15 aprile lunedì XXXI RASSEGNA DI NUOVA MUSICA Plaza (2002) per quattro trombe prima esecuzione italiana Orchestra Filarmonica Marchigiana Yoichi Sugiyama, direttore Vanishing Places (2007) per dodici archi prima esecuzione italiana Orchestra Filarmonica Marchigiana Yoichi Sugiyama, direttore Geografia amorosa (1994) versione per contrabbasso e live electronics Giacomo Piermatti, contrabbasso Lucida sidera (2004) Alea, quartetto di sassofoni 16 aprile martedì Presentazione del CD Reinventions ECM trascrizioni per quartetto d’archi di Stefano Scodanibbio Johann Sebastian Bach Contrapunctus V (2009) dall’Arte della Fuga Francisco Tárrega Lágrima Miguel Llobet El testament d’Amèlia Dionisio Aguado Andante dai Quattro Pezzi Spagnoli (2009) 17 aprile mercoledì Labore navigacionis (2007/2011) versione per pianoforte solo di Fausto Bongelli prima esecuzione assoluta Fausto Bongelli, pianoforte Ottetto (2010/2011) per otto contrabbassi (opera commissionata dalla Rassegna di Nuova Musica, dalla Biennale Musica di Venezia e dal Festival Internazionale AngelicA di Bologna) Ludus Gravis, contrabbassi Tonino Battista, direttore Oltracuidansa (lettera rispedita al mittente) installazione di Rodrigo García nei giorni della Rassegna, 15, 16 e 17 aprile, Spazio Mirionima di Piazza della Libertà dalle ore 18,00 alle ore 21,00 José Alfredo Jiménez Cuando sale la luna Consuelo Velázquez Bésame mucho Germán Bilbao Sandunga dal Canzoniere messicano (2004/2009) Quartetto Prometeo 12 maggio domenica Ritorno a Cartagena (2001) per flauto basso Manuel Zurria, flauto Virgilio Sieni, danzatore In D (2010) versione di Stefano Scodanibbio di In C (1964) di Terry Riley Ludus Gravis, contrabbassi D’improvviso in una notte di maggio (1980) prima esecuzione italiana Manuel Zurria, flauto Raga Malkauns Terry Riley, pianoforte Ludus Gravis, contrabbassi Voyage resumed (2005) per flauto e nastro Manuel Zurria, flauto Virgilio Sieni, danzatore Cartolina per Stefano (2013) prima esecuzione assoluta Terry Riley, pianoforte Stefano Scodanibbio Foto di Alfredo Tabocchini Contrabbassista e compositore (Macerata, Italia, 18.6.1956 / Cuernavaca, Mexico, 8.01.2012), ha studiato contrabbasso con Fernando Grillo, composizione con Fausto Razzi e Salvatore Sciarrino, musica elettronica con Walter Branchi, storia della musica con Michelangelo Zurletti. Il suo nome è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni ‘80 e ‘90, ha infatti suonato nei maggiori festival di musica contemporanea numerosi pezzi scritti appositamente per lui da compositori quali Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis. Nel 1987, a Roma, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori. Ha collaborato a lungo con Luigi Nono (“arco mobile à la Stefano Scodanibbio” è scritto nella partitura del Prometeo) e Giacinto Scelsi. John Cage, in una delle sue ultime interviste, ha detto di lui: “Stefano Scodanibbio is amazing, I haven’t heard better double bass playing than Scodanibbio’s. I was just amazed. And I think everyone who heard him was amazed. He is really extraordinary. His performance was absolutely magic”. Ha suonato regolarmente in duo con Rohan de Saram e Markus Stockhausen. Nel 1996 è stato insegnante di contrabbasso ai Darmstadt Ferienkurse, inoltre ha impartito Master Class e Seminari in diversi luoghi: Rice University di Houston, Berkeley University, Stanford University, Oberlin College, Musikhochschule Stuttgart, Conservatoire de Paris, Conservatorio di Milano, ecc. Ha composto più di 50 lavori principalmente per strumenti ad arco (Sei Studi per contrabbasso solo, Six Duos per tutte le combinazioni dei quattro archi, Concertale per contrabbasso, archi e percussioni, 4 Quartetti, Ottetto per otto contrabbassi, ecc.) e per quattro volte le sue composizioni sono state selezionate dalla SIMC, Società Internazionale di Musica Contemporanea (Oslo 1990, Città del Messico 1993, Hong Kong 2002, Stoccarda 2006). Nel giugno 2004 ha interpretato la prima esecuzione della Sequenza XIVb di Luciano Berio, una propria versione per contrabbasso dall’originale Sequenza XIV per violoncello. Attivo nella Danza e nel Teatro ha lavorato con coreografi e danzatori come Virgilio Sieni, Hervé Diasnas e Patricia Kuypers e con il regista Rodrigo García. Il suo lavoro di Teatro Musicale Il cielo sulla terra, con le scene di Gianni Dessì e la drammaturgia di Giorgio Agamben, è stata eseguito a Stoccarda nel giugno 2006, replicato a Tolentino nel luglio dello stesso anno e a Città del Messico nell’agosto del 2008. Ha registrato per Montaigne Auvidis, col legno, Mode, New Albion, Dischi di Angelica, Ricordi, Stradivarius, Wergo, ECM. Di particolare rilievo le sue collaborazioni con Terry Riley e con Edoardo Sanguineti. Nel 1983 ha fondato e diretto per trent’anni la Rassegna di Nuova Musica di Macerata. Idiomi, viaggi, strumenti musicali Foto di Maresa Scodanibbio Nel corso di quasi 25 anni dedicati all’interpretazione della letteratura contrabbassistica contemporanea ho avuto periodi vuoti, che ho speso abitando l’altro demone della musica, la composizione. Non un atto quotidiano, un lavoro, un métier. Piuttosto, come in Debord, la scrittura come cosa rara, estremo distillato di variegate esperienze. Porzioni di tempo trascorse, spesso in terre lontane, a scrivere musica liberamente, senza costrizioni o affanni, scadenze, commissioni, tendenze festivaliere, imposizioni di organici, estetica, durata, ecc. I miei pezzi sono stati scritti così, con carta e matita e schönberghiana gomma, sempre con uno strumento (generalmente ad arco) appresso, e senza la preoccupazione, anche materiale, di dover emergere come compositore, avendo appunto l’altro mestiere come possibilità di sostentamento. Questo passaggio continuo dallo strumento alla carta, dalla casacca all’abito, questo intrecciarsi di costumi è stato non solo una prassi ma anche l’elemento decisivo della mia musica. Una bio-grafia sentita come unica forma d’esistenza e di creazione. La convinzione, con Novalis, di vivere in un colossale romanzo. Mi sorreggevano la scuola strumentale barocca italiana (oh, les beaux jours…quando tutti erano naturalmente compositori ed esecutori), l’arte dell’improvvisazione in alcune delle sue variegate forme (dalla musica indiana alla stockhauseniana musica intuitiva), le esperienze con gli autori che avevo eseguito e studiato e con cui avevo modo di collaborare (quanti insegnamenti da Gigi, Giacinto, Fernando, Salvo, Iannis, Julio, Franco, Sylvano, Brian, Helmut, Terry, Vinko, Karlheinz, Luciano…), le letture più disparate e disperate (che si riflettono anche nelle suggestioni di alcuni titoli: Dos abismos da Rapsodia para el mulo di Lezama Lima, Only connect da Arbasino (benché venga da Forster, è divenuto una sorta di slogan o Leitmotiv in Fratelli d’Italia), Delle più alte torri da Rimbaud (Chanson de la plus haute tour), Quando le montagne si colorano di rosa e My new address da Vittorio Reta (Visas, naturalmente, l’espressione poetica più autentica della mia generazione). Da un lato un rapporto estremamente fisico e manuale, dall’altro lo sconfinamento fantasioso in territori inesplorati. Perché è solo il nuovo a dare senso all’opera(re). La ricerca del nuovo è, per me, la condizione del fare. Con il rischio, l’azzardo e il caso che ogni abbandono di terre note comporta. Spregiudicato e avventuroso tutto si svolge molto liberamente e anche un po’ libertinamente: tabelline e tabulature, simmetrie e proporzioni auree, senza irrigidimenti conservatoriali e tentativi forzati di far quadrare ciò che è nato fuori dalla quadratura. Così, con gli anni, alcuni punti si sono venuti delineando: il primato dell’invenzione sulla tecnica (che c’è e ci deve essere, ma senza apparire), il rigetto delle formule e delle forme predeterminate, il non aver paura di liberare la tremenda forza dionisiaca che solo la musica possiede (molti compositori, si sa, hanno paura della musica), l’esibizione di uno strumento per quello che è senza nasconderlo dietro un leggio, ogni singolo pezzo sentito come assolutamente necessario… in sintesi la musica come capacità di immaginare altri mondi possibili senza appoggiarsi a modelli presi a prestito da altre discipline, alla tecnologia di una stagione, ai dettami accademici, al musically correct. Piuttosto guardarsi attorno, viaggiare, frequentare musei, assorbire, interiorizzare, non smettere mai di sperimentare. Come in un quadro di Rousseau: idiomi, viaggi, strumenti musicali. Stefano Scodanibbio Stoccarda, ottobre 2003 con Karlheinz Stockhausen Una volta, mentre parlavamo di Stefano con un amico che lo aveva visto e sentito suonare, l’amico esclamò: “non è musica, è magia”. L’affermazione era falsa e vera insieme. Falsa, se magia significa arbitrio e assenza di rigore; vera, se, come pensava Giordano Bruno, la magia è magia naturale, scienza e esperienza della materia. Gli antichi