Milano
Officina Teodosio ATM
Reparto Verniciatura
Sabato 18.IX.10
ore 22
°
60
Mosche elettriche
“Around Jimi”
Giovanni Falzone tromba,
elettronica
Valerio Scrignoli chitarra
elettrica
Michele Tacchi basso elettrico
Riccardo Tosi batteria
Torino Milano
Festival Internazionale
della Musica
03_24 settembre 2010
Quarta edizione
SettembreMusica
Mosche elettriche “Around Jimi”
Giovanni Falzone, tromba, elettronica
Valerio Scrignoli, chitarra elettrica
Michele Tacchi, basso elettrico
Riccardo Tosi, batteria
In collaborazione con
ATM
La foschia audiotattile di Jimi Hendrix
Da quando l’indagine musicologica ha iniziato a diradare la densa foschia
purpurea che da sempre ha circonfuso, nella mitografia massmediatica,
l’icona del chitarrista, vocalista e compositore James Marshall “Jimi”
Hendrix (Seattle, 27 novembre 1942 - Londra, 18 settembre 1970), si
stanno profilando con sempre maggiore evidenza il significato e la rilevanza
dell’opera di una delle figure centrali della musica del ventesimo secolo.
‘Opera’, qui, con un senso del tutto particolare, s’intende.
Hendrix non ha mai composto una nota ‘scritta’. Eppure, le sue creazioni
musicali sono state interpretate da ogni genere di musicisti, con estrazioni
stilistiche che vanno dalla musica contemporanea al jazz: dal Kronos
Quartet a Gil Evans, tanto per citare i primi (ma si potrebbe arrivare fino
ai più recenti Meridian Arts Ensemble o Absolute Ensemble), ponendo le
sue opere accanto a quelle di un Béla Bartók o John Coltrane. I perché
sono molteplici. Innanzitutto, stabiliamo in estrema sintesi la natura
fenomenologica delle sue pratiche creative. Hendrix, a differenza di un
Bartók (o di Beethoven) – che mediavano la loro creatività col ‘carico
teorico’ della notazione musicale e della teoria musicale che l’informa –, ha
agito all’interno di un modo particolare di conoscere, pensare e formare la
musica promosso dall’interfaccia psico-corporeo con la sfera sonora. Questo
modello di esperienza l’ho altrove definito di tipo audiotattile. In secondo
luogo, ha proiettato questo criterio di rappresentazione e attualizzazione
del suono organizzato, basato sul principio creativo audiotattile, all’interno
di un sistema di produzione di testi che si sedimentano con intenzionalità
formativa in supporti permanenti, le registrazioni sonore (diversamente da
quanto avviene nelle culture orali, le cui esecuzioni si dissolvono appena
realizzate). Per il concetto di musica valido in questo particolare modello
antropologico, tali registrazioni sono considerate dei testi simili a quelli
della musica elettronica di estrazione accademica, suscettibili di massivo
editing, interpolazioni, processamenti e quant’altro (nel suo caso, grazie
alla collaborazione con il fonico di registrazione Eddie Kramer e l’ingegnere
elettronico Roger Mayer). La presenza di un testo fonofissato, infine, innesca
sul piano simbolico processi afferenti all’estetica moderna occidentale (in
particolare nella ricerca del valore dell’originalità creativa e dell’autonomia
artistica), detti di tipo ‘neo-auratico’, proprio per distinguerli dalle dinamiche
delle culture orali.
Ed ecco che emergono due dati fondamentali per inquadrare la figura
artistica di Hendrix. Da un lato, il principio audiotattile, che si estrinseca
percettivamente nel suo marchio di fabbrica: un suono saturato dato da
un agglutinante tocco della corda simile a un rombo abissale che si fa
scia tracciante di aereo supersonico. O, anche, nel modo idiosincratico di
condurre il ritmo (il ‘respiro interno’ della concreta scansione ritmica, che
nelle tradizioni audiotattili si definisce groove: in lui leggermente sfasato
depulsivamente, behind the beat). Dall’altro, la forma ‘concreta’ delle sue
opere discografiche, caratterizzate da una dominante timbrica vischiosa,
essenzialmente data dal focus chitarra/voce sospeso sulla vibratile fascia
sonora dei piatti ride e crash della batteria – uno stilema di ascendenza jazz,
ma che qui assume un valore espressivo tutto ‘psichedelico’ – con viraggio
di riverberi e sovraincisioni stranianti. Qui il suo principio audiotattile si
inscrive in una dimensione dove l’impulso estemporaneo si concretizza
in strutture sonore altamente controllate ed elaborate ‘alla seconda’. Ecco
perché in Hendrix hanno riconosciuto il comune genoma sia i musicisti
jazz – il jazz ‘funziona’ allo stesso modo audiotattile, e il massivo carattere
improvvisativo ne è la conseguenza: nella sua opera, tra l’altro, trova
ascendenza tutto il filone jazz fusion – sia la Nuova Musica e i suoi interpreti,
per le implicazioni neo-auratiche. Ovviamente, questo è solo il primo livello,
quello fenomenologico.
