Rigenerazione dei nervi lesionati: una strada e` aperta

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Pianeta scienza
MARTEDÌ 17 GIUGNO 2014 IL PICCOLO
La “misteriosa” sindrome dello spopolamento delle api
Negli ultimi anni le api sono
minacciate da una moria che
sta mettendo in ginocchio le
popolazioni di questi insetti,
ma anche apicoltori e agricoltori. Il loro ruolo fondamentale nell’impollinazione delle
varietà vegetali agricole rende infatti la loro eventuale
scomparsa una vera e propria catastrofe. In un caffè
della scienza organizzato dal
master in Comunicazione
della Scienza Franco Prattico
della Sissa, due scienziati
hanno spiegato il fenomeno
e le possibili soluzioni.
Le api sono in crisi. La
“misteriosa” sindrome dello
spopolamento degli alveari è
stata per la prima volta identificata nel 2006 e da allora non
dà tregua. Le popolazioni delle api in buona parte del
mondo stanno scomparendo
a un tasso che desta la preoccupazione un po’ di tutti: gli
scienziati, ma anche gli apicoltori e gli agricoltori. Le
cause sono ancora controver-
se, e molti puntano il dito sui
pesticidi e più in generale
sull’agricoltura industriale.
In problema è grave non solo
per quel che riguarda la salvaguardia della biodiversità, o
per gli amanti del miele. In
pericolo è anche l’agricoltura
stessa che ha un bisogno vitale della preziosa opera di impollinazione di questi insetti.
Per approfondire questo argomento, gli studenti del master hanno organizzato l’incontro con Francesco Nazzi,
dell’Università di Udine, che
ha spiegato che cos’è esattamente la sindrome dello spopolamento degli alveari, facendo un excursus sulle cause che sono state ipotizzate e
le possibili soluzioni al problema.
Poi Claudio Porrini, esperto di insetti dell’Università
degli studi di Bologna dove
coordina la linea di ricerca
“Api e agrofarmaci”, ha fatto
esempi concreti per spiegare
il ruolo nell’impollinazione
AL MICROSCOPIO
(e quindi delle api stesse) per
la nostra sopravvivenza. Presente anche Livio Dorigo, apicoltore e presidente del Circolo Istria, che ha offerto anche degli assaggi di miele locale per il pubblico. L’incontro è stato moderato da Elena
Rinaldi, giornalista free-lance.
Il master in Comunicazione della Scienza Franco Prattico della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste è un percorso
formativo biennale organizzato dal Laboratorio Interdisciplinare della Sissa.
Baralle: senza fondi non si fa ricerca
Lo scienziato nato a Buenos Aires lascia dopo dieci anni la guida dell’Icgeb ma non ha rammarichi
di Simona Regina
Nato a Buenos Aires, classe
1943, Francisco Baralle dal
2004 è al timone del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie. Ora si
appresta - entro il 31 dicembre
- a passare il testimone a Mauro Giacca, designato nuovo direttore generale dell’Icgeb:
centro di eccellenza per i giovani scienziati dei paesi in via
di sviluppo, dove formazione e
ricerca esplorano le nuove
frontiere delle biotecnologie.
«Insegnavo all’Università di
Oxford quando Arturo Falaschi, che ha fondato l’Icgeb
nel 1987, mi ha proposto di seguirlo nell’impresa di promuovere la ricerca biomedica nel
nord e nel sud del mondo» ricorda Baralle, che nel 1990 ha
accettato la sfida e si è trasferito a Trieste per dirigere la sede
italiana.
«All’epoca, sotto la tutela
dell’Unido, l’Icgeb compiva i
primi passi: nei laboratori in
Area Science Park eravamo solo 25 persone. È stata una grande soddisfazione contribuire
al suo sviluppo: nel 1994 è diventata un’istituzione intergovernativa autonoma, due anni
dopo abbiamo inaugurato la
sede definitiva in India, e nel
2007 la componente di Cape
STUDIO
La Terra è più vecchia
di quanto si pensava
Un nuovo lavoro presentato alla
Goldschmidt Geochemistry
Conference rivela che il momento
in cui avvenne la collisione tra
l’antenato della Terra e un corpo
di dimensioni planetarie si
verificò circa quaranta milioni di
anni dopo l’inizio della
formazione del sistema solare.
