nuvola, periodico giovanile gratuito dell

NUVOLA, PERIODICO GIOVANILE GRATUITO
DELL’AMMINISTRAZIONE
COMUNALE
DI
SAN DONATO MILANESE, NUMERO 9, APRILE 2002
s o m m a r i o
Nuvola
Periodico
Gratuito
Periodico dell’Amministrazione Comunale
di San Donato Milanese edito dall’Azienda
Comunale di Servizi Registrato al
Tribunale di Milano il 12/5/1999 N.368/99
Direttore Amministrativo: Irene Cristini
4
Un altro punto di vista sul
tema della globalizzazione.
Uno studente universitario ci
racconta la sua tesi di laurea.
di Andrea Loro
Direttore Responsabile
Simone Castagnini
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Vicedirettore: Andrea Titone
Caporedattore: Matteo Marzoli
Redazione: Sergio Bianco
Sara Battini, Monica Favara,
Massimiliano Gatti, Giuditta Gelati,
Piero Grilli, Marco Guizzi, Andrea Loro,
Chiara Marinoni, Stefano Tommasi
Marco Masini e la sua polemica sul fenomeno del
“mobbing” sono il punto di
partenza per questo excursus nelle
regole del music business.
di Piero Grilli
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Progetto Grafico:
Silvia Alfei Arianna Delfitto
Art Director: Max “Gatto” Gatti
Photo Editor: Sergio Bianco
Collaboratori: Andrea Battocchio,
Mauro Gallo, Ilaria Grazia, Pietro Morelli,
Claudio Rizzo, Barbara Scatena,
Stefano Valentini
Una recensione, un libro
speciale su una grande esperienza
di vita. A pag. 12, tentiamo di fare un po’
di chiarezza sulla medicina alternativa
di Matteo Marzoli
di Sara Battini
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Stampa: P.M.S. colours s.r.l.,
via E. Ponti-53/11 Milano
Fotolito: News, via N. Bixio 4, Milano
Pubblicità: Azienda Comunale di Servizi,
S. Donato, via Unica Bolgiano 18,
02.527.11.07
Chiuso in redazione il 28/04/2002
Tiratura 5.000 copie
La difficile arte del
doppiaggio nel mondo
cinematografico: vantaggi,
difetti, aneddoti da un
appassionato cinefilo
di Marco Guizzi
13
La capoeira, danza, lotta ed
esibizione brasiliana, e la danza
classica: due balli lontani ma non
così estranei fra loro
di Massimiliano Gatti
di Giuditta Gelati
14
Musica e gruppi emergenti: una panoramica su
questo scenario, attraverso
l’esperienza dei Venere.
di Andrea Titone
Pag. 9
Pag. 13
Pag. 17
17
Un viaggio in una terra
magica, non antica ma ancora
semplice. Baja California da
Tijuana a Cabo San Lucas
di Chiara Marinoni
Presto ci saranno
le elezioni, cambierà il
Sindaco e l’Amministrazione
Comunale di San Donato. Nuvola
è sempre stato un giornale apolitico.
È sempre stato un mezzo a disposizione
dei giovani per esprimersi e confrontarsi.
E non si è mai allineato a sostegno di alcuno
schieramento. Ma, nonostante ciò, in alcune
occasioni è stato strumentalizzato dalla politica.
Decontestualizzato, e utilizzato in modo improprio.
Non è questo il momento di rivangare episodi
passati, ormai conclusi, né problemi ormai risolti.
Volente o nolente, la redazione di Nuvola ha a che fare
con la politica, perché il nostro editore è il Comune.
Ed è a questo proposito che mi sembra giusto fare alcune
considerazioni. Innanzi tutto credo sia giusto ringraziare
l’Amministrazione che ha creduto in noi fin dall'inizio, fin da
quando Nuvola non era nient’altro che un’idea nella testa di
alcuni ragazzi. Perché mi rendo conto che non è sempre facile
dare fiducia a una persona giovane, per chi ha qualche hanno
M A G G I O
tempo
di
2 0 0 2
cambiamenti
in più e oggettivamente più esperienza. E poi abbiamo sempre
avuto un ottimo rapporto con il nostro editore, sempre disposto
al dialogo e aperto ad accogliere le nostre richieste e a
soddisfare le esigenze tecniche di chi, con ogni sforzo, si
impegna per la realizzazione di questo giornalino. Così semplice,
ma così importante per la crescita collettiva e individuale di
chi in questi anni ha partecipato sia come attore, o come
semplice spettatore. Ci siamo trovati bene, e credo di poter dire
che abbiamo anche fatto bene. Numerose persone hanno
contribuito a portare avanti Nuvola, qualcuno fin dall’inizio,
qualcuno ha appena iniziato e qualcun altro anche solo per
poco tempo. E speriamo di poter continuare così. Anche con
la nuova amministrazione e con il nuovo sindaco, qualsiasi
essi siano. Perché questa è un’esperienza importante e
un’opportunità che pochi comuni offrono ai loro giovani
cittadini, e perché anche per i meno giovani può essere
interessante avere uno panoramica su un punto di
vista che spesso non conoscono troppo bene.
Per tutto questo noi siamo pronti ad affrontare
questo momento di mutamenti nel migliore dei
modi possibili. E per dimostrarlo stiamo lavorando a una nuova veste grafica che
speriamo di poter utilizzare già nel
prossimo numero…
Andrea Titone
Per la Pubblicità su Nuvola contattate
Azienda Comunale di Servizi
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Tel. 025271107
Fax 0255601862
mercato
GLOBALE
Ci si sarà accorti di come, da un po’ di tempo a questa
parte, questo termine sia entrato nel linguaggio comune:
se ne parla in televisione, sui giornali, tra la gente.
TECNOLOGIA,
PROGRESSO,
GLOBALIZZAZIONE:
IL MONDO NELLE
MANI DI TUTTI. ORA
NON CI RESTA CHE
CAPIRE COSA
FARNE...
MA CHE COS’È LA GLOBALIZZAZIONE?
Inquadrare un fenomeno così complesso risulta
molto difficile, anche perché l’oggetto in questione
è multiforme: se ne può parlare a livello
economico, sociologico, politico… ma quello
che accomuna tutti questi ambiti è l’effetto
che la globalizzazione
porta con sé: il
mutamento.
La svolta potrebbe
definirsi “epocale”,
dal momento che
molti studiosi
individuano nell’epoca
che stiamo vivendo un
importante momento
di passaggio: dalla
INTERNAZIONALIZZAZIONE alla GLOBALIZZAZIONE.
Circoscrivendo l’analisi
alla “vecchia” Europa,
sarà facile osservare come,
nell’ultimo secolo, si sia passati da
un’ottica fortemente nazionalista
(epoca delle due Guerre Mondiali), a una
diametralmente opposta, orientata verso una
cooperazione e una coalizione politico-economica, la
quale ha posto le basi per la creazione dell’Unione
Europea. Oggi che la spinta europeista sembra ormai
destinata a proseguire verso una integrazione sempre
più marcata (ora anche monetaria), lo sguardo tende
fisiologicamente ad allargarsi: dopo l’Europa, il Mondo!
LA PRIMA COSA CHE SI “GLOBALIZZA” È IL MERCATO:
le nuove tecnologie consentono trasmissione di dati in
tempo reale in ogni parte del mondo (Internet),
l’abbattimento dei costi di trasporto rende possibile
aggredire mercati fino a poco tempo fa irraggiungibili,
la produzione si sposta verso Paesi in cui è possibile
produrre di più a costi contenuti.
Questa allettante visione nasconde però, come tutte le
cose umane, dei lati negativi.
opinioniesplicite
opinioniesplicite
bassi, a fronte dell’impegno
di rifornirsi da tutti.
Lo scenario descritto è
divenuto realtà non solo
per meriti della
nuova tecnologia e
per il “pelo sullo
stomaco” dei
dominatori del
mercato, non
bisogna dimenticare
infatti il ruolo degli
Stati e delle
organizzazioni
internazionali (il
cosiddetto “nonruolo”).
Va sottolineato
come tutti siano
rimasti inerti di fronte
al mercato che andava
globalizzandosi, confidando
un po’ troppo nei suoi poteri
endogeni di autoregolamentazione.