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Sul piano stilistico, Hendrix a metà anni Sessanta si pone alla confluenza di
tradizioni diverse, che riformula. Eredita il blues della tradizione urbana di
Chicago, uno stile che aveva modificato l’approccio folk originario attraverso
l’uso della strumentazione elettrica ed i processi di mediazione discografica
(con l’etichetta omonima dei fratelli Chess). Mostra particolare attenzione per
Howlin’ Wolf (al primo incontro con i Cream utilizzò la sua Killin’ Floor tanto
per chiarire ad uno sbigottito Eric Clapton con chi avesse a che fare) e assorbe
sia la linfa dell’incipiente spirito soul, intriso della tradizione del gospel, sia
del rhythm and blues, come chitarrista di Little Richard, King Curtis, degli
Isley Brothers e, in particolare, di Curtis Knight. Ma, soprattutto, grazie a
Chas Chandler, ex bassista degli Animals e suo produttore – che ebbe l’idea di
modificare il diminutivo Jimmy in Jimi – incrocia dal 1966 la controcultura
psichedelica rock nella versione Swingin’ London. Un africano-americano
che nella Londra underground diventa espressione stessa del milieu culturale
che si irradia dai poli del World Psychedelic Center di Micheal Hollingshead
o della galleria Indaca – dove John Lennon scopre The Psychedelic
Experience di Timothy Leary –, dell’UFO Club, degli happening Spontaneous
Underground o 14-Hour Technicolor Dream. Un humus da cui, tra l’altro, si
originerà un capolavoro epocale come il Sgt. Pepper’s dei Beatles.
Questa congiuntura ha procurato seri problemi alla storiografia della musica
africana-americana. Nelle settecento pagine dell’antologia African American
Music, curata da Mellonee Burnim e Portia Maultsby, a Hendrix è dedicato
non un capitolo, né un paragrafo, ma una sola citazione en passant, con la
giustificazione che la sua audience «era, di fatto, bianca». Al di là di tutto,
distorsioni ideologiche come queste non considerano un fondamentale
elemento. Come il blues delle origini ha avuto accanto alle tradizioni
rurali una versione mass-mediata ‘bianca’ (in cui persino Antonio Maggio,
un siciliano arbëreshe emigrato a New Orleans, ha un ruolo fondativo,
componendo e pubblicando nel 1908 il primo blues a stampa conosciuto
nella forma canonica a dodici misure), così Hendrix, per altri territori
artistici, ha fuso la tradizione afroamericana del blues urbano e del R&B con
la psichedelia inglese.
In prospettiva storica, il chitarrista-compositore di Seattle brucia il proprio
potenziale creativo in meno di quattro anni. Inizia ad incidere a proprio
nome, col trio The Jimi Hendrix Experience, il 23 ottobre 1966 (con i
registratori a quattro tracce dei DeLane Lea Studios di Londra), diventando
il riferimento di una serie di tradizioni e stilemi performativi attivi sino ad
oggi. Il suono saturato della Fender Stratocaster, ad esempio, proiettato
nella classicità degli stili audiotattili e seminale per l’hard rock, ma anche
il tagliente e netto profilo del timbro polito dei pick up a bobina singola
nelle ballad, con le corde percosse elasticamente col plettro in punta di
dita; la trazione erosiva delle corde nel portamento ascendente, il bending,
e il connesso uso ‘estremo’ della leva del tremolo, in un’epoca in cui i
dispositivi di accordatura stabilizzata e i ponticelli mobili ideati negli anni
’80 erano ancora fantascienza; il feedback Larsen usato come un theremin
che sconvolge gli assetti modali (si pensi al sibilante sol naturale nell’assolo di
Manic Depression (1967) in un ambiente di pentatonica minore di la bemolle).
E ancora, le doppie note glissate su modelli generativi di pentatonica
maggiore (passaggi pensati – lo do per certo in Little Wing (1967) – come
estemporizzazioni sulla semplice preformazione dattilica degli accordi: un
criterio eretico per i corifei dello schenkerismo applicato al pop), o l’uso del
pedale wha wha Vox, sperimentato in Burning Of The Midnight Lamp (1967),
che genera una ‘melodia di timbri’.