chiamavano la materia con un termine – hyle – che significa anche legno e foresta, e che i latini traducevano per questo con silva (la selva in cui Dante si perde – anzi, si “ritrova”– all’inizio della Commedia è questa materia primordiale). In questa selva, Stefano era di casa, vi entrava e ne usciva come in labirinto senza bisogno di filo. E “selva” non era per lui soltanto la materia lignea del suo contrabbasso, ma, più in generale, la materialità dei suoni. Un grande pensatore eretico del duecento, Davide di Dinant, fu condannato dalla Chiesa per aver affermato questa stupenda verità: Hyle sive mens sive deus: “la materia è la mente è dio”. Così recita il lucido teorema di Scodanibbio: nel punto in cui ci si cala fino in fondo – e non c’è in realtà fondo – nella materia dei suoni, allora scompare ogni differenza fra la materia, la mente e dio. Incipit musica. Giorgio Agamben con John Cage Stefano Scodanibbio è stato più di un grande musicista la cui opera strumentale e creativa ha aperto nuovi orizzonti alla composizione, al pensiero e al fare musicale del nostro tempo. Il suo esempio creativo di vivace esploratore del pensiero, brillante forgiatore e lottatore alla ricerca di un’arte liberata e liberatrice – al di là delle sue attività di magico interprete e lucido compositore – fu, per tutti noi che l’abbiamo conosciuto, elemento di stimolo ed entusiasmo e messaggero di felicità. Stefano era come un fratello per me: costantemente condividevamo conversazioni, scambiandoci riflessioni e pensieri. Come molti altri che gli vollero bene, cercai di essere presente, con la mia totale incapacità di aiuto, negli ultimi mesi della sua vita, nel suo inesorabilmente crudele procedere verso l’inesistenza. Furono tempi di difficili conversazioni telefoniche in cui potei comprendere ancor meglio la sua grande umanità, momenti che rimarranno in me per il resto della mia vita: la percezione quotidiana di una terribile realtà che muta la prospettiva – a volte paralizzando l’amore e la devozione all’arte altre, al contrario, risvegliandoli e rendendoli ancor più necessari – e che riguarda ciascuno di noi. Helmut Lachenmann “Stefano Scodanibbio is amazing, I haven’t heard better double bass playing than Scodanibbio’s. I was just amazed. And I think everyone who heard him was amazed. He is really extraordinary. His performance was absolutely magic”. John Cage “Stefano Scodanibbio ha eseguito spesso le mie composizioni per contrabbasso in vari Festival in Italia e all’estero sempre con successo e mia soddisfazione, date le sue doti di interprete virtuoso e di musicalità, evidenti entrambe nei suoi “Studi” ove la tecnica strumentale sembra invero trascendente, sorretta anche, però, da un brillante senso musicale.” Giacinto Scelsi La prima volta che ascoltai suonare Stefano, in privato nel 1980, percepii immediatamente la sua grandezza come musicista. Mi limito qui a ricordare la sua abilità nell’affrontare due mie composizioni yuunohui’nahui e miqi’nahual le cui inclemenze di scrittura, di tecniche e persino di concezione estetica gli costarono tanta fatica. All’inizio Stefano si manteneva su posizioni piuttosto critiche e scettiche senza però arrivare mai ad un atteggiamento negativo. Durante le nostre discussioni poteva irritarsi apertamente, poi però riusciva ad ottenere risultati ineguagliabili e a dominare quel materiale che all’inizio gli appariva impenetrabile. Allora sorrideva rasserenato e mi ricordava, scherzando, le frasi di altri interpreti “questo è ineseguibile” o “questo non lo suono nemmeno per sogno”. Ammiccando verso di me con fare complice, dondolava con la mano, quella della conquista, un’immaginaria coppa di champagne per brindare insieme. La ricerca musicale era una passione che portava Stefano a confrontarsi con piacere ed interesse con correnti e produzioni eterogenee e da buon interprete riconosceva la linfa che si può estrarre dalle partiture con una sapiente interpretazione. I suoi programmi della Rassegna di Nuova Musica di Macerata, eleganti ed acute tesi che raggiungono una summa artistica, sono anche la sua serena scommessa con quattro carte: capacità interpretativa, esplorazione strumentale, germinazione di voci ed esplorazione musicale della verità. Scodanibbio si staglia sia come compositore che come interprete: la sua accurata ossessione per realizzare nuove tecniche evolve fino a composizioni ogni volta più libere, dove ci disvela la musicalità di un raffinato ascolto. Con doppia intuizione, strumentale e creativa, si concentra, più che nella struttura musicale, nel modellare la materia e nel percepire scrupolosamente come suona, con l’intento di offrire un nuovo patrimonio all’ascolto. Scodanibbio canta la sua sapienza nei Sei Studi per contrabbasso, la sua scienza compositiva nei Six Duos per strumenti ad arco ed anche la sua cognizione percettiva in Voyage That Never Ends, dove fonde abilità e musicalità nella consapevolezza che l’audacia, rivoluzionaria, apre nuovi cammini. Amico molto vicino a tutta la mia famiglia, i suoi soggiorni nella nostra casa erano per tutti fonte di allegria. Aspettavamo ansiosi le sua visite durante le quali, insieme a Maresa, ci offrivano per giunta generose cene. Stefano salpava l’ancora e prendeva il comando del timone e delle vele della cucina – “Julio, mi raccomando non toccare nulla” – per rivelarci la bellezza della sua arte culinaria. Come in un’esecuzione strumentale, ogni momento del procedimento era critico e vicinissimo al rischio, la celebrazione delle sue pastasciutte consisteva nel succedersi di una serie di soluzioni che infallibilmente raggiungevano un’originalità rimasta proverbiale. Forse esperienza peggiore che affrontare la mia musica, negli ultimi giorni dovette rassegnarsi a sopportare il naufragio dei miei insipidi piatti: “sí, è buono” diceva con un sorriso stoico. Si presagiva il suo ultimo, tragico sguardo. Le sue ceneri riposano ai piedi del vecchio pompelmo, in fondo al nostro giardino prediletto, oggi suo: ogni giorno, dalla terrazza, mi chino con affetto verso il compagno complice, con ammirazione per la sua opera. Julio Estrada Ieri, primo aprile 2013, sono andato a provare alcuni movimenti con le musiche di Stefano Scodanibbio. Lo spazio nel quale mi esercitavo è quello a me prediletto in queste circostanze: una sala di 13X9, il pavimento chiaro, una bella luce pomeridiana che entra dalle finestre. Il corpo si piega al suono, veramente. Ogni parte, ogni possibilità articolare guarda all’opportunità di apertura verso una costellazione di gesti inediti. Il movimento, la danza, cerca in quegli istanti strade boschive, non facilmente intuibili o prevedibili: si sposta nell’aura che la selva concede alla luce. La questione che si pone sembra sempre la stessa di fronte al primo passo, al tentativo di slanciarsi nella dinamica inarrestabile che la danza richiede come percorso e pratica. con Iannis Xenakis Dunque il peso, nel suo ricordarci la ciclicità gravitazionale, cioè la possibilità che ci è data di salvare e cogliere la risonanza della caduta come dello slancio, invertendo come un gioco il punto di appoggio, ci tende verso l’ascolto di un prima e di un dopo, ci lascia fare nel medio della prima inerzia. La memoria di questa origine, ritorna sempre come memoria in ogni istante, e come tale ci proietta indietro, mentre a noi sembrerebbe in avanti: la danza apre al fuori del gesto ma paradossalmente diviene introspettiva nel rammentarci come siamo fatti e quale archeologia abitiamo. Con Stefano la questione che si pone è sempre il primo passo, la qualità del primo gesto. Quindi una natura che sposta il corpo nella momentaneità dell’origine dell’azione. In questo senso abbiamo iniziato a pensare di far camminare nuovamente un uomo. La stanza è la stessa del primo incontro con Stefano: quella luce, quel silenzio, quella densità; tesi verso il suono inaspettato e mendicante. Virgilio Sieni Stefano è stato uno dei più importanti compositori/interpreti del nostro tempo e uno dei più grandi innovatori del contrabbasso. Penso che capì la vera natura di questo strumento riuscendo così a far ascoltare la sua voce in maniera chiara e potente. Le sue composizioni Yoyage That Never Ends e Oltracuidansa non hanno paragoni per profondità e maestosità mistica e rivelano un’inventiva di suoni mai ascoltati prima di lui dal contrabbasso. Sono indiscutibilmente dei classici del XX e XXI secolo. Sono convinto che quando la sua vita è stata troncata da una devastante malattia, Stefano si trovasse all’apice delle sue capacità sia di interprete che di compositore e che ci abbia lasciato una splendida eredità. Ebbi l’opportunità di partecipare varie volte alla Rassegna di Nuova Musica di Macerata di cui Stefano era l’organizzatore ed il direttore artistico. La Rassegna rifletteva le sue vaste conoscenze musicali e presentava la produzione di molti grandi innovatori europei ed americani. Ogni anno c’era un tema e veniva presentato o un compositore o un nuovo gruppo musicale. La musica di Cage, Nono, Berio, Stockhausen, Glass e molti altri veniva generalmente rappresentata con una retrospettiva dell’autore che permetteva al pubblico di avere una visione piuttosto approfondita della sua produzione. Stefano, con modestia, quasi mai programmava la sua musica e solo saltuariamente partecipava come interprete, preferendo limitarsi al ruolo di direttore artistico. Con la sua scelta di esecuzioni di altissimo livello Stefano ha fatto della Rassegna uno dei festival più vitali di musica contemporanea. Dotato di un’intelligenza penetrante ed analitica e dell’animo di un mistico e di un poeta, ha creato alcune delle opere più profonde soprattutto per gli strumenti ad arco. Era capace di trasformare quella che io chiamo, scherzando, musica “rigida” – stiff music – in un esperienza intensamente umana, ponendosi così al di fuori delle accademie post moderne. È stato capace di attraversare il mondo della dodecafonia, quello del minimalismo e di altri linguaggi musicali sempre con grande talento. Durante le nostre collaborazioni contribuiva con la sua ampia visione musicale e poteva stupire con i suoi interventi di improvvisazione intuitiva. Suonare insieme a lui era fantastico, nella successione dei vari momenti nelle nostre improvvisazioni c’era sempre una sorta di “adeguatezza”; sempre la sensazione di trovarsi di fronte a due pensieri che emergevano con la stessa intenzione. Stefano era perfezionista in qualsiasi attività intraprendesse, compreso il dedicarsi alla cucina: era un cuoco magistrale con tocchi creativi, come l’uso di una grande varietà di peperoncini messicani nelle sue famose pastasciutte. Era un amico leale e devoto, ci sentivamo spesso al telefono o mi inviava cartoline dalle più remote località del mondo per condividere con me il piacere di quei viaggi. Alcuni di questi li facemmo insieme, suonando in duo in Europa, Stati Uniti e Messico. Ho già nostalgia di quei momenti quando, seduto in una camera di hotel attigua a quella di Stefano, udivo, attraverso il muro, il ruggire del contrabbasso su cui eseguiva alla perfezione brani di Scodanibbio, Berio, Stockhausen e mi mancherà non sollevare più la cornetta del telefono e ascoltare dall’altra parte del filo: “Ciao, Terry, sono Stefano”. Terry Riley fu un’assistente sociale, quasi quasi, per noi due (grassocciuccia, e un po’ [compressa, nel suo intimo elasticizzatissimo), quell’assistente di volo, quando ci fece tutte quelle sue smorfie ammirative (così talmente nostalgiche), celebrandoci il [pizzicotto latino: (e così, di necessità, ma lietamente, me la sono pizzicottata forte, io, prontamente): con un pollice e un indice, lo vedi bene, Stefano, ci stringiamo [tutto quello che può capitarci lì a tiro, a noi due: (culetti sottomano, note, parole): (e, it is obvious, qualunque picture card): (come questa, per voce e [contrabbasso): dicembre 1998 Cose (1996-2001) Edoardo Sanguineti con Edoardo Sanguineti Plaza Vanishing Places Plaza per quattro trombe è stato scritto nel 2002 ed è stato eseguito la prima volta a Enfield, New Hampshire, USA il 18 giugno 2009. Il brano si sviluppa da un motivo di quattro note: fa, do, si bemolle, mi. Il ritorno continuo dello stesso motivo iniziale, con le sue molteplici variazioni, con i suoi cambiamenti di prospettive armoniche e contrappuntistiche, caratterizza questa composizione. Tutta l’elaborazione è diretta verso uno stato finale: il climax, punto culminante del pezzo. Vanishing Places per dodici archi solisti è stato scritto tra il dicembre 2006 e il dicembre 2007 su commissione del Festival Ultraschall di Berlino. È stato eseguito la prima volta a Berlino il 18 gennaio 2008 dalla Rundfunk Sinfonieorchester Berlin sotto la direzione di Lucas Vis. Il pezzo di Stefano Scodanibbio è una versione per orchestra d’archi del IV Quartetto Mas lugares (su madrigali di Claudio Monteverdi) composto nel 2003. Scrive Scodanibbio: «L’idea di trascrizione (da... a) implica e contempla quella di adattamento (da... per) ma, in un contesto odierno, può anche abbracciare quella di reinvenzione (da... verso). Del resto già Berio, anni fa, parlava di diversi approcci, tutti necessariamente coesistenti, a un testo storicizzato. In questo caso i vari livelli obbediscono tutti, in primis, a un principio strumentale, nel senso che sono gli aspetti costitutivi degli stessi strumenti ad arco utilizzati a suggerire e fornire le differenti soluzioni timbriche, melodiche e armoniche. Si esplorano dunque diversi gradi di aderenza al testo con collegamenti che evidenziano l’aspetto di passeggiata, come tra quadri di un’esposizione». La struttura del brano è la seguente: introduzione-collegamento; madrigale Io mi son giovinetta; collegamento; madrigale Quel augellin, che canta; collegamento; madrigale Che se tu sè ‘l cor mio. Tre sono dunque i madrigali citati integralmente, tutti tratti dal IV Libro; nei «collegamenti» Scodanibbio utilizza solo frammenti monteverdiani. Tonino Tesei Geografia amorosa Foto di Alfredo Tabocchini Negritudine, tribalità, “extra”. Parte di una più ampia composizione indicata come “Geographica” questo lavoro scava nelle potenzialità ritmico-percussive del contrabbasso che, anche in questo territorio, si rivela “strumento delle meraviglie” convogliando in sé le acquisizioni della tradizione degli archi e le innovazioni, le inquietudini, le aperture della musica extracolta… oh Beat! Stefano Scodanibbio Lucida sidera Lucida sidera è stato composto da Stefano Scodanibbio nel 2004 per il quartetto Ensemble Italiano di Sassofoni. Gli strumenti impiegati sono otto, 4 sax soprani e 4 sax tenori: ogni membro del quartetto suona sia il sax soprano che il sax tenore. Tale alternanza genera un gioco combinatorio di possibilità timbriche che conferiscono al brano un colore prezioso e mutevole, nonostante l’omogeneità dovuta alla scelta di adoperare solo due tra i quattro strumenti della famiglia dei sassofoni, normalmente impiegati nella formazione quartettistica. Alle stelle che brillano in cielo – per l’appunto i Lucida sidera cantati dal poeta latino Orazio (III carme, I libro) – corrispondono nella composizione di Scodanibbio oggetti sonori fortemente caratterizzati, che vivono di luce propria, i quali guidano l’ascoltatore nel fluire del brano. All’inizio appaiono subito chiare due figure significative: una nota velocissima che risolve su una nota più o meno lunga e una scala veloce. Altre figure compariranno, intersecandosi tra loro e con le precedenti. Si crea così un gioco di rimandi, di intrecci, di variazioni, di echi, che dà origine a un percorso di ascolto ricco e articolato. Gianpaolo Antongirolami Contrapunctus V Quattro pezzi spagnoli Nel catalogo delle composizioni di Stefano Scodanibbio uno spazio importante è occupato da elaborazioni di opere di altri compositori. In tali «reinvenzioni» il suo ideale consiste nell’utilizzare diverse modalità di trascrizione che interagiscono tra loro. A proposito è opportuno citare per esteso il breve ma nitido testo che Scodanibbio ha redatto nel 2011: «– Aspetto caleidoscopico, grazie all’uso dei suoni armonici, delle tecniche d’arco e dei tempi rallentati – Travestimenti-Straniamento – Figure originali che emergono “sfumate” come da una certa nebbia (pittura manierista) o da una garza (Degas) – Ma anche divisionismo (Webern!) e filologia barocca». Dal monumentale testamento bachiano che è l’Arte della fuga, Stefano Scodanibbio ha rielaborato per quartetto d’archi i Contrapuncta I, IV e V. La versione di Scodanibbio esalta la scrittura bachiana riverberandola in un gioco di timbri e colori. Inoltre, il tempo «rallentato» (minima = 40 o meno) prescritto in partitura mette in evidenza quel «congegno miracoloso» creato dalle combinazioni contrappuntistiche. «Il contrappunto di Bach» – scrive Berio – «è una meditazione sulla pluralità del mondo: è uno sguardo che sembra penetrare profondamente e trascendere il passato e il futuro. Ed anche per questo che ancora oggi Bach vive dentro di noi in tutta la sua vastità e con tutti i suoi poteri di autoriflessione: come quel profondo lago di un racconto indiano, che si mette in cerca delle sue stesse sorgenti lontane. Lontane, vorrei aggiungere, anche nel tempo, passato e futuro». I Quattro pezzi spagnoli (originali per chitarra) hanno le seguenti caratteristiche: tempo moderato, metro ternario, melodia chiaramente articolata, struttura strofica ed elementi del folclore spagnolo. Tale «materiale» melodico ed armonico abbastanza limitato è particolarmente adatto ad una intensa esplorazione del parametro timbrico. In questi lavori, trascritti per quartetto d’archi, Stefano Scodanibbio usa in modo intensivo il pizzicato (ordinario, di mano sinistra, con «portamento», con «legatura chitarristica»), gli armonici (spesso in combinazione con i suoni reali), le corde vuote, le opposizioni tastiera/ponticello, il flautato e le sordine. Il breve preludio tripartito Làgrima di Francisco Tàrrega (1852-1909) è in re maggiore (la sezione mediana contrastante è in re minore). Non presenta opposizioni tonali (è sempre in re minore) la struggente canzone popolare catalana El testamento d’Amèlia di Miguel Llobet (1878-1938) allievo di Tàrrega. Una grazia settecentesca caratterizza l’Andante di Dionisio Aguado (1784-1849); il brano ha la struttura formale di un minuetto: prima parte (in re maggiore), trio (in sol maggiore), ripresa variata della prima parte. Chiude la raccolta lo Studio in re minore di Fernando Sor (1778-1839) che Scodanibbio trasforma in una serie di variazioni, evocando l’antica forma della passacaglia. Tonino Tesei Canzoniere messicano Sono trascorsi esattamente 30 anni dalla mia prima visita in Messico. Da allora sono tornato tutti gli anni, con solo un paio di assenze giustificate, anche per periodi lunghi. Uno dei risultati di questa mia fedeltà è stata la realizzazione dell’opera radiofonica One says Mexico, nel 1998. Un ritratto letterario, acustico e musicale attraverso i sensi del viaggiatore straniero. La musica popolare messicana, così importante nella cultura di questo paese (quanto forse lo era stata l’opera nell’Italia dell’800 e del primo ‘900), era in parte presente, con ammiccamenti e minuscoli frammenti, ma veniva senz’altro diluita e assorbita da un panorama variegato di idiomi, suoni, colori, sapori, suggestioni di ogni sorta. Queste Canzoni messicane per quartetto d’archi, ideale continuazione di One says Mexico, sono invece riconoscibilissime e citate integralmente e, nel contesto del mio omaggio al paese, rappresentano senz’altro dei momenti più caratterizzati. Musicalmente non ci sono stravolgimenti armonici. È invece l’aspetto timbrico a dominare queste “reinvenzioni” (come Luciano Berio soleva chiamare le sue riscritture di autori del passato) che, con le sue rifrazioni dei suoni armonici, assumono una dimensione caleidoscopica. La lezione di Webern, con la sua orchestrazione del Ricercare dall’Offerta Musicale, rimane l’esempio insuperabile del secolo XX. Stefano Scodanibbio 2008 Ritorno a Cartagena D’improvviso in una notte di maggio Voyage Resumed Sono già trascorsi dieci anni da quella sera di primavera in cui Stefano suonava Voyage That Never Ends all’Accademia Tedesca di Villa Massimo, un brano che aveva composto molti anni prima e che avevo avuto modo di ascoltare su disco, mai dal vivo. Bene, quella sera si compì una vera magia: rimasi folgorato da quella musica e dal modo in cui Stefano aveva stabilito un legame con essa, quasi fosse una sua naturale emanazione. Conservavo il cd che Stefano mi aveva regalato alla fine del concerto con quel pezzo meraviglioso e cominciai ad ascoltarlo senza sosta. Capii allora che dovevo incanalare tutta questa energia da qualche parte e fu allora naturale arrivare alla conclusione che avrei proposto una versione per flauto dell’ultima parte del brano, Voyage Resumed. Stefano fu felice dell’idea ma solo allora iniziarono i problemi poichè non esisteva una vera partitura su cui lavorare. Ricevetti il canovaccio utilizzato per costruire lo scheletro del pezzo (due paginette scarne per un pezzo di 40 minuti....) con appunti sparsi sui centri armonici, le permutazioni ritmiche etc. In realtà Stefano non aveva mai avuto bisogno di metterlo su carta (o forse sarebbe meglio dire non aveva voluto) perchè questa labilità gli permetteva di suonarlo sempre uguale al 70-80% ma di mantenere il resto per variazioni estemporanee. Capii che l’unica possibilità era di trascriverlo dal disco e così feci, nota dopo nota, andando avanti e indietro sul nastro. Fu estenuante ma necessario e questo rituale mi proiettò ancora di più all’interno di quel pezzo. Fatto questo ci incontrammo a Pollenza per controllare che le trasposizioni che avevo adattato dal contrabbasso fossero corrette; Stefano volle aggiungere alcuni effetti flautistici (voce, soffi) per rendere la parte più strumentale e pensò bene di preparare un nastro (con 8 contrabbassi e suoni vocali) che avvolgesse la parte dal vivo per dargli uno spessore magico. Fu così che Voyage Resumed vide la sua prima esecuzione a Roma, al Teatro Palladium per il Festival Scelsi, nell’ambito del Festival RomaEuropa il 22 novembre 2005. D’improvviso in una notte di maggio e Ritorno a Cartagena (2003) rappresentano invece i due estremi di un viaggio. Non è un caso parlare di viaggi quando si parla di Stefano, non è un caso che questi fossero una passione comune e che spesso ci scambiassimo itinerari, alberghi e indirizzi di luoghi incontrati nel nostro inquieto girovagare. D’improvviso in una notte di maggio è un punto di partenza. Ho ricevuto la copia di questo pezzo per posta come se fosse una cartolina. Sulla partitura c’è una data, 1980 (periodo di apprendistato con Sciarrino cui il brano deve un tributo sincero) e una dedica: a Marielena (Arizpe, flautista messicana). Ritorno a Cartagena è invece il punto di arrivo. Un brano lungamente meditato, voluto, desiderato. Il flauto basso qui è un semplice risuonatore. Le azioni indipendenti delle due mani e della bocca si fondono e si sommano su linee indipendenti creando poliritmie di una complessità selvaggia. La notazione sembra quasi quella di un’antica intavolatura: non sono segnate le altezze dei suoni ma i gesti ritmici relativi alle modalità di produzione (dita della mano sinistra, destra, lingua, soffio...). Rimane il disagio del nostro ultimo pezzo incompiuto: un progetto per ottavino di cui Stefano aveva già tracciato i contorni ma cui il destino non ha voluto concedere tempo. Manuel Zurria 9 marzo 2013 Labore navigacionis Fare una versione, una riduzione, per piano solo di un pezzo per due pianoforti, vuol dire scolpire e sottrarre perché la musica è già “dentro”. Le linee portanti dei materiali sono i cardini da cui si comincia a lavorare scoprendo la mutazione; una metamorfosi degli elementi primari. Dall’acqua, componente della struttura d’origine (Sí come nave pinta da buon vento, era il titolo), alla terra; marciare e camminare invece che navigare. Sí, perché Labore navigacionis è, per me, una sorta di processionale implacabile che scandisce inesorabilmente l’immanente. Accordi dissonanti, pulsazione ritmica costante, rapide figurazioni e tensioni dinamiche sono la genesi di un labore indefinito; “io sono qui che mi interrogo ancora” ha scritto Sanguineti. Camminare è anche condurre-ora (riduzione): la musica, le idee, la gratitudine, l’amicizia; oltre la vita. Fausto Bongelli Ottetto Senza capo né coda. Sauvagerie totale, orizzonti dischiusi. Documentare un’attività solitaria. Manualità fuori da ogni ordine precostituito. Musica come maniera di esistere. Bio-grafismo. Stato di grazia...stato di veglia…accettando il disordine linguistico e il disorientamento esistenziale. Perturbati. Metodologia feticistica. Progettazione precisa e intensa formalizzazione dei materiali sonori, dei gesti strumentali, ma poi scrittura à la diable. Contro il ben fatto, col suo capo e la sua coda. Ne se priver de rien, il contrario dell’amministrarsi con cautela, non rifiutandosi nessuna crudeltà di sintassi. Sconfinata distesa di foglietti e notine, appunti e paperoles. Collage, assemblage, bricolage. Integrazione frammentaria totale. Summa, elenco, deposito, ricettacolo, ...catechismi, inventari, erbari. Procedendo per accumulo e congerie e frammenti, disponendosi a tutti i significati probabili, inglobando i materiali più sfacciatamente eterogenei. Aprirsi all’erranza, allo sbilanciamento. Stefano Scodanibbio In D In C è senza dubbio uno dei lavori più rivoluzionari del ‘900. Composto ed eseguito nel 1964 ha lanciato quello che poi si sarebbe chiamato il movimento minimalista. Tra gli interpreti della prima esecuzione a San Francisco si trovavano Steve Reich, Jon Hassell, Pauline Oliveros, Jon Gibson, Morton Subotnick ed altri che sarebbero diventati i capiscuola della generazione post-Cage. La struttura del lavoro è molto semplice: un gigantesco canone all’unisono per un numero variabile di esecutori sostenuti dall’ostinato in ottava della nota Do (C, in inglese) del pianoforte che inizia, chiude e funge da metronomo durante tutto il pezzo. Gli esecutori eseguono una serie di 53 moduli ritmico-melodici che vanno da una sola nota a frasi più complesse. L’ordine dei moduli è fissato ma ogni esecutore è libero di ripeterli quante volte desidera entrando e uscendo senza allontanarsi troppo dal cammino collettivo. L’effetto e quello di un cristallo scintillante ed effervescente che ruota lentamente cambiando impercettibilmente di colore da un netto Do maggiore a un luminoso Mi minore, poi di nuovo a un trionfante Do maggiore e finalmente a un oscuro ed enigmatico Sol minore. Questa versione di Stefano Scodanibbio per un ensemble variabile di contrabbassi, autorizzata da Terry Riley, mette in gioco le possibilità della corda Re (D, in inglese) che è quella che più si presta, negli archi scuri, ad articolazioni timbriche ed armoniche. Oltracuidansa (lettera rispedita al mittente) Oltracuidansa è un mistero. Già il suo nome (perfino la sua pronuncia e la sua sonorità) ci conducono in un luogo ignoto. Solitamente applichiamo il termine misterioso a quasi tutto quello che non riusciamo a comprendere, procedimento che ritengo sbagliato. Il mistero lo attraversiamo, lo impariamo e lo possiamo persino respirare. Il mistero non risulta ermetico per chi lo patisce e ne gode, nel mistero penetrano il corpo e la mente, i sensi ne bevono fino ad ubriacarsi, il mistero è qualcosa di tangibile e luminoso; non ha nulla di oscuro né di etereo. L’errore consiste nell’affermare che il mistero è insondabile, invece quello che si cerca di dire, mi sembra, è che il misterioso è inspiegabile. Conosciamo il mistero, solo che, per fortuna, non riusciamo a esprimerlo. Si tratta di un’esperienza intrasferibile, un segreto che custodiamo in silenzio. Jorge Luis Borges, a proposito del (mistero del) tempo, diceva: Se non me lo chiedono, lo so; però se me lo chiedono non lo so. Oltracuidansa Oltracuidansa è così. Se non me lo chiedono, io capisco il suo alfabeto e la sua calligrafia, il suo tempo, i suoi colori. Ma se invece mi chiedono di Oltracuidansa, non so cosa dire. Nella registrazione di questo brano di circa un’ora, si possono ascoltare nitidamente suoni emessi da diversi tipi di animali, alcuni così evocativi che ci permettono di ricreare nel nostro immaginario nuove specie, esseri fantastici, si percepisce anche uno strumento a fiato – un oboe mi pare – e altri suoni elettronici. Poi ci si rende conto che niente di tutto ciò è vero, che tutto è un’illusione, che non c’è una sola risonanza nella registrazione del brano che non provenga dal contrabbasso di Stefano Scodanibbio; sono combinazioni di suoni puri che l’interprete e compositore ha registrato in studio utilizzando molteplici modi di affrontare lo strumento. Per accompagnare l’ascolto di Oltracuidansa nella Rassegna 2013, ho deciso di attaccare uno dietro all’altro e senza pretesa narrativa, alcuni video girati con il mio stupido telefonino durante gli ultimi tre anni, come fogli sciolti strappati da un diario. Sono immagini che non ho mai pensato di utilizzare in un’opera, sequenze fatte forse perché in quel momento mi stavo annoiando, materiali che non sono in relazione con la composizione di Stefano: non ho registrato niente con l’intenzione di unirlo a Oltracuidansa. Al momento di mettermi a lavorare su questa musica – in seguito alla proposta di Maresa Scodanibbio – e dopo aver scartato vari strade, sono giunto alla conclusione che questa era la migliore che potessi intraprendere, il meglio che potessi fare: aggiungere i fogli strappati dal mio diario al diario sonoro del mio stimato amico. È un modo – vedremo se completamente illusorio o no – di stare di nuovo insieme. Rodrigo García Oltracuidansa Quando Giorgio Agamben mi diede le tre pagine che costituiscono “La fine del pensiero” ho subito pensato che non poteva esserci un testo più stimolante per un musicista. I concetti fondamentali di questa opera – la voce, il pensiero, il linguaggio – sono concetti chiave per un compositore/strumentista sui quali non si cessa mai di riflettere. Ed esattamente questo vorrebbe essere il senso di questo lavoro, un interrogarsi radicale sul rapporto tra corpo e strumento. Qual’è il linguaggio del contrabasso? Come dar voce a un pensiero? Tra la varietà delle voci del contrabbasso, tra le sue mille voci (“Une seule et même voix pour tout le multiple aux mille voix”, diceva Deleuze) come trovare la Voce? è forse il linguaggio che nasconde la voce? E infine se “la fuga della voce nel linguaggio deve aver fine”, se “il pensiero compiuto non ha più pensiero”, non ci si affaccia forse sul baratro del silenzio? Tra i miei lavori per contrabbasso questo è senz’altro quello che più ne esplora il suo “divenire animale”. Un moltiplicarsi dei corpi e degli strumenti, un’estensione dell’uno sull’altro, si mettono ora in movimento. Dopo secoli di balbettii e di imitazioni, questi sembrano finalmente essere gli anni della piena espressione del contrabbasso. Tutte quelle che erano le sue connotazioni negative (la grandezza, la lunghezza della tastiera, la pesantezza, il suo registro abissale, in breve il suo essere “a misura d’uomo”) sono ora, grazie alle tecniche nuovissime sorte negli ultimi decenni, ribaltate in positivo offrendo così un ventaglio di possibilità sonore difficilmente riscontrabili in altri strumenti a corde. A questo allude anche il titolo del pezzo. Il provenzale “oltracuidansa” che è all’origine della parola tracotanza deriva, secondo le parole di Agamben, da un latino “ultracogitare”: eccedere, passare il limite del pensiero, soprappensare, spensare. Oltracuidansa può essere considerato la controparte del mio precedente lavoro per contrabbasso solo Voyage That Never Ends. Mentre Voyage esplorava glia spetti ritmici e timbrici di un suono generatore (una corda generatrice, in realtà), Oltracuidansa scava ora nelle viscere dello strumento, rivelando lati oscuri e animaleschi del contrabbasso attraverso l’uso di tecniche non convenzionali. Lontani dall’effettismo, tutti i suoni prodotti sono risultato di 20 anni di pazienti ricerche minuziosamente catalogate, sistematizzate, precisamente trascritte e notate. Infatti non credo ci sia una grande differenza tra tecniche classiche e contemporanee quando queste ultime sono trattate con la stessa cura, rigore e maniacale esattezza. Ho registrato così, quasi 6 ore di materiali sonori al contrabbasso. Questi sono stati selezionati, tagliati e usati in maniera polifonica con un sistema digitale multi traccia. I suoni non sono stati filtrati o elaborati elettronicamente. è stato usato solo un dispositivo di riverbero. I suoni del nastro, tutti prodotti dal contrabbasso, sono ottenuti attraverso l’articolazione di 26 tecniche o modi di produzione del suono: Rimbalzo verticale del crine (“rimbalzo infinito”), Arco obliquo, Arco circolare, “Rumore” (arco tratto lentissimo fino al “dente di sega”), Arco verticale lentissimo (anche arco preso con due mani su corde libere), Staccato di crine (ossia spazzolato staccato), Battuto di crine, Tamburellato di mano sinistra su punta d’arco, “Staffilato” di arco con legno e crine, “Soffio” di crine, Arco sul tasto “à la clarinette basse”, Finger Percussion al di sopra della posizione, Pizzicato al di sopra della posizione, Rullo di mano destra, Pizzicati ottavati e di quindicesima, Pizzicato “grasso” con due dita, Mandolinati, “Sfriscio” d’unghia, Glissandi di armonici artificiali, Articolazioni di armonici naturali in regioni estreme, Multifonici con posizione tra arco e ponte, “Bottone” d’arco intorno all’ottava della posizione, Pizzicato mano sinistra su bottone premuto, Rimbalzo di legno su corda vuota pizzicata, Contrabbasso “preparato” con clips, Suoni percussivi. Il nastro è stato prodotto al CCMIX (Centre de Création Musicale Iannis Xenakis) di Parigi. La prima esecuzione è avvenuta a Stoccarda (Festival Éclat, 1.2.2002). Altre esecuzioni si sono avute a Los Angeles (County Museum of Art, 6.5.2002) e Bourges (Festival Synthèse, 3.6.2002). Una parte di questo brano è stata utilizzata per uno spettacolo di danza (“La fine del pensiero”,1998) di Hervé Diasnas con testo di Giorgio Agamben su nastro. Stefano Scodanibbio gennaio 2002 Devo concentrarmi di più, mettere merda e sangue al posto dell’ingegno Bertolt Brecht, 20 agosto 1920 Moralista paradossale, Rodrigo García torna alle origini del rito teatrale – il suo ruolo, il suo impatto, quello che mette in gioco – stimola tutti i sensi dello spettatore, nello svolgersi di un’esperienza intima e pubblica allo stesso tempo. Questo teatro suscita, in ogni forma, una reazione: fisica e intellettuale, intempestiva, dubitativa. Potremmo pensare che esagera quando ci mostra nel dettaglio come scaviamo le nostre tombe, ciecamente ed inopinatamente. Ma è lui che esagera davvero? Quando in realtà fa sì che lo scenario sia l’occhio del ciclone, una spazio effimero, depositario del rumore e della furia delle nostre società domestiche e guerriere. Qui l’esagerazione è la condizione per misurare lo stato delle cose. Rodrigo García opera per la cristallizzazione dei “luoghi comuni”, cerca il contatto con i nostri demoni e le altre mitologie contemporanee. Nei suoi racconti dimostra come la pubblicità è infiltrata in tutti i luoghi della nostra esistenza, sostituendosi alla politica e governando dietro la sua maschera. Crea e distrugge tutto quello che crediamo di conoscere, ma che nonostante tutto ci rifiutiamo di vedere: il nostro personale e crescente coinvolgimento in questo sistema. Per questo gli si affibbia l’etichetta di “provocatore”. Ma non sarà questo sentimento di provocazione il segno che il suo lavoro risveglia la nostra capacità di essere spettatori ancora vivi, capaci di stupirci, di esercitare il nostro giudizio, di indignarci? Da qualche anno ormai, sa come affrontare il successo e le sirene della fama commerciale. Irriducibile alla moda che lo circonda e lo elogia per denigrarlo meglio una volta passato l’onda, ha saputo frenare la spirale di una produzione esponenziale e privilegiare un processo artigianale di creazione che scava sempre più a fondo. È da notare che Rodrigo García, come Swift e Brecht, chiama i suoi spettacoli, video ed istallazioni “proposte”. Tocca a noi accoglierle ed usarle. Philippe Macasdar Rodrigo García (1964) trascorre l’infanzia e l’adolescenza nel sobborgo Yparraguirre de Grand Bourg, una baraccopoli nella provincia di Buenos Aires in Argentina. Lavora come fruttivendolo, macellaio, fattorino e creativo pubblicitario, occupazioni che abbandona per dedicarsi al teatro. Risiede prima a Madrid, dove fonda la sua compagnia La Carnicería Teatro, e in seguito in Asturias. Produce i suoi lavori, fra gli altri, con il Teatro Pradillo di Madrid, il Teatro Nazionale di Bretagna, il Festival di Avignone, la Biennale di Venezia, il Festival d’Automne di Parigi. Nel 2009 l’UNESCO gli conferisce l’XI Premio Europa Nuove Realtà Teatrali. Rodrigo García è autore e regista di numerosi spettacoli come: Esto es así y a mí no me jodáis (2010), Muerte y reencarnación en un cowboy (2009),Versus (2008), En algún momento de la vida deberías plantearte seriamente dejar de hacer el ridículo (2007), Cruda, vuelta y vuelta, al punto, chamuscada (2007), Arrojad mis cenizas sobre Mickey (2006), Aproximación a la idea de la desconfianza (2006), Prefiero que me quite el sueño Goya a que lo haga cualquier hijo de puta (2004), Agamenon (2003), Rey Lear (2003), Jardinería Humana (2003), La historia de Ronald el payaso de Mc Donalds (2002), Compré una pala en IKEA para cavar mi tumba (2002), After Sun (2000), Borges (1999). Ottetto, legenda Il giuoco insolente del teatro contro la dolce serietà della maschera sociale. Rodrigo García avanza sul campo minato del mondo, lo imita, lo mette alla prova, intesse il gioco e lo esaspera fino a farlo crollare sopra a quello del teatro. Da questo atteggiamento pericoloso nasce un’arte fragile ed inquieta, di riflessione e di lotta. Rifiutando la politica dello struzzo ci invita a non perdere la speranza nell’incanto della rappresentazione. Come prova di future rivolte allegre ed emancipatrici. Tonino Battista Ha studiato pianoforte, direzione di coro, musica elettronica e composizione a Perugia; ha seguito i corsi di direzione d’orchestra con Daniele Gatti a Milano e con Peter Eötvös in Ungheria e in Olanda e ha frequentato le masterclass di Nono, Stockhausen e Bernstein. Tra il 1987 e il 2000 è stato direttore principale de l’Artisanat Furieux Ensemble di Perugia, del Logos Ensemble di Latina e del Veni Ensemble di Bratislava. Nel 1996 ha diretto l’Ensemble Modern nell’esecuzione di Mixtur di Stockhausen a Darmstadt. Dal 2000 al 2004 ha diretto la Kyoto Philharmonic Chamber Orchestra con cui, nell’autunno del 2002, è stato in tournée anche in Italia. Ha diretto al Teatro Lirico Sperimentale e al Festival dei Due Mondi di Spoleto, al Festival di Norwich-Norfolk, al Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano; ha diretto l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra Sinfonica di Perugia, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra Cantelli di Milano, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, Gli Archi di Firenze, l’Orchestra Barocca di Osaka, la Tokyo New Sound Orchestra, la Bunri Daigaku Tokushima Orchestra e altre formazioni internazionali. Dal 2009 è direttore stabile del PMCE Parco della Musica Contemporanea Ensemble, con cui ha debuttato nell’opera Le streghe di Venezia di Philip Glass in prima mondiale a Roma e in seguito al teatro dell’Opera di Amsterdam. Nell’autunno del 2012 ha diretto il PMCE alla prima europea dell’opera The News di Jacob Ter Veldhuis ed un concerto con musiche di Stravinsky, Pärt e Glass all’Accademia Nazionale di S. Cecilia di Roma. Fausto Bongelli Da Il cielo sulla terra_ foto di Lorena Alcaraz Minor Ha suonato in Austria, Germania, Spagna, Croazia, Francia, Turchia, Ungheria e sue esecuzioni sono state trasmesse dalla Rai, Radio National de España, Radio Colonia e Radio Saarbrücken Germania, Klassikaraadios Estonia, Radio Charts Canada, Yle radio Finlandia, Radio National Messico, New Classical Radio Tennesse Usa e Radio Svizzera Italiana. Ha pubblicato 23 CD per alcune tra le più importanti case discografiche: Naxos (Hong Kong), New Albion (Usa), col legno (Austria), Rca (Spagna), Wergo (Germania), Ricordi e Stradivarius, Rai Trade, Edipan e Vdm. I suoi dischi sono stati recensiti da: American Record Guide, Amadeus, Classic Voice, Guardian, Music Web International, Ritmo, Suonare News, Giornale della Musica, Evolution Music. È autore del libro Pianoforte e Isometria che ha suscitato notevole interesse per i concetti innovativi e per la particolare visione dell’approccio muscolare della tecnica pianistica. Ludus Gravis Daniele Roccato – contrabbasso principale Stefano Battaglia, Paolo Di Gironimo, Simone Masina, Andrea Passini, Giacomo Piermatti, Francesco Platoni, Alessandro Schillaci – contrabbassi Ensemble di contrabbassi dedito all’esecuzione di musica contemporanea, è nato dall’incontro fra Stefano Scodanibbio e Daniele Roccato. Ha debuttato nel Marzo 2010 presso l’Auditorio Nacional di Madrid. L’ensemble ha all’attivo la partecipazione a festival internazionali quali La Biennale di Venezia, Musica D’Hoy di Madrid, Rassegna di Nuova Musica di Macerata, AngelicA di Bologna, Imago Dei di Krems (Vienna), Music of Changes di Klaipeda (Lithuania), Gaida di Vilnius (Lithuania), Unicum di Ljubljana (Slovenia), Borealis di Bergen (Norvegia), Vinterfestuka di Narvik (Norvegia). Ha effettuato registrazioni radiofoniche per Rai RadioTre, Sky ARTE e un CD per l’etichetta discografica Wergo. Collabora con lo scrittore, drammaturgo, attore Vitaliano Trevisan e ha lavorato a contatto con Hans Werner Henze, Sofia Gubaidulina e Julio Estrada. Data la sua straordinaria originalità, Ludus Gravis si pone come un’autentica novità nel panorama concertistico internazionale. Orchestra Filarmonica Marchigiana Fondata nell’anno 1985 ed oggi gestita dalla Fondazione Orchestra Regionale delle Marche (FORM), è una delle tredici Istituzioni Concertistiche Orchestrali italiane (ICO) riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Attualmente il M° Donato Renzetti ne è il Direttore Principale ed Artistico. Formata per la maggior parte da valenti musicisti marchigiani, fra cui molti giovani, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana affronta con notevole flessibilità il repertorio sia lirico, sia sinfonico, distinguendosi di conseguenza per una particolare duttilità sul piano artisticointerpretativo, come rilevato da tutti gli interpreti e i direttori d’orchestra che con essa hanno collaborato. Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella realizzazione della Stagione Sinfonica in ambito regionale e nella partecipazione alle più importanti manifestazioni a carattere lirico delle Marche (Teatro Pergolesi di Jesi, Sferisterio Opera Festival di Macerata, Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro delle Muse di Ancona), si è esibita con grandi interpreti come Gidon Kremer, Natalia Gutman, Vladimir Ashkenazy, Andrea Bacchetti, Alessandro Carbonare, I solisti della Scala, Ivo Pogorelich, avvalendosi della guida di direttori di prestigio internazionale, quali Gustav Kuhn (Direttore Principale dal 1997 al 2003), Woldemar Nelsson (Direttore Principale Ospite dal 2004 al 2006), Daniel Oren, Donato Renzetti, Bruno Campanella, Corrado Rovaris, Anton Nanut, Hubert Soudant. Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei compositori marchigiani del passato, soprattutto Pergolesi, Rossini e Spontini, promuovendo nel contempo anche l’attività dei maggiori compositori marchigiani contemporanei. Collabora con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose della regione Marche. Realizza inoltre circuiti di concerti destinati al pubblico scolastico. Dal 1998 al 2002 è stata orchestra principale del Festival Snow & Symphony di St. Moritz. Nel maggio del 2003 ha effettuato una tournée di concerti in Austria con il sostegno del Consolato Italiano di Innsbruck e dell’Istituto Italiano di Cultura. Nel 2005 è stata invitata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ad eseguire, in collaborazione con il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, il tradizionale Concerto di Fine Anno al Quirinale sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti, riscuotendo apprezzamenti critici e un grande successo di pubblico. Nel 2006, in occasione dei 250 anni dalla nascita di Mozart, ha realizzato con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Macerata il progetto “Sinfonie d’organo”, un concerto itinerante teso alla valorizzazione del patrimonio degli antichi organi delle Marche nello splendore artistico dei luoghi che li ospitano. Nel Natale del 2006, sotto la direzione di Corrado Rovaris, ha eseguito in tournée a Roma, Betlemme e Gerusalemme il “Concerto per la Vita e per la Pace”, con il soprano Cinzia Forte e il violoncellista Enrico Dindo. Il concerto è stato trasmesso in differita su RAI 1 e su RADIO 3. Nel luglio 2009, nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo, l’Orchestra ha partecipato insieme al chitarrista Giovanni Seneca al Festival Internazionale di Izmir (Turchia) con il concerto “Serenata mediterranea”, successivamente riproposto, nel 2010, al Festival Internazionale di Hammamet. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è presente sul mercato discografico con numerose incisioni, tra cui si segnalano: La Serva Padrona e Stabat Mater di G. B. Pergolesi, Guntram di R. Strauss, Rossini Ouvertures, Le nozze di Figaro di W. A. Mozart, Oberto Conte di San Bonifacio e Preludi e Ouverture di G. Verdi, Sinfonia n. 9 di G. Mahler, e con diverse opere liriche in DVD: L’elisir d’amore di Donizetti realizzato dalla Rai, I racconti di Hoffmann di Offenbach, Macbeth di Verdi, Norma di Bellini, Maria Stuarda di Donizetti. Giacomo Piermatti Nasce a Foligno (Pg) nel 1986. Sotto la guida di Daniele Roccato, nel 2007 si diploma al conservatorio di musica di Perugia con il massimo dei voti e nel 2011 ottiene il diploma accademico di II livello con il massimo dei voti e la lode. Collabora con orchestre quali Orchestra Sinfonica di Perugia e dell’Umbria, Orchestra dell’Impresario e I solisti di Perugia. Fa parte dell’ensemble Ludus Gravis, unica formazione in ambito internazionale costituita da soli contrabbassi e dedita interamente alla musica contemporanea. Con questa formazione, sotto la direzione artistica di Stefano Scodanibbio, ha all’attivo la partecipazione ai festival internazionali Musica d’Hoy di Madrid, Rassegna di Nuova Musica di Macerata, Angelica di Bologna, Music of Changes di Claipeda, Gaida di Vilnius. Ha effettuato registrazioni radiofoniche per RadioTre e discografiche per Wergo. È stato premiato al concorso internazionale “Valentino Bucchi”, edizione 2011. In qualità di solista è intervenuto al Festival di musica contemporanea italiana, tenutosi nel 2011 presso “Area Sismica” di Forlì. Attivo nella musica sperimentale, ha partecipato all’improvvisazione guidata da Giancarlo Schiaffini e alla Conduction di Butch Morris in occasione della XXIX Rassegna Nuova Musica di Macerata. Quartetto di sassofoni Alea Gianpaolo Antongirolami Gabriele Giampaoletti Roberto Micarelli Luca Mora Attivo dal 1998, ha come obiettivo primario la ricerca e l’innovazione del repertorio. La formazione ricca di potenzialità, suscita sempre maggior interesse nelle nuove generazioni di compositori e nel pubblico. Grande attenzione è data ai recenti contributi dei più significativi compositori europei e alle ultime correnti della musica americana, senza dimenticare il repertorio del Novecento e le incursioni nel mondo del jazz e della trascrizione colta. I componenti del quartetto, docenti titolari in Conservatori di musica, svolgono intensa attività concertistica, collaborano con prestigiose orchestre, effettuano registrazioni radiofoniche, televisive e discografiche, e tengono corsi di alto perfezionamento presso importanti istituzioni italiane ed europee. Quartetto Prometeo Giulio Rovighi – violino Aldo Campagnari – violino Massimo Piva – viola Francesco Dillon – violoncello Risultato vincitore della 50° edizione del Prague Spring International Music Competition nel 1998, il Quartetto Prometeo è stato insignito anche del Premio Speciale Bärenreiter per la migliore esecuzione fedele al testo originale del Quartetto K590 di Mozart, del Premio Città di Praga come migliore quartetto e del Premio Pro Harmonia Mundi. Nel 1998 il Quartetto Prometeo è stato eletto complesso residente della Britten Pears Academy di Aldeburgh e nel 1999 ha ricevuto il premio Thomas Infeld dalla Internationale Sommer Akademie Prag-Wien-Budapest per le “straordinarie capacità interpretative di una composizione del repertorio cameristico per archi” ed è risultato secondo al Concours International de Quatuors di Bordeaux. Nel 2000 è stato nuovamente insignito del Premio Speciale Bärenreiter al Concorso ARD di Monaco. Sin dall’inizio, al Prometeo sono state destinate importanti borse di studio dalla Scuola di Musica di Fiesole e dall’Accademia Chigiana di Siena, che nel 1995 gli ha attribuito il prestigioso Diploma d’Onore. Questa la brillante carriera internazionale: Concertgebouw di Amsterdam, Musikverein, Wigmore Hall, Aldeburgh Festival, Prague Spring Festival, Mecklenburg Vorpommern Festival, Wexford Festival, Orlando Festival, Festival “Die Lange Nacht der Elektronischen Klange 2000” di Berlino, Waterfront Hall di Belfast per la BBC, Grand Théâtre di Bordeaux, Foundation Royaumont (prima esecuzione assoluta di Strada non presa di Stefano Gervasoni dedicato al Prometeo), Auditorium Musée d’Orsay di Parigi. In Italia ospite dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma (prima assoluta di Esercizi di tre stili di Salvatore Sciarrino dedicati al Prometeo), Società del Quartetto di Milano (prima italiana di Târ di Ivan Fedele), Settimana Musicale Senese, Settimane Musicali di Stresa, Festival delle Nazioni di Città di Castello, Società Veneziana dei Concerti, Sagra Musicale Umbra, GOG di Genova, Associazione Scarlatti di Napoli, Amici della Musica di Firenze, Festival Sinopoli di Taormina. Sempre attento alle espressioni musicali del nostro tempo, il Quartetto Prometeo da sempre affianca il repertorio tradizionale a quello contemporaneo. Particolarmente intensa la collaborazione con Salvatore Sciarrino che ha dedicato al Prometeo gli Esercizi di tre stili e il nuovo Quartetto n. 8 per archi commissionato dalla Società del Quartetto di Milano, Aldeburgh Festival, Ultima Festival di Oslo e dal MaerzMusik Festival di Berlino e recentemente registrato per Kairos in un CD monografico. Prosegue anche la collaborazione con Ivan Fedele di cui il Prometeo nel 2011 ha inciso il quartetto Palimpsest e ha interpretato il nuovo quartetto per archi e voce commissionato dall’Accademia Filarmonica Romana. Il Quartetto Prometeo ha recentemente inciso anche l’integrale di Hugo Wolf per Brilliant, l’integrale dei quartetti di Schumann per Amadeus e per ECM un cd con musiche di Stefano Scodanibbio. Il quartetto è stato premiato con il Leone d’Argento alla Biennale di Venezia del 2012. Terry Riley Nato a Colfax in California nel 1935, è un caposcuola, uno dei personaggi più interessanti del panorama musicale degli ultimi quattro decenni. Il suo collocarsi al crocevia delle esperienze e degli ambiti più diversi (dall’avanguardia colta, al jazz, alla grande tradizione indiana) ne impedisce la classificazione e lo rende una sintesi vivente dell’attuale magmatico rimescolamento musicale. Con In C del 1964, opera considerata come il manifesto della musica minimalista, Riley ha influenzato tutta una generazione di musicisti, da Steve Reich, Philip Glass e John Adams ad altri di estrazione pop quali i Curved Air, Soft Machine, Who, Tangerine Dream e Robert Fripp, fino a certe musiche di consumo cosiddette New Age. Tra gli anni sessanta e settanta il lavoro di Riley si orienta verso concerti solistici eseguiti al sassofono soprano e tastiere elettroniche in performance chiamate All Night Concert della durata di svariate ore come An All Night Flight svolto al Philadelphia College nel 1967 che durò ininterrottamente per otto ore e mezzo. Durante gli anni settanta Terry Riley, con La Monte Young, diventa allievo del celebre cantante indiano Pandit Pran Nath e lo accompagnerà alla voce e tampura in diversi tour in occidente. A quegli anni risale anche il suo incontro con David Harrington, fondatore del Kronos Quartet con il quale Riley inizia una collaborazione che continua tuttora scrivendo diversi quartetti per archi quali Cadenza on the night plain, Salomè dances for peace, G Song, Dream Collector, Requiem for Adam. Tra gli anni ottanta e novanta collabora con il Rova Saxophone Quartet e gli ensemble Array Music e Zeitgeist. Tra i suoi lavori più importanti va ricordato il monumentale The Harp of New Albion per pianoforte accordato secondo l’intonazione naturale. Recenti lavori includono: SolTierraLuna per 2 chitarre, violino e orchestra e The Transylvanian Horn Courtship per strumenti Stroh, The Universal Bridge con cui ha inaugurato il grande organo della Disney Hall. Virgilio Sieni è stato