiede di essere appoggiato su un tavolo molto rigido.
Altro svantaggio di questo equipaggiamento è che l’osservazione risulta scomoda per
alcune posizioni del telescopio.
Un allineamento polare sufficientemente accurato con una montatura da tavolo può
essere ottenuto prendendo come riferimento una bussola. Se però vorremo fotografare,
allora sarà necessario un allineamento più preciso. Un buon metodo è di attendere una
giornata di Sole e di allineare la gamba centrale della montatura con la sua stessa ombra
quando il Sole transita al meridiano locale. Se segniamo i punti in cui le estremità delle
gambe del treppiede toccano il tavolo, nell’ipotesi che il tavolo non venga mai mosso,
avremo un allineamento polare accurato in azimut automaticamente ogni volta che vorremo usare il telescopio. Il tempo medio locale (il tempo dell’orologio) al quale il Sole
transita al meridiano locale può essere ottenuto da un software come Guide 8.0, oppure da
La montatura equatoriale dei telescopi
Figura 3.2. Una montatura equatoriale a forcella.
qualche almanacco con le effemeride astronomiche.
L’allineamento dell’inclinazione dell’asse polare viene ottenuto impostando il cerchio
di declinazione in modo che segni la vostra latitudine mentre lo strumento è puntato allo
zenit. Appoggiate una livella sopra l’obiettivo come mostrato nella figura 3.3 e aggiustate
l’inclinazione dell’asse polare fintantoché il livello è perfetto.
Se dovrete viaggiare per raggiungere un sito osservativo lontano, magari per una
misura di un’occultazione lunare, è abbastanza improbabile che riuscirete a trovare una
tavola adeguata. In queste occasioni sarà necessario un treppiede portatile rigido. Questo
è un equipaggiamento standard per il Meade ETX. Alcuni costruttori ora vendono il
Maksutov come uno spotting scope (un telescopietto portatile) senza montatura. Lo si può
acquistare e lo si può montare su una montatura equatoriale alla tedesca comperata a
parte.
Le figure 3.4 e 3.5 mostrano un treppiede portatile, solido come una roccia, che mi sono
autocostruito per un telescopio Questar utilizzando parti recuperate da un Astromart. Ho
fissato la testa equatoriale di un Celestron C8 a un treppiede standard in alluminio con un
bullone e un dado a farfalla da 3/8" per la regolazione in azimut. Le frecce nella figura 3.4
indicano i due attacchi che ho ricavato da un tubo di rame, fissati alla piastra della testa
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10 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 3.3. La regolazione dell’asse polare.
equatoriale attraverso i fori esistenti. Ciò serve per mantenere a posto la base della montatura mentre viene fissata alla barra mostrata nella figura 3.5. La vite usata per fissare la
barra alla piastra di base della montatura porta un dado a farfalla per stringerla alla piastra
della testa. Questa vite ha la filettatura standard per i treppiedi (1/4×20) ed è lunga abbastanza da permettere alla barra di passare attraverso il foro nella piastra della testa senza
che si debba rimuoverla dalla base della montatura.
La montatura equatoriale dei telescopi 11
Figura 3.4. Un Questar su un treppiede autocostruito con parti di recupero.
Il motore dell’asse polare
Un motorino d’inseguimento non è necessario se si fanno osservazioni visuali a bassi ingrandimenti e nemmeno lo è quando si fotografano il Sole e la Luna, sempre a bassi ingrandimenti.
Ma diventa essenziale nella fotografia delle stelle variabili e binarie, degli asteroidi, degli
ammassi stellari e delle nebulose.
Per la fotografia digitale che trattiamo in questo libro è sufficiente un dispositivo che garantisca un accurato inseguimento per una posa della durata di 30s. Ho potuto verificare che i
motori disponibili come accessori opzionali delle montature EQ2 ed EQ3 possono ben servire
allo scopo.
I cerchi di puntamento
I cerchi di puntamento forniti con molte delle montature equatoriali commerciali per piccoli
telescopi non sono molto utili, a meno che non si introduca qualche modifica. Talvolta, può
essere necessario curvare i puntatori usando le pinze lunghe e sottili degli elettricisti. Talune
montature potrebbero richiedere l’aggiunta di indicatori che rendano veramente leggibili le
scale. Nelle figure 3.6 e 3.7, i cerchi di ascensione retta e di declinazione sono stati resi più leggibili con l’aggiunta di un indicatore ritagliato da un lamierino di ottone, fissato nella sua posizione con nastro biadesivo.
12 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 3.5. Vista posteriore della montatura Questar.
Figura 3.6. Come perfezionare l’indicatore dell’ascensione retta.
La montatura equatoriale dei telescopi 13
Figura 3.7. Così migliora la lettura del cerchio di declinazione.
Allineamento
di una montatura equatoriale
La montatura EQ3 della figura 3.1 è dotata di un piccolo telescopio posizionato dentro l’asse
polare che semplifica di molto l’allineamento con il polo nord celeste. Gran parte di questi telescopietti presenta nell’oculare un reticolo che indica la posizione della Stella Polare relativamente
al polo nord celeste. Diventa in tal modo facile aggiustare la montatura in altezza e in azimut,
mentre si guarda attraverso il piccolo telescopio, al fine di allinearlo correttamente alla Polare. Se
la montatura non ha questo dispositivo, la procedura da seguire è la seguente:
1. Ponete il telescopio verticalmente, rivolto verso l’alto, parallelo all’asse polare della montatura,
come mostrato nella figura 3.8. Bloccate l’asse di declinazione come nell’illustrazione. Ponete
un goniometro sul telescopio e aggiustate l’altezza della montatura fino a che sul goniometro
leggerete la vostra latitudine. Centrate la Stella Polare nel campo di vista del cercatore.
2. Ruotate il telescopio sull’asse polare sino a che è parallelo all’alloggiamento dell’asse stesso, o
sul lato orientale o su quello occidentale, come mostrato nella figura 3.9, e serrate l’asse di
ascensione retta. Ruotate il telescopio sull’asse di declinazione fino a che la Stella Polare sarà
visibile nell’oculare.
3. Ruotate la montatura del telescopio nel piano orizzontale (azimut) e il telescopio sull’asse di
declinazione fino a che la Stella Polare sarà centrata in un oculare. Serrate l’asse di rotazione
dell’azimut.
4. Riportate il telescopio nella posizione della figura 3.8 e aggiustate l’inclinazione dell’asse polare
in modo da portare la Stella Polare al centro del campo visuale.
Poiché la Polare non si trova esattamente al polo celeste, questa procedura non allineerà precisamente l’asse polare al polo celeste. Tuttavia, per i brevi periodi d’osservazione e per le corte esposizioni fotografiche richieste dalle attività descritte in questo libro basterà realizzare l’allineamento
con la Polare.
14 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 3.8. Come aggiustare l’inclinazione dell’asse polare.
Figura 3.9. Regolazione dell’asse polare in azimut.
La montatura equatoriale dei telescopi 15
Se si vuole ottenere un allineamento più preciso, con il polo e non con la Polare, si potrebbe utilizzare un software come Guide 8.0 che può mostrare per ogni giorno dell’anno, per ogni istante, e
per la località desiderata, qual è la posizione relativa della Stella Polare rispetto al polo celeste.
Usando il metodo descritto più sopra, invece di centrare la Polare nel campo, la si decentrerà
nella direzione indicata dalla mappa di Guide 8.0 tenendo presente che la Polare dista dal polo
0°,73. Conoscendo il diametro apparente del campo inquadrato, si stimerà questa distanza dal
centro alla Polare. Fissate gli assi d’altezza e di azimut della montatura. Questo metodo vi permetterà un inseguimento sufficientemente accurato per un’esposizione fotografica fino a 5m
usando un rifrattore di 80 mm f/5.
L’uso dei cerchi di puntamento
Prima di iniziare una sessione osservativa, fate una lista delle ascensioni rette e delle declinazioni
degli oggetti che intendete osservare. Accanto all’oggetto, riportate la posizione di una stella bril-
Figura 3.10. Come tarare il cerchio di declinazione su una montatura GEM.
16 Fare astronomia con piccoli telescopi
lante che sia vicina ad esso. Sarà la vostra stella di riferimento per localizzare l’oggetto cercato.
Per usare i cerchi, in primo luogo allineate l’asse polare della montatura con la Stella Polare con
uno dei metodi già descritti. Se è la prima volta che state usando i cerchi della montatura, verificate la calibrazione del cerchio di declinazione con la procedura che ora descriviamo.
Con l’asse polare allineato correttamente, muovete il telescopio in modo da puntare lo zenit
e fissatelo in quella posizione. Potete far questo appoggiando una livella parallela alla cella della
lente obiettivo come mostrato nelle figure 3.3 e 3.10. In quella posizione l’indicatore del cerchio
di declinazione dovrebbe darvi la latitudine del vostro sito. Se non lo fa, allentate la vite che fissa
il cerchio all’asse di declinazione e ruotate il cerchio in modo che esso indichi la latitudine. Se
non è possibile muovere il cerchio, aggiustate il puntatore.
Per usare il cerchio, centrate la stella di riferimento nel campo visuale, poi muovete il telescopio sull’asse di declinazione per la differenza tra le declinazioni della stella di riferimento e
di quella che volete puntare.
Per l’ascensione retta, ponete la stella di riferimento al centro del campo e ruotate il cerchio
di ascensione retta fino a che esso legge la sua posizione. Poi, con il cerchio bloccato in quella
posizione, muovete il telescopio fino a che viene indicata l’ascensione retta della stella che
volete puntare. I cerchi di ascensione retta hanno due scale e le letture vanno crescendo verso
est. La scala superiore è per l’emisfero nord, quella inferiore per l’emisfero meridionale.
Se l’asse polare è allineato con cura, i cerchi di puntamento presenti su montature come
quelle mostrate nella figura 3.1 dovrebbero essere in grado di portare un oggetto dentro il
campo di vista di un oculare di 25 mm.
Un GEM da tavola
La praticità di un treppiede da tavolo come quelli in dotazione ad alcuni telescopi MaksutovCassegrain con montatura a forcella può essere garantita per piccoli GEM da quello che io
chiamo “tagliere equatoriale”. La base della montatura è un pesante tagliere, che misura 25 ×
38 × 5 cm che può essere acquistato in ogni negozio di casalinghi. Un legno compatto e duro
è l’ideale poiché smorza le vibrazioni ed è abbastanza pesante da spostare se inavvertitamente
Figura 3.11. Un Maksutov di 90 mm su una montatura GEM da tavola.
La montatura equatoriale dei telescopi 17
lo urtate con la mano. La costruzione è semplice: si tratta di fare con il trapano alcuni buchi
nella base del treppiede di una montatura EQ2 per attaccarla al tagliere con bulloni e dadi a farfalla. Nella figura 3.11 è mostrato un telescopio Maksutov di 90 mm sulla montatura equatoriale finita.
L’allineamento polare lo si ottiene in una giornata di Sole. Tracciate una linea perpendicolare dal bordo orizzontale del tagliere verso il centro della montatura. Quando il Sole è al meridiano locale allineate il bordo nord-sud del blocco di legno con la sua ombra. In
contemporanea, aggiustate la montatura sul suo asse di azimut in modo che l’ombra dell’asse
polare sia perpendicolare alla direzione est-ovest del tagliere, aiutandovi con la linea tracciata
in precedenza. Una volta che avrete realizzato l’allineamento, potrete marcare l’orientazione
del tagliere come riferimento per le serate osservative. Per osservare gli oggetti circumpolari,
con il GEM eviteremo le posizioni scomode che invece sono caratteristiche delle montature
equatoriali a forcella. Semplicemente, fate scorrere la montatura lungo la linea nord-sud fino
al lato opposto della tavola e guardate dal lato sud. Io ho sperimentato che questa montatura,
quando è usata con un blocco di legno solido e pesante, è più stabile dei treppiedi convenzionali dei telescopi Maksutov di 90 mm e dei rifrattori a corto tubo di 80 mm. Oltretutto, esso
mette a disposizione una comoda superficie piana ove appoggiare cartine di riferimento, fogli
d’appunti e accessori.
Le montature go-to
Ho raccolto pareri discordi tra gli utenti dei sistemi go-to riguardo alla loro efficacia.
Probabilmente è altrettanto facile e forse meno frustrante usare l’allineamento con la Polare e
i cerchi di puntamento su una GEM che applicarsi al processo di allineamento con due stelle
che è richiesto per l’istallazione di un telescopio go-to.
Certamente i sistemi go-to di alta precisione fanno risparmiare tempo agli utenti di telescopi montati in modo permanente e di grande diametro. Ma non sempre è saggio prendere a
riferimento la Big Astronomy, scalandola verso il basso. Cercando oggetti nel cielo notturno ne
scoprirete casualmente alcuni che accenderanno la vostra curiosità. Una piccola macchia
nebulosa di luce o un gruppo di deboli stelle che non avevate mai notato in precedenza vi convinceranno a dare un’occhiata più approfondita. Col tempo diventerete un osservatore sempre
più scaltro.
A meno che una montatura go-to sia usata come un’equatoriale, essa non si presta per lunghe esposizioni fotografiche. Operando nel modo altezza-azimut il computer vi manterrà l’oggetto nel campo visuale del telescopio, ma il campo ruoterà attorno ad esso.
Se siete sul punto di acquistare il vostro primo telescopio, considerate se sia più saggio usare
i vostri soldi per procurarvi una montatura go-to oppure per acquistare qualche accessorio
utile, come migliori oculari o una camera digitale di qualità.
CAPITOLO QUATTRO
Considerazioni
sui telescopi
Fra i criteri adottati per la scelta dei piccoli telescopi il primo è un’apertura adeguata. Gli altri
riguardano la qualità ottica e meccanica, la prevedibile vita media, la portabilità e la versatilità. I disegni ottici disponibili che meglio soddisfano tali criteri sono quelli dei rifrattori di 80
mm di fuoco, sia lungo che corto, e dei Maksutov-Cassegrain di 90 mm e 100 mm, che nel
seguito chiameremo semplicemente Maksutov. Ogni volta che in questo libro userò il termine
“piccoli telescopi” mi riferirò a questi tipi di telescopi e a queste aperture. Tutte le fotografie
qui pubblicate sono state realizzate con rifrattori di 80 mm e con Maksutov di 90 mm.
Siccome le configurazioni ottiche di questi strumenti sono ben note, la discussione
seguente sarà centrata sui pro e sui contro di ciascun tipo, in funzione delle attività che qui
vogliamo presentare.
Per tutti i telescopi esistono precise limitazioni nella risoluzione, negli ingrandimenti e
nella magnitudine limite stellare, limitazioni imposte dalla diffrazione della luce, dalle condizioni atmosferiche e dalla fisiologia dell’occhio umano. Ci sono stati molti tentativi di quantificare questi effetti al fine di calcolare cosa dobbiamo aspettarci da un particolare tipo di
strumento di una data apertura, ma in realtà sono così grandi le variazioni nei parametri per
differenti tipi di sistemi ottici, per differenti località geografiche e per i singoli osservatori che,
al più, si possono esprimere dei valori come indicazioni approssimative.
I limiti imposti dall’apertura
Io vivo in campagna, circondato da terreni coltivati, 60 km a est di Pittsburg (Pennsylvania,
USA) e 25 km lontano da ogni altra fonte significativa di luce.
Nelle notti serene senza Luna posso facilmente rivelare stelle deboli fino alla magnitudine
11,3 con un rifrattore di 80 mm f/11. Ciò è in accordo con la relazione:
m = 1,8 + 5logD
dove m è la magnitudine limite e D è il diametro dell’obiettivo espresso in millimetri.
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20 Fare astronomia con piccoli telescopi
Benché per un rifrattore di 80 mm siano state riportate magnitudini limite fino alla 12,1,
questo è un valore troppo debole per l’osservatore medio: quello sopra riportato è più realistico.
A causa dell’ostruzione dovuta alla presenza dello specchio secondario, l’apertura effettiva
di un Maksutov di 90 mm è intorno a 84 mm e poiché c’è un’ulteriore perdita di luce conseguente alla riflessione su due superfici, la magnitudine limite per questi telescopi è all’incirca la
stessa di quella del rifrattore da 80 mm.
La diffrazione della luce creata dall’apertura circolare impone limiti al potere risolutivo di
un telescopio e agli ingrandimenti consentiti. La diffrazione produce un’immagine di una stella
che consiste di un massimo centrale brillante, circondato da deboli anelli concentrici. A bassi
ingrandimenti, le stelle deboli appaiono come semplici puntini luminosi, ma per le stelle brillanti osservate ad alti ingrandimenti il massimo centrale diviene percepibile e viene detto disco
di Airy. Il diametro del disco di Airy diminuisce con l’aumento dell’apertura del telescopio. Se
le due componenti di una stella binaria sono separate da una distanza che è minore del diametro del disco di Airy per una particolare apertura, esse non possono essere risolte come stelle
singole. Questo criterio è quello che definisce il potere risolutivo di un telescopio (R). Espresso
in secondi d’arco, è dato approssimativamente dalla formula:
R = 115/D
dove D è il diametro in millimetri. Per un rifrattore di 80 mm il potere risolutivo è di 1",4.
I telescopi vengono usualmente classificati per il loro rapporto d’apertura, simboleggiato da “f/”. Esso consiste nel rapporto tra la lunghezza focale della lente obiettiva e il
diametro della lente stessa. Un telescopio rifrattore di 80 mm con una lunghezza focale
di 900 mm viene indicato come un rifrattore di 80 mm f/11,3.
Mentre l’ingrandimento dato da un telescopio può essere calcolato come il rapporto
tra la lunghezza focale dell’obiettivo e la lunghezza focale dell’oculare, per un Maksutov
la lunghezza focale effettiva è quella del sistema combinato di specchi.
Gli ingrandimenti possono essere modificati utilizzando oculari di differenti lunghezze focali. C’è tuttavia un limite all’ingrandimento massimo raggiungibile, poiché se
si spingono troppo gli ingrandimenti la diffrazione della luce fa sì che l’immagine di un
pianeta perda contrasto e nitidezza. Di conseguenza, l’ingrandimento massimo raggiungibile da un telescopio dipende dalla sua apertura. In generale, una buona regola da
applicare per calcolare il massimo ingrandimento utile è moltiplicare per 2 l’apertura
dello strumento in millimetri. Nelle notti eccezionali, quando l’aria è estremamente stabile, questo limite può anche essere spinto a 2,5 per millimetro.
La presenza del disco secondario nei telescopi newtoniani e Maksutov rimuove parte
della luce dal disco di Airy e la distribuisce negli anelli secondari della figura di diffrazione. Il risultato è che gli ingrandimenti massimi e il contrasto dell’immagine vengono
usualmente considerati un poco minori che per un rifrattore. L’effetto si può notare più
facilmente per i Newtoniani di corto fuoco dotati di specchi secondari relativamente
grossi, e diventa trascurabile solo se il diametro dello specchio secondario (la diagonale
dell’asse minore nei Newtoniani) è il 25%, o meno del 25%, del diametro dello specchio
primario. Ciò accade nei Newtoniani circa f/8.
Certe restrizioni nel disegno dei telescopi Maksutov impongono che lo specchio
secondario abbia un diametro circa pari al 34% di quello del primario. Tuttavia, il fatto
che essi non soffrano dell’aberrazione cromatica e di altre aberrazioni ottiche tende a
compensare l’effetto della diffrazione causata dallo specchio secondario. In definitiva, un
Maksutov di 90 mm può restituire immagini comparabili con quelle ottenute con un
rifrattore di 80 mm.
Considerazioni sui telescopi 21
I limiti imposti dall’ambiente
Le condizioni atmosferiche possono incidere seriamente sulle prestazioni del telescopio.
La stabilità atmosferica che si ha nel corso della notte viene descritta dal termine seeing,
che viene spesso valutato su una scala da I a IV. Poiché tale scala è soggettiva, io preferisco usare i termini qualitativi: “eccellente”, “buono”, “sufficiente” e “povero”.
Quando il seeing è eccellente, in un rifrattore di 80 mm l’immagine di un pianeta
mostra distintamente fini dettagli anche a 200×. Quando il seeing è povero, di un pianeta
si rende visibile poco più che il bordo e anche questo è scarsamente definito se gli ingrandimenti sono bassi. Le condizioni di seeing buono e sufficiente possono essere stimate dal
massimo ingrandimento che produrrà ancora immagini ragionevolmente incise di un
pianeta. Più è basso tale ingrandimento, più povero è il seeing. Un altro modo per stimare
il seeing è il più basso ingrandimento effettivo capace di risolvere una stella binaria
stretta. In una notte di seeing eccellente, con un rifrattore di 80 mm, una stella doppia con
una separazione di 2",3 tra le componenti può essere risolta a 70×. Con un seeing povero
quella binaria non potrà essere risolta qualunque sia l’ingrandimento.
Gli astrofili alle prime armi non dovranno scoraggiarsi se inizialmente non riescono a
vedere immagini ben definite dentro il loro pur buon telescopio. Il problema riguarda
probabilmente più l’atmosfera che le ottiche. Si provi ancora quando l’aria è più stabile.
I limiti tipici dei rifrattori
I due problemi centrali che affliggono i telescopi rifrattori sono le aberrazioni sferica e
cromatica. Se le lenti non sono di grande qualità potrebbero comparire anche il coma, l’astigmatismo e la curvatura di campo.
Questi problemi sono tanto più gravi quanto più corta è la lunghezza focale.
L’aberrazione sferica, il coma e l’astigmatismo possono essere controllati lavorando nel
modo corretto le due componenti di una lente acromatica. Per una lente acromatica di
80 mm ben lavorata otticamente, con un rapporto focale di f/11 o maggiore, l’aberrazione
cromatica è trascurabile. I telescopi di questo tipo restituiscono immagini d’alto contrasto e di notevole risoluzione. Se il rapporto focale è minore di f/9 si comincia a notare l’aberrazione di colore, la quale non può essere corretta in modo soddisfacente con una
lente acromatica a due elementi. Benché a bassi ingrandimenti questa aberrazione non
sia fastidiosa, e forse non la si noti neppure, essa può deteriorare seriamente le immagini
fortemente ingrandite negli strumenti di corta lunghezza focale.
Ci sono due soluzioni che vengono attualmente proposte per risolvere il problema. La
prima, che è la più efficace, è di aggiungere una terza componente all’obiettivo. Se si scelgono in modo opportuno i tre indici di rifrazione e se si lavorano al meglio le tre lenti, si
possono ottenere ottime correzioni dell’aberrazione cromatica per le lunghezze focali
corte: questi strumenti sono detti apocromatici, sono molto più trasportabili e versatili
dei rifrattori di lunga focale, ma sono anche molto più costosi. Generalmente, un 80 mm
f/6 apocromatico costa dieci volte di più di un buon acromatico f/11 di pari diametro. La
seconda alternativa, più conveniente sotto il profilo economico, consiste nell’uso di un
vetro a bassa dispersione (ED) come uno dei componenti della lente acromatica a due
elementi. Gran parte degli strumenti di 80 mm di questo tipo attualmente disponibili ha
rapporti focali attorno a f/7.
22 Fare astronomia con piccoli telescopi
Rifrattori acromatici a corto fuoco
Le prestazioni di un rifrattore di 80 mm f/5 possono essere notevolmente migliorate ad alti
ingrandimenti con l’uso di un filtro V-Block che blocca le lunghezze d’onda blu e violette mentre consente la trasmissione del 95% della luce ad altre lunghezze d’onda. Con un filtro di questo tipo, combinato con una lente di Barlow Klee 2,8×, un buon rifrattore di 80 mm f/5 può
essere utilizzato con ingrandimenti fino a 150×. La fotografia della Luna nella figura 4.1 è stata
presa proprio con uno strumento dotato di filtro e di Barlow.
Figura 4.1. Una foto digitale di crateri lunari presa con un rifrattore di 80 mm f/5.
Per osservazioni visuali e per la fotografia digitale di stelle variabili, comete, asteroidi e
ammassi stellari, un rifrattore di corta focale è meglio di un f/11. Un rifrattore di 80 mm f/5 con
un oculare Plössl di 25 mm fornisce un campo visivo di oltre 3°. Tutte le foto di stelle variabili,
asteroidi e ammassi stellari pubblicate in questo libro sono state scattate con questo tipo di telescopio.
I limiti tipici
di un telescopio Maksutov
Il Maksutov-Cassegrain è un sistema ottico composito, con elementi di marcata curvatura.
Esso impiega molto più tempo di un rifrattore per adattarsi alla temperatura ambiente. Se lo si
porta all’esterno in inverno, un Maksutov richiederà almeno un’ora di adattamento prima di
Considerazioni sui telescopi 23
restituire immagini di qualità accettabile. Un rifrattore di 80 mm si porta invece all’equilibrio
termico in un quarto d’ora.
L’effetto di un seeing povero sulle immagini stellari è quello di allargare il diametro del
disco di Airy e di aumentare la luminosità degli anelli secondari della figura di diffrazione. Ciò è simile all’effetto introdotto dalla presenza dello specchio secondario. Poiché
gli effetti si rinforzano reciprocamente, un Maksutov è più sensibile alle condizioni
atmosferiche di un rifrattore.
Le prestazioni dipendenti dall’apertura di un Maksutov di 90 mm sono simili a quelle
di un rifrattore di 80 mm. Se è stato ben lavorato, il Maksutov è sostanzialmente esente da
aberrazioni. Il suo peggior difetto è l’essere poco versatile. È necessariamente uno strumento di lunga focale con un campo visuale limitato. Il Maksutov eccelle nell’osservazione
della Luna, dei pianeti e delle stelle doppie, ma non è altrettanto conveniente da usare sulle
stelle variabili e per osservazioni che richiedono un campo ampio. Il Maksutov è uno strumento facilmente trasportabile, ma non si trascuri mai l’adattamento alla temperatura
ambientale. Si tengano sempre presenti i suoi limiti. In breve, il Maksutov è una scelta
eccellente per l’astrofilo che vive in aree poco inquinate dalla luce i cui interessi siano concentrati nell’osservazione solare, lunare, planetaria e delle stelle binarie.
I riflettori newtoniani
I riflettori newtoniani sono perfettamente acromatici. Avendo uno specchio primario
parabolico, non soffrono dell’aberrazione sferica e il loro costo unitario (per millimetro d’apertura) è minore di quello di ogni altro sistema ottico. Hanno però limitazioni
che riducono la loro versatilità come validi piccoli telescopi.
Se lo specchio parabolico non soffre dell’aberrazione sferica, un’altra aberrazione, il
coma, riduce il campo di vista utile. Questo effetto, che consiste nella produzione di
immagini stellari elongate quanto più ci si allontana dal centro del campo, diventa
tanto più evidente quanto più diminuisce la lunghezza focale. Un altro problema è che
al fine di produrre un campo ben illuminato le dimensioni dello specchio secondario
devono crescere quanto più il rapporto focale diminuisce, introducendo in tal modo
effetti di diffrazione che vanno a detrimento del contrasto dell’immagine ad alti
ingrandimenti.
Gli effetti combinati del coma e della diffrazione del secondario obbligano a osservare sempre e solo a bassi ingrandimenti con i Newtoniani a corto fuoco. Si possono
evitare questi effetti negativi, o quanto meno ridurli, se lo strumento ha un rapporto
focale di f/8 o maggiore. A queste lunghezze focali il Newtoniano può fornire prestazioni paragonabili a quelle degli altri tipi di sistemi ottici già discussi. Il campo visuale
del riflettore di 114 mm f/8 è approssimativamente lo stesso di quello del rifrattore di
80 mm f/11 e la magnitudine limite è un po’ più spinta.
Il Newtoniano ha gli stessi problemi di adattamento alla temperatura ambiente che
ha il Maksutov. In aggiunta, i suoi tubi aperti fanno sì che gli specchi siano soggetti a
deterioramento, mentre le correnti interne al tubo possono peggiorare le immagini. Gli
specchi devono essere puliti e riallineati periodicamente: il Newtoniano richiede più
cura per la manutenzione di altri tipi di telescopi.