La sua naturale propensione per la comunicazione di massa è aspetto da non
sottovalutare, con l’icona del guitar hero e le mise indovinate, come quella
di Woodstock con la fascia fucsia in fronte e il camiciotto con le frange,
candidamente abbacinante come la chitarra. O l’uso sapiente dei numeri
da palco da consegnare alla propria agiografia, suonando la chitarra con i
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denti o con lo strumento sul dorso, oppure appiccandole il fuoco: un rito di
purificazione forse ispirato dalla componente cherokee dei suoi cromosomi
(effetto magnificato dalla diavoleria della chitarra ‘rovesciata’, a misura di
mancino).
Oltre alla potenza delle proprie composizioni s’impone anche la bellezza
delle sue cover version, con la dylaniana All Along the Watchtower (1968)
sopra tutte: all’interno di uno spazio fonico in cui i suoni rimbalzano
caleidoscopicamente su superfici traslucide, qui è in gioco la sua vocalità, nei
cui confronti, a dire il vero, ha sempre nutrito un senso di insicurezza. La
voce hendrixiana è un alter ego, più che un’estensione, dello strumento.
Nel suo arco creativo realizza opere discografiche che restano pietre miliari
della musica audiotattile del secolo scorso (in quegli anni disorientando con il
loro erratico effluvio editoriale chi ne comprava i dischi: e qui le temporalità
disgiunte della storia musicale e del vissuto personale si sovrappongono).
Bisogna tener presente che il format hendrixiano par excellence rimane
il singolo, il disco a 45 giri: l’idea del concept album non gli appartiene,
rimanendo legato al modello del LP come florilegio di pezzi. Da Purple Haze
(1967), che prelude, con la quinta diminuita, al carattere ominoso di tanto
metal a venire, a Foxy Lady (1967, pubblicata negli US come Foxey Lady)
abbiamo la misura di come su un impianto linguistico derivante dal blues si
possano innestare tecniche compositive pop, con l’inserimento di elementi
ricorrenti in funzione di ‘agganci percettivi’. In Voodoo Chile (1968), che fissa
invece tematicamente un clima espressivo elaborato in una jam session con
Steve Winwood all’organo Hammond B3 e Jack Casady al basso, i riferimenti
ai riti di origine africana di possessione coalescono in una sintesi del lascito
di Muddy Waters.
Le inopinate tonalità (per la tradizione rock/blues) di molti suoi pezzi
dipendono dall’abbassamento dell’accordatura standard chitarristica di un
semitono per favorire il bending (non esistevano le corde microcalibrate).
Ciò crea problemi per la riesecuzione filologica: bisogna considerare che
la componente timbrica e la stessa qualità dell’intonazione nelle musiche
audiotattili sono costitutive della forma neo-auratica. Ne sono esempi il
clima free di If Six Was Nine (1967) o lo sperimentalismo elettronico in
1983…(A Merman I Should Turn To Be) (1968), dove un uso intensivo di
nastri retroversi genera astratti e allucinati trip sonori.
All’opposto, il descrittivismo musicale. L’urlo del vento in All Along the
Watchtower, con la progressione di bicordi ribattuti all’excipit, o, in Hey Joe
(1966), i mi sovracuti reiterati nell’assolo, col loro icastico attacco esplosivo
su trazione della corda di un tono, per le detonazioni dei colpi di pistola,
oppure il cromatismo armonico per il nome Mary, in The Wind Cries Mary
(1967). Curiosamente, a distanza di anni il sound di Hendrix ‘compositore’
di opere discografiche, la specificità materico-timbrica delle sue incisioni,
sembra acquisire una qualità più ‘acustica’, oggi che il soundscape è avvezzo
a saturazioni sonore con overdrive da trapanatura metallica. La sua musica
denuncia il profondo legame con la tradizione del Chicago Blues più di
quanto apparisse dai futuribili squarci sonori nei tardi Sessanta. Ma nel
contempo, la stratificazione di effetti da sovraincisione (‘stress mediale’
da innovazione tecnologica, direbbe McLuhan) ci restituisce la densità
esistenziale caotica e pullulante di uno straniamento elettronico inscritto in
una forma fondamentalmente irreplicabile (ecco perché non si riusciva mai
– e ci ha rinunciato lui stesso – a riprodurre il ‘suono Hendrix’ dal vivo: la
centralità di quelle creazioni è in un miracoloso equilibrio tra performance e
tecnica di composizione elettronica).
