- STUDIO DEL SOLE: APPUNTI DI STORIA - Il Sole nella storia antica Stabilire quando l'uomo abbia iniziato a interrogarsi sul Sole, è oggettivamente impossibile, ma è certo che le eclissi, il tramonto, l'alba debbono aver affascinato l'uomo fin dalla notte dei tempi, perché uno dei soggetti più ricorrenti nelle raffigurazioni preistoriche è appunto il Sole. Interi popoli hanno impostato la loro vita sociale, economica e religiosa sull'astro del giorno e, anche se oggi è difficile capire quali erano le conoscenze scientifiche di popoli degli Assiri, dei Babilonesi e degli Egiziani, possiamo affermare che essi avevano un rapporto problematico e razionale con lo studio del moto e dei fenomeni “anomali” che hanno sempre riguardato il Sole. Uno dei primi modelli fisici, di cui possediamo prove certe riguardo al Sole e al sistema solare, risale al quarto secolo a.C. e lo si deve ad Aristotele (384-322). Secondo questa teoria, la Terra si trovava al centro dell'universo e tutti i corpi celesti ruotavano attorno ad essa percorrendo sfere fisse. La sfera più vicina alla Terra era quella della Luna, seguita da quella di Venere, di Mercurio, del Sole, di Marte, di Giove e di Saturno, mentre nella sfera più esterna erano posizionate le stelle fisse. Il Sole ,quindi, secondo il modello di Aristotele, occupava la quarta sfera, anche se tra la Terra e la prima sfera (quella della Luna) era stata posizionata la sfera ‘Primo Mobile’, allo scopo di giustificare la rotazione terrestre in 24 ore. Il ‘regno celeste’ e ‘il regno terrestre’ erano distinti per due caratteristiche: la composizione e la tipologia dei moti possibili. La Terra era costituita da quattro elementi naturali (acqua, terra, fuoco e aria), mentre le sfere celesti erano costituite dalla ‘quinta essenza’, una sostanza inconoscibile e incorruttibile; i moti Figura 1- Rappresentazione del modello ipotizzato da Aristotele raffigurante le sfere celesti al cui centro si ammissibili sulla Terra trova la Terraerano solo quelli rettilinei, mentre i moti circolari erano caratteristici dei cieli. La prima determinazione matematica della distanza Terra-Sole si deve ad Aristarco di Samo (ca.310-230 a.C.), un secolo dopo l'enunciazione del modello geocentrico di Aristotele. La procedura seguita da Aristarco partiva dalla misurazione degli angoli SoleTerra-Luna e Terra-Sole-Luna, nei giorni in cui la Luna si trovava al primo quarto. Poiché l'angolo Terra-Luna-Sole si poteva considerare retto, usando le proprietà dei triangoli rettangoli si calcolava facilmente il rapporto tra la distanza Terra-Luna e Terra-Sole. Il rapporto trovato dallo scienziato fu dieci volte inferiore a quello reale, ma il suo tentativo fu ugualmente importante, poiché fu il primo calcolo matematico su scala cosmica. Figura 2- Schema del determinazione della distanza Terra-Sole compiuta da Aristarco- Successivamente, tra gli scienziati che si occuparono del Sole, bisogna ricordare Ipparco (II sec. a.C.), che sembra aver scoperto la precessione degli equinozi e Tolomeo (ca.100-170 d.C.), che nel suo trattato, l’Almagesto, perfeziona i calcoli del moto dei corpi celesti al limite delle conoscenze matematiche del tempo, giustificando tutti i fenomeni del sistema solare, pur mantenendo un modello geocentrico. - Il Sole nel Medioevo Per tutto il Medioevo le teorie di Aristotele e Tolomeo non furono mai messe in discussione, perché smentire il modello geocentrico e la fisica aristotelica significava andare contro l’interpretazione tomistica dell’universo, sostenuta dalla Chiesa. La mentalità dogmatica era così forte che, quando un monaco di Worcester, sabato 8 dicembre 1128, vide a occhio nudo, attraverso la nebbia, due enormi macchie solari liquidò il problema attribuendo la presenza di quelle ombre scure al passaggio di Venere e Mercurio sul disco del Sole. Figura 3- Disegno delle macchie solari osservate da un monaco di Worcester, sabato 8 dicembre 1128- Oltre a questo episodio, numerose sono le registrazioni di macchie solari nell'“era pre-telescopio”, specialmente da parte di osservatori cinesi, anche se a questo fenomeno sembra che nessuno abbia mai dato importanza. Del resto ammettere, nel mondo cristiano medioevale, che il Sole era "macchiato" aveva un significato teologicamente inaccettabile, perché significava