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Copyright © 2011 A.SE.FI. Editoriale Srl - Via dell’Aprica, 8 - Milano
www.tsunamiedizioni.com
Prima edizione Tsunami Edizioni, aprile 2011 - Le Tempeste 5
Tsunami Edizioni è un marchio registrato di A.SE.FI. Editoriale Srl
La foto sulla copertina è di Thomas Boll
Progetto copertina: Marco Fantin
Finito di stampare nell’aprile 2011 dalla Gesp - Città di Castello (PG)
ISBN: 978-88-96131-28-2
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato senza l’autorizzazione scritta
dell’Editore.
Per le foto nel testo l’autore e l’editore ringraziano:
Pagina 112 - Jean Marmeisse
Pagina 131 - Betty Cobb, Los Angeles
Pagina 161 - Tracey Roberts
Pagina 180 - Red Leather Heather
Pagina 244 - Sirius
Pagina 289 - Francesca Cerri
Pagina 305 - Gili Shani
La presente opera di saggistica è pubblicata con lo scopo di rappresentare un’analisi critica, rivolta alla promozione di autori ed opere di ingegno, che si avvale del diritto di citazione. Pertanto tutte le immagini e i testi
sono riprodotti con finalità scientifiche, ovvero di illustrazione, argomentazione e supporto delle tesi sostenute
dall’autore.
Nell’impossibilità di risalire agli aventi diritto delle fotografie pubblicate, l’Editore si dichiara disponibile a
sanare ogni eventuale controversia.
GIOVANNI ROSSI
STORIA ED EVOLUZIONE DELLA MUSICA INDUSTRIALE
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INDICE
UNA NOTA PRIMA DI COMINCIARE...
PREFAZIONE di LUSTMORD
GENESI[S]
INDUSTRIAL INTRODUCTION
ELEMENTAL MUSIC
LA STANZA DELLE TORTURE
[S]CULTURA INDUSTRIALE
GUERRA TOTALE
SINFONIA PER UN GENOCIDIO
COME DISTRUGGERE GLI ANGELI
MUSICHE PER CORPI
IL VIALE DELLE TEMPESTE
PULIRE, PIEGARE E MANIPOLARE
ALBA DORATA
CAMBI DI SCENA
QUESTIONE DI ETICHETTA
DOVE PENDONO LE STELLE NERE
LA SPIRALE DISCENDENTE
HEY AMICO, BEL COLPO!
LA MAREA NOTTURNA
FUORI DAL TEMPO
NUOVE FRONTIERE
FUOCO A VOLONTÀ
ASTRO CREEP: 2000
ANNO ZERO
OGGI SIAMO TUTTI DEMONI
FUTURE-SHOCK
VOCI DALL’UNDERGROUND
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[277]
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POSTFAZIONE di MAURIZIO BIANCHI
Appendice I - ALLE RADICI DELL’INDUSTRIAL di Z’EV
Appendice II - DEDICATO AI POCHI di ADI NEWTON
Appendice III - ALTRI RIVOLUZIONARI
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[331]
[335]
[341]
NOTE
RINGRAZIAMENTI
INDICE DEI NOMI
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[359]
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‘Per me industrial significa Processo, purezza di forma e di funzione, musica progettata
per essere utilizzata, come un utensile o un pezzo d’arredamento’.
Peter ‘Sleazy’ Cristopherson
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UNA NOTA PRIMA DI COMINCIARE...
Quando circa tre anni fa ho iniziato a scrivere le prime righe di Industrial [r]Evolution,
sapevo bene a cosa sarei andato incontro. Per parafrasare Frank Zappa, parlare di industrial
è ben peggio che ballare di architettura. L’industrial è senza ombra di dubbio uno dei generi più inafferrabili, sotterranei, inclassificabili e inconoscibili del panorama musicale. La
stessa sua classificazione come genere musicale è per molti versi riduttiva. Migliaia di artisti e gruppi, un sottobosco di ramificazioni, correnti e sottogeneri, centinaia di fanzine ed
etichette specializzate. Per non parlare delle aree tematiche affrontate in quasi quarant’anni
di storia: religione, politica, sesso, occulto, performance art, letteratura, futuro, natura,
scienza, psicologia solo per citarne alcune. Qualsiasi pretesa di completezza o esaustività
sarebbe stata vana, e con questa premessa di cui ero ben consapevole è nato Industrial
[r]Evolution, la storia dell’evoluzione di un genere che ha rivoluzionato i canoni della musica moderna. Ho scelto di raccontare questo percorso attraverso le voci dei protagonisti,
raccogliendo in giro per il mondo migliaia di cartelle di interviste inedite, senza censurare
alcuna posizione e riportando fedelmente il punto di vista di chi ha scritto la storia del
genere. Mettendo insieme questa moltitudine di voci, sono emersi gli stessi dubbi e le
stesse considerazioni che popolano la scena da quando è nata. Cosa si può definire come
industrial? Quali ne sono i capisaldi tematici? Quali artisti e gruppi possono ritenersi parte
di questo ambiente? Ho trovato indispensabile utilizzare il concetto di evoluzione come
chiave attraverso cui trovare le risposte. Solo tramite un’analisi di tipo evolutivo è infatti
possibile comprendere come siano nati i primi sottogeneri, in che modo si sia sviluppato
il ricorso alla tecnologia, come l’etichetta stessa di ‘industriale’ sia diventata presto oggetto
di discordia. Power electronics, martial industrial, industrial metal, dark ambient, EBM,
solo per citare alcune filiazioni dell’industrial, hanno radici comuni, ma contenuti e tratti distintivi decisamente differenti tra loro. Affrontare tutto con pretesa di completezza
sarebbe risultato impossibile, includere tutti i nomi altrettanto arduo. Per questi motivi
Industrial [r]Evolution non è l’enciclopedia di un genere, non è un manuale per tuttologi,
non aspettatevi una bibbia infallibile, né il punto di vista assoluto sulla verità. Lo ripeto,
tanti artisti non sono presenti, ma tanti altri meno noti hanno trovato qui un posto. Industrial [r]Evolution ha assunto questa forma perché ho scelto la strada suggerita dagli stessi
protagonisti, buttandomi a capofitto nella mischia, indagando collaborazioni e citazioni,
lavorando sulle segnalazioni e sui legami di sangue tra gli artisti, scavando nel sottobosco
delle scene più nascoste, raccogliendo una sfida ai limiti dell’impossibile per cercare di
dare il giusto tributo ad un genere che, salvo pochi casi, non ha mai varcato la soglia della
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UNA NOTA PRIMA DI COMINCIARE...
nicchia e dell’underground. Quella che avete tra le mani è una raccolta di testimonianze
unica, un incomparabile elenco di aneddoti, racconti ed esperienze. Una storia che è in
constante evoluzione, secondo lo spirito stesso dell’industrial, ed un libro che non si ferma, pulsa e si contorce in un blog (http://industrialrevolution-gr.blogspot.com) che ne costituisce la naturale appendice perennemente aggiornata con tutto ciò che non ha trovato e
non troverà spazio sulla carta. Industrial [r]Evolution è un punto di partenza per chi vuole
approfondire una passione, una guida per chi si avvicina al genere, una pietra angolare per
capire e comprendere una scena musicale unica e straordinaria.
Giovanni Rossi
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PREFAZIONE
L’industrial non è stata una scena, se con questo intendiamo l’essere parte di un gruppo di
persone che fanno la stessa cosa o che cercano di perseguire gli stessi obiettivi.
Il nome, come si sa bene, è preso dalla label che fondarono i Throbbing Gristle e si potrebbe
dire che le persone che facevano parte di quell’etichetta fossero come i membri di una famiglia,
ma tutto questo non deve essere confuso con il fare parte di una scena.