L’ultima fase della sua vita è segnata dalla spasmodica ricerca di nuove chiavi
musicali, tanto più difficili da trovare quanto più la nebbia psicotropa di droghe
e alcol si infittisce. Dopo gli album Are You Experienced? (maggio 1967), Axis:
Bold as Love (dicembre 1967) e Electric Ladyland (settembre 1868), gli unici
registrati in studio sotto il suo diretto controllo autoriale, forse Hendrix
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comincia ad avvertire che la cultura psichedelica sta diventando moda di
massa, scolorando con essa l’utopia messianica del power to the fantasy. Si
scioglie il sodalizio degli Experience e altre formazioni si susseguono, come
i Gypsy Sun & Rainbows dell’epopea di Woodstock o Band of Gypsys, con
Billy Cox al basso e Buddy Miles, il virtuoso batterista degli Eletric Flag.
L’eponimo album, registrato live la notte di Capodanno 1969 al Fillmore
East di New York, fu l’ultimo disco in assoluto da lui autorizzato.
Ça va sans dire che morire a ventisette anni per soffocamento, a seguito
di intossicazione da alcol e barbiturici, è l’ultimo atto di una mitografia da
copione hollywoodiano, ma anche il simbolico sigillo su una stagione creativa
irripetibile. Da qui il calvario delle pubblicazioni postume, che confliggono,
come avviene spesso in questi casi, con il principio etico della responsabilità
artistica, incarnata nei ‘materiali autorizzati’ dall’autore. Si passa così, per
le sue registrazioni, dal livello dell’intenzionalità estetica – che in lui si
esplicava con tratti da manic expression, con esorbitante quantità di versioni
alternative – a quello della pedante documentazione storica (è accaduto lo
stesso a Charlie Parker, e toccherà ad infiniti altri).
Ciononostante, in suo nome (e con accanimento particolare, nel suo caso),
sono state perpetrate, dal punto di vista filologico-discografico, vere e proprie
profanazioni, come le edizioni a cura del produttore Alan Douglas.
Resta da chiederci quali direzioni artistiche intendesse intraprendere Hendrix
nel 1970. Ma anche se credo di avere idee piuttosto chiare in proposito,
preferisco fermarmi qui, ad un passo dalla pura speculazione musicologica.
È molto meglio pensare alle meraviglie che ci ha lasciato, specialmente alla
classicità degli Experience del primo entusiasmo creativo. E se possiamo
immaginarci la bacchetta di John “Mitch” Mitchell (1947-2008) come la
briglia con cui fa correre il piatto della batteria, generando una luminescente
foschia, sostenuta dalla stralunata riservatezza tutta britannica del basso
cromatizzante di Noel Redding (1945-2003), allora la Stratocaster di Jimi
Hendrix – vanamente agognata da Miles Davis nelle sue visioni premonitorie
del funk jazz – sarà sicuramente un lanciarazzi segnaletico per le astronavi
della nostra mente. Rigorosamente colorate, s’intende, di rosso porpora.
Vincenzo Caporaletti*
*Eclettica figura di musicologo-musicista, insegna Civiltà Musicale Afro-Americana
presso le Università di Macerata e Firenze ed è membro del comitato scientifico di
numerose riviste. Dal 2007 è direttore scientifico per la LIM della collana «Grooves.
Collana di Studi Musicali Afro-Americani e Popular».
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Giovanni Falzone, tromba elettronica
Trombettista e compositore comincia lo studio della tromba, presso la scuola
di musica della banda del paese di Aragona (AG), all’età di 17 anni. Subito
dopo si iscrive al Conservatorio di musica V. Bellini di Palermo dove si diploma in soli quattro anni sotto la guida del maestro G. Ciavarello. Si diploma inoltre, con il massimo dei voti, al corso di jazz del Conservatorio G.
Verdi di Milano. Dal 1996 al 2004 ha collaborato stabilmente con l’Orchestra
Sinfonica di Milano ed ha avuto occasione di suonare con direttori e solisti di
fama internazionale come: Giuseppe Sinopoli, Claudio Abbado, Carlo Maria
Giulini, Riccardo Chailly, Yutaka Sado, Luciano Berio, Vladimir Jurowski,
Valerij Gergiev. Dal 2004 si è dedicato definitivamente alla musica jazz e
alla composizione. Vincitore di molti premi tra cui Best TalentUmbria Jazz
Clinics 2000, Django d’Or Miglior Nuovo Talento, Accademie Du Jazz 2009
(2° classificato Categoria Musicista Europeo). Ha pubblicato i diversi album
come compositore, arrangiatore e band-leader, come Music For Five (2002),
R-Evolutin Suite (2007) e Around Jimi (2010). In qualità di Band-Leader ha
suonato in vari Festival Jazz Nazionali ed Internazionali fra cui Umbria Jazz
Winter, Copenaghen Jazz Festival, Bolzano Jazz, Edinburgo Jazz Festival,
Odessa Jazz Festival (Ucraina), Bordeaux Jazz Festival, Auditorium Parco
della Musica (Roma), Nantes Jazz Festival. Attualmente è docente di ottoni
jazz presso il Conservatorio G. Verdi di Milano e la New York University
(Florence), alternando l’attività solistica a quella compositiva.