ammettere che l'universo celeste era corruttibile come gli elementi terrestri. - La Rivoluzione Copernicana Nel 1543 Nicolò Copernico (1473-1543 d.C.) pubblica il libro intitolato "De revolutionibus Orbium Celestium", nel quale descrive un modello planetario eliocentrico, secondo il quale la Terra percorre un'orbita attorno al Sole, come tutti gli altri pianeti. Secondo la teoria eliocentrica, il moto di rotazione giornaliera e il moto di precessione terrestre erano perfettamente spiegabili, tuttavia questo modello suscitò nel mondo teologico sentimenti di riprovazione e, per evitare le accuse dell'Inquisizione, Copernico giustificò la sua teoria come “puro modello matematico”, senza nessuna attinenza con la realtà. Il diciassettesimo secolo passa alla storia anche per un’altra grande invenzione: il cannocchiale. Le proprietà ottiche delle lenti erano conosciute da tempo e molto usate dai commercianti olandesi, i quali se ne servivano per la navigazione, ma nessuno mai le aveva usate come strumento per l’osservazione dei corpi celesti. Sono ben quattro gli astronomi che nel primo decennio del secolo impiegarono il cannocchiale 1 per osservare il Sole: in Olanda Johann Goldsmid (1587-1616), in Inghilterra Thomas Harriot (1560-1621), in Germania il gesuita Christoph Scheiner (15751650) e in Italia Galileo Galilei (1564-1642). Il primo ad interpretare correttamente il moto delle macchie, come la prova della rotazione del Sole su se stesso, fu Johann Goldsmid, mentre a Galileo va dato il merito di aver attribuito le macchie solari alla superficie del Sole e non all’atmosfera terrestre come molti credevano. Questa presa di posizione costò allo scienziato italiano la condanna dell’Inquisizione romana per aver disobbedito alla Chiesa, che non accettava l’appoggio indiretto dato da Galileo alla teoria eliocentrica. La rivoluzione Copernicana avvicinava il modello del sistema solare a quello che conosciamo noi oggi, anche se le differenze erano ancora notevoli: a quel tempo, infatti, si parlava ancora di sfere e di stelle fisse. Il primo scienziato che parlò di orbite Figura 4- Il cannocchiale ellittiche fu Keplero (1571-1630), mentre René usato da Galileo Descartes (1596-1650) descrisse il Sole come una normale stella, sulla cui superficie si formavano aggregati di materia scura. Figura 5- Lo storico disegno compiuto da Galileo nel quale sono raffigurate le macchie solari osservate al cannocchiale il 23 Giugno 1612- 1 Per tutto il diciassettesimo secolo il Sole fu studiato da numerosi astronomi, i quali, con pazienza e diligenza, annotarono tutte le loro osservazioni. Ed è proprio leggendo questi preziosi documenti, nei quali sono annotate le macchie solari e le aurore boreali, che oggi noi possiamo affermare che, nel periodo che va dal 1645 al 1715, l’attività del Sole fu particolarmente ridotta; questo periodo prende il nome di Minimo di Maunder. Si ipotizza che gli inverni straordinariamente freddi di quegli anni siano stati dovuti proprio alla crisi dell’attività solare. Cannocchiale non è sinonimo di telescopio. Prima fu inventato il cannocchiale che era costituito da un tubo (canna) ai cui estremi erano poste due lenti (occhiali). Il telescopio fu usato per la prima volta da Newton ed il suo funzionamento era basato sulle proprietà degli specchi. Nel frattempo, a cavallo del diciassettesimo e diciottesimo secolo, la massa del Sole e la distanza Terra-Sole vennero calcolate da Isaac Newton (1642-1727 d.C.), il quale usando la sua formula sulla gravitazione raggiunse un discreto grado di precisione, nonostante i problemi da risolvere fossero molti, primi tra tutti l’interpretazione delle macchie solari: l’opinione universalmente accettata risaliva ancora a Galileo, il quale aveva interpretato le macchie come nuvole sulla superficie solare. William Herschel (1738-1822) avanzò l’ipotesi che le aree scure sul Sole fossero dovute a zone in cui la temperatura era minore, perché anche la luminosità era minore rispetto alla superficie totale. Egli arrivò a questa conclusione dopo aver fatto sue le teorie di Alexander Wilson, il quale, nel 1774, pubblicò un studio in cui definiva le macchie solari come “buchi di luce”: il merito di Herschel fu quello di compiere precise misurazioni fotometriche per determinare la luce emessa dal nucleo e