Durante questo primo periodo c’erano un buon numero di persone che condividevano convinzioni e prospettive simili, unite semplicemente dal fatto di essere degli outsider. In queste
circostanze divenne inevitabile il conoscersi l’uno con l’altro e un vincolo comune ha fatto sì che
le persone condividessero le informazioni, le esperienze ed i consigli su di chi ci si potesse fidare
e chi no. Ci si prestava anche l’equipaggiamento, oltre a scambiarsi consigli e informazioni di
tipo tecnico o legate al business. È stato un gruppo di persone caratterizzato da un forte spirito
di sostegno reciproco, sia in senso pratico che in tanti altri modi.
Era tutto incentrato sulle idee e sul cercare di provare a fare cose nuove, di creare qualcosa di
proprio e di essere ascoltati. In seguito altri ne copiarono molte delle idee e dei suoni, smarrendo
completamente il punto e facendo prevalere lo stile sui contenuti.
L’industrial non fu mai un suono, un look o uno stile. L’industrial fu tutto ciò che queste
brutte copie non erano e non potranno mai essere.
Brian LUSTMORD Williams
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GENESI[S]
Dimentichiamo per un momento i termini ‘movimento’ o ‘cultura’. Dimentichiamoli quantomeno in relazione al fenomeno definito come ‘industrial’. Mettiamoli da parte
non per vezzo, ma perché sono gli stessi precursori di questo genere a dirlo. Sicuramente
c’è stato qualcosa che ad un certo punto ha accomunato artisti geograficamente molto
distanti tra loro; è infatti fuori discussione che alcuni stilemi siano stati ripresi in modo
quasi sincrono da persone lontane centinaia di miglia. E perché allora non parlare di
movimento o cultura? Perché non individuare padri, padrini e figli di questo nuovo
genere che ha iniziato ad infettare Birmigham, Berlino, New York, Melbourne e non
metterli sotto un cappello comune?
Lo abbiamo già detto: sono gli stessi iniziatori di questo nuovo genere a riconoscere
come l’industrial si sia diffuso in maniera virale, come un’epidemia sottocutanea, slegato da ogni ideologia preconcetta o da programmazioni a tavolino, cullato nell’alveo
macilento dell’underground e guardato con diffidenza da avanguardie e sperimentatori.
Se per movimento o cultura intendiamo invece una consapevolezza diffusa all’interno di
un gruppo a cui sottostanno regole, scopi e tratti distintivi, allora non siamo dalle parti
dell’industrial. Questione di termini, ma non solo. I pionieri dell’industrial si sono innanzitutto nutriti delle lezioni punk, post punk e hardcore, in alcuni casi – pochissimi,
per essere onesti – hanno bevuto al calice della composizione classica, mentre più spesso
hanno semplicemente guardato in faccia una società che stava rapidamente cambiando,
e non sempre in meglio. Una società che stava lentamente ribaltando il rapporto uomotecnologia a favore della macchina, sostituendo i sentimenti di carne e sangue con valvole prima, silicio poi e cibernetica più tardi. Una società in cui il suono lasciava sempre
più spazio al rumore (non inteso come cacofonia o assenza di armonia) ridefinendone
il significato ed all’interno della quale gli strumenti classici non erano più in grado di
soddisfare le esigenze espressive degli autori. Per questi artisti iniziò il bisogno di crearsi
in casa non solo le strumentazioni, ma anche gli schemi compositivi, all’insegna di una
libertà completa che ben si agganciava al ‘do it yourself ’ di matrice punk.
L’industrial ha il suo germe nelle riforme sociali inglesi, nelle manifatture di Detroit e
nei macelli di Chicago, negli esperimenti nucleari e nella colonizzazione del terzo mondo, nelle teorie junghiane e nei reportage dei freelance in zona di guerra, nelle testimonianze dei sopravvissuti all’olocausto e nella xenofobia dell’estrema destra nazionalista,
nelle leggi dei governi del Patto di Varsavia e nelle nuove tecniche di organizzazione del
lavoro. Per descrivere tutto questo i primi sperimentatori raccolsero la sfida lanciata da
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GENESI[S]
dadaismo e futurismo iniziando a sovvertire e ridisegnare le regole. Lo fecero in maniera consapevole? Non sempre. Ciò che iniziò a svilupparsi dalla fine degli anni ’60 fu
innanzitutto un nuovo modo di comunicare che partiva dall’arte visiva e lentamente si
spostava sulla musica, un sistema di relazioni che dilagava in modo virulento (ancora
una volta) tramite mail art, scambio di nastri, duplicazione di bootleg, fanzine, concerti
in venue improvvisate. Questo nuovo modo di lavorare sul suono iniziò a far parlare di
sé ed in particolare degli aspetti più scabrosi e provocatori, materie nelle quali i pionieri
industriali non erano secondi a nessuno. Nacquero le prime etichette indipendenti, i
locali underground iniziarono ad accorgersi del fenomeno e la pustola dell’industrial
scoppiò diffondendo il contagio.
Poi accadde qualcosa di unico. Per sua stessa natura, l’assenza di regole, la massima
libertà creativa e l’inscindibile componente rappresentata dalla performance resero i primi modelli unici e difficilmente replicabili. Ogni artista o gruppo possedeva la propria
missione, ed esaurita la spinta iniziale l’intero progetto decadeva nella sua essenza fondante, collassando sotto la stessa iconoclastia batterica che lo aveva generato. Restavano
coloro che avevano deciso di raccogliere il testimone, quelli che erano mossi da spirito
emulatorio, oppure artisti che avevano intravisto uno squarcio di tenebra che aveva dato
loro il ‘la’ per produrre qualcosa di proprio. È il concetto di ‘scena’: aggregazioni spontanee di artisti accomunati da stilemi simili, intenti vicini, tecniche assimilabili. Mettere
a fattor comune tutto il contenuto artistico è ben altra cosa.
Ripetiamo: libertà creativa e assenza di regole.
Anche per questo, venuta meno la spinta iniziale, verso l’inizio degli anni ’80 in molti dichiarano concluso il ciclo dell’industrial. Tutto ciò che ha seguito la prima ondata
aveva già mutato forma. In perfetta coerenza con la propria natura, l’industrial iniziò
diversi percorsi di trasformazione, figliando una serie di sottogeneri che pur nella loro
diversità mantenevano intatti alcuni degli elementi propri del modello iniziale. Dark
ambient, EBM, martial, neofolk, power electronics, furono le prime etichette a far capolino dalla metà degli anni ’80 e si iniziò ad applicare la stessa definizione di industrial
anche a prodotti che in realtà avevano ben poco di industriale. Dagli anni ’90 le convenzioni comunicative iniziarono ad associare al termine industrial qualsiasi contaminazione tra metal ed elettronica, per cui bastavano un synth o una drum machine in più
per far guadagnare l’etichetta a un gruppo. Il vero industrial, quello che è stato spesso
definito ‘old school’, sopravviveva relegato a scena underground, distante da qualsiasi
clamore mainstream.
Questione di etichette, ma anche di sostanza. Nel frattempo la tecnologia aveva iniziato ad animare i fantasmi dipinti dai progenitori in tempi assolutamente non sospetti,
alimentando il mito di scrittori cyberpunk che erano stati in grado di scorgere da pochi
indizi i tratti della società del futuro. Al centro della società di oggi non c’è più il rapporto uomo-macchina meccanicamente inteso, ma il dissidio inscindibile tra carne e silicio,
tra chip e neuroni. Nuove tematiche, nuovi strumenti a disposizione dell’afflato creativo
e soprattutto una società che si riempie la bocca di 2.0, globalizzazione e, ancora una
volta, do it yourself. La ri-evoluzione industriale inizia qui, riparte trent’anni dopo da
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GENESI[S]
un nuovo orizzonte e guarda al futuro con le stesse preoccupazioni del passato. Cambia
lo scenario, mutano i costumi, evolve la tecnologia, ma l’uomo resta lo stesso, con i suoi
bisogni, le sue paure ancestrali, i suoi fantasmi e un carico di emozioni difficilmente
arginabile.