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Valerio Scrignoli, chitarra
Nato a Milano il 10 aprile 1960 inizia a suonare la chitarra a dodici anni come
autodidatta. Ha studiato chitarra jazz con il maestro Gherardo Scarpellini e
al CDM di Milano con il maestro Filippo Daccò nel 1986 e 1987. Negli anni
’90 fino ad oggi ha collaborato con numerosi musicisti italiani tra i quali: Tommaso Scannapieco, Stefano Tatafiore, Marco Vaggi, Claudio Bolli,
Marco Detto, Cristian Calcagnile, Pepe e Pancho Ragonese, Tonino De Sensi,
Giovanni Giorgi, Daniele De Santis, Michele Benvenuti, Beatrice Bellabarba,
Marco Ferrara, Elmar Schäfer, Giammarco Polini, Roberto Gazzani, Roberto
Eusebi, Michele Salgarello e molti altri. Attualmente ha un trio con Giulio
Martino e Alfredo Laviano con i quali ha inciso nel 2006 il cd, sulle composizioni di John Coltrane, Changing Trane. Suona in diversi gruppi ed in
particolare nell’ Orange trio con Carlo Nicita e Tito Mangialajo, nel quartetto
Cosmophonia Rudimentale con Roberto Zanisi, Daniele longo e Carlo Nicita,
con il Bea’s Group di Beatrice Bellabarba, con il gruppo Nuance jazz manouche con Giammarco Polini, Roberto Gazzani e Roberto Eusebi e con il quartetto elettrico di Giovanni Falzone. Ha partecipato ad alcuni festival del jazz
tra i quali il festival jazz di Varese edizione 2004 e 2005, Ah-Um jazz festival
2005, Pomigliano jazz festival 2006, Clusone jazz festival 2006, Prishtina
jazz festival 2006, Piacenza jazz fest 2007, Nick La Rocca Jazz Festival 2007.
Collabora come musicista con Teresa Pomodoro nell’ambito del teatro con
la direzione di Giovanni Falzone e con la Fondazione Orchestra Sinfonica di
Milano Giuseppe Verdi.
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Michele Tacchi, basso elettrico
Nato il 25 giugno 1982 a Busto Arsizio (VA), ha iniziato a suonare il basso
elettrico all’età di 12 anni. Per quanto riguarda l’esperienza live ha suonato
in diverse formazioni nei contesti più disparati, dal jazz al rock, dal blues
alla musica brasiliana e cantautorale. In ambito jazzistico ha collaborato con
Antonio Faraò, Giovanni Falzone, Walter Calloni, Dado Moroni, Marco Detto,
Mario Zara, Stefano Bagnoli, Paolo e Marco Brioschi, Giorgio Di Tullio, Luca
Pasqua, Gigi Cifarelli, Marco Zanoli, Massimo Vescovi, Alex Battini e con la
cantante brasiliana Adi Souza. Ha suonato con il gruppo blues Dockery Farms
dal 1997 al 1999 coprendo tutti i maggiori locali della regione. Nel 2001
registra per la Abeat Records l’esordio discografico del cantautore Antonio
Turconi, intitolato Lettere dal bagnasciuga, progetto nel quale ha suonato il
basso elettrico e ha seguito personalmente il lavoro di co-produzione artistica
e di arrangiamento. Nel giugno 2003 è finalista al Premio Nazionale Massimo
Urbani per musicisti jazz sotto i trent’anni, dove vince una borsa di studio
per partecipare ai Berklee Summer School at Umbria Jazz Clinics. Nel settembre dello stesso anno entra in studio con la sua formazione jazz, il MAG
trio, per la registrazione del loro primo disco, Pensieri Circolari, pubblicato a
marzo 2004 e realizzato con la partecipazione speciale del sassofonista Javier
Girotto. Con questa formazione si è esibito in vari festivals e manifestazioni,
nonché nel prestigioso club Blue Note di Milano e ha registrato il primo disco
della cantante Veronica Vismara Soul Mates, con la partecipazione di illustri
ospiti quali Dado Moroni, Giovanni Falzone e Gianni Cazzola. Attualmente
è anche il bassista dei cori gospel Joyful Singers e Gospel for Joy diretti dal
Fabio Gallazzi e del trio del pianista francese Xavier Harry. Ha lavorato in
studio ad alcune produzioni discografiche ed è docente di basso elettrico,
teoria e armonia.