dalla penombra delle macchie soprattutto nei momenti in cui si trovavano ai bordi del disco solare. - Il Sole e la spettroscopia Un straordinaria prospettiva in merito allo studio del Sole si aprì all’inizio del diciannovesimo secolo con gli studi di spettroscopia: William Hyde Wollaston (17661828) e successivamente Joseph von Fraunhofer (1787-1826) scoprirono che lo spettro del Sole, invece di essere completo, presentava delle linee scure. Successivamente gli scienziati si convinsero che queste anomalie potevano essere dovute a due possibili cause: o le linee erano causate dai gas presenti sul Sole, oppure esse erano determinate dall’atmosfera terrestre. Risolvere questo enigma non fu facile, poiché non si aveva ancora ben chiara la distinzione tra spettro di assorbimento e spettro di emissione. C’era una relazione tra lunghezza d’onda e calore radiante? Quale? Esisteva una relazione tra i “raggi di calore” (così erano chiamati i raggi infrarossi), i “raggi chimici” (raggi ultravioletti) e lo spettro visibile? C’era un’analogia tra le righe scure sullo spettro solare , le righe emesse da elementi analizzati “alla fiamma” e gli spettri osservati analizzando la luce proveniente da altri corpi celesti? Questi erano i quesiti che tormentavano gli scienziati nella prima metà del diciannovesimo secolo e la prospettiva di riuscire ad indagare la natura di corpi distanti, come il Sole, con strumenti nuovi, oltre al classico telescopio, aumentò vertiginosamente l’entusiasmo nei confronti della neonata spettroscopia. L’idea che il calore radiante e la luce fossero essenzialmente la stessa cosa cominciò ad emergere con Jean-Baptiste Biot (1774-1862) nel 1823, ma non fu accettata prima della metà del diciannovesimo secolo, mentre il primo a sostenere che le radiazioni (visibile, ultravioletta, infrarossa) avevano tutte la stessa natura, eccetto per la lunghezza d’onda, fu l’italiano Macedonio Melloni (1798-1854). Finalmente l’enigma delle righe nello spettro solare fu risolto da Gustav Robert Kirchhoff (1824-1887), il quale, riprendendo uno studio di Leon Foucault (1819-1868) del 1849, arrivò ad enunciare le seguenti leggi: - I corpi solidi o liquidi, portati ad alta temperatura, emettono spettri continui, i gas invece emettono righe o bande caratteristiche per ogni gas. - Osservando una sorgente a spettro continuo attraverso un gas freddo, si producono, in assorbimento, le stesse righe che il gas emette quando viene scaldato. Questo significava che, analizzando le linee scure nello spettro del Sole e conoscendo gli spettri di emissione dei singoli elementi, si sarebbe riusciti a scoprire i gas presenti sul Sole. Questa ricerca coinvolse gli scienziati nella seconda parte del diciannovesimo secolo e portò nel 1868 alla scoperta di un nuovo elemento finora non ancora isolato sulla Terra: l’elio. Successivamente questo gas nobile sarà ottenuto da Ramsay, nel 1895, in laboratorio. La ricerca si avvalse anche di metodi diversi; ad esempio, già all’inizio del diciannovesimo secolo era noto che le macchie solari apparivano e sparivano sulla superficie del Sole all’interno di una banda di latitudine compresa tra +30 e -30 gradi rispetto all’equatore solare. Samuel Heinrich Schwabe (1789-1875), cercando degli eventuali pianeti tra Mercurio ed il Sole, fu costretto a catalogare tutte le macchie solari con estrema meticolosità. Come succede spesso nella ricerca scientifica, da un’indagine errata si giunge ad una scoperta fortuita: Schwabe, infatti, non scoprì nessun pianeta, ma si rese conto che i gruppi di macchie solari apparivano sul Sole con un andamento ciclico, che in media era dell’ordine di 10 anni. Quando lo scienziato, nel 1852, pubblicò i suoi risultati, Edward Sabine (1788-1883) annunciò che il ciclo periodico delle macchie solari era uguale al ciclo periodico delle attività geomagnetiche, come ad esempio le aurore boreali. Rudolf Wolf (1816-1893) Figura 6- Grafico che riporta il numero di macchie solari (in rosso), il confermò le analogie usando numero di gruppi di macchie solari (in viola) e il numero di aurore boreali (in verde) tra il 1800 e il 1970dati più accurati e più estesi temporalmente: questo fu l’inizio degli studi dell’interazione magnetica tra Sole e Terra. Non bisogna dimenticare che, in questo contesto di ricerche