SOSLO Eloquio della lentezza

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Eloquio della lentezza
CLAUDIO CHIANURA
Proprio così, eloquio della lentezza… Infatti quante cose
ha da dirci il passo lento che d’improvviso sconvolge la nostra fretta quotidiana? A volte sembra proprio che una consapevole decelerazione riesca a raccontarci molto più di
una corsa forsennata. Dunque, la lentezza paga, eccome.
Ed è così anche nella musica, devono aver pensato i due
protagonisti di questo inatteso progetto sonoro denominato Soslo. Ne parliamo con gli interessati, Sergio Messina, storica firma della nostra rivista, ma soprattutto musicista, dj, produttore eterodosso, e Painè Cuadrelli, dj, produttore e sound designer, entrambi docenti del corso di
Sound Design allo IED di Milano,, che dopo un primo lavoro intitolato semplicemente Soslo hanno ora pubblicato il
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loro secondo album, intitolato Adagio e basato su autorevoli remix del primo lavoro. E non è finita qui…
IS - Cominciamo dal nome del progetto?
Cuadrelli - Se il cinema ha lo "slow-mo" (slow motion), il
nostro progetto è "slow-so" (slow-sound), o meglio Soslo.
Il concetto è: musica lentissima realizzata in maniera rapida. E lieve, senza enfasi.
IS - Un po’ per cultura e un po’ per motivi generazionali, siamo di quelli che vogliono sempre vedere cosa c’è dietro, non
ci accontentiamo di veder correre il meccanismo. Com’è nata quest’idea e perché?
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Messina - Personalmente, appena ho avuto il mio primo
registratore Revox ho subito iniziato ad ascoltare musica
utilizzando il varyspeed e al contrario, selezionando i
frammenti che mi sembravano sensati e trasmettendoli per
radio. Più avanti, arrivarono i campionatori e diventò possibile, a seconda di quanta memoria avevi, campionare un
pezzo di musica e ascoltarlo molte volte più lento. Il mio
secondo album, uscito a nome Buddha Stick, è interamente basato su campionamenti di cose iperrallentate allo
scopo di sprigionare la musica solitamente imprigionata
dentro le frequenze che normalmente non sentiamo. Ancora più tardi troviamo due software, Metasynth che converte le immagini in suoni, ma soprattutto ThOnk_0+2, per il
vecchio Mac OS 9, a sintesi granulare che richiedeva un input ma non dava alcun controllo sull’output. La chiave di
tutte queste operazioni è la stessa di Gesang der Junglinge
di Stockhausen. Non che lui manipolasse il materiale, ma
sceglieva: questo sì, questo no. Lavorava con un tecnico
che produceva delle soluzioni e Stockhausen componeva
approvandole. Il primo disco di Soslo è composto di allungamenti fatti con vari tipi di software, con algoritmi di
stretching meravigliosi, che consentono di modificare la
musica con un controllo più o meno ampio sul risultato,
ma soprattutto consentendo di lavorare come lavorano i
musicisti di musica elettronica. Non c’è più separazione fra
orecchio e mente. Io sono il primo spettatore delle mie cose e anche il compositore. La persona che dice: questo sì,
questo no. Abbiamo preso tonnellate di musica… Dentro a
questo diso c’è il break di Charlie Parker in “Night in Tunisia”, solo che non si riconosce più perché è stato dilatato.
È un disco di scelte, di quello che secondo noi ha un senso musicale, all’interno di una grande quantità di cose che
apparentemente non ne aveva. La cosa prodigiosa è che
non siamo intervenuti in alcun modo sulla composizione,
in certi casi solo sul suono quando si sono verificate frequenze troppo aspre o troppo basse e quindi abbiamo inserito una equalizzazione. E questo risultato piace ai musicisti e non è mai esistito che un software producesse musica che piace ai musicisti. La musica di procedimento è interessante per la mente, ma non per le orecchie. Questa è
una musica di procedimento che risulta molto affascinante. Qualcuno l’ha definita “una musica che rende epiche le
azioni della vita quotidiana”.
IS - Come avviene la realizzazione?
Messina - Ciascuno di noi si sottopone a diverse decine di
ore di ascolto di materiali prodotti in diversi modi e fa una
preselezione. Poi ci incontriamo e la selezione finale viene
fatta molto rapidamente, anche in un giorno solo, selezionando le tracce che secondo noi sono quelle giuste.
IS - Avete già in partenza un’idea di quale materiale risulterà più o meno adatto, immagino.