Il dilagare del cosiddetto “neoliberismo
economico” ha una forte responsabilità per quel che sta
accadendo: crisi finanziarie sempre più frequenti, divario
sempre maggiore tra “nord” e “sud” del mondo…
Tutto ciò perché manca un’organizzazione o un
movimento deputato dalla comunità internazionale al
“governo della globalizzazione”, che possa indirizzare le
varie politiche statali in modo tale da renderle più
stabili e più impermeabili allo strapotere degli agenti
privati che popolano il mercato.
DA PIÙ PARTI SI AUSPICA UNA RIFORMA DELLE
istituzioni economiche sovranazionali già esistenti (per
esempio il Fondo Monetario Internazionale, o lo stesso
WTO), o addirittura la creazione di nuove realtà, dal
momento che si sta prendendo coscienza della
precarietà della situazione attuale. Questo potrebbe
essere il primo passo verso un miglioramento della
situazione mondiale… ops… globale.
Andrea Loro, disegni di Gatto
5
4
Il primo fra tutti risulta essere il
divario sempre più marcato tra
Paesi “ricchi” e Paesi “poveri”:
in questi ultimi si insediano le
centrali di produzione delle
grandi multinazionali,
sfruttando il più basso
costo del lavoro e la
praticamente assente
politica sociale.
Molto spesso le grosse
industrie “occidentali”
prendono direttamente
accordi con i governi locali
(che non brillano certo per
trasparenza e democrazia),
garantendo ingenti afflussi
di capitali a patto che
“tutto rimanga com’è”, e
ciò frena la possibile
rivoluzione sociale che
fisiologicamente segue a
quella industriale.
Da quanto affermato
emerge un importante
elemento di riflessione:
le multinazionali fanno
politica; o meglio, da ruolo di
interlocutore privilegiato dei
singoli governi per ogni manovra
economica, passano ora a quello di “arbitri”
dell’economia mondiale (recte, “globale”).
Queste da sempre sono abituate a muoversi in
un mare infestato da squali, quale è il libero mercato,
dove la lotta per la sopravvivenza è senza quartiere; di
conseguenza le grandi imprese private non sono (e non
potrebbe essere altrimenti) animate da velleità
umanitarie, bensì dall’unico istinto che le ha rese tali: la
spregiudicatezza, l’opportunismo e tutto ciò che può
guidarle verso utili maggiori e spese più contenute.
Tutto ciò, inutile dirlo, riceve dal mercato occidentale
ultraconsumistico, quindi anche da noi, la più benevola
delle benedizioni, in quanto i beni e i servizi disponibili
sono sempre di più e costano sempre di meno.
Inutile nascondersi dietro un dito, anche noi siamo
responsabili di questa situazione. Perché, per esempio,
continuiamo a comprare il caffè di marca al
supermercato, invece che negli spazi del Commercio
Equo e Solidale? Semplice, perché costa meno.
E questo contenimento dei prezzi è attuabile soltanto
da realtà commerciali che operano su vasta scala in
tutto il mondo: possono accordarsi con le istituzioni
economiche di un Paese esportatore del bene in
questione, capaci di controllare i singoli piccoli
produttori, e concordare prezzi d’acquisto relativamente
MARCO MASINI,
IL “MOBBING” E
LO SHOW BUSINESS...
Una storia italiana
Cause ed effetti del mobbing sul mondo dello spettacolo:
le controindicazioni dell’industrializzazione della musica.
MARCO MASINI
M OLTI DI
M ASINI SI
VOI RICORDERANNO CHE L’ANNO SCORSO
MARCO
È RESO PROTAGONISTA DI UN CLAMOROSO SFOGO
TELEVISIVO ANDATO IN ONDA NELL’ EDIZIONE SERALE DEL TG1,
al quale poi sono seguiti un paio di inviti da Celentano e
Costanzo: non ho potuto ascoltarlo di persona ma una
mia amica ha avuto la premura di descrivermi i contenuti
dell'accorato appello. Ebbene, sembrerebbe che nel
mondo discografico sia ormai una pratica diffusa il
bollare alcuni cantanti come “porta-sfiga” ; per di più
all'unzione seguirebbe inesorabilmente il progressivo
allontanamento dai cosiddetti “giri che contano”, cosa
che in tempi brevi può portare ad una paralisi creativoproduttiva dell’artista coinvolto.
MOBBING: in Italia se ne e’ parlato
ancora relativamente poco anche se,
secondo gli esperti, esiste da tempo.
Si tratta di un atteggiamento che vede,
all'interno dell'ambiente di lavoro,
piu’ persone coalizzarsi contro una
sola, escludendola dai momenti
professionali piu’ appaganti, facendola
sentire inutile e portandola ad
abbandonare il campo.
È facile quindi per quest’ultimo entrare in una spirale
negativa che può condurlo all’abbandono della propria
attività, con tutta una serie di conseguenze depressive.
A questo proposito il buon Marco ha citato la tragica fine
di Mia Martini, e in effetti se ben ricordo anche Loredana
Bertè in quel caso aveva sollevato la questione.
Di fronte a epiloghi di questo genere l’oggetto della
discussione perde i tratti quasi comici che poteva avere
all’inizio e anzi mi spinge ad alcune riflessioni.
In realtà definire bene questo fenomeno non è semplice
perché va a confondersi con un gran numero di
comportamenti classici riscontrabili nel mondo del lavoro
che sono dettati dall’opportunismo e dall’interesse di
circostanza delle parti in gioco. In altre parole, se una
donna trova un ambiente di lavoro ostile, ma poi si
scopre che ha già avuto sette figli da quando è stata
assunta, difficilmente si dirà che è vittima del MOBBING.
Di solito si ricorre a tale termine proprio quando la
segregazione non ha apparentemente nessuna ragione
d'esistere. Tornando al caso di Marco Masini, la sua
denuncia sembra proprio rientrare in quest'ultima
categoria: infatti, anche se non ci occuperemo qui del
valore del suo operato da un punto di vista artistico,
credo che abbia un suo pubblico più o meno numeroso,
il che in termini “aziendalistici” significa che è capace di
svolgere il suo compito.
Per quale ragione allora dovrebbe subire discriminazioni
da parte degli addetti del settore discografico?
L’EQUIVOCO
A MIO AVVISO STA
opinioniesplicite
QUANDO IL LAVORO È FATTO BENE O NO, E SU QUALI CRITERI?
Chi o cosa fa emergere un artista al giorno d’oggi? E che
ruolo giocano le sue capacità nel percorso che lo porta
al successo? Tutti sappiamo quanto segue: da tempo
ormai l’approccio delle case discografiche verso il
mercato è lo stesso di chi vende detersivi o saponette.
Ci sono regole di marketing da rispettare, regole di
immagine e di comunicazione tutt’altro che banali che
governano e influenzano il processo creativo, produttivo
e di vendita. La canzone di massa (“pop” nell’accezione
inglese del termine) oggi è un prodotto di massa, e se ti
piace cantare “le cose tristi”, puoi farlo all’inizio, magari
perché secondo gli esperti di mercato puoi vendere per
l’effetto novità, ma poi ti accomodi da qualche altra parte
perché le tabelle con i sondaggi dicono che al mattino la
gente che va a lavoro e si trova nel traffico della
tangenziale non regge le tue canzoni alla radio!
Marco Masini deve accettare l’evidenza che lo vede
essere una creatura di questo meccanismo: se qualcuno
lo tratta come lui riferisce è perché in fondo può
permetterselo! Non sto dicendo che sia giusto, anzi, ma
è assolutamente ingenuo non essere consapevoli degli
ingranaggi che stanno dietro a queste cose.
Se hai una grande canzone scrivila, poi vediamo se i
discografici ti “mobbizzano”! Figuriamoci, in un ambiente
(quello imprenditoriale) governato dal profitto, a tutti i
costi fiuterebbero l’affare, gli rifarebbero il look e nel
giro di una settimana avrebbe il suo video su MTV.
E non sono convinto neanche che sia esclusivamente
una questione di contenuti: come mai nessuno può
permettersi di fare del mobbing ai Radiohead, anche se
Kid A è sperimentale, psichedelico e tutt’altro che
commerciale?
Un artista affermato, soprattutto ai nostri giorni,
dovrebbe sempre chiedersi: quanto del mio successo
viene da me, e quanto invece viene dal battage
promozionale, dai video, da Buona Domenica, Il
Costanzo Show, ecc.? I miei fans comprano i miei dischi
consapevolmente o sotto “ipnosi” collettive generate ad
hoc da chi mi pubblica i lavori?