condotte sul Sole nel diciannovesimo secolo, un nuova scoperta ne favorì lo studio: il dagherrotipo. Esso fu il precursore di ciò che noi chiamiamo “fotografia” ed era costituito da una lastra d’argento o di rame che, dopo essere stata esposta ai vapori d’argento, diventava azzurra; bastavano pochi minuti di esposizione ai vapori di mercurio, perché l’immagine di un oggetto rimanesse impressa sulla lastra. Il primo dagherrotipo al Sole fu compiuto il 2 Aprile del 1845, da due fisici francesi: Louis Fizeau (1819-1896) e Leon Foucault (1819-1868). Il primo settembre del 1859, l’astronomo amatoriale Richard Carrington (18261875), mentre era intento ad osservare una grande macchia solare, notò due vistosi punti luminosi, che si spostavano rapidamente nella penombra della macchia stessa: questa fu la prima osservazione della storia, di ciò che noi oggi chiamiamo “protuberanza”. Anche in quell’occasione, gli strumenti segnalarono dei rilevanti disturbi di carattere magnetico, a conferma del fatto che esisteva una precisa analogia tra ciò che accadeva sulla Terra e quanto avveniva sul Sole. Figura 7- Disegno compiuto da Carrington nel 1860 in occasione della grande protuberanza indicata dalle lettere A-B-C-D- In occasione dell’eclissi totale di Sole del 18 luglio 1860, fu registrata la prima eiezione di massa dalla corona solare: oggi sappiamo che, un fenomeno come quello osservato allora, è la testimonianza di un’intensa attività solare, che provocò un’espulsione nello spazio interplanetario di 10 miliardi di tonnellate di materia solare ad un velocità di 1000 chilometri al secondo. - Il Sole ed il suo funzionamento - Se consideriamo le fonti storiche in nostro possesso, sembra che fino alla metà del diciannovesimo secolo gli uomini non si siano mai chiesti come funzionasse il Sole o almeno non abbiano mai cercato di spiegare l’origine dell’energia solare. Soltanto verso il 1848, Robert Mayer (1814-1887), dopo aver concluso che, se fosse stato composto di carbone, il Sole si sarebbe estinto nel giro di un migliaio di anni, suggerì, quale meccanismo di produzione dell’energia solare, il bombardamento di meteoriti che cadevano sul Sole. Inutile dire che la teoria si dimostrò del tutto inadeguata. Hermann Von Helmohltz (1821-1894) suggerì, quindi, la “teoria della contrazione”, che spiegava l’energia solare come energia gravitazionale. Bastava ammettere, infatti, che il Sole si contraesse di qualche centinaio di metri all’anno, il che non era assolutamente osservabile, per fornire tanta energia da mantenere l’attuale flusso di radiazione per 30 o 40 milioni di anni. La teoria della contrazione fu però abbandonata verso i primi anni del ventesimo secolo, perché incapace di spiegare l’età del Sole, la quale è di qualche miliardo di anni e quindi molto superiore a quella stimata da Helmohltz. Tre ipotesi diverse furono avanzate in tempi successivi per spiegare la produzione di energia solare con processi subatomici. La prima, influenzata dalla scoperta della radioattività, proponeva che, si dovesse ricercare la fonte dell’energia solare nella scissione radioattiva di elementi complessi. Questa teoria fu definitivamente abbandonata quando ci si rese conto che, pur nell’ipotesi estrema di un Sole costituito interamente da uranio, i processi radioattivi avrebbero potuto fornire energia per un tempo molto inferiore a quello richiesto per spiegare l’età del Sole. Più consistente fu la seconda ipotesi, che vedeva nella “annichilazione della materia” la sorgente dell’energia irradiata dal Sole. Questo processo consisteva nella mutua “cancellazione” di protoni ed elettroni con produzione di un quanto di energia corrispondente alla massa delle due particelle scomparse; questo fenomeno dipendeva naturalmente dalla temperatura e dalla pressione che regnava all’interno del Sole, poiché a temperatura e pressione elevate le collisioni erano più frequenti. Anche questa seconda ipotesi, però, strideva con la constatazione che le temperature dell’interno stellare non erano abbastanza elevate da causare l’annichilazione della materia, in misura sufficiente a spiegare l’energia irradiata dal Sole. Rimaneva la terza ipotesi, oggi comunemente accettata, secondo la quale la produzione di energia si doveva cercare nella formazione dei nuclei più complessi