Messina - Questo dipende molto dai tuoi gusti, altra cosa
interessante di questo tipo di lavoro. Perché se scegli una
musica con uno sviluppo armonico ricco, complesso, il risultato sarà comunque armonicamente molto mosso. Mentre se usi del blues, se usi materiale modale, il risultato risulterà più uniforme. Io sono un grande amante della musica come “luogo” e il fatto che una musica non abbia sviluppo armonico è per me molto attraente. Mi piace il blues,
mi piace Stimmung di Stockhausen… Se invece ci metti
dentro Stravinskij, l’effetto sarà molto stravinskijano…
Immagina di prendere Stravinskij e allungarlo, stirarlo:
ogni micropunto dell’elastico diventa più largo, più lungo… Trenta secondi di Stravinskij possono doventare trenta minuti.
IS - Che rapporto di durata usate di solito tra l’originale e il
risultato finale?
Cuadrelli - I miei pezzi di solito sono basati su brani più
lunghi. A volte viene allungato un intero brano, di cui poi
selezioniamo un parte più breve. Diciamo in un rapporto di
uno a dieci.
Messina - Anch’io posso utilizzare un rapporto di durata
simile, ma ne utilizzo magari solo venti secondi. Prendo
una scheggia e la faccio diventare magari un pezzo di sei
minuti. Perché a me piacciono le cose più ferme. Sto lavorando a una versione del Lohengrin che dura quindici giorni. Perché si può! Solo perché si può. Per me questa è anche un’esperienza di ascolto e saper ascoltare è la prima
qualità per un musicista. In questo caso è tendenzialmente l’unica.
IS - Dal punto di vista ritmico, invece, cosa succede al materiale?
Cuadrelli - Ci piace meno lavorare sulle cose ritmiche. Intanto perché non suonano altrettanto bene. Magari senza
la batteria… Abbiamo notato che la qualità narrativa di
questa musica, che secondo noi è molto forte, viene fuori
meglio se si usano delle cose meno ritmiche, meno cicliche. Naturalmente gli algoritmi nei nuovi software offrono
diverse possibilità in fase di stretching.
IS - Sulla scelta dei diversi registri siete invece un poco più
liberi, immagino.
Messina - Tendenzialmente cerchiamo di non toccare il
pitch, perché ci piace l’idea che rimanga l’odore del pezzo
originario. Painè è un dj, io ho una storia di maneggiamenti di musica, iniziando come dj radiofonico e poi lavorando
molto coi campionatori… Quindi c’è anche l’idea di introdurre della musica che appartenga alle nostre vicende personali.
IS - Questo genere di manipolazione è qualcosa con cui anche altri lavorano, no? Oggi il software ha molto potenziato
queste possibilità.
Messina - Avrei potuto realizzare un mio disco di musica al
contrario già negli anni Ottanta. E lavorando col mio primo
campionatore, un Mirage, ottenevo dei risultati indesiderati di cui ho tenuto spesso più tracce di quante non ne abbia tenute nel caso di risultati desiderati. Poi il campionatore si è rotto e andava in automatico la funzione sample
and hold. Così ho registrato e tenuto quelle registrazioni.
Painè e io siamo emtrambi molto affascinati dall’evento
inatteso. Lo stretching in fondo è una forma molto controllata di evento inatteso. Non sappiamo mai cosa verrà fuori esattamente. Tutta la nostra perizia sta nella scelta. E
qui mi sento dentro una tradizione che va indietro almeno
di cento anni…
IS - In fondo spesso oggi la musica è soprattutto una questione di scelte, più che di composizione, no? Quando si dice che tutto è già stato fatto, e c’è poi il lavoro dei dj, dei
remix…
Messina - Io dico che se uno è un buon chirurgo c’è il caso che sappia anche rammendarsi i calzini. Se uno è un musicista, c’è il caso che sia un ascoltatore migliore. Che ab-
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bia buone orecchie. A partire da uno
dei generi discografici più spregevoli,
la cosiddetta compilation, l’idea che un
musicista possa fare qualcosa di più
che semplicemente suonare, utilizzando le stesse abilità di musicista, mi
sembra un’idea molto interessante.
IS - A che tipo di musica dobbiamo pensare prima dell’ascolto, solo leggendone
su queste pagine? Alla musica elettronica?
Messina - Questa è la tradizionale questione: se campioni
un pigmeo è musica elettronica o musica pigmea? Il tema
è lo stesso. Diciamo che si tratta di musica digitale. Musica resa possibile dal dominio digitale, in una maniera perfino più estrema della house, che in fondo potresti anche
realizzare con una banda… Servirebbe un po’ di anfetamina, ma alla fine può funzionare. La nostra musica è impensabile fuori dall’ambiente digitale, fuori dal computer.