Probabilmente, il problema più serio che affligge molti dei Newtoniani di 114 mm
f/8 attualmente sul mercato è che vengono forniti con specchi sferici invece che parabolici, per ridurre i costi di produzione. A bassi ingrandimenti non si nota neppure l’aberrazione sferica, ma ad alti ingrandimenti ne risentono notevolmente il contrasto e
la nitidezza dell’immagine. Poiché generalmente i distributori non pubblicizzano questo fatto, il consiglio è di chiedere chiarimenti prima dell’acquisto.
24 Fare astronomia con piccoli telescopi
Oculari
Per ottenere buoni risultati da un telescopio l’oculare è altrettanto importante della lente
obiettiva. Non ha senso disporre di un obiettivo eccellente se questo viene poi sfruttato
da un oculare la cui correzione per le aberrazioni delle immagini è inadeguata. Allo stesso
modo, non ha senso utilizzare oculari che costano come l’intero tubo ottico e che pesano
la metà di esso.
Il campo apparente di un oculare è il campo visuale che esso avrebbe se venisse usato
come una lente d’ingrandimento. Il campo visuale di un telescopio è dato dal campo
apparente dell’oculare diviso per l’ingrandimento che con quell’oculare si otterrà. Per
esempio, un telescopio con una lunghezza focale di 900 mm lavorerà a 36× se usato con
un oculare di 25 mm di lunghezza focale. Se il campo apparente dell’oculare è di 52°, il
campo visuale del telescopio sarà uguale a 52°/36 = 1°,4.
La scelta di un oculare per una particolare osservazione dipende da cosa si vuole osservare. Per la Luna, i pianeti e le stelle doppie si devono usare i più elevati ingrandimenti
che il telescopio può restituire in una data notte, mentre è meglio lavorare a ingrandimenti bassi o intermedi per osservare ammassi stellari e nebulose. Per un uso generale,
lo schema Plössl, con un campo apparente di 52°, può essere una buona scelta. Per la
fotografia digitale ad alti ingrandimenti di stelle binarie, della Luna e dei pianeti, sono
buoni gli oculari Orion Expanse di 9 mm e di 6 mm, con un campo apparente di 66° e
con lenti posteriori relativamente grandi. Gli oculari Speers-Waler danno un campo
apparente spettacolare di 82°, ma costano il doppio degli Orion Expanse: li si trova delle
lunghezze focali di 18 mm, 14 mm, 10 mm e 7,5 mm.
La messa a fuoco
La capacità del telescopio di focalizzare in modo preciso un’immagine è uno dei fattori
centrali di cui i produttori dovrebbero tenere conto nel progetto ottico. I buoni telescopi
hanno un punto focale unico e preciso, dove si forma un’immagine netta e di alto contrasto. Riuscire a trovare questo punto mentre si osserva può essere frustrante, se non
impossibile, se il dispositivo di messa a fuoco è di scarsa qualità. Queste difficoltà giungono spesso a offuscare la bontà di ottiche superbe. Non acquistate mai un telescopio che
abbia un dispositivo di messa a fuoco in plastica e a buon mercato. Se vi accorgete che la
vostra mano tremolante, o anche la montatura instabile, introducono vibrazioni indesiderate, potete cercare di eliminarle adottando un motorino di focheggiatura alimentato
da una batteria: li si trova anche a basso prezzo.
Il cercatore
Il cercatore che viene fornito con la gran parte dei telescopi commerciali molto spesso si
rivela inutilizzabile. Fortunatamente, molti telescopi hanno una montatura del cercatore
a coda di rondine che consente di rimpiazzare facilmente un cercatore inadeguato.
Indipendentemente dalla qualità, ogni cercatore rettilineo è difficilmente utilizzabile per
oggetti che si trovino nei pressi dello zenit e deve essere rimpiazzato con un buon cercatore ad angolo retto con un’apertura minima di 30 mm. Un rifrattore di 80 mm f/5 non
ha bisogno di un cercatore, essendo sufficiente allo scopo il suo campo di 3°,2 quando si
usa un oculare di 25 mm.
Considerazioni sui telescopi 25
Accessori da raccomandare
Molti degli accessori del telescopio di cui parleremo in seguito sono utili ma non tutti sono
essenziali per le osservazioni descritte in questo libro. Se siete un astrofilo di lunga esperienza,
col desiderio di ottenere tutto ciò che il vostro piccolo telescopio vi può dare, probabilmente li
avrete di già e il loro uso vi sarà familiare. Se siete alle prime armi, li potrete acquistare se il
vostro particolare interesse ve li farà stimare necessari.
Come diremo nel capitolo 9, un insieme addizionale di filtri colorati per l’osservazione planetaria vi garantirà il massimo contrasto in talune immagini. Utile per alcuni tipi di osservazioni visuali, e per correggere l’inseguimento nelle fotografie a lunga posa, sarà un oculare di
12,5 mm con un reticolo a crociera illuminato. Per eseguire fotografie digitali o su pellicola sarà
necessaria una montatura da fissare al tubo ottico per affidare ad essa una fotocamera equipaggiata con un teleobiettivo. Un cronometro elettronico è essenziale per le misure delle occultazioni lunari, per prendere i tempi nelle eclissi, per i transiti delle lune di Giove e per il transito
al meridiano della Grande Macchia Rossa di Giove. Infine, una lampada rossa sarà d’ausilio
nella lettura delle regolazioni della fotocamera e per registrare i dati.
Quale piccolo telescopio
dovreste acquistare?
La risposta a questa domanda coinvolge diverse variabili. Eccone alcune. Il vostro ambiente è
rurale o urbano? Vivete in un appartamento, oppure disponete di un cortile o di un giardino
sotto casa? Potete facilmente raggiungere qualche sito ove sia minore l’inquinamento luminoso? Siete soliti portare con voi il telescopio quando viaggiate? Siete un docente di scienze che
desidera utilizzare un telescopio versatile con gli studenti? Siete un docente che occasionalmente tiene presentazioni pubbliche per le quali potrebbe essere utile un telescopio portatile?
Portate sempre con voi un telescopio, come faccio io, quando vado a incontrare i miei nipotini? Quali tra le attività che vengono descritte in questo libro è più probabile che terranno
desto il vostro interesse per un lungo periodo di tempo? Quali vi sembrano più utili se siete un
docente di materie scientifiche? Quali sono i costi? Quanto avete intenzione di spendere?
La comparsa sul mercato di eccellenti telescopi Maksutov di 90 mm a basso costo sembrerebbe aver reso il rifrattore di 80 mm f/11 una specie in via d’estinzione. La Orion vende a
prezzi ragionevolissimi (circa 200 dollari) un kit di montaggio per un tubo ottico con funzioni
di telescopio di guida e la Meade ne offre uno simile, su una montatura inadeguata, a un prezzo
circa doppio. (I prezzi in Italia sono parecchio superiori, essendo gravati da IVA, diritti doganali e spese di spedizione.) Entrambi gli strumenti sono di qualità ottica eccellente.
Allo stesso prezzo del Meade, o anche per qualcosa meno, diversi fornitori offrono un kit di
montaggio di un buon telescopio rifrattore di 80 mm f/5, che è il mio strumento favorito per
le osservazioni visuali e fotografiche di stelle variabili. Se siamo disposti a raddoppiare all’incirca la spesa, stanno apparendo ora sul mercato rifrattori di 80 mm semi-apocromatici, con
lenti EG e rapporti focali tra f/6 e f/9. Raddoppiando di nuovo la spesa potremo entrare in possesso di rifrattori apocromatici di identica apertura.
Per ciò che riguarda un buon Maksutov di 90 mm, i prezzi variano considerevolmente.
Negli Stati Uniti, con una spesa tra 400 e 500 dollari si può acquistare un kit d’assemblaggio del
tubo ottico di un Orion di 90 mm, da montare su una EQ2 dotata di motorino. Il costo del solo
tubo è di circa 220 dollari. Il Meade ETX di 90 mm su una montatura a forcella su treppiede,
privo di dispositivo di puntamento go-to costa attorno ai 500 dollari. Un Questar standard
costa come minimo oltre 4000 dollari. Ho provato ciascuno di questi strumenti e posso dire
che sono tutti di qualità ottica eccellente.
26 Fare astronomia con piccoli telescopi
Il Questar, un vero capolavoro realizzato a mano, un oggetto da tramandare ai figli come
cimelio, è indubbiamente il top dei piccoli telescopi. D’altra parte, se state cercando un buon
telescopio di quel tipo, vi potrà servire altrettanto bene un Maksutov della Orion a basso costo.
Tutte le fotografie dei sistemi binari che si trovano in questo libro sono state ottenute con uno
spotting scope Orion Apex 90, montato su una EQ3.
Una buona soluzione è quella di combinare un rifrattore di 80 mm f/5 e un Maksutov di 90
mm su una montatura rigida dotata di motore d’inseguimento. Il costo dei due telescopi
insieme è minore di quello del solo tubo ottico di un rifrattore apocromatico di 80 mm f/7, e
oltretutto la combinazione è più versatile. Entrambi i tubi possono essere affidati alla stessa
montatura e possono far uso degli stessi oculari. Il sistema è facile da trasportare ed è ideale se
volete istruire qualcuno alle osservazioni.
Se scegliete un telescopio singolo e vivete in una località ove l’inquinamento luminoso è
moderato, io vi raccomando un Maksutov di 90 mm o di 100 mm. Benché il piccolo campo di
vista ne limiti la versatilità, questo è lo strumento ideale per osservazioni visuali e fotografiche
del Sole, della Luna, dei pianeti e delle stelle binarie.
La scelta più versatile a basso costo per un telescopio è un buon rifrattore di 80 mm f/5 che
negli USA si può trovare a meno di 200 dollari. Se il costo per voi non è un problema, la scelta
più saggia sarà quella di uno strumento apocromatico di 80 mm f/5 o f/6.
CAPITOLO CINQUE
La fotografia
astronomica
La fotografia digitale
Le comuni fotocamere digitali automatiche hanno spalancato molte nuove possibilità agli
utenti di piccoli telescopi. Grazie ad esse si possono eseguire fotografie ad alti ingrandimenti e
a buona risoluzione del Sole, della Luna, dei pianeti, degli asteroidi e delle stelle doppie: tali foto
possono essere elaborate e stampate nel giro di pochi minuti dalla ripresa e poi misurate
quando si vuole. Molte delle fotocamere attualmente disponibili a prezzi non eccessivi, con una
risoluzione dell’ordine di 5 megapixel, possono realizzare pose con basso rumore lunghe fino
a 30s a 400 ISO equivalenti.
Per mantenerci all’interno dei criteri di base che abbiamo adottato per questo libro, restringeremo la discussione alle camere digitali a obiettivo fisso. Per l’astrofotografia io uso il metodo
afocale, che richiede di mettere a fuoco la camera all’infinito e di fotografare direttamente all’interno dell’oculare del telescopio, che, a sua volta, è stato messo a fuoco. Con questa tecnica, le
sorgenti puntiformi come quelle presenti nei campi stellari, negli ammassi aperti, le stelle binarie e gli ammassi globulari possono essere fotografati fino a una magnitudine limite che
dipende dall’apertura del telescopio, dall’impostazione della sensibilità della fotocamera e dalla
lunghezza massima della posa che risulti non affetta da rumore elettronico. Per la figura 5.1,
l’Ammasso Doppio del Perseo, la fotocamera è stata accoppiata con un oculare di 25 mm su
un rifrattore di 80 mm f/5. Il tempo di posa è stato di 30s.
Nella fotografia digitale non si ha il difetto di reciprocità, ossia il calo progressivo della sensibilità di una pellicola mano a mano che si allunga il tempo di posa. Il diametro di un’immagine stellare su una fotografia digitale risulta essere una funzione lineare della magnitudine
della stella. Questa relazione verrà usata per misurare le magnitudini delle stelle variabili nel
capitolo 13.
In una notte trasparente senza Luna, un rifrattore di 80 mm può fotografare stelle deboli
fino alla magnitudine 12 con una posa di 30s a 400 ISO; una posa di 15s raggiungerà la magnitudine 11,25. Entro questi limiti, un buon numero di stelle variabili di lungo periodo può essere
osservato per la gran parte della curva di luce. Anche numerosi tra gli asteroidi più brillanti,
quelli che superano la magnitudine 9 all’opposizione, possono essere facilmente osservati.
Per le nebulose diffuse e per le galassie è tutta un’altra storia. Ora l’oggetto non è più una
27
28 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 5.1. L’Ammasso Doppio del Perseo fotografato con il metodo afocale in un rifrattore
di 80 mm f/5. Combinazione di una camera da 5,1 megapixel con un oculare di 25 mm.
sorgente puntiforme. La luminosità di una sorgente puntiforme al piano focale del telescopio dipende solo dal diametro dell’obiettivo. Invece, la luminosità di un’immagine estesa al
piano focale diminuisce quanto più aumenta la lunghezza focale dell’obiettivo, poiché la
luce si distribuisce su un’area sempre più grande. La conseguenza è che la luminosità di un
oggetto esteso al piano focale di un telescopio dipende in modo diretto dall’apertura dell’obiettivo e in modo inverso dalla sua lunghezza focale, ossia dipende dall’inverso del rapporto focale f/.
Benché le galassie siano costituite da innumerevoli sorgenti puntiformi, esse sono così
lontane che nei piccoli telescopi ci appaiono come sorgenti deboli e continue. Quando si
dice che una galassia è di magnitudine 9, si intende che la sua luminosità è quella che
avrebbe una stella di magnitudine 9 se la sua luce fosse distribuita su una areola con le
dimensioni dell’immagine della galassia. Lo stesso vale per le nebulose diffuse e le comete.
Questo è il motivo per cui con un piccolo telescopio tutti questi oggetti, a eccezione dei più
brillanti, richiedono tempi di posa di diversi minuti, ben più lunghi del limite imposto dal
rumore elettronico tipico delle camere digitali a obiettivo fisso. L’equivalente di una lunga
posa può essere ottenuto prendendo un certo numero di foto di corta posa da sommare in
seguito con l’utilizzo appropriato di un software di elaborazione dell’immagine. Ciò
potrebbe richiedere di sommare una cinquantina o più di immagini per avere il risultato
desiderato.
I telescopi di corto fuoco presentano un vantaggio rispetto agli strumenti con un alto
rapporto focale quando si tratta di osservare stelle deboli in campi ampi. Sfortunatamente,
tali telescopi restituiscono un fondo cielo molto più chiaro degli altri. In siti moderatamente inquinati dalle luci, un telescopio f/5 potrebbe essere meno efficace nell’osservazione
degli oggetti deboli ed estesi che non un f/8 o un f/11. Il vantaggio di un f/5 su un f/11 nella
fotografia digitale è che il primo consente di fotografare ampi campi visuali (da 2°,5 a 3°,0,
a seconda dell’oculare) oltre che di inseguire un oggetto per una posa di una trentina di
secondi senza evidenziare le tracce stellari. Per avere risultati soddisfacenti, uno strumento
f/10 richiede il doppio della precisione di inseguimento di un f/5.
La fotografia astronomica 29
La scelta della fotocamera
Per evitare indesiderate flessioni quando la si attacca all’oculare del telescopio, la fotocamera
che utilizzeremo dovrà essere piccola e leggera. Per essere in grado di registrare tutti i dettagli
che si possono vedere in un telescopio dovrebbe avere come minimo una risoluzione di 3
megapixel. Se fosse dotata di un obiettivo zoom garantirebbe un certo intervallo di possibili
ingrandimenti ed è auspicabile che sia dotata di un cavetto di controllo remoto dello scatto,
oppure di autoscatto con timer, in modo tale che le vibrazioni conseguenti alla pressione del
pomello di scatto non rovinino la foto. La velocità dell’otturatore dovrebbe andare da 1/1000s
a 2s: tanto basta per la fotografia solare, lunare, planetaria e delle stelle doppie. Se la fotocamera
deve essere usata per ammassi globulari, stelle variabili e asteroidi è necessario che il tempo di
posa a rumore elettronico ridotto vada da 15s a 30s. Le fotografie presenti in questo libro sono
state prese con una camera Sony W5, da 5 megapixel, capace di pose di 30s.
Come montare la camera
Se normalmente voi portate gli occhiali ma potete vedere distintamente gli oggetti distanti
senza alcun ausilio ottico, non avrete bisogno degli occhiali per focalizzare il telescopio. Se, al
contrario, necessitate degli occhiali per vedere in lontananza, allora portateli anche durante le
osservazioni telescopiche. Ciò vi assicurerà che il telescopio è correttamente focalizzato per l’infinito e vi garantirà immagini fotografiche nitide ottenute attraverso il metodo afocale.
La ditta Scopetronics produce adattatori per quasi ogni modello di fotocamera in grado di
accoppiare una macchina digitale all’oculare del telescopio. Un esempio è mostrato nella figura
5.2 per la mia Sony W5.
Il campo di vista afocale
La lunghezza focale effettiva della combinazione della lente obiettiva, della lente della camera e
dell’oculare è data da:
F = Fo Fc / Fe
dove Fo è la lunghezza focale dell’obiettivo, Fc quella dell’obiettivo della fotocamera e Fe quella
dell’oculare. Per un obiettivo di 400 mm combinato con l’obiettivo della camera di 7,9 mm e
un oculare di 25 mm, la lunghezza focale effettiva è di 126,4 mm. La funzione dell’oculare in
questo esempio è quella di un riduttore di focale. Tipicamente, le camere digitali a obiettivo
fisso dispongono di un rivelatore che misura all’incirca 7,2 mm × 5,3 mm. L’ampiezza del
campo di vista rettangolare per questa combinazione è:
D = (7,2/126,4) (180°/π) = 3°,3
Per una camera formato 35 mm usata al fuoco primario di un obiettivo di 400 mm il campo è
largo 5°. La riduzione di lunghezza focale per la camera digitale è bilanciata dalle piccole
dimensioni del rivelatore.
Per un Maksutov di 90 mm con una lunghezza focale di 1250 mm combinato con un obiettivo della camera di 7,9 mm e con un oculare di 5 mm, la lunghezza focale effettiva diventa di
1975 mm. Il campo è di soli 12',5. In questo caso, l’oculare diventa una lente amplificatrice.
Lunghezze focali effettive molto spinte sono utili nella fotografia delle stelle doppie.
30 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 5.2. Una camera digitale con un adattatore afocale applicato a un oculare di 25 mm.
Teleobiettivi di conversione
Piuttosto che con il metodo afocale attraverso il telescopio, un campo di ripresa più ampio può
essere ottenuto con una camera digitale dotata di un teleobiettivo di conversione. Queste lenti
vengono applicate al filtro adattatore di molti modelli di camere digitali. La camera viene poi
montata in parallelo al telescopio come mostra la figura 5.3.
La maggioranza di queste lenti aumenta la lunghezza focale dell’obiettivo fisso della fotocamera di un fattore 2. Un tipico obiettivo di camera digitale ha una lunghezza focale di circa 24
mm quando viene zoomato a 3×. Un teleobiettivo di conversione produrrà una lunghezza
focale effettiva di 48 mm. Con un rivelatore di 7,2 × 5,3 mm il campo risultante è di 8°,6, il che
equivale a un teleobiettivo di 232 mm su una fotocamera tradizionale formato 35 mm. La
magnitudine fotografica limite per una posa di 30s con queste lenti di conversione è circa la 8.
Tali lenti vanno bene per la ripresa ad ampio campo delle costellazioni e per produrre un
atlante stellare fotografico personale.
Come processare le stampe
Si prendano sempre diverse immagini dello stesso oggetto. Inevitabilmente alcune saranno
meglio di altre. Capiterà di trovare brevi istanti di un seeing eccezionale che regalerà una foto
superba dei dettagli della superficie lunare, mentre una dozzina di altre foto della stessa area
saranno di qualità mediocre. Anche se fotografate un ammasso stellare, vi accorgerete che in
media su una dozzina di foto scattate una sola non presenta strisciate stellari. Più fotografie
prendete, tanto più alta sarà la probabilità di averne qualcuna buona per le misure.
In un primo tempo potrà sembrare deludente la fotografia degli ammassi stellari e degli
asteroidi. La minifoto che vi comparirà sul computer a prima vista sembrerà tutta nera, vuota
di stelle, ma non appena aumenterete il contrasto, ecco all’improvviso le stelle uscire fuori.
Forzate di nuovo l’immagine in luminosità e contrasto e riuscirete a risolvere un numero di
stelle ancora maggiore. Ma fate attenzione a non aumentare eccessivamente il contrasto o la
La fotografia astronomica 31
Figura 5.3. Una camera digitale con un teleobiettivo di conversione montata su un rifrattore di
80 mm f/5.
luminosità, perché altrimenti emergerà anche il rumore di fondo. Inevitabilmente le fotografie
a grande campo presenteranno qualche distorsione d’immagine soprattutto nelle regioni al
bordo del campo inquadrato, ma voi la potreste anche eliminare tagliando la parte esterna: in
tal modo, avrete anche un ingrandimento delle regioni interne, più interessanti.
Si possono fare diversi tipi di misure più facilmente e più accuratamente su una stampa
ottenuta da una foto da camera digitale che non attraverso un oculare dotato di micrometro su
un telescopio di piccole o medie dimensioni. Senza contare che, invece di compiere le misure
nel freddo della notte, sulla stampa si può lavorare anche nel calduccio del proprio studio.
Occorrono solo un righello e un goniometro.
Si possono anche misurare gli oggetti direttamente al monitor del computer: le stampe
possono essere passate allo scanner e salvate su disco, magari sovrapponendovi una delle
scale di cui parleremo in vari capitoli di questo libro. Con tali scale misureremo la latitudine e la longitudine di una macchia solare, le dimensioni delle strutture lunari e la magnitudine delle stelle variabili. Le procedure per usare queste scale sono descritte nei vari
capitoli. Qui invece trattiamo dell’uso di un software per l’elaborazione d’immagini, il
Picture It! Premium 10 della Microsoft: naturalmente altri programmi che contemplino le
stesse funzioni vanno altrettanto bene.
Per usare una scala sovrapposta, tenete aperto il file della stampa da misurare e richiamate
la scala appropriata dalla memoria del computer. Trascinate la scala fino a quando si sovrappone all’immagine dell’oggetto da misurare e attivate il menu [Effects]. Cliccate su [Transparent
Fade] e poi su [Even]. Attenuate la luminosità della scala sovrapposta fino a quando otterrete
il grado di trasparenza desiderato.
A seconda dell’applicazione, potreste aver bisogno di allargare o di ridurre la scala in modo
che si accordi bene con l’immagine. La scala può anche essere ruotata, se necessario, dell’angolo desiderato cliccando sul menu [Rotation] e poi su [Object], che si trova nell’angolo supe-
32 Fare astronomia con piccoli telescopi
riore destro del menu. L’angolo di rotazione può essere letto direttamente dall’indicatore del
[Custom Rotation] sul menu [Rotation]. Una volta completato il processo, la scala o la griglia
può essere spostata o ruotata come si vuole manovrando il cursore. Se si fa lo zoom sull’immagine, anche la scala verrà ingrandita della stessa quantità.
Applicare una fotocamera digitale a un piccolo telescopio ha l’effetto di trasformarlo in uno
strumento di maggiori dimensioni. Ci sono naturalmente delle limitazioni in tutto ciò, ma
quando il potenziale delle comuni fotocamere digitali viene pienamente sfruttato, si scopre che
esse sono in grado di produrre molto più di quanto ci si potrebbe aspettare.
Raccomandazioni specifiche riguardanti le procedure da seguire per i vari oggetti saranno
date nel corso del testo. Il nostro scopo qui non è spiegare i fondamenti della fotografia digitale,
ma piuttosto come sfruttarla.
La fotografia con la pellicola
L’applicazione delle emulsioni fotografiche per prendere immagini e acquisire dati è la tecnologia che ha reso possibile lo sviluppo della moderna astrofisica insieme con la spettroscopia stellare e la fotometria elettronica. Benché in anni recenti le emulsioni fotografiche siano state
soppiantate dalla tecnologia digitale in molte applicazioni, ci sono ancora campi di studio, come
la ricerca a grande campo di comete e asteroidi e la fotografia di nebulose e galassie con piccoli
telescopi, per i quali la fotografia su pellicola ha una sua utilità. Gli spettri stellari che descriveremo nel capitolo 16 non possono essere presi con la stessa efficacia con una fotocamera digitale. Pose non guidate su pellicola della durata finanche di 5 minuti possono essere eseguite con
un teleobiettivo di 400 mm e con emulsioni sensibili fino a 3200 ISO.
Vista la straordinaria diffusione delle camere digitali, oggidì è possibile acquistare fotocamere
reflex tradizionali a una frazione del loro prezzo originale. Si tratta di una scelta molto buona ed
economica se si vuole fotografare nebulose, galassie e vasti campi stellari della Via Lattea. Per le
applicazioni che richiedono ampi campi, la fotografia su pellicola riesce meglio quando la
camera è montata in parallelo al telescopio, oppure al fuoco principale di un rifrattore di corta
focale. Una fotocamera a pellicola può anche essere usata al posto della camera digitale nel
metodo afocale che abbiamo descritto nelle pagine precedenti. Sul mercato si trovano gli adattatori per attaccare la fotocamera direttamente all’oculare.
Il maggior svantaggio della fotografia su pellicola è il fatto che l’immagine non può essere
vista fin quando il rullino non è stato sviluppato e stampato. Poiché non c’è quasi più negozio
di fotografia che sviluppi e stampi le pellicole in bianco e nero, la sola alternativa è lavorarle noi
stessi, un compito che non è difficile: semmai porta via del tempo. In effetti, il grosso del lavoro
nella fotografia su pellicola è sempre stato la stampa.
Stampare le immagini
Al giorno d’oggi la stampa delle immagini non è più quel lavoro complicato che era una volta,
poiché non sono più necessari una camera oscura con il proiettore, le varie lenti e i prodotti chimici. Oggi si possono passare allo scanner le diapositive e i negativi formato 35 mm per ottenere
immagini di qualità da elaborare poi al computer senza ulteriori complicazioni o spese. Tutte le
scale sovrapponibili di cui abbiamo parlato a proposito delle camere digitali possono essere usate
anche con le immagini digitalizzate prese da pellicole.
La combinazione della ripresa su pellicola e dell’elaborazione digitale è una forma ibrida di
acquisizione di immagini astronomiche. La fotografia astronomica su pellicola è esistita per oltre
un secolo. Di conseguenza, c’è un’abbondante letteratura che fornisce consigli sulla scelta delle
pellicole, sul trattamento dei negativi, sugli obiettivi, sulle pose e così via: sono aspetti di dettaglio che non affronteremo in questo libro.
CAPITOLO SEI
Il Sole
La fotosfera, la superficie apparente del Sole, è quella regione dell’atmosfera solare in cui
il plasma diventa abbastanza denso da risultare opaco alle lunghezze d’onda ottiche.
L’evento più affascinante che vi ha luogo è la comparsa delle macchie solari, regioni localizzate che ci appaiono nere per il fatto di essere un poco più fredde dei dintorni. La loro
origine è associata al campo magnetico generale del Sole che va soggetto a variazioni continue.
Il fenomeno più curioso che riguarda le macchie è il periodico aumento/diminuzione
nel numero. Esse vanno soggette a un ciclo della durata di 11 anni che si ripropone con
notevole regolarità ormai da quattro secoli, ossia da quando sono iniziate le osservazioni
solari: una possibile eccezione è un periodo di minima attività, della durata di settant’anni,
occorso a cavallo del XVI e del XVII secolo. Coordinato con il ciclo delle macchie solari vi
è anche un ciclo, con un periodo di 22 anni, che riguarda le polarità del campo magnetico.
Mentre il Sole ruota, le macchie solari si spostano da est verso ovest per l’osservatore
terrestre: in tal modo, fungono anche da marcatori per determinare la velocità della rotazione del Sole su se stesso alle varie latitudini. All’inizio di un ciclo le macchie solari fanno
la loro comparsa a latitudini elevate, fino a 30° nord o sud dall’equatore, ma, con il progredire del cielo, la latitudine solare di comparsa diminuisce, fintantoché, verso la fine del
ciclo, tutte le macchie si trovano generalmente localizzate sull’equatore o nei suoi pressi.