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Riccardo Tosi, batteria
Batterista milanese, studia pianoforte con Luigi Mascherpa, batteria con
Giampiero Prina e Tony Arco. Dal 2002 frequenta l'Accademia Internazionale
della Musica, dove si diploma nel 2004 e prosegue gli studi fino al 2006.
Nel 2007/2008 frequenta i Laboratori Permanenti di Ricerca Musicale di
Stefano Battaglia. Ha seguito seminari con C. Palmer, D. Weckl, T. Campbell,
B. DeFranco, D. Liebman, B. McFerrin, E. Jones, R. Savage e lo staff della
Berklee School agli Umbria Jazz Clinics, J. Cammack, J. Cobb, B. Williams, M.
Miller, J. Kinnison, E. Fioravanti e M. Manzi ai Seminari di Siena Jazz dove
viene scelto per la masterclass di E. Rava. Collabora stabilmente con Franco
Cerri Quartet e Guitar Ensemble, P. Conte Quartet, Giovanni Falzone Electric
Quartet, Le Sorelle Marinetti, oltre ad aver fatto parte dei gruppi di G. Bedori,
S. Palumbo, R. Sportiello Dixieland Band, Time Percussion di T. Arco ed aver
suonato nell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da M. Rossi. Ha avuto
occasione di suonare al fianco di F. Bearzatti, F. Bernasconi, M. Brioschi,
B. De Filippi, E. Intra, L. Meneghello, G. Partipilo, M. Ricci, R. Rossi, M.
Rusca, E. Soana, e, nel Time Percussion di T.Arco, con F. Boltro, B.Casini,
B. Cobham, F. D'Andrea, e altri. Ha suonato in diversi festival nazionali, tra
cui MITO SettembreMusica 2007, Iseo Jazz Festival 2005, Liberty Jazz 2005,
Bollate Jazz Meeting 2005, Jammin’ in the Garden 2003, Brianza Open Jazz
Spring 2003, 2007 e 2008.
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MITO SettembreMusica è un Festival
a Impatto Zero®
Il Festival MITO compensa le emissioni
di CO2 con la creazione e tutela di
foreste in crescita nel Parco Rio Vallone,
in Provincia di Milano, e in Madagascar
Una scelta in difesa dell’ambiente contraddistingue il Festival sin
dall’inizio. Per la sua quarta edizione, MITO SettembreMusica
ha scelto di sostenere due interventi dall’alto valore scientifico
e sociale.
Contribuire alla creazione e tutela di aree all’interno del Parco
Rio Vallone, in Provincia di Milano, un territorio esteso su
una superficie di 1181 ettari lungo il torrente Vallone che
nel sistema delle aree protette funge da importante corridoio
ecologico, significa conservare un polmone verde in un
territorio fortemente urbanizzato, a nord-est della cintura
metropolitana.
In Madagascar, isola che dispone di una delle diversità
biologiche più elevate del pianeta, l’intervento forestale è
finalizzato a mantenere l’equilibrio ecologico tipico del luogo.
Per saperne di più dei due progetti fotografa il quadrato in
bianco e nero* e visualizza i contenuti multimediali racchiusi
nel codice QR.
Visualizza il filmato
sui due progetti
sostenuti dal Festival
*È necessario disporre di uno smartphone dotato di fotocamera
e connessione internet. Una volta scaricato il software gratuito
da www.i-nigma.com, basta lanciare l’applicazione e fotografare
il quadrato qui sopra. Il costo del collegamento a internet varia a
seconda dell’operatore telefonico e del tipo di contratto sottoscritto.
In collaborazione con
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MITOFringe, tanti appuntamenti
musicali che si aggiungono al
programma ufficiale del Festival
MITOFringe nel mese di settembre
a Milano la trovi...
… in metro
Tutti i giovedì, venerdì e sabato MITOFringe arriva nella metropolitana milanese
con tre concerti al giorno nelle stazioni Cordusio, alle ore 16, Cadorna, alle ore 17,
e Duomo, alle ore 18. Fringe in Metro inaugura sabato 4 settembre alle ore 16.30
con tre ore di musica non stop nella stazione Duomo. In collaborazione con ATM.
… in stazione
Martedì 7 e martedì 21 settembre, alle ore 17.30, la nuova Stazione Garibaldi si
presenta ai milanesi con due appuntamenti musicali. I concerti, il primo nel Passante
di Porta Garibaldi e il secondo in Porta Garibaldi CentoStazioni, sono dedicati alla
musica funky e jazz. In collaborazione con Ferrovie dello Stato e CentoStazioni.