Tutto il meccanismo di cui si è parlato prima, infatti,
porta inevitabilmente a distorcere la sensibilità di noi che
ascoltiamo la musica, anche di chi pensa di essere
“sgamato” abbastanza da non abboccare al richiamo
dell’“...ultimo grande capolavoro di...”!
E quindi il punto potrebbe essere un altro: chi non si
riconosce più nel contesto attuale della musica
commercializzata, che possibilità ha di farsi ascoltare?
Pochissime. La sua voce sarà sempre più bassa rispetto
alle urla dei colossi della produzione, non si può
competere ad armi pari con chi è reclamizzato ovunque,
sui giornali, in radio e in Tv: questo, semmai, è il dramma
da denunciare. Un raggio di luce sembrava venire da
Internet (con Napster e Co.), ma il discorso è lungo e
magari se ne parlerà nel prossimo numero.
La conclusione è che le discriminazioni nel mondo dello
spettacolo ci sono, come però ci sono in ogni ambiente
lavorativo, e anche se possono sembrare insensate
hanno sempre alla base delle ragioni, che magari in molti
non condividiamo: la cosa grave è che in questi casi non
lasciano alternative.
È sicuramente triste per chi è abituato alla ribalta doversi
piegare a questa logica, ma la giostra funziona così ed è
meglio capire le regole del gioco finché si è in tempo
prima di prendersi certe scottature.
Mi auguro che Masini esca da questa situazione, magari
ricominciando a esibirsi - come ha fatto lo scorso inverno
- in teatri o comunque ambienti più raccolti, per
riallacciare il rapporto con il suo pubblico vero e non
virtuale. È sicuramente la dimensione live quella che
rende sempre giustizia ad un musicista.
Piero Grilli
Appena i Radiohead sono venuti a
sapere che Kid A aveva conquistato la
vetta della classifica dei dischi piu’
venduti in USA, sono stati i primi a
restarne increduli. Interrogato su
come la band abbia festeggiato il
traguardo raggiunto, Thom Yorke ha
spiegato: “Siamo usciti a abbiamo
comprato una bottiglia di champagne
(. . .) il fatto e’ che da un lato e’ una
cosa davvero incredibile, roba da
raccontare ai nipoti, e cerco di
viverla in modo positivo, ma se penso
a perché tutto questo sta succedendo,
se penso al mercato
discografico che
ha portato a
questo
risultato
perdo il
sonno”.
Tratto dal
numero 415 del
24-30/10/2000
di “Il Mucchio
Selvaggio”
7
6
TRATTA VERAMENTE DI MOBBING?
PROPRIO IN QUESTO: NEL CASO DI UN CANTANTE CHI PUÒ DECIDERE
opinioniesplicite
SI
THOM YORKE,
CANTANTE DEI
RADIOHEAD
Medicine Alternative
Non ti senti tanto bene? Mal di testa? Stai per prendere
un’aspirina? Fermati e prova le medicine alternative...
ALLOPATIA, OMEOPATIA, FITOTERAPIA Per esperienza personale posso dire che l’utilizzo equilibrato di tutti e tre
i tipi di terapia, a seconda dei casi, contribuisce a mantere un buono stato di salute, non esagerando mai con
i farmaci di sintesi (antiinfiammatori, antidolorifici,
antibiotici), soprattutto quando ce li si “autoprescrive”!
Quando si ha un raffreddore è inutile oltre che controproducente prendere antibiotici, perché l’organismo è
perfettamente in grado di combatterlo, mentre è utile
assumere prodotti erboristici e omeopatici in quanto
aiutano l’organismo a reagire più velocemente alla
malattia. D’altra parte, per un attacco di appendicite
non si prende una tisana, ma si corre all’ospedale! In
sintesi, bisogna valutare
ogni situazione, magari
chiedendo a un erborista
che conosca il suo lavoro
oppure a un dottore che
accetti il fatto che esistono
altri metodi di terapia oltre
alla medicina “normale”.
vanno prese sottogamba. La fitoterapia è medicina convenzionale e si differenzia nettamente dall’omeopatia, la
quale, pur utilizzando in numerosi casi piante medicinali,
si basa su un approccio sostanzialmente diverso.
OMEOPATIA L’omeopatia si fonda sul principio dei
simili, “similia similibus curentur”, dal momento
che le stesse sostanze che danno vita al sorgere di
una malattia in persone sane, a dosi basse, sono in
grado di guarire. La medicina tradizionale, o allopatia,
utilizza farmaci che producono un effetto contrario ai sintomi della malattia. L’omeopatia è una medicina che
stimola le capacità di reazione dell’organismo alle
malattie, sia fisiche che
psicologiche. Questo risultato è raggiunto somministrando all’organismo dosi
estremamente diluite di
farmaci
(detti
farmaci
omeopatici). Essi hanno
questo effetto sull’organismo
in quanto hanno prodotto,
FITOTERAPIA Molte erbe
nelle sperimentazioni, sintosono ritenute idonee nel
mi simili alla malattia che si
trattamento di disturbi di
intende curare (da cui il
lieve entità o cronici, e cosnome, derivato dal greco
tituiscono un’alternativa o
omeo, uguale e pathos,
un supporto alla terapia
malattia). La somminisconvenzionale. Le fitomeditrazione delle dosi curative
cine, intese come erbe o
è accompagnata dal principio
loro preparati, bene si
delle diluizioni infinitesimali,
IN QUESTA FOTO, L’ARNICA, PIANTA OFFICINALE
prestano alla cura (da sole o
e dal principio della dinamizUTILIZZATA SIA IN OMEOPATIA, SIA IN ERBORISTERIA
CONTRO LE IRRITAZIONI DELLA PELLE.
di supporto a farmaci di sinzazione: più la sostanza
tesi) di disturbi lievi e/o
viene diluita, maggiore
cronici del sistema digerente, urinario, cardio-vascolare,
diventa il suo potere terapeutico. È stato ripetutamente
nervoso, respiratorio e muscolo-scheletrico. L’impiego
osservato a livello clinico che al malato viene somminisdelle erbe è una buona fonte di terapia in tutti
trata una sostanza che agisce nello stesso senso reattivo
quei piccoli disturbi quotidiani che non rappreglobale dell’organismo trattato, sviluppandone le autodisentano uno stato di malattia; le fitomedicine,
fese immunitarie presenti e portando alla guarigione.
inoltre, per la loro natura blanda possono essere
assunte normalmente per lunghi periodi e, quindi,
ALLOPATIA L’allopatia è un tipo di medicina che identifica
sono utili per il mantenimento delle difese, svolla malattia nei sintomi della malattia stessa. Di congendo così un ruolo preventivo e riabilitativo.
seguenza, somministra all’organismo dei farmaci, detti
Molti dei medicinali moderni contengono (o ricreano con
sintomatici, che cercano di eliminare i sintomi dall’orun processo di sintesi così da garantire la produzione su
ganismo (da qui il nome, dal greco allos, diverso e
larga scala) proprio i principi attivi delle erbe medicinali,
pathos, malattia). La somministrazione di questi farmaci
sostanze da cui dipende l’azione terapeutica. È imporporta all’eliminazione dei sintomi. Però i sintomi stessi
tante che in caso di disturbo grave si faccia sempre riferrappresentano il tentativo da parte dell’organismo di reaimento al medico prima di assumere qualsiasi tipo di
gire alla malattia, quindi l’eliminazione dei sintomi non
prodotto, anche di tipo naturale. La concezione che le
elimina la malattia in quanto tale: spesso non si ottiene
fitomedicine non possono recare danni è infatti
una reale guarigione. La medicina convenzionale
senz’altro errata. Anche le piante presentano tutta
oggi più diffusa in occidente è di tipo allopatico.
una serie di avvertenze e controindicazioni che non
Sara Battini
L IBERA È UNA RAGAZZA
L’ UNIVERSITÀ E CHE HA
DI
S AN G IULIANO
CHE FREQUENTA
DECISO DI FARE , PER UNA VOLTA ,
UNA VACANZA DIVERSA DAL SOLITO .
Ha sempre avuto,
sin da piccola, la passione per l'Africa, ed è cresciuta
in una famiglia nella quale la solidarietà e il volontariato sono sempre stati considerati valori solidi,
così, quando nell’estate del 1999 il padre ebbe
occasione di partecipare ad un campo di lavoro in
Kenia, lei chiese e ottenne (non senza frantumare
la… “pazienza”… dei genitori), di seguirlo.