IS - All’ascolto suona come musica elettronica, nel senso che
non suona sempre naturale…
Messina - Non c’è dubbio, ha questo flavour. Ma poi a volte ha uno sviluppo molto più simile a certe cose di Debussy. Da un punto di vista timbrico è un disco nemmeno elettronico, ma proprio digitale. Mentre da un punto di vista
strutturale ha molto poco della musica digitale. E quando
ci sentiamo in vena di prendere in giro qualcuno, possiamo
raccontare che abbiamo composto questa musica in modi
molto più curiosi.
Cuadrelli - Queste cose si fanno usando tanto le mani, ma
tantissimo le orecchie. In questo senso è anche musica
elettronica, quella dimensione in cui il compositore è anche il primo ascoltatore. Cosa che non appartiene alla musica classica, per esempio, ma nemmeno tanto alla tradizione rock’n’roll, che devi prima suonare e poi riascoltare.
IS - Volete dirci come avete scelto i musicisti coinvolti nella
realizzazione del disco, quelli che hanno fatto i remix?
Messina - I musicisti coinvolti sono tutti complici di vecchia data: Franco Fabbri, GX Jupitter-Larsenn, Steve Piccolo che aveva collaborato al secondo album di Painè, Scanner con cui ho collaborato la prima volta nel ‘96 a Vienna… Sono tutti vecchi sodali, ma nessuno di loro è il genere di soggetto che fa remix. Abbiamo dato a tutti la possibilità di sottrarsi, perché in fondo c’è un’idea concettuale nel disco che poteva non essere condivisa. Invece ci siamo accorti che gli altri musicisti sono stati sollecitati proprio da questa idea. Gli piaceva come funzionava, gli piaceva il suono complessivo.
IS - In questo caso chi fa il remix è esattamente sullo stesso piano di chi ha “scritto” il brano originale.
Messina - Esattamente. Anche sul piano strettamente burocratico, sono coautori al 50%. Sia Painè che io abbiamo
lavorato abbastanza nell’industria discografica per sapere
quali regole vanno sovvertite. La prima è “patti chiari amicizia lunga” e la seconda naturalmente è “il 50% di tutto”.
Soprattutto su un’operazione del genere.
IS - Diteci cosa succede poi con la diffusione e la distribuzione di questo materiale.
Cuadrelli - Il primo disco è stato messo in download con
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tre possibili modalità: singoli pezzi,
tutto l’album in mp3, tutto l’album
con copertina stampabile in qualità cd
audio. Questo album è rilasciato con
una licenza CC/BY, Creative Commons
By Attribution, cioè chiunque può
usare questa musica, anche con uno
scopo commerciale e l’unica cosa che
deve fare è citarci. Questa è una questione politica per noi molto importante. Noi facciamo musica usando la
musica di altri, da sempre.
Messina - Painè ha fatto i suoi due meravigliosi primi dischi usando interamente frammenti di musica altrui, frammenti anche piccolissimi, e non si tratta di furto, anzi, ma
di bricolage, un lavoro di montaggio e accostamenti di artisti distantissimi fra loro… Quindi ci piace molto l’idea di
creare una base di musica libera e utilizzabile da chiunque.
Una vera e propria library. Questo è uno dei significati più
interessanti del disco, ascoltandolo si trova una grande
ricchezza di suoni. Il secondo album invece è frutto di
composizioni basate su questo materiale, e quindi con le
persone coinvolte abbiamo deciso di distribuire il disco su
iTunes, di venderlo a singole tracce, dividendo al 50% tutti i proventi.
Cuadrelli - I nostri dischi sono sempre bifronti. Il primo
album, Soslo, era fatto solo ed esclusivamente di musica
allungata ed è in libera distribuzione. L’album gemello di
cui stiamo parlando ora è il remix del precedente. Entro fine giugno uscirà il terzo lavoro, di sola musica allungata,
ed entro fine settembre uscirà il quarto album fatto di remix del terzo album. Noi andiamo avanti con questa configurazione. Poi, se nel frattempo qualcuno volesse per
esempio fare un’edizione limitata, lavorare sull’accoppiamento tra questa musica e le immagini, cosa che può funzionare molto bene, a quel punto possiamo immaginare
anche altre forme di publishing. Si può anche immaginare
un “best” dei Soslo… Però francamente sono molto contento di vivere in un tempo dove non ho più a che vedere
con distributori che ti dicono che ora hanno altro da fare e
quindi passiamo alla settimana prossima.
IS - Passando all’ambiente nel quale avete lavorato e ai collaboratori di questo secondo disco, quali considerazioni avete fatto durante la realizzazione? Cosa gira intorno al progetto Soslo?
