2013 libro sera - Rassegna di Nuova Musica

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15 aprile lunedì
XXXI
RASSEGNA
DI NUOVA
MUSICA
Plaza (2002)
per quattro trombe
prima esecuzione italiana
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Yoichi Sugiyama, direttore
Vanishing Places (2007)
per dodici archi
prima esecuzione italiana
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Yoichi Sugiyama, direttore
Geografia amorosa (1994)
versione per contrabbasso
e live electronics
Giacomo Piermatti, contrabbasso
Lucida sidera (2004)
Alea, quartetto di sassofoni
16 aprile martedì
Presentazione del CD
Reinventions ECM
trascrizioni per quartetto d’archi
di Stefano Scodanibbio
Johann Sebastian Bach
Contrapunctus V (2009)
dall’Arte della Fuga
Francisco Tárrega Lágrima
Miguel Llobet
El testament d’Amèlia
Dionisio Aguado Andante
dai Quattro Pezzi Spagnoli (2009)
17 aprile mercoledì
Labore navigacionis (2007/2011)
versione per pianoforte solo
di Fausto Bongelli
prima esecuzione assoluta
Fausto Bongelli, pianoforte
Ottetto (2010/2011)
per otto contrabbassi
(opera commissionata
dalla Rassegna di Nuova Musica,
dalla Biennale Musica di Venezia e
dal Festival Internazionale
AngelicA di Bologna)
Ludus Gravis, contrabbassi
Tonino Battista, direttore
Oltracuidansa
(lettera rispedita al mittente)
installazione di Rodrigo García
nei giorni della Rassegna,
15, 16 e 17 aprile, Spazio Mirionima
di Piazza della Libertà
dalle ore 18,00 alle ore 21,00
José Alfredo Jiménez
Cuando sale la luna
Consuelo Velázquez
Bésame mucho
Germán Bilbao Sandunga
dal Canzoniere messicano
(2004/2009)
Quartetto Prometeo
12 maggio domenica
Ritorno a Cartagena (2001)
per flauto basso
Manuel Zurria, flauto
Virgilio Sieni, danzatore
In D (2010)
versione di Stefano Scodanibbio
di In C (1964) di Terry Riley
Ludus Gravis, contrabbassi
D’improvviso in una notte
di maggio (1980)
prima esecuzione italiana
Manuel Zurria, flauto
Raga Malkauns
Terry Riley, pianoforte
Ludus Gravis, contrabbassi
Voyage resumed (2005)
per flauto e nastro
Manuel Zurria, flauto
Virgilio Sieni, danzatore
Cartolina per Stefano (2013)
prima esecuzione assoluta
Terry Riley, pianoforte
Stefano Scodanibbio
Foto di Alfredo Tabocchini
Contrabbassista e compositore
(Macerata, Italia, 18.6.1956 /
Cuernavaca, Mexico, 8.01.2012),
ha studiato contrabbasso
con Fernando Grillo, composizione
con Fausto Razzi e Salvatore
Sciarrino, musica elettronica
con Walter Branchi, storia della
musica con Michelangelo Zurletti.
Il suo nome è legato alla rinascita
del contrabbasso negli anni ‘80 e
‘90, ha infatti suonato nei maggiori
festival di musica contemporanea
numerosi pezzi scritti appositamente
per lui da compositori quali Bussotti,
Donatoni, Estrada, Ferneyhough,
Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis.
Nel 1987, a Roma, ha tenuto
una maratona di 4 ore non-stop
suonando 28 brani per contrabbasso
solo di 25 autori.
Ha collaborato a lungo con Luigi
Nono (“arco mobile à la Stefano
Scodanibbio” è scritto nella partitura
del Prometeo) e Giacinto Scelsi.
John Cage, in una delle sue ultime
interviste, ha detto di lui:
“Stefano Scodanibbio is amazing,
I haven’t heard better double bass
playing than Scodanibbio’s.
I was just amazed. And I think
everyone who heard him was
amazed. He is really extraordinary.