… nei parchi
Tutte le domeniche del Festival, la festosa atmosfera delle bande musicali anima
i parchi cittadini. Il 5 settembre alle 12 nei giardini pubblici Montanelli di Porta
Venezia, il 12 settembre alle 12 al Parco Ravizza e il 19 settembre alle 11 al Parco
Sempione.
… nelle piazze e nelle strade della periferia milanese
Nei weekend trovi MITOFringe nelle piazze e nelle strade della periferia milanese
con concerti nelle zone Baggio (sabato 5 alle 20.45), San Siro (venerdì 10 alle 21),
Casoretto (sabato 11 alle 21), Pratocentenaro (venerdì 17 ore 21) e Isola (domenica
19 ore 21). I cinque appuntamenti, realizzati in collaborazione con Unione del
Commercio, sono riservati alla classica, al folk, al jazz e alla musica etnica.
… nei chiostri, nelle strade e nelle piazze del centro
Concerti nei chiostri e negli angoli più suggestivi di Milano guidano i cittadini alla
scoperta di un patrimonio artistico e architettonico a molti sconosciuto. Lunedì
13 alle 17.30 nel chiostro di via Santo Spirito e lunedì 20 alle 18 nel chiostro della
sede della Società Umanitaria. Tutti i lunedì inoltre eventi musicali nelle zone del
centro: il 6 settembre alle 13 in Corso Vittorio Emanuele (ang. Via Passarella), il
13 alle ore 18.30 in via Fiori Chiari (ang. Via M. Formentini) e il 20 alle ore 13
in via Dante (ang. via Rovello). Il 7, 8 e 22 settembre, alle 18.30, MITOFringe dà
appuntamento alle colonne di San Lorenzo per tre concerti dedicati alla musica
classica ed etnica.
… nelle Università
Tre appuntamenti in un percorso musicale che invita i cittadini in tre luoghi storici
della città. Martedì 14 alle 16.30 il tango nella sede dell’Università Statale, mercoledì
15 alle ore 17 all’Università Cattolica un appuntamento di musica classica e il 16
alle ore 12.30 al Politecnico di Milano un concerto di musica barocca.
… in piazza Mercanti con artisti selezionati dal web
Uno spazio ai nuovi talenti: musicisti ed ensemble selezionati tra quelli che
hanno riposto all’invito sul sito internet del Festival inviando il loro curriculum e
una proposta artistica, si alternano con set di 15-20 minuti sul palco per le libere
interpretazioni allestito in Piazza Mercanti. Mercoledì 8 settembre, dalle 13 alle
15, il palco è riservato alle formazioni di musica corale, mercoledì 15 settembre,
nello stesso orario, si esibiscono gli ensemble di musica da camera. Domenica 12
settembre, dalle ore 15, un pomeriggio dedicato ai bambini under 12 e alla gioia
di suonare in famiglia.
Il programma dettagliato è disponibile sul sito
www.mitosettembremusica.it /programma/fringe.html
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MITO SettembreMusica
Promosso da
Città di Milano Letizia Moratti
Sindaco Massimiliano Finazzer Flory
Assessore alla Cultura
Fiorenzo Alfieri
Assessore alla Cultura
e al 150° dell’Unità d’Italia
Comitato di coordinamento
Presidente Francesco Micheli
Presidente Associazione per il Festival
Internazionale della Musica di Milano Massimo Accarisi
Direttore Centrale Cultura
Antonio Calbi
Direttore Settore Spettacolo
Città di Torino
Sergio Chiamparino
Sindaco
Vicepresidente Angelo Chianale
Presidente Fondazione
per le Attività Musicali Torino
Anna Martina
Direttore Divisione Cultura,
Comunicazione e promozione della Città
Angela La Rotella
Dirigente Settore Spettacolo,
Manifestazione e Formazione Culturale
Enzo Restagno
Direttore artistico
Francesca Colombo
Segretario generale
Coordinatore artistico
Claudio Merlo
Direttore generale
Realizzato da
Associazione per il Festival Internazionale della Musica di Milano
Fondatori Alberto Arbasino / Gae Aulenti / Giovanni Bazoli / Roberto Calasso
Gillo Dorfles / Umberto Eco / Bruno Ermolli / Inge Feltrinelli / Stéphane Lissner
Piergaetano Marchetti / Francesco Micheli / Ermanno Olmi / Sandro Parenzo