nominato Direttore del Settore Danza della Biennale di Venezia per gli anni 2013, 2014 e 2015. Protagonista della scena contemporanea italiana a partire dai primi anni ‘80, Virgilio Sieni è oggi coreografo e danzatore conosciuto a livello internazionale, “tra i pochissimi capaci tramite il movimento di dar vita a composizioni che parlano ancora dell’“umano”, delle sue debolezze e fragilità” (Goffredo Fofi) e “le cui opere si offrono come un pensiero in forma di danza e sulla danza” (Roberto Giambrone). Sieni si è formato alla danza classica e contemporanea ad Amsterdam, New York e Tokyo, ma il suo percorso comprende anche studi di arti visive, architettura e arti marziali. Nell’83 ha fondato la Compagnia Parco Butterfly, che nel 1992 diventa Compagnia Virgilio Sieni, con cui, fra i tanti riconoscimenti, vince tre premi UBU - nel 2000, nel 2003 e nel 2011, anno in cui ottiene anche il premio della rivista “Lo Straniero”. In qualità di coreografo ospite, ha creato balletti per i principali Enti Lirici e istituzioni teatrali italiane: Teatro alla Scala di Milano, Teatro Comunale di Firenze - Maggio Musicale Fiorentino, Teatro Massimo di Palermo, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro dell’Opera di Roma. Osso, La natura della cose, tratto dal De rerum natura di Lucrezio con la collaborazione del filosofo Giorgio Agamben per la drammaturgia, Solo Goldberg Improvisation, Tristi tropici, liberamente ispirato all’omonimo testo di Claude Lévi-Strauss e De anima, ispirato ad Aristotele, sono alcuni dei titoli più significativi della sua produzione. Per la creazione dei suoi lavori Sieni si è spesso avvalso della collaborazioni di artisti visivi, musicisti e compositori di fama, come Alexander Balanescu, Ennio Morricone, Steve Lacy, Francesco Giomi/Tempo Reale, Evan Parker, Stefano Scodanibbio, Grazia Toderi, Liliana Moro, Maurizio Nannucci, Flavio Favelli. Insieme alla sua compagnia, Sieni affianca alla creazione di spettacoli un programma di ricerca, studio, diffusione del linguaggio coreografico contemporaneo articolato in progetti di residenza, produzione e formazione. Dal 2003 dirige infatti, a Firenze, Cango Cantieri Goldonetta e dal 2007 l’Accademia sull’arte del gesto, finalizzata alla trasmissione delle pratiche artistiche e alla definizione di un nuovo rapporto tra formazione e produzione, rivolto sia a professionisti che a gruppi di neofiti della danza, dall’infanzia alla terza età ai non vedenti. Cura la collana editoriale Il Gesto della casa editrice Maschietto Editore di Firenze. Filo conduttore del progetto è l’intento di incorporare in ogni volume, attraverso visioni e intersezioni inedite, il senso del gesto, la pratica performativa, la ricerca iconografica, la riflessione teorica e poetica. Yoichi Sugiyama Nato a Tokyo nel 1969, ha studiato direzione d’orchestra con Emilio Pomarico e Morihiro Okabe e composizione con Franco Donatoni, Sandro Gorli e Akira Miyoshi. È attivo sia come direttore che come compositore in Europa e Giappone. Ha diretto prestigiose orchestre ed ensemble internazionali tra cui: Ensemble Modern Orchestra Frankfurt, Klangforum Wien, Kammerensemble Neue Musik Berlin, Remix Ensemble Porto, Gumma Philharmonic Orchestra, Orchestra del Friuli Venezia Giulia, Orchestra Milano Classica, Collegium Novum Zurich, Alter Ego, Icarus Ensemble, Divertimento Ensemble, Ensemble Antidogma, Fontana Mix. È stato ospite di rassegne internazionali quali Wien Modern, Automne a Paris, Milano Musica, Auftakt/Alte Oper, Klangwege, Winter music/Akademie der Kuenste Berlin, Settembre Musica, Musik im Industrie Raum, Mittelfest, Angelica, REC Festival d’Autunno, Festival Internacional de Musica de Espinho. Si è inoltre esibito presso La Philharmonic Hall a Berlino, Wiener Konzerthaus, Alte Oper a Francoforte, Cité de la Musique a Parigi, Casa de Musica a Porto, Teatro Regio di Torino, Teatro Regio di Parma, Teatro Giovanni di Udine. Alcune di queste esecuzioni sono state riprese da RAI SAT e RAI 3 FM. Alcune fra le sue ultime composizioni sono state eseguite in prestigiosi festival internazionali: Milano Musica (2003,2004), Biennale di Venezia (2000), Takefu Internatioal Music Festival (2003), Tiroler Festspiel Erl (2000), Angelica Bologna (2005), REC Festival d’Autunno Reggio Emilia(2005). Ha vinto il Premio SIAE nel 1994, durante un corso con Franco Donatoni presso l’Accademia Chigiana; ha inoltre seguito master courses e workshops tenuti da Luis de Pablo (Milano,1996), Adriano Guarnieri (Milano, 1996) e dalla London Sinfonietta (Tokyo, 1994). È stato assistente di Franco Donatoni ai corsi tenuti a Tokyo (1998) e Hiroshima (1998), di Giacomo Manzoni al “Composition Course”(1999). Il suo Divertimento I per ensemble (1997) è stato pubblicato da Ricordi; mentre Regalo per marimba (1997) e Capricci per solo nastro (1999) sono stati incisi su CD. Attualmente insegna presso l’Accademia Internazionale della Musica di Milano. Manuel Zurria è nato a Catania nel 1962 e vive a Roma dal 1980. Ha collaborato con alcuni tra i più importanti compositori italiani tra i quali Francesco Pennisi, Adriano Guarnieri, Sylvano Bussotti, Aldo Clementi, Franco Donatoni, Luca Francesconi e Salvatore Sciarrino. Negli anni ha incontrato artisti come Arvo Pärt, Philip Glass, Terry Riley, Gavin Bryars, Giya Kancheli, Toshio Hosokawa, Alvin Lucier, László Sáry, Alvin Curran e Frederic Rzewski, promuovendone opere in prima assoluta. Ha collaborato con un’intera generazione di compositori di tutto il mondo: da Yan Maresz a James Saunders, Caspar Johannes Walter, Maurizio Pisati, Fausto Romitelli, Mary Jane Leach, Matthew Shlomowitz, Yoshihisa Taira, Yi Xu, Emanuele Casale, Rytis Mazulis, Stefano Scodanibbio. Fortemente attratto dal minimalismo, nei primi mesi del 2008 ha pubblicato con l’etichetta DIE SCHACHTEL un triplo cd intitolato REPEAT! che rappresenta la summa delle sue esperienze, includendo lavori originali o trascritti per flauti ed elettronica realizzati in collaborazione con Arvo Pärt, Alvin Lucier, Louis Andriessen, Tom Johnson e molti altri, ricevendo una grande attenzione da parte della critica internazionale. Ha partecipato alla Biennale Musica di Venezia, Pacific Music Festival/Sapporo-Japan, Festival Musica/Strasbourg, Beethovenhalle/Bonn, Settembre Musica/Torino, De Yjsbreker/Amsterdam, IRCAM - Festival Agorà/ Paris, Rachmaninov Hall/Moscow, Festival d’Automne/Paris, Rikskonserter/ Stockholm, Illkhom Theatre/Tashkent-Uzbekistan, Takefu Festival/Japan, Akademie der Kunste/Berlin, Maerz Musik/Berlin, The Warehouse/London, Festival Archipel/Geneve, NUMUS/Aarhus, ULTIMA/Oslo, Ensem/Valencia, Wien Modern, Jauna Muzika/Vilnius, MusikHaus Wien, Berliner Philarmonie, Huddersfield Contemporary Music Festival, New Directions/Lulea-Sweden. Nel 1990 è stato tra i fondatori di Alter Ego. La sua discografia comprende pubblicazioni per BMG-Ricordi, Capstone Records, EdiPan, Stradivarius, Die Schachtel, Mazagran Records, Megadisc e Touch. Nel 2009 la BMC ha pubblicato Niagara, un cd monografico con musiche di László Sáry, mentre nel 2010 l’etichetta belga Megadisc ha pubblicato Musica Falsa con opere del compositore lituano Rytis Mazulis, ambedue registrate da solo con la tecnica del multi-traccia. Il 2011 vede la pubblicazione di altri due dischi: Loops4ever per l’etichetta portoghese Mazagran, un doppio cd che prosegue nel ciclo aperto con REPEAT! sul minimalismo, e JOY FLASHINGS, sempre con DIE SCHACHTEL, frutto della collaborazione con Philip Corner. xxxi Rassegna di Nuova Musica A cura di Gianluca Gentili Con la collaborazione di Maresa Bonugli Scodanibbio Consulenza artistica Tonino Tesei Direttore di palcoscenico Elisabetta Salvatori Registrazioni audio e sito web Andrea Lambertucci Grafica Simona Castellani Traduzioni Maresa Bonugli Scodanibbio Amministrazione Maria Sara Rastelli Roberta Spernanzoni Rosa Silvestri Segreteria Paola Pierucci Foto Fabio Falcioni Si ringraziano Luciano Messi Direttore dell’organizzazione artistica e tecnica dell’Associazione Arena Sferisterio Fabio Tiberi Direttore generale della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Paola Taddei Direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Macerata Gli uffici amministrativi della Fondazione Orchestra Regionale delle Marche L’Ufficio Stampa del Comune di Macerata Si ringraziano inoltre Roberto Cafaggini Gabriele Forberg-Schneider Julio Estrada Marina Mentoni Enrico Pulsoni Le studentesse dell’Accademia di Belle Arti di Macerata Daniela Belleggia Emi Xing Jinhua Sonia Carucci Massimo Simonini Museo di Storia Naturale di Macerata Un particolare ringraziamento a Gianni Dessì per la realizzazione dell’opera utilizzata per il manifesto I contributi di Julio Estrada, Helmut Lachemann e Terry Riley sono tratti dalla rivista Perspectiva Interdisciplinaria de Música, UNAM – Città del Messico – numeri 5 e 6 (2012-2013) www.rassegnadinuovamusica.com