per associazione di altri più semplici: è la cosiddetta fusione. In questo processo la massa finale dell’elemento formato è inferiore alla somma delle masse dei costituenti e la differenza di massa viene liberata sotto forma di energia . In seguito ad osservazioni eseguite durante le eclissi e rilevazioni di spettrometria, nei primi decenni del ventesimo secolo, si giunse ad una descrizione della morfologia interna del Sole simile a quella attuale (vedi schema in figura 8), anche se non erano del tutto chiari i fenomeni che caratterizzavano l’attività solare. Fu rilevato che la cromosfera aveva una temperatura di 10000 °K, mentre la corona risultava avere una temperatura dell’ordine del milione di gradi. Quando fu fatta questa scoperta, nel 1933, molti la giudicarono un’assurdità; non si capiva come il Sole, Figura 8- Schema della morfologia del Solecon una temperatura superficiale di quasi 6000 gradi, potesse scaldare il gas coronale, più esterno, ad un milione di gradi. La risposta fu data da Hannes Alfven (1908) e Ludwig Biermann (1907): cromosfera e corona sono riscaldate dalle correnti convettive, che si affacciano alla base della fotosfera e che noi osserviamo sotto forma di granulazione; esse danno delle “frustate” alla materia coronale trasformando così l’energia meccanica in calore. - Il Sole e la conquista dello spazio Che tipo di reazioni avvengono all’interno del Sole? Vengono prodotti gli sfuggenti neutrini? In che misura il campo magnetico del Sole influenza la vita sulla Terra? Quali sono i processi che portano energia dal cuore del Sole alla superficie? E’ a questi interrogativi che la ricerca dei nostri giorni sta cercando di dare risposta, stimolata da tecnologie sempre più sofisticate. Dopo il telescopio e la spettroscopia, la terza grande rivoluzione tecnologica nello studio del Sole è stata la conquista dello spazio da parte dell’uomo. Per la prima volta nella storia dell’umanità si è riusciti ad avere immagini e rilevazioni di dati non filtrati dall’atmosfera cosa che ha portato nuova linfa alla conoscenza scientifica. La prima sonda inviata dagli Stati Uniti, con l’intento dichiarato di monitorare i fenomeni solari, fu lanciata l’11 marzo 1959 e rispondeva al nome di Piooner 5. Successivamente, il 16 dicembre 1965, fu messa in orbita, attorno al Sole, Piooner 6, che da allora non ha smesso di inviarci dati riguardanti i fenomeni solari. Nel febbraio 1980, in occasione dell’imminente massimo solare, fu messo in orbita attorno alla Terra un satellite artificiale (SMS), che, nonostante i problemi iniziali, ha compiuto la sua missione rientrando a Terra il 2 dicembre 1989. La sonda più avveniristica per lo studio del Sole fu messa in orbita nell’ottobre del 1990 con il nome di Ulisse. Sfruttando “l’effetto catapulta”, fornitogli da Giove, nel febbraio si posizionò su un’orbita quasi perpendicolare al piano dell’eclittica, così che, nel 1995, poté raggiungere il polo sud solare e per la prima volta sono stati ricevuti dei dati riguardanti i poli del Sole. Oltre a questi scopi, la missione Ulisse ha potuto analizzare la composizione del “vento solare”, il campo magnetico dell’eliosfera, le sorgenti di onde radio e di raggi X Figura 9- La sonda Ulisse lanciata per monitorare i poli solari. del Sole e i raggi cosmici solari confrontati con quelli intergalattici. L’ultimo satellite artificiale messo in orbita attorno alla Terra fu lanciato il 12 dicembre 1995 da Cape Canaveral, con il nome di SOHO (Solar and Heliospherric Observatory). I principali obiettivi della missione erano quelli di capire i processi che originano la corona solare, il vento solare e investigare la struttura interna del Sole. Paradossalmente, per carpire i segreti della stella più vicina a noi, non bisogna andare solo nello spazio, ma è necessario anche scendere sotto Terra: è sotto le montagne, infatti, che sono stati costruiti i più grandi rivelatori di neutrini del mondo. Essi, con i loro sensibilissimi strumenti, ci permetteranno di capire cosa accade nel nucleo del Sole, dove, da almeno 5 miliardi di anni, si forma l’energia che ha permesso la vita sulla Terra. Dopo millenni di ricerca sembra proprio che l’uomo si sia reso conto che per capire il cuore del Sole è necessario scendere nel cuore della Terra. -Fabio Mantovani-Aprile-1999-