Benvenuti nella macchina, benvenuti nella nuova era.
Benvenuti nella ri-evoluzione.
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
‘Musica industriale per gente industriale’ (Monte Cazazza): nel calore infernale delle
acciaierie, sotto la strisciante morsa dell’umidità delle banchine, al buio opprimente delle
gallerie delle miniere di carbone, quell’affermazione aveva le sembianze di una sentenza di
condanna. Il Regno Unito non era mai stato più diviso come nella metà degli anni ’70: la
Seconda Guerra Mondiale aveva mutato completamente gli equilibri di potere, e i parrucconi della camera dei Lord non reggevano più le sorti di un Impero che solo alcuni decenni
prima ricopriva oltre tre quarti del mondo civilizzato. Londra non era più il centro dell’universo, e portava ancora le vistose cicatrici dei sanguinosi bombardamenti tedeschi. Un po’
più a nord, Birmingham, Manchester e Liverpool si erano trasformate nel polmone incancrenito di un nuovo sforzo post-bellico, assorbendo migliaia di braccia dalle campagne per
risputarle nell’industria siderurgica, pesante, metallica che partecipava orgogliosa e ferita
alla ricostruzione di un nuovo ordine mondiale. Ancora più a nord le miniere di Scozia e i
decentramenti nordirlandesi fornivano il carburante con cui veniva messa in moto la nuova
civiltà, scaldata dal tepore di un olocausto che sacrificava al progresso i resti di specie estinte
molti millenni addietro. Alla vigilia dell’insediamento del famigerato governo Thatcher,
la disoccupazione era alla soglia del 6%, un livello mai toccato prima. Le tensioni tra gli
storici sindacati da una parte e i capitani d’industria ed il governo dall’altra, avrebbero dato
vita a una serie interminabile di scioperi e tensioni sociali.
Anche nel resto d’Europa il panorama non era molto differente. Graf di FâLX çèrêbRi
descrive molto bene il panorama politico e sociale di quel periodo, nella Germania divisa
dal muro di Berlino: ‘La maggior parte di ciò che è successo all’inizio degli anni ’80 è già
stato detto e ben documentato. Quel periodo sembrava ‘la fine dei tempi’. La minaccia nucleare appesa sopra le nostre teste, la guerra fredda ancora in corso... non c’era alcuna sicurezza.
Red Army Faction e Bewegung 2 Juni stavano uccidendo i politici e attaccando il governo.
Tutto era molto limitato e controllato, ma le persone cercavano semplicemente di fare quello
che pensavano fosse la cosa giusta da fare, occupando edifici e vivendo stili di vita alternativi.
Venivano aperti un sacco di club senza alcun permesso, circoli in cui non venivi servito se non
appartenevi a quella speciale scena. Allo stesso tempo, tutto era mescolato. Ricordo gallerie
aperte con la metà degli avventori costituita da prostitute che lavoravano nella strada di fronte.
Semplicemente stavano lì per noia e per combattere il freddo. Era tutto accettato e faceva parte
dell’atmosfera di quel periodo.
Berlino era ancora più speciale rispetto alle altre città della Germania. Berlino aveva ancora
il muro, così tutta l’energia creativa veniva nascosta ed eruttata. La musica di Einstürzende
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
Neubauten forse era possibile crearla solo qui a Berlino. Era una manifestazione del sentimento
diffuso in quel momento e in quel luogo. Tutti facevano quello che dovevano, nessuno aveva
niente da perdere. Le band della scena non si formavano per diventare superstar o per fare un
sacco di soldi. È di sicuro successo ad alcuni di loro, ma non credo fosse l’intenzione principale
di chi era coinvolto nella vera e propria scena di quel momento’.
‘Musica industriale per gente industriale’. Quella condanna era per i più un marchio
ineliminabile, un segno di appartenenza ad una realtà il cui futuro sarebbe stato identico
al presente, schiava di un’immutabilità ed un immobilismo che ben poco avevano a che
spartire con i lustrini ed il lucido da scarpe della beat generation. Quella gente industriale
aveva negli occhi le distese di mattoni dei quartieri suburbani di Birmingham costruiti
come infernali dormitori alle porte di stabilimenti megalitici, il grigiore dei reparti di
piegatura, le prime immagini televisive di un’America sfavillante. Aveva le mani lorde
dello stigma del grasso dei magli meccanici, l’olio dei condotti di lubrificazione, la punta
rancida del pesce fritto consumato il sabato sera fuori dai pub. Aveva sotto i piedi le file
alla mensa, le code per il ritiro del sussidio di disoccupazione, i campi fangosi delle partite
di calcio alla domenica pomeriggio.
Tre sono le forme espressive musicali che nascono per scuotere le fondamenta della musica moderna. Il punk è una delle vie di fuga più seguite dai giovani, e di lì a poco dilagherà
sull’intero pianeta per poi quietarsi altrettanto rapidamente nella mutazione new wave.
Nello stesso periodo, l’heavy metal si sta affrancando dall’hard rock per iniziare con Black
Sabbath e Judas Priest una corsa propria che spalancherà le porte di una nuova scena.
Infine nasce un approccio completamente nuovo alla forma-canzone, portatore di istanze
strumentali fuori dagli schemi e dai canoni classici: l’industrial. Decisamente minoritario
rispetto alle altre due correnti, relegato ad una ristretta nicchia di cultori e osservato con
distacco da mass-media, etichette e dalla maggior parte del pubblico. La lettura offerta
da DDV dei belgi Club Moral sul particolare periodo in cui è nato l’industrial è chiara
e precisa: ‘La musica è sempre stata una forma di espressione un po’ più lenta, soprattutto se
paragonata alle arti visive... anche alla fine del 1800, quando per esempio il Romanticismo
e l’Espressionismo musicale erano irrimediabilmente in coda rispetto ai loro colleghi della pittura. L’avanguardia visiva degli anni ’60 e ’70, con l’abbandono delle tradizionali situazioni
legate al connubio artista-galleria-istituzione a favore di happening, performance, mail-art ed
arte auto gestita ed auto-organizzata, ha innescato la scintilla della musica punk proprio nel
momento storico in cui il destino industriale, la violenza emergente, l’aumento dei serial killer
ed il fallimento delle posizioni tradizionaliste erano venuti dolorosamente a galla. Gli artisti
industrial noise erano consapevoli di ciò che stava accadendo nel mondo e utilizzavano i mezzi
di comunicazione come fonte di creatività, invece che amore, felicità, fiori e droga’.
Monte Cazazza coniò la definizione ‘industrial music for industrial people’ sul finire
degli anni ’70, dopo aver ascoltato le strambe composizioni di Genesis P-Orridge e del
suo gruppo di anti-musicisti, i Throbbing Gristle. E diede inconsapevolmente identità
a un’aggregazione artistica che ancora si stava formando, qualcosa che non era nemmeno
definibile come movimento e che poco voleva spartire con i propri padri. È questo uno dei
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
rari casi in cui sono gli artisti stessi ad etichettare la propria opera, e mai etichetta fu più
indovinata, tant’è che Industrial Records sarà il nome dell’etichetta con cui i Throbbing
Gristle inaugureranno la tradizione discografica legata alla cultura industriale.
La musica industriale non nasce come movimento musicale in senso stretto, bensì
nell’ambito della performance art e della rappresentazione. Lustmord è molto chiaro al
proposito: ‘L’industrial delle origini, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, era
concentrato soprattutto sulle idee legate a concept e sperimentazioni, piuttosto che sulla musica’.