Le macchie evolvono e cambiano di forma. Spesso, mentre si sta avvicinando il massimo di un ciclo, compaiono grosse macchie associate fra loro in gruppi estesi. Tali enormi
gruppi sono frequentemente sorgenti di eruzioni altamente energetiche che sono dette
brillamenti (in inglese, flare). I protoni e gli elettroni emessi dai brillamenti entrano nell’atmosfera superiore della Terra e vi producono le aurore polari. È assodato che i brillamenti solari più intensi sono responsabili delle interruzioni delle comunicazioni radio qui
sulla Terra, nonché di disastrosi black out nelle reti di distribuzione dell’energia elettrica.
I brillamenti di più alta energia si verificano più frequentemente nelle fasi dei massimi
delle macchie solari.
Altra fenomenologia fotosferica caratteristica è quella delle regioni brillanti, grandi e di
33
34 Fare astronomia con piccoli telescopi
forma irregolare, che sono dette facole. Queste regioni ci appaiono più luminose dei dintorni perché sono di circa 300 °C più calde e si trovano alcune centinaia di chilometri
sopra la fotosfera. Generalmente sono più grandi del 15-20% delle regioni attive a cui sono
associate. È più facile vedere le facole quando si trovano nei pressi del lembo (oscurato)
del Sole, nelle regioni sede di una recente attività di macchie, oppure là dove le macchie
stanno per emergere in fotosfera. Quando le facole appaiono sul lembo orientale del Sole,
generalmente da lì a poco emergerà anche un gruppo di macchie. Di tanto in tanto,
appaiono anche facole polari, in posizioni molto più settentrionali o meridionali delle
usuali latitudini delle macchie: è più frequente che ciò accada nella fase di crescita verso il
massimo dell’attività solare.
Poiché le macchie sono indicative dell’andamento dell’attività solare, e poiché sono
facilmente osservabili, sono stati fatti molti sforzi per cercare qualche correlazione tra i
cicli delle macchie solari e i fenomeni atmosferici terrestri. Di particolare interesse è la
possibile relazione sussistente tra l’attività solare e i cambiamenti climatici di lungo e breve
termine. Attualmente, ci sono indizi di una tale correlazione, ma non è stata trovata alcuna
relazione sicura di causa-effetto che possa dimostrare che la connessione è reale e diretta.
Un caso interessante è quello del Minimo di Maunder. Nel 1890, E.W. Maunder, dopo
un attento esame delle registrazioni storiche, si accorse che erano state pochissime le macchie solari osservate fra il 1645 e il 1715. Poiché il Sole veniva tenuto sotto controllo assiduamente da illustri astronomi in quel periodo, era da escludere che le macchie non
fossero state viste per carenza d’attenzione. Questo periodo di settant’anni di bassa attività
solare coincise con un’epoca di inverni lunghi e gelidi e di corte estati in tutti i Paesi
d’Europa. C’è qualche indicazione del fatto che il ciclo delle macchie non sparì del tutto
durante il Minimo di Maunder: nei periodi attesi dei massimi comparivano alcune macchie, ma pochissime.
L’intensità dei massimi, la durata di un ciclo e la sua periodicità sono variate nel corso
della storia delle osservazioni solari. Dal 1761 al 1989, l’intervallo tra due massimi consecutivi è stato breve fino a 8 anni, oppure lungo fino a 17 anni; la media è comunque di 11
anni.
Per capire la natura delle variazioni dell’attività solare, il monitoraggio della fase del
Figura 6.1. Una macchia solare inusualmente grande comparsa durante una fase di minimo solare.
Il Sole 35
minimo è altrettanto importante che la registrazione del numero di macchie durante un
massimo. Osservare il Sole negli anni del minimo non è un’attività eccitante, ma è importante e può riservare sorprese. La figura 6.1, presa il 19 novembre 2005, nel corso del
minimo di quel ciclo, mostra una macchia grande in modo anomalo. Nelle settimane precedenti e successive al giorno in cui fu scattata la fotografia, sul disco solare comparivano
solo pochissime macchie, tutte praticamente puntiformi.
I dati a lungo termine che sono stati finora raccolti non bastano a stabilire con certezza
se ci sia o no una relazione tra l’attività solare e il clima terrestre. Ciò anche perché da non
più di un quarto di secolo sono a disposizione degli scienziati gli strumenti per rilevare,
monitorare e correlare tutte le più importanti variabili che possono avere influenza sui
cambiamenti climatici. La tecnologia per monitorare le variazioni dell’attività solare, d’altro canto, era invece disponibile negli ultimi due secoli per chiunque avesse avuto voglia
di utilizzarla: consiste infatti solo di un piccolo telescopio. Questo, in effetti, è uno di quei
campi nei quali l’astrofilo può contribuire alla scienza con importanti dati, effettuando
osservazioni dal cortile di casa.
Nel ciclo solare scorso, il minimo più profondo è stato toccato nel 2006. I nuovi cicli di
attività solare hanno inizio con la comparsa di macchie a elevate latitudini eliografiche settentrionali o meridionali. Se si inizia a raccogliere dati subito dopo un minimo, si è in
grado di osservare l’avvio di un nuovo ciclo e di monitorarlo fino al minimo successivo.
Se avessimo voglia di osservare il prossimo ciclo solare, potremmo tenere occupata la
nostra curiosità scientifica per almeno undici anni.
Osservazioni visuali del Sole
Attenzione! Osservare il Sole con un telescopio senza il corretto equipaggiamento di
filtri per osservazioni solari può comportare una cecità momentanea o permanente.
Siate sempre sicuri che un filtro solare appropriato sia collocato nel posto giusto sul
vostro telescopio prima di puntare lo strumento verso il Sole. Di giorno, non lasciate
mai un telescopio incustodito e pronto all’uso.
Il metodo tradizionale di osservazione del Sole è quello di proiettare la sua immagine su
una superficie bianca sostenuta da aste applicate all’oculare del telescopio. Questa tecnica
è stata poi soppiantata dall’uso di speciali filtri a tutta apertura da collocare davanti alla
lente obiettiva. Questi filtri, che possono essere di vetro o di una pellicola di mylar, hanno
un rivestimento metallico che blocca la radiazione ultravioletta e che trasmette solo una
parte su un milione della luce solare. Sono filtri sicuri e garantiscono una visione più dettagliata del disco solare che non la proiezione su una superficie. I telescopi Maksutov
devono essere usati con un filtro a tutta apertura. Se il telescopio viene utilizzato per un
lungo periodo con il metodo della proiezione dell’oculare, il calore solare può danneggiare
il sistema ottico a causa delle riflessioni interne che si verificano in un piccolo sistema
chiuso.
Classificazione delle macchie
Le macchie solari variano notevolmente di forma. Tipicamente, esse consistono di un centro piccolo e molto scuro, circondato da una penombra poco più chiara, ma possono
anche mostrarsi come singoli puntini senza una penombra, oppure come macchie bipolari con una penombra comune o come enormi gruppi bipolari che occupano fino a 20°
36 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 6.2. Tipi di macchie solari.
di longitudine solare. Per classificare le macchie a seconda della loro morfologia, M.
Waldmeir inventò nel 1938 un sistema che ora è chiamato classificazione di Zurigo. I vari
tipi di macchie solari classificati in questo sistema vengono mostrati nella figura 6.2.
Numero delle macchie
Il metodo adottato internazionalmente come standard di conteggio delle macchie solari si
basa sul numero dei gruppi e sul numero totale delle macchie, incluse quelle presenti in
ciascun gruppo. Le macchie singole, che non fanno parte di un gruppo definito, vengono
conteggiate come un gruppo.
Se g è il numero dei gruppi e N è il numero totale delle macchie, allora il corrispondente
numero delle macchie R (detto Numero di Wolf) è dato da:
R = 10g + N
Nella figura 6.3 si vedono due grossi gruppi insieme ad altri che portano la sigla che ne
individua il tipo, in base alla classificazione di Zurigo. Questi gruppi furono sorgenti di
brillamenti solari molto intensi.
Il Sole 37
Figura 6.3. Foto digitale del disco solare, presa attraverso un 80 mm f/11, con indicate le lettere
che classificano le macchie secondo i tipi di Zurigo.
Osservazioni visuali
Il modo migliore per puntare un telescopio in modo tale che possa inquadrare il Sole è
di muoverlo fintantoché l’ombra gettata dal tubo forma un cerchio del diametro
minimo. Se si usa un oculare a basso ingrandimento, si continui a muovere il telescopio
fintantoché il Sole risulti centrato nel campo visuale.
L’osservazione visuale più importante che si possa fare è il conteggio del numero
delle macchie e del numero, oltre che del tipo, dei gruppi. Un’analisi più dettagliata delle
posizioni e delle aree occupate da ciascun gruppo, così come delle sue variazioni di
forma, può essere fatta con la fotografia digitale oppure attraverso disegni.
Per definire un sistema di riferimento su cui misurare la posizione delle macchie,
l’osservatore deve stabilire quali siano le direzioni est-ovest e nord-sud dentro l’oculare.
Per i Maksutov su montatura equatoriale a forcella, la direzione nord-sud è prestabilita poiché il telescopio è vincolato a ruotare in quella direzione. La direzione est-ovest
nell’oculare può essere determinata spegnendo il motorino d’inseguimento: in queste
condizioni il Sole attraverserà il campo visuale del telescopio da est a ovest.
Per i telescopi su una montatura alla tedesca, il diagonale ad angolo retto dovrebbe
essere allineato o con l’asse polare o con l’asse di declinazione. Proprio come nel caso
del Maksutov, la direzione est-ovest può essere determinata spegnendo il motorino
d’inseguimento e osservando come si sposta l’immagine nel campo dell’oculare.
Si registri sempre l’istante preciso in Tempo Universale sia all’inizio che alla fine
delle osservazioni. Si traccino il più accuratamente possibile la posizione e la natura di
ciascun gruppo o della singola macchia. Si conti poi il numero delle macchie e dei
gruppi. Con riferimento alla figura 6.2 si determini il tipo di ciascun gruppo e quanti
gruppi ci sono di ciascun tipo. Tutto questo dovrebbe essere fatto prima di fotografare
38 Fare astronomia con piccoli telescopi
il Sole. Il numero delle macchie così determinato è quello che si dovrebbe inviare alle
organizzazioni internazionali perché lo includano nei database esistenti.
Le osservazioni del numero giornaliero di macchie possono essere verificate comparandole con quelle che vengono riportate nelle pubblicazioni specialistiche, oppure nelle
riviste di astronomia o sul web. Una volta che vi sentirete sicuri dei vostri conteggi, prendete in considerazione la possibilità di iscrivervi e di sottoporre le vostre osservazioni alla
Solar Observation Section dell’AAVSO, dell’ALPO, della RASC, della BAA, della UAI. I
vostri dati a quel punto entreranno a far parte dei database internazionali per la misura e
il monitoraggio dell’attività solare.
La fotografia digitale del Sole
I filtri a tutta apertura rendono possibile la fotografia digitale del Sole.
Attenzione! Assicuratevi che il filtro solare sia fermamente fissato alla lente obiettiva
del telescopio. Usate il medesimo filtro utilizzato nelle osservazioni visuali. Coprite
l’obiettivo del cercatore.
Assicuratevi che il visore della vostra fotocamera sia accuratamente allineato con la
direzione nord-sud. Per verificare che sia così, muovete il telescopio sull’asse di declinazione mentre ruotate la fotocamera fino a che il lembo solare si muove parallelo al lato del
visore. Un allineamento accurato è essenziale per la misura della latitudine e della longitudine solare delle macchie.
Con il telescopio perfettamente messo a fuoco, bloccate il meccanismo della messa a
fuoco e togliete l’oculare. Fissate le regolazione della fotocamera in modo da avere l’immagine più definita possibile e alla migliore risoluzione. Regolate il cavetto flessibile per lo
scatto a distanza o l’autoscatto. Focalizzate la fotocamera all’infinito. Con un rifrattore di
80 mm o con un Maksutov di 90 mm predisponete la fotocamera sul controllo manuale
per un tempo d’esposizione di 1/500s a 100 ISO. Se avete un telescopio più grosso, potreste dover usare tempi di posa più brevi, per esempio 1/1000s.
Collocate l’oculare nel telescopio con la camera ad esso collegata: sul visore dovrebbe
apparire un’immagine del Sole bene a fuoco. A causa della flessione di qualche parte del
sistema, il telescopio potrebbe mostrare l’immagine leggermente discosta dal centro.
Manovrando lo zoom della fotocamera potrete scegliere la dimensione dell’immagine che
meglio riempie lo schermo. A questo punto scattate dieci fotografie, per essere sicuri che
almeno qualcuna sia di buona qualità.
L’elaborazione delle foto
L’asse polare del Sole è inclinato di 7°,15 relativamente al piano dell’orbita terrestre. Di
conseguenza, l’asse solare sarà rivolto verso la Terra, poi perpendicolare e poi di nuovo
inclinato rispetto alla Terra della stessa quantità, ma nel verso opposto, man mano che il
nostro pianeta ruota intorno ad esso. In aggiunta, il piano equatoriale terrestre è inclinato
di 23°,5 rispetto al piano orbitale. La combinazione di queste inclinazioni è descritta da
due angoli che cambiano giorno dopo giorno nel corso dell’anno. L’inclinazione dell’asse
solare verso la nostra linea di vista o in verso opposto è indicata dall’angolo B0, negativo
quando l’asse del Sole è inclinato verso la Terra e positivo quando è inclinato nel verso
opposto. L’angolo che l’asse polare solare forma con la direzione nord-sud nel telescopio
Il Sole 39
Figura 6.4. L’orientazione mensile dell’asse del Sole.
è indicato con la lettera P. Quest’angolo ha un valore positivo se l’asse polare è inclinato
verso est rispetto alla direzione nord-sud e negativo se punta verso ovest. L’orientazione
dell’asse di rotazione del Sole per tempi diversi nel corso dell’anno viene mostrata nella
figura 6.4. Usate questa cartina come riferimento per determinare l’orientazione del Sole
nel vostro oculare.
I dischi di Stonyhurst
I dischi di Stonyhurst sono griglie utili per rilevare la longitudine e la latitudine eliografica
di una macchia solare. Vengono disegnati per valori di B0 sia positivi che negativi a intervalli di 1°, da 0° a 7°. La serie completa di questi dischi, che possono essere passati allo
scanner e salvati su un CD, è mostrata nelle figure dalla 6.6 alla 6.13. I dischi possono
anche essere ottenuti dall’ALPO e scaricati dal sito web della RASC, così come da diversi
altri siti: li si può anche prendere dagli almanacchi astronomici.
Il valore della longitudine del meridiano centrale è dato dalla longitudine eliografica del
centro solare per l’istante di Tempo Universale in cui è stata scattata la fotografia: è indicato da L0. I valori di B0, P e L0 per ogni istante possono essere ottenuti da Guide 8.0 o dai
manuali d’osservazione di organizzazioni come la RASC.
Dopo aver scaricato dalla fotocamera le immagini solari, usate il software d’elaborazione per migliorare il contrasto al fine di rivelare più dettagli possibile. Scegliete la più
bella macchia per analizzarla e scaricate il disco di Stonyhurst con il valore di B0 specifico
per la data dell’osservazione. Fate una stampa e salvate l’immagine del Sole prima di
sovrapporre ad essa, al computer, la griglia di Stonyhurst: operate in questo modo, altrimenti non potrete recuperare l’immagine nella sua forma originale.
40 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 6.5. Un disco di Stonyhurst sovrapposto a un’immagine solare.
Figura 6.6. Il disco di Stonyhurst per B0 = 0°.
Il Sole 41
Figura 6.7. Il disco di Stonyhurst per B0 = 1°.
Figura 6.8. Il disco di Stonyhurst per B0 = 2°.
42 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 6.9. Il disco di Stonyhurst per B0 = 3°.
Figura 6.10. Il disco di Stonyhurst per B0 = 4°.
Il Sole 43
Figura 6.11. Il disco di Stonyhurst per B0 = 5°.
Figura 6.12. Il disco di Stonyhurst per B0 = 6°.
44 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 6.13. Il disco di Stonyhurst per B0 = 7°.
Prendete di nuovo la foto del Sole. Trascinate il disco di Stonyhurst fino a sovrapporlo
all’immagine solare. Usando il menu [Effects] del software d’elaborazione applicato all’immagine del disco di Stonyhurst, rendete il disco trasparente in modo tale che emerga
anche l’immagine del Sole sottostante, finché sia la griglia che i dettagli del Sole risultano
chiaramente visibili. Ora, usando il comando [Even Fade] centrate la griglia sull’immagine
del Sole ed estendetela in orizzontale e in verticale fino a quando si sovrapporrà perfettamente al disco solare.
Andate al menu [Rotation] e cliccate su [Object] nell’angolo superiore destro. Poi cliccate su [Custom Rotation]: ora la griglia può essere ruotata dell’angolo P. Se P ha valori
negativi ruotate la griglia in senso orario. L’indicatore angolare sulla schermata del software Picture It! va aumentando per rotazioni in senso orario. I valori indicati dovranno
essere sottratti da 360° quando i valori di P sono positivi (senso antiorario). Il risultato
dovrebbe essere simile a quello che si vede nella figura 6.5. La longitudine eliografica di
una macchia solare sarà data da (L0 + L), dove L è la longitudine misurata rispetto al meridiano centrale; le latitudini verranno lette direttamente sulla griglia. Con un po’ d’attenzione, si può raggiungere la precisione di 1°.
Salvate l’immagine elaborata sul vostro computer per avere una registrazione fotografica valida e permanente.
Misurare la rotazione solare
Il Sole non ruota come un corpo rigido. Esso impiega 27 giorni per completare una rotazione all’equatore, ma più di 30 giorni alle più alte latitudini nord e sud. La velocità di rotazione varia anche con il ciclo solare, essendo leggermente più elevata durante le fasi di
massima attività.
Il Sole 45
La rotazione differenziale del Sole può essere osservata realizzando misure temporali
del moto longitudinale delle macchie a diverse latitudini. Lo si può fare facilmente grazie
ai dischi di Stonyhurst applicati a immagini del Sole prese in giorni successivi.
La fotografia del Sole su pellicola
Per fotografare il Sole si dovrebbero utilizzare pellicole in bianco e nero o a colori con la
sensibilità di 100 ISO o anche minore. Il metodo afocale che abbiamo utilizzato con la
camera digitale è il più indicato anche per una fotocamera tradizionale a pellicola. Un telescopio Maksutov di 90 mm f/14 combinato con un obiettivo fotografico di 50 mm e un
oculare di 25 mm restituirà un’immagine solare del diametro di 22 mm. Per un rifrattore
di 80 mm f/11, usando un oculare di 20 mm, il diametro dell’immagine sarà di 20 mm. Le
dimensioni del disco riempiono quasi perfettamente il lato corto del fotogramma formato
35 mm (24 mm × 35 mm). Gli adattatori per attaccare la camera direttamente all’oculare
possono essere acquistati in un negozio specializzato in ottica astronomica.
Attenzione! Assicuratevi che il filtro solare sia fermamente fissato alla lente obiettiva
del telescopio prima di mettere a fuoco e di scattare la fotografia. Usate il medesimo
filtro utilizzato nelle osservazioni visuali. Coprite l’obiettivo del cercatore.
Dopo che avrete sviluppato la pellicola, passate l’immagine allo scanner e salvatela nel
computer. Potrete analizzare l’immagine con la stessa tecnica adottata per la fotografia
digitale.
CAPITOLO SETTE
La Luna
Da quando l’astronomo polacco J. Hevelius realizzò il primo atlante lunare dettagliato, nel
XVII secolo, la Luna è stata esaminata, disegnata e fotografata con telescopi di tutte le
dimensioni. Ed ora vi abbiamo anche messo piede sopra. Forse proprio a seguito dell’esplorazione da parte degli astronauti, da quegli anni sembra essersi affievolito l’interesse
dell’astrofilo per la Luna come oggetto di serie osservazioni. Sono relativamente pochi gli
astrofili che dedicano il loro tempo a esplorare al telescopio i panorami lunari e i dettagli
sempre diversi che possono essere visti anche con un piccolo strumento; eppure, per me
non c’è vista altrettanto spettacolare di quella della Luna appena dopo il Primo Quarto, a
cento ingrandimenti, un’immagine che riempie l’oculare del telescopio. Montagne, vallate, canali, scarpate, crateri e pianure si presentano tutti chiaramente e voi potrete scegliere con cura quali di essi desiderate visitare ed esplorare più in profondità.
Le osservazioni visuali
Quando siamo al telescopio, è utile disporre di una mappa completa della Luna, come riferimento. Se ne trovano sul web o anche in libri e riviste.
Per ridurre la luminosità dell’immagine lunare a bassi ingrandimenti, si raccomanda
l’uso di un filtro neutro; ma anche un filtro grigio o azzurro andrà bene. Se si lavora ad alti
ingrandimenti non è necessario alcun filtro. Incominciate esaminando la Luna con un
oculare che vi permetta di abbracciare nel campo l’intero disco.
Dopo aver dato uno sguardo a bassi ingrandimenti, scegliete una località da esplorare
in dettaglio. Usate l’ingrandimento più elevato al quale il dettaglio si presenta ancora
nitido e ben definito. Se esagererete con gli ingrandimenti non guadagnerete nulla e anzi
peggiorerete l’immagine.
Ciascuna osservazione della Luna presenta panorami sempre differenti. Questo perché
ogni volta il Sole si troverà in una posizione diversa nel cielo lunare e quindi illuminerà le
strutture geologiche in modi sempre diversi. Quando osserverete uno stesso cratere nel
47
48 Fare astronomia con piccoli telescopi
corso dell’intera nottata, vi accorgerete che le ombre cambiano di forma e di lunghezza.
Per esempio, sul fondo dei crateri potrebbero a un certo punto rendersi visibili blocchi
rocciosi o piccoli crateri in precedenza appena intuibili. Ciò è particolarmente vero per gli
oggetti che si trovano nei pressi del terminatore.
Piuttosto che girovagare velocemente da una struttura a un’altra, sceglietene una o due
vicine al terminatore e studiatene le variazioni. Cercate di disegnarle, o almeno mettete
per iscritto una descrizione di ciò che vedete. Quando si osserva la Luna, in genere la
prima domanda che viene in mente riguardo ai crateri è quella relativa alle loro dimensioni. Quanto sono grandi? Naturalmente, le risposte sono già presenti negli atlanti lunari,
ma certamente è molto più interessante provare a misurarli di persona. Possiamo determinare le loro dimensioni rilevando quanto sono larghi su una stampa fotografica ottenuta con una fotocamera digitale.
La fotografia lunare
con camere digitali
Focalizzate il telescopio dotato dell’oculare più appropriato e bloccate il meccanismo di
messa a fuoco. Rimuovete l’oculare, applicatevi la fotocamera e riposizionatelo, stando
attenti a non modificare il fuoco. Sperimentate varie combinazioni di oculari e zoom della
camera fino a quando non otterrete il risultato migliore.
Ponete attenzione a disattivare il flash della camera e disponete il fuoco della stessa
all’infinito; fissate la sensibilità a 100 ISO, date la priorità all’apertura dell’obiettivo e applicate il cavetto flessibile per lo scatto a distanza. Benché la Luna ci appaia come un corpo
celeste di colorazione grigia, con diversi gradi di ombreggiatura, non impostate la fotocamera sulla modalità bianco/nero. Sarete sempre a tempo a convertire l’immagine al
bianco/nero quando elaborerete il risultato al computer (anche se magari perderete qualche dettaglio). Per fotografare la Luna a bassi ingrandimenti usate tempi che vanno da
1/80s a 1/50s, in funzione della fase lunare. Scattate un certo numero di fotografie a
ingrandimenti diversi e crescenti. Agli ingrandimenti maggiori, la posa potrà essere lunga
fino a 0,5s con un rifrattore di 80 mm. Realizzate fotografie ad alto ingrandimento di
regioni poste lungo il terminatore, contigue e spazialmente sovrapposte. Dovrete fare un
bel po’ di esperienza e avere tanta pazienza prima di familiarizzare con le procedure che
vi consentiranno di ottenere fotografie eccellenti, ma ne vale assolutamente la pena.
L’analisi delle fotografie
Dopo aver scaricato le immagini dalla fotocamera al computer, scegliete le migliori sia ad
alto che a basso ingrandimento. Lavorate sulla luminosità e sul contrasto in modo da rappresentare la Luna come la vedete nel telescopio e poi stampate a piena pagina ciascuna
delle foto migliori.
Utilizzate la stampa che mostra l’intero disco lunare per misurare il diametro di alcuni
dei crateri maggiori. Usate poi questi valori per calibrare le stampe ad alto ingrandimento
sulle quali verranno fatte le misure del diametro dei crateri minori e di altre strutture.
La procedura è la seguente. Per misurare il diametro della Luna usate un righello sulla
stampa a basso ingrandimento; misurate poi il diametro di alcuni dei crateri maggiori che
si trovano vicino al terminatore: più sarà grande il cratere, minore sarà l’errore di misura.
Ricordate che il diametro della Luna e di 3476 km. Se D è il diametro della Luna sulla
La Luna 49
stampa (in millimetri) e X quello del cratere (sempre in millimetri), allora il diametro del
cratere in chilometri sarà data da:
d = 3476 (X/D)
Le figure 7.1 e 7.2 sono esempi di fotografie ad alto e a basso ingrandimento prese con un
rifrattore di 80 mm f/11 usando una camera da 5 megapixel. La figura 7.1 è frutto di una
posa di 1/50s con un oculare di 20 mm, che ha un campo apparente di 60°. Per la figura
7.2 la camera è stata utilizzata con lo zoom al massimo e con un oculare di 9 mm, che ha
un campo apparente di 66°; il tempo di posa è stato di 1/5s.
Figura 7.1. Fotografia digitale della Luna a basso ingrandimento, realizzata con il rifrattore
di 80 mm.
50 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 7.2. Ripresa digitale del cratere Copernicus effettuata con un rifrattore di 80 mm f/11.
Misure sul monitor del computer
Un metodo alternativo rispetto alla misura realizzata su una stampa è passare allo scanner
e caricare la scala lineare rapprresentata in figura 7.3, che può essere poi salvata sul computer. In primo luogo aprite la foto che deve essere misurata, poi aprite la scala e trascinatela fino a sovrapporla all’immagine. Mediante il programma d’elaborazione rendete la
scala via via sempre più trasparente e portatela sopra la struttura che volete misurare. Si
tenga presente che facendo uno zoom sull’oggetto d’interesse si avrà un ingrandimento
La Luna 51
Figura 7.3. Una scala per misurare le immagini sul monitor di un computer.
della stessa entità anche sulla scala e quindi la calibrazione che ora andremo a fare della
scala non risentirà di questa operazione.
Allarghiamo o riduciamo a piacere le dimensioni della scala, poi misuriamo il diametro di un cratere lunare di cui si conosca l’estensione in chilometri: così avremo calibrato
la nostra scala. A questo punto, potremo misurare ogni altro oggetto semplicemente muovendo e ruotando la scala a piacere. Con questo metodo si evita di stampare copie ingrandite, oppure di ritagliarne parti: la scala può essere spostata sull’immagine della Luna e si
può fare uno zoom su qualunque oggetto ci interessi. Nella figura 7.4 la scala è sovrapposta in trasparenza al cratere Copernicus.
La misura delle librazioni lunari
Poiché la Luna si muove su un’orbita ellittica, la sua velocità orbitale cambia nel tempo
mentre la velocità di rotazione su se stessa resta costante: in tal modo noi possiamo vedere
qualcosa di più del 50% della sua superficie in longitudine. Quest’effetto è detto librazione
in longitudine. La librazione in latitudine è invece causata dall’inclinazione dell’asse della
Luna di circa 6°,7 sul piano della sua orbita. La combinazione delle librazioni longitudinali e latitudinali ci permette di vedere all’incirca il 59% dell’intera superficie lunare.
Figura 7.4. La scala lineare sovrapposta al cratere Copernicus.