LIBRO È UN VERO E PROPRIO DIARIO DI VIAGGIO,
M E N TA L E (senza voler fare della retorica: tutti i veri
viaggi lo sono, e in un contesto così particolare
ancora di più…): Libera parte dall’Italia con la
stessa nostra prospettiva nei confronti della vita e
del quotidiano, e per la prima volta nella sua vita
si relaziona con persone che hanno problemi del
tutto diversi, magari più semplici e immediati, ma
anche più drammatici. Come tanti ragazzi della
IL
PROGETTO DI VOLONTARIATO
L IBERA PRENDE
B ROWNSEA
e riguarda la costruzione
di un’arena che funga da
luogo di ritrovo e per
gli spettacoli. In realtà
questo
progetto
si
inserisce in un contesto più
ampio, ossia il progetto
Arambé, per mezzo del
quale vengono costruiti
pozzi e acquedotti e si
insegna alle popolazioni
locali migliori tecniche di
agricoltura,
di allevamento e di medicina di
base. Importantissima la
filosofia che sta dietro a
queste attività: non si
vuole fare della carità,
ma si vuole fare dono di
conoscenza, si vuole
aiutare delle persone a
costruirsi un futuro di
autosufficienza.
Le attività si basano
quasi totalmente sul
volontariato, e comportano anche un certo
grado di rischio personale.
AL
QUALE
PARTE SI CHIAMA
nel mondo
Musungu, di Libera
Pota, è edito da
Manitese, un’associazione che si occupa
della fame nel mondo
e dello sviluppo dei
popoli. L'intero
ricavato della
vendita contribuirà a
finanziare un progetto
per la costruzione di
una scuola in Burkina
Faso. Lo si può
trovare presso la
libreria “Libropoli” di
San Giuliano Milanese,
presso le botteghe per
il commercio equo e
solidale e presso la
stessa sede di
Manitese (Strada per
Viboldone 1 c/o
stazione ferroviaria,
San Giuliano
Milanese).
Costa 6,20 Euro.
Matteo Marzoli
UN BAMBINO DELLA FORESTA DEI GWASI
9
8
IL
E, OVVIAMENTE, È ANCHE CRONACA DI UN PERCORSO
nostra età ha poca
pazienza con i bambini, e
quando si trova a doverne
accudire parecchi, per di
più appartenenti ad una
cultura totalmente diversa, e con i problemi di
comunicazione che tutti
possono
immaginare,
s c o p r e l a t i d i s e insospettabili: impara il linguaggio del corpo, e
impara a conquistarsi la
fiducia dei piccoli…
nel mondo
MUSUNGU
Il viaggio di Libera
nel cuore del Kenia
IL DOPPIAGGIO:
La via traversa al CINEMA
<È necessario che il pubblico impari a conoscere i film
per quello che sono: è impensabile vedere gli iraniani
che parlano come gli italiani> _Bernardo Bertolucci_
Vi è mai venuto in mente
di ascoltare le grandi
canzoni dei Beatles in
apposite versioni, reinterpretate da cantanti
italiani? Avete mai preteso che i vecchi colori,
sbiaditi o crepati, di un
affresco venissero sostituiti ex novo da un’attualizzante mano di vernice? Avete mai udito
qualcuno proporre di
rimpiazzare i cantanti
nell’opera con attori recitanti, in maniera tale da rendere
più comprensibile al primo ascolto il testo di un libretto?
Certamente no, e probabilmente non vi è mai neppure
passato per la testa.
EPPURE CI SEMBRA COSA NORMALISSIMA ASSISTERE
alla visione di film stranieri dove le voci degli attori siano
state preventivamente sostituite da altre che si esprimano nel nostro idioma. Io credo che chiunque sia convinto del fatto che un film possa essere un mezzo per
esprimere le capacità, le idee e i sentimenti umani,
dovrebbe provare a riflettere sul ruolo che ha nella nostra pratica comune il doppiaggio. Bisognerebbe immaginare quali sarebbero i privilegi guadagnati da un suo
mancato utilizzo e, soprattutto, quali gli svantaggi, i
danni e le perdite che questa consolidata prassi attua
nei confronti del cinema. Un film doppiato sarà sempre
un film mutilato, nel quale la logica di un produttore o di
un distributore qualsiasi, priverà lo spettatore di una
parte certamente non accessoria ma considerevole se
non imprescindibile. Esistono innanzitutto delle mancanze e dei difetti tecnici
per i quali bisognerebbe
rivalutare il doppiaggio
come forma scorretta. A
partire dalla mancanza di
sincronia tra i dialoghi
doppiati e i movimenti
delle labbra degli attori
(si perde così aderenza
all’originale, e il film ne
risente in verosimiglianza). Poi, benché alcune
tecniche di largo uso per lo meno nell’odierno
cinema statunitense - tendano a registrare ogni suono di
origine diversa su singole tracce diversificate, nei film di
una certa data, così come in alcune pellicole dei nostri
giorni (l’esempio più famoso è quello del Dogma 95 e di
Von Trier), la parte sonora viene unicamente divisa in
due: quella autonoma che diffonde il commento musicale e quella che unisce voci e rumori presi direttamente
sul set (o aggiunti in seguito, comunque slegati dalla
musica). Gli elementi estranei alla colonna sonora si
trovavano quindi a essere strettamente legati, insostituibilmente e in continuità, in un unico corpo sonoro: la
soppressione, la sostituzione o la variazione
di uno di essi - cosa che, di fatto, avviene
col doppiaggio - necessariamente elimina
anche l’altro. Ecco dunque che in molti
classici i rumori di fondo spariscono, o
improvvisamente aumentano o si abbassano di volume, in base alle voci. Ma un
aspetto, ben più evidente, è presente
comunque in tutti i film: la presa diretta di
un dialogo o di un monologo, soprattutto se
caratterizzata in maniera particolare, non
potrà mai assomigliare alla registrazione
delle stesse parole fatte da un doppiatore
di fronte al proprio microfono, venendo
inevitabilmente a mancare le caratteristiche ambientali originarie. Ecco dunque
che l’urlo di un soldato unito al rumore
della granata che l’ha colpito, il lamento di
un uomo appeso per i piedi o il fragore di
una folla di manifestanti verranno sostituiti,
unicamente simulati, perdendo, di conseguenza, la propria forma reale.
MA FORSE IL DOPPIAGGIO SI RENDE ANCOR PIÙ
colpevole se si pensa che dietro all’interpretazione di un
attore esistono scelte personali e registiche che necessariamente riguardano anche aspetti come l’intonazione,
il timbro, la pronuncia, il ritmo dato alle parole.
Insomma, la voce che un interprete ha o deve assumere
per caratterizzare un determinato personaggio è unica,
strettamente legata al soggetto e alle capacità dell’attore
stesso. Nel momento in cui questa voce viene mutata in
fase di montaggio, parte del lavoro di attore, regista e
sceneggiatore viene automaticamente vanificato, trasfigurato e trasformato in qualcosa d’altro. Qualcosa di
doppiamente mendace, avendo pure la pretesa di voler
apparire fedele. Ecco quindi che, ad esempio, in ogni
scena di Rain Man non vedremo e sentiremo realmente
arte in disparte
arte in disparte
recitare Dustin Hoffman, ma il suo lavoro (in questo
caso, anche prezioso e faticoso) sarà univocamente sostituito da quello di una controfigura sonora. Questa
pratica (e, in questo senso, la scelta di Hoffman non vi
sembri casuale) può inoltre portare a forme di degenerazione divistiche, con protagonisti i doppiatori, le cui
voci, diventando famose di pari passo con le facce alle
quali continuamente vengono associate, tendono a
NELLE FOTO, IN ALTO A SX, AL PACINO; IN BASSO,
caratterizzarsi in una forma univoca, e a riproporsi di
DUSTIN HOFFMAN. IN ALTO A DX, SYLVESTER
conseguenza con lo stesso stile in ogni possibile tipo di
STALLONE; IN BASSO, ROBERT DE NIRO E THOMAS
film. Per non parlare di altre ridicole consuetudini, come
MILIAN; AL CENTRO, FERRUCCIO AMENDOLA, IL
il doppiaggio di attori non professionisti (le cui voci venMAGGIORE DOPPIATORE ITALIANO, RECENTEMENTE
gono restituite secondo i cliché del caso, annullando il
SCOMPARSO E “PADRE” DELLE VOCI DI TUTTI GLI
ATTORI SOPRACITATI, CON EFFETTI A VOLTE
potere della propria non-professionalità), la riduzione
PARADOSSALI.
dell’infinita varietà di interpreti diversi in monotona prassi (il numero di doppiatori è limitato rispetto a quello
degli attori originali), o quell’assurda pratica, che vuole
IL FIGLIOL PRODIGO… “BLADE RUNNER” DI R. SCOTT (IL REPLICANTE ROY
determinate
voci
APPROCCIA IL PROPRIO DEMIURGO TYRELL DICENDOGLI “I WANT
legate a determinati
MORE LIFE, FUCKER!” E NON “VOGLIO VIVERE ANCORA, PADRE”)
stereotipi caratteriali.
IL GANGSTER IDIOTA… “BROTHER” DI T. KITANO (MOLTE GAG GIOCATE SULLE DIVERSE
Esistono, insomma,
LINGUE DEI PERSONAGGI SPARISCONO: È IL PROBLEMA DI TUTTI I FILM POLIGLOTTI)
doppiatori-caratterUN GENERALE CALO DI ZUCCHERI… “IL DIAVOLO PROBABILMENTE” DI R. BRESSON
(RECITATO VOLUTAMENTE CON UN FRANCESE “INDIFFERENTE” E SENZA
isti, cosicché una
INTONAZIONE; IN ITALIANO GLI ATTORI PARLANO COME ZOMBI)
data voce verrà tenOGNI LOTTATORE PUÒ ESSERE UN SIMPATICONE… “FIGHT CLUB” DI
denzialmente utilizD. FINCHER (MOLTA DELL’IRONIA, ESPRESSA TRAMITE GIOCHI DI
zata sempre per la
PAROLE DELLA PRIMA PARTE, NON PUÒ ESSERE RESA IN ITALIANO)
stessa figura, per lo
UNA SVISTA FATALE… “IL PADRINO - PARTE II” DI F. F. COPPOLA (NEL BAR, FANUCCI
stesso tipo, tanto
RISPONDE AL GIOVANE CORLEONE: “YOU’VE GOT BALLS, YOUNG MAN! [...] I’LL FIND YOU
che, in certi film,
SOME WORK FOR GOOD MONEY” E NON “HAI DIMOSTRATO DI AVERE CORAGGIO,
potremmo facilmente
PERÒ I SOLDI LI VOGLIO ENTRO MEZZOGIORNO SENNÒ TI TAGLIO LA FACCIA”)
indovinare se un perAMBIGUITÀ SESSUALI… “UN PESCE DI NOME WANDA” DI C. CRICHTON
sonaggio, all’interno
(IL PERSONAGGIO DELLA CURTIS FA ECCITARE QUELLO DI CLEESE
della vicenda narraNON PARLANDO IN SPAGNOLO, COME NELLA VERSIONE DOPPIATA,
BENSÌ RECITANDO PAROLE - COME “PIZZA”, “MAFIA”, “SAN PIETRO” ta, si rivelerà o meno
CHE INCARNANO LO STEREOTIPO DELL’ITALIANO PER GLI STRANIERI)
un impostore, unicaOGNI ITALIANO È UN SICILIANO… (L’USO DELL’ACCENTO SICILIANO PER DOPPIARE
mente in base al proPERSONAGGI DI ORIGINE ITALIANA, SPESSO MAFIOSI, NEI FILM STATUNITENSI È
prio doppiatore.
PRESSOCHÉ UNO STEREOTIPO, UNA SCORCIATOIA PER TRADURRE LA DIVERSA PRO-
NUNCIA INGLESE DI UN IMMIGRATO, CHE PERÒ IN ORIGINALE È QUASI SEMPRE MENO
IL DOPPIAGGIO ANDREBBE
EVIDENTE E CARATTERIZZATA DI QUANTO CI FACCIA CREDERE IL DOPPIAGGIO).
considerato né più né meno di un
abuso nei confronti dell’arte,
paragonabile a un taglio della pellicola richiesto dalla censura, e non solo perché abitualmente il dialogo di un film viene mutato, accorciato o
sostituito per adattare le parole italiane ai movimenti
delle labbra originali. Anche fingendo di ignorare casi
limite come Il Disprezzo (film di Godard, volutamente e
coerentemente poliglotta, pressoché sfasciato nella versione nostrana), il doppiaggio si rivela, a un’analisi non
superficiale e di parte, come un sintomo di quella non
cultura che sottovaluta il cinema, considerandolo una
mera forma di commercio, una semplice forma di intrattenimento, preferibilmente slegata da una concezione
artistica.
11
10
Marco Guizzi
CAPOEIRA
Dal lontano Brasile
l’arte di trasformare
la lotta in danza.
Iniziamo a dire che la capoeira è un ballo acrobatico
inventato dagli schiavi sudamericani per tenersi in
allenamento e non perdere il contatto con le proprie
origini, o almeno questa è la prima cosa che ti viene raccontato quando ti iscrivi. In questo ballo ci sono entrate,
proiezioni, combinazioni di mosse e calci come negli
sport da combattimento, e a volte questi calci vanno a
segno e fanno veramente male, ma ricordiamoci che la
capoeira è un ballo acrobatico che simula un combattimento e non il contrario, quindi normalmente non c'è
contatto fra i due giocatori. Per capirci meglio, è vero che
facendo capoeira si impara a tirare calci stando in verticale ma è altrettanto vero che se, in strada, qualcuno
cerca di picchiarti l’ultima cosa che ti viene in mente è di
fare la verticale, anche se sei un ottimo “capuerista”! Io
non so cosa esattamente abbia causato la nascita di
questa divertente danza e cosa spinga i brasiliani a praticarla, e forse non lo saprò mai, ma mi interrogo sul cosa
spinga i ragazzi italiani, me compreso, a vestirsi da
gelatai (i pantaloni e la maglietta bianchi sono la divisa
classica del vero capuerista) e seguire uno di questi
corsi, che, tra l’altro, non sono certo a buon mercato!
Forse abbiamo guardato troppe telenovelas a base di
fazende? In alcuni casi questo può essere vero, perché
la cultura che viene trasmessa tramite la capoeira parla
di amicizia, religiosità e altri elementi che potrete trovare
in una qualsiasi puntata di Febbre d’amore. Piuttosto non
sarà mica che vi siete già rotti di frequentare quei locali
tanto alla moda , dove si va perché fa figo andarci e dove
oltre che a spendere una barca di quattrini non si fa altro
che alcolizzarsi? E magari vi irrita quell’atteggiamento
americaneggiate e perbenistico che, oltre a portare
vostro padre a fare joggin tutte le mattine (che va bene
perché infondo non gli fa certo male), porta la gente ad
andare in giro tutti altezzosi e impalati, con un’espressione schifata, come se al posto dei baffi avessero due
I N QUESTA PAGINA,
BALLERINI BRASILIANI
CHE PRATICANO
LA CAPOEIRA
pezzi di merda di capra attaccati ancora freschi?
Questa è una teoria valida, anche se non credo che
questo basti per decidere di andare in palestra due volte
alla settimana a cercare di schivare i calci dei propri compagni di corso. Anzi di solito questo tipo si sensazioni ti
portano a frequentare centri sociali, vestirti in un certo
modo e fatri un sacco di canne! Allora se nessuna di
queste motivazioni è del tutto valida per convincerci
pienamente a fare i capueristi, cos'è che ci muove? Io
ancora non lo so per certo, ma mi sembra d’intuire che
se una cosa è divertente non ci sia bisogno di un motivo
per farla... come il sesso per esempio!
Testo di Gatto, Foto di Nicolò Lanfranchi
...ma «...non di night…» risponde spesso lei, allo sguardo incuriosito di qualcuno che già se l’era immaginata
avvinghiata al palo della lap-dance. Per dirla tutta è
prima ballerina al Teatro alla Scala dove ha frequentato
otto anni di scuola. A me piace ancora ascoltare quando
ricorda quegli anni, così faticosi e difficili, di quell’insegnante che per imitare Nurejev tirava la seggiola a chi
sbagliava i passi. Si dice che lo odi ancora.
Caratteristiche: ossuta… uno stecco direi. Mi ricordo
bene la sua pagella; mi sembrava così strano che tra le
varie materie ci fosse “fisico”, invece che “fisica”, una
materia molto complicata per una ragazzina che sta
crescendo e che diventava sempre più alta… avrebbe
anche potuto superare di qualche centimetro il partner,
se poi aggiungi le scarpine da punta… una gran
preoccupazione per le insegnanti.
E adesso che è grande potrebbe
essere “la Geri
Halliwell” della
danza classica… (quando lo legge
mi uccide!)
Cosa
ne pensano
mamma e papà: forse
avrebbero preferito
qualcosa di un po'
più “normale” per
lei, così “debolina”;
temevano che il suo desiderio, a soli 11 anni, fosse il
capriccio più classico di
tutte la bambine che sognano di volteggiare tra le
braccia di Ken.
Cosa ne pensava il fratello:
Non pensava… la andava a
prendere; non so se fosse
solo generosità visto che
aveva sempre amici al
seguito innamorati a turno
di una di queste affascinanti “silfidi”.
di Giuditta Gelati
I N QUESTA PAGINA
GILDA GELATI,
PRIMA BALLERINA AL
TEATRO ALLA SCALA
Cosa ne pensava la sorella (cioè io): «Mi va bene tutto…
basta che la smetta di farmi fare la sbarra attaccata al comò».
Sfatiamo i luoghi comuni: mia sorella non va in televisione… mia sorella non si veste solo di bianco… mia sorella sa
fare la spaccata… mia sorella non mangia solo pane e acqua,
è capace di farsi fuori il primo piano della confezione media
dei Ferrero-Rocher, gradisce cotechino, bollito e mostarda. Le
capitò anche di entrare in scena con un Big Mac e patatine
medie nella panza, ma per carità, fu solo un caso.
Eventi da ricordare per la sua carriera: durante una
danzetta le volò lo zoccolo, rigorosamente olandese, nella
buca dell’orchestra.
Leit-motiv: la passione ovviamente, anche se lei sorridendo mi
dice «Ballare è l'unica cosa che so fare». Ma insomma! Per una
volta non potrebbe rispondermi, tipo Flashdance o tipo Carla Fracci:
«La danza è la mia vita». Niente. Ma non importa perché io lo so e
quando balla non la riconosco, … la testa ordina, i muscoli fanno, …
e io che rimango lì a guardarla vedo solo una splendida “Giulietta”.
13
12
Nome: Gelati Gilda
Segni particolari:
è mia sorella!
Professione: “tersicorea”
dice la Carta d’Identità,
ossia “ballerina”...
ballando
TERSICOREA
ballando
PROFESSIONE
v
e
n
e
r
e
la bellezza della musica
Viaggio all’interno dell’intricato mondo della musica dei gruppi
emergenti, attraverso l’esperienza dei Venere, una rock-band di
provincia, possibile stella del prossimo panorama musicale italiano.
UNA
VOLTA QUALCUNO MI HA DETTO CHE
OGNI EPOCA È DOMINATA DA UNA PARTI-
COLARE FORMA D’ARTE, E CHE L’ARTE DI
QUELLA CHE STIAMO VIVENDO È LA MUSICA.
Ci ho pensato un po’, e forse è
vero; ma essere l’arte di un’epoca
non è solo una cosa positiva,
soprattutto se l’epoca in questione è figlia della tecnologia. Infatti al giorno d’oggi con poche rudimentali
nozioni di teoria musicale, un personal computer di
fascia media e, se possibile, un po’ di buon gusto tutti
possono autoprodurre il proprio cd. Così se da un lato
abbiamo una diffusione globale della musica, dall’altro
lato esiste il problema della sovrapproduzione. Troppa
musica? Sì.
Ma il vero
problema è
capire che la
I VENERE
NELLA LORO
FORMAZIONE
ATTUALE, DA
SX: DANIELE
ZINGRILLO,
EMANUELE
SARRI,
MARCO
IACOMELLI
musica buona non è troppa, e che è difficile trovarla in
mezzo a tutta la musica, in cui ce n’è tanta che non va…
Il vero problema è anche che l’industria discografica, che
fa da intermediario tra produzione e fruizione di musica,
troppo spesso ascolta solo il tintinnare di monete e il
frusciare di banconote: soldi, soldi, soldi...
Ma anche se è noto a tutti che l’arte non ha
prezzo, purtroppo la musica è un bene che
si può scambiare e quindi, come ogni buon
economista sa, è possibile attribuirle un
valore monetario, cosa che ha come conseguenza la
perdita di interesse nei suoni e nelle melodie, e la
focalizzazione sulla legge fondamentale del mondo
economico: “abbattere i costi e massimizzare i profitti”,
(che poi, forse e purtroppo, è ciò che fa girare il mondo
di quest’epoca). Quindi con l’avvento del compact disc
(un pezzetto di plastica attorno a una sfoglia di materiale
riflettente) sono stati finalmente abbattuti i costi di
produzione, poi è bastato trovare una formula magica
per massimizzare le vendite: un/una cantante di bella
presenza (avete mai fatto caso che gli strumentisti non
hanno quasi mai lo stesso successo del cantante, l’unico
vero indiscusso leader del gruppo…), una canzone semplice, che si ricorda subito e che dopo pochi mesi ti ha
stufato (così devi cercarne un’altra!), e infine tanta,
tanta pubblicità, e il gioco è fatto. Solo che gli ascoltatori
un po’ più attenti ci rimettono. E i giovani emergenti
compositori ci rimettono ancora di più. Perché se fanno
la loro musica, anche se fanno buona musica, è molto
difficile che, senza conoscenze o compromessi, riescano a concludere
qualcosa. Non è impossibile, però ci
vuole molta passione, tanta costanza, il
banale, scontato, ma inevitabile pizzico
di fortuna, e soprattutto non bisogna
stare con le mani in mano, ma darsi da fare.
E D È A QUESTO PROPOSITO, IN MEZZO A QUESTO INTRECCIO
DI ASPETTI E DI INTERESSI DI SOGGETTI DIVERSI , CHE VOGLIO
PARLARVI DEI V ENERE , una giovane rock band italiana della
provincia di Novara. Perché sono miei amici. Perché
suonano buona musica e perché si stanno dando da fare.
E anche se vi posso sembrare di parte, vi chiedo di darmi
fiducia, perché sarò obiettivo al massimo concesso dalla
soggettività dei gusti personali. La loro storia ha inizio
nel settembre del 2000,
quando Marco Iacomelli
(voce) fa
sentire a
Emanuele
Sarri (chitarra) un po’ di
Marco
NE PENSANO I
F RITTO M ISTO ?
Chiara:«A me piace molto l’uso
che Marco fa della parola: trovo
che le immagini che riesce a
ricreare siano molto originali...»
Massi:«La musica dei Venere
appartiene a un genere ricercato e
intrigante, ricco di sonorità ora
psichedelche,
ora graffianti!»
Ste:«Sicuramente
positiva l’esperienza
a Lodi, e anche se
suoniamo generi
musicali diversi,
spero di poter
collaborare ancora
con loro...»
Ema:«A me
piacciono di più
dal vivo: riescono
a comunicare
molto di più, e
dividere una
serata insieme è
stato divertente!»
Se volete saperne di più sui
Frittomisto, e volete ascoltare
la loro musica connettetevi a:
http://www.frittomisto.net
Nella foto qui sopra:
Fafiño Gomez,
inesauribile percussionista
dei Frittomisto
15
Andrea Titone
C OSA
I Frittomisto sono un gruppo delle nostre parti (sudMilano), che hanno molto in comune coi Venere.
Anche loro infatti si sono sempre dati molto da fare
e oltre a essersi autoprodotti un cd (“menuturistico
diecimila”), tra le altre cose, hanno vinto l'edizione
milanese di "Pagella Rock '97", "Scorribande", hanno
suonato con Morgan dei Bluvertigo, Elio e le Storie
Tese, i Subsonica e con i Raggae National Tickets. Ma
hanno anche suonato con i Venere (al
Festival Dell'Unità di Lodi 2001)!
Perciò sentiamo un po' cosa ne
pensano loro dei Venere...
14
pezzi che aveva scritto a partire dall’eclisse di sole
dell’estate del 1998. A Emanuele quei pezzi piacciono, e
così, proprio come in ogni storia che si rispetti, un po’
per scherzo e un po’ per gioco, nascono i Venere. Ma
entrambi sapevano che a quel gioco c’era poco da
scherzare. Si aggiungono i fratelli Zingrillo: Daniele al
basso, e Andrea alla batteria (che verrà poi sostituito per
un certo periodo da Luca De Martino), e in men che non
si dica i pezzi sono pronti ad affrontare il palcoscenico.
Qualche serata qua e là e poi il primo grande passo: la
registrazione dell’EP, omonimo, un compact disc in
confezione da singolo, molto curato sia nella grafica che
nei suoni. Cinque pezzi per venti minuti di rock italiano,
sincero e introverso, soprattutto nei testi, che lasciano
completa libertà interpretativa all’ascoltatore e non lo
costringono a fronteggiare le troppo frequenti banalità
sugli amori del pop italiano. Ovviamente, se si hanno
intenzioni serie e non si vogliono correre rischi, tutto
questo richiede la registrazione della proprietà intellettuale delle proprie composizioni presso la signora SIAE,
cosa che, pur non essendo un ostacolo insormontabile
non rende certo le cose semplici, ma questa è un’altra
storia... Il passo successivo consiste nel fare ascoltare il
proprio cd a qualcuno che conta, o partecipando a
concorsi o contattando direttamente i produttori
discografici. Inutile dire che tanto vale lasciare perdere le
major (le etichette più importanti che hanno già programmato tutto da qui all’eternità), e che il cd dei
Venere ha bussato a tante porte ed è passato tra le mani
di tanti giurati. E così dopo poco più di un anno e mezzo
arrivano i primi risultati: le finali interregionali (Piemonte
e Liguria) di "Rock Targato Italia". Alcune recensioni su
giornali locali e su Internet. L'interessamento di Radio
Popolare di Torino che mette in programmazione
Delusione Cosmica (una canzone dell’EP), e gli offre la
possibilità, nel Novembre 2001, di registrare dal vivo al
Puzzle Studio di Torino 4 brani inediti: L’acqua scorre
lenta, Neve, Lenta e Sommessa, Mirarespira. E infine è
da poco uscita la compilation Soniche Avventure VII della
Fridge Records, un disco che raccoglie un campionario dei
gruppi emergenti italiani e che nell’edizione di quest’anno
comprende anche Trasparente (un altro pezzo dell’EP dei
Venere). E questo è quanto: una storia, forse come tante
altre, ma che almeno una volta vale la pena di essere
ascoltata, e se vi ho incuriosito anche solo un pochino,
andate a trovarli su http://www.veneremusic.com,
avrete la possibilità di scaricare e ascoltare completamente e gratuitamente tutte le loro canzoni.
Venere: l’EP
autoprodotto
suoniemergenti
Daniele
suoniemergenti
Emanuele
STRADA o ROTAIA?
PA R T E S E C O N D A
Ricordate lo scorso articolo sui viaggi, che parlava di
viaggi per l’Europa in macchina e in treno? Ecco cosa
ne pensano due dei nostri lettori...
Ciao Matteo, nell’articolo Viandante,
se giungi… nello scorso numero di
Nuvola hai proposto alcune
considerazioni “sulla strada” e “sulla
rotaia” come soluzioni di viaggio in
Europa. Visto che, dopo capodanno e
carnevale, già si pensa a progettare
le vacanze estive, vorrei raccontarti
anche la mia piccola esperienza di
viaggiatore.
Per tre estati consecutive ho
trascorso le vacanze in treno, la
prima ancora all’epoca in cui non
esistevano le zone ed il biglietto
interrail valeva indistintamente per
tutti gli stati d’Europa compresi
Marocco e Turchia. Avrei sperato,
nelle estati successive, di
avventurarmi nelle repubbliche dell’ex
Unione Sovietica ma, nonostante si
vociferasse il loro prossimo
coinvolgimento nelle zone disponibili,
rimasi deluso. Che fare? Acquistare
una tessera interrail over 26 con una
spesa doppia, oppure scegliere
un’alternativa al treno?
In treno puoi percorrere migliaia di
chilometri in assoluta tranquillità,
ammirando dal finestrino i paesaggi
offerti dalle regioni attraversate. Ti
puoi rilassare tra i sedili cullato dal
suo incedere ritmico e conciliante, e
nello stesso tempo puoi percepire il
senso di potenza che provoca il suo
maestoso passaggio.
Quando però la vacanza nasce dal
desiderio di vedere nuovi luoghi,
ecco allora come diventi complicato
raggiungere posti privi di stazione. Le
mete usuali durante i viaggi in treno
sono quasi sempre città. Città che in
Europa, nonostante le differenti
caratteristiche di tipo climatico,
architettonico o di chi le abita (vedi le
belle pulzelle di Copenaghen), sono
quasi tutte accompagnate da una
diffusa omogeneità, dal ripetersi di
alcuni standard tipici: il traffico, le
grandi catene di negozi, i giganteschi
e luminescenti cartelloni pubblicitari,
il senso di disinteresse che ti
comunica la gente presa dalla
frenesia quotidiana.
Per questo motivo, spostandosi su
rotaia, non si possono apprezzare le
differenze culturali esistenti tra i vari
paesi e, per le stesse ragioni, è
difficile immergersi a fondo nella
realtà e nel modo di vivere locali.
L’automobile diventa, quindi, non
solo indispensabile per raggiungere
posti sperduti, o semplicemente
isolati dalla rete ferroviaria, ma anche
il mezzo migliore per interagire con
quei paesaggi che in treno scorrono
come un film attraverso il finestrino.
Non intendo chiaramente solo le
bellezze della natura, ma soprattutto
la gente che si incontra per strada o
nei bar di provincia, le feste e le
usanze che ancora si tramandano
lontane dalla metropoli ed inoltre,
per quanto tipici possano essere i
ristorantini di città, mai lo saranno
come l’osteria a qualche chilometro
dalla circonvallazione.
Per contro in automobile è
abbastanza scomodo dormire
(soprattutto in 4) ma è altrettanto
vero che, avendo la possibilità di
muoversi, è più facile trovare
sistemazioni economiche lontane dai
centri turistici, camere affittate da
privati oppure un semplice
campeggio. Un altro limite
dell’automobile è il numero di
passeggeri, generalmente non più di
4, un’ottima alternativa è il furgone,
ha tutti i vantaggi della automobile
ma con 9 posti disponibili.
Le spese per il carburante, la
manutenzione, i possibili incidenti
potrebbero ancora aggiungersi, se
però il viaggio vuol essere
interpretato non come il mero
tragitto tra una partenza e un arrivo
ma come il fine stesso ricercato dal
viandante, allora difficilmente un
qualsiasi altro mezzo di trasporto,
diverso dall’automobile, permetterà
in ogni momento di andare, di
fermarsi, di ripartire, di cambiare
rotta e di vivere la strada percorsa
metro per metro tanto densamente.
Andrea Battocchio e
Claudio Rizzo
BA
CHE
CA
il muro
dei
graffiti
Terzo appuntamento con
la bacheca di Nuvola,
raccolti pensieri, frasi e
riflessioni dei lettori.
Dove sono finiti i miei
sorrisi? Quale forza oscura
cresce nella mia mente?
E’ come un’ombra che
eclissa la luce della felicità,
che alberga sicuramente
da qualche parte nel
mio cervello...
Ma quanti pensieri
sconnessi posso produrre
nei momenti tristi!
Se proprio dobbiamo
prenderci per il culo,
almeno indossiamo le
mutande con i ganci
I pensieri sono come un
virus letale: si cibano di te, ti
uccidono piano piano,
sfinendoti poco alla volta. il
problema peggiore Ł che
non esiste una cura...
Beautiful YOUNG people
are accidents of nature,
BEAUTIFUL old people are
pieces of art
W A K E U P, IT s SleepinG
TIME no MORE
...forse è meglio che
vado a studiare...
Faxe
Se anche tu vuoi lasciare un
segno sul muro di Nuvola puoi
farlo utilizzando l’urna che c’è in
Biblioteca Centrale o venendo
direttamente in Redazione, tutte
le domeniche dalle 21:30 in poi,
di fianco al cinema Troisi...
inviaggio
inviaggio
Su e giù per
Baja California
Anche se non sai andare sul surf, un viaggio nella California,
quella vera, ti restituisce il concetto di “essenzialità”
NELLE FOTO:
IN QUESTA PAGINA,
LA CARRETERA
TRANSPENINSULAR E
UN VILLAGGIO DI
PASSAGGIO CON 10
CASE, MA CON UNA
SCUOLA.
NELLA PAGINA
SEGUENTE, DALL’ALTO,
MISSIONE DI LORETO,
MISSIONE DI SAN
BORJA CON I FIGLI DEL
CUSTODE, SPIAGGIA A
MULEGÉ, APERITIVO A
BASE DI TEQUILA E
BIRRA A TIJUANA.
IN ULTIMA PAGINA,
TRAMONTO DALLE
MONTAGNE
NEI PRESSI
DI LA PAZ.
17
16
Un paio d’anni fa in una tiepida
serata di marzo alcuni amici
ebbero un'idea… perché non
fare una vacanza un po’ fuori
dagli schemi, in un posto che non
fosse la solita meta turistica di
massa ma che potesse fare qualcosa
anche ai nostri spiriti impoveriti dalla
stressante vita cittadina? E così, ispirati
dalla ricerca dell’onda perfetta (Point
Break), quattro mesi dopo siamo partiti
alla volta di Baja California comodamente
ripartiti in tre coppie e con l’unica certezza
che al nostro arrivo avremmo avuto a
disposizione un furgone da otto posti, aria
condizionata e autoradio per affrontare
ancora più spavaldi tremila km (a/r) a
quaranta gradi all'ombra… È bastato un
giorno per capire che ci sarebbe stata
un’altra immancabile costante nel nostro
lungo viaggio… la birra! In effetti, sulla
Carretera Transpeninsular ci sono molti più
distributori di Tecate (la birra messicana
più diffusa) che di benzina… e a ognuno di
questi un simpatico messicano senza collo,
stupito dal nostro passaggio (ma senza
neanche scomporsi troppo), ci riforniva del
necessario. La prima tappa “messicana”,
dopo qualche giorno a Los Angeles, è
Tijuana, la meno “allineata” con il resto del
viaggio, e anche la più stressante. L’arrivo
dopo il tramonto “senza casa senza
mangiare”, il bidone tiratoci
dall'autonoleggio e le pressanti raccomandazioni da
parte dei pavidi che c’erano già stati e si erano
preoccupati per la nostra incolumità, non ci hanno
assolutamente impedito di soddisfare la nostra curiosità
sulla fondatezza del famoso “verso” di Manu Chao
“Welcome to Tijuana: tequila, sexo e marijuana”…
cappuccino con il termometro!) si parte con la frizzante
prospettiva di restare chiusi nel furgone per parecchi
kilometri perché il primo luogo abitato, Catavina, si
trova giusto alla fine del deserto dei sassi, chiamato
così perché ci sono solo enormi massi, la strada con la
riga gialla e i cactus. Ci troviamo così avvolti da
un’atmosfera quasi surreale in cui il cielo ha dei colori
che pensavo esistessero solo nelle cartoline (ritoccate)
della Grecia; ogni sasso sembra raccontare una storia
diversa di ragazzi e ragazze, di amicizia, di voglia di lasciare il segno, d'immortalità (ok ok, sto diventando
pesante, la smetto). Catavina è decisamente una città
di passaggio con qualche baracca, un ristorante e due
alberghi: uno bellissimo, quattro stelle, con patio e
piscina, piuttosto caro; l'altro, ehm, essenziale… un
letto, un ventilatore, un lavandino e un buco (immagino
Tutto vero, soprattutto nel fine settimana, quando gli
adolescenti di San Diego, che in patria non possono
ordinare alcolici, si riversano qui per “pazziare”...
Seconda tappa Ensenada, cittadina completamente
diversa, lontana dal contagio americano. Si comincia
finalmente a respirare aria di genuinità, di semplicità…
e vai con i tacos de pescado e i tacos de carne asada
(praticamente non esiste altra forma di cibo, cambiano
solo le dimensioni ma la sostanza è sempre la stessa:
tortillas sottili e calde, ripieno di carne o pesce fritto
arricchito da vari contorni tra cui pomodorini e fagioli
stufati e ovviamente una varietà di salsine piccanti e
non, da inserire a proprio piacimento).
Dopo un bel sonno ristoratore, sveglia alle 7.30
(neanche quando andavo a scuola mi svegliavo così
presto) ed eccezionale colazione all’italiana (fanno il
per i bisogni corporali ma non mi sono soffermata),
quasi gratuito. Quale avremo mai scelto noi, impavidi
avventurieri squattrinati? No comment… dico solo che
qualcuno ha preferito dormire in macchina, probabilmente ancor prima di scoprire che alle 11 di sera il
generatore di corrente viene staccato e che l'unico
punto a favore dell’albergo, il ventilatore, diventa un
oggetto completamente inutile. Le uniche, ma
importanti, consolazioni sono state la cena notturna alla
trattoria all’aperto dei camionisti e soprattutto trovarsi
in un posto totalmente privo di illuminazione ad
ammirare il cielo stellato. In definitiva... consigliata!
inviaggio
inviaggio
poi La Paz (farlocca), arriviamo! La nostra libera
interpretazione della vida loca inizia con una bella
mangiata di pesce e continua in uno dei tanti locali,
sorseggiando margaritas e “sculettando” a ritmo di
musica latinoamericana. Avrete notato che fino ad ora
è andato tutto alla perfezione, come in un film, ma in
ogni film che si rispetti ci deve essere il contrattempo
che mette alla prova l’”eroe”! Ecco, infatti, che spunta
un Poncharello messicano imbolsito, palesemente alla
ricerca di un arrotondamento dello stipendio, che
minaccia di portarci al Comando per non so quale
infrazione. L’eroe in questione, capello lungo al vento,
panzetta del benessere (diventato da tempo opulenza),
pareo arancione, scende dalla macchina e, parlando
l'esperanto (perché non osi dirmi che si trattava di
spagnolo…), riesce incredibilmente a convincerlo a
lasciarci andare per pochi pesos… e anche questa è
andata! Prossima e ultima tappa, Cabo San Lucas,
ancora più colonizzata, colorata, caotica e costosa, ma
la soddisfazione di un bell'hamburger all'Hard Rock
Café è impagabile, soprattutto dopo chili e chili di
tacos… Un paio di giorni ancora sulla punta, una visita
all’Hotel California, proprio quello della canzone, a
Todos Santos, colonia di artisti americani stufi delle
highways e poi 180° verso nord, si torna a ritroso,
lungo quest’unica strada che attraversa la penisola, una
striscia di cemento spalmata fra la terra e il cielo, larga
a malapena come la Vecchia Paullese, con dei bordi
così alti che mettere una ruota fuori strada vuol dire
capottare. Cosa mi è rimasto, a parte le scottature e le
confezioni di dissenten non usate? Beh… i colori, la
disponibilità delle persone, la bellezza dell'oceano e
ovviamente la voglia di tacos!
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Chiara Marinoni
Foto di Ilaria Grazia, Barbara Scatena,
Mauro Gallo e Pietro Morelli
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La mattina dopo arriviamo quasi a metà del viaggio,
cambia il fuso e approdiamo a Guerrero Negro,
cittadina senza infamia e senza lode, almeno ad agosto
(nel periodo giusto in questa baia riparata e piena di
saline vengono le balene a partorire).
La strada ci porta dall'altra parte della penisola, il sole
continua a splendere insistente sulle nostre teste e, alla
disperata ricerca di un po' di refrigerio, ci buttiamo in
un mare verde Caraibi, con tanto di spiaggetta bianca e
deserta, capanne di paglia e squaletti bianchi. Sembra
di stare in una scena di Laguna Blu!
Mulegé è veramente incantevole, gli autoctoni
gentilissimi e l'aragosta spettacolare (ed economica).
Ma purtroppo il tempo è tiranno e dobbiamo proseguire
verso la punta, colonia dei ricchi tamarri americani con
la decappottabile. Prima di buttarci a capofitto nel
mondo della notte, ci concediamo un altro assaggio di
spiritualità: Bahia de Los Angeles, celebre come rifugio
di galeotti americani latitanti e altra varia umanità che
non vuole farsi più trovare dalla civiltà, e a seguire la
Missione di San Borja, attraverso un sentiero “carrabile”
solo di nome! Il tempo sembra immobile, il contatto
con la cosiddetta civiltà inesistente; ci accoglie una
famigliola la cui emozione per l’eccezionalità della
visita si manifesta in particolar modo nei pantaloni della
bambina che compare nella foto (si è solo fatta la pipì
addosso)... sono i custodi della missione, che se oggi
conserva più che altro un valore storico, in passato è
stata, come tutte le altre numerosissime missioni della
penisola, il primo luogo di aggregazione di questo
popolo, e con questo anche la prima scuola, la prima
mensa ecc. Scende la sera, il cielo diventa un quadro di
Monet e noi non abbiamo ancora recuperato la strada
maestra… panico! Qualche ora di battiti accelerati nel
nero della notte del deserto, scongiurando la tremenda
ipotesi di bucare una gomma, un rientro da brivido
sulla carretera con un camion che ci sfreccia davanti e