His performance was absolutely
magic”.
Ha suonato regolarmente in duo
con Rohan de Saram e Markus
Stockhausen.
Nel 1996 è stato insegnante
di contrabbasso ai Darmstadt
Ferienkurse, inoltre ha impartito
Master Class e Seminari in
diversi luoghi: Rice University
di Houston, Berkeley University,
Stanford University, Oberlin
College, Musikhochschule
Stuttgart, Conservatoire de Paris,
Conservatorio di Milano, ecc.
Ha composto più di 50 lavori
principalmente per strumenti
ad arco (Sei Studi per contrabbasso
solo, Six Duos per tutte le
combinazioni dei quattro archi,
Concertale per contrabbasso,
archi e percussioni, 4 Quartetti,
Ottetto per otto contrabbassi, ecc.) e
per quattro volte le sue composizioni
sono state selezionate dalla SIMC,
Società Internazionale di Musica
Contemporanea (Oslo 1990, Città
del Messico 1993, Hong Kong 2002,
Stoccarda 2006).
Nel giugno 2004 ha interpretato
la prima esecuzione della Sequenza
XIVb di Luciano Berio, una
propria versione per contrabbasso
dall’originale Sequenza XIV per
violoncello.
Attivo nella Danza e nel Teatro ha
lavorato con coreografi e danzatori
come Virgilio Sieni, Hervé Diasnas
e Patricia Kuypers e con il regista
Rodrigo García.
Il suo lavoro di Teatro Musicale
Il cielo sulla terra, con le scene
di Gianni Dessì e la drammaturgia
di Giorgio Agamben, è stata eseguito
a Stoccarda nel giugno 2006,
replicato a Tolentino nel luglio
dello stesso anno e a Città del
Messico nell’agosto del 2008.
Ha registrato per Montaigne Auvidis,
col legno, Mode, New Albion,
Dischi di Angelica, Ricordi,
Stradivarius, Wergo, ECM.
Di particolare rilievo le sue
collaborazioni con Terry Riley
e con Edoardo Sanguineti.
Nel 1983 ha fondato e diretto per
trent’anni la Rassegna di Nuova
Musica di Macerata.
Idiomi, viaggi, strumenti musicali
Foto di Maresa Scodanibbio
Nel corso di quasi 25 anni dedicati all’interpretazione della letteratura
contrabbassistica contemporanea ho avuto periodi vuoti, che ho speso
abitando l’altro demone della musica, la composizione.
Non un atto quotidiano, un lavoro, un métier. Piuttosto, come in Debord,
la scrittura come cosa rara, estremo distillato di variegate esperienze.
Porzioni di tempo trascorse, spesso in terre lontane, a scrivere musica
liberamente, senza costrizioni o affanni, scadenze, commissioni, tendenze
festivaliere, imposizioni di organici, estetica, durata, ecc.
I miei pezzi sono stati scritti così, con carta e matita e schönberghiana gomma,
sempre con uno strumento (generalmente ad arco) appresso, e senza
la preoccupazione, anche materiale, di dover emergere come compositore,
avendo appunto l’altro mestiere come possibilità di sostentamento. Questo
passaggio continuo dallo strumento alla carta, dalla casacca all’abito, questo
intrecciarsi di costumi è stato non solo una prassi ma anche l’elemento
decisivo della mia musica.
Una bio-grafia sentita come unica forma d’esistenza e di creazione.
La convinzione, con Novalis, di vivere in un colossale romanzo.