52 Fare astronomia con piccoli telescopi
Sulla Luna le longitudini vengono misurate a partire dal meridiano centrale medio.
Sono positive quelle orientali, da 0° a +90°, e negative, da 0° a –90°, quelle occidentali. Le
latitudini sono misurate dall’equatore lunare e sono positive quelle settentrionali e negative quelle meridionali.
La librazione lunare viene misurata utilizzando la griglia di coordinate lunari riprodotta nella figura 7.5. La procedura è la stessa adottata con la scala lineare. Passate la griglia allo scanner, caricate l’immagine al computer e trascinatela sopra l’immagine della
Luna. Rendetela trasparente e poi allargatela o restringetela a seconda delle necessità.
L’immagine lunare molto probabilmente riguarderà una fase parziale. Per stirare in orizzontale e in verticale la griglia, dandole la forma di un cerchio con le stesse dimensioni dell’immagine lunare, eseguite quattro rotazioni a 90° della griglia e aggiustatene le
dimensioni a ciascuna rotazione. Ora ruotate la griglia in modo tale che il terminatore
risulti parallelo alle linee della longitudine.
La griglia è un sistema di riferimento fisso che consente di misurare le variazioni di
posizione dei crateri nella direzione est-ovest e nord-sud. Prendete fotografie della Luna il
più frequentemente possibile. La cosa migliore è fotografare dopo il Primo Quarto o dopo
l’Ultimo Quarto. Per ciascuna fotografia misurate le latitudini e le longitudini di alcuni
crateri selezionati nei pressi del centro e lungo il lembo. Le misure compiute nel corso di
pochi mesi vi sveleranno le dinamiche sottili delle interazioni gravitazionali Terra-Luna.
Figura 7.5. La griglia delle coordinate utile per misurare la librazione lunare.
La Luna 53
La fotografia lunare su pellicola
Per la fotografia tradizionale su pellicola si usi il metodo afocale e la stessa procedura
descritta per la fotografia digitale. Le immagini più definite saranno ottenute con pellicole da 100 ISO con grana fine. Se si usa una pellicola di questa sensibilità, il tempo di
posa per riprendere la Luna al Primo Quarto dovrebbe essere dell’ordine di 1/25s con un
rifrattore di 80 mm. Ad alti ingrandimenti potrebbe essere necessario allungare il tempo
di posa fino a 0,5s. Per ciascuna fase scattate alcune fotografie con tempi di posa diversi
e prendete nota, una volta sviluppate, di quale sia la posa migliore per ciascuna fase; registrate anche quali sono le condizioni del cielo. Ciò vi farà risparmiare tempo e pellicola
nei tentativi successivi. La pellicola, una volta sviluppata, può essere passata allo scanner
e analizzata al computer usando le procedure già descritte.
Le occultazioni lunari
Mano a mano che la Luna si sposta verso est di 13° al giorno relativamente alle stelle, capita
che si trovi a passare davanti a stelle di fondo facilmente osservabili con piccoli telescopi.
La misura precisa del tempo in cui avvengono tali occultazioni fornisce un metodo per registrare l’evoluzione mareale del sistema Terra-Luna. La combinazione delle frizioni mareali
e della conservazione del momento angolare nel sistema fa sì che la Luna si allontani lentamente dalla Terra e che il nostro pianeta rallenti la sua rotazione su se stesso. In aggiunta,
gli effetti di lungo termine dovuti alle perturbazioni di altri pianeti possono indurre sottili
cambiamenti in entrambe le orbite della Terra e della Luna. Sono cambiamenti quasi insignificanti, ma la loro registrazione su lunghi intervalli temporali può valere come verifica
di alcuni aspetti complessi delle teorie di interazione gravitazionale.
Le occultazioni più facili da osservare con piccoli telescopi sono quelle in cui le stelle
scompaiono dietro il lembo oscuro della Luna. Con piccoli telescopi è tuttavia possibile
osservare anche le occultazioni che avvengono sul lembo luminoso della Luna Piena, ma
solo se la stella occultata è sufficientemente brillante. Per misurare i tempi delle occultazioni
è necessario un segnale temporale preciso, come quello che si può ottenere da varie stazioni
radio a onde corte. Altri strumenti di misura eccellenti sono quegli orologi che si rimettono
automaticamente ad ogni ora avendo come riferimento un segnale radio standard. Potrebbe
anche servire un buon cronometro elettronico, con pulsanti grossi e comodi, come quelli che
si trovano nei negozi di articoli sportivi. Le misure saranno utilizzabili se conosceremo con
accuratezza la latitudine, longitudine e altezza del nostro sito osservativo, tutti parametri che
oggidì possono essere rilevati con un ricevitore GPS, o anche con una mappa geodetica della
nostra area geografica. Il telescopio dovrebbe avere una montatura equatoriale ed essere trascinato da un motorino. La procedura è la seguente.
Fate partire il cronometro in corrispondenza con un segnale radio già diversi minuti
prima che avvenga l’occultazione. Ponete la Luna al centro di un oculare a basso ingrandimento e guardate la stella che deve essere occultata. Mano a mano che la Luna si avvicina alla stella, aumentate gli ingrandimenti in modo tale che siano chiaramente visibili
la stella e quella parte del lembo lunare in cui l’occultazione si prepara ad avvenire.
Osservate con molta attenzione, perché la sparizione sarà istantanea. Nell’istante in cui la
stella scompare date lo stop al cronometro e trascrivete il tempo trascorso da quando il
cronometro è stato avviato fino all’occultazione. Aggiungete questo tempo a quello del
segnale radio di partenza e otterrete l’istante dell’occultazione. Prendete nota del tempo
dell’occultazione, della latitudine, della longitudine e dell’altezza del sito osservativo.
Moduli predisposti per le registrazioni sono disponibili sul sito web dell’International
54 Fare astronomia con piccoli telescopi
Occultation Timing Association (IOTA).
Le previsioni delle occultazioni vengono normalmente pubblicate dalle riviste di
astronomia nonché dagli almanacchi.
L’osservazione di un’occultazione potrebbe richiedere che ci si sposti fino a una località in cui è previsto che avvenga un evento interessante. Se non vi dispiace affrontare
viaggi e se siete padroni del vostro tempo, quella delle occultazioni può essere un’attività
utile che ripaga l’astrofilo.
CAPITOLO OTTO
I pianeti
Negli ultimi decenni del XIX secolo e per gran parte del XX secolo, studi dettagliati delle
superfici dei pianeti furono condotti con i grandi telescopi rifrattori dei maggiori
Osservatori del mondo. L’era spaziale ha di fatto chiuso quest’epoca romantica in cui gli
astronomi passavano ore e ore al telescopio, tutte le notti, a tracciare disegni e a scattare
fotografie, nella speranza di catturare qualche breve attimo di seeing eccellente in cui poter
evidenziare dettagli evasivi sulla superficie di Marte, di Venere o di Giove. Abbiamo camminato sulla Luna, i nostri robot meccanici sono atterrati su Venere e hanno passeggiato
su Marte. Abbiamo mandato navicelle a fotografare da vicino Giove, Saturno, Urano,
Nettuno e i loro satelliti, prendendo immagini di straordinaria risoluzione.
Ma allora è rimasto ancora qualcosa di interessante da fare per l’astrofilo equipaggiato
con un piccolo telescopio, oltre che dare qualche sguardo occasionale a Giove maestoso,
con la sua schiera di satelliti, o a Saturno, spettacolare con i suoi anelli? Diciamo che,
quantomeno, egli potrebbe ripercorrere la gloriosa storia passata dell’astronomia planetaria e rivivere la gioia di quelle scoperte.
Disegnare i pianeti
Fino all’ultima metà del XX secolo, il disegno della superficie di un pianeta vista attraverso
un telescopio era considerato da molti il metodo migliore per registrare i più fini dettagli.
Chi guarda potrebbe non lasciarsi scappare quei rari istanti di ottimo seeing nei quali possono essere chiaramente rivelati i dettagli più minuti che invece sfuggono alla fotografia.
Questo metodo, come ovvio, è strettamente dipendente dall’abilità dell’osservatore di
disegnare con cura e obiettività ciò che sta vedendo. Diversi osservatori, per esempio E.M.
Antoniadi, realizzarono mappe di Marte che si possono confrontare con le recenti mappe
fotografiche delle navicelle relative alle maggiori strutture d’albedo. Al contrario, Percival
Lowell si lasciava guidare un po’ troppo dall’immaginazione.
55
56 Fare astronomia con piccoli telescopi
Può essere un’esperienza interessante provare a realizzare qualche disegno. Poiché
la scala delle immagini sulle fotografie è troppo piccola per rivelare i dettagli che possono essere scorti con l’occhio, il disegno può rappresentare ancora oggi il modo
migliore di registrazione di un’osservazione. Cercate di essere obiettivi e disegnate
esattamente solo ciò che vedete davvero, non ciò che pensate dovreste aspettarvi di
vedere. Uno dei benefici più importanti di questo metodo è che vi abitua a focalizzare
certi dettagli, ciò che, nel tempo, fa di voi un osservatore provetto, sicuro e critico,
piuttosto che un puro spettatore.
Usate l’ingrandimento più elevato capace di rivelarvi immagini ben definite e altamente contrastate. Gli alti ingrandimenti saranno possibili solo in certe notti, e solo in
quelle riuscirete a percepire il massimo dettaglio.
I filtri
L’uso dei filtri da accoppiare agli oculari standard, disponibili presso i negozi che vendono strumentazione astronomica, intensificherà la visibilità dei dettagli nelle atmosfere
di Venere, Giove e Saturno. Venere, sempre avvolta nelle nubi, generalmente non dà
modo di distinguere le strutture atmosferiche, ma un filtro blu può talvolta evidenziare
certe aree vaghe, appena più scure dei dintorni, che mettono in luce irregolarità sporadiche lungo il terminatore. Per quanto riguarda Giove, il confine tra le bande e le zone è
reso più netto dall’uso di un filtro azzurro, mentre un filtro giallo aiuterà a riconoscere la
comparsa dei “festoni” nelle zone. Un filtro azzurro è utile anche per accrescere il delicato contrasto tra le bande e le zone di Saturno.
La fotografia digitale dei pianeti
La misura delle dimensioni fisiche di un pianeta attraverso un piccolo telescopio può
essere eseguita con più facilità su una foto digitale che non attraverso un oculare dotato
di micrometro. Il micrometro richiede esperienza, abilità e una montatura estremamente
stabile. Le stampe fotografiche possono invece essere misurate comodamente al caldo del
vostro studio. Fotografie digitali utili per misure di Giove, Saturno, Marte e Venere possono essere prese attraverso un rifrattore di 80 mm o un Maksutov di 90 mm usando una
fotocamera da 3 megapixel o di maggiore risoluzione. Anche se tali foto non potranno
restituirvi il ricco dettaglio delle immagini prese con grandi strumenti, vi forniranno tuttavia abbastanza informazioni per compiere qualche attività interessante. Le figure 8.1 e
8.2 sono tipiche foto di Giove e di Saturno prese al Maksutov di 90 mm.
I tempi di esposizione andranno da 1/25s per Venere a 1/5s per Saturno, in dipendenza anche delle condizioni del cielo e della brillantezza dei pianeti. Predisponete la
camera per una sensibilità di 100 ISO e per la risoluzione più elevata. Buoni risultati vengono assicurati da un oculare di 6 mm a largo campo e dalla fotocamera impostata sul
massimo valore dello zoom ottico. Con un Maksutov di 90 mm andrà bene anche un
oculare di 9 mm a largo campo. Seguite le istruzioni già fornite nel capitolo 5 per fissare
i parametri della camera. Prendete molte immagini variando di poco i tempi di posa.
Alcune saranno migliori delle altre per via delle inevitabili variazioni del seeing tra i vari
scatti. Scaricate tutte le immagini sul computer e selezionate le migliori per compiervi le
misure. Salvatele poi su un disco per utilizzarle anche in seguito.
I pianeti 57
Figura 8.1. Ripresa digitale di Giove attraverso un telescopio Maksutov di 90 mm.
Figura 8.2. Ripresa digitale di Saturno attraverso un telescopio Maksutov di 90 mm.
58 Fare astronomia con piccoli telescopi
Disegnare la posizione orbitale
di un pianeta
Un’attività interessante è la determinazione della relazione che sussiste tra la posizione di
un pianeta in cielo e la posizione sulla sua orbita. In seguito, si potranno poi collegare le
osservazioni della luminosità e del diametro apparente di un pianeta alla sua posizione
orbitale relativamente alla Terra e al Sole.
Le figure dalla 8.3 alla 8.6 sono disegni in scala delle orbite di ciascuno dei pianeti visibili, proiettate sul piano orbitale terrestre. La scala riportata sulla circonferenza esterna di
ciascuna cartina è in gradi di longitudine eliocentrica, ovvero l’angolo, con centro il Sole,
dall’equinozio di primavera al pianeta misurato in senso antiorario sul piano dell’orbita
terrestre. La direzione contrassegnata con la lettera greca Ω indica la longitudine del nodo
ascendente, ossia l’angolo fra la direzione dell’equinozio di primavera e il punto dell’orbita
in cui un pianeta attraversa dal basso verso l’alto il piano orbitale terrestre. La distanza
angolare tra l’equinozio di primavera e il perielio dell’orbita è invece contrassegnato con
la lettera ω. Le cartine possono essere passate allo scanner per ottenerne copie multiple da
usare in seguito.
Le coordinate eclittiche
Le orbite dei pianeti giacciono su piani che coincidono quasi perfettamente con quello
orbitale terrestre. Di conseguenza, è vantaggioso specificare le posizioni dei pianeti
rispetto all’eclittica piuttosto che all’equatore celeste.
La longitudine eclittica geocentrica di un pianeta è l’angolo, misurato verso est lungo l’eclittica, a partire dall’equinozio di primavera fino al pianeta: lo si misura in gradi da 0° a
360°. Per esempio, quando il Sole si trova al solstizio invernale, la sua ascensione retta è
18h e la sua longitudine eclittica è di 270°.
La latitudine eclittica geocentrica è l’angolo tra il piano dell’eclittica e l’oggetto osservato. I cerchi di latitudine eclittica sono disposti parallelamente all’eclittica stessa; le latitudini eclittiche sono misurate in gradi e sono positive se settentrionali, negative se
meridionali.
Le figure dalla 8.7 alla 8.10 sono cartine sulle quali sono state disegnate le coordinate
sia eclittiche sia equatoriali. Per trovare le coordinate eclittiche di un pianeta, segnate la
sua ascensione retta e la sua declinazione sulla cartina appropriata e tracciate una linea
perpendicolare all’eclittica a partire dal puntino che avete disegnato. Là dove questa linea
taglia l’eclittica leggerete la longitudine eclittica del pianeta. La latitudine eclittica può
essere letta direttamente per interpolazione.
La longitudine eliocentrica della Terra differisce di 180° dalla longitudine geocentrica
del Sole. Per esempio, quando il Sole è all’equinozio di primavera la sua longitudine geocentrica è 0°. In quell’istante, la longitudine eliocentrica della Terra sarà di 180°. Per disegnare la posizione della Terra sulla sua orbita, innanzitutto ricavate la longitudine
geocentrica del Sole dal programma Guide 8.0 o dalle effemeridi solari prese da un almanacco. Riportate questo valore sulla scala delle longitudini (il cerchio esterno) della cartina
orbitale del pianeta osservato e tracciate una linea che, a partire da questo punto, passi
attraverso il Sole, al centro della cartina, per intersecare l’orbita terrestre dal lato opposto
del Sole. Il punto d’intersezione sarà la posizione eliocentrica della Terra per quell’istante
e per quella data.
I pianeti 59
Figura 8.3. L’orbita di Venere.
60 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 8.4. L’orbita di Marte.
I pianeti 61
Figura 8.5. L’orbita di Giove.
62 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 8.6. L’orbita di Saturno.
I pianeti 63
Figura 8.7. Le coordinate eclittiche per l’ascensione retta da 0h a 6h.
Figura 8.8. Le coordinate eclittiche per l’ascensione retta da 6h a 12h.
64 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 8.9. Le coordinate eclittiche per l’ascensione retta da 12h a 18h.
Figura 8.10. Le coordinate eclittiche per l’ascensione retta da 18h a 0h.
I pianeti 65
Per disegnare la posizione orbitale di un pianeta, dovrete dapprima trovare le sue coordinate eclittiche geocentriche riportando la sua ascensione retta e la sua declinazione sulla
cartina delle coordinate eclittiche appropriata. Centrate poi un goniometro sulla posizione
della Terra con la direzione 0°–180° parallela alla linea che unisce il Sole con l’equinozio
di primavera. Misurate in senso antiorario, a partire dalla direzione dell’equinozio di primavera, un angolo uguale alla longitudine eclittica geocentrica del pianeta. Tracciate una
linea dalla Terra verso quella posizione. Il punto in cui la linea interseca l’orbita del pianeta rappresenterà la sua posizione orbitale approssimata per quella data. La figura 8.11
mostra la posizione orbitale di Marte per una data in cui la longitudine geocentrica del
Sole era 80° e quella di Marte era 320°.
Le fasi di Venere
Una delle prime scoperte di Galileo fu che Venere si presenta con fasi simili a quelle lunari.
Le variazioni del diametro apparente e delle fasi di Venere possono essere rilevate attraverso la misura di una serie di fotografie digitali del pianeta, da mettere poi in relazione
con il grafico delle posizioni orbitali del pianeta per quelle date.
Prendete una serie di immagini ogni due settimane, o anche più frequentemente,
quando Venere appare dapprima come stella della sera, subito dopo il tramonto, poi raggiunge il suo punto estremo a est del Sole e infine recede, tornando verso ovest, prima di
scomparire nel crepuscolo serale. Se possibile, realizzate un’analoga serie di immagini
quando il pianeta inizia ad apparire come stella del mattino. Fate uso della stessa fotocamera e della stessa combinazione di oculari, con tempi di esposizione dell’ordine di 1/15s
a 100 ISO per tutte le riprese, in modo tale che le singole immagini realizzate in notti differenti possano essere confrontate tra loro. Segnate il tempo e la data di ciascuna fotografia e salvatele su un disco o su un CD per conservarle e misurarle successivamente.
Quando riproducete le immagini, stampatele tutte alla stessa scala. Prendano nota i
docenti di scienze: una sequenza di riprese come questa potrebbe rendersi utile per le loro
lezioni.
Misurate il diametro polare di Venere sulle varie stampe per ciascuna delle date e
segnatevi la fase. Usando la procedura descritta in precedenza, segnate sul grafico la posizione orbitale di Venere relativa a ciascuna delle foto e cercate di mettere in relazione il
modo in cui il pianeta appare con le rispettive posizioni orbitali.
Marte
Marte può essere osservato solamente durante le opposizioni, che occorrono circa ogni
due anni. Anche in tali circostanze, tuttavia, il pianeta è poco interessante per il possessore
di un piccolo telescopio, a meno che l’opposizione si verifichi negli stretti dintorni del
perielio, diciamo fra due anni prima e due anni dopo il passaggio di Marte al perielio.
Quando si trova in queste posizioni, il pianeta può avere un diametro apparente grande
fino a 25 secondi d’arco: solo in queste circostanze anche i piccoli telescopi possono mettere in luce le cappe polari e le strutture d’albedo più vistose.
Il tempo che intercorre tra due opposizioni perieliche di Marte è di 17 anni. Le opposizioni strette più recenti sono state nel 2001, nel 2003 e nel 2005; le prossime si avranno
nel luglio 2018 e nell’ottobre 2020.
66 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 8.11. Il grafico riporta la posizione orbitale di Marte.
I pianeti 67
Nell’opposizione del 24 dicembre 2007, Marte aveva un diametro apparente già abbastanza ridotto, di 15",8: solamente un terzo del diametro apparente di Giove all’opposizione. Marte continuerà a diventare sempre più piccolo per l’osservatore terrestre fino al
marzo 2012, quando il diametro apparente sarà di soli 13",9. Per tale ragione, in questo
libro ho escluso Marte come oggetto di interesse per osservazioni visuali utili con piccoli
telescopi.
Il moto retrogrado di Marte
Il moto apparente dei pianeti rispetto alle stelle è abbastanza complesso e normalmente
sfugge alla comprensione dell’osservatore casuale. Quando i pianeti esterni Marte, Giove
e Saturno sono prossimi all’opposizione, per l’osservatore terrestre essi invertono il senso
del loro moto apparente relativamente alle stelle. Normalmente i pianeti si spostano di
poco verso est giorno dopo giorno, ma, poco prima dell’opposizione, cambiano il loro
moto puntando verso ovest e in seguito, dopo qualche tempo, tornano di nuovo all’usuale
spostamento verso est. La forma della curva che essi disegnano in cielo varia da opposizione a opposizione. Questo moto planetario retrogrado rappresentò un problema complesso per gli astronomi dell’antichità che cercavano di sviluppare un modello geometrico
del Sistema Solare. Infatti, il moto diventa particolarmente difficile da giustificare qualora
si assuma che la Terra si trovi al centro dell’Universo. Nel tentativo di spiegare queste
apparenti anomalie, Tolomeo propose un elegante sistema di 89 tra cerchi ed epicicli, che
però, con l’andare del tempo e con il miglioramento della precisione delle osservazioni, si
rivelò impreciso. La soluzione vera e definitiva fu proposta da Copernico e perfezionata da
Keplero, i quali collocarono il Sole, e non più la Terra, al centro del sistema planetario.
Marte, essendo tra i pianeti esterni il più vicino alla Terra, mostra il suo moto retrogrado in modo più evidente di Giove e Saturno, che sono più distanti. Il moto retrogrado
di Marte può essere registrato prendendo una serie di foto digitali prima, durante e dopo
l’opposizione.
Scattare fotografie
Piuttosto che utilizzare il metodo afocale, montate la fotocamera parallelamente al telescopio come mostrato nella figura 5.5. Ciò vi fornirà la ripresa di un gran numero di stelle
di fondo rispetto alle quali potrete tracciare il moto di Marte. Allineate attentamente la
fotocamera in modo tale che sia parallela all’asse ottico del telescopio. Centrate Marte
nell’oculare e realizzate pose di 10s, 15s, 20s, 25s e 30s. Una volta scaricate le riprese sul
computer, decidete qual è la posa più adatta per le fotografie future. Poiché non è necessario registrare stelle particolarmente deboli, le pose comprese fra 10s e 15s dovrebbero
bastare per avere sullo sfondo abbastanza stelle di riferimento per misurare il moto del
pianeta.
Procedete nella stessa maniera su un periodo di tempo lungo abbastanza da consentire di disegnare un tratto significativo del cammino di Marte relativamente alle stelle:
per esempio, cominciate due-tre mesi prima del perielio e continuate fino a due-tre mesi
dopo. Scattate una foto ogni settimana. Ciò dovrebbe bastare per registrare per intero l’anello che il pianeta descrive in cielo nel suo moto retrogrado. Ricordate di annotare l’ascensione retta e la declinazione di Marte, oltre che la data e l’istante in cui vengono prese
le varie fotografie.
68 Fare astronomia con piccoli telescopi
Disegnare i risultati
Al fine di ottenere una registrazione visuale del moto di Marte nel periodo delle vostre
osservazioni, fate un lucido della foto scattata nella prima data e stampe normali su carta
per ciascuna delle altre date. Sovrapponete il lucido a ciascuna delle altre stampe in successione e segnate con inchiostro indelebile la posizione di Marte sul lucido. Si noti che
Marte si sposta verso est, poi verso ovest e infine ancora verso est; avrà anche modificato
la sua posizione nord-sud. Si può disegnare la posizione orbitale sia della Terra che di
Marte attraverso il metodo descritto qualche pagina fa. Dopo che avrete segnato queste
posizioni sulla carta dell’orbita di Marte, tracciate dei segmenti che connettono le posizioni di Marte e della Terra per ciascuna osservazione. Se traccerete questi segmenti proseguendo fino alle estremità della carta, avrete le linee visuali di Marte per un osservatore
terrestre. Le distanze delle stelle, relativamente a quella di Marte, sono così grandi che le
linee visuali di ciascuna di esse saranno sempre parallele tra loro anche se la Terra si trova
in posizioni orbitali differenti.
Da ciascuna delle successive posizioni della Terra, tracciate linee sottili parallele alla
direzione che connette la Terra con Marte per tutto il periodo in cui i due pianeti sono
prossimi all’opposizione. Ciascuna di tali direzioni verrà quasi a coincidere con la linea
visuale di qualcuna delle stelle che circondano Marte. Comparando le linee visuali di
Marte alle varie date con le linee visuali delle stelle, giungerete a darvi una spiegazione del
moto retrogrado di Marte. La causa dello spostamento in direzione nord-sud non sarà
invece altrettanto ovvia.
Scegliete la carta appropriata delle coordinate eclittiche e disegnatevi sopra l’ascensione
retta e la declinazione di Marte per ciascuna delle vostre osservazioni. Notate le posizioni
dei nodi ascendente e discendente sulla carta dell’orbita, ricordando che tale carta è disegnata nel piano dell’orbita terrestre. L’eclittica è la proiezione sulla volta celeste di questo
piano. Ora dovrebbe esservi chiara anche la causa del moto nord-sud di Marte.
Osservazioni visuali di Giove
La superficie di Giove presenta una successione di fasce di nubi chiare e scure. Le regioni
chiare, quelle che sono dette zone, sono in realtà nubi di più alta quota, costituite da cristalli di ammoniaca. Le fasce scure, che sono dette bande, si trovano a maggiori profondità nell’atmosfera gioviana. Benché normalmente si ritenga che osservazioni dettagliate
dell’attività atmosferica di Giove richiedano strumenti di grandi dimensioni, in realtà
sono già molti i particolari che si rendono visibili in un piccolo telescopio, tanto da consentire osservazioni accurate e interessanti ricerche.
Si possono compiere al meglio osservazioni di Giove quando il pianeta è nei pressi dell’opposizione e mostra il massimo diametro apparente. Le strutture più prominenti visibili in un piccolo telescopio sono le Bande Equatoriali Nord e Sud e la Zona Equatoriale.
Normalmente, è visibile anche la sottile Banda Temperata Nord. Se il seeing è molto
buono, si possono distinguere anche altre bande più sottili. La Banda Equatoriale, che può
variare in larghezza e in contrasto, presenta bordi dall’aspetto chiaramente irregolare. Di
quando in quando sono abbastanza evidenti da rendersi visibili i cosiddetti “festoni”,
deboli intrusioni delle bande dentro la Zona Equatoriale. La Banda Equatoriale
Meridionale è nota per il fatto che saltuariamente può sparire del tutto. Poiché la Grande
Macchia Rossa varia quanto a intensità del colore e tonalità, è richiesto un seeing eccellente
affinché la si possa vedere con un piccolo telescopio. Poiché essa si appoggia al confine
meridionale della Banda Equatoriale Sud, normalmente si rende visibile come una debole
protuberanza ovale nella zona a sud di essa. È più facilmente osservabile quando la Banda
I pianeti 69
Equatoriale Sud si presenta di luminosità ridotta.
Quando la Grande Macchia Rossa è visibile, può essere interessante misurare l’istante
del suo transito attraverso il meridiano centrale di Giove. Se non è disponibile un oculare
con reticolo a crocicchio, cercate di stimare a occhio quando la macchia si trova esattamente al centro del pianeta. Fate partire il cronometro in corrispondenza con un segnale
radio standard e bloccatelo quando voi stimate che la Macchia Rossa sia proprio al meridiano gioviano. Prendete nota del tempo trascorso dal segnale e calcolate l’istante del
transito. Comunicate le vostre osservazioni a qualcuna delle organizzazioni internazionali
che le raccolgono, come l’ALPO. I tempi previsti per il transito della Macchia Rossa si possono trovare negli almanacchi o su Internet.
Osservazioni di Giove
con la camera digitale
Quando Giove è nei pressi dell’opposizione, può essere utile prenderne immagini digitali
da sfruttare poi per qualche interessante attività. Tra le caratteristiche visuali di Giove che
più saltano all’occhio vi è la sensibile differenza tra il diametro polare e quello equatoriale.