Renzo Piano / Arnaldo Pomodoro / Davide Rampello / Massimo Vitta Zelman
Comitato di Patronage
Louis Andriessen / George Benjamin / Pierre Boulez / Luis Pereira Leal
Franz Xaver Ohnesorg / Ilaria Borletti / Gianfranco Ravasi / Daria Rocca
Umberto Veronesi
Consiglio Direttivo
Francesco Micheli Presidente / Marco Bassetti / Pierluigi Cerri
Roberta Furcolo / Leo Nahon / Roberto Spada
Collegio dei revisori
Marco Guerreri / Marco Giulio Luigi Sabatini / Eugenio Romita
Organizzazione
Francesca Colombo Segretario generale, Coordinatore artistico
Stefania Brucini Responsabile biglietteria
Marta Carasso Vice-responsabile biglietteria
Carlotta Colombo Responsabile produzione
Federica Michelini Assistente Segretario generale
Luisella Molina Responsabile organizzazione
Letizia Monti Responsabile promozione
Carmen Ohlmes Responsabile comunicazione
15
I concerti
di domani e dopodomani
Domenica 19.IX
Lunedì 20.IX
ore 12
antica
Basilica di San Marco
Johann Sebastian Bach
Messa in si minore BWV 232
Akademie für Alte Musik Berlin
Cappella Amsterdam
Daniel Reuss, direttore
Joanne Lunn, soprano
Maarten Engeltjes, contralto
Thomas Walker, tenore
Peter Harvey, basso
Celebra Don Luigi Garbini
Ingresso libero
ore 15
incontri
Centro Congressi, Fondazione Cariplo
L’impatto economico e sociale di un
investimento culturale sulla città:
la ricaduta di MITO su Milano, alla luce
delle tre edizioni precedenti
Ne discutono
Giovanni Bazoli
Francesca Colombo
Francesco Micheli
Severino Salvemini
Ingresso gratuito
ore 17
Teatro Sala Fontana
Nel paese del tramonto
Un racconto di Astrid Lindgren
con la musica di Edvard Grieg
Milena Vukotic, voce recitante
Angela Annese, pianoforte
Posto unico numerato € 5
ragazzi
classica
ore 18
Galleria d’Arte Moderna - Villa Reale,
Sala da Ballo
Un’ora con Chopin e Schumann
Patrizia Salvini, pianoforte
Ingressi € 5
ore 21
contemporanea
Piccolo Teatro Strehler
Sconcerto
Teatro di musica per Direttore - Attore Orchestra
Musica di Giorgio Battistelli
Testo di Franco Marcoaldi
con Toni Servillo
Orchestra del Teatro di San Carlo di Napoli
Marco Lena, direttore
regia di Toni Servillo
Posti numerati € 15, 25
ore 22
ore 17
contemporanea
Piccolo Teatro Studio
Musiche di Rihm e Lachenmann
Ensemble Modern
Helmut Lachenmann, voce recitante
Ingresso gratuito
classica
ore 18
Galleria d’Arte Moderna - Villa Reale,
Sala da Ballo
Un’ora con Chopin e Schumann
Yesol Lee, pianoforte
Ingressi € 5
ore 21
antica
Piccolo Teatro Strehler
Istanbul 1710
Dmitrie Cantemir
“Le Livre de la Science de la Musique” e
le tradizioni musicali sefardite e armene
Hespérion XXI
Jordi Savall, direttore
con Kudsi Erguner, flauto ney e altri
musicisti ospiti
Posti numerati € 15, 25
ore 22
Teatro Out Off
Cheval
Una pièce ludico-musicale
e tecnico-sportiva di Antoine Defoort
e Julien Fournet
Prima esecuzione italiana
Posto unico numerato € 10
www.mitosettembremusica.it
Responsabile editoriale Livio Aragona
Progetto grafico
Studio Cerri & Associati con Francesca Ceccoli, Anne Lheritier, Ciro Toscano
16
performance
Teatro Out Off
Cheval
Una pièce ludico-musicale
performance e tecnico-sportiva di Antoine Defoort
e Julien Fournet
Posto unico numerato V 10
MITO SettembreMusica
Quarta edizione
È un progetto di
Realizzato da
Con il sostegno di
I Partner del Festival
partner istituzionale
Sponsor
Media partner
Sponsor tecnici
Il Festival MITO a Milano è a Impatto Zero®.
Aderendo al progetto di LifeGate, le emissioni
di CO2 sono state compensate con la creazione e
tutela di foreste in crescita nel Parco Rio Vallone in Provincia di Milano, e in Madagascar
Si ringrazia
• per l’accoglienza degli artisti
Fonti Lurisia COM.AL.CO. Sas
Guido Gobino Cioccolato
ICAM Cioccolato
Galbusera S.p.A.
• per l’abbigliamento dello staff
• per il sostegno logistico allo staff
GF FERRÉ
BikeMi
-5
Milano Torino
unite per l’Expo 2015