Messina - La situazione è che ci sarebbero potenzialmente molte persone contigue fra loro e che per mille ragioni
non si sono mai incrociate. Esiste una cultura delle discografie dove l’incrocio tra diverse discografie sarebbe un tema molto interessante, a mio parere. L’idea che ci siano due
gradi fra Scanner e Franco Fabbri… A questo punto un solo grado, anzi, restituisce un’idea molto più realistica di
come vanno le cose. Voglio dire, tutti pensano che quelli
che fanno rap vadano a cena solo con quelli che fanno rap.
Mentre due persone di estrazione assolutamente stradale
come noi vanno a cena con Franco Fabbri, trovano moltissime cose di cui parlare, dove poi ognuno supera il proprio
ambito, e così proseguirà il lavoro anche nel futuro immediato. Abbiamo l’idea di comporre gruppi di musicisti sulla
base di affinità anche nascoste, ma secondo noi estremamente evidenti. Che ci siano in un disco Steve Piccolo e accanto a lui Franco Fabbri che fa dei rumorismi chitarristici
sulla sua traccia, riporta a casa pezzi della nostra storia,
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dove io stesso sono stato un cliente
dei Lounge Lizards e un cliente degli
Stormy Six. Siccome queste cose
convivono nella nostra testa, come
nel mio stomaco convivono il peperoncino di Rossano Calabro e il wasabi, anche nello stesso pasto, allora
che questo cominci a succedere nella
musica mi sembra anche interessante
e ci piacerebbe molto spingere in
questa direzione.
Naturalmente abbiamo coinvolto
persone che potessero agire in maniera curiosamente complementare
fra loro. Quando Steve ha proposto di
fare una spoken word sono stato molto felice, innanzitutto perché ha una
voce meravigliosa, e poi perché è
uno che sa scrivere. Ci siamo scelti
persone che potevano avvicinarsi in
maniera anche sexy, molto differenziata ma poi non troppo. Infatti non
a caso abbiamo Marco Zangirolami e
non abbiamo il detentore del Trofeo
InSound per il musicista più sovrastimato di tutti i tempi, che è Giovanni
Allevi… La versione di Zangirolami si
chiama “Gaas”, che sta per “Giovanni
Allevi After Shave”. Zangirolami ci ha
proposto un’improvvisazione per pianoforte su uno dei pezzi. Non solo ci
è piaciuta molto l’idea, ma si tratta
di una modalità che ci piacerebbe
sviluppare con, per esempio, qualcuno dei meravigliosi jazzisti che abbiamo in Italia. Abbiamo una grande
tradizione di improvvisatori, gente
che però purtroppo se si sporca le
mani con l’elettronica lo fa sempre in
una maniera un po’ sterilizzata, un
po’ troppo pulita. La cosa fantastica
è che abbiamo creato un disco, il nostro primo album, che è masticabile
allo stesso tempo da Coccoluto e da
Han Bennink o, perché no, da Paolo
Fresu che pure amiamo.
A noi interessa molto questo aspetto, trascendere, osare… Andare da
Franco Fabbri e chiedergli di farci un
remix! Per esempio, penso all’operazione di qualche tempo fa fatta con Micalizzi e le sue musiche per film rieseguite in chiave moderna, operazione di
tutt’altro segno, dove però è venuto fuori Micalizzi che dirige con i cazzotti! Dando dei pugni nell’aria!
In fondo noi stiamo anche cercando di occupare uno spazio che è un peccato sia stato abbandonato. Perché non c’è
mai stata una vera organica, complessa liaison tra la musica elettronica italiana e la scena dell’improvvisazione jazz?
O tra la vecchia scuola di musica elettronica colta e la nuova scena elettronica, al netto di tutto lo snobismo fra le
due? Forse questo è il ruolo che ti ritrovi a svolgere quando non hai più vent’anni e non appartieni più a nessuna
parrocchia.
In queste pagine, Painè Cuadrelli e Sergio Messina, autori del
progetto Soslo. Tutte le informazioni e gli aggiornamenti
si trovano all’indirizzo www.soslo.net
IS - È anche vero che oggi si osa più di un tempo nelle collaborazioni fra musicisti, no?
Messina - Anche grazie ad iTunes e alla distribuzione digitale. Un musicista ha molto meno da perdere. Male che vada guadagnerò meno dalla vendita di quella particolare
traccia, mentre prima bisognava convincere tutta una catena di addetti ai lavori e alla produzione, una giacca vuota di discografico che ragionava per scuderie e per convenienze apparenti…
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