galaxia - Mensa Italia

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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
It's just as simple as that
di Sara Burbi
Quando qualcuno mi chiede come mai mi piacciono i cavalli, non so mai cosa rispondere. O meglio, saprei cosa
dire ma è talmente tanto che è difficile riassumerlo in poche
frasi.
Wow, Sara, la stai veramente prendendo alla larga…
Ok, ho capito, prometto di fare del mio meglio per non scrivere un romanzo a puntate.
La verità è che è da circa un’ora che cambio CD in cerca di
un sottofondo musicale che mi ispiri per scrivere questo
pezzo, ma son finita a tamburellare sulla scrivania, canticchiare, ho perfino suonato il ritornello di Blue Moon un paio
di volte con l’armonica a bocca, mentre il cursore ovviamente continuava a lampeggiare imperterrito sullo schermo bianco latte. Forse dovrei provare con la musica classica.
Torno subito.
Eccomi…
V
i siete mai chiesti come mai una persona può avere
una passione per un animale piuttosto che per un
altro? Adesso vi faccio ridere.
Una volta un’amica mi lesse la mano. Mi disse un sacco di
belle cose. Magari aveva visto chissà quali orrori, ma era
decisamente più carino dare una lettura ottimista della mano
della sottoscritta. Tra le altre cose, mi disse che nella vita
avrei avuto un’unica grande passione, un unico grande
amore.
Con tutto il rispetto per gli Equidi, preferirei ‘sposarmi’ un
uomo, non un cavallo. E qui le battute si sprecano. Resta
comunque un dato di fatto: mi piacciono molto i cavalli.
Perchè, non lo so nemmeno io. Ho sempre pensato che
non potendo parlare, gli animali basino tutto sui loro sensi.
Ogni azione o reazione origina da una percezione che hanno del mondo che li circonda. Gli animali non mentono,
non ne hanno motivo. Quindi ti puoi fidare di un animale, a
patto di conoscere come ‘pensa’ un animale.
Per qualche strano scherzo del destino, fin da piccola ho
mostrato un certo interesse verso i cavalli e il loro mondo,
galaxia
tralasciando un sacco di altri animali sicuramente altrettanto interessanti come gli scarafaggi o i pangolini. Sarò strana, ma a me interessa come pensano i cavalli. Trovo il loro
mondo molto semplice, ma allo stesso tempo pieno di sfaccettature. Per certi versi, il cavallo è un insieme di contraddizioni. E’ un animale grande, forte, pesante, ma anche delicato, sensibile, fragile. Vedendo un cavallo da tiro non si
direbbe, vero? Ma è pur sempre un cavallo, e credo pensi
esattamente come fanno i suoi simili negli altipiani di Nordovest degli Stati Uniti.
Ho scritto un posto a caso? Niente affatto.
Ho lavorato in Oregon e Idaho per qualche tempo e penso
proprio che mi traferirò in quella zona l’anno prossimo.
Questo mi è valso il soprannome di Crazy Vet (veterinario
pazzo) e probabilmente un po’ picchiatella lo sono veramente. Gli altipiani del Nordovest sono in pratica dei deserti
rocciosi dove al massimo trovi arbusti qua e là, un ruscelletto se le piogge sono state sufficienti, qualche laghetto,
un albero. Uno, non di più. L’ho anche immortalato, meritava. Ti senti veramente un puntino in mezzo al nulla.
Poi, indovinate un po’, in lontananza scorgi un paio di cavalli. Si guardano bene dall’avvicinarsi, è la prima volta che
ti vedono. Poco dopo ne arrivano altri.
L’uomo sarà anche un animale pericoloso, ma la curiosità
vince sempre.
Li puoi vedere meglio con un binocolo, oppure restare lì
tranquilla, in sella al tuo cavallo, e sperare che si avvicinino
un po’ di più. A volte lo fanno, a volte invece se ne vanno e
riesci a vederli per pochi minuti soltanto.
Mia madre un giorno, al telefono, mi ha chiesto: «Ma te ne
vai in giro tutto il giorno per quei posti desolati?» Probabilmente voleva chiedermi come mai non li trovo tremendamente noiosi, ma ho una mamma gentile. In effetti, non
gironzolavo tutto il giorno in pure stile film western. Il cavallo su cui ero, Silver Sugar Bullet, per gli amici ‘Bullet’, una
decina di anni prima era libero come quelli che osservavo
col binocolo.
In poche parole il mio lavoro oltreoceano consiste nel domare i cavalli selvaggi. A dir la verità, per ora ho osservato
e documentato come si fa. Ho fatto qualcosina, ma non
posso dire di aver effettivamente domato un cavallo. Ho
ancora molto da imparare, ma ho dalla mia la pazienza di
chi sa osservare. Potrei stare ore ed ore ad osservare cosa
fa Jim. (Anche qui, ho scritto un nome a caso? No, si chiama veramente Jim. Che fantasia, questi americani.) Siamo
diventati amici, lui taciturno e un po’ scorbutico, io paziente
ad osservare e cercare di fare delle riprese decenti. Come
tecnico della regia faccio veramente pena, ma mi sono divertita un sacco.
In che cosa consiste la tecnica di Jim? Come dicevo prima,
degli animali ti puoi fidare, a patto di conoscere il loro mondo. Non puoi pretendere che un cavallo ragioni come una
persona e capisca come fai le cose e perchè le fai in un
certo modo. Devi presentarti al cavallo come farebbe un
cavallo. Detto così, suona veramente strano, cercherò di
fare degli esempi.
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Il cavallo riesce a vedere quasi a
360°. L’unica area veramente cieca è di circa 3-5°, dietro di sè. Quindi se pensiamo di acchiappare un
cavallo sorprendendolo da dietro,
partiamo già col piede sbagliato. Noi
possiamo fidarci del cavallo, ma
anche lui deve imparare a fidarsi di
noi. Il modo più sicuro per fargli
capire che può fidarsi è diventare il
Cavallo Numero 1. In che senso?
Nel senso che all’interno del gruppo, c’è un ordine gerarchico ben
definito, indispensabile alla sopravvivenza del gruppo stesso. Il Cavallo Numero 1 è un po’ l’equivalente
del soggetto alpha nel caso dei lupi,
per esempio. Gli altri lo rispettano e
lo temono, ma non in senso negativo, ovviamente.
Ora, il problema è che non posso
andare dal mio puledro di un anno,
entrare nel recinto e avvicinarmi dicendo «Ciao, sono il tuo nuovo
Cavallo Numero 1. D’ora in poi fai
come dico io, che mi servi per radunare le mandrie di bovini al pascolo.» Sempre che riesca ad avvicinarmi, come minimo mi beccherei un calcio. E allora come si fa? Si
ha molta pazienza, ma veramente
molta. E un po’ per volta si cerca di
instaurare un rapporto di fiducia col
cavallo, agendo come un cavallo,
utilizzando i sensi. Le parole non
servono, lui non capirebbe. E neanche oggetti o strumenti, lui non li
usa.
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
Galileo e il concetto di scienza
nel linguaggio comune
di Fausto Loré
P
robabilmente mai come nella nostra epoca i riferimenti alla scienza e alle
sue acquisizioni sono stati così frequenti, anche nella vita di tutti i giorni.
Gli organi di informazione, in particolare, usano spesso i termini ‘scienza’
e ‘scientifico’, non soltanto nel contesto specifico, ma anche quando trattano
temi diversi, ad esempio di interesse politico o più genericamente culturale.
Il significato che viene attribuito a quei termini, tuttavia, non appare sempre corretto. Sembra anzi che il concetto di scienza oggi presente nell’immaginario
collettivo abbia acquisito un senso quasi diametralmente opposto rispetto a quello
originario.
Avendo avuto modo di rilevare questo fenomeno in diverse occasioni, recentemente ho cercato di definirlo meglio, prendendo nota di alcuni dei riferimenti al
concetto di scienza che leggevo sui giornali o ascoltavo alla radio o alla televisione e che ritenevo non corretti.
Ecco alcune delle frasi da me annotate:
«…ciò che è scientifico non può essere messo in dubbio.»
«…magari un’autorità scientifica in materia sentenzia e l’argomento da quel momento non si può più discutere.»
«Solo la scienza ci permette di capire il senso ultimo delle cose e di dare risposta
ai grandi perché dell’universo.»
«Se l’embrione umano è persona? La scienza ci dà la risposta.»
«…a volte anche certe affermazioni scientifiche si dimostrano false e questo mi
ha fatto perdere ogni fiducia nella scienza.»
Dalla lettura di queste frasi si potrebbe concludere che il miglior sinonimo della
parola ‘scientifico’ possa essere ‘dogmatico’; che l’autorità personale dello scienziato sia un elemento determinante della validità delle sue affermazioni; che il
campo di applicazione della scienza si possa estendere a qualsiasi attività umana; infine, che ciò che la scienza definisce debba essere considerato per sua
natura indiscutibile ed immutabile.
Tutto ciò, a mio parere, non è corretto. Cercherò di spiegare perché.
Forse ho trovato perchè mi piacciono tanto i cavalli. Perchè
non devi spiegar loro un bel niente. Sanno già tutto quello
che c’è da sapere, sanno come muoversi, cosa fare. L’uomo invece ha bisogno del cavallo, e se vuole avere un animale di cui si può fidare ciecamente, il modo migliore per
addestrarlo è diventargli amico, in un certo senso. Siamo i
padroni e decidiamo dove andare, ma non dobbiamo insegnargli come camminare. Se lo rispettiamo e comunichiamo con lui nel modo in cui lui capisce, ci seguirà ovunque.
Avete presente come un cane segue il proprio padrone?
Immaginatevi di entrare in un grande recinto dove ci sono 8
giumente. E tutte si avvicinano a voi e, nell’ordine gerarchico del gruppo, una alla volta vi ‘salutano’. Vi muovete e loro
vi seguono, come vi seguirebbe il vostro cane. Solo che il
cane in questo caso pesa come minimo 500 chili. Così grosso e pericoloso, così sensibile e docile.
Ho la netta sensazione di aver detto tutto e niente sul cavallo, come si doma, come si comporta. Il fatto è che 1. ho
promesso di non scrivere un romanzo; e 2. è difficile per
me mettere su carta emozioni e situazioni che vanno viste,
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se non provate in prima persona, per poter essere capite
bene. Domare un cavallo non è esattamente la prima cosa
che ci viene in mente quando sentiamo la parola ‘veterinario’. In questo senso, forse ho sbagliato facoltà. Tanto valeva andare a Psicologia. Ma è quello che mi piace di più fare,
perchè per me ‘domare’ non implica nessuna coercizione,
nessuna forzatura, nessuno stravolgere la natura di un animale a vantaggio dell’uomo. Anzi, significa tutto il contrario. Significa comunicare con un esserve vivente che usa
un linguaggio diverso dal nostro, instraurare un rapporto
che difficilmente verrà interrotto, sempre che non facciamo
qualcosa di sbagliato. Noi Uomini vogliamo sempre strafare, sappiamo tutto, facciamo tutto. Niente di più sbagliato.
Forse domare un cavallo serve di più all’Uomo che al Cavallo.
Ecco, lo sapevo, sto andando sul filosofico. Certo però anche voi, non è carino russare mentre uno parla. Brutto segno, meglio che mi fermi prima che sia troppo tardi.
Dò un’ultima occhiatina alla foto dell’albero solitario e torno
alle mie amene attività studentesche in quel di Pisa.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
Cosa è la ‘scienza’?
La scienza è una particolare modalità
di conoscenza, che si distingue da altre forme del sapere (filosofico, giuridico, religioso, ecc.) per alcuni caratteri
specifici. La scienza è un sapere empirico, cioè un sapere che trae origine
dai fenomeni del mondo e che si limita alla realtà, senza aspirare alla conoscenza del significato ultimo delle cose.