Dall’altra parte del globo, anche Hiroshi Hasegawa (C.C.C.C.) condivide la stessa opinione dell’artista gallese: ‘I pionieri della scena come Genesis P-Orridge, Z’EV e Monte Cazazza
erano innanzitutto performance-artist, e questo ha fatto sì che l’industrial, anche in tutte le sue
prime ramificazioni come noise e power electronics, abbia sempre mantenuto una forte componente legata alla rappresentazione’.
Nel 1969 uno stravagante studente universitario di nome Neil Megson, poi rinominatosi Genesis P-Orridge, e Christine Carol Newby, un’affascinante e diafana modella
porno conosciuta come Cosey Fanni Tutti, decidono di dare vita ai COUM Transmissions
inaugurando la storia di una delle formazioni di performance art più estreme e scomode
d’Inghilterra. Automutilazioni, pornografia, scarnificazioni, installazioni ai limiti del penale... fino al 1976 è un succedersi di opere come ‘Exorcism of Shit’, ‘Anal Coumfidence’,
‘Babys Coumpetition’, ‘Cosey Sexual Action’. Alla base dell’estetica del duo c’è una rappresentazione che va in una direzione diversa rispetto all’iconoclastia punk. La ribellione
contro gli schemi precostituiti non è finalizzata all’instaurazione di un nuovo ordine apolitico o anarcoide, né al rovesciamento violento della società dei consumi, bensì alla pura e
semplice rappresentazione di un differente modello estetico. Come è stato sintetizzato più
volte da Paul Lemos (Controlled Bleeding), sia il punk che l’industrial sono state forme
espressive di violenza emotiva e confusione, attuate senza alcuna censura o competenza
tecnica. I COUM attirano l’attenzione dei salotti bene di Londra, in poco tempo vantano
esposizioni nelle più importanti gallerie inglesi e Genesis inizia a trasformarsi in figura di
culto per i giovani annoiati e rabbiosi della capitale. Sembra che Surrealismo, Futurismo
e Dada si incrocino nei COUM Transmissions per esprimere il comune disprezzo nei
confronti della società, delle convenzioni e delle regole costituite. Tre correnti artistiche
che sono strettamente imparentate con un’iconografia che mira a sovvertire le prospettive
mettendo una pietra tombale su duemila anni di arte e di comunicazione, per voltare definitivamente pagina, in nome di un nuovo rinascimento dell’uomo. Un rinascimento che
parte dalla destrutturazione dell’Occidente in ogni sua forma.
Nel momento in cui Genesis e Cosey decidono di unirsi a Chris Carter e Peter ‘Sleazy’
Christopherson, i COUM Transmissions si trasformano nei Throbbing Gristle. È il 1975
e il suono diventa parte integrante della performance, asservita alla rappresentazione e
allo scopo comunicativo. Nessuno dei componenti dei Throbbing Gristle ha esperienze o
preparazioni musicali in senso accademico, ma questo non costituisce un problema, considerato l’approccio agli strumenti, decisamente anticonvenzionale e al di fuori di ogni schema classico. La vicinanza all’estetica dadaista è lampante: rottura completa con il passato,
rifondazione dei canoni espressivi, ricerca del paradosso e dell’estremo, provocazione e
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
assurdo. Lo stesso padre della beat generation, William Burroughs, definisce Genesis come
ispirato dal dada. La proposta dei Throbbing Gristle, espressione gergale che significa ‘erezione fulminante’, non è semplicemente classificabile come musica. In realtà, dei quattro
praticamente solo Carter ha una modesta esperienza con gli strumenti, il che già rende
difficile identificare l’ensemble come formazione musicale in senso tradizionale. L’idea alla
base del gruppo è quella di rappresentare le abiezioni della società e le afflizioni dell’uomo
moderno da un punto di vista multidimensionale. Nell’‘Industrial Culture Handbook’
sono riassunti i cinque punti programmatici della proposta dei Throbbing Gristle: autonomia organizzativa nella promozione della propria musica, sull’esempio della mail art;
accesso all’informazione come fonte di potere, anni prima di internet; destrutturazione
del concetto classico di musica; impiego massivo di elementi mediali diversi, come video e
foto; lo shock come modalità espressiva privilegiata per garantire immediata reazione e obbligatoria presa di posizione. Avvicinarsi ad una registrazione dei Throbbing Gristle significa fare un’esperienza nuova. Il concetto stesso di album ha poco senso, ed infatti i quattro
preferiscono battezzare la loro prima registrazione su cassetta ‘The First Annual Report’,
dandogli la veste di un vero e proprio comunicato bellico dal fronte. Quelle che dovrebbero essere canzoni sono in realtà registrazioni su cui si riversano rumori rubati dalla strada o
da qualche fabbrica, in cui la voce sgraziata e lamentosa di Genesis funge solo da sfondo.
In una burroughsiana rivisitazione del cut-up, i Throbbing Gristle ghermiscono quanto di
peggio il mondo offra loro in termini di rumore di fondo: quel rumore che riempie la vita,
ma che spesso resta relegato in secondo piano, lo riversano su nastro (sintetizzatori e campionatori sono ancora fuori portata) stravolgendolo, lacerandolo e rendendolo talmente
inumano e alieno da generare un profondo senso di fastidio e disorientamento.
All’interno del progetto Throbbing Gristle, la parte visuale ha lo stesso peso di quella
sonora, affidata soprattutto all’estro di Genesis e Cosey. I due sono dei veri provocatori
di massa e le loro performance estreme diventano il principale veicolo pubblicitario per i
Throbbing Gristle. Scarnificazioni, automutilazioni, prelievi di liquidi organici ed autoiniezione degli stessi, spogliarelli ed amplessi più o meno simulati. Il corpo, violentato
dalla modernità, viene riproposto in tutte le sue manifestazioni di sottomissione e quindi
torturato, umiliato, deriso. Sullo sfondo Sleazy muove fotografie sgranate prese da campi
di concentramento nazisti, immagini di fosse comuni, rappresentazioni di cadaveri mutilati. I locali della capitale inglese rifiutano spesso di ospitare i Throbbing Gristle, che
trovano rifugio nei circoli della controcultura e dell’avanguardia. Anche se il mondo è
travolto dall’ondata punk, l’industrial inizia a sollevare un interesse sempre più crescente.
Genesis è un personaggio curioso, con un’estrema apertura mentale alle diverse sfaccettature dell’arte e porta nel proprio DNA le lezioni di numerosi artisti musicali, spesso
provenienti dalla scena elettronica, ma non solo. Rolling Stones, William S. Burroughs,
John Cage, Brion Gysin, i corrieri cosmici, Charles Manson, Aleister Crowley, pensatori
maledetti e serial killer assortiti, i dadaisti, i Pink Floyd. Narra la leggenda che fu proprio
assistendo ad uno dei primi concerti dei Pink Floyd in cui i quattro costruivano dal vivo
una sedia con sega e martelli, che Genesis maturò il taglio letteralmente industriale della
propria estetica. Allo stesso tempo, probabilmente manca nei Throbbing Gristle la piena
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
conoscenza di riferimenti classici come Varese, Nono, Stockhausen, per certi versi precursori di molte soluzioni introdotte dal quartetto. È lo stesso Christopherson a raccontare
meglio questo aspetto: ‘Una domanda che mi segue come un’ombra quando si inizia a parlare
dei Throbbing Gristle è: cosa ha ispirato l’inizio di questo progetto? Quasi nulla, a parte il sentimento intellettuale di voler fare quello che volevamo. Conoscevamo abbastanza bene la musica sperimentale e gruppi come i Velvet Underground o simili, ma quelli hanno solo dimostrato
che tutto era possibile: sono stati ispiratori d’intenti, piuttosto che di soggetti’.
Nel 1977 i Pink Floyd pubblicano ‘Animals’, uno degli album più oscuri del gruppo,
incentrato sulle alienazioni dell’uomo e sul pessimismo che permea la società contemporanea, descritta come un orwelliano coacervo di cani, maiali e pecore. Non è un caso che
nello stesso anno i Throbbing Gristle diano alle stampe il loro primo album ufficiale, ‘The
Second Annual Report’, con la loro neonata etichetta Industrial Records. Cosey guadagna qualcosa come fotomodella, Carter fa il camionista, Sleazy riesce a piazzare qualche
foto come freelance e Genesis è disoccupato: con queste magre finanze cercano di crearsi
quello spazio di indipendenza che permette loro di avere il controllo assoluto delle proprie
produzioni e che al tempo stesso consente di non entrare a contatto con quel business
così avulso dalle loro idee. Il nome dell’etichetta nasce da un confronto con il performer
americano Monte Cazazza, che aveva commentato la musica dei Throbbing Gristle definendola ‘musica industriale per gente industriale’. Secondo Genesis il termine rende perfettamente l’idea delle intenzioni del gruppo, e quindi usa l’aggettivo per tenere a battesimo la propria musica e l’etichetta. Il logo
dell’Industrial Records raffigura le sagome
in bianco e nero di alcuni edifici del campo
di concentramento di Auschwitz, mettendo
subito in guardia l’ascoltatore. Negli anni
la Industrial pubblicherà alcune opere di
Monte Cazazza, Clock DVA ed altri artisti
della prima ondata, oltre all’intero catalogo
dei Throbbing Gristle, rappresentando uno
straordinario archetipo di autoproduzione.
Christopherson è ancora più chiaro circa la
definizione data da Cazazza: ‘Per me industrial significa esattamente questo, un processo, una purezza della forma e della funzione,
musica progettata per essere utilizzata come
uno strumento’.
Gli elementi portanti del sound sono
il rumorismo e lo stravolgimento sintattico del suono: sirene, voci, presse meccaniche. Genesis orienta le proprie scelte tra lo
spoken word e il canto atonale, sgraziato e
disturbato. D’altra parte Carter e Sleazy co-
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
minciano a far pratica di strumenti
di manipolazione, iniziando a
‘Hamburger Lady’
sperimentare i primi approcci
Throbbing Gristle
atmosferici creati dal gruppo.
Qualcuno l’ha definita la canzone più terrificante mai
Cosey è più che una semscritta. Direttamente tratta da una composizione del mail
artist Al Ackerman, racconta l’allucinante esperienza dell’auplice performer ed il suo
tore durante la veglia in ospedale ad una donna uscita da un
apporto non si limita alle
incendio con la quasi totalità del corpo bruciato. Genesis e soci
mettono in musica l’abisso di dolore e angoscia vissuto dall’hamimmagini pornografiche
burger lady. Un fiume di rumore al calor bianco, tra spoken filtrati ed
che la ritraggono impeelettronica minimale, in cui i Throbbing Gristle distillano una lezione
di puro industrial e tessono la perfetta colonna sonora del grigio
gnata in gruppo o in sobaratro che separa la non vita dalla morte. Colpisce il freddo dilitario, ma intreccia le crestacco con cui la narrazione procede, come se nessuno dei quattro volesse condividere il minimo sentimento suscitato da una
scenti conoscenze tecniche
tale esperienza. In questo è racchiusa l’estetica del gruppo:
dei primi due per suggerire
osservazione, provocazione, sovversione e rifondazione.
idee, approcci, sensazioni,
partecipando in tutto e per
tutto alla fase creativa.
Con ‘D.o.A.: The Third And
Final Report’ (1978) e ‘20 Jazz Funk
Greats’ (1979), i Throbbing Gristle sviluppano ulteriormente il loro approccio al
suono, introducendo una scrittura più vicina ai
canoni della canzone. Soprattutto nel terzo album, si possono rintracciare pattern ritmici
e strumenti classici come tromba e violino, che rendono le composizioni più digeribili, anche in nome di una crescente familiarità dei componenti con tecniche di composizione e
strumenti musicali. Le performance di quegli anni, invero molto meno numerose rispetto
alle apparizioni dei COUM Transmissions, restano memorabili e continuano a scandalizzare, come pure le foto del gruppo o le immagini che i quattro allegano agli album. La
stessa apparentemente innocua copertina di ‘20 Jazz Funk Greats’ ritrae i quattro a Beachy
Head, costa sud dell’Inghilterra, vicino a Eastbourne (East Sussex), uno dei luoghi in cui
si concentrano il maggior numero di suicidi al mondo. Genesis e compagni si presentano
spesso travestiti da ufficiali nazisti, con le mostrine modificate su cui campeggia il logo del
gruppo. Lo stesso pallino di Genesis per l’occultismo, il satanismo e l’esoterismo - che troverà piena esaltazione nei successivi Psychic TV - darà vita a testi oscuri e incomprensibili
che non faranno che alimentare la convinzione di come questo stranissimo soggetto nutra
una sinistra affascinazione per serial killer e occultisti vari. Alla base di tutto resta però
una visione profondamente nichilista ed immanentista, per cui ogni pulsione religiosa o
moralistica dell’uomo è relegata a pura masturbazione metafisica, in contrapposizione con
l’esaltazione della fisicità in tutte le sue manifestazioni più estreme.
I Throbbing Gristle si mettono in prima linea nel tentativo di rovesciamento degli
schemi della cultura popolare e di massa. Fil dei Bruital Orgasme tratteggia le finalità di
Genesis con grande lucidità: ‘Persone come Genesis P-Orridge erano consapevoli che il punk
non sarebbe mai stata la scelta giusta, se si voleva uscire dalla strada della classica musica
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INDUSTRIAL INTRODUCTION
occidentale o dal rock’n’roll ed essere veramente diversi! Provare a suonare anche solo qualche
accordo avrebbe significato nuovamente cadere nello stesso luogo comune! Così hanno cercato
nuove combinazioni di suoni, collage, nuove tecniche di registrazione. Il riciclaggio è una parte importante. Alcuni musicisti hanno preso i suoni delle fabbriche e li hanno riversati nella
loro musica, o si sono costruiti da soli strumenti industriali come le percussioni, interamente
ricavate da vecchi macchinari. Quando si passa all’interno di una fabbrica, si è circondati da
migliaia di loop di rumore, alcuni ricreano dei beat, ci sono tubi che fischiano, e tutti insieme
suonano come se qualcuno stesse veramente facendo musica all’interno della fabbrica!’.
La musica va rivista. Il modo migliore è di riprendere quanto la società vuol far dimenticare all’uomo moderno e riproporlo senza falsi pudori lavorando nella direzione di un
auspicato risveglio delle coscienze. Ecco il perché del ricorso all’immaginario nazista, la
rievocazione dei campi di concentramento, l’elegia dello Zyklon B. Tutto nei Throbbing
Gristle richiama ad un manifesto programmatico, ad una missione, ad un tentativo di
strisciare nell’interstizio tra ragione e inconscio. DDV di Club Moral sintetizza bene i
meriti della formazione di Genesis: ‘Forse il merito principale dei Throbbing Gristle fu quello
di introdurre il suono industrial e noise nella musica popolare, proponendolo ai giovani nel
panorama musicale del momento. Ma lo stesso era stato fatto in un modo molto più estremo,
e molto tempo prima, dai futuristi come Marinetti e Russolo, e in seguito dai poeti della beat
generation come Burroughs, Ginsberg e Gysin, e ancora più tardi da tutto il movimento Fluxus
che ha fatto della distorsione di musica e strumenti musicali un principio. Per me l’aspetto della
musica indotta industrialmente, o della registrazione di suoni di origine non musicale introdotti in musica, sono componenti necessarie della scena industrial noise. La musica che presenta
una drum machine o un sintetizzatore per la riproduzione di un classico quattro quarti con
batteria, basso e chitarra è solo una derivazione del rock’n’roll e non musica industrial’.
Monte Cazazza, nativo di San Francisco, cresce come performer nella scena underground della West Coast. A scuola si distingue per il carattere schivo e solitario; l’educazione in un istituto cattolico non fa che alimentare la sua repulsione per l’autorità e le
regole. Due sono gli episodi che lo rendono famoso al college di Oakland: la sua prima
installazione artistica è una cascata di cemento che blocca permanentemente l’ingresso
e mette in pericolo la stabilità strutturale dell’edificio. È immediatamente espulso. Il secondo episodio è ancora più grottesco e singolare: solo alcuni mesi prima della cascata di
cemento era stato arrestato per contrabbando di sigarette. Peccato che lui non fumasse.
I riferimenti culturali di quegli anni sono il dadaismo, la scena noise, la no wave e
forme espressive come la mail art, dove messaggio e mezzo costituiscono le componenti
inscindibili di una rete di scambi di corrispondenza tra artisti. Cazazza si vede nei panni
di novello guerrigliero controculturale e fa tutto quanto in suo possesso per scandalizzare. Le sue performance molto spesso richiamano l’intervento delle autorità, mentre
la musica è un semplice pretesto per proseguire il discorso su un altro piano. Cazazza
non ha alcun tipo di conoscenza teorica del pentagramma, né una minima inclinazione
musicale, e l’industrial gli deve sembrare una manna: nessuna regola, sostituzione degli
strumenti classici con materiale industriale di scarto e nastri sovraincisi, testi deliranti
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all’insegna della massima libertà. Agli esordi, pubblica su un giornale un elenco di
materiale che sta ricercando per le proprie performance musicali e artistiche: ‘Se avete qualsiasi esperienza personale o siete in possesso o a conoscenza di audio cassette,
filmati, video, foto, presentazioni, documenti, manuali o manufatti concernenti autodifesa, magia, fenomeni paranormali, sogni, pornografia, tecniche di sopravvivenza,
armi, ipnosi, assassinii e sacrifici umani, religione e culti, terrorismo, strumentazioni
elettroniche, esperimenti su uomini e animali, disastri ambientali, mutazioni mediche,
metodi di controllo subliminali e psicologici, armi chimiche tedesche, l’LP ‘La Lingua
dei Lupi’, sarei interessato a riceverli. Garantisco un ottimo uso. Per le prossime esibizioni cerco urgentemente nastri di bambini, animali selvaggi, manifestazioni ambientaliste e comportamenti sessuali espliciti’. Quando Genesis e Cosey vedono la copertina
del primo numero della rivista Vile, in cui un Monte Cazazza insanguinato impugna
orgoglioso un cuore mostrandolo al fotografo, restano folgorati. Lo invitano a Londra
per registrare i primi singoli, ‘To Mom On Mother’s Day’, ‘Plastic Surgery’, ‘Busted
Kneecaps’, ‘Fistfuckers of America’ e ‘Hate’, tutti datati 1979. Nell’occasione Cazazza
sente cosa sono in grado di fare i Throbbing Gristle e li etichetta con la frase che darà
il nome ad un genere.
Tra la fine del ’70 e i primi anni ’80 collabora con Factrix e Mark Pauline, affinando una minima tecnica musicale. ‘California Babylon’ (1982) e ‘The Worst Of Monte
Cazazza’ (1992) raccolgono gli esperimenti di quegli anni, decisamente ingenui e poveri di idee, dove la voce sgraziata di Cazazza si
contorna di loop ossessivi, rubati a suoni
e rumori della strada, nemmeno troppo elaborati. Quello che conta è
l’attitudine sgraziata e primitiva che sta plasmando un
‘Psychiatric Review’
Monte Cazazza
nuovo modo di concepire
la composizione e che
In molti sostengono che Monte Cazazza sia passato
alla storia del genere industrial per averne coniato la denon discrimina nessuno
nominazione e non per il valore delle produzioni. L’ingenuità
dall’approcciarsi ad un
e la scarsa originalità di gran parte della sua discografia sono
oscurate dalla costante ricerca di comunicare oltre i canoni delbanco mixer.
la convivenza civile. I termini provocazione e limite hanno raggiunto
Cazazza si specializnuovi significati, oltrepassando molto spesso il confine del pudore, del
vietato, ed anche del buon senso. Tutto ciò che poteva essere fatto,
za nella performance
Cazazza l’ha sperimentato: deviazioni sessuali, pulsioni inconfessabili,
estrema, con il chiaro
istinti mascochistici, slanci sadici, dolore autoinflitto, scarnificazione
del corpo. E in tutto questo la musica è rimasta una delle tante forme
obiettivo di procurare
espressive, non certo la sola. Allora ben venga questo ‘Psychiatric
al
pubblico il massimo
Review’ in cui Cazazza chiede al proprio psichiatra di recensire la
raccolta delle sue migliori opere, e lui ricorre a definizioni come
shock possibile. È im‘cacofonia’ o ‘incomprensibile rumore’. Nessuno resta impossibile tenere il conpressionato più di tanto, ma l’idea in sé non è male e
forse vale più di tanti altri pezzi del folle di San
to delle convenzioni che
Francisco.
rompe: una volta fabbrica
una svastica in metallo di
dieci metri, un’altra si presenta
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ad un rinfresco con arsenico, animali morti e mattoni che riportano sopra la scritta
‘dada’; visita abitualmente gli amici con un gatto sotto formalina, nei club si dedica alla
scarnificazione ed all’automutilazione, è dichiaratamente dedito alla coprofagia ed alla
necrofilia, tra i piaceri che predilige c’è l’infilzarsi con uncini da pesca legati a corde e
farsi così sollevare da terra. Tra i primi sperimentatori del piercing, sceglie il proprio
pene come luogo eletto alla novità, rischiando la mutilazione permanente. Dal punto di
vista religioso e morale, il rigetto per ogni credo, dogma o regola è radicale: bestemmia,
blasmefia e anticristianità sono all’ordine del giorno. Sul suo collo è tatuato il numero
13 che simboleggia per sua ammissione quel tredicesimo apostolo senza il quale non
sarebbe nata quella che definisce ‘la menzogna cristiana’.
Anche la dimensione dello scherzo è una delle più congeniali a Cazazza: in una serie di
macabre candid camera, si diverte a lanciare giù dalle finestre manichini con legato al collo
un registratore che trasmette urla, abbandona carrozzine vuote agli angoli della strada ed
anche qui l’immancabile registratore trasmette il pianto di un bambino. Si fa filmare su
una sedia elettrica per protestare contro un’esecuzione capitale e le istantanee fanno il giro
del mondo: in Cina vengono pubblicate al posto di quelle di un’esecuzione vera.
Negli Stati Uniti opera anche John Duncan, nativo del Kansas da genitori inglesi ed
educato secondo la rigida regola calvinista, uno dei maggiori ispiratori di molti artisti
industrial. Performer, pittore, compositore e regista, Duncan lavora tra Los Angeles, Tokio, Amsterdam e Bologna, intrecciando la propria strada con Throbbing Gristle, Masami Akita, Hiroshi Hasegawa ed ispirando un’intera scena noise, Marco Corbelli in testa.
La sue opere sono incentrate su un’incessante ricerca esistenziale, condotta tramite un
costante scandaglio dei sentimenti umani più istintivi e violenti come stupore (‘Scare’,
in cui spara a bruciapelo con una pistola a salve a due ignari spettaori), pulsioni (‘Bus
Ride’, dove diffonde in un autobus un profumo che stimola gli istinti sessuali), depravazioni (‘Blind Date’, in cui ha un rapporto sessuale con un cadavere e in seguito si fa
praticare una vasectomia) e deviazioni sessuali (‘Happy Homes’, in cui descrive gli abusi
sessuali su minori di cui era stato testimone quando lavorava come autista di scuolabus).
Maestro della shock tactic, Duncan ha saputo fondere musica, visual e installazioni in
performance coinvolgenti e spettacolari (memorabile ‘Stress Chamber’, sorta di camera
di tortura a base di fortissime vibrazioni a cui è sottoposto l’ascoltatore) che saranno di
enorme influenza per lo sviluppo futuro di un’intera scena.
A poche miglia di distanza da Genesis e soci, invece, un altro gruppo contribuisce alla
stesura del primo capitolo dell’epopea industrial. Nati a Sheffield nel 1973, i Cabaret
Voltaire prendono il nome dal locale di Zurigo in cui era nato il movimento dadaista.
Gli iniziatori di questo nuovo esperimento culturale sono il chitarrista Richard Harold
Kirk, il percussionista Stephen Mallinder e Chris Watson, polistrumentista con il pallino della manipolazione del suono, che dopo il terzo album lascerà il gruppo. I Cabaret Voltaire hanno radici culturali molto simili a quelle dei Throbbing Gristle: a Kirk,
Watson e Mallinder girano per la testa i corrieri cosmici, Kraftwerk, Tangerine Dre-
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am, la psichedelia di Pink Floyd e Syd Barret, il
punk e i primi sperimentatori di sintetizzatori
Theremin e Moog. Caratteristica peculiare
‘Nag Nag Nag’
del loro modo di approcciare la musica
Cabaret Voltaire
consiste nel riuscire a tirare fuori dagli
Kirk ricorda come sia nata quasi per scherstrumenti una gamma di suoni difficizo, riprendendo il noise come forma di sfogo alla
noia. Ma ‘Nag Nag Nag’ è ben presto diventata
le da immaginare. L’obiettivo, descriqualcosa di più di una semplice divagazione. Non è
vere la società malata in cui vivono, è
solo catarsi rumorosa dal grigiore dell’abitudine quotidiana, non è solo reazione ironica e rabbiosa alle
lo stesso del gruppo di Orridge, ma
convenzioni sclerotizzate. Questo storico brano è un
il modo in cui ci arrivano è complemanifesto di una generazione, ricolmo di una carica dance aggressiva ed iconoclasta fino ad allora
tamente differente, anche perché i tre
sconosciuta al duo newyorkese. Non è solo
hanno una seppur minima esperienza
voglia di noise, ma anche necessità di volumi alti e frequenze sature. È sopratmusicale, il che vuol dire che sanno aptutto bisogno di prendere la vita
procciare strumenti e partiture secondo il
con humor.
modo per cui sono stati concepiti. Pur con
risultati al limite del dilettantesco, i primi vagiti
sono nastri registrati alla meno peggio in cui i tre
riversano manipolazioni elettroniche, voci filtrate e ritmi meccanici. La consapevolezza
dei propri mezzi è forte, mentre la curiosità di spingersi fuori dagli schemi è decisamente genuina, autentica. Proprio il venire meno di quest’ultima sarà il primo segnale di
decadimento del gruppo.
Nel 1978 i Cabaret Voltaire entrano nel roster della Rough Trade Records ed iniziano a crearsi un proprio circuito di fan, attratti da quel modo dissacratorio di usare
tastiere e chitarre. Dopo il fortunato singolo del 1979 ‘Nag Nag Nag’, ‘Mix Up’ (1979)
e ‘Red Mecca’ (1981) lanciano la formazione di Sheffield in classifica e nei club, complice l’ottima attitudine live dei tre. I suoni sono più curati rispetto alle autoproduzioni ed assommano molti elementi di novità. L’elettronica dei Kraftwerk è passata al
setaccio, scomposta e pazientemente riassemblata, mentre le ritmiche artificiali
sono lasciate in gestione a rhythm box
e ad un basso ovviamente irriconoscibile. La voce subisce lo stesso trattamento,
mentre le chitarre ricoprono un ruolo di
secondo piano, affrancate solo negli episodi più rock e funk. Il tutto è permeato
da un’atmosfera raggelante e oscura.
Sheffield dà i natali anche ai Clock
DVA, altro pilastro della nascente scena
industriale. Adi Newton è un polistrumentista di Sheffield che si destreggia
con dimestichezza tra chitarra, pianofor24
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te, clarinetto e che affonda la propria formazione al di fuori della nascente controcultura
industriale: ‘Le primissime registrazioni dei Clock DVA, tra 1977 e 1979, offrono lo spaccato di un suono mai sentito in precedenza. Io lo considero un periodo molto importante in
quanto mostra il reale sviluppo e fondamento dei Clock DVA, mentre in molti pensano che i
Clock DVA siano emersi dall’industrial solo con ‘White Souls In Black Suits’. Ma non è così.
Il suono dei Clock DVA nel periodo precedente a quell’album è stato fortemente elettronico’.
Dopo aver lavorato con i Cabaret Voltaire al progetto The Studs, Newton fonda i The
Future con Martyn Ware e Ian Craig Marsh (futuri Human League). È lo stesso Newton a ricordare quell’esperienza: ‘Abbiamo sviluppato un sistema di scrittura democratico,
chiamato C.A.R.L.O.S. (cyclic and random lyric organisation system), una sorta di sistema
di permutazione della parola assimilabile a tecniche analoghe a quelle sviluppate da Brion
Gysin e William Burroughs. Grazie a questa tecnica, basata su un regime vocale ciclico,
abbiamo anche superato la convenzione di un cantante solista. Il concetto principale era lo
sviluppo di un gruppo musicale totalmente elettronico, fondato sul vuoto di strumenti tradizionali e senza l’egocentrismo delle singole personalità.
I The Future però finirono prima ancora di cominciare,
per due ragioni diverse da quelle riportate sul sito della Blind Youth Human League. In quel momento non
possedevo un sintetizzatore e utilizzavo solo una vasta
gamma di registratori a nastro e dispositivi per il trattamento di loop. Questo tipo di composizione atmosferica
d’avanguardia, ai confini con la musique concrète, era
troppo radicale e non-musicale per essere incorporata
all’interno di ciò che Martin prevedeva dovesse diventare un gruppo di musica più accessibile. Il secondo fattore è che nessun gruppo può sostenere due leader o due
visioni individuali che incorporano un’estetica diversa’.
Nel 1977 Newton esce dai The Future e decide di
intraprendere un percorso più ostico insieme a Stephen James ‘Judd’ Turner: nascono i Clock DVA. Il substrato di riferimento è la stessa
Inghilterra post bellica che sta passando attraverso la massiccia industrializzazione da
cui nascono il punk, l’heavy metal e l’industrial. Ma a differenza dei gruppi di Kirk
e Orridge, Newton organizza una vera formazione rock, con il percussionista Charlie Collins e il chitarrista David Hamond a completare l’organico. Newton è uno dei
personaggi più intelligenti e sfuggenti della scena, con un indiscutibile cultura classica
ed una predilezione per le correnti dadaiste e futuriste. Già dalle prime composizioni
traspaiono le forti influenze che la dodecafonia di Stockhausen, la poliritmia di Berio o
l’atonalismo hanno sugli schematismi armonici di Newton, che precisa: ‘Le mie ispirazioni erano per la maggior parte influenzate dai movimenti artistici europei e americani, in
particolare quelli tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. Dai movimenti che hanno dato
origine a futuristi, dadaisti, surrealisti, espressionisti, alle fasi sperimentali dell’arte americana e all’avvento dei primi pionieri della musica elettronica come Harry Partch, John Cage,
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Morton Feldman, Earle Brown, Morton Subotnik, Pauline Olivedos. Direi che pure il ruolo
del cinema e l’ispirazione cinematografica hanno esercitato su di me una grande influenza’.