Lo schiacciamento polare è solo un’illusione ottica creata dalla presenza delle bande orizzontali nell’atmosfera, oppure rivela una differenza fisica reale? È facile stabilirlo, fotografando il pianeta e misurando per via diretta i due diametri.
Figura 8.12. Come misurare il diametro polare di Giove sul monitor del computer.
70 Fare astronomia con piccoli telescopi
Si proceda come descritto nei paragrafi precedenti. Si prendano diverse immagini, le si
scarichi sul computer e si salvino le migliori. Si usi un righello per misurare i due diametri del pianeta sulla migliore delle stampe realizzate. Volendo, si può anche procedere alle
misure direttamente sul monitor del computer, utilizzando il righello descritto nel capitolo 7. Il diametro equatoriale di Giove è di 142.800 km: si usi questo valore per fissare la
scala (km/mm) sulla stampa e poi si ricavi la misura del diametro polare. Se si opera sul
monitor del computer, la figura 8.12 mostra come il righello può essere sovrapposto
all’immagine di Giove.
Oltre a tracciare un disegno delle bande di nubi atmosferiche, si possono misurare le
eventuali variazioni nella loro ampiezza angolare e le latitudini dei loro bordi sovrapponendo all’immagine planetaria la griglia delle coordinate riportata nella figura 7.5. La procedura è la medesima già utilizzata per misurare le librazioni lunari.
Trascinate la griglia in modo da sovrapporla all’immagine di Giove sul monitor. Fate
poi uno zoom per ingrandire convenientemente l’immagine. Fate in modo che la griglia
abbia le stesse dimensioni di Giove e ruotatela fintantoché le linee del reticolo delle latitudini corrano parallele alle bande atmosferiche. Infine, misurate le latitudini delle varie
fasce di nubi e ricavate l’ampiezza angolare delle bande e delle zone. L’immagine del pianeta sarà di piccole dimensioni, eppure vi consentirà di prendere tali misure.
.
I satelliti di Giove
Uno degli eventi più significativi nella storia della scienza fu la scoperta, realizzata da
Galileo con il telescopio, che quattro piccoli corpi celesti orbitano attorno a Giove. Si può
dire che tutta la moderna astronomia, la meccanica celeste e le conoscenze che noi oggi
abbiamo dell’Universo abbiano le loro radici in quella scoperta. Attualmente sappiamo
che Giove ha 60 satelliti. Anche se ormai le navicelle spaziali hanno esplorato da vicino Io,
Europa, Ganimede e Callisto, questi satelliti gioviani sono in grado ancora di affascinarci
quando osserviamo le eclissi a cui vanno soggetti, o le occultazioni dietro il disco del pianeta, o quando vediamo le loro ombre transitare sopra le nubi gioviane.
Le previsioni dei tempi delle occultazioni, delle eclissi e dei transiti dei quattro satelliti
galileiani possono essere ricavate dal programma Guide 8.0, oppure le si trova negli almanacchi o in vari siti Internet. Questi eventi non sono istantanei. Per esempio, possono
occorrere diversi secondi prima che un satellite si indebolisca fino a sparire alla vista
durante un’eclisse. Generalmente, i tempi previsti che troviamo negli almanacchi si riferiscono all’istante centrale dell’evento.
Con le sue quattro lune più brillanti, Giove è il soggetto ideale per studi sulle interazioni gravitazionali in un sistema chiuso. I dati essenziali per realizzare questi studi sono
la misura degli istanti in cui avvengono eventi come le eclissi e le occultazioni: riferendo i
nostri risultati all’ALPO, potremo contribuire all’arricchimento del suo database. Si contatti l’organizzazione per conoscere come comunicare correttamente i dati.
Il metodo di Roemer per la misura
della velocità della luce
Il punto di maggiore vicinanza tra Giove e la Terra si ha quando Giove si trova all’opposizione. In seguito, con la Terra che si sposta sulla sua orbita, la distanza andrà aumen-
I pianeti 71
tando e alla fine Giove sparirà dietro il Sole: in quell’istante, si dice che Giove e il Sole sono
in congiunzione. Il pianeta resta visibile fino a un paio di settimane prima della congiunzione e torna ad esserlo un paio di settimane dopo, quando lo si può ammirare come una
brillante “stella” del mattino o della sera. Alla congiunzione, Giove si trova alla massima
distanza dalla Terra.
Nel 1676, l’astronomo danese Ole Roemer annunciò che il periodo orbitale del satellite
gioviano Io pareva essere più corto quando la Terra si stava avvicinando a Giove, andando
verso l’opposizione, di quando se ne allontanava, andando verso la congiunzione di Giove
con il Sole. Roemer intuì che la variazione apparente del periodo orbitale di Io stava a indicare che la luce aveva una velocità finita. Il periodo misurato – per la precisione, il tempo
tra due eclissi successive di Io nell’ombra di Giove – è maggiore quando la Terra si allontana da Giove perché la luce impiega più tempo a recare l’informazione, dovendo percorrere una distanza maggiore. La distanza aggiuntiva può essere determinata a patto che
siano conosciuti i diametri delle orbite della Terra e di Giove, mentre il tempo che la luce
impiega per percorrere tale tratto aggiuntivo è dato dalla piccola differenza delle misure di
due periodi orbitali consecutivi di Io.
Poiché il telescopio di Roemer era un rifrattore con una semplice lente convessa per
obiettivo, l’immagine di Giove era affetta da aberrazioni cromatiche e sferiche. Per prendere i tempi, l’astronomo danese utilizzava un orologio tra i migliori del XVII secolo, che
tuttavia scontava imprecisioni dell’ordine di alcuni secondi. In aggiunta, i diametri delle
orbite della Terra e di Giove non erano conosciuti con precisione. Possiamo dunque
meravigliarci se egli ricavò una stima della velocità della luce che è diversa da quella attualmente adottata? In ogni caso, il grande valore della sua intuizione sta nel fatto che egli fu
il primo a dimostrare che la velocità della luce è finita.
In teoria, quello di Roemer dovrebbe essere un metodo valido per consentirci di ricavare un buon valore della velocità della luce, grazie a osservazioni condotte con il nostro
piccolo e moderno telescopio, che ha una qualità ottica certamente superiore a quella dello
strumento utilizzato dall’astronomo danese. Un cronometro digitale moderno garantisce
misure accurate, limitate solo dall’abilità dell’osservatore, ossia dalla sua coordinazione
occhio-mano, che generalmente comporta un’imprecisione di solo qualche decimo di
secondo. Le distanze precise di Giove dal Sole e dalla Terra si trovano in tutte le pubblicazioni astronomiche, o le si ricava da Guide 8.0. Ammetto che si tratta di una ricerca di una
certa difficoltà: invito comunque a farla, sebbene rappresenti una sfida un poco più ardua
di molte altre proposte in questo libro.
Osservazioni per applicare
il metodo di Roemer
Gli eventi più facili da osservare sono gli inizi dell’eclisse di un satellite da parte di Giove.
Le previsioni per le eclissi di Io vengono normalmente riportate negli almanacchi.
Selezionate da queste tabelle gli eventi per i quali la fase di sparizione del satellite risulterà
visibile dal vostro sito osservativo. Cercate una coppia consecutiva di eventi osservabili
(devono cadere entrambi nottetempo), che saranno perciò temporalmente separati da un
periodo orbitale di Io (1,76913 giorni). Trovate poi altre coppie di eventi simili, che occorrano alcuni mesi dopo la prima coppia: per esempio, una coppia circa nel tempo in cui
Giove comincerà a rendersi visibile nel cielo orientale, sorgendo nelle ultime ore della
notte o nel primo mattino; un’altra alla quadratura; un’altra quando il pianeta è prossimo
all’opposizione. Selezionate il maggior numero possibile di tali coppie, in modo tale che
circostanze incontrollabili, come sono le nubi, non abbiano a impedire le osservazioni.
72 Fare astronomia con piccoli telescopi
Probabilmente la parte più difficile e frustrante di questa attività sarà l’attesa che si verifichino le migliori condizioni osservative.
Iniziate le osservazioni 30 minuti prima dell’eclisse prevista. Dopo che avrete inquadrato Giove nel campo del telescopio a bassi ingrandimenti, portate gli ingrandimenti al
massimo valore al quale il pianeta si mostri ancora ben definito, con un alto contrasto.
L’eclisse non si produrrà all’improvviso: Io comincerà a indebolirsi ben prima che si avvicini al lembo di Giove, quando il satellite entrerà nella penombra del pianeta.
Fate partire il cronometro in corrispondenza di un segnale fornito da un orologio che
indichi il Tempo Universale (TU). Osservate Io mentre si avvicina a Giove e bloccate il
cronometro nell’istante in cui lo vedete sparire completamente. Prendete nota del tempo
trascorso e calcolate il tempo di inizio eclisse (in TU). Ripetete la misura per la successiva
sparizione. Convertite il Tempo Universale delle vostre osservazioni nel corrispondente
Giorno Giuliano e registrate il tutto con una precisione di cinque decimali. Dalla differenza tra i tempi espressi in Giorni Giuliani ricavate il periodo orbitale di Io. Ripetendo
questa procedura a distanza di mesi dovreste riuscire a rilevare la differenza nei periodi
che si misura quando Giove è a cavallo dell’opposizione e quando è circa alla quadratura.
Le distanze della Terra da Giove all’epoca delle osservazioni potranno essere desunte dalle
effemeridi astronomiche degli almanacchi, o da Guide 8.0. Ricavate la maggiore (o
minore) distanza percorsa dalla luce facendo la differenza fra le distanze Terra-Giove all’istante della seconda osservazione di ciascuna coppia. La velocità della luce è pari alla variazione della distanza divisa per la differenza tra i due diversi periodi orbitali.
Poiché stiamo applicando una versione semplificata del metodo di Roemer, non possiamo aspettarci di ottenere valori della velocità della luce che si avvicinino a quello
moderno: dobbiamo accontentarci di un’approssimazione attorno al 20%. Tuttavia,
potremo verificare, come fece Ole Roemer, che la velocità della luce è finita. Potremo
anche renderci conto delle difficoltà intrinseche del metodo e capire perché i dati storici
che si riferiscono ai valori ottenuti con esso non possono essere comparati con le misure
moderne, ottenute con metodi di gran lunga più sofisticati.
Saturno
Anche in un piccolo telescopio, Saturno offre visioni stupende. A 200 ingrandimenti si
rendono chiaramente visibili le divisioni più cospicue all’interno dei suoi anelli e, se il
seeing atmosferico è buono, risulta abbastanza evidente anche la struttura a bande delle
sue nubi. Le nubi stesse mostrano di volta in volta qualche variazione: potremo perciò realizzare disegni che, come in tutte le osservazioni planetarie, devono includere una descrizione delle condizioni atmosferiche prevalenti. Ciò è di particolare importanza nel caso di
Saturno, al fine di distinguere quelli che sono gli effetti del cattivo seeing dell’atmosfera
terrestre dalle effettive variazioni che hanno luogo nelle nubi del pianeta.
Una misura interessante da compiere con le foto digitali di Saturno è la comparazione
del diametro del sistema visibile degli anelli con quello del pianeta. Si può fare sia su
stampe fotografiche, sia sul video del computer, utilizzando in tal caso la scala lineare
descritta nel capitolo 7.
CAPITOLO NOVE
Comete
e
asteroidi
Comete
Capita sovente che in cielo appaiano comete nuove, oppure che ritornino comete già catalogate. Molte di queste sono rivelabili solo con strumenti di grosso diametro, ma di tanto
in tanto ce ne sono di quelle che diventano abbastanza luminose da rendersi visibili anche
in piccoli telescopi. In tal caso, potremo seguire attentamente le variazioni che subiscono
nell’aspetto e nella luminosità, oltre che nella posizione.
Potremo lavorare al meglio con un rifrattore a grande campo di breve lunghezza focale,
come un 80 mm f/5 o f/6. Per osservazioni visuali, potremmo anche usare uno strumento
f/11 con un oculare a grande campo e a bassi ingrandimenti, ma la fotografia con uno strumento di elevata lunghezza focale richiede un inseguimento molto preciso da effettuare
attraverso un telescopio di guida ausiliario. Se la montatura è ben allineata con il polo celeste, gli strumenti di corta focale consentono di fare pose non guidate lunghe fino a una
trentina di secondi.
Una cometa consiste essenzialmente di tre componenti strutturali: il nucleo, la chioma
e la coda. La chioma, generalmente con un diametro di diverse migliaia di chilometri, è
costituita da gas sublimato dalla superficie ghiacciata del nucleo, che non si rende mai visibile al telescopio, avendo un diametro al più di qualche decina di chilometri. A sua volta,
la coda, che può estendersi anche per più di un milione di chilometri, spesso presenta una
doppia componente: una coda di polveri, che si dispone generalmente lungo l’orbita
cometaria, e una coda gassosa, che è diretta nel verso opposto al Sole. La coda precede la
cometa quando questa si allontana dal Sole; la sua direzione viene determinata dalla pressione della radiazione solare.
Le comete variano di molto il loro aspetto mentre si avvicinano o si allontanano dall’incontro stretto con il Sole. La coda diventa sempre più lunga mentre la cometa si avvicina alla nostra stella e si accorcia quando essa se ne allontana. Talvolta, dalla chioma
emergono getti gassosi.
73
74 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 9.1. La cometa Hyakutake: posa di 2m su pellicola T-Max 400 con un teleobiettivo di 300 mm f/3,5.
L’aspetto differisce considerevolmente da cometa a cometa. Le figure 9.1 e 9.2 delle
comete Hyakutake e Hale-Bopp ne sono un esempio. Da notare la doppia coda della HaleBopp e le differenze nelle due chiome. Queste fotografie sono state prese con pose di 2m
su una pellicola T-Max 400 attraverso un teleobiettivo di 300 mm f/3,5, in un’epoca in cui
non erano ancora così diffuse le camere digitali.
Osservazioni visuali
Le posizioni in cielo di comete brillanti vengono riportate in tutte le riviste di divulgazione
astronomica. Usando Guide 8.0, o un software equivalente, tracceremo una carta del cielo
con un campo circa uguale a quello del nostro obiettivo, centrata sulla posizione della
cometa alla data in cui faremo le osservazioni. Converrà riportare sulla carta le magnitudini delle stelle nei pressi della cometa, poiché utilizzeremo questi valori per stimare la
magnitudine apparente dell’oggetto. Dopo aver allineato al polo la montatura del telescopio, punteremo lo strumento sulla stella più brillante prossima alla posizione della cometa
e imposteremo sui cerchi dell’ascensione retta e della declinazione la posizione della stella.
Comete e asteroidi 75
Figura 9.2. La cometa Hale-Bopp: posa di 2m su pellicola T-Max 400 con un teleobiettivo di 300 mm.
Muoveremo poi il telescopio verso la cometa.
Dopo aver identificato nel campo dell’oculare le stelle che sono presenti sulla nostra
carta stellare, scegliamone due o tre che pensiamo potrebbero essere buone stelle di confronto. Sfochiamo il telescopio fino a quando l’immagine di una delle stelle di confronto si
allarga fino a raggiungere dimensioni comparabili con quella della chioma cometaria, quest’ultima perfettamente a fuoco. Ora possiamo stimare la magnitudine della cometa utilizzando le stelle la cui luminosità dell’immagine sfocata è più simile a quella della chioma.
Con un oculare che garantisca un ampio campo e un alto contrasto, disegnate l’aspetto
della cometa con la massima frequenza permessa dalle condizioni osservative. In particolare, soffermatevi a considerare le eventuali variazioni a cui vanno soggette la chioma e la
coda. Prendete nota della distribuzione della luminosità nella chioma: ha un picco al centro, oppure si distribuisce in modo uniforme? Registrate la data e l’ora per ciascuna osservazione.
76 Fare astronomia con piccoli telescopi
La fotografia digitale
Per fotografare, si usi un tempo di posa compreso tra 15s e 30s, impostando una sensibilità di 400 ISO con il motore d’inseguimento in funzione. Si utilizzi l’oculare con il campo
apparente più ampio di cui si dispone, compatibilmente con la montatura della camera.
Con un tempo di posa così breve non risulterà rilevabile l’eventuale spostamento della
cometa relativamente alle stelle di fondo. Si disponga la fotocamera in modo tale che un
lato del fotogramma sia parallelo alla direzione est-ovest e si verifichi che non sia attivato
il flash; infine, si faccia uso di un controllo remoto per l’otturatore o dell’autoscatto. Si
prenda nota del tempo esatto in cui viene scattata ciascuna foto, con la precisione di 1s, e
si prendano diverse fotografie. Se possibile, si ripetano gli scatti un’ora o due più tardi, per
mettere in evidenza il moto della cometa.
Le stampe mostreranno un maggior numero di dettagli e un miglior contrasto se verranno convertite al bianco e nero, stampandole al negativo. Sul retro di ciascuna stampa
si segnino la data e l’ora, per confrontare tra loro le immagini della cometa prese in tempi
diversi. Non si dimentichi di archiviare tutte le immagini su un disco.
La posizione della cometa può essere rilevata caricando sul computer l’appropriata cartina celeste e riducendola alle stesse dimensioni del campo coperto dalla fotografia.
Quando, sul video del computer, confronterete la carta con la vostra fotografia, posizionate il cursore là dove compare la cometa sulla stampa: in questo modo compariranno
sulla legenda della carta le coordinate della posizione indicata. Riportate questa posizione
sul retro della stampa e confrontatela con quella prevista dalle effemeridi.
Se la cometa ha una coda ben visibile, forzate il contrasto dell’immagine il più possibile,
evitando tuttavia di introdurre un eccessivo rumore di fondo. Utilizzate un goniometro
per determinare l’orientazione della coda rispetto alla direzione est-ovest e misuratene la
lunghezza. Lo si può fare con una scala lineare su una stampa, ma anche sul monitor del
computer, facendo uso della scala descritta nel capitolo 7.
Scoperte casuali di comete
Ciascuna foto a largo campo potrebbe includere qualche oggetto di morfologia non stellare, che dovrà essere esaminato con attenzione. Il più delle volte si tratterà di qualcosa di
già noto che voi non sapevate trovarsi proprio in quella parte di cielo. Molto probabilmente sarà un ammasso globulare, una galassia, un piccolo ammasso stellare difficile da
risolvere, oppure una delle tante comete note. Consultate tutti i cataloghi di oggetti non
stellari fino a quando non sarete sicuri della sua identità. Se non riuscirete nel vostro
intento, prenderete nuove foto del medesimo campo stellare non appena le condizioni del
cielo ve lo permetteranno, per verificare se l’oggetto è sempre nella stessa posizione,
oppure se si è mosso. Se dovessero fallire tutti i tentativi per stabilirne la natura e se vi
accorgeste che l’oggetto si muove, potreste aver scoperto una nuova cometa! Solo a questo punto, occorrerà inviare subito un resoconto dettagliato dell’osservazione agli organismi internazionali preposti. In Internet si trovano informazioni sulle modalità di
comunicazione delle scoperte.
Fotografia su pellicola
La fotografia su pellicola ha il vantaggio di consentire esposizioni più lunghe con pellicole
più sensibili. Usate la fotocamera al fuoco primario del telescopio, oppure usate un teleo-
Comete e asteroidi 77
biettivo, montando la camera in parallelo al telescopio come mostra la figura 5.6. Se il telescopio sarà stato accuratamente allineato al polo celeste, si potranno prendere pose non
guidate di durata fino a 5m con pellicole di 1600 ISO. Per la fotografia cometaria i teleobiettivi di 135 mm o di 200 mm rappresentano un’ottima scelta.
Passate allo scanner i negativi, caricateli sul vostro computer e analizzateli con gli stessi
metodi descritti per le immagini delle camere digitali. Le misure vengono meglio se sono
fatte su una stampa in bianco e nero in negativo (stelle nere su fondo chiaro).
Asteroidi
I quattro asteroidi più brillanti possono essere facilmente fotografati con un rifrattore di
80 mm f/5 accoppiato a una fotocamera digitale impostata a 400 ISO con un tempo di posa
di 15s. Una posa di 30s rivelerà asteroidi fino alla magnitudine 10. La tabella 9.1 riporta i
quattro pianetini più brillanti con la loro magnitudine visuale al massimo di luce.
Le posizioni previste per gli asteroidi più brillanti vengono riportate su tutti gli almanacchi astronomici, anche quelli presenti in rete, o possono essere ricavate da Guide 8.0.
La fotografia digitale
Di nuovo, si sfrutterà Guide 8.0 per generare una cartina celeste che riporti l’asteroide al
centro di un campo equivalente a quello mostrato dal cercatore del telescopio o da un oculare a grande campo. Si usi un oculare con un campo di vista di 2°,5 o 3°. Facendo riferimento ai cerchi di puntamento della montatura del telescopio, si muova lo strumento
portandolo sulla posizione dell’asteroide. Si confronti ciò che si vede nel cercatore e nell’oculare con la cartina, in modo da porre l’asteroide proprio al centro del campo.
Il modo di procedere per fotografare è esattamente lo stesso già indicato nel precedente
paragrafo, quando si parlava di comete. Si sfrutti il tempo di posa più lungo con la sensibilità della fotocamera impostata a 400 ISO. Dopo aver scaricato la fotografia e averla
stampata, si potrà identificare l’asteroide mediante il confronto con la cartina generata al
computer. Le figure 9.3 e 9.4 mostrano una foto dell’asteroide Vesta e la corrispondente
cartina stellare ottenuta al computer per la data d’osservazione.
Inseguire un asteroide
Si può tenere nota delle posizioni in cielo di un asteroide nel corso di diverse settimane
seguendo la procedura che ora descriveremo.
Fate un lucido della prima foto scattata, registrando l’ora e la data. In seguito, stampate
in negativo ciascuna delle successive osservazioni. Sovrapponete il lucido su ciascuna delle
stampe e segnatevi ogni volta le successive posizioni dell’asteroide. Mettete in correlazione
Tabella 9.1.
numero e nome
(1) Cerere
(2) Pallade
(3) Giunone
(4) Vesta
magnitudine
6,7
6,7
7,4
5,5
78 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 9.3. La freccia indica Vesta su una fotografia digitale presa con un rifrattore di
80 mm f/5.
Figura 9.4. La “x” segnala la posizione di Vesta su una cartina celeste creata al computer.
Comete e asteroidi 79
Figura 9.5. L’orbita di Cerere.
80 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 9.6. L’orbita di Pallade.
Comete e asteroidi 81
Figura 9.7. L’orbita di Giunone.
82 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 9.8. L’orbita di Vesta.
Comete e asteroidi 83
queste posizioni con la posizione orbitale dell’asteroide tracciando la sua posizione eliocentrica sull’appropriata cartina orbitale (figure dalla 9.5 alla 9.8). Determinate le longitudini eliocentriche facendo riferimento a Guide 8.0, oppure alla procedura descritta per i
pianeti nel capitolo 8.
La posizione dell’asteroide indicata dal software è quella prevista dal calcolo teorico. Per
una previsione precisa si deve però tener conto delle perturbazioni gravitazionali indotte
dai pianeti, in particolare da Giove. È interessante confrontare le posizioni calcolate con
quelle ricavabili dalla vostra stampa: i valori previsti si collocano entro gli ambiti d’incertezza delle vostre osservazioni?
Fotografia su pellicola
Per la fotografia su pellicola si faccia riferimento a tutto ciò che è stato detto nel precedente
paragrafo riguardo alle comete.
CAPITOLO DIECI
Stelle binarie
visuali
Gli osservatori della seconda metà del XVIII secolo notarono che era assai frequente l’occorrenza di coppie di stelle di circa pari magnitudine vicinissime tra loro. Sir William
Herschel prese in considerazione la possibilità che almeno qualcuna tra esse potesse costituire una coppia fisica, ossia gravitazionalmente legata, e poté finalmente verificare la sua
ipotesi nel 1803, quando ebbe la prova che le stelle di una cinquantina di coppie andavano
soggette a un moto orbitale. Al giorno d’oggi sappiamo che oltre la metà delle stelle della
Galassia fa parte di sistemi binari o multipli, gravitazionalmente legati.
Per determinare se un sistema è o non è binario occorrono due misure, quella della
separazione e quella dell’angolo di posizione. Queste misure (si veda la figura 10.1) vengono eseguite considerando come primaria la stella più brillante delle due e designando
come secondaria la più debole. Se le stelle hanno pari magnitudine viene considerata primaria quella che ha la maggiore ascensione retta. La separazione tra le stelle viene misurata in secondi d’arco, e l’angolo di posizione in gradi, a partire dal nord e andando in
direzione dell’est.
Quando avremo fatto un numero sufficiente di misure, saremo in grado di fissare l’orbita apparente della stella secondaria rispetto alla primaria. Dall’orbita apparente, applicando la geometria proiettiva, determineremo poi la vera orbita relativa della coppia.
Nello sviluppo delle teorie sulla struttura stellare, in ordine di importanza, la determinazione delle orbite dei sistemi binari è seconda solamente alla misura delle parallassi stellari e delle magnitudini assolute. Questo perché l’unico modo che abbiamo di misurare la
massa di una stella è quello di applicare le leggi della gravità a questi sistemi. Una volta
ricavati le masse, gli indici di colore e i tipi spettrali, le componenti delle stelle binarie
diventano le masse di riferimento alle quali vengono comparate tutte le altre stelle che
hanno proprietà osservative simili.
Sono molti i metodi escogitati per compiere le due misure di cui si è detto. Quello più
tradizionale e più frequentemente utilizzato, che fa uso del micrometro filare, è dispendioso,
abbastanza complesso e certamente non ideale per i piccoli telescopi. Si usa frequentemente
anche un oculare di 12,5 mm con un reticolo illuminato dotato di una scala lineare suddivisa in tratti di 0,1 mm e di un goniometro per la misura degli angoli di posizione.
85
86 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 10.1. Separazione (ρ) e angolo di posizione (θ) di una stella binaria.
In un rifrattore di 900 mm di lunghezza focale, combinato con una lente di Barlow 3×,
la suddivisione della scala in tratti di 0,1 mm dell’oculare micrometrico corrisponde a una
separazione reale di 7",6 sulla volta celeste. La conseguenza è che con questo metodo possono essere misurate accuratamente solo quelle stelle binarie che abbiano una separazione
significativamente maggiore di 8". In aggiunta, la richiesta di ingrandimenti così elevati
spinge al limite delle sue possibilità l’ottica del telescopio. Su telescopi di piccolo diametro, l’utilizzo di una comune fotocamera digitale rende però possibili misure di separazioni angolari fino a 2",3, con una precisione fino al decimo di secondo d’arco, mentre gli
angoli di posizione possono essere misurati con una precisione di 0°,5.
La fotografia digitale
delle stelle binarie
Ciò che si richiede a una camera digitale destinata alla fotografie delle stelle binarie è: una
risoluzione di almeno 3 megapixel, un sistema di autoscatto (o la possibilità di scatto
remoto), l’impostazione a priorità di diaframma, uno zoom 3× e la possibilità di impostare
la sensibilità a 400 ISO. Dovrebbe inoltre essere possibile scattare con tempi di posa lunghi almeno 1s.
Le figure 10.2 e 10.3 sono fotografie delle componenti del sistema binario ε1 e ε2 Lyrae,
prese con un telescopio Maksutov di 90 mm, con una camera da 5,1 megapixel impostata
a 400 ISO e con un tempo di posa di 0,5s. La separazione tra le componenti della ε1 Lyr è
di 2",5, quella della ε2 di 2",4.