Essa mira perciò a descrivere gli eventi naturali, ad accertare le relazioni che
li collegano e a scoprire le leggi che li
governano; tende inoltre a costituire
una conoscenza sistematica, certa ed
oggettiva, potenzialmente accettabile
da tutti. La scienza si avvale di un particolare modo di procedere, il metodo
scientifico, elemento fondamentale,
che la caratterizza e consente di distinguere ciò che le è proprio da ciò che le
è estraneo.
Galileo e il metodo scientifico
Padre della scienza moderna viene
unanimemente considerato Galileo
(fig. 1), al quale viene attribuito il merito di avere individuato il metodo della
scienza, aprendo la strada ai progressi realizzati nei secoli successivi.
In realtà Galileo non elaborò una teoria
di tipo metodologico organica e completa, ma utilizzò il metodo scientifico
in concreto, descrivendolo in una serie di osservazioni e commenti disseminati nei suoi scritti.
Un esame dettagliato dei numerosi riferimenti di Galileo al metodo scientifico va oltre gli scopi di questo breve
articolo, ma in una lettera di Galileo c’è
una frase che sembra riassumere in
poche parole l’essenza di quel metodo1: “…pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci
pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non
debba in conto alcuno esser revocato
in dubbio…”. In questo passo Galileo
fa riferimento ai due momenti essenziali del metodo scientifico, che è possibile descrivere con terminologie varie e complesse, ma che in pratica
sono la fase delle osservazioni e quella delle dimostrazioni.
In sintesi, il metodo scientifico prevede una fase (che viene anche definita
induttiva), che inizia con l’attenta osservazione del fenomeno oggetto di
studio, se possibile integrata da determinazioni matematico-quantitative (in
Figura 1 - Ritratto di Galileo (Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze)
altre parole, misurazioni), e giunge alla
formulazione di un’ipotesi capace di
esprimere in termini generali il fenomeno studiato (cioè una teoria).
Alla fase induttiva segue quella deduttiva, nella quale, partendo dall’ipotesi
formulata, si cerca di verificarne la validità attraverso esperimenti appropriati.
Cioè, in termini più semplici, nella fase
deduttiva si ragiona così: se la teoria
formulata per spiegare le osservazioni
fatte è valida, allora, facendo un esperimento appropriato, otterrò un certo
risultato, che posso prevedere proprio
in base a quella teoria; se ottengo un
risultato diverso ciò significa che la teoria non è corretta e ne dovrò elaborare un’altra.
Le due fasi, quella induttiva e quella
deduttiva, si integrano a vicenda, anche se in alcune scoperte scientifiche
può avere maggiore importanza la prima (ad esempio, la scoperta delle fasi
di Venere), in altre la seconda (per rimanere a Galileo, le scoperte sulla caduta dei gravi).
Galileo e le concezioni del suo tempo
L’applicazione del metodo scientifico
permise a Galileo di rendersi conto
dell’inconsistenza del sistema aristotelico-tolemaico di rappresentazione dell’universo, che ancora dominava ai
suoi tempi. Infatti, le sue scoperte in
vari campi della scienza e la diversa
concezione della realtà fisica che egli
ne ricavò lo portarono a conclusioni in
netto contrasto con le credenze del suo
tempo.
Ad esempio, per limitarsi all’astronomia, la scoperta dell’esistenza di montagne e valli lunari (fig. 2) contraddiceva la comune idea che la luna fosse
liscia e levigata; la scoperta delle macchie solari (e la stessa scelta del termine ‘macchie’) era incompatibile con la
concezione, allora dominante, che i
corpi celesti fossero perfetti e incorruttibili; l’osservazione delle fasi di Venere (fig. 3) mal si conciliava con il sistema geocentrico; il riconoscimento che
la Via Lattea era costituita da stelle contrastava con l’idea che esistessero solo
le stelle fisse note.
Altri aspetti metodologici
Vediamo ora in maggiore dettaglio alcuni degli obiettivi, prima ricordati, che
la scienza persegue2.
L’ideale di sistematicità consiste in una
tendenza all’unificazione e all’organizzazione razionale delle conoscenze.
L’oggettività della scienza può essere
definita come la capacità della conoscenza scientifica di riferirsi agli oggetti del mondo e di descriverli come essi
sono, senza interferenze da parte del
singolo soggetto (intersoggettività).
L’ideale di oggettività si basa su tre
criteri metodologici distinti:
- l’oggettività delle osservazioni3;
- la definizione operativa dei concetti4;
- la controllabilità delle asserzioni5.
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Conclusioni
Da quanto detto emerge chiaramente
che qualunque affermazione scientifica deve essere preventivamente sottoposta alla prova di verifiche indipendenti ed imparziali; inoltre, che nessuna autorità personale può essere riconosciuta nel campo della conoscenza;
infine, che qualunque affermazione
scientifica può dimostrarsi errata o incompleta in presenza di osservazioni
migliori o di una teoria capace di spiegare i risultati delle osservazioni in
maniera più adeguata. Quindi, qualunque affermazione in campo scientifico
deve rimanere aperta alle critiche.
Ecco allora perché le affermazioni diffuse dai mezzi di comunicazione che
prima ho elencato non possono essere considerate corrette.
Figura 2
Disegno di Galileo che illustra vari aspetti
della luna (Biblioteca Nazionale, Firenze)
Memento - Rivista del Mensa Italia
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
La prima, perché non è
vero che ciò che viene definito ‘scientifico’ non può
essere discusso; infatti, le
acquisizioni della scienza,
come già detto, rimangono
sempre soggette a critica.
La seconda, perché la validità delle affermazioni
scientifiche non può dipendere in alcun modo dall’autorevolezza di chi le propone, ma deriva piuttosto dalFigura 3
la correttezza del procediLe fasi di Venere come furono osservate da Galileo
mento che ha portato alla
(Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze)
loro formulazione.
La terza, perché la scienza
non permette di dare rispozato e descritto da Galileo, maggiorsta a quesiti di tipo metafisico, essenmente mirava a contrastare, e cioè l’acdo il suo campo di interesse limitato al
cettazione acritica di acquisizioni premondo della realtà fisica.
sentate come verità assolute e l’idea
La quarta affermazione coinvolge il
che la validità di un’affermazione posconcetto di persona, che è di tipo giusa dipendere dalla presunta autorità di
ridico-filosofico e non rientra quindi nelchi la enuncia. Una migliore consapel’ambito operativo della scienza.
volezza della reale natura della conoQuanto all’ultima affermazione, non
scenza scientifica può essere di aiuto
deve meravigliare il fatto che una teoper contrastare più efficacemente queria scientifica possa rivelarsi non corsto fenomeno.
retta. Proprio quando ciò accade la
nostra fiducia o meglio la nostra razioNote
nale consapevolezza del fatto che il
1
metodo scientifico è il miglior mezzo
Si tratta della lettera inviata da Galileo a Don Benedetto Castelli il 21 didi conoscenza della realtà di cui dispocembre 1613.
niamo, deve ritenersi confermata e raf2
N. Abbagnano e G. Fornero, Protaforzata, perché, se una teoria inadeguagonisti e testi della filosofia, Paravia,
ta può essere riconosciuta tale, ciò siMilano, 2000.
gnifica che la scienza possiede in sé i
3
Perchè possa essere considerata ogmezzi per correggere i propri errori.
gettiva un’osservazione deve esseIn conclusione, sembra che nel linguaggio comune vi sia oggi la tendenza a far rivivere, con l’etichetta del termine ‘scientifico’, proprio ciò che il
metodo scientifico, così come fu utiliz-
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dal Consiglio nazionale del Mensa Italia quale organo ufficiale dell’Associazione. "
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re:
- fedele, cioè tale da rappresentare, in
linea di principio, quale realmente è
quella parte di realtà verso la quale è
diretto l’interesse del ricercatore;
- completa, cioè tale da descrivere tutti
i fatti rilevanti che riguardano quella
parte di realtà;
- intersoggettiva, cioè tale da poter essere potenzialmente compiuta da tutti gli osservatori nello stesso modo e
da poter essere ripetuta da tutti.
Per definizione operativa dei concetti si intende il fatto che ogni concetto
deve poter essere definito non in maniera astratta, bensì mediante un procedimento, magari complesso, ma
comunque connesso con la realtà
empirica.
Il criterio della controllabilità delle asserzioni richiede che ciò che la scienza afferma possa essere provato o
respinto secondo modalità accettabili da tutti.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
La gestione dei
rischi nella vita
di tutti i giorni
di Fabio Moioli
Introduzione
a gestione dei rischi (Risk Management) è ormai universalmente considerata una delle aree più
importanti per la gestione di qualsiasi
progetto. Nata dalla necessità di controllare scenari complessi e caratterizzati da elevata incertezza, questo insieme di metodologie è oggi uno strumento chiave anche nell’amministrazione aziendale. La bibliografia sempre più ampia attinente a questa disciplina è però solitamente difficile da approcciare per i non esperti del settore.
Ciò nonostante, il Risk Management
può trovare un’applicazione estremamente preziosa anche nella vita di tutti
i giorni.
Noi tutti siamo chiamati quotidianamente ad affrontare dei rischi. Non esiste anzi una sola azione che non abbia insito un qualche rischio, anche se
minimo. Per questo motivo, non potendo evitare la presenza di incognite
nella nostra vita, è meglio imparare a
gestire queste ultime nel modo più efficace, piuttosto che soccombere di
fronte agli imprevisti.
L
Definizione di rischio
Prima di proseguire oltre ritengo utile
sottolineare come, nel parlare di rischi,
ci si debba riferire a condizioni o circostanze future di cui non sappiamo l’esito. Per essere un rischio un evento non
deve quindi essere prevedibile a priori.
Se siamo sicuri che un determinato
avvenimento si verificherà, per quanto spiacevole questo possa essere,
esso non costituisce più un rischio
bensì un problema. In altre parole,
mentre un “problema” è un qualcosa
di concreto e reale, un rischio è un “potenziale problema” futuro, il quale non
si è ancora verificato e, forse, non avverrà mai.
Approccio al Risk Management
Gestire i rischi è un comportamento
decisamente proattivo. Mentre una
persona reattiva cerca di risolvere i problemi non appena essi accadono, un
individuo proattivo cerca di risolvere i
potenziali problemi prima ancora che
essi si siano verificati. Ovviamente, non
tutti i rischi possono essere individuati
in anticipo. E’ però necessario fare uno
sforzo continuo per valutare almeno i
problemi più gravi in cui si può incorrere in ogni scelta importante della
nostra vita.
Come già precedentemente detto, ogni
attività o scelta presenta un certo grado di rischio.
E’ quindi fondamentale considerare
tale elemento in ogni nostra decisone.
Se si è fortunati, si scoprirà che esistono solo rischi limitati e che non è quindi necessario intraprendere alcuna
azione per mitigarli o per prevenirli. In
caso contrario, una gestione preventiva dei rischi ci preparerà ad affrontare
al meglio tutto ciò che potrebbe causarci seri problemi in futuro.
Strategie di gestione dei rischi
Una corretta gestione dei rischi implica un’analisi approfondita ed eventualmente un’azione nei confronti di tutte
quelle situazioni in cui la prevenzione
risulti essere più semplice e più economica della risoluzione del problema
a posteriori.
Una volta identificati i rischi scopriremo che, nonostante essi spesso non
possano essere eliminati interamente,
molti di questi possono essere almeno resi meno severi.
Lo scopo della gestione dei rischi è
quindi quello di stabilire le azioni più
appropriate per ridurre la probabilità
che un rischio si materializzi o, in caso
si verifichi, ridurne l’impatto negativo.
Esistono diverse tecniche per ottenere
questo risultato. Di seguito elencherò
alcune delle più importanti fra queste.