Ciò significa che la fase finale
della formazione della Terra è
circa sessanta milioni di anni più
vecchia di quanto sinora
ipotizzato. La scoperta è di un
team di geochimici della
University of Lorraine, in
Francia.
Francisco Baralle è nato a Buenos Aires nel 1943
Town, in Sud Africa. E oggi,
nelle tre strutture, lavorano circa 500 persone provenienti da
38 paesi diversi».
Quale eredità lascia?
«Dovrebbero dirlo gli altri,
comunque credo di lasciare
un’istituzione che funziona ed
è in buona salute per perseguire i suoi obiettivi di ricerca e
formazione. Abbiamo da poco
avviato, per esempio, il programma “Smart”: borse di stu-
dio per favorire la mobilità di
giovani scienziati perché possano fare esperienza nei migliori laboratori di ricerca dei
nostri 63 stati membri. Perché
non si può imparare il mestiere di ricercatore teoricamente:
sarebbe come imparare a nuotare per corrispondenza. Così
come, nonostante i tagli ai finanziamenti, abbiamo continuato a essere all’avanguardia
nello studio di malattie cardio-
vascolari, neurodegenerative,
infettive e alcune forme di tumori».
Il problema dei fondi c’è?
«Non si può fare ricerca senza fondi. La nostra attività è finanziata dagli stati membri:
ma la maggior parte sono paesi emergenti, con difficoltà
economiche, per cui la fetta
maggiore dei contributi arriva
dal ministero italiano degli
Esteri, e in percentuale molto
minore da India e Sud Africa.
Poi riusciamo ad aggiudicarci
finanziamenti da organizzazioni internazionali e fondazioni,
tra cui Telethon, Fondazione
Bill & Melinda Gates, Welcome Trust. Negli ultimi anni
l’Italia ha ridotto il suo contributo da circa 12 milioni di euro a 10: tagli che ci hanno messo in difficoltà nel confermare
tutte le borse di studio e tutti i
progetti di cooperazione. Ma
ce l’abbiamo fatta, grazie a
controlli più stringenti nella
spesa e chiedendo all'India di
farsi carico di tutte le spese del
centro di New Delhi».
Un suo rammarico?
«Nessuno: abbiamo fatto il
meglio che si poteva sia in termini di progetti di ricerca che
di formazione e i risultati lo dimostrano. Piuttosto un sogno:
rinforzare la nostra presenza
in America Latina, fronte su
cui stiamo lavorando».
Ora si dedicherà a tempo
pieno alla ricerca?
«Sì. Abbiamo scoperto che
la sclerosi laterale amiotrofica
è causata dal malfunzionamento di una proteina. Ora
puntiamo a capire come ritardare o bloccare la malattia. Si
tratta di un altro sogno: contribuire a migliorare la salute
umana».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Ecco come sono composte le stelle di neutroni
Sulla Physical Review Letters pubblicato uno studio realizzato in collaborazione fra Trieste e Atene
Le stelle di neutroni per gli
astrofisici sono corpi celesti
estremamente
complessi.
Una ricerca pubblicata sulla
rivista Physical Review Letters
dimostra che per certi aspetti
queste stelle potrebbero invece essere descritte in maniera
molto semplice, e mostrano
analogie con i buchi neri.
In quanti modi si può descrivere un oggetto? Prendiamo una mela: guardandola
possiamo facilmente stimarne peso, forma e colore, mentre in questo modo è impossibile descriverla a un livello diverso, per esempio valutare la
composizione chimica della
sua polpa. Anche per i corpi
celesti vale qualcosa di simile:
fino a oggi una delle sfide degli scienziati è stata descrivere
le stelle di neutroni a livello
della fisica nucleare. La materia che le compone è infatti
estremamente complessa, e
sono state proposte alcune
complicate equazioni di stato. Tuttavia non c’è ancora un
accordo su quale sia quella
giusta (o la migliore).
Lo studio condotto dalla
Sissa in collaborazione con
l’Università di Atene ha dimostrato che le stelle di neutroni
possono essere descritte anche in maniera relativamente
semplice, osservando la struttura dello spazio-tempo che
le circonda.
«Le stelle di neutroni sono
oggetti complessi, per via della materia di cui sono composte. Possiamo immaginarle
come degli enormi nuclei atomici del raggio di una decina
di chilometri», spiega Georgios Pappas, primo autore dello studio. «Una stella di neutroni è ciò che rimane del collasso di una stella di grandi dimensioni: la materia al suo interno è densissima e compo-
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
sta principalmente di neutroni».
«La fisica nucleare che è necessaria per capire la natura
della materia all’interno di
questi corpi celesti, rende in
generale la loro descrizione
molto complicata e difficile
da formulare», continua Pappas. «Quello che abbiamo dimostrato noi, usando metodi
numerici, è che ci sono alcune proprietà che possono dare una descrizione di alcuni
aspetti delle stelle di neutroni
e dello spazio-tempo attorno
a loro in modo semplice, simile a quello che si usa per i bu-
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chi neri».
«Con i nostri calcoli abbiamo osservato due cose che ci
hanno sorpreso. In primo luogo abbiamo scoperto che sono sufficienti questi tre parametri, perché quelli di livello
più alto non sono indipendenti e possono essere derivati da
questi primi tre», conclude
Pappas.
«La seconda osservazione
sorprendente è che la descrizione basata su questi momenti è indipendente dalle
equazioni di stato, anzi: non
serve nemmeno sapere quale
sia l’equazione di stato».
QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON
Rigenerazione
dei nervi lesionati:
la strada è aperta
di MAURO GIACCA
U
n incidente in moto,
una caduta in montagna. La colonna vertebrale subisce un trauma, le vertebre non riescono a proteggere
il midollo spinale e i nervi che da
lì escono. Le funzioni motorie,
sensoriali e viscerali sono compromesse. Uno scenario purtroppo frequente (40 nuovi casi
all’anno ogni milione di persone). Già gli antichi Egizi, in papiro datato 1700 a.C. scrivevano
che le lesioni spinali sono “una
malattia che non va trattata”; dopo quasi 4000 anni, più del 98%
dei pazienti, spesso giovani, ancora rimangono paralizzati per
il resto della vita. Quasi 40mila
persone vivono in questa condizione soltanto in Italia.
Come affrontare il problema
usando le nostre moderne conoscenze? Negli Stati Uniti, dopo il
rilassamento della normativa sugli embrioni voluto da Obama,
nel 2009 partì la prima sperimentazione basata sull’impianto di neuroni derivati da cellule
staminali embrionali. Dopo
quattro pazienti, la sperimentazione però si bloccò a novembre
2011 per motivi finanziari (almeno così dichiarò l’azienda Geron, che la conduceva). In Europa, ci ha provato anche la
StemCells Inc, che, a partire dal
marzo 2011 a Zurigo, ha iniettato nel midollo dei pazienti cellule neuronali staminali. A maggio
di quest’anno, nessun effetto indesiderato è stato riscontrato,
ma nemmeno alcun miglioramento sostanziale.
Queste sperimentazioni che
tentano di rigenerare i nervi lesionati purtroppo si scontrano
con un problema sostanziale:
mentre è relativamente facile ottenere nuovi neuroni partendo
da tessuti embrionali o fetali,
una volta impiantati nel midollo
le proiezioni che questi emettono (gli assoni) non ce la fanno a
trovare la strada dei tessuti che
dovrebbero innervare. Come dare una guida a questi assoni? Ci
sta provando Mark Tuszynski a
San Diego. Nel corso di una
splendida presentazione al congresso annuale della Società Internazionale di Medicina Rigenerativa, che si ètenuto a Genova la scorsa settimana, Tuszynski ha mostrato come sia possibile costruire dei microtubi di
materiale sintetico riassorbibile
dentro i quali, per ora negli animali, i nervi che si rigenerano
possono scorrere e ritrovare così
la via perduta. Riuscirà questo
approccio ad arrivare all’uomo?
In diversi credono di sì, ma ci
vorrà ancora del tempo. Nell’attesa, una riflessione a latere tutta dedicata a Trieste. Il Congresso di Genova si è svolto nel Magazzini del Cotone, un’enorme
struttura del Porto Antico di Genova, completamente ristrutturata da Renzo Piano per diventare un centro polifunzionale, con
un avveniristico auditorium, cinema, ristoranti, negozi, e annessa zona passeggio e jogging
in riva al mare. Evidentemente,
anche in Italia si può.
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