Due prerequisiti sono indispensabili per ottenere buone fotografie digitali. Il primo è
una montatura molto robusta e stabile, dotata di motorino di ascensione retta e di un controllo per la declinazione che non occorre sia motorizzato. Il secondo prerequisito è l’ottimo seeing. Se le immagini stellari non sono bene a fuoco e chiaramente risolte,
Stelle binarie visuali 87
Figura 10.2. Il sistema della ε1 Lyrae fotografato con un telescopio Maksutov di 90 mm; la separazione è di 2",5.
butteremo via il nostro tempo. Il centraggio della stella nel mirino della fotocamera sarà
facilitato dall’utilizzo di un oculare con un ampio campo apparente. Per tutte le fotografie
di stelle binarie presenti in questo libro, ho usato oculari Orion Expanse con un campo
apparente di 66°. I migliori risultati li ho ottenuti con un rifrattore di 80 mm e 900 mm di
lunghezza focale, con un oculare di 9 mm combinato con una Barlow 2×. Risultati simili
li ho avuti da un Maksutov di 90 mm, con 1250 mm di focale, usando un oculare di 6 mm
senza lente di Barlow. Prendere buone fotografie di stelle binarie richiede pazienza e attenzione al dettaglio, ma la procedura, una volta che la si padroneggi bene, non presenta difficoltà. Si consiglia di seguire queste tappe:
1. Prima di scattare la foto, si metta a fuoco il telescopio sulla stella binaria con la massima cura. Si usi il metodo afocale. Si centri la stella nell’oculare. Con la mano si applichi sull’oculare una pressione verso il basso che sia circa uguale a quella che fornirà il
peso della fotocamera e si ricentri l’immagine. Ciò compenserà le flessioni del sistema
quando applicheremo la macchina fotografica. Quando l’immagine ci apparirà nitida,
fisseremo il sistema di messa a fuoco in modo tale da mantenerlo perfetto anche
quando applicheremo la fotocamera.
2. Si imposti la fotocamera o per le operazioni manuali o sulla priorità di diaframma. Si
imposti il fuoco all’infinito, il tempo di posa a 1s e la sensibilità a 400 ISO. Impostando
la posa a 1s, la stella si renderà più evidente sul visore. Eventualmente, si potrà in
seguito fissare un tempo di posa più breve quando sarà il momento di prendere l’immagine. A seconda delle dotazioni della vostra fotocamera, usate o un comando di
scatto remoto o l’autoscatto. Ricordatevi di disattivare il flash.
3. Rimuovete l’oculare dal telescopio e fissatelo all’adattatore della fotocamera. Di nuovo
collocate nel telescopio l’oculare con la camera fissata sul retro. Ora allineate la macchina fotografica in modo tale che uno dei lati del visore sia parallelo alla direzione
nord-sud e fissatela in questa posizione. Non attivate lo zoom fintantoché non siete
88 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 10.3. Il sistema della ε2 Lyrae fotografato con un telescopio Maksutov di 90 mm; la separazione è di 2",4.
pronti per iniziare a registrare l’immagine. La stella, che sarà un debole puntino luminoso, dovrebbe rendersi visibile sul visore della fotocamera.
4. Quando la stella risulterà centrata nel visore, portate lo zoom al suo massimo valore
(generalmente 3×). Zoomate lentamente mantenendo l’occhio al visore per essere sicuri
che la stella non esca dal campo. Non usate lo zoom digitale. Potrete avere un ingrandimento ancora maggiore in seguito, nel momento in cui elaborerete l’immagine.
Tabella 10.1. Stelle per la calibrazione delle separazioni.
stella
A.R.
decl.
ρ (")
Albireo
19h 31m
+33° 52'
34,6
Mizar
13h 24m
+54° 56'
14,6
κ Boo
14h 14m
+51° 47'
13,5
γ Vol
07h 09m
–70° 30'
14,1
ν Car
09h 47m
–65° 04'
5,0
Stelle binarie visuali 89
Gran parte delle stelle presenti nelle tabelle 10.1 e 10.2 richiederà tempi di posa compresi
tra 0,1s e 1s; le più brillanti, come Castore, richiederanno solo 1/15s. Per essere certi di
ottenere una buona immagine, useremo sempre tempi di posa di 1/15s, di 1/10s, di 1/5s e
di 1s. Per ciascun tempo prenderemo diverse fotografie. Dopo che avremo fatto una certa
esperienza, ci verrà spontanea la scelta del giusto tempo di posa per ogni stella particolare
e quali che siano le condizioni del cielo.
La prima immagine che è consigliabile prendere è quella di una coppia di stelle vicine
fra loro, che siano fisse e brillanti, come per esempio Albireo, la testa del Cigno, o Mizar,
la penultima stella della barra del Gran Carro. Mizar, in effetti, è una binaria fisica, ma il
suo periodo, che probabilmente supera il migliaio di anni, è così lungo che, per i nostri
propositi, può essere considerato infinito. Le separazioni per queste stelle di riferimento
sono date nella tabella 10.1. La foto verrà sfruttata per calibrare le vostre stampe fissandone la scala in secondi d’arco per millimetro. Essa dovrà essere presa con lo stesso oculare e con la stessa combinazione della fotocamera che utilizzerete per tutte le successive
fotografie di stelle binarie. Qualora si cambiasse qualcuno di questi parametri, sarà necessario realizzare una nuova calibrazione.
Dopo aver fotografato una stella di calibrazione, si proceda nella stessa maniera per
fotografare una o più delle stelle elencate nella tabella 10.2. Quando avrete realizzato una
serie di fotografie di una particolare stella binaria, scattate un paio di pose lunghe 15s dopo
aver spento il motore di guida del telescopio. La strisciata stellare risultante vi indicherà la
direzione est-ovest, che è necessaria per la misura dell’angolo di posizione del sistema. Per
ciascuna fotografia prendete nota dell’oggetto, della data, del Tempo Universale, del
tempo di posa e del numero del fotogramma.
La tabella 10.2 elenca un certo numero di stelle doppie che è possibile osservare con un
rifrattore di 80 mm o un Maksutov di 90 mm. Nessuna di queste stelle dovrebbe richiedere un tempo di posa più lungo di 1s con la fotocamera impostata a 400 ISO.
Tabella 10.2. Sistemi binari
stella
A.R.
γ Ari
01h 54m
λ Ori
05h 35m
α Gem
07h 35m
ζ Cnc
08h 12m
φ2 Cnc
08h 27m
γ Leo
10h 20m
α Cru
12h 27m
Q Cen
13h 42m
α Cen
14h 40m
π Boo
14h 41m
39 Boo
14h 50m
δ Ser
15h 34m
ο CrB
16h 15m
ζ CrB
15h 39m
ρ Her
17h 24m
70 Oph
18h 06m
ε Lyrae
18h 44m
ε2 Lyrae
18h 44m
γ Del
20h 47m
1
adatti per compiervi misure con piccoli telescopi.
θ (°)
decl.
m1
m2
+19° 18'
4,5
4,6
1
+09° 56'
3,5
5,5
44
+31° 53'
1,9
3,0
64
+17° 39'
5,1
6,2
73
+26° 56'
6,2
6,2
218
+19° 51'
2,4
3,0
123
–63° 06'
1,3
1,6
114
–54° 34'
5,2
6,5
163
–60° 50'
0,0
1,3
224
+16° 25'
4,9
5,8
110
+48° 43'
6,3
6,7
47
+19° 32'
4,2
5,2
173
+33° 52'
5,6
6,5
238
+36° 38'
5,0
5,9
306
+37° 09'
4,5
5,4
321
+02° 30'
4,2
6,2
139
+39° 40'
5,0
6,1
350
+39° 40'
5,3
5,4
82
+16° 07'
4,4
5,0
26
ρ (")
7,5
4,3
4,1
5,0
5,2
4,5
3,9
5,4
13,3
5,6
2,9
4,0
7,1
6,4
3,9
5,1
2,5
2,4
9,2
90 Fare astronomia con piccoli telescopi
Stampare le immagini
Per misurare la separazione fra le componenti di un sistema binario, selezionate le foto
migliori delle stelle di calibrazione e del vostro programma. Aprite anche l’immagine
presa con il motorino spento della stella di programma. Caricata l’immagine, probabilmente la stella del programma sarà visibile a mala pena o, addirittura, si renderà visibile
solo la stella primaria e non la secondaria. Potrebbe anche capitare che nessuna delle componenti si renda visibile, ma basterà incrementare il contrasto per mettere in evidenza
entrambe. Se esagererete nell’aumentare il contrasto, diventerà difficile misurare la separazione. Per compiere le misure, conviene sempre invertire l’immagine a un negativo
bianco/nero.
La misura della separazione
delle componenti
Per misurare la separazione tra le componenti di un sistema binario seguite questa procedura:
1. Caricate l’immagine della stella binaria sul computer selezionando la migliore.
Convertite l’immagine al negativo bianco/nero. Fate lo stesso con la stella di calibrazione.
2. Trascinate l’immagine della stella di calibrazione sopra quella della binaria. Riducete la
trasparenza dell’immagine della stella di calibrazione fino a quando sia essa che la stella
binaria risultino chiaramente visibili e ben definite.
Figura 10.4. . Le sagome dei cerchi utilizzate per misurare la ρ Her.
Stelle binarie visuali 91
3. Trascinate l’immagine della stella di calibrazione in modo che sia vicinissima alla binaria e ritagliate l’immagine finale al fine di ingrandirla per la misura e per la stampa.
4. Usando la sagoma di un cerchietto come quelli mostrati nella figura 10.4 scegliete il cerchio che meglio si adatta a ciascuna delle immagini e segnate con attenzione il suo centro. La stampa finale dovrebbe apparire simile alla figura 10.5. Utilizzando una scala in
trasparenza, misurate la distanza tra le componenti del sistema di calibrazione con una
precisione di 0,5 mm. Vi sarà d’aiuto una lente d’ingrandimento.
5. Usate questa misura e la separazione nota tra le componenti della stella di calibrazione
per ricavare la scala della vostra stampa in "/mm.
Figura 10.5. L’immagine di calibrazione di Mizar sovrapposta alla foto del sistema della ρ Her
al fine di misurare la separazione fra le componenti.
6. Misurate la distanza in mm tra le componenti della vostra binaria e moltiplicate il valore
per la scala in modo da ottenere la separazione ρ in secondi d’arco.
La misura dell’angolo di posizione
Convertite l’immagine della stella binaria in un negativo bianco/nero e fate lo stesso per
l’immagine delle strisciate stellari ottenuta con il motorino d’inseguimento spento. Ora
aprite l’immagine della stella binaria e trascinate quella delle strisciate stellari in modo che
si sovrapponga esattamente ad essa. Riducete la trasparenza delle strisciate in modo che
sia esse sia le componenti del sistema binario siano chiaramente visibili sullo schermo.
Ora si segua questa procedura:
1. trascinate le strisciate stellari in modo che ciascuna si sovrapponga esattamente alle
rispettive stelle, come in figura 10.6. La strisciata stellare definisce la direzione estovest, che ci servirà per determinare l’angolo di posizione, misurato in senso antiorario da nord verso est. Mentre scorre lungo il campo dell’oculare, una stella si muove da
est a ovest: in tal modo, l’inizio della traccia si trova nell’angolo di posizione di 90°,
mentre la parte finale è nella direzione di 270°. Poiché un rifrattore restituisce un’im-
92 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 10.6. Le strisciate della ρ Her sovrapposte alle immagini delle due stelle.
magine speculare, prima di stamparla è necessario ribaltare orizzontalmente l’immagine composita.
2. Sulla stampa, tracciate una linea sottile lungo la direzione della strisciata stellare; tracciatela per tutta la pagina. Disegnate un’altra linea che connette i centri delle componenti del sistema binario e ancora estendetela sull’intera pagina. Infine, tracciate una
semiretta perpendicolare alla direzione est-ovest passante per la stella primaria. Al termine, la vostra stampa dovrebbe apparire simile alla figura 10.7.
3. Usate un goniometro per misurare l’angolo tra la linea est-ovest e la linea che passa per
i centri delle componenti, dopo aver collocato la stella primaria al centro del goniometro. Utilizzando la convenzione per l’angolo di posizione definita nella figura10.1,
determinate l’angolo di posizione del sistema.
Stelle binarie visuali 93
Figura 10.7. Le linee che bisogna tracciare al fine di misurare l’angolo di posizione della secondaria. Il disegno si riferisce al caso della stella binaria ρ Her.
Poiché il disegno delle linee per la misura dell’angolo di posizione è soggetto a imprecisioni, si consiglia di fare diverse copie della stessa stampa e di ripetere le misure su ciascuna di esse. Si useranno poi le leggi della statistica per determinare con una calcolatrice
tascabile il valore medio e la deviazione standard per la misura di θ.
Se avrete tracciato le linee e i cerchi con precisione, dovreste essere in grado di misurare l’angolo di posizione con un errore minore di 1° e la separazione fino al decimo di
secondo d’arco.
Tabella 10.3. Misure effettuate su tre stelle binarie.
θ (°)
ρ
stella
ρ Her
321, 322, 319, 320, 319, 321
ε1 Lyrae
350, 351, 349, 349, 351, 350, 351
ε2 Lyrae
81, 80, 80, 82, 80, 78, 82
(mm)
3,7
2,2
2,1
scala ("/mm)
1,09
1.09
1,09
ρ (")
4,0
2,4
2,3
La tabella 10.3 riporta i dati ottenuti dalle misure dei sistemi binari della ρ Her, della ε1
Lyr e della ε2 Lyr su immagini prese con un Maksutov di 90 mm con lunghezza focale di
1250 mm. È stato utilizzato un oculare Orion Expanse di 6 mm con una fotocamera da 5
megapixel con zoom 3×. Nel caso della ε1 e della ε2, come riferimento per la misura angolare, invece che le strisciate stellari, si è preferito assumere l’angolo di posizione della ε2
rispetto alla ε1.
94 Fare astronomia con piccoli telescopi
La tabella 10.4 confronta le misure effettuate su alcune delle stelle elencate nella tabella
10.2 con i valori di θ e di ρ previsti dagli elementi orbitali conosciuti per le corrispondenti
date delle osservazioni. I valori previsti sono designati con una “p” a deponente. Tutte
queste osservazioni sono state eseguite sia con il rifrattore di 80 mm sia con il Maksutov
di 90 mm, sempre con il metodo qui descritto. I valori sono approssimati al grado e al
decimo di secondo.
Gran parte delle stelle elencate nella tabella 10.2 non mostrerà cambiamenti nell’angolo
di posizione e nella separazione nel corso dei prossimi anni; qualcuna invece sì. Non fatevi
influenzare dai valori riportati qui, o pubblicati altrove, altrimenti pregiudicherete i vostri
risultati. Per molte delle stelle binarie adatte all’osservazione con piccoli telescopi gli elementi orbitali sono conosciuti solo con scarsa precisione, per la carenza di dati. Le vostre
osservazioni saranno di molto successive a quelle delle ultime posizioni pubblicate. Ci
sono tre stelle che mostreranno variazioni misurabili nei prossimi anni: di queste, la 70
Oph sarà quella che varierà maggiormente, avendo un periodo di soli 88 anni. Tali stelle
sono riportate nella tabella 10.5.
Una stella interessante da osservare nei prossimi anni è la γ Virginis, che non è stata
inclusa nella tabella 10.2 perché la separazione attuale delle sue componenti è minore del
potere risolutivo di un piccolo telescopio. La stella secondaria si muove su un’orbita fortemente eccentrica attorno alla primaria ed è passata per il periastro nel 2005, a una separazione di 0",38. Nel 2010 la separazione sarà di 1",46, quindi alla portata di un rifrattore
di 80 mm, e nel 2015 sarà di 2",32. In quegli anni le componenti saranno facilmente separabili nei piccoli telescopi e la distanza tra le due stelle continuerà a crescere nei successivi
vent’anni.
Tabella 10.4. Confronto fra le misure ottenute e i valori previsti.
θ (°)
θ p (")
ρ (")
ρp (")
stella
70 Oph
138
137,6
5,0
5,0
α Gem
60
60,3
4,2
4,3
α Leo
125
125,3
4,4
4,4
π Boo*
109
110,0
5,6
5,6
ρ Her
320
319,0
4,0
4,0
ε1 Lyrae
350
349,0
2,4
2,5
ε2 Lyrae
81
80,0
2,3
2,4
telescopio
90 mm Maksutov
80 mm rifrattore
80 mm rifrattore
80 mm rifrattore
90 mm Maksutov
90 mm Maksutov
90 mm Maksutov
* Gli elementi orbitali del sistema π Boo non sono noti. Questi valori sono presi dal
Washington Double Star Catalog e si riferiscono all’osservazione pubblicata più recente
(2002).
Tabella 10.5. Stelle binarie per le quali le variazioni di posizione
sono più facilmente misurabili.
θ (°)
ρ (")
stella
anno
periodo (anni)
α Gem
2006
445
59,8
4,35
2010
57,1
4,65
2015
54,1
5,05
70 Oph
2006
88
136,8
5,06
2010
134,6
5,42
2015
131,6
5,72
γ Vir
2006
168,9
85,8
0,44
2010
20,0
1,46
2015
3,9
2,32
Stelle binarie visuali 95
La fotografia su pellicola
Per fotografare su pellicola si usi il metodo afocale e si proceda nello stesso modo descritto
per le fotocamere digitali. Le camere tipo reflex presentano il vantaggio di permettere la
visibilità dell’immagine della stella nell’oculare nel momento stesso in cui viene fotografata, il che rende più facile l’inquadratura. Con un Maksutov di 90 mm f/14, un oculare di
15 mm con un obiettivo fotografico di 50 mm garantisce già una buona separazione delle
componenti. I tempi d’esposizione dovrebbero andare da 1/15s a 1s a seconda della luminosità della stella. Dopo aver passato allo scanner il negativo, analizzate le stampe
seguendo le medesime procedure descritte per le camere digitali.
CAPITOLO UNDICI
Un proiettore
per le orbite delle
stelle binarie
Dopo aver misurato con cura, nel corso di molti anni, l’angolo di posizione e la separazione possiamo determinare l’orbita apparente della stella secondaria di un sistema binario relativamente alla primaria. L’orbita apparente è la proiezione dell’orbita vera su un
piano perpendicolare alla linea visuale dell’osservatore.
La descrizione dell’orbita risulta completa quando si hanno i valori dei suoi elementi orbitali:
a =
e =
i =
P =
T =
Ω=
ω=
semiasse maggiore
eccentricità
inclinazione
periodo (in anni)
epoca del passaggio al periastro
angolo di posizione del nodo ascendente
argomento del periastro.
La relazione tra le orbite apparenti, quelle vere e gli elementi Ω, ω e i viene illustrata nella
figura 11.1.
La figura 11.2 traccia l’orbita apparente di Castore, uno dei due Gemelli, con i diametri coniugati dell’ellisse apparente. I diametri coniugati vengono tracciati disegnando la
linea acb che passa per il centro dell’ellisse, per la stella primaria e per il periastro dell’orbita apparente. Tracciamo poi linee parallele a questa retta che siano tangenti all’ellisse nei punti d ed e. Le linee acb e dce sono i diametri coniugati. L’orbita vera è l’ellisse
risultante dalla proiezione dell’orbita apparente, effettuata con metodi della geometria
proiettiva, su una superficie tale per cui i diametri coniugati risultano perpendicolari tra
loro.
Il dispositivo della figura 11.3 è stato realizzato per compiere questa operazione
manualmente, così da ottenere un risultato che si possa apprezzare visualmente, evitando
le proiezioni attraverso gli astrusi calcoli analitici.
Esso consiste di una superficie di proiezione circolare con due assi di rotazione per97
98 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 11.1. La proiezione dell’orbita vera di una stella binaria sul piano dell’orbita
apparente.
Figura 11.2. L’orbita apparente di Castore con i diametri coniugati.
Un proiettore per le orbite delle stelle binarie 99
pendicolari fra loro. Sulla superficie vi è uno schermo bianco con due linee, una orizzontale e l’altra verticale, che ne attraversano il centro. La superficie è sospesa dai rebbi di una
forcella costruita con barrette di alluminio. È importante che il centro della superficie
dello schermo coincida con quello di rotazione dell’asse orizzontale. L’asse verticale della
forcella è assicurato a un sostegno in modo che il centro dello schermo coincida con la
proiezione del centro della finestra rettangolare. L’asse verticale della forcella consiste di
un bulloncino con un dado a farfalla che lo blocca in posizione. La finestra di proiezione,
ricavata da un sottile compensato in cui è stata ritagliata un’apertura rettangolare, è montata a una distanza dal centro della forcella di poco maggiore del raggio dello schermo.
Con nastro adesivo verrà fissato a questa finestra un lucido con sopra disegnata l’orbita
apparente di una stella binaria, completa dei suoi diametri coniugati.
Figura 11.3. Il proiettore di orbite di una binaria.
100 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 11.4. Come proiettare l’orbita sullo schermo.
Per il proiettore della figura 11.3 lo schermo di proiezione ha un diametro di circa 15 cm.
Il compensato della finestra di proiezione misura 27×22 cm, mentre la finestra ha i lati di
circa 13 cm; le dimensioni, tuttavia, non sono critiche. L’aspetto costruttivo più importante è che l’asse della forcella passi proprio sulla superficie dello schermo.
Figura 11.5. Proiezione di un’orbita apparente sul piano dell’orbita vera.
Un proiettore per le orbite delle stelle binarie 101
Figura 11.6. L’orbita apparente della binaria ε1 Lyrae.
L’orbita viene proiettata da una lampada da tavolo di buona luminosità. La figura 11.4
mostra la disposizione. Applicate il lucido con l’orbita alla finestra in modo che l’asse maggiore dell’orbita apparente coincida con la linea orizzontale tracciata sullo schermo e che
l’intersezione dei diametri coniugati coincida con il centro dello schermo. Collocate poi il
dispositivo a circa mezzo metro, o più, di fronte alla lampada e ruotate lo schermo su
entrambi gli assi fino a far coincidere la proiezione dei diametri coniugati dell’orbita apparente con gli assi perpendicolari disegnati sullo schermo. Quando la coincidenza è perfetta, bloccate lo schermo: la sua orientazione vi fornirà una rappresentazione visiva della
vera disposizione dell’orbita spaziale, e della sua forma, relativamente a un piano perpendicolare alla linea visuale, come mostra la figura 11.5.
Per alcune orbite, come quella di Castore, la proiezione sul piano del cielo dell’asse
maggiore dell’orbita vera è minore di quella dell’asse minore. Ciò è dovuto alla notevole
inclinazione dell’orbita attorno all’asse minore. La linea che connette il centro dell’ellisse
con il punto del periastro dell’orbita apparente, passando dalla stella primaria, è sempre
l’asse maggiore dell’orbita.
Il proiettore di orbite di sistemi binari può soddisfare la vostra curiosità relativamente
alla disposizione vera delle orbite delle due stelle ed è particolarmente utile come strumento divulgativo per gli insegnanti di scienze.
Le figure 11.6 e 11.7 sono i disegni delle orbite apparenti di alcune binarie note, con i
diametri coniugati, che possono essere passati allo scanner e riprodotti su lucidi da usare
con il proiettore. Nel Norton’s Star Atlas, alla pagina 120 della ventesima edizione, si può
trovare un programma per computer scritto nel linguaggio Basic che calcola gli angoli di
102 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 11.7. L’orbita apparente della stella γ Leonis.
posizione e le separazioni a partire dagli elementi orbitali di un sistema binario. Un CD
contenente software per calcolare le separazioni e gli angoli di posizione per qualunque
data viene distribuito con il libro Observing and Measuring Visual Double Stars, curato da
Bob Argyle. Questi software possono essere utilizzati per disegnare innumerevoli altre
orbite apparenti. Il nostro proiettore lavora bene per orbite di bassa eccentricità.
CAPITOLO DODICI
Osservazione
visuale delle stelle
variabili
La luminosità di molte stelle varia su periodi che vanno da poche ore a molti anni. Tali
variazioni possono essere dovute alle eclissi nei sistemi binari; altre, invece, hanno cause
intrinseche alla natura fisica delle singole stelle. Alcune stelle variano in luminosità con
una periodicità estremamente regolare, altre in modo irregolare e imprevedibile. Per
molte di queste stelle si dispone di database di misure statisticamente affidabili che
coprono un periodo di un secolo o poco più. Di conseguenza, per una stella che abbia un
periodo dell’ordine di un anno, disponiamo di meno di cento rappresentazioni della sua
curva di luce da un massimo a quello successivo e questo è un campione relativamente
povero se una stella sta attraversando una fase critica di transizione evolutiva.
Ciò che sappiamo attualmente delle stelle variabili lo si deve in larga parte alle osservazioni assidue degli astrofili effettuate nell’ultimo secolo. Di fatto, sono gli astrofili a fornire i database a cui gli astronomi professionisti attingono per le loro ricerche. I futuri
astronomi faranno lo stesso con i dati raccolti oggigiorno.
Benché le osservazioni moderne di molti tipi di stelle variabili possano essere compiute solo con grossi telescopi e con fotometri sofisticati che garantiscono un’alta precisione, esistono diversi tipi di variabili brillanti per le quali l’utilizzo di telescopi
professionali di notevole diametro rappresenta solo una perdita di tempo e di denaro. Se
lo scopo è di stabilire la periodicità e l’ampiezza di una curva di luce, non ha senso misurare una stella di sesta magnitudine, che abbia una variazione di cinque magnitudini, con
una precisione di 0,01 magnitudini con un telescopio di 80 cm, quando un osservatore
esperto con uno strumento di soli 80 mm può compiere misure visuali con una precisione di 0,1 o 0,2 magnitudini. I dati raccolti da un gran numero di osservatori amatoriali possono fornire una curva di luce statisticamente affidabile per quella stella.
Un tipo di variabile particolarmente indicata per osservatori dotati di piccoli telescopi
è rappresentato dalle Mira di lungo periodo: per molte di queste stelle la curva di luce
varia all’interno dell’intervallo di magnitudini raggiungibili da un rifrattore di 80 mm.
Per alcune particolari variabili di lungo periodo l’intervallo di luminosità può toccare le
dieci magnitudini, con periodi che vanno da pochi mesi a più di un anno. Queste stelle
prendono il nome dal prototipo, la stella ο (omicron) Ceti, scoperta come variabile nel
103
104 Fare astronomia con piccoli telescopi
XVII secolo. Le fu dato il nome di Mira, che in latino significa “meravigliosa”, per via del
fatto che agli occhi degli osservatori del tempo essa sorprendentemente spariva, poi riappariva, e in seguito scompariva di nuovo con un periodo di oltre 300 giorni.
Le variabili tipo Mira sono tutte giganti rosse che si pensa siano sul punto di evolvere
trasformandosi in nebulose planetarie. Le ampiezze delle loro variazioni di luminosità
non sono costanti e possono differire anche di 3 o 4 magnitudini tra due cicli successivi;
i loro periodi possono variare anche del 15% da un ciclo all’altro. Alcune mostrano una
progressiva diminuzione del periodo nel corso dell’ultimo secolo.
Il telescopio
Misureremo le magnitudini delle stelle variabili comparando visualmente la loro brillantezza con quella di stelle di confronto di magnitudine nota. Di conseguenza, avremo
bisogno di un ampio campo visuale, in modo da poter inquadrare anche le stelle di riferimento senza dover spostare il telescopio. Sotto questo profilo, i telescopi di lunghezza
focale eccessiva sono meno indicati, poiché hanno campi di vista ristretti. Sono di gran
lunga preferibili strumenti di corta lunghezza focale, dotati di oculari a bassi ingrandimenti e con una buona definizione fino al bordo del campo. Se il vostro strumento ha
una lunga focale, sarà utile rimpiazzare l’usuale cercatore di 30 mm con uno di 50 mm di
apertura: ciò faciliterà di molto la localizzazione della stella variabile.
Preparativi per l’osservazione
Gli astrofili alle prime armi dovrebbero stilare una lista di poche variabili di lungo
periodo che siano facili da localizzare (si veda la tabella 12.1) e che siano attorno al massimo di luminosità alla data delle osservazioni. Per rifrattori di 80 mm, le stelle dovrebbero avere il massimo più luminoso della magnitudine 8. Quando queste stelle sono
attorno al massimo di luce, è più facile avvertire la loro colorazione rossastra e generalmente esse spiccano tra le altre stelle del campo inquadrato. Le riviste divulgative di
astronomia spesso pubblicano liste di stelle variabili che raggiungono il massimo nel
corso di ciascun mese, mentre la AAVSO pubblica annualmente un bollettino con una
lista completa di previsioni dei massimi delle variabili di lungo periodo.