• Evitare il rischio (Risk Avoidance)
In caso un rischio sia estremamente
serio e non fossimo in grado di tollerarne le conseguenze, una possibile
scelta potrebbe essere quella di evitarlo completamente, prendendo una
scelta che lo escluda, o sottraendoci
all’attività ad esso collegata.
Nel caso si procedesse come descritto sopra è però importante considerare tutti i nuovi rischi associati con la
nuova scelta, diversi dal rischio che
abbiamo voluto “evitare” ma non per
questo sempre inferiori a quest’ultimo.
Alcuni esempi di Risk Avoidance pos-
sono essere non fare un viaggio che
abbiamo scoperto essere troppo pericoloso, non accettare un lavoro eccessivamente esposto ad infortuni, o non
frequentare una persona che sappiamo essere violenta. In campo aziendale una scelta di tipo “Risk Avoidance” è fatta ogni volta che si decide di
non fare partire un determinato progetto o di non investire in uno specifico
prodotto e/o mercato. Gli esempi sono
ovviamente infiniti, anche se di solito
contraddistinti dal fatto di “non fare
qualcosa”.
• Trasferimento del rischio
(Risk Transference)
Una strategia molto usata di gestione
del rischio è quella di “trasferire” lo stesso ad una qualche altra persona od
istituzione. Nel fare ciò il rischio continua ad esistere senza essere limitato
né nel suo possibile impatto né nella
sua probabilità di accadere. Le sue
conseguenze vengono però trasferite
o quanto meno condivise con qualcun
altro.
Un tipico esempio di questa tecnica
sono i contratti d’assicurazione, i quali
trasferiscono il rischio di perdite finanziarie dall’assicurato all’assicuratore. In
tale caso, di fronte ad eventi imprevedibili quali un furto od una calamità
naturale, il costo del rischio è effettivamente trasferito all’assicuratore. Come
compenso a tale trasferimento del rischio l’assicurato dovrà però pagare
una quota fissa all’assicuratore. Il rischio di una grossa perdita viene così
sostituito con un costo sicuro ma più
limitato e quindi gestibile.
Le banche sono vere e proprie istituzioni basate sul concetto di risk transference. Aprire un conto corrente sposta infatti il rischio di una rapina dal
correntista all’istituto bancario, così
come sposta il rischio di prestare dei
soldi ad un’impresa in crescita dal privato alla banca. Chiaramente, nel fare
tutto ciò la banca si prende una buona
quota di margine, quale compensazione a questa gestione del rischio.
Diverse forme contrattualistiche legate all’acquisto di nuovi prodotti sono
altri esempi di risk transference, strategia valida in particolar modo ogni
volta che si desideri trasformare un rischio troppo elevato in un costo sicuro ma gestibile.
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• Riduzione del rischio
(Risk Reduction o Risk Mitigation)
Il Risk Reduction (o Risk Mitigation) è
forse la strategia adottata più frequentemente di fronte ad un rischio. Si tratta del tentativo di limitare la probabilità
che un rischio si verifichi o di limitarne
le conseguenze negative una volta che
esso si sia verificato. Ovviamente,
l’eventuale costo associato alla riduzione del rischio deve essere proporzionato all’effettivo valore della mitigazione che si può ottenere.
Un esempio di tale approccio è l’installazione un airbag in macchina o il guidare più lentamente. La prima di queste scelte può ridurre l’impatto del rischio incidente mentre la seconda ne
limita la probabilità di accadere. Un altro esempio di questo approccio, che
applichiamo di continuo anche se inconsciamente, è l’uso di adeguate protezioni nell’effettuare un lavoro pericoloso, di un casco quando andiamo in
bici, o di vestiti pesanti in inverno. La
prenotazione di un locale al chiuso per
un matrimonio nel caso il buffet all’aperto dovesse rivelarsi impraticabile per il
maltempo (riduzione dell’impatto negativo) o la scelta di un mese poco piovoso per sposarsi (meno probabilità
che piova) sono altri esempi ancora di
tale strategia. Una particolare casistica
di tale approccio è infine la cosiddetta
diversificazione del rischio (Risk Diversification), in cui si cerca di distribuire
il rischio da una singola attività o bene
a più attività o beni, così da evitare di
perdere tutto in una sola volta.
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• Accettazione attiva del rischio
(Risk Contingency Planning)
A differenza di quando adottiamo una
strategia di “Risk Mitigation”, nel caso
di “Risk Contingency Planning” non
viene intrapresa alcuna azione preventiva al verificarsi del rischio. Ci si prepara invece ad effettuare determinate
azioni solo ed esclusivamente nel caso
in cui il rischio si verifichi effettivamente.
In questa tipologia di gestione dei rischi rientrano ad esempio un piano di
evacuazione d’emergenza nel caso di
incendio o lo studio di azioni alternative da intraprendere nel caso una nostra azione non vada a buon fine. Questa tecnica è molto spesso usata in
contesti militari o dove l’imprevedibilità sia molto alta, così da rendere la
mitigazione o la riduzione del rischio
molto difficile da ottenere.
E’ importante sottolineare che l’accettazione attiva del rischio implica l’agire solo a posteriori, in un certo senso
in modo reattivo. Ciò nonostante, tale
azione di risposta al rischio è studiata
e pianificata a priori, prima ancora che
il rischio si sia verificato, ovvero in
modo proattivo. Degno di nota è infine il fatto che l’accettazione attiva del
rischio presenta dei costi di implementazione quasi esclusivamente nel caso
il rischio si sia effettivamente verificato. Questo la differenzia notevolmente
dalle tecniche descritte precedentemente, le quali prevedono dei costi
certi indipendentemente dal fatto che
il rischio si verifichi o meno.
• Accettazione passiva del rischio
(Risk Acceptance)
Una decisione che potremmo compiere una volta identificato un rischio è una
passiva ma consapevole accettazione
dello stesso, senza fare nulla per mitigarlo, trasferirlo, o per prepararci a reagire al suo verificarsi.
E’ bene notare come accettare passivamente un rischio significhi soffrire
interamente le sue possibili conseguenze. Essendo però in anticipo a
conoscenza di queste ultime, saremo
almeno psicologicamente pronti ad
affrontarle.
Questa strategia è solitamente appropriata per quei rischi minori per cui non
consideriamo utile ed efficace intraprendere alcuna azione.
Conclusioni
Una corretta gestione dei rischi è ciò
che spesso distingue un progetto di
successo da uno che fallisce miseramente. Individuare e gestire i rischi può
quindi essere un elemento fondamentale nella nostra vita privata e nelle scelte che siamo chiamati a prendere ogni
giorno.
Le strategie descritte precedentemente coprono la maggior parte delle opzioni che ci si presentano di fronte ad
un rischio. Esse possono essere applicate sia singolarmente che più di una
in una volta. Ciò che più importa è però
il fatto di usarle attivamente ed in modo
continuativo, senza aspettare che i rischi diventino problemi.
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d’amore con un “sì”? l’agognata laurea ha finalmente premiato un “over98%”? Su Mensa News potrete festeggiare
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galaxia
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
Il dottor
Stranamore
ovvero come imparai
a non preoccuparmi
e ad amare la bomba (*)
di Federico “JollyRoger” Cantoni
Vicino, molto vicino
l delicato equilibro nucleare tra le due
potenze è stato per molte volte a
rischio, sia in situazioni “ufficiali”,
come la crisi cubana, che in altre meno
evidenti.
Abbiamo raccolto qui alcuni casi eclatanti di “close calls” e “nuclear accidents”, cioè situazioni dove si è arrivati a
pochi minuti dallo scoppio di una guerra per motivi politici o errori militari:
sono solo un piccolo campionario di
fatti noti per fughe di informazioni o per
l’apertura di parte degli archivi negli
anni ‘80, o perché scoperti dalla stampa indipendente. Alcune sono state
evitate per perizia degli uomini, altre
per pura fortuna. A volte, anche per
sbagli involontari.
I
1. Le coincidenze di Suez
5 novembre 1956
In seguito all’attacco franco-inglese all’Egitto per il possesso del canale di
Suez, sovietici e americani uniti minacciarono Francia e U.K. della possibilità
di lanciare un contrattacco non nucleare congiunto su Londra e Parigi. La
tensione era altissima. Quella notte il
NORAD, il comando americano, ricevette quattro messaggi: a) aerei non
identificati in volo sulla Turchia; b) 100
MIG-15 sovietici in volo sulla Siria; c)
un bombardiere Canberra inglese abbattuto sulla Siria; d) la flotta sovietica
in movimento attraverso lo stretto dei
Dardanelli. Questa situazione, che corrispondeva vagamente ad uno scenario previsto per uno scontro, spinse la
NATO a valutare l’attivazione del piano di contrattacco nucleare sull’URSS.
Gli allarmi risultarono, rispettivamente:
a) uno stormo di oche; b) un piccolo
volo di scorta al presidente siriano di
Seconda parte - La prima parte è
stata pubblicata sul precedente
numero di Memento; sul prossimo
la terza e ultima parte.
(*)
ritorno da Mosca; c) un Canberra costretto ad un atterraggio di fortuna da
un guasto meccanico; d) una esercitazione da tempo programmata e comunicata
2. Visita di cortesia
6 settembre 1957
Durante una visita guidata per alte personalità al quartier generale del NORAD
venne mostrato ad un gruppo di dirigenti della United Press, della Bell, della Howell e della IBM un pannello di
allarme. L’ufficiale accompagnatore
spiegò che se la prima luce si fosse
accesa, avrebbe voluto dire che c’era
un oggetto in volo, ma non era preoccupante. Con due o più luci, gli oggetti
sarebbero stati pochi, e ancora non
sarebbe stata una situazione sospetta. Cinque luci significavano che diversi oggetti erano in volo per l’America,
e che probabilmente si trattava di un
attacco. Mentre l’ufficiale parlava, si accesero una, due e poi tre luci. Poi se
ne accese una quarta e l’intero quartier generale si mise in moto. Vennero
chiamati i generali, che in pochi secondi raggiunsero la sala. Le procedure di
contrattacco furono attivate, come da
manuale. I visitatori furono portati in un
ufficio, e passarono venti minuti di terrore, dopodiché il loro accompagnatore entrò nella sala e ammise che si trattava di un errore di rilevamento causato dai riflessi della luna. Nei successivi
cinque mesi, il sistema diede un grande numero di falsi positivi.
3. Stelle Cadenti
1959, data imprecisata
Stando ad una inchiesta del Dipartimento della Difesa ed alla deposizione del Comandante in Capo dello Strategic Air Command Generale Thomas
S. Power, in una data imprecisata durante il 1959 il sistema di controffensiva nucleare venne portato alla massima allerta a causa di un allarme missilistico legato ad un probabile attacco
russo. I “missili”, che apparivano come
tracce di oggetti meteorici in ingresso
nell’atmosfera, vennero creati su tutta
la rete radar dalle interferenze di trasmettitori ad alta frequenza o da oggetti non identificati in volo in formazione. Seppure la definizione di UFO
sia legittima, non è automatico pensare ad uno sciame di navette aliene.
Cosa abbia generato quelle letture su
una rete così vasta e protetta, è ancora oggi un mistero.
4. Il Silenzio di Thule
24 novembre 1961
La notte del 24 novembre 1961 il NORAD perse improvvisamente ogni comunicazione con i quartieri generale
del Comando Aereo Strategico a Thule (Groenlandia), Clear (Alaska) e Fillingdales (UK), che svolgevano il compito di sorveglianza avanzata. Una coincidenza di guasti era teoricamente
esclusa: anche i tre sistemi di comunicazione di riserva non funzionavano,
e il silenzio delle basi poteva significare l’inizio di un attacco russo. Tutti i
bombardieri nucleari B-52 americani si
prepararono al decollo, e un B-52 in
volo di sorveglianza venne contattato
e usato per stabilire un ponte radio con
la base di Thule, che rispose ignara di
tutto. Il motivo del silenzio era dovuto
ad un guasto ad una centralina telefonica in Colorado, attraverso cui passavano tutte le linee di comunicazione
con gli avamposti nel nord, incluse
quelle di riserva.
5. Errore di rotta, 23 agosto 1962 –
durante la Crisi di Cuba
Un bombardiere in volo sulla rotta di
pattuglia “Chrome Dome” tra Ellesmore Island e Barter Island (Alaska) il 23
agosto 1962 commise un errore di
navigazione di circa 20° verso nord,
entrando per circa 200 Km nello spazio aereo russo, fin sulla base aerea
nemica di Wrangel Island, che allora
ospitava degli intercettori a lungo raggio, che si levarono in volo. L’aereo
venne richiamato in tempo, ma un
abbattimento avrebbe potuto fare
esplodere le testate a bordo e scatenare una guerra. Vista la mancanza di
punti di riferimento e la difficoltà della
rotta, questa venne cambiata in seguito all’ incidente, allontanandola dal confine.
6. Esplode un satellite, 24 ottobre
1962 – durante la Crisi di Cuba
Il 24 ottobre dello stesso anno, un satellite russo, 62 Beta Iota, entrò in orbita e, poco dopo, esplose. L’esplosione spinse gli americani a credere ad
un lancio di missili nucleari da una stazione spaziale, un evento considerato
“probabile” durante la crisi. I dati relati-
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galaxia
vi a questo incidente sono ancora sotto segreto, per nascondere la reazione delle due superpotenze a questo
incidente che avrebbe potuto dare un
esito diverso alla crisi.
7. L’intruso, 25 ottobre 1962 –
durante la Crisi di Cuba
Sempre in piena crisi cubana, una guardia del Centro Direzionale della base
di Duluth, Minnesota, vide una figura
muoversi all’interno del campo e inoltrò l’ “allarme sabotaggio” a tutte le basi
della zona. A Volk Field, Wisconsin,
però un errore di cablaggio degli allarmi fece suonare l’allarme aereo. Essendo già a DEFCON3 (allerta militare) per
la crisi cubana, gli F-106A si prepararono al decollo armati con testate nucleari, convinti che fosse iniziata la III
guerra mondiale. Solo una auto mandata di corsa alla pista di volo dal Comando, che aveva avuto spiegazioni
telefoniche da Duluth, riuscì a fermare
gli aerei. L’intruso era in realtà un orso
selvatico.
8. Inseguendo le spie, 26 ottobre
1962 – durante la Crisi di Cuba
La notte del 26 ottobre, un aereo spia
U2 in volo sul polo nord venne deviato da errori di rotta causati dall’aurora
boreale (che interferiva con i sestanti
usati in assenza di punti di riferimento
a terra) sulla penisola di Chukotski, in
Siberia. Inseguito da intercettori MIG,
l’aereo spia venne fatto rientrare verso
l’Alaska, ma finì il carburante mentre
si trovava ancora sullo spazio aereo
russo. Due caccia F-102A vennero fatti decollare per scortare l’U2 in una planata verso la base e per allontanare i
MIG dallo spazio aereo americano.
Entrambi i caccia erano armati con
missili nucleari, utilizzabili a discrezione dei piloti. Un simile incidente era
accaduto già nell’agosto precedente,
poco dopo l’errore di rotta del B-52
sulla rotta “Chrome Dome”.
9. Una piccola dimenticanza, 26
ottobre 1962 – durante la Crisi di
Cuba
Sempre durante il periodo caldo della
Crisi di Cuba, un missile Minuteman era
in corso di allestimento alla base di
Malstrom, Florida. Per accelerare i tempi di installazione, a seguito dell’allarme diramato, vennero saltate alcune
delle procedure di sicurezza. Finita l’in20
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
stallazione del missile, i codici di lancio vennero lasciati nel silo. Un solo
uomo avrebbe potuto decidere di lanciare il missile pienamente armato su
un qualsiasi bersaglio, senza autorizzazione. Per tutto il resto della crisi,
diversi missili alla base di Malstrom
mostrarono difetti, allarmi e errori, ma
per pura fortuna non ci fu una combinazione di malfunzionamenti tale da
causare un lancio non autorizzato,
anche se in seguito l’eventualità venne definita, durante un inchiesta governativa, “assolutamente non escludibile”.
10. Lanci sospetti e satelliti vaganti,
26-28 ottobre 1962 – durante la Crisi
di Cuba
In pieno DEFCON3, dovuto alla crisi di
Cuba, a Vandenburg (California) era in
programma un test su un razzo vettore. Tutti i razzi erano stati armati con
testate nucleari a causa della crisi, tranne quello per il test. Il lancio venne svolto regolarmente, ma i Russi non potevano sapere che si trattava di un razzo di prova e non armato. Probabilmente non reagirono perché informati
da fonti di spionaggio. Poche ore dopo,
un secondo test precedentemente stabilito di un vettore Titan II venne svolto in Florida: il radar americano di Moorestown vedendo la lettura della traccia segnalò il lancio di missili da Cuba.
Solo in seguito a questi due incidenti
si cominciò ad avvertire in anticipo le
postazioni radar dei test programmati.
Due giorni dopo, alle 9.03 am, sempre alla base di Moorestown, durante
un esercitazione simulata un satellite
in movimento sull’orizzonte venne
scambiato per un missile in avvicinamento. Il secondo radar che avrebbe
dovuto verificare la lettura (ed escluderla) era guasto, e la struttura che avrebbe potuto notificare la presenza del
satellite era impegnata nel controllo
della crisi di Cuba: tutto il NORAD venne messo in allarme. L’allarme si dimostrò falso solo quando, a procedure iniziate, non venne rilevata l’attesa
esplosione nucleare a Tampa (Florida).
Un incidente identico si verificò solo
poche ore dopo, alle 5.26 p.m. alla
base di Laredo. Essendo appena resa
operativa la base era considerata ancora “a bassa affidabilità”, cosa che
avrebbe fatto ignorare l’allarme, ma la
confusione con il messaggio del mat-
tino portò gli operatori ad attribuirlo erroneamente a Moorestown, un punto
di ascolto estremamente affidabile.
Anche questa volta a procedure iniziate ci si rese conto dell’errore perché la
Georgia era ancora al suo posto.
11. Cuba e il mondo, ottobre 1962 durante la Crisi di Cuba
Il periodo della Crisi di Cuba, fu indubbiamente uno dei più pericolosi per la
sopravvivenza della razza umana. Vari
incidenti diplomatici misero a rischio
la già fragilissima stabilità delle relazioni USA-URSS. Durante la crisi, il Comando Bombardieri inglese su propria iniziativa si mise in condizione di lanciare i missili nucleari con meno di 15
minuti di anticipo. Lo spionaggio russo considerò questa mossa come un
piano coordinato per la preparazione
ad una guerra: non potevano sapere
che questa mossa non era stata autorizzata né dal ministro della difesa, né
dal governo, né concordata con le forze alleate. Molti altri comandanti di basi
in Europa, tra cui alcune italiane, tedesche e turche, decisero passare a DEFCON3 nonostante l’esplicito ordine
della NATO di non farlo per limitare la
minaccia: le basi probabilmente reagirono contrariamente agli ordini in seguito ad un preavviso non autorizzato
dato il 17 ottobre dal comandate delle
Forze Aeree Americane in Europa Truman Landon. Solo grazie all’abilità diplomatica degli ambasciatori queste
dichiarazioni di ostilità vennero ridimensionate.
12. L’avvertimento Penkovsky, 2
novembre 1962 – durante la Crisi di
Cuba
Oleg Penkovsky, spia russa passata
agli americani e infiltrata nel KGB, era
in possesso di un codice per avvertire
la CIA di un imminente attacco nucleare sugli Stati Uniti: chiamare due volte,
a distanza di un minuto, e soffiare nel
ricevitore, poi lasciare un messaggio
in un punto di raccolta a Mosca. Il 2
novembre il messaggio arrivò, ma
Penkovsky era caduto nelle mani del
controspionaggio dieci giorni prima, ed
era condannato a morte. Un altro agente CIA fu arrestato nel cercare di raccogliere il messaggio nel punto di raccolta. Non si sa se il codice sia stato usato volontariamente dal KGB con inten-
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galaxia
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
to provocatorio o se Penkovsky sotto
tortura avesse rivelato il segnale ma
non il significato.
13. Guasti e blackout, novembre
1965
Vicino alle basi militari erano installati
dei sensori in grado di rilevare una
esplosione nucleare e di avvertire il
comando prima dell’ovvia interruzione
delle comunicazioni. Una luce rossa si
sarebbe accesa al Comando nel tempo tra il lampo dell’esplosione e l’arrivo dell’onda termica, mentre sarebbe
stata gialla in caso di guasto o di mancanza di energia. Durante il blackout
del 1965 in tutto il nordest degli Stati
Uniti le centraline segnalarono “giallo”,
tranne due di loro che per un guasto
segnalarono “rosso”. Il significato di
questo messaggio portava a intendere che due esplosioni nucleari avevano colpito gli Stati Uniti ed avevano interrotto le forniture di energia. Il Comando di Emergenza entrò in stato di massima allerta, ma apparentemente per
un errore nel processo di comunicazione l’apparato militare non venne
mobilitato.
14. B-52 is down, 21 gennaio 1968
Il 21 gennaio 1968 un incendio si sviluppò a bordo di un B-52 in volo di
pattuglia su Thule. Fallito l’atterraggio
di emergenza alla base, l’equipaggio
si gettò col paracadute, e l’aereo si
andò a schiantare sul ghiaccio a 5km
di distanza dalla costa. L’aereo si trovava su una nuova rotta, non ancora
segnalata nelle carte della Casa Bianca. Nonostante l’esplosione del carburante e dei detonatori delle 4 testate a
bordo, il combustibile nucleare non si
innescò, ma il plutonio venne disperso su una area di oltre 90.000 metri
quadrati, anche in pezzi delle dimensioni di un pacchetto di sigarette. Allora non era ancora garantita la sicurezza delle testate in caso di incidente simile, e si crede che la mancata esplosione sia dovuta solo ad una gran fortuna, poiché l’esplosione dei detonatori avrebbe dovuto dare il via alla reazione. In caso di esplosione nucleare
la base sarebbe stata spazzata via: la
mancanza di comunicazione con il
NORAD, la lettura di una esplosione e
la mancanza di informazioni sul volo
disperso avrebbe certamente condotto ad un contrattacco americano. In
seguito a questo incidente venne abbandonata la pratica di mantenere costantemente un terzo dei bombardieri
in volo con tutto l’armamento nucleare pronto ad una guerra.
15. La crisi mediorientale, 24-25
ottobre 1973
Durante la crisi arabo-israeliana del
1973 scoppiarono degli scontri tra le
forze Israeliane ed Egiziane nel Sinai.
La CIA informò il governo che l’URSS
sarebbe intervenuta in favore degli
Egiziani. Nixon non era reperibile a causa dei problemi derivanti da Watergate, e Kissinger ordinò il passaggio a
DEFCON 3, più per spaventare i Russi
che non per prepararsi ad una guerra.
Il giorno successivo, quattro meccanici alla base di Kinchole, Michigan, attivarono per errore il sistema di allarme
della base durante un intervento di
manutenzione. I piloti dei B-52 prepararono gli aerei sulla pista di decollo e
cominciarono il rullaggio. Solo grazie
alla prontezza dell’ufficiale di guardia
gli equipaggi vennero richiamati prima
del decollo.
16. Giochi di guerra, 9 novembre
1979
La mattina del 9 novembre 1979 i quattro principali centri di comando americani rilevarono sui loro schermi radar
oltre 200 missili in arrivo su tutto il territorio. Lo scenario era quello di una
guerra reale, e un errore dei computer
su quattro differenti sistemi era escluso. Furono lanciati diversi aerei, incluso quello presidenziale, ma senza il
Presidente Carter che non essendo stato informato era irreperibile. Per un grave errore di valutazione non fu nemmeno usato il Telefono Rosso per accertarsi delle intenzioni sovietiche o per
dichiarare una reazione. In soli 6 minuti la macchina militare era quasi
pronta alla risposta su larga scala,
quando alla mancata conferma dell’avvistamento dei missili da parte di satelliti e radar avanzati ci si rese conto
che si trattava di un programma di test,
lanciato per errore da parte del centro
NORAD in Colorado. Nell’anno successivo ci furono altre quattro false segnalazioni simili, che spinsero alla creazione di un centro di test separato dalla
vera rete militare. Il Sottosegretario alla
Difesa di Regan, Fred Ikle, qualche
anno dopo ha dichiarato che se ci fos-
se stata in contemporanea una crisi in
corso, probabilmente la risposta americana sarebbe scattata immediatamente e il pericolo di guerra sarebbe
stato estremamente reale.. Questo incidente ispirò il film Wargames – giochi di guerra.
17. 46 centesimi, 3 giugno 1980
Sempre al centro di comando del NORAD si trovava un display che riportava il numero di missili balistici e di missili nucleari rilevati in forma di “0000
ICBMs detected 0000 SLBMs detected”
(rispettivamente, 0 missili intercontinentali e 0 missili lanciati da sottomarini). Alle 2:25 a.m. del 3 giugno 1980
alcuni degli zeri cominciarono a cambiare in 2, passando da 0000 a 0002,
poi a 0200, a 0220, a 2200 in 18 secondi. E altri posti di comando avevano letture anche diverse. I bombardieri accesero i motori, si alzarono in volo
i centri di comando mobili e si prepararono al lancio tutti i missili. Alle 2.26
il Colonello William Odom allertò Consigliere alla Sicurezza Nazionale Americano Zbigniew Brzezinski, che svegliò il presidente Carter. Pochi minuti
dopo, prima di avere in linea il presidente, l’errore fu scoperto e l’allarme
rientrò. Solo tre giorni più tardi la cosa
capitò di nuovo e si riattivò ancora l’intera macchina militare. Tutto ciò, si scoprì, derivava da un chip da 46 centesimi di dollaro che aveva un piccolo difetto di progettazione e che in determinate, rare occasioni produceva numeri errati.
18. Restare fuori, 1980, data
imprecisata
A metà del 1980 un missile scientifico
canadese, che aveva il compito di portare in orbita delle apparecchiature meteorologiche, scatenò il panico nell’esercito statunitense. Il missile, che a
una prima lettura (errata) sarebbe ricaduto sul territorio americano, fece scattare l’allarme DEFCON 3 e poco dopo
addirittura DEFCON 2, ad un passo
dalla dichiarazione di guerra. Nella fretta
di sigillare le basi in preparazione delle
esplosioni nucleari, diversi uomini furono dimenticati all’esterno o non fecero in tempo a raggiungere i centri di
comando e i bunker protetti. L’allarme
rientrò dopo 10 minuti, con grande gioia degli uomini rimasti all’esterno.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
La verginità di Maria:
miracolo o mistificazione?
di Paolo Pavanello
S
ulla verginità di Maria c’è da dire molto. Per i primi 3
secoli a nessuno venne in mente di dubitare se Maria
era vergine, si accettava senza difficoltà che ella fosse vergine al concepimento, molti erano i figli di dio nati da
vergine: Mitra, Dionisio, Attis, Asclepio, Horus.
Anche il fatto che Gesù avesse dei fratelli era uno status
che per la gente di allora veniva accettato come assolutamente normale. Tuttavia la fiaba del cristianesimo nascente
doveva combattere con la concorrenza e dimostrarsi, se
non superiore, almeno alla pari delle altre religioni che erano presenti in tutto l’impero. Oltre Mitra, la religione più diffusa con un numero di adepti superiore certamente al cristianesimo, la religione egizia di Iside era la più vicina, la
più temibile e Iside era vergine e da vergine aveva partorito
il figlio Horus, e come Gesù, Horus era un dio incarnato
sceso sulla terra per salvare il mondo. Il culto di Iside fu
duro a morire, a Roma nel 394 DC si fece l’ultima processione, tipo quelle che si fanno oggi per la Madonna e l’ulti-
19. Equinozio d’autunno, 26
settembre 1983
Nel 1982 i sovietici inaugurarono un
nuovo sistema di allarme avanzato
contro i missili, che si basava sull’osservazione dell’orizzonte da satelliti su
un’orbita speciale (“Molnyia”) invece
che sul rilievo di tracce di oggetti in
movimento da satelliti geostazionari.
In teoria il sistema era progettato per
evitare i classici falsi allarmi dovuti a
nuvole e neve. Ma contrariamente alle
previsioni, alle 00.40 a.m. del 26 settembre uno sfortunato quanto imprevedibile allineamento cosmico tra sole,
terra, satellite causò una serie di falsi
allarmi. Quella notte al controllo del satellite c’era il promettente Luogotenente
Colonnello Stanislav Petrov, che sostituiva un suo collega. Quando Petrov
vide un solo missile segnalato pensò
ad un errore. Poi i missili diventarono
tre, poi cinque. Petrov sotto una immensa pressione psicologica prese la
decisione di non segnalare l’attacco,
valutando che un eventuale suo errore sarebbe costato milioni di vite in un
senso o nell’altro. “Non si scatena una
guerra con cinque missili”, fu il suo
commento alla vicenda quando questa venne resa pubblica nel 1998. Petrov fu accusato di aver ignorato il protocollo militare, nonostante la sua abilità di giudizio, ma pur non essendo
22
mo tempio di Iside venne chiuso nel 560 DC.
Quindi anche Maria, sotto l’influenza e la forte spinta di questa religione, non doveva essere da meno, i vescovi discussero animatamente per secoli sulla sua verginità, sinodi e
concili non conclusero mai nulla e la tanto discussa verginità ebbe bisogno di ben 2 concili per essere definitivamente
proclamata come dogma, il primo nel 431 in oriente ad
Efeso e il secondo, il più combattuto, in occidente nel 649,
fu il concilio Laterano. Il clero ci mise 600 anni a far sapere
al mondo la verità: ella fu vergine ante partum, in partu,
post partum.
Questo dunque fu il dogma, questo è quanto i cristiani odierni
devono ciecamente credere senza porsi domande. Così
deve essere.
Ma se invece non si non volesse delegare ad altri il proprio
pensiero e si volesse usare la propria mente per cercare di
capire come stanno le cose, ci si potrebbe porre delle domande e, a prescindere dal fatto puramente fisiologico sul
quale solo un miracolo è in grado di dare la spiegazione, si
potrebbe per esempio cominciare ad esaminare l’angusto
problema dando un pò di attenzione ai testi in circolazione
a quei tempi. Purtroppo la letteratura cristiana ed extra-cristiana riferita al 1° secolo è molto scarsa, sembra che nes-
punito col carcere venne ritenuto un
ufficiale non più affidabile e la sua carriera fu stroncata da una critica pretestuosa per “errori di archiviazione” di
alcuni moduli. Petrov si ritirò pochi anni
dopo dall’esercito, e si trovò a vivere
in povertà. L’intero incidente fu passato sotto silenzio. Due mesi dopo questo “incidente”, quando questo era
ancora sconosciuto anche al Governo
Americano, venne trasmesso per la
prima volta il film “The Day After”, che
spinse a serie considerazioni sugli effetti del “fallout”, la ricaduta radioattiva. Quando i fatti divennero pubblici,
negli anni ’90, Petrov fu insignito del
premio “Cittadino del Mondo”.
20. Mare Mosso, agosto 1984
Fonti non ufficiali affermano che a metà
dell’Agosto 1984 un sottufficiale del
Quartiere Generale della Flotta di Vladivostok trasmise senza alcuna autorizzazione un segnale di massima allerta nucleare a tutte le unità marittime
della Flotta Rossa. Per oltre trenta minuti l’allarme fu ritenuto reale, finché
alcuni comandanti non contattarono
direttamente il comando per richiedere ulteriori istruzioni. I movimenti della
flotta furono visti da un satellite americano e da uno giapponese, ed entrambe le flotte si prepararono allo scontro
e vennero portate in stato di allerta; I
##
sottomarini che ne erano dotati, armarono i missili nucleari e iniziarono i preparativi al lancio. Alcune delle coincidenze di questa crisi ricordano molto
strettamente il romanzo di Tom Clancy “Caccia a Ottobre Rosso”, pubblicato quello stesso anno.
21. Aurora Boreale, 25 gennaio
1995
Il 25 gennaio 1995 il sistema radar russo rilevò un missile a soli 5 minuti di
volo da Mosca. Il profilo corrispondeva ad un missile Trident americano lanciato da un sottomarino per una operazione di accecamento dei radar: in
questo caso appena dietro l’orizzonte
ci sarebbe stato uno stormo di missili
diretti sulla Russia. Si attivò l’allarme,
ma solo 5 minuti dopo fu chiaro che il
missile sarebbe caduto fuori dai confini russi, i radar persero la lettura e i
satelliti invalidarono l’allarme. Intanto,
Eltsin aveva avuto occasione di usare
per la prima volta nella sua carriera, la
“palla nucleare”, un meccanismo di comunicazione con i vertici militari in
caso di crisi. Il missile era norvegese,
si chiamava Black Brant VII, era partito
da Andoya, ed era parte di un progetto di ricerca congiunto sulle aurore
boreali. 35 nazioni, tra cui la Russia,
erano state avvertite per tempo del lancio.
$
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
suno degli storici contemporanei si sia accorto del passaggio di un dio che faceva miracoli, guariva migliaia di persone ogni mattina, resuscitava i morti, resuscitò egli stesso; a
parte i vangeli, nulla.
A chi volesse quindi accingersi e cimentarsi attorno a questo intricato interrogativo, non resta che guardare quanto è
scritto nei vangeli, precisamente a partire da Matteo 1, 25.
Versione greca: “kai oik eginosken auten eos oi eteken ton
uion auton ton prototokon kai ekalesen to onoma autou
Iesoun”
Versione latina: “Et non cognoscebat eam donec peperit
filium suum primogenitum: et vocavit nomen eius Iesum”
Versione italiana: “E non la conobbe [nel senso biblico di
non ebbe con lei rapporti coniugali] finché ella non ebbe
partorito il suo figlio primogenito, e gli dette nome Gesù”.
Versione CEI con imprimatur 1988: “... la quale, senza che
egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù”
Che cosa dunque si è voluto nascondere in questa versione CEI opportunamente modificata e corretta? Semplicemente che Gesù fosse uno dei tanti figli avuti da Maria. Come
testimoniato più avanti nei vangeli stessi, si è voluto fare
credere invece che fosse il “primogenito” poichè accettando che egli abbia avuto dei fratelli, automaticamente si esclude la verginità di Maria, quanto meno post partum.
Ma che dicono i vangeli a proposito dei fratelli di Gesù?
Nel Vangelo secondo Marco (6,3) sì afferma che egli avesse
ben quattro fratelli e più di una sorella. Lo stesso dicasi del
Vangelo di Matteo (13,55). Marco di nuovo in (3,32) cita fratelli e sorelle in un numero imprecisato. Anche Giovanni
(7,5) indica la presenza di fratelli.
I fratelli e le sorelle di Gesù, in ossequio al predetto dogma,
da allora sono sempre stati fatti passare allegramente per
fratellastri nati da un precedente matrimonio di Giuseppe,
oppure per cugini adducendo quale unica motivazione che
in aramaico e in ebraico non esiste un termine specifico per
indicare “cugino” o “fratello” e che l’indicazione di “fratello”
(acha in aramaico – ach in ebraico) può essere usata anche
per indicare “cugino”.
Tuttavia, coloro che adducono questa argomentazione a
dir poco risibile dimenticano, o meglio, omettono di considerare che i Vangeli sono stati scritti in greco ed in greco
esistono parole ben determinate e specifiche per indicare
fratelli (adelphoi) e cugini (anepsioi). Nel NT si usa proprio
Anepsioi in Col. 4, 10 per indicare “cugini”, il ragionamento
ecclesiastico quindi non regge, non v’è dubbio, per i radattori dei Vangeli Giacomo, Joses, Giuda e Simone sono proprio i fratelli di Gesù.
Volendo peccare di pignoleria e a conforto della tesi in questione, si potrebbe a questo punto prendere in esame altri
storici, ad esempio Giuseppe Flavio.
Chi è Giuseppe Flavio? E’ lo storico più accreditato del 1°
secolo, nato nel 36/37 DC egli era un sacerdote, figlio di
sacerdote e quindi appartenente a famiglia di sacerdoti,
educò i suoi figli affinchè diventassero sacerdoti anch’essi.
galaxia
Il padre, se ci fosse stato il processo a Gesù nel sinedrio
come vorrebbero farci credere i Vangeli, avrebbe potuto
essere, in qualità di sacerdote, un testimone eccellente, ma
ciò non viene riportato da nessuno storico, nè tantomeno
da Giuseppe Flavio stesso. Egli poi era comandante delle
truppe ebraiche durante la presa di Gerusalemme caduta
alla fine della 1° guerra giudaica avvenuta tra il 66 e il 70
DC, quindi chi più di lui potrebbe essere preso quale testimone di Gesù e dei suoi fratelli? In Antichità Giudaiche, XX,
200 possiamo leggere:
“... convocò una sessione del Sinedrio e vi fece comparire il
fratello di Gesù detto Cristo che si chiamava Giacomo”
Lasciando perdere se il passo sia autentico o no, cosa che
potremo prendere in esame in un articolo successivo, abbiamo qui una prima testimonianza in testi extra-cristiani su
un fratello di Gesù.
Quale altra fonte storica si può prendere ora in esame per
approfondire quanto ci eravamo prefissi? Per non dare adito a facili quanto inutili contraddizioni citando ad esempio il
vangelo apocrifo di Filippo che dice: “Taluni hanno detto
che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in
errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una
donna ha concepito da una donna?” andiamo direttamente a leggere lo scrittore palestinese Eusebio di Cesarea (265/
339 circa), considerato unanimente il primo storico ufficiale
della Chiesa. Evitando di scrivere commenti sulle sue opere, ecco cosa possiamo leggere nella sua monumentale
“Storia ecclesiastica”
“Poi egli apparve a Giacomo, uno di coloro ritenuti fratelli
del Salvatore” ( I,12,5).
“In quel tempo Giacomo, detto fratello del Signore, poiché
anch’egli era chiamato figlio di Giuseppe, e Giuseppe era
padre del Cristo... ” (II,1,2).
“Giacomo, fratello del Signore, subì il martirio” ( II,titolo)
“Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di
Giuda, detto fratello suo secondo la carne, i quali furono
denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide” ( III,20,1).
Che dire a questo punto? E’ evidente che non mentiscono i
vangeli nè mentiscono gli storici, quale ragione avrebbero
per farlo? se vi furono fratelli di Gesù, essi lo testimoniano,
ma allora come proclamare e sostenere la verginità di Maria? semplice, con un metodo che non dà modo di pensare, di far domande o peggio di contraddire: attraverso il dogma. Quel dogma che per essere però proclamato ebbe bisogno di 6 secoli di dure trattative, di mistificazioni, di lotte, di
prevaricazioni e addirittura di morti e che alla fine porta ad
una evidente conlusione: furono i padri della chiesa a mentire clamorosamente, sono i rappresentanti del Vaticano a
mentire clamorosamente ancora oggi negando con fredda
determinazione ciò che i loro stessi testi sacri affermano.
Ma io, interprete del libero arbitrio non mi faccio condurre,
non delego nessuno a pensare per mio conto, io sono in
grado di usare il mio cervello, io, al posto del dogma, uso il
raziocinio.
"
23
galaxia
l’incompetente
Ancora sui
nostri soldi ...
di Stefano Machera
Cari lettori di Memento,
ra prevedibile: la mia ultima in
cursione nei temi dell’economia
monetaria (nientemeno) mi è
costata qualche bacchettata.
Da un lato ho commesso qualche errore da profano (come confondere il
prime rate con il tasso di sconto, o
usare l’abbreviazione BdI invece di
B.I.), dall’altro ho usato un approccio
davvero molto naif a un problema complesso, e gli esperti mi hanno giustamente redarguito (*).
Però non posso dirmi soddisfatto dei
chiarimenti che gli esperti hanno fornito sulla sostanza della questione Banca d’Italia. Perché, al di là del mio discutibile stile, ci sono alcune cosette
che meriterebbero un dibattito serio.
Quindi in questo articolo cercherò di
essere più concreto e documentato,
aiutandomi col bilancio 2004 della B.I.,
scaricabile dal relativo sito istituzionale; come dice il saggio Saint Exupéry, i
grandi amano le cifre …
E
Dunque:
1. Abbiamo visto che le quote della B.I.
sono possedute da alcune grandi
banche (che chiameremo impropriamente gli “azionisti”). Il capitale sociale della B.I. è ridicolo: appena
156.000 €.
2. Grazie a un meccanismo un po’
complicato (c’è nello Statuto, se
volete ve lo spiego), gli utili della B.I.
vanno in parte nelle riserve, in parte
allo Stato e in parte agli azionisti. Nel
2004, lo Stato ha ricevuto solo 15
M€ e gli azionisti 47 M€. Non parliamo di cifre esorbitanti (lo Statuto gli
avrebbe consentito di incassare fino
a otto volte tanto), ma già qui mi
chiedo: perché mai gli azionisti devono intascare questi soldi, a fronte
di un “capitale” di soli 156.000 €?
Questi, per capirci, sono soldi nostri. Ma andiamo avanti.
3. Il patrimonio della B.I. è ovviamente enorme. Possiede ancora oltre 25
Mld€ in oro, e una serie di altre atti24
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
vità per un totale di quasi 160 Mld€.
Un sacco di soldi, no? Vedremo poi
che questo patrimonio rischia di
costarci caro…
4. Corrispondentemente, il conto patrimoniale riporta al passivo una serie
di voci (vi risparmio per carità le voci
relative alle retribuzioni dei dipendenti): accantonamenti per riserve,
passività varie, e poi una voce apparentemente strana: “banconote in
circolazione”, pari a oltre 84 Mld€,
oltre la metà quindi del patrimonio
della B.I.! Per quelli che sono affezionati alle lire, si parla di oltre
162.000 miliardi di lire. Forse è il
caso di capire meglio questa voce,
e un’altra apparentemente innocua
che si chiama “redistribuzione del
reddito monetario”.
Quando la B.I. (o la BCE, oggidì) stampa una banconota, succede quello che
nel mio articolo precedente chiamavo
una “transustanziazione”: un pezzo di
carta che non valeva niente ora vale
dieci Euro. Poi la B.I. usa i 10 € per, ad
esempio, comprare un BTP. Quindi, la
B.I. si ritrova, alla fine, con 10 € di BTP
nel patrimonio attivo, e le relative cedole finiscono nelle entrate di ciascun
anno.
Interessante, no? In questa operazione, di fatto, si creano 10 € di valore,
che finiscono dritti dritti nel patrimonio
della B.I., più gli interessi. Questo valore si chiama “signoraggio”, perché è
il “plusvalore” che finiva nelle tasche
dei signori che avevano diritto di battere moneta. Solo che questi 10 € non
si “vedono” come attivo di bilancio,
perché sono bilanciati da 10 € di banconote che figurano a passivo, come
chiariva anche l’articolo di Giuseppe
Provenza.
Ma questa voce passiva è del tutto fittizia, perché non esiste nessun “debito” che corrisponde al totale delle “banconote circolanti”.
Un tempo le cose erano diverse. Un
tempo, le banconote che le banche
centrali stampavano erano garantite
dalle riserve auree. Quindi, non si creava valore dal nulla: le banconote erano titoli “pagabili al portatore”, e la B.I.
contraeva un debito reale. Questo è il
meccanismo cui fa riferimento Giuseppe Racana nel suo articolo. Ma non è
più così, e far finta che sia così è scorretto. Provate a portare una bancono-
ta a un ufficio della B.I. e a dire che
volete 10 Euro “veri” in cambio.
Oggi, il valore delle valute dipende sostanzialmente dalla ricchezza nazionale e dalla solidità reale o percepita dell’economia. E la ricchezza nazionale
non dipende da quanti lingotti d’oro ci
sono nei caveaux della B.I., ma dal lavoro dei cittadini. Quindi, oggi noi cittadini forniamo le garanzie, e la B.I.
intasca il signoraggio. E gli azionisti gli
interessi sul signoraggio.
I due Giuseppe dicono che questo fenomeno è quantitativamente “residuale”. Sarà. Nel frattempo, un cittadino
ha recentemente vinto una causa contro la B.I., e un giudice di pace gli ha
riconosciuto un risarcimento di 87 Euro
per il diritto di signoraggio indebitamente incassato dalla B.I. per il solo periodo 1996-2003. Se moltiplicate per il
numero di cittadini italiani, ottenete
quanti soldi ci sono stati sottratti nel
solo periodo indicato. Fate il totale e
poi ditemi se è residuale.
Voglio provare a riassumere le mie
conclusioni, per chiarezza:
1. La B.I. è un ente governato dalle principali banche italiane, che ne possiedono l’irrisorio capitale sociale;
2. Gli “azionisti” incassano parte dei
frutti annuali delle riserve, che sarebbero soldi nostri;
3. Inoltre, la B.I. ha un’enorme quantità di riserve (che sono ancora soldi
nostri) che gli azionisti hanno interesse a mantenere immobilizzate,
mentre i cittadini avrebbero interesse a poter utilizzare, ad esempio per
ridurre il debito pubblico;
4. Infine, ogni volta che si stampa una
banconota, si crea un valore che
sarebbe di tutti noi e che viene invece intascato dalla B.I., e immobilizzato.
E ora viene il bello. Dopo che per decenni le banche (ora private) hanno
incamerato ingiustificatamente profitti
prodotti, in ultima analisi, da noi cittadini, oggi lo Stato si accorge che la situazione è inaccettabile e vuole ricomprare le quote della B.I.. Quanto le deve
pagare? Un Incompetente potrebbe
pensare: 156.000 Euro, no? Mica le
banche vorranno lucrare sulle quote
della B.I.?
Indovinate. Ora che è il momento di
venderle, ovviamente le banche dico-
galaxia
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
A proposito di “Capitalismo e comunismo”
I
l consocio Rodolfo Cardarelli ha inviato in redazione un commento all’articolo Capitalismo e comunismo a firma di
Roberto Pugliese pubblicato su Memento di Maggio-Agosto 2005 che, d’accordo con l’Autore, si ripropone ai Lettori.
Ciao Roberto,
non ci conosciamo ma mi permetto di scriverti (in
ritardo...) alcuni commenti al tuo articolo “Capitalismo e
comunismo” pubblicato sul numero 3 e 4 di Memento.
Il tuo articolo mi ha sorpreso sin dall’inizio in quanto
affrontare il confronto tra capitalismo e comunismo (ed
eventuali nuove evoluzioni) presentando un commento di
Giovanni Paolo II mi pare quantomeno azzardato.
Mi sembra paragonabile al far analizzare la teoria della
relatività al presidente della repubblica. Non mi pare che
un papa possa essere annoverato tra le figure più esperte
di economia politica. In più, la giustificazione di questa
citazione mi pare discutibile. Non credo che siano i
“sistemi” economici ad influire sul “sistema di valori della
comunità”; piuttosto il contrario. I “valori” di ciascuno
vengono messi in pratica, confrontandosi con quelli delle
altre persone, nella politica e, quindi, nell’economia.
Il fatto che, poi, la citazione o la figura del papa fossero
del tutto slegate dal resto dell’articolo mi ha dato la
sensazione che la citazione fosse forzata.
Continuando con l’articolo mi sono poi chiesto se lo
scopo dell’economia (o meglio, in questo caso, della
politica economica) è, come tu sostieni, quello di ottenere
una situazione di pieno impiego. Io la considererei più un
corollario delle teorie o addirittura una conseguenza. Lo
scopo primario è quello di avere un sistema economico
efficiente. Questo può avere come conseguenza anche
(ma non necessariamente, altrimenti non si spiegherebbero i sussidi alla disoccupazione di alcune politiche
economiche) una situazione di pieno impiego ma mi
sembra sia secondario.
Allo stupore per la prima parte del tuo articolo ed alla
confusione che mi ha creato la seconda, si è aggiunta
una terza sensazione alquanto preoccupante dovuta
all’ultimo paragrafo. A parte il fatto che per me non è così
scontato che “la scelta di fronte alla quale ci troviamo” è
come gestire il sistema economico e sociale (che mi pare
tu identifichi con lo stato) quanto piuttosto la sua struttura
(serve uno stato, se sì quanto esteso, come regolamentarlo, etc.) e a parte il fatto che non è detto che sia così
democratica la logica di “una testa un voto” (il pensiero
comune che impone le sue scelte su tutti togliendo voce
alle minoranze magari “illuminate”), lo stupore aumenta
quando affermi che tu propenderesti per un rafforzamento
dei poteri di controllo di uno stato facendo degli esempi
molto espliciti come, riporto il più significativo, “controllo
sui mezzi di comunicazione e sui meccanismi di formazione del consenso”. A me queste affermazioni fanno venire
in mente una parola sola e bella chiara: regime.
Sono stato un po’ drastico? Ho messo in “bella” i pensieri
che mi sono venuti leggendolo.
Spero non ti sia sembrato eccessivo.
Saluti, Rodolfo
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(*)
Modalità per il rinnovo della quota associativa 2006 a pagina 29.
no che le loro quote valgono un sacco
di soldi, ed è vero, visto che consentono loro di intascare gratis ricchezza
della collettività. E visto che il patrimonio della B.I. è enorme, grazie ai soldi
nostri che anziché andare allo Stato
sono stati immagazzinati nelle riserve.
Ad esempio, leggo sul Sole-24 Ore del
15/11/2005 che la Carige ha deciso
di “rivalutare” le sue quote della BI (il
4% del totale), alzandone la valutazione da 490.000 Euro a oltre 547 milioni
di Euro (alla faccia della rivalutazione!
Oltre il 100.000 %!). E come mai la
Carige ha deciso di cambiare in questo modo la valutazione a bilancio di
queste quote? Sostanzialmente perché, dice l’articolo, la Carige si aspetta
di rivendere le quote allo Stato (cioè a
noi) e quindi pensa bene di ricavarne
un profitto di 542 milioni di Euro.
Simpatici, no? Ora che lo Stato ha deciso di ricomprare le quote della B.I.,
questi gentiluomini decidono che le
quote valgono mille volte più di prima.
Per il piacere di chi ama le grosse cifre, è facile calcolare che se questa
valutazione fosse valida, il valore complessivo delle quote sarebbe di circa
13,6 miliardi di Euro. Capito? Per “ricomprare” la nostra Banca Centrale. da
questi simpatici signori dovremmo ti-
rar fuori l’equivalente di una Finanziaria: oltre 26.000 miliardi di vecchie lire.
Io, veramente, preferirei piuttosto dare
di persona 13 miliardi di calci nel sedere agli amministratori della Carige e
di ogni altra banca titolare di quote della
B.I.. Ma forse, oltre che Incompetente,
sono anche un pericoloso sovversivo …
"
(*)
Cfr articoli di Giuseppe Provenza (Memento n. 3-4/2005) e Giuseppe Racana (Memento n. 5/2005). Si ricorda che l’archivio completo della Rivista è disponibile all’indirizzo
internet http://memento.mensa.it.
25
galaxia
Il Sole
di Paolo Martinez
In quest’articolo ho intenzione di parlarvi (più o meno dettagliatamente) del
nostro Sole e delle influenze che può
avere sul nostro pianeta, basandomi
su una vecchia conferenza che ho tenuto per i soci di Abruzzo e Toscana;
inoltre, in base ad alcune delle domande ricevute in queste due occasioni, ho
voluto aggiungere qualche piccolo
accenno all’evoluzione delle stelle massicce, la cui vita si conclude con l’esplosione della stella (la Supernova).
Come funziona il Sole?
I
l Sole è la stella più vicina alla Terra,
si trova, infatti, a circa 150.000.000
km da noi, distanza che la luce percorre in circa 8 minuti; la luce della stella più vicina al Sole impiega, invece,
ben 4 anni per giungere alla Terra (Proxima Centauri). A causa delle sue dimensioni (relativamente ridotte) e del
suo colore il Sole è definito come una
nana gialla; è composto per il 70% da
idrogeno (H), per il 28% da elio (He) e
per il restante 2% da elementi più pesanti, quali carbonio (C), ossigeno (O),
azoto (N), ecc.
Il Sole ha raggio pari a 700.000 km
(110 volte il raggio della Terra), massa
pari a 2×1030 kg (300.000 volte la massa della Terra) ed emette con una potenza pari a 1026 Watt, a livello della
superficie terrestre questa si riduce a
circa 1 kW per m2.
Il Sole produce energia (all’interno del
suo nucleo) mediante reazioni termonucleari di fusione, nelle quali 4 nuclei
di H si fondono per formare un nucleo
di He (o particella α); in questa reazione il 7 per mille della massa dei 4 protoni iniziali va in energia, secondo
l’equazione di Einstein: E=mc2, dove
con m si indica la massa “persa”, con
E l’energia prodotta e con c la velocità
della luce nel vuoto (c=300.000 km/s).
L’energia così prodotta è emessa sotto forma di fotoni (luce).
In base al metodo di trasporto dell’energia prodotta nel nucleo il Sole può essere suddiviso in varie zone: radiativa, dove il trasporto dell’energia avviene per radiazione, cioè gli ioni presenti
in questa zona assorbono ed emetto26
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
no fotoni senza muoversi (pur cambiando le caratteristiche dei fotoni stessi), convettiva: in questa zona il trasporto dell’energia avviene per convezione, cioè mediante il movimento della
materia che compone la zona stessa.
Al di sopra della zona convettiva si trova l’atmosfera solare, formata da: fotosfera, la parte del Sole che noi vediamo, che ha una temperatura di circa 6000 gradi (di colore giallo), cromosfera: visibile nelle fasi iniziali della totalità delle eclissi solari, come un sottile strato rossastro, ha una temperatura di circa 4000 gradi (da cui il suo colore), corona solare: visibile durante le
eclissi, come un alone bianco che circonda la totalità, ha una temperatura
di alcuni milioni di gradi.
Osservando il Sole nel visibile può sembrare che esso abbia una superficie
abbastanza “liscia” e tranquilla, in realtà non è così. Osservando la fotosfera
con sufficiente risoluzione si evidenzia
in essa la presenza di granuli aventi
vita media di alcuni minuti: essi sono
le “bolle” formate dalla zona di convezione che, per un meccanismo detto
di overshooting vengono “lanciate”
nella fotosfera, più fredda, ed appaiono più luminose delle zone circostanti. A volte, a causa di forti campi magnetici, tali bolle restano bloccate all’interno del Sole, per questo si forma
una zona fredda (3-4000 gradi), più
scura della fotosfera circostante (sebbene più luminosa della luna piena):
una macchia solare (esse appaiono
come macchie nel visibile, ma sono
molto luminose negli UV o negli X), le
cui prime osservazioni risalgono a
Galileo, che in questo modo confutò
l’immutabilità degli astri, imposta dal
sistema tolemaico (e dalla Chiesa). Le
macchie solari sono zone di accumulo di energia magnetica; quando due
di esse (aventi polarità opposte) vengono a trovarsi a breve distanza, l’energia accumulata è emessa violentemente sotto forma di un’improvvisa “esplosione” di energia elettromagnetica: in
questi casi abbiamo un flare o brillamento, un evento molto evidente se
si osserva in bande differenti dal visibile, nella quale (data la già elevatissima luminosità del Sole) si possono
avere difficoltà a distinguerlo dal fondo. Altri fenomeni che avvengono nell’atmosfera solare sono le prominen-
ze (o protuberanze), simili a degli “archi” di gas ionizzato che si sollevano
per milioni di km dalla superficie solare. Spesso, associate a tali fenomeni
possono avvenire delle violentissime
emissioni di plasma all’altezza della
corona solare: i coronal mass ejection.
(CME), violente emissioni di plasma ad
altissima temperature dalle zone coronali; questi sono spesso causa delle
tempeste magnetiche.
Qual è l’influenza del Sole sulla Terra?
L’influenza del Sole sulla Terra è sempre presente, in modo particolare in
corrispondenza degli eventi che abbiamo appena descritto, che sono globalmente descritti come attività solare;
quest’attività ha un andamento variabile, con un massimo ogni circa 11
anni (siamo esattamente in un periodo di massima attività solare); ma anche quando tale attività è al minimo, la
corona solare produce un’emissione di
particelle detta vento solare, che causa, sulla Terra, le aurore (ad alte latitudini). Esse si formano quando le particelle cariche del vento solare precipitano attraverso le linee di forza del campo magnetico, interagendo con gli atomi che compongono l’atmosfera; questo avviene esclusivamente alle alte
latitudini poiché nelle altre zone tali
particelle non riescono a penetrare il
campo magnetico terrestre, che si
comporta come uno scudo per la Terra. Il vento solare, però, modifica tale
scudo, producendo degli “imbuti” ad
una latitudine terrestre di circa 65/70
gradi (cuspidi); questi imbuti sono i
passaggi attraverso i quali le particelle
del vento solare producono le aurore.
L’attività solare può essere anche fonte di problemi, infatti, se un c’è un CME
nelle zone equatoriali del Sole, in direzione della Terra, si può avere una forte tempesta magnetica, che può comportare problemi per le telecomunicazioni o, se particolarmente intensa,
anche blackout e problemi alle reti elettriche; ma può anche produrre effetti
gradevoli, quali aurore alle basse latitudini. I problemi più frequenti in caso
di tempeste magnetiche sono quelli
alle telecomunicazioni, poiché gli intensi flussi di particelle dal Sole posso
“schiacciare” il campo magnetico terrestre verso le basse quote, “scoprendo” così molti satelliti (fra cui quelli per
##
galaxia
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
le telecomunicazioni). Ad esempio, il
laboratorio spaziale SKYLAB, messo in
orbita dalla NASA, precipitò nell’atmosfera prima del previsto (senza danni
per i suoi “inquilini”, che l’avevano già
evacuato) a causa di una forte tempesta magnetica. Se andiamo a considerare strutture come la MIR (la stazione
spaziale russa, ormai precipitata per
sopraggiunti limiti d’età) oppure la ISS
(stazione spaziale internazionale), vediamo come siano state piazzate ad
un’altezza da Terra di circa 400 km,
ben sotto al limite minimo di “schiacciamento” del nostro scudo magnetico in caso di forti tempeste magnetiche.
Qual è la storia del Sole?
Il Sole, come tutto il resto del Sistema
Solare, ha origine da una nube di gas
interstellare. Questa nube, per effetto
della sua stessa gravità, inizia a collassare; di forma inizialmente sferica, nel
caso del Sistema Solare essa possiede una certa velocità di rotazione, perciò diviene in breve un disco abbastanza sottile di gas; al centro di questo
disco comincia a formarsi un protoSole, per il collasso delle zone centrali
del disco, mentre nelle zone più esterne cominciarono a formarsi i pianeti del
Sistema Solare.
A questo punto della sua vita il protoSole non produce energia mediante
reazioni nucleari, ma mediante una lenta contrazione, convertendo energia
gravitazionale in energia termica e luminosa; quando nel suo nucleo si raggiungono le condizioni ideali di temperatura (circa 15 Mln di gradi) e densità (circa 150 g/cm3) s’innescarono le
reazioni nucleari, che bloccano il collasso. Infatti, per i successivi 10 Mld di
anni il Sole non subisce cambiamenti
sensibili. Questa “stasi” è dovuta al fatto che l’energia necessaria per scaldare il Sole ed emettere luce viene attualmente prodotta dalle reazioni nucleari, che producono inoltre una spinta
verso l’esterno che controbilancia il
collasso gravitazionale.
In questi 10 Mld di anni il Sole brucia H
nel suo nucleo (core); al termine di tale
combustibile, si fermano le reazioni
nucleari nel core solare. A questo punto riparte la contrazione (non più bilanciata dalle reazioni nucleari), finché non
avviene l’innesco di H in shell, cioè in
pillole
Intelligenza ed errori
di Cinzia Malaguti
I
ntelligenza non significa non commettere errori, significa scoprire il modo
di trarne profitto. Questa definizione la lessi da qualche parte, non ricordo
dove e di chi fu la paternità, ma mi piacque subito.
Già, perché l’intelligenza è solo un aspetto della complessità dell’essere umano, fatto anche d’emozioni, sentimenti, paure, di sistemi arcaici e di sistemi
evoluti, che hanno un loro potenziale d’azione spesso in conflitto reciproco.
Già, perché l’essere umano non è perfetto, l’evoluzione ne ha migliorato le
prestazioni e quindi la sopravvivenza, ma rimane un essere fatto di razionale
e d’irrazionale.
Ognuno di noi si sarà rimproverato per aver fatto stupidaggini che avrebbe
potuto evitare, ma è successo perchè un’emozione molto forte o un senso di
paura improvviso può aver preso il sopravvento sulle nostre capacità razionali ed averci fatto commettere un errore di valutazione.
Ciò è successo perché è nella nostra natura di esseri umani, indipendentemente dal nostro grado d’intelligenza.
Certo, un’intelligenza superiore rende rari questi eventi, li riconosce quando
si verificano e ne trae beneficio di conoscenza e di sviluppo intellettivo, ma
non sempre riesce ad evitarli.
La mente umana poi è così imperfetta da sviluppare paturnie, paranoie,
nevrosi e ciò con l’intelligenza non ha nulla a che fare.
L’essere umano – infatti – è un essere sociale, che ha bisogno degli altri per
vivere, confrontarsi e sopravvivere.
Le informazioni su di noi che ci trasmettono gli altri sono, a volte, in contrasto con ciò che desideriamo ed, a volte, ci sentiamo così incompresi e tristi
per questo, che ci scervelliamo a capirne il motivo, seguendo lunghi ed
arroventati percorsi dove la razionalità si mescola alle emozioni ed alle paure
e dove è un’impresa distinguere l’una dalle altre.
Nella soluzione dei nostri problemi entrano, allora, in gioco, non solo l’intelligenza, ma anche la tenacia, il carattere, gli affetti, ecc.. in un mix la cui giusta
composizione ne determina il successo.
$
un guscio sferico appena esterno al
nucleo che si trova in condizioni di
degenerazione elettronica. Con questa
definizione si indica un particolare stato della materia nel quale gli elettroni
che compongono il plasma sono alla
minima distanza possibile. In questo
modo entra in azione il principio di
esclusione di Pauli che impedisce a
due particelle aventi uguali caratteristiche (velocità, massa, ecc.) di occupare la stessa posizione; in parole povere, in condizioni di degenerazione gli
elettroni si trovano “impacchettati” uno
accanto all’altro.
I bruciamenti di H in shell non fanno
altro che aumentare la massa del nucleo di He del Sole; in queste condi-
zioni (nucleo degenere, bruciamenti in
shell) il nostro Sole diviene una gigante rossa, poiché i suoi strati esterni si
espandono e si raffreddano, facendo
sì che il raggio solare giunga a circa
150-200 Mln di Km (il che significa che
ci toccherà sloggiare, visto che la Terra finirà “arrosto”), e che la superficie
sia di colore rosso, appunto. Bisogna
anche notare che in tali condizioni la
perdita di massa a causa del vento
solare è abbastanza elevata.
Quando il nucleo di He è abbastanza
caldo (circa 1 Mld di gradi) per innescare le reazioni di fusione nucleare
che coinvolgono He, producendo car-
##
27
galaxia
bonio (C) ed ossigeno (O), gli strati
esterni (che nel frattempo sono stati in
parte soffiati via per l’effetto del violento vento solare) si riducono, la shell di
H si “spegne” (in realtà si ha semplicemente una riduzione, anche se imponente, della sua efficienza), la temperatura superficiale sale nuovamente ed
il Sole diviene una stella di He, che ha
una vita di qualche centinaio di Mln di
anni; una particolarità di questa fase è
che, per l’alta produzione di energia nel
nucleo, la zona radiativa e quella convettiva si sono invertite. Il nucleo, cioè,
è convettivo, mentre gli strati esterni
sono radiativi.
Al termine del combustibile centrale, il
Sole subisce una violenta contrazione
(a causa della convezione, il combustibile è terminato in una zona piuttosto estesa), che porta all’accensione
della shell H, ma anche di una nuova
shell, fra questa ed il nucleo, nella quale
si brucia He per accrescere il nucleo
degenere di CO. A questo punto il Sole
torna ad essere una gigante rossa, ma,
rispetto al caso precedente, la perdita
di massa a causa del vento solare è
enorme; in questo modo si scopre, per
prima, la shell H che si spegne (per
mancanza di combustibile), quindi si
scopre anche la shell He, che si spegne a sua volta. Abbiamo perciò che
del Sole non resta altro che il core di
CO, di raggio fra 1 e 10 volte quello
terrestre, circondato da una nebulosa,
formata dagli strati esterni appena soffiati via. Questa configurazione è detta
di nana bianca ed è una situazione
temporanea, infatti, la nebulosa tenderà a disperdersi e sparire, mentre la
stella centrale perderà progressivamente il suo contenuto energetico fino a
non riuscire ad emettere più luce (nana
bruna).
Cenni sull’evoluzione delle stelle
massicce (SNII)
Per descrivere l’evoluzione delle stelle
massicce (25 volte la massa del Sole),
dobbiamo fare un piccolo passo indietro, e ripercorrerne tutta la storia evolutiva. Torniamo alle fasi di bruciamento dell’idrogeno nel nucleo: in queste
stelle la produzione di energia è tale
che il nucleo è convettivo (analogamente alle stelle di He); inoltre la massa elevata della stella richiede (per evitare il collasso) una quantità di energia
molto maggiore che non il Sole, per
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 6/2005
questo questa fase è molto ridotta, circa 1 Mld di anni. Terminato l’idrogeno
centrale, anche in questo caso la stella diviene una gigante rossa (nucleo
degenere, bruciamenti H in shell), che
(abbastanza rapidamente) innesca
l’elio nel nucleo e lo termina in circa
100 Mln di anni. A questo punto la stella torna allo stadio di gigante rossa e,
dopo circa 10.000 anni, innesca i bruciamenti del carbonio (212C % 20Ne+α)
che si esaurisce nell’arco di 500-1.000
anni; dopo 86 anni (circa) dal termine
del C centrale, s’innescano i bruciamenti del Ne (20Ne % 16O+α) che viene
esaurito in 300 giorni. Immediatamente s’innesca l’ossigeno, che produce
silicio e, in quantità minore, zolfo (216O
% 32S, 32S % 28Si+α); l’ossigeno centrale termina in 130 giorni, quindi si innesca il silicio, che produce ferro (228Si
% 56Fe), che in pochi giorni esaurisce il
silicio nel nucleo della stella. A questo
punto, penserete, si passa a bruciare
ferro; invece no, poiché le fusioni di nuclei di Fe sottrarrebbero energia all’ambiente (sono quindi poco convenienti
dal punto di vista energetico). Inoltre,
vi starete chiedendo cosa è successo
nel frattempo agli strati esterni della
stella: ad essi non è accaduto nulla,
semplicemente l’evoluzione del nucleo
della stella è divenuta talmente rapida
che gli strati esterni non si “accorgono” di ciò che succede al loro interno.
A questo punto la stella ha la seguente composizione: un core degenere di
Fe, seguito da una shell di Si che lo
accresce in massa; quindi una shell di
bruciamento dell’ossigeno seguita da
una zona molto ricca di quest’ultimo;
poi c’è una zona con O, C, Ne, seguita
da una zona ricca di He; infine gli strati
più esterni di H, praticamente invariati.
La stella, sta accrescendo il core di Fe,
ma sta nel contempo perdendo moltissima energia, a causa della deleptonizzazione della materia che la compone: gli elettroni (liberi di muoversi
all’interno del core) stanno cominciando a “cadere” sui protoni, causando
un’enorme perdita di energia per emissione di neutrini, producendo inoltre un
eccesso neutronico, che non fa altro
che accelerare la fine della stella. Infatti il numero di elettroni per nucleone
(neutrone o protone) presente nel core
è fondamentale per ricavare la Massa
di Chandrasekar (MCh) , che indica il limite superiore per cui una massa de-
genere è gravitazionalmente stabile
(circa 1,4 masse solari). Nel momento
in cui il core supera la MCh, il nucleo
comincia a collassare su se stesso, fino
a raggiungere una densità pari a 1,5-3
volte la densità della materia nucleare;
a questo punto la materia “rimbalza”
producendo un’onda d’urto che (con
modalità ancora tutte da definire), soffia via gli strati esterni della stella (producendo una nebulosa).
Abbiamo detto che il core collassa, fino
alla densità tipica della materia nucleare; abbiamo così, come “resti” della
stella morente, un enorme nucleo atomico formato da soli neutroni, avente
raggio di 10-15 km (stella di neutroni).
Questa stella “ricorda” che la stella da
cui si è formata aveva una sua velocità di rotazione, ma, a causa della concentrazione della sua massa in un volume piccolissimo, essa è stata aumentata fino a qualche Mln di giri al secondo (frequenze dell’ordine del MHz!);
questa è una pulsar, una stella che
emette radiazione elettromagnetica
(spesso si tratta di raggi X) con una ben
precisa frequenza (una sorta di velocissimo faro).
I neutroni che compongono la pulsar
sono quantisticamente degeneri (prima
lo erano solo gli elettroni); per una
massa degenere di neutroni esiste un
limite analogo alla MCh, superato il quale
la massa subisce un ulteriore collasso; si produce così un buco nero, del
quale non possiamo dire nulla per due
motivi:
1. non sappiamo assolutamente cosa
accada alla materia superata la densità tipica della materia nucleare;
2. non possiamo andare a controllare,
visto che la gravità di un buco nero
è tale che neanche la luce può uscirne.
In parole povere, in un buco nero può
esserci qualsiasi cosa; in ogni caso non
potremo mai andare a controllare… a
meno di non voler subire la “spaghettificazione”. Questo pittoresco termine
venne coniato poiché all’interno di un
buco nero le forze gravitazionali (dette
anche mareali) sono tali da essere
molto differenti, come intensità, anche
fra punti molto vicini; per questo, un
qualsiasi esploratore verrebbe “stirato”
fino a sembrare un lungo spaghetto…
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