Lo stesso nome del gruppo è preso dal fortunato e discusso romanzo di Anthony Burgess ‘Arancia Meccanica’. Newton ha ben chiare le influenze nefaste che modernità e progresso possono avere sull’uomo non in grado di controllarne le derive, e le prime cassette
del gruppo circolano nel sottobosco di Sheffield ripetendo lo stesso messaggio di Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire. Riguardo ai primi contatti con il resto della scena, Newton rammenta: ‘La cosiddetta musica industrial emerse in modo indipendente, conoscemmo
i Throbbing Gristle solo qualche tempo dopo aver iniziato il nostro lavoro. Non credo ci fosse
un tentativo consapevole di creare un movimento, né noi stessi abbiamo mai considerato di
far parte di un movimento, ma il movimento si è creato da solo. Steven Turner ed io stavamo
lavorando su tecniche sperimentali e composizioni con una base di sintesi elettronica durante
il periodo tra la fine del 1977 e l’inizio del 1978, ed è sempre in questo periodo che abbiamo
iniziato a registrare molti dei nostri lavori. In una lettera dell’11 settembre 1979, Genesis POrridge mi avvisava di uno spettacolo presso la Galleria ACME in Covent Garden. In quello
stesso anno sono andato a trovare Genesis e gli altri Throbbing Gristle. Siamo usciti insieme ed
abbiamo parlato del concept che ruotava intorno al progetto di un film, ‘Genosis And Genitals’,
guardando alcune riprese in 8mm fatte da Genesis’1.
Newton ricorda quel periodo con riferimento particolare a tutto ciò che girava intorno alla sua città: ‘Nel 1977, Sheffield era un deserto culturale. All’interno del centro della
città, non lontano dalla celebre West St., sorgeva il Victorian Former Education Building,
edificio in parte occupato dal progetto anarchico di arte teatrale noto come Meatwhistle.
Colmava un vuoto, ispirando e dando supporto e guida ai molti che vi passavano il loro
tempo. Non avevo alcun preconcetto nel voler far parte di un qualsiasi tipo di scena. Il fatto
è che l’ambiente musicale offriva davvero poco, sia in termini di locali che di gruppi. Da
questa situazione nacque il desiderio di creare la nostra musica e una cultura propria. Non
mi sono mai considerato un musicista, sono sempre rimasto uno sperimentatore. Ho unito
le forze con Paul Bower per curare e produrre la fanzine new wave ‘Gun Rubber’, stampata
a mano sulle vecchie macchine termiche per duplicazione Xerox e distribuita da noi stessi.
Ha funzionato per vari aspetti, e vanta probabilmente una delle prime interviste ai Cabaret
Voltaire, il nostro tentativo per cercare di illuminare e informare i giovani di Sheffield dei
demoni ribelli che stavano emergendo. Meatwhistle non era una risorsa materiale, quanto
piuttosto uno spazio mentale in cui concetti e idee avevano il pieno controllo e potevano essere
costantemente sperimentati’2.
Nel 1980 esce per l’Industrial Records l’album d’esordio ‘White Souls In Black Suits’,
ed è subito chiaro a tutti che i Clock DVA hanno trovato una terza via all’industrializzazione della musica. Con il supporto dei session Roger Quail, Charlie Collins e David
Hammond, Newton e Turner scrivono uno degli episodi migliori della loro discografia.
‘Anticharge’, ‘Consent’ e ‘Contradict’ sono alcune delle gemme che compongono uno
degli album alla radice del movimento e descrivono l’estetica che sottende alle composizioni di Newton meglio di qualunque recensione. I Clock DVA non perseguono
lo smantellamento della forma classica della struttura canzone tramite un approccio
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nichilista e selvaggio allo strumento musicale. Come gruppo canonico a tutti gli effetti,
riescono invece a padroneggiare perfettamente ogni intuizione melodica e ritmica e a
trasformarla a piacere in qualcosa di nuovo, secondo la loro ideologia. In alcune parti,
le improvvisazioni jazz si fondono a suite atmosferiche, in altre il classico quattro quarti
rock viene deturpato da chitarre scordate e voci sussurrate, altrove è possibile perdersi
in sognanti divagazioni psichedeliche impiantate su abrasive partiture di tastiera. Ed il
clarinetto di Newton cesella alcune delle melodie più paurose mai sentite su pezzi rock.
THROBBING GRISTLE
Nella Londra del 1975, dalle ceneri dei performer COUM Transmissions, nascono i Throbbing
Gristle, la formazione che tiene a battesimo il genere industrial. I quattro cavalieri di questa nuova
apocalisse rispondono ai nomi di Neil Andrew Megson (Genesis P-Orridge), Christine Newby (Cosey
Fanni Tutti), Peter Martin Christopherson (Sleazy) e Chris Carter. La teoria musicale è uno tra i
vari bersagli colpiti e affondati dall’estetica iconoclasta dei Throbbing Gristle: gli altri rispondono
al nome di convenzioni sociali, musica popolare, famiglia, pudore, strumenti tradizionali.
P-Orridge è il principale ispiratore delle costruzioni del gruppo, e la sua figura è tra le più temute e
ammirate tra i giovani della scena post punk inglese. Guru visionario, profeta underground, artista
dell’avanguardia preindustriale, mercificatore del prorpio corpo al servizio della rappresentazione,
personalità schizofrenica e geniale: tutto questo e molto di più per tratteggiare un artista che
fa discutere di sè pur senza possedere reali talenti musicali, compositivi, letterali. Anche questo
risponde perfettamente al concetto anti-identitario di musica industriale. I Throbbing Gristle
riprendono la lezione dei COUM Transmissions perfezionandola nella direzione musicale, ordendo
un vero e proprio manifesto programmatico che tramite la destrutturazione di ogni convenzione
mira a proporre un’alternativa all’establishment culturale dell’epoca. I salotti buoni della Londra di
metà anni ’70 ammirano con distaccata curiosità quei quattro personaggi che tanto si distanziano
dal punk, ma che al tempo stesso non ne sono secondi quanto a provocazione e ribellione. Cosey
Fanni Tutti sdogana il porno nelle gallerie dove i Throbbing Gristle propongono installazioni a
metà tra la performance art e lo show musicale. Sleazy è il teorico della lotta contro la musica
popolare, sperimentatore di suoni e strumenti, compositore anticonvenzionale e anima quieta
del gruppo. Carter è il bilanciamento tra gli estremismi di P-Orridge. L’Industrial Records fondata
dal quartetto è la prima label di settore, e nel giro di pochi anni tiene a battesimo i principali
artisti della scena. Mail art, performance estreme, estetica nazifascista sono solo alcune delle
caratteristiche da esportazione che compongono la proposta dei Throbbing Gristle. I quattro
sperimentano con ogni tipo di suono, impiegano strumenti classici stravolgendone l’utilizzo,
inventano nuove risorse musicali a proprio piacere, sconfinando nel concretismo, ma tenendosi
ben distanti dall’afflato avanguardista. Nelle loro prime composizioni si rinvengono le tracce di
ciò che in futuro diventeranno power noise e dark ambient. Quella composta da ‘The Second
Annual Report’ (1977), ‘D.o.A: The Third and Final Report’ (1978) e ‘20 Jazz Funk Greats’ (1979)
è la formidabile tripletta che iscrive il nome della band londinese nella storia della musica moderna
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generando un movimento e centinaia di epigoni. I Throbbing Gristle hanno raggiunto il loro scopo
e i quattro decidono di comune accordo di separarsi. Le filiazioni del quartetto proseguono a
scrivere pagine fondamentali della scena: Coil, Psychic TV, Chris & Cosey. Poi nel 2007 il ritorno
con ‘Part Two: The Endless Not’, seguito nel 2009 da un memorabile reunion tour. Il 24 novembre
2010 Christopherson muore all’età di 55 anni, spezzando per sempre il sodalizio del gruppo che
ha creato un genere.
Discografia essenziale:
- ‘The Second Annual Report’ (1977)
- ‘D.o.A: The Third And Final Report’ (1978)
- ‘Part Two: The Endless Not’ (2007)
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