Dopo che avrete deciso quali stelle desiderate osservare, avrete bisogno di localizzarle e
di fissare un opportuno insieme di stelle di riferimento. Avrete dunque bisogno di cartine
celesti. Con Guide 8.0, o con altro software analogo, potrete predisporre le vostre carte celesti. Guide 8.0 è un eccellente programma che vi consente di creare cartine adatte al campo
visuale del vostro telescopio, completandole con la magnitudine delle stelle di confronto e
fissando il livello della magnitudine limite corrispondente al vostro telescopio. Cartine
standard possono essere scaricate dai siti web dell’AAVSO e di altre organizzazioni similari.
Se usate un rifrattore con un prisma ad angolo retto o un telescopio Maksutov-Cassegrain,
tenete presente, nel fare la cartina, che l’est e l’ovest saranno invertiti.
Le figure dalla 12.1 alla 12.4 sono cartine realizzate con Guide 8.0 relative ad alcune
variabili tipo Mira; i valori di magnitudine delle stelle di confronto sono quelli standard
AAVSO. Il cerchio sulle carte rappresenta un campo di 2°,5. Le magnitudini sono date
senza il punto decimale per evitare di confondere tale punto con una stella. Per esempio,
1065 indica una magnitudine di 10,65. Prima di iniziare l’osservazione fate una lista con
l’ascensione retta e la declinazione delle stelle più brillanti vicine a ciascuna delle variabili che avete in programma di studiare. Ciò si renderà utile per la localizzazione di ciascuna stella.
Osservazione visuale delle stelle variabili 105
Tabella 12.1. Alcune stelle
stella
A.R.
R And
00h 24m
S Scl
00h 15m
Mira Ceti
02h 19m
U Ori
05h 56m
R Vir
12h 39m
T UMa
12h 36m
S UMa
12h 44m
S Vir
13h 33m
R Hya
13h 30m
R Cen
14h 17m
R Nor
15h 36m
X Oph
18h 38m
R Aql
19h 06m
T Cep
21h 10m
R Aqr
23h 44m
R Cas
23h 58m
variabili di lungo periodo.
decl.
massimo (mag.)
+38° 35'
5,8
–32° 03'
5,3
–02° 59'
2,0
+20° 11'
4,8
+06° 59'
6,1
+59° 29'
7,7
+61° 06'
7,8
–07° 12'
7,0
–23° 17'
3,5
–59° 55'
5,3
–49° 30'
5,0
+08° 50'
5,9
+08° 14'
6,1
+68° 29'
5,2
+15° 17'
6,5
+51° 23'
4,7
Figura 12.1. Cartina per trovare la variabile S UMa.
106 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 12.2. La cartina relativa alla variabile S Vir.
Figura 12.3. Cartina di riferimento per la variabile R Aqr.
Osservazione visuale delle stelle variabili 107
Figura 12.4. Cartina per trovare la variabile R And.
Eseguire le osservazioni
Quando farete le vostre osservazioni, fate in modo che la montatura del telescopio sia
correttamente allineata con il polo celeste. Talvolta la stella variabile è vicina a una stella
brillante che ha circa la stessa ascensione retta e declinazione. In tal caso, voi potrete semplicemente muovere il telescopio in ascensione retta o in declinazione fino a quando
riconoscerete, oltre che la stella brillante, anche quel tal gruppo di stelle riportato nella
vostra cartina di riferimento. Ora cercate la stella variabile. In alternativa, sarà necessario
l’utilizzo dei cerchi di puntamento. Sulle montature del tipo EQ2 e simili, per piccoli telescopi, questi cerchi sono di diametro piuttosto ridotto: tuttavia, funzioneranno bene se
avrete introdotto le modifiche che abbiamo suggerito nel capitolo 2. Collocate la stella
più brillante vicina alla stella che vorrete osservare proprio al centro dell’oculare e prendete nota della sua ascensione retta e della sua declinazione, oltre che delle coordinate
della variabile. Ora spostate il telescopio della differenza nelle ascensioni rette tra la stella
brillante e la variabile, differenza che leggerete sul cerchio. Fate la stessa cosa per la declinazione. Se avrete operato con attenzione, la variabile non mancherà di trovarsi all’interno del campo di 2°,5 dato da un oculare di 25 mm per un rifrattore f/5. Se non
riconoscete un campo simile a quello della vostra cartina, continuate a spostare il telescopio poco per volta fino a quando lo scovate. In questi casi a me sembra sia meglio
muovere manualmente il telescopio, con il motore d’inseguimento spento.
Una volta certi di aver identificato la stella variabile, cercate le stelle di riferimento più
vicine che siano le più simili per luminosità. Può capitare che dobbiate muovere di poco
108 Fare astronomia con piccoli telescopi
il puntamento del telescopio. In ogni caso, sforzatevi di trovare tre stelle di riferimento.
Se possibile, trovatene almeno una che sia più brillante e un’altra che sia più debole della
variabile. Comparando la variabile con le stelle di riferimento di magnitudine nota, stimate la magnitudine della variabile.
Selezionate una stella di confronto e disponete il diagonale del telescopio in modo tale
che questa e la stella variabile siano allineate orizzontalmente. Se vi concentrerete sulla
variabile e sulla stella di confronto per tempi lunghi, succederà che le variabili rosse vi
appariranno un poco più brillanti di quanto siano in realtà (effetto Purkinje). Le stelle al
bordo del campo saranno inevitabilmente distorte o indebolite da effetti ottici. Se volete
realizzare una comparazione precisa, portatele al centro del campo. Non state a fissare
lungamente la variabile quando realizzate il confronto. È meglio procedere con una serie
di sguardi fugaci. Non provatevi a stimare le magnitudini delle stelle che sono prossime
al valore limite del vostro strumento, poiché tale misura sarà poco affidabile. Per esempio, se la magnitudine limite del telescopio è la 11,3, non fate osservazioni su stelle più
deboli della magnitudine 10.
Prendete nota del nome o della designazione di catalogo della stella variabile, del
Tempo Universale e della data della vostra osservazione, della vostra stima di magnitudine, nonché delle magnitudini delle stelle di confronto. Registrate anche le condizioni
osservative che potrebbero aver influenzato l’osservazione, come la presenza eventuale
della Luna, l’inquinamento luminoso, la foschia e il seeing di scarsa qualità.
Il Tempo Universale e la data dell’osservazione dovranno essere convertiti in Giorni
Giuliani (GG). Il calendario GG può essere scaricato dal sito web dell’AAVSO e di organizzazioni simili. Lo si può ottenere anche da software come Guide 8.0, al menu [Time
Setting].
Dopo aver fatto l’osservazione, verificate l’accuratezza della vostra stima consultando il
Quick Look File, sulla pagina web dell’AAVSO: la potrete confrontare con quella di altri
osservatori, ottenuta nella stessa notte. Non lasciatevi influenzare dai risultati altrui. Magari
la vostra stima potrà differire di qualche decimo di magnitudine da quella degli altri, ma
ricordate che lo scopo di raccogliere dati da molti osservatori è quello di ottenere un database statistico dal quale ricavare la curva di luce della stella. Ricordate che tutte le osservazioni riportate vengono valutate in ordine alla loro affidabilità. Se la vostra stima differisce
dalle altre di una magnitudine, o più, con ogni probabilità avete misurato la stella sbagliata.
Ciò può facilmente accadere quando non vi sono ancora del tutto familiari il campo stellare
o la metodologia. Non fatevi scoraggiare e riprovate ancora. Sforzatevi di raggiungere una
precisione di almeno 0,2 magnitudini sul valore medio riportato.
Quando avrete acquisito esperienza nella misura delle variabili, prendete in considerazione la possibilità di iscrivervi all’AAVSO, o a organizzazioni simili nazionali, e incominciate a sottoporre a esse le vostre osservazioni. Questi gruppi vi suggeriranno le
procedure da seguire con le modalità più adatte e vi forniranno i moduli appositi su cui
riportare le vostre osservazioni. A quel punto sarete anche in grado di spedire via
Internet i vostri risultati, che diverranno parte del database internazionale.
In un primo tempo limitatevi a considerare le poche variabili luminose che vi sono
familiari e che potete facilmente localizzare in cielo. È meglio fare solo quattro o cinque
buone misure durante una sessione osservativa che passare l’intera notte alla ricerca di
nuove stelle, finendo col non misurarne alcuna. Ciò è particolarmente vero se il tempo
che avete da dedicare alle osservazioni è limitato. Dovreste preparare una lista delle
vostre stelle favorite per ciascuna stagione.
Dopo aver fatto esperienza con le variabili di lungo periodo, è probabile che vorrete
allargare il vostro programma ad altri tipi di stelle variabili, compatibilmente con le
potenzialità della vostra strumentazione. Per esempio, penserete alle binarie a eclisse, o
alle variabili eruttive e irregolari. Potrete trovare una trattazione più completa sui vari tipi
di stelle variabili presenti in cielo nel libro L’osservazione delle stelle variabili, di Jerry A.
Good, pubblicato in questa stessa collana.
CAPITOLO TREDICI
La fotografia
delle stelle
variabili
Una fotocamera digitale consente di effettuare misure accurate delle variabili di lungo
periodo. Le fotografie digitali hanno il vantaggio di registrare una stella variabile anche
quando è più debole della magnitudine limite visuale del vostro telescopio. Una posa
fotografica di 30s con un rifrattore di 80 mm può rivelare efficacemente stelle deboli fino
alla magnitudine 11,5, mentre il limite di affidabilità per le osservazioni visuali compiute
con quella stessa apertura è la magnitudine 10. La fotocamera garantisce inoltre una registrazione visuale permanente della curva di luce della stella.
Per prendere una fotografia digitale del campo attorno alla variabile utilizzate l’oculare di più basso ingrandimento di cui disponete, quindi con il campo di vista apparente
più grande. Io uso un Plössl di 25 mm con un campo apparente di 52° su un rifrattore di
80 mm f/5. Avviate il motorino d’inseguimento, mettete a fuoco e centrate la stella nell’oculare. Bloccate il dispositivo di messa a fuoco, rimuovete l’oculare e applicatevi la
fotocamera. Impostate la sensibilità a 400 ISO e usate il tempo di posa più lungo possibile mantenendo basso il rumore strumentale. Ora, con la massima cura, riposizionate
nel telescopio l’oculare con applicata la fotocamera sul retro. Usate il dispositivo per il
comando di scatto in remoto, o l’autoscatto, a seconda della camera che avete. Può capitare che non vi riesca di vedere alcuna stella nello schermo della vostra fotocamera: è
abbastanza normale. D’altra parte, se il telescopio è montato nel modo corretto e se avete
fatto attenzione a non muoverlo mentre togliete e inserite l’oculare, l’ampio campo
visuale dovrebbe inquadrare sia la variabile che le stelle di riferimento.
Elaborare l’immagine
Quando stampate l’immagine digitale del campo di una stella variabile, badate di non
modificare né la luminosità né il contrasto poiché questo altererebbe la linearità tra
magnitudine e luminosità delle immagini stellari: le stelle deboli verrebbero infatti intensificate in misura maggiore di quelle più brillanti. Stampate l’immagine e riportate sul
109
110 Fare astronomia con piccoli telescopi
retro tutte le informazioni che siete soliti registrare quando fate osservazioni visuali.
Salvate la foto sul disco che vi serve per archiviare tutte le vostre foto di stelle variabili:
disporrete così di una registrazione fotografica permanente del comportamento delle
variabili di lungo periodo, eventualmente da usare come riferimento futuro.
Il metodo di misura
Il metodo che adotteremo si basa sulla relazione lineare che sussiste tra il diametro di
un’immagine stellare e la magnitudine della stella. La figura 13.1 è una scala di calibrazione ottenuta con sagome di cerchi del tipo di quelle che si trovano in ogni negozio che
tratta articoli di cancelleria. I cerchietti hanno diametri che diminuiscono linearmente
per gradini di 1/64 di pollice, da 5/16 a 1/16 di pollice (da circa 8 mm a 1,6 mm).
Ho realizzato questa scala ponendo le sagome su un cartoncino bianco e colorando le
aree dei cerchietti con inchiostro nero. Poi ho passato allo scanner il cartoncino e ho
invertito l’immagine in modo che il fondo sia nero. Quando viene stampata, la lunghezza
della scala può essere regolata come si vuole usando il comando [Image Size] del programma di elaborazione. Numerate i vari cerchi da 1 a 20.
Se lo desiderate, potete risparmiarvi questo lavoro passando allo scanner direttamente
la scala pubblicata nella figura 13.1. Salvate l’immagine nel vostro disco d’archivio delle
stelle variabili per un uso futuro.
Per utilizzare la scala, preparate la stampa del campo stellare invertendola (stelle scure
su cielo chiaro) e poi tagliatela e ridimensionatela in modo da ingrandire le immagini
stellari così da renderle confrontabili con l’intervallo dei diametri dei cerchi sulla scala.
Nella stampa ritagliata selezionate come minimo quattro stelle di riferimento, escludendo quelle giacenti sui bordi, dove le stelle compaiono distorte dalle aberrazioni della
lente. Generalmente includerete la parte centrale della stampa, larga 1°,5 in diametro.
Figura 13.1. Una scala di cerchi per misurare le magnitudini delle stelle variabili.
La fotografia delle stelle variabili 111
Figura 13.2. Come usare la scala delle magnitudini.
I cerchi sulla scala sono, di fatto, immagini di stelle artificiali alle quali comparare le
stelle e le variabili presenti nella vostra fotografia. I numeri assegnati ai cerchi non sono
le magnitudini, ma una misura di riferimento arbitraria. Le immagini stellari non esauriranno necessariamente l’intera sequenza dei cerchi sulla scala e ciò sarà particolarmente
vero se tutte le stelle di riferimento sono relativamente deboli. Tuttavia, le stelle del
campo saranno sovrapponibili almeno a qualche sottoinsieme di cerchi.
La scala dovrebbe essere ritagliata in una striscia molto sottile in modo che i cerchietti
possano essere avvicinati alle immagini stellari da misurare. Collocate la scala delle
immagini vicino alla stella in senso orizzontale piuttosto che in quello verticale: il confronto dà migliori risultati.
Come compiere le misure
Per fare una misura collocate la scala nei pressi di una stella di riferimento, come mostra
la figura 13.2, e stimate quale cerchietto meglio si avvicina all’immagine della stella. Se
ritenete che la stella si collochi tra due cerchietti della scala, usate il mezzo punto: per
esempio, se è tra l’8 e il 9, scriverete 8,5. Fate misure sull’insieme più ricco possibile di
stelle di riferimento che stanno nell’area intorno alla variabile. Trascurate quelle immagini stellari che risultano essere elongate a causa di aberrazioni ottiche. Su una cartina
dell’AAVSO, o su una carta celeste corrispondente, trascrivete la magnitudine di tutte le
stelle di riferimento che avrete misurato.
112 Fare astronomia con piccoli telescopi
L’analisi dei dati
Su un foglio di carta millimetrata disegnate un grafico delle magnitudini (note) delle
stelle di riferimento in funzione dei numeri della vostra scala e poi tracciate la linea retta
che interpola al meglio tutti questi punti. Ora leggete sulla scala verticale le magnitudini
corrispondenti ai numeri attribuiti alla stella variabile nelle vostre osservazioni, compiute
in tempi diversi. Se avete una calcolatrice scientifica tascabile, di quelle che sanno calcolare la regressione lineare, potete introdurre i dati nella calcolatrice per ottenere direttamente il valore della magnitudine della stella variabile.
La figura 13.3 è un grafico di questo tipo ricavato da una fotografia digitale della χ
(chi) Cygni scattata il GG 2453647,7. La foto è stata presa con una macchina da 5 megapixel applicata a un rifrattore di 80 mm f/5. Il valor medio della magnitudine della variabile, ricavato da misure di tre diverse fotografie prese nel corso della stessa notte, risulta
essere di 9,0, con una deviazione standard di 0,08 magnitudini. La correlazione lineare
per ciascun grafico è approssimativamente di 1,0. Per individuare le stelle di riferimento
è stata usata una cartina AAVSO; per determinare la magnitudine della χ Cygni da ciascuna delle stampe si è sfruttata la tecnica della regressione lineare.
Nel Quick Look File dell’AAVSO per quella data, il valore medio riportato è di 9,1, con
una deviazione standard di 0,09 magnitudini. Tale valore riguardava tre osservatori che
avevano utilizzato metodi visuali standard. Il risultato era invece di 8,98, con una deviazione standard di 0,33 magnitudini, per sei osservatori che avevano raccolto le loro
misure nei GG 2453646 e 2453647.
La figura 13.4 è il grafico riferito alla variabile S UMa per la notte del 29 settembre
2005 (GG 2453642,7). L’analisi di regressione lineare con cinque stelle di riferimento dà
un valore di 8,0 per la magnitudine della S UMa in quella data, con una correlazione
lineare di 0,98. I valori riportati nel Quick Look File dell’AAVSO per le stime visuali della
magnitudine della S UMa sono quelli trascritti nella tabella 13.1. Il valor medio è di 8,05
con una deviazione standard di 0,17.
Figura 13.3. La magnitudine della χ Cygni, ricavata dal confronto con le sagome della
scala.
La fotografia delle stelle variabili 113
Figura 13.4. La magnitudine della S UMa ricavata nello stesso modo.
Nella misura fotografica delle stelle variabili, le camere digitali presentano significativi
vantaggi rispetto alla pellicola. La maggiore sensibilità e la linearità della risposta rendono possibile la registrazione di stelle più deboli con pose più brevi. Usando il metodo
che abbiamo appena descritto avrete risultati altrettanto accurati e affidabili di quelli
ottenibili dalle migliori osservazioni visuali dirette.
Tabella 13.1. Magnitudini riportate per la S UMa.
Giorno Giuliano
magnitudine
2453642
7,8
2453643
8,0
2453645
8,2
2453645
8,2
La fotografia su pellicola
Sulle emulsioni fotografiche, la relazione tra il diametro dell’immagine stellare e la
magnitudine non è lineare. Inoltre, la curva di risposta varia sensibilmente a seconda
delle diverse pellicole usate. Di conseguenza, il metodo analitico che abbiamo descritto
per le fotocamere digitali non è applicabile a quelle tradizionali su pellicola.
Tuttavia, le stime di magnitudine possono essere fatte su una stampa da pellicola allo
stesso modo in cui vengono realizzate stime visuali all’oculare del telescopio. In aggiunta,
la fotografia su pellicola presenta il vantaggio di essere in grado di raggiungere stelle più
114 Fare astronomia con piccoli telescopi
deboli del limite visuale di un piccolo telescopio. Una posa di 2m su una pellicola da 400
ISO con un teleobiettivo di 200 mm può raggiungere stelle di magnitudine 13.
Le pellicole bianco/nero hanno un’estesa sensibilità nel blu, ma le variabili tipo Mira
sono rosse. Di conseguenza, le magnitudini ottenute attraverso stime su pellicola sono
differenti da quelle che si ricavano da osservazioni visuali: il nostro occhio è semmai più
sensibile al rosso. Per avvicinarci alle condizioni dell’osservazione visuale potremmo
fotografare attraverso un filtro giallo. Perciò, quando scriverete una nota osservativa
riguardo alle magnitudini misurate su pellicola, ricordate sempre di rimarcare che le
stime sono state fatte su fotografie e indicate sempre l’eventuale filtro usato.
CAPITOLO QUATTORDICI
Ammassi stellari
e nebulose
Non è necessariamente vera l’opinione diffusa che uno strumento di corta focale a bassi
ingrandimenti sia quanto di meglio per l’osservazione delle nebulose e degli ammassi
stellari. La migliore combinazione di campo di vista e ingrandimento dipende infatti dal
particolare oggetto che si sta osservando. Per esempio, l’Ammasso Doppio nel Perseo
(figura 5.1) è spettacolare in un oculare di 25 mm usato su un telescopio di 80 mm f/5,
ma gli ammassi globulari e le nebulose planetarie si apprezzano al meglio a 100 ingrandimenti con un rifrattore di 80 mm f/11. A parità d’ingrandimento, il contrasto tra un
oggetto debole e il fondo cielo è meno accentuato a f/5 che a f/11. Gli strumenti con un
basso rapporto focale sono avvantaggiati sugli altri nelle visioni a grande campo della Via
Lattea, nell’osservazione degli ammassi stellari estesi e nella fotografia digitale di questi
oggetti.
In realtà, lo strumento migliore è proprio quello che già possedete. Puntandoli su
ammassi stellari brillanti, nebulose e galassie, i piccoli telescopi, di qualunque tipo, che
abbiamo considerato in questo libro dovrebbero essere in grado di restituirvi visioni interessanti. Naturalmente, avrete bisogno di notti senza Luna, serene e buie.
Nel 1784, Charles Messier pubblicò un catalogo di oggetti estesi, comprendente 103
ammassi stellari e nebulose, al fine di non confonderli con comete. Fino ai primi anni del
XX secolo, tutte le osservazioni visuali di questi oggetti vennero condotte da astronomi
che, con grande perizia e pazienza, riproducevano in disegni quanto visto all’oculare.
La figura 14.1 è il disegno della Grande Nebulosa in Orione (M42) fatto verso la metà
del XIX secolo da W.C. Bond, il primo direttore dell’Osservatorio di Harvard. È il risultato di molte ore di osservazioni della nebulosa attraverso il rifrattore di 15 pollici di
Harvard, a Cambridge, strumento che spartiva il record del più grande rifrattore del
mondo con il telescopio di Pulkova, in Russia.
È interessante notare quanto bene la visione della medesima nebulosa fatta attraverso
un piccolo telescopio moderno si accordi con gli schizzi eseguiti da un grande osservatore del XIX secolo con quello che allora era uno dei più grandi telescopi del mondo. La
tabella 14.1 riporta alcuni degli oggetti di Messier più brillanti che possono essere osservati con piccoli telescopi.
115
116 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 14.1. Disegno di W.C. Bond di M42 in Orione.
Ammassi stellari e nebulose 117
Tabella 14.1. Oggetti di Messier.
sigla
A.R.
decl.
M31
0h 42m
+41° 16'
M1
5h 35m
+22° 01'
M42
5h 35m
–5° 27'
M81
9h 56m
+69° 04'
M82
9h 56m
+69° 41'
M51
13h 13m
+47° 12'
M101
14h 03m
+54° 21'
M57
18h 54m
+33° 02'
M27
19h 59,6m
+22° 43'
magnitudine
3,4
8,4
4,8
6,9
8,4
8,4
7,9
8.8
7,3
descrizione
Galassia in Andromeda
Nebulosa Granchio nel Toro
Grande Nebulosa in Orione
galassia spirale
galassia irregolare
Galassia Vortice
Galassia Girandola
Nebulosa Anello nella Lira
Nebulosa Manubrio
Fotografia digitale
di ammassi stellari
Poiché le nebulose e le galassie sono oggetti estesi, la fotografia digitale con piccoli telescopi non rivelerà molto più di quanto l’occhio possa vedere, forse con la sola eccezione
della nebulosa brillante M42, in Orione. Le comuni fotocamere digitali a obiettivo fisso
non hanno una sufficiente riduzione del rumore elettronico per le lunghe esposizioni.
Benché si trovino sul mercato camere digitali reflex a obiettivo fisso con sensibilità fino
a 800 ISO o anche più, con risoluzioni di 6 o anche 8 megapixel, e con tempi di posa lunghi con contenimento del rumore, noi consideriamo queste macchine troppo costose per
essere adottate nel contesto di ciò di cui tratta questo libro.
Gli ammassi stellari consistono di innumerevoli sorgenti puntiformi, di modo che una
posa di 30s con una fotocamera digitale a obiettivo fisso vi rivelerà molto più di quanto
possa fare l’occhio al telescopio. La figura 14.2, per esempio, è una posa di 30s fatta con
un rifrattore di 80 mm f/6 sull’ammasso globulare M13 in Ercole. Visualmente, al telescopio questo ammasso appare come una macchia luminosa e circolare senza strutture
distinguibili al suo interno.
In generale, gli ammassi stellari sono di due tipi: globulari e aperti. Gli ammassi globulari sono aggregazioni sferiche di 10 mila o più stelle che si trovano nell’alone che avvolge
il piano della Via Lattea. Essi contengono le stelle più antiche della nostra Galassia. Gli
ammassi aperti sono associazioni relativamente sparse di stelle che si formano dentro il
piano della Galassia. La tabella 14.2 riporta alcuni ammassi stellari che rappresentano possibili obiettivi per osservazioni fotografiche digitali con piccoli telescopi.
Nella fotografia di lunga posa delle nebulose e degli ammassi, un telescopio di corta
lunghezza focale (f/5) è lo strumento ottimale, a patto che sia stato effettuato un accurato
allineamento della montatura con il polo celeste. Ciò garantirà che le pose fino a 30s non
presentino immagini stellari elongate. Si usi la medesima procedura descritta nel capitolo
9 per la fotografia delle stelle variabili.
Se si aumenta il contrasto, le foto caricate sul computer mostreranno anche le stelle
più deboli. Per questi oggetti, non ci si deve preoccupare di preservare la linearità di
risposta della fotocamera. Tuttavia, se si aumenterà troppo il contrasto si introdurrà un
aumento significativo del rumore elettronico. La prima immagine fotografica di una
stella venne ottenuta su un dagherrotipo da W.C. Bond e da suo figlio G.P. Bond intorno
al 1850. Per fotografare Vega con il rifrattore di 380 mm di Cambridge, essi dovettero
fare una posa di 20m. Confrontate questo dato con la posa di 15s di un ammasso stellare
fatta con la vostra fotocamera digitale attraverso un piccolo telescopio.
118 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 14.2. Fotografia digitale dell’ammasso globulare M13 presa con un rifrattore di
80 mm f/5.
Tabella 14.2. Ammassi stellari
denominazione A.R.
M13
16h 42m
M12
16h 47m
M10
16h 57m
M92
17h 17m
M15
21h 30m
NGC 2808
09h12m
NGC 3201
10h 18m
Omega Centauri 13h 27m
NGC 884, 869
02h 20m
M34
02h 42m
M45
03h 47m
M38
05h 50m
M36
05h 36m
M37
05h 52m
M44
08h 40m
M29
20h 24m
M39
21h 32m
M52
23h 24m
NGC 4755
12h 54m
M6
17h 40m
M7
17h 54m
adatti per la fotografia digitale.
decl.
magnitudine
+36° 26'
5,9
–1° 57'
6,6
–4° 06'
6,6
+43° 08'
6,5
+12° 10'
6,3
–64° 52'
6,3
–46° 25'
6,7
–47° 29'
3,7
+57° 08'
4,4
+42° 47'
5,2
+24° 07'
1,2
+32° 08'
6,4
+34° 08'
6,0
+32° 33'
5,6
+20° 00'
3,1
+38° 32'
6,6
+48° 26'
4,6
+61° 35'
6,9
–60° 20'
4,2
–32° 13'
4,2
–34° 49'
3,3
descrizione
ammasso globulare
ammasso globulare
ammasso globulare
ammasso globulare
ammasso globulare
ammasso globulare
ammasso globulare
ammasso globulare
Ammasso Doppio del Perseo
ammasso aperto
Pleiadi
ammasso aperto
ammasso aperto
ammasso aperto
Praesepe nel Cancro
ammasso aperto
ammasso aperto
ammasso aperto
Scrigno di Gioielli
ammasso aperto
ammasso aperto
CAPITOLO QUINDICI
Un diagramma
colore-magnitudine
per le Pleiadi
Quanto più una sorgente di energia radiante è calda, tanto più diventa brillante e con un
colore tendente al blu. Le stelle rosse hanno temperature superficiali di circa 4000 K, quelle
blu superano i 15 mila K. La misura quantitativa del colore di una stella fornisce quindi un’indicazione della sua temperatura fotosferica e la si esprime attraverso un parametro che è detto
indice di colore, definito come la differenza tra le magnitudini apparenti in due differenti
bande dello spettro.
Il metodo più comunemente utilizzato per ricavare l’indice di colore è di misurare la
magnitudine di una stella attraverso un fotometro dotato di filtri che selezionano la trasmissione della luce in bande specifiche dello spettro elettromagnetico. Quando il filtro seleziona
la regione blu, quella che si ottiene è la magnitudine B. Un filtro che simula la risposta dell’occhio umano al colore fornisce la magnitudine V. L’indice di colore (IC) è allora dato da:
IC = (B – V)
La magnitudine assoluta è una misura della luminosità intrinseca di una stella. Quando
confrontiamo le magnitudini assolute noi parliamo della brillantezza che avrebbero le stelle
se si trovassero tutte alla stessa distanza standard di 10 parsec. Le stelle che hanno valori più
bassi di magnitudine assoluta (per esempio, M = –2) sono intrinsecamente più potenti delle
stelle con valori più alti (per esempio, M = +5). Dovremmo anche aspettarci di trovare che le
stelle intrinsecamente più luminose abbiano temperature più elevate e colori più tendenti al
blu. Si chiama diagramma colore-magnitudine per una certa popolazione stellare il grafico
delle magnitudini assolute delle stelle in funzione dell’indice di colore. Se le stelle appartengono allo stesso ammasso stellare, non occorre che siano determinate le magnitudini assolute:
poiché si trovano tutte alla stessa distanza, si possono confrontare gli indici di colore con le
loro magnitudini apparenti (a parità di distanza, le magnitudini apparenti differiscono dalle
rispettive magnitudini assolute solo per una costante additiva). Ciò può essere fatto, con piccoli strumenti, su alcuni degli ammassi stellari più brillanti e relativamente vicini, misurando
le stampe ottenute con fotocamere digitali.
119
120 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 15.1. Diagramma colore-magnitudine per un ammasso stellare giovane.
Figura 15.2. Diagramma colore-magnitudine per un ammasso stellare vecchio ed evoluto.
Un diagramma colore-magnitudine per le Pleiadi 121
La figura 15.1 è il diagramma colore-magnitudine di un ammasso giovane, le cui stelle
occupano quella banda sottile che si chiama Sequenza Principale. La linea che corre attraverso la distribuzione dei punti definisce la Sequenza Principale di Età Zero e rappresenta
il momento nel corso dell’evoluzione stellare in cui si innesca la fusione nucleare. Nella
figura 15.2 vediamo un ammasso stellare più antico, nel quale molte delle stelle di Sequenza
Principale sono ormai evolute disponendosi sul Ramo Orizzontale delle Giganti e qualcuna
arriva fino allo stadio delle supergiganti rosse.
La raccolta dei dati
I dati consistono nella misura di tre differenti immagini dell’ammasso delle Pleiadi, nel
Toro, acquisite con 30s di posa di una fotocamera digitale. Prendete la prima senza usare
alcun filtro, ripetendo la procedura descritta per le stelle variabili nel capitolo 12. Ricordate
sempre di prendere diverse foto, in modo che possiate scegliere la migliore per le misure.
In seguito, prendete una serie di immagini con un filtro azzurro nell’oculare e poi un’altra
con un filtro giallo. Tutti i parametri fotografici devono essere rigorosamente gli stessi nelle
tre serie di foto (la sola cosa che cambia sono i filtri usati). Caricate sul computer la migliore
immagine di ciascuna serie e stampatela in bianco/nero su carta lucida. La figura 15.3 è un
esempio di come dovrebbe presentarsi la fotografia.
Stampate una copia in negativo di una delle foto su carta liscia, per avere un riferimento
nella numerazione e nella registrazione delle stelle che devono essere misurate; ora scegliete
a caso da 15 a 20 stelle che si distribuiscano dalle più deboli alle più brillanti intorno al centro della foto. Escludete le eventuali stelle le cui immagini siano distorte da aberrazioni dell’obiettivo.
Figura 15.3. Fotografia digitale delle Pleiadi presa con un rifrattore di 80 mm f/5.
122 Fare astronomia con piccoli telescopi
L’analisi
Per misurare queste stampe utilizzate la scala delle magnitudini e la procedura illustrate nel
capitolo 13, quando abbiamo trattato di stelle variabili. Ponete la scala orizzontalmente nei
pressi della stella che deve essere misurata; confrontate poi la stella con le immagini della
scala per verificare quale le corrisponda al meglio. Ricordate che i numeri della scala non
sono magnitudini, ma semmai solo valori in qualche modo proporzionali alle magnitudini
delle stelle. Dalla stampa in negativo selezionate una delle stelle che avete numerato e misuratene la magnitudine sulle tre riprese con il filtro blu, con quello giallo e senza filtro.
Contrassegnate come B la lettura sulla scala effettuata per la stampa filtrata in blu e come Y
quella filtrata in giallo. Indicherete poi con m0 il valore letto per la stampa non filtrata. Si
potrebbero convertire questi valori numerici in magnitudini, confrontandoli con le magnitudini standard B e V, ma l’operazione non è strettamente necessaria: a voi basta ottenere
la forma generale del grafico colore-magnitudine.
La differenza tra le letture della stella sulle due differenti stampe esprime di fatto un
indice di colore per quella stella. Lo chiameremo indice (B – Y). Il grafico su carta millimetrata di m0 in funzione di (B – Y) sarà un diagramma colore-magnitudine per quell’ammasso.
Quando un ammasso stellare invecchia, sono sempre più numerose le stelle che si trasformano in giganti rosse, di modo che il diagramma colore-magnitudine sviluppa un
Ramo Orizzontale. Cosa vi racconta il vostro diagramma colore-magnitudine delle Pleiadi,
a proposito dell’età di questo ammasso? Dopo che avrete fatto il diagramma per le Pleiadi,
potreste provare a realizzarne anche per altri ammassi, come il Praesepe, nel Cancro, e le
Iadi, nel Toro, e confrontarli tra loro.
CAPITOLO SEDICI
Il progetto
di uno spettrografo
a prisma obiettivo
Gli spettri stellari vengono classificati in diversi tipi distinti, a seconda dell’evidenza di certe
righe d’assorbimento o d’emissione. Questa classificazione fornisce anche un’indicazione del
colore e della temperatura superficiale di una stella. I tipi spettrali più comuni sono classificati con le lettere O, B, A, F, G, K e M, con ciascun tipo diviso in dieci sottotipi numerati,
come, per esempio, A0, A1, A2, A3 ecc. Qui non parleremo dei tipi W, R, N e S poiché sono
molto rari. Circa il 99% di tutte le stelle appartiene ai tipi che vanno da B a M. La tabella 16.1
definisce schematicamente la classificazione degli spettri stellari.
La figura 16.1 illustra il metodo del prisma obiettivo, che consente di ottenere in simultanea gli spettri per un gran numero di stelle. I fasci di luce rossa vengono rifratti da un prisma
di un angolo dato da:
r = 2 arcsen [Nr sen(A/2)] – A
dove A è l’angolo del prisma e Nr è l’indice di rifrazione del vetro del prisma per una particolare lunghezza d’onda nella banda del rosso. Per la luce violetta, quest’angolo diventa:
v = 2 arcsen [Nv sen(A/2)] – A
Se F è la lunghezza focale della lente obiettiva, la dispersione lineare D, ossia la lunghezza dello
spettro sul piano della pellicola, è data da:
D = F(
v–
r) π/180
I grandi telescopi usano i prismi obiettivi con angoli di soli pochi gradi e con una lunga focale.
Risultati equivalenti possono essere ottenuti con un grande angolo del prisma e una corta lunghezza focale. Un prisma equilatero di 60° sarebbe troppo pesante e difficile da montare su un
telescopio di largo diametro, ma è perfetto per l’utilizzo con un teleobiettivo di 135 mm su
una fotocamera SLR formato 35 mm. Se il vetro del prisma è un flint, la dispersione lineare
risulta essere di 13,4 mm al piano focale del teleobiettivo di 135 mm.
123
124 Fare astronomia con piccoli telescopi
La figura 16.2 illustra gli aspetti di base del progetto per uno spettrografo a prisma obiettivo adatto a una fotocamera formato 35 mm. Il prisma equilatero con lati di 40 mm può
essere acquistato dalla Edmund Scientific Company. La faccia del prisma dovrebbe essere
abbastanza grande da coprire quasi completamente il diametro del teleobiettivo. Se così non
fosse, è consigliabile mascherare l’area libera dell’obiettivo. La sua inclinazione dovrebbe
essere tale che la faccia del prisma più lontana dall’obiettivo risulti parallela a esso.
Il prisma obiettivo che qui descriviamo può catturare spettri di buona qualità delle stelle di
prima e di seconda magnitudine. In cielo possiamo trovare stelle brillanti appartenenti a tutti
i principali tipi spettrali. I pianeti, come Giove e Saturno, brillano per la luce che riflettono dal
Sole, e perciò sono buone sorgenti per la fotografia dello spettro solare, poiché le loro immagini risultano praticamente puntiformi alla scala di un teleobiettivo di 135 mm.
Per gli spettri stellari, le pellicole bianco/nero forniscono il miglior contrasto e la migliore
risoluzione per evidenziare le righe d’assorbimento. Gli spettri raccolti su pellicole colorate
mostrano bande oscure là dove si accostano e sovrappongono gli strati delle tre diverse emulsioni sensibili ai colori primari. Le camere digitali hanno un comportamento analogo. Le
bande oscure sovrapposte si manifestano quando il colore viene disperso da un prisma. Una
fotocamera digitale può essere impostata per operare nella modalità bianco/nero, ma anche
così nell’immagine dello spettro persisterà la sovrapposizione delle diverse sensibilità a differenti colori.
Tabella 16.1. La classificazione degli spettri stellari.
tipo O
tipo B
tipo A
tipo F
tipo G
tipo K
tipo M
Righe d’assorbimento dell’elio ionizzato, dell’idrogeno neutro e dell’elio. Stelle di colore
blu, con temperature di 50.000 K o più.
Deboli righe dell’idrogeno della serie di Balmer. Stelle con temperature attorno a 25.000
K.
Intense righe dell’idrogeno della serie di Balmer. Negli ultimi sottotipi appaiono le righe
H e K del calcio ionizzato (CaII). Stelle bianche con una temperatura di 10.000 K.
Deboli righe dell’idrogeno della serie di Balmer; diventa cospicua la riga K del CaII. Stelle
di colore bianco-giallastro con temperature di circa 7500 K.
Righe di Balmer più deboli che nel tipo F. Sono più forti le righe H e K del CaII.
Compaiono diverse righe di elementi metallici neutri. Stelle gialle con temperature attorno
ai 6000 K. Il Sole è una stella tipo G2.
Diventano importanti le righe dei metalli neutri, mentre quelle dell’idrogeno sono molto
deboli. Stelle di colore arancione, con temperature attorno a 4500 K.
Forti righe dei metalli neutri. Forti bande dell’ossido di titanio. Stelle rosse con temperature attorno a 3500 K.
Figura 16.1. Come si ottengono gli spettri stellari con il prisma obiettivo.
Il progetto di uno spettrografo a prisma obiettivo 125
Figura 16.2. Uno spettrografo a prisma obiettivo.
Come si ottiene lo spettro
Il solo tipo di fotocamera che può essere efficacemente usato per acquisire spettri stellari con
un prisma obiettivo è la tradizionale SLR a pellicola formato 35 mm. Se non l’avete, forse
potreste procurarvela a basso prezzo sul mercato dell’usato. La fotocamera deve essere in
grado di fare pose di 2m e dovrà essere dotata del cavetto flessibile per comandare lo scatto
dell’otturatore senza introdurre vibrazioni. Qualunque obiettivo va bene. L’obiettivo standard
di 50 mm garantirà una dispersione sufficiente quanto meno a mostrare le differenze fra i tipi
spettrali per le stelle più brillanti; naturalmente, più lunga sarà la focale dell’obiettivo, maggiore sarà la dispersione dello spettro.
La macchina fotografica può essere montata in parallelo al telescopio, come in figura 16.3,
oppure fissata su una montatura equatoriale. Non è necessario un motorino d’inseguimento.
La fotocamera deve essere posizionata in modo tale che la direzione della dispersione del prisma coincida con quella della declinazione e che l’obiettivo punti all’incirca a 60° dalla stella
su cui si vuole lavorare. Il modo migliore per farlo è di allineare il telescopio, o il cercatore
(figura 16.3), sulla stella e quindi ruotare la camera fintantoché lo spettro si rende visibile nel
mirino.
Nella fotocamera si vedrà lo spettro come una linea molto sottile. La linea si allargherà permettendo alla stella di scorrere davanti al telescopio nella direzione dell’ascensione retta. Una
posa di 2m con un teleobiettivo di 135 mm produrrà uno spettro sufficientemente largo per
un’agevole lettura. Lunghezze focali minori richiederanno pose più lunghe. Usate pellicole in
bianco/nero con sensibilità di 400 ISO.
Le figure 16.4 e 16.5 sono spettri di Sirio e di M42, raccolti con lo spettrografo illustrato
nella figura 16.2.
Lo spettro di Sirio mostra chiaramente le righe d’assorbimento dell’idrogeno della serie di
126 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 16.3. Lo spettrografo montato su un rifrattore di 80 mm f/5.
Balmer, che sono caratteristiche del tipo spettrale A: la parte rossa dello spettro è sulla destra.
La riga H-alfa dell’idrogeno, che si trova nel rosso estremo, qui non si rende visibile perché la
sensibilità della pellicola (T Max 400) crolla rapidamente a quei valori di lunghezza d’onda.
La prima riga d’assorbimento che si vede chiaramente è la H-beta, nel dominio del blu-verde.
Benché l’occhio umano non sia sensibile alle lunghezze d’onda al di là della riga H-delta, che
è la terza riga d’assorbimento a partire da destra, la sensibilità della pellicola si estende fino
all’estremo violetto.
Figura 16.4. Lo spettro di Sirio.
Il progetto di uno spettrografo a prisma obiettivo 127
Figura 16.5. Lo spettro d’emissione di M42 in Orione.
Lo spettro della Nebulosa in Orione presenta tre righe d’emissione prodotte dai gas eccitati dalla luce ultravioletta delle giovani stelle. Sono righe brillanti, a differenza degli assorbimenti scuri caratteristici degli spettri stellari. La terza riga d’emissione a partire dall’estremità
rossa è la H-beta. Le altre due a destra della H-beta furono oggetto di controversie all’epoca
della loro prima scoperta, poiché le lunghezze d’onda non si accordavano con alcuna di quelle
degli elementi chimici conosciuti a quel tempo e perciò si ipotizzò che fossero state causate da
un elemento caratteristico del gas interstellare, mai scoperto in precedenza, che venne chiamato nebulio.
Con i progressi della teoria quantistica, che consentirono poi di prevedere i tassi ai quali
possono aver luogo le possibili transizione energetiche, si capì che le righe del nebulio in realtà
erano prodotte dall’ossigeno doppiamente ionizzato. Queste righe non erano state scoperte in
precedenza perché il tempo richiesto affinché abbiano luogo queste particolari transizioni è
molto lungo, maggiore di quello che passa tra due collisioni atomiche (col che gli atomi si diseccitano), anche nel vuoto più spinto ottenibile nei laboratori terrestri. La densità della
Nebulosa in Orione è però così bassa che gli intervalli temporali tra due successive collisioni
si allungano enormemente. Gli atomi di ossigeno vivono essenzialmente in solitudine: il risultato è che si possono osservare anche le transizioni energetiche che hanno una bassa probabilità d’occorrenza.
Lo spazio allarga i confini della fisica sperimentale. In quello sterminato laboratorio possiamo osservare il comportamento della materia alle pressioni, alle densità e alle temperature
più alte e più basse, sotto l’influenza di forze gravitazionali e di campi magnetici molti più
intensi di quelli realizzabili in qualsiasi laboratorio qui sulla Terra. In questo modo, noi possiamo raccogliere le prove necessarie per corroborare o rigettare le teorie sulle proprietà fondamentali della materia e sulle interazioni che governano la struttura dell’Universo.
CAPITOLO DICIASSETTE
Il moto proprio
della Stella
di Barnard
Tutte le stelle della nostra Galassia sono in orbita attorno al suo centro: per questo le stelle
vicine evidenziano un moto relativamente a quelle più lontane. Tale moto ha due componenti: la componente radiale, ossia il moto nella direzione della linea visuale, in avvicinamento
a noi o in allontanamento, e la componente perpendicolare alla linea visuale, che è detta moto
proprio della stella, misurato in secondi d’arco all’anno. A sua volta, il moto proprio ha due
componenti, in ascensione retta e in declinazione.
La Stella di Barnard, di decima magnitudine, alla distanza di 5,9 anni luce, presenta un
moto proprio in declinazione di 10,3 secondi d’arco all’anno. Tale spostamento è relativamente facile da evidenziare anche con un piccolo telescopio.
La stella, alla posizione 17h 58m di ascensione retta e +4° 43' di declinazione, dista meno
di 2° dalla 66 Oph, stella di quarta magnitudine, e si trova 3°,5 a est della β Oph. La figura 17.1
è una cartina realizzata con Guide 8.0 con un campo di 2°. La posizione della Stella di Barnard
è indicata da una freccia.
Prendere fotografie
Per rilevare in modo semplice lo spostamento in cielo della Stella di Barnard è necessario
avere una notevole scala di stampa e quindi un telescopio di lunga focale. Per questo tipo di
fotografie è da raccomandare un rifrattore di 80 mm f/11 o un Maksutov di 90 mm.
Imperativo è un preciso allineamento al polo della montatura. Si può usare anche un rifrattore di 80 mm f/5, ma dovrà passare un tempo circa doppio affinché si possa rivelare sulle
fotografie un apprezzabile spostamento della stella.
Anche qui, come per la fotografia delle stelle binarie, useremo il metodo afocale. Con un
rifrattore di 80 mm f/11 usate un oculare a grande campo di 6 mm, come l’Orion Expanse.
Con il Maksutov di 90 mm si può usare un oculare di 9 mm. Con il rifrattore di 80 mm f/5
andrà bene un oculare di 6 mm combinato con una lente di Barlow 2×. Il Maksutov di 90 mm
ha il vantaggio del tubo corto e di minori problemi nell’inseguimento della stella. Poiché la
129
130 Fare astronomia con piccoli telescopi
Figura 17.1. Cartina di riferimento per trovare la Stella di Barnard; la freccia indica la posizione
della stella. I numeri si riferiscono alle magnitudini delle stelle vicine (479 = mag. 4,79 ecc.).
variazione di posizione della stella riguarda principalmente la direzione della declinazione, il
moto proprio dovrebbe rivelarsi anche se le stelle fossero un po’ strisciate in ascensione retta
per un inseguimento inadeguato.
Prendete nota della data, dell’ora e del Giorno Giuliano della vostra osservazione. Scattate
diverse fotografie e selezionate la migliore per la stampa. Prima di procedere alla stampa ritagliate l’immagine sui bordi e poi ingranditela in modo da avere sulla stampa una scala di circa
1"/mm. Salvate l’immagine su un disco.
Dopo un anno, ripetete l’operazione. In questo periodo la Stella di Barnard si sarà spostata
di circa 10" nel senso della declinazione. Ripetete la stessa procedura di stampa seguita per la
prima foto: la stella in quest’arco di tempo dovrebbe essersi spostata sulle vostre stampe di
circa 10 mm. La variazione di posizione può essere vista con facilità sovrapponendo una copia
su lucido della prima osservazione alla stampa della seconda.
Una misura più quantitativa del moto proprio della Stella di Barnard la si può ottenere
stampando ciascuna fotografia direttamente su un foglio di carta millimetrata con griglia di
1 mm. Sfruttando le righe della griglia, misurate la distanza verticale tra due stelle di declinazione nota relativamente lontane tra loro e usate questa misura per stabilire qual è la scala
della stampa in secondi d’arco al millimetro. Poi, misurate la distanza verticale tra la Stella di
Barnard e qualche altra stella di declinazione nota. Da questa misura e dalla scala della
stampa calcolate la declinazione della Stella di Barnard. Ripetete la procedura sulla stampa
presa l’anno precedente. La differenza tra le due declinazioni divisa per la differenza nei
Giorni Giuliani vi darà il moto proprio in declinazione della Stella di Barnard in secondi
d’arco al giorno. Moltiplicate per 365 e avrete il moto proprio annuo.
Indice
AAVSO Bulletin
38, 104, 108
aberrazione sferica
21, 23
acclimatazione del telescopio
23
adattatori per fotocamere
29
afelio
3
afocale, metodo 27, 29-30, 32, 45, 53, 67, 87, 95
Airy, disco di
20, 23
allineamento polare
8, 17
ALPO
38-39, 69-70
ammassi stellari antichi
120
ammasso aperto
27, 117
Ammasso Doppio nel Perseo
27-28
ammasso globulare
27, 117
Antoniadi, E.M.
55
apocromatico
21, 26
ascensione retta 2, 5, 7, 11, 13, 16, 58, 65, 67-68,
74, 104, 107, 125, 129-130
asteroidi
77
orbite degli
79-82
astigmatismo
21
atmosfere planetarie
56
attività solare
34-35, 38
cerchi di puntamento
11, 15-17, 107
classificazione degli spettri stellari
124
classificazione di Zurigo
36
coma
21-23
comete
73
fotografia su pellicola,
76
Hyakutake e Hale-Bopp
74
coordinate eclittiche
58
correnti interne al tubo
23
curvatura del campo
21
BAA
Bond, W.C.
eclittica
elaborazione di foto solari
elaborazione di una stampa
epoca
epsilon (ε) Lyrae
EQ1
EQ2
EQ3
38
115
campo magnetico solare
33
campo visuale
13, 16-17, 23-24, 37, 104, 109
Castore, orbita apparente
97-98
cavetto flessibile
29
cercatori
24
declinazione
2, 5, 7-9, 11, 13, 16, 37-38, 65, 68,
74, 86, 104, 107, 125, 129-130
diagramma colore-magnitudine
119-120
diametri coniugati di una binaria
97
difetto di reciprocità
27
diffrazione della luce
19-20
dimensioni dello specchio secondario
23
dischi di Stonyhurst
39
disegno planetario
55
dispersione lineare
123
dispositivo di messa a fuoco
24, 109
1, 58, 68
38
31
5
86
7
7-8, 11, 17, 25, 107
8, 11, 13, 26
131
132 Indice
equatore celeste
equatore solare
equazione del tempo
equinozio
equinozio del 2000.0
1-3, 5, 58
33
3-4
1-2, 5, 58, 65
5
facole
34
fasi di Venere
65
filtri a tutta apertura
35
filtri colorati
25
filtro V-Block
22
fisiologia della visione
19
foto con camera digitale
31, 48, 121
fotografia digitale
27-28, 32, 45, 53, 115
di ammassi stellari e nebulose
117
degli asteroidi
77
delle comete
76
della Luna
52
dei pianeti
56
del Sole
38
delle stelle binarie
86
di stelle variabili
109
fotocamere digitali a obiettivo fisso
27-28, 117
fotocamere reflex a pellicola
32
fotografia a grande campo
31
fotografia su pellicola del Sole
45
fotosfera
33-34
fusi orari
3
galassie
27-28, 32
GEM
7, 16-17
Giorno Giuliano
5, 72, 113, 130
griglia di coordinate lunari
52
Guide 8.0
5, 8, 15, 39, 58, 70-72, 129
Herschel, W.
Hevelius, J.
indice di colore
inseguire un asteroide
85
47
85, 119, 122
77
lambda (λ) Virginis
94
latitudine e longitudine delle macchie solari
38
latitudine solare
33, 38-39
lente di Barlow Klee
22
librazione lunare
51
limiti strumentali
19, 21-22
longitudine del nodo ascendente
58
longitudine eclittica geocentrica
58, 65
longitudine eliocentrica
58
longitudine eliografica
39
Lowell, P.
55
lunghezza focale effettiva
20, 29, 31
M42 (disegno di Bond)
macchie solari
magnitudine apparente
116
33-36
119
magnitudine assoluta
119
magnitudine limite
19
Maksutov-Cassegrain
7-8, 16, 19, 22, 104
Maunder, E.W.
34
Maunder, minimo di
34
meridiane solari
4
meridiano di Greenwich
3, 5
Messier, Ch.
115
micrometro filare
85
Microsoft Picture It! Premium
31, 44
minimo solare
34
misure di separazioni angolari
86
misure su fotografie di binarie
89
montatura a forcella
7, 16, 25
montatura equatoriale
7
montatura equatoriale autocostruita
16
moto proprio
5, 129
moto retrogrado di Marte
67-68
motore di declinazione
7
nebulose diffuse
numero di Wolf
27-28
36
obiettivi zoom
29
oculare
13, 16, 20, 22, 24-25, 27-29, 31, 35,
37-39, 45, 47-49, 56-57, 67, 69, 73,
75-77, 85-87, 89, 91, 93, 95,
107, 109, 113, 115, 121, 129
oculari di Speers-Waler
24
oculari Orion Expanse
24, 87
orbite vere e apparenti di stelle binarie
98
orientazione dell’asse solare
38-39
osservazioni di ammassi stellari
115
osservazioni visuali
37
di comete
74
di Giove
63
di Marte
67
della Luna
47
del Sole
35
di stelle variabili
103
ostruzione del secondario
20
pellicole fotografiche
32, 113
perielio
3, 58, 65
periastro
94
pianeti, superficie dei
56
piccoli telescopi 7, 11, 19, 23, 27-28, 32, 53, 65, 67,
73, 94, 103, 115, 117
Pleiadi
119, 122
Pleiadi, diagramma C/M
119-122
pose fotografiche e rumore
29
posizioni orbitali di un pianeta
65, 68
potere risolutivo di un telescopio
20
precessione
2, 5
rapporto focale f/
regressione lineare
21, 23, 28
112
Indice 133
reticolo
riflettori newtoniani
rifrattore a corta focale
rifrattori di lunga focale
rilievi lunari
rotazione differenziale del Sole
13, 25, 69-70, 85
23
19, 104, 115
7
47
45
scala di calibrazione per stelle variabili
110
scala lineare
31, 50-52, 72, 76, 85
Scaliger, J.J.
5
scanner
31
seeing
21, 23, 31, 55, 56, 68, 72, 86, 108
Sequenza Principale di Età Zero
121
sfera celeste
1-2
sistemi go-to
17
solstizio
1
sostegno per montatura in parallelo
25
specchi sferici
23
specchio parabolico
23
spettri stellari
32, 123-125, 127
spettro d’assorbimento
123
spettro della Nebulosa in Orione
127
spettro di Sirio
126
spettrografo a prisma obiettivo
133
stabilità della montatura
7
stampa di una stella variabile
109
Stella di Barnard
129-130
stella di confronto
75
Stella Polare
13, 15-16
stelle binarie
85
angolo di posizione delle
97
elementi orbitali delle
97, 102
orbita vera relativa
85
orbite delle
97
osservabili con piccoli telescopi
89
proiettore delle orbite vere
97, 101
separazione delle
97
stelle di calibrazione
90
stelle binarie visuali
10
stelle variabili
22-23, 25, 27, 29, 103,
109-110,113, 117
analisi dei dati sulle
112
di lungo periodo
109
magnitudini delle
112
scala di calibrazione delle
110
teleobiettivi di conversione
30
telescopi Maksutov
7-9, 16-17, 19-20, 22-23,
25-26, 29, 86-87, 93-95
tempo siderale
5
tempo solare apparente
3-5
tempo solare medio
3
Tempo Universale
5, 37, 39, 72, 108
treppiede da tavola
8, 16
variabili tipo Mira
velocità dell’otturatore
104
29, 48
velocità radiale
zenit
Zodiaco
139
1
5
Volumi pubblicati nella stessa collana:
Fare astronomia con piccoli telescopi
M. Gainer
L’osservazione delle stelle variabili
G.A. Good
L’astrofisica è facile!
M. Inglis
Imaging planetario
Guida all’uso della webcam
M. Mobberley
La musica del Big Bang
Come la radiazione cosmica di fondo ci ha svelato i segreti dell’Universo
A. Balbi
Un anno intero sotto il cielo
Guida a 366 notti d’osservazioni
P. Moore
L’astrofilo moderno
M. Mobberley