Mi sorreggevano la scuola strumentale barocca italiana (oh, les beaux
jours…quando tutti erano naturalmente compositori ed esecutori), l’arte
dell’improvvisazione in alcune delle sue variegate forme (dalla musica indiana
alla stockhauseniana musica intuitiva), le esperienze con gli autori che avevo
eseguito e studiato e con cui avevo modo di collaborare (quanti insegnamenti
da Gigi, Giacinto, Fernando, Salvo, Iannis, Julio, Franco, Sylvano, Brian,
Helmut, Terry, Vinko, Karlheinz, Luciano…), le letture più disparate e disperate
(che si riflettono anche nelle suggestioni di alcuni titoli: Dos abismos da
Rapsodia para el mulo di Lezama Lima, Only connect da Arbasino (benché
venga da Forster, è divenuto una sorta di slogan o Leitmotiv in Fratelli d’Italia),
Delle più alte torri da Rimbaud (Chanson de la plus haute tour), Quando
le montagne si colorano di rosa e My new address da Vittorio Reta (Visas,
naturalmente, l’espressione poetica più autentica della mia generazione).
Da un lato un rapporto estremamente fisico e manuale, dall’altro lo
sconfinamento fantasioso in territori inesplorati. Perché è solo il nuovo a dare
senso all’opera(re). La ricerca del nuovo è, per me, la condizione del fare.
Con il rischio, l’azzardo e il caso che ogni abbandono di terre note comporta.
Spregiudicato e avventuroso tutto si svolge molto liberamente e anche un po’
libertinamente: tabelline e tabulature, simmetrie e proporzioni auree, senza
irrigidimenti conservatoriali e tentativi forzati di far quadrare ciò che è nato
fuori dalla quadratura.
Così, con gli anni, alcuni punti si sono venuti delineando: il primato
dell’invenzione sulla tecnica (che c’è e ci deve essere, ma senza apparire),
il rigetto delle formule e delle forme predeterminate, il non aver paura di
liberare la tremenda forza dionisiaca che solo la musica possiede (molti
compositori, si sa, hanno paura della musica), l’esibizione di uno strumento
per quello che è senza nasconderlo dietro un leggio, ogni singolo pezzo
sentito come assolutamente necessario… in sintesi la musica come capacità
di immaginare altri mondi possibili senza appoggiarsi a modelli presi a prestito
da altre discipline, alla tecnologia di una stagione, ai dettami accademici,
al musically correct. Piuttosto guardarsi attorno, viaggiare, frequentare musei,
assorbire, interiorizzare, non smettere mai di sperimentare.
Come in un quadro di Rousseau: idiomi, viaggi, strumenti musicali.
Stefano Scodanibbio
Stoccarda, ottobre 2003
con Karlheinz Stockhausen
Una volta, mentre parlavamo di
Stefano con un amico che lo aveva
visto e sentito suonare, l’amico
esclamò: “non è musica, è magia”.
L’affermazione era falsa e vera
insieme. Falsa, se magia significa
arbitrio e assenza di rigore; vera, se,
come pensava Giordano Bruno,
la magia è magia naturale, scienza
e esperienza della materia.
Gli antichi chiamavano la materia
con un termine – hyle – che significa
anche legno e foresta, e che i latini
traducevano per questo con silva
(la selva in cui Dante si perde – anzi,
si “ritrova”– all’inizio della Commedia
è questa materia primordiale).
In questa selva, Stefano era di casa,
vi entrava e ne usciva come
in labirinto senza bisogno di filo.
E “selva” non era per lui soltanto la
materia lignea del suo contrabbasso,
ma, più in generale, la materialità dei
suoni. Un grande pensatore eretico
del duecento, Davide di Dinant,
fu condannato dalla Chiesa per aver
affermato questa stupenda verità:
Hyle sive mens sive deus: “la materia
è la mente è dio”.
Così recita il lucido teorema
di Scodanibbio: nel punto in cui
ci si cala fino in fondo – e non c’è
in realtà fondo – nella materia dei
suoni, allora scompare ogni differenza
fra la materia, la mente e dio.
Incipit musica.
Giorgio Agamben
con John Cage
Stefano Scodanibbio è stato più
di un grande musicista la cui opera
strumentale e creativa ha aperto
nuovi orizzonti alla composizione,
al pensiero e al fare musicale del
nostro tempo. Il suo esempio creativo
di vivace esploratore del pensiero,
brillante forgiatore e lottatore alla
ricerca di un’arte liberata e liberatrice
– al di là delle sue attività di magico
interprete e lucido compositore – fu,
per tutti noi che l’abbiamo conosciuto,
elemento di stimolo ed entusiasmo
e messaggero di felicità.
Stefano era come un fratello per
me: costantemente condividevamo
conversazioni, scambiandoci
riflessioni e pensieri. Come molti
altri che gli vollero bene, cercai di
essere presente, con la mia totale
incapacità di aiuto, negli ultimi mesi
della sua vita, nel suo inesorabilmente
crudele procedere verso l’inesistenza.
Furono tempi di difficili conversazioni
telefoniche in cui potei comprendere
ancor meglio la sua grande umanità,
momenti che rimarranno in me per
il resto della mia vita: la percezione
quotidiana di una terribile realtà
che muta la prospettiva – a volte
paralizzando l’amore e la devozione
all’arte altre, al contrario, risvegliandoli
e rendendoli ancor più necessari –
e che riguarda ciascuno di noi.
Helmut Lachenmann
“Stefano Scodanibbio is amazing,
I haven’t heard better double bass
playing than Scodanibbio’s.
I was just amazed. And I think
everyone who heard him was
amazed. He is really extraordinary.
His performance was absolutely
magic”.
John Cage
“Stefano Scodanibbio ha eseguito
spesso le mie composizioni per
contrabbasso in vari Festival in Italia
e all’estero sempre con successo e
mia soddisfazione, date le sue doti
di interprete virtuoso e di musicalità,
evidenti entrambe nei suoi “Studi”
ove la tecnica strumentale sembra
invero trascendente, sorretta anche,
però, da un brillante senso musicale.”
Giacinto Scelsi
La prima volta che ascoltai suonare
Stefano, in privato nel 1980, percepii
immediatamente la sua grandezza
come musicista.
Mi limito qui a ricordare la sua abilità
nell’affrontare due mie composizioni
yuunohui’nahui e miqi’nahual
le cui inclemenze di scrittura, di
tecniche e persino di concezione
estetica gli costarono tanta fatica.
All’inizio Stefano si manteneva su
posizioni piuttosto critiche e scettiche
senza però arrivare mai ad un
atteggiamento negativo. Durante
le nostre discussioni poteva irritarsi
apertamente, poi però riusciva
ad ottenere risultati ineguagliabili
e a dominare quel materiale che
all’inizio gli appariva impenetrabile.
Allora sorrideva rasserenato e mi
ricordava, scherzando, le frasi di
altri interpreti “questo è ineseguibile”
o “questo non lo suono nemmeno
per sogno”. Ammiccando verso di
me con fare complice, dondolava
con la mano, quella della conquista,
un’immaginaria coppa di champagne
per brindare insieme.
La ricerca musicale era una passione
che portava Stefano a confrontarsi
con piacere ed interesse con correnti
e produzioni eterogenee e da buon
interprete riconosceva la linfa che si
può estrarre dalle partiture con una
sapiente interpretazione.
I suoi programmi della Rassegna di
Nuova Musica di Macerata, eleganti
ed acute tesi che raggiungono una
summa artistica, sono anche la sua
serena scommessa con quattro carte:
capacità interpretativa, esplorazione
strumentale, germinazione di voci ed
esplorazione musicale della verità.
Scodanibbio si staglia sia come
compositore che come interprete:
la sua accurata ossessione per
realizzare nuove tecniche evolve fino
a composizioni ogni volta più libere,
dove ci disvela la musicalità di un
raffinato ascolto.
Con doppia intuizione, strumentale
e creativa, si concentra, più
che nella struttura musicale, nel
modellare la materia e nel percepire
scrupolosamente come suona,
con l’intento di offrire un nuovo
patrimonio all’ascolto. Scodanibbio
canta la sua sapienza nei Sei Studi
per contrabbasso, la sua scienza
compositiva nei Six Duos per
strumenti ad arco ed anche la sua
cognizione percettiva in Voyage That
Never Ends, dove fonde abilità e
musicalità nella consapevolezza che
l’audacia, rivoluzionaria, apre nuovi
cammini.
Amico molto vicino a tutta la mia
famiglia, i suoi soggiorni nella nostra
casa erano per tutti fonte di allegria.
Aspettavamo ansiosi le sua visite
durante le quali, insieme a Maresa,
ci offrivano per giunta generose cene.
Stefano salpava l’ancora e prendeva
il comando del timone e delle vele
della cucina – “Julio, mi raccomando
non toccare nulla” – per rivelarci
la bellezza della sua arte culinaria.
Come in un’esecuzione strumentale,
ogni momento del procedimento
era critico e vicinissimo al rischio,
la celebrazione delle sue pastasciutte
consisteva nel succedersi di una
serie di soluzioni che infallibilmente
raggiungevano un’originalità rimasta
proverbiale. Forse esperienza
peggiore che affrontare la mia
musica, negli ultimi giorni dovette
rassegnarsi a sopportare il naufragio
dei miei insipidi piatti: “sí, è buono”
diceva con un sorriso stoico.
Si presagiva il suo ultimo, tragico
sguardo. Le sue ceneri riposano ai
piedi del vecchio pompelmo, in fondo
al nostro giardino prediletto, oggi
suo: ogni giorno, dalla terrazza, mi
chino con affetto verso il compagno
complice, con ammirazione per la sua
opera.
Julio Estrada
Ieri, primo aprile 2013, sono andato
a provare alcuni movimenti con le
musiche di Stefano Scodanibbio.
Lo spazio nel quale mi esercitavo
è quello a me prediletto in queste
circostanze: una sala di 13X9,
il pavimento chiaro, una bella luce
pomeridiana che entra dalle finestre.
Il corpo si piega al suono, veramente.
Ogni parte, ogni possibilità articolare
guarda all’opportunità di apertura
verso una costellazione di gesti
inediti. Il movimento, la danza, cerca
in quegli istanti strade boschive,
non facilmente intuibili o prevedibili:
si sposta nell’aura che la selva
concede alla luce.
La questione che si pone sembra
sempre la stessa di fronte al primo
passo, al tentativo di slanciarsi nella
dinamica inarrestabile che la danza
richiede come percorso e pratica.
con Iannis Xenakis
Dunque il peso, nel suo ricordarci
la ciclicità gravitazionale, cioè la
possibilità che ci è data di salvare
e cogliere la risonanza della caduta
come dello slancio, invertendo come
un gioco il punto di appoggio, ci tende
verso l’ascolto di un prima e di un
dopo, ci lascia fare nel medio della
prima inerzia.
La memoria di questa origine,
ritorna sempre come memoria in
ogni istante, e come tale ci proietta
indietro, mentre a noi sembrerebbe
in avanti: la danza apre al fuori del
gesto ma paradossalmente diviene
introspettiva nel rammentarci come
siamo fatti e quale archeologia
abitiamo. Con Stefano la questione
che si pone è sempre il primo passo,
la qualità del primo gesto.
Quindi una natura che sposta
il corpo nella momentaneità
dell’origine dell’azione. In questo
senso abbiamo iniziato a pensare
di far camminare nuovamente un
uomo. La stanza è la stessa del
primo incontro con Stefano: quella
luce, quel silenzio, quella densità;
tesi verso il suono inaspettato e
mendicante.
Virgilio Sieni
Stefano è stato uno dei più importanti
compositori/interpreti del nostro
tempo e uno dei più grandi innovatori
del contrabbasso. Penso che capì
la vera natura di questo strumento
riuscendo così a far ascoltare la sua
voce in maniera chiara e potente.
Le sue composizioni Yoyage That
Never Ends e Oltracuidansa non
hanno paragoni per profondità
e maestosità mistica e rivelano
un’inventiva di suoni mai ascoltati
prima di lui dal contrabbasso.
Sono indiscutibilmente dei classici
del XX e XXI secolo.
Sono convinto che quando la sua vita
è stata troncata da una devastante
malattia, Stefano si trovasse all’apice
delle sue capacità sia di interprete
che di compositore e che ci abbia
lasciato una splendida eredità.
Ebbi l’opportunità di partecipare
varie volte alla Rassegna di Nuova
Musica di Macerata di cui Stefano era
l’organizzatore ed il direttore artistico.
La Rassegna rifletteva le sue vaste
conoscenze musicali e presentava la
produzione di molti grandi innovatori
europei ed americani. Ogni anno
c’era un tema e veniva presentato o
un compositore o un nuovo gruppo
musicale. La musica di Cage,
Nono, Berio, Stockhausen, Glass
e molti altri veniva generalmente
rappresentata con una retrospettiva
dell’autore che permetteva al pubblico
di avere una visione piuttosto
approfondita della sua produzione.
Stefano, con modestia, quasi mai
programmava la sua musica e solo
saltuariamente partecipava come
interprete, preferendo limitarsi al
ruolo di direttore artistico. Con la sua
scelta di esecuzioni di altissimo livello
Stefano ha fatto della Rassegna
uno dei festival più vitali di musica
contemporanea.
Dotato di un’intelligenza penetrante
ed analitica e dell’animo di un
mistico e di un poeta, ha creato
alcune delle opere più profonde
soprattutto per gli strumenti ad
arco. Era capace di trasformare
quella che io chiamo, scherzando,
musica “rigida” – stiff music – in un
esperienza intensamente umana,
ponendosi così al di fuori delle
accademie post moderne. È stato
capace di attraversare il mondo della
dodecafonia, quello del minimalismo
e di altri linguaggi musicali sempre
con grande talento. Durante le
nostre collaborazioni contribuiva
con la sua ampia visione musicale e
poteva stupire con i suoi interventi di
improvvisazione intuitiva. Suonare
insieme a lui era fantastico, nella
successione dei vari momenti nelle
nostre improvvisazioni c’era sempre
una sorta di “adeguatezza”; sempre
la sensazione di trovarsi di fronte a
due pensieri che emergevano con la
stessa intenzione.
Stefano era perfezionista in qualsiasi
attività intraprendesse, compreso il
dedicarsi alla cucina: era un cuoco
magistrale con tocchi creativi,
come l’uso di una grande varietà
di peperoncini messicani nelle sue
famose pastasciutte. Era un amico
leale e devoto, ci sentivamo spesso
al telefono o mi inviava cartoline dalle
più remote località del mondo per
condividere con me il piacere di quei
viaggi. Alcuni di questi li facemmo
insieme, suonando in duo in Europa,
Stati Uniti e Messico.
Ho già nostalgia di quei momenti
quando, seduto in una camera di
hotel attigua a quella di Stefano,
udivo, attraverso il muro, il ruggire
del contrabbasso su cui eseguiva
alla perfezione brani di Scodanibbio,
Berio, Stockhausen e mi mancherà
non sollevare più la cornetta del
telefono e ascoltare dall’altra parte
del filo: “Ciao, Terry, sono Stefano”.
Terry Riley
fu un’assistente sociale, quasi quasi, per noi due (grassocciuccia, e un po’
[compressa,
nel suo intimo elasticizzatissimo), quell’assistente di volo, quando ci fece tutte
quelle sue smorfie ammirative (così talmente nostalgiche), celebrandoci il
[pizzicotto
latino: (e così, di necessità, ma lietamente, me la sono pizzicottata forte, io,
prontamente): con un pollice e un indice, lo vedi bene, Stefano, ci stringiamo
[tutto
quello che può capitarci lì a tiro, a noi due: (culetti sottomano, note, parole):
(e, it is obvious, qualunque picture card): (come questa, per voce e
[contrabbasso):
dicembre 1998
Cose (1996-2001)
Edoardo Sanguineti
con Edoardo Sanguineti
Plaza
Vanishing Places
Plaza per quattro trombe è stato scritto nel 2002 ed è stato eseguito la prima
volta a Enfield, New Hampshire, USA il 18 giugno 2009.
Il brano si sviluppa da un motivo di quattro note: fa, do, si bemolle, mi.
Il ritorno continuo dello stesso motivo iniziale, con le sue molteplici variazioni,
con i suoi cambiamenti di prospettive armoniche e contrappuntistiche,
caratterizza questa composizione.
Tutta l’elaborazione è diretta verso uno stato finale: il climax, punto culminante
del pezzo.
Vanishing Places per dodici archi solisti è stato scritto tra il dicembre 2006
e il dicembre 2007 su commissione del Festival Ultraschall di Berlino.
È stato eseguito la prima volta a Berlino il 18 gennaio 2008 dalla Rundfunk
Sinfonieorchester Berlin sotto la direzione di Lucas Vis.
Il pezzo di Stefano Scodanibbio è una versione per orchestra d’archi del
IV Quartetto Mas lugares (su madrigali di Claudio Monteverdi) composto
nel 2003.
Scrive Scodanibbio: «L’idea di trascrizione (da... a) implica e contempla quella
di adattamento (da... per) ma, in un contesto odierno, può anche abbracciare
quella di reinvenzione (da... verso). Del resto già Berio, anni fa, parlava di
diversi approcci, tutti necessariamente coesistenti, a un testo storicizzato.
In questo caso i vari livelli obbediscono tutti, in primis, a un principio
strumentale, nel senso che sono gli aspetti costitutivi degli stessi strumenti ad
arco utilizzati a suggerire e fornire le differenti soluzioni timbriche, melodiche
e armoniche. Si esplorano dunque diversi gradi di aderenza al testo con
collegamenti che evidenziano l’aspetto di passeggiata, come tra quadri di
un’esposizione».
La struttura del brano è la seguente:
introduzione-collegamento;
madrigale Io mi son giovinetta;
collegamento;
madrigale Quel augellin, che canta;
collegamento;
madrigale Che se tu sè ‘l cor mio.
Tre sono dunque i madrigali citati integralmente, tutti tratti dal IV Libro;
nei «collegamenti» Scodanibbio utilizza solo frammenti monteverdiani.
Tonino Tesei
Geografia amorosa
Foto di Alfredo Tabocchini
Negritudine, tribalità, “extra”.
Parte di una più ampia composizione indicata come “Geographica” questo
lavoro scava nelle potenzialità ritmico-percussive del contrabbasso che,
anche in questo territorio, si rivela “strumento delle meraviglie” convogliando
in sé le acquisizioni della tradizione degli archi e le innovazioni, le inquietudini,
le aperture della musica extracolta… oh Beat!
Stefano Scodanibbio
Lucida sidera
Lucida sidera è stato composto da Stefano Scodanibbio nel 2004 per
il quartetto Ensemble Italiano di Sassofoni. Gli strumenti impiegati sono otto,
4 sax soprani e 4 sax tenori: ogni membro del quartetto suona sia il sax
soprano che il sax tenore. Tale alternanza genera un gioco combinatorio di
possibilità timbriche che conferiscono al brano un colore prezioso e mutevole,
nonostante l’omogeneità dovuta alla scelta di adoperare solo due tra i quattro
strumenti della famiglia dei sassofoni, normalmente impiegati nella formazione
quartettistica.
Alle stelle che brillano in cielo – per l’appunto i Lucida sidera cantati dal
poeta latino Orazio (III carme, I libro) – corrispondono nella composizione
di Scodanibbio oggetti sonori fortemente caratterizzati, che vivono di luce
propria, i quali guidano l’ascoltatore nel fluire del brano. All’inizio appaiono
subito chiare due figure significative: una nota velocissima che risolve su
una nota più o meno lunga e una scala veloce. Altre figure compariranno,
intersecandosi tra loro e con le precedenti.
Si crea così un gioco di rimandi, di intrecci, di variazioni, di echi, che dà origine
a un percorso di ascolto ricco e articolato.
Gianpaolo Antongirolami
Contrapunctus V
Quattro pezzi spagnoli
Nel catalogo delle composizioni di Stefano Scodanibbio uno spazio importante
è occupato da elaborazioni di opere di altri compositori.
In tali «reinvenzioni» il suo ideale consiste nell’utilizzare diverse modalità di
trascrizione che interagiscono tra loro. A proposito è opportuno citare per
esteso il breve ma nitido testo che Scodanibbio ha redatto nel 2011:
«– Aspetto caleidoscopico, grazie all’uso dei suoni armonici, delle tecniche
d’arco e dei tempi rallentati
– Travestimenti-Straniamento
– Figure originali che emergono “sfumate” come da una certa nebbia (pittura
manierista) o da una garza (Degas)
– Ma anche divisionismo (Webern!) e filologia barocca».
Dal monumentale testamento bachiano che è l’Arte della fuga, Stefano
Scodanibbio ha rielaborato per quartetto d’archi i Contrapuncta I, IV e V.
La versione di Scodanibbio esalta la scrittura bachiana riverberandola in un
gioco di timbri e colori. Inoltre, il tempo «rallentato» (minima = 40 o meno)
prescritto in partitura mette in evidenza quel «congegno miracoloso» creato
dalle combinazioni contrappuntistiche.
«Il contrappunto di Bach» – scrive Berio – «è una meditazione sulla
pluralità del mondo: è uno sguardo che sembra penetrare profondamente
e trascendere il passato e il futuro. Ed anche per questo che ancora oggi
Bach vive dentro di noi in tutta la sua vastità e con tutti i suoi poteri di
autoriflessione: come quel profondo lago di un racconto indiano, che si mette
in cerca delle sue stesse sorgenti lontane. Lontane, vorrei aggiungere, anche
nel tempo, passato e futuro».
I Quattro pezzi spagnoli (originali per chitarra) hanno le seguenti
caratteristiche: tempo moderato, metro ternario, melodia chiaramente
articolata, struttura strofica ed elementi del folclore spagnolo.
Tale «materiale» melodico ed armonico abbastanza limitato è particolarmente
adatto ad una intensa esplorazione del parametro timbrico. In questi lavori,
trascritti per quartetto d’archi, Stefano Scodanibbio usa in modo intensivo
il pizzicato (ordinario, di mano sinistra, con «portamento», con «legatura
chitarristica»), gli armonici (spesso in combinazione con i suoni reali), le corde
vuote, le opposizioni tastiera/ponticello, il flautato e le sordine.
Il breve preludio tripartito Làgrima di Francisco Tàrrega (1852-1909) è in re
maggiore (la sezione mediana contrastante è in re minore).
Non presenta opposizioni tonali (è sempre in re minore) la struggente canzone
popolare catalana El testamento d’Amèlia di Miguel Llobet (1878-1938) allievo
di Tàrrega.
Una grazia settecentesca caratterizza l’Andante di Dionisio Aguado
(1784-1849); il brano ha la struttura formale di un minuetto: prima parte
(in re maggiore), trio (in sol maggiore), ripresa variata della prima parte.
Chiude la raccolta lo Studio in re minore di Fernando Sor (1778-1839) che
Scodanibbio trasforma in una serie di variazioni, evocando l’antica forma della
passacaglia.
Tonino Tesei
Canzoniere messicano
Sono trascorsi esattamente 30 anni dalla mia prima visita in Messico.
Da allora sono tornato tutti gli anni, con solo un paio di assenze giustificate,
anche per periodi lunghi. Uno dei risultati di questa mia fedeltà è stata la
realizzazione dell’opera radiofonica One says Mexico, nel 1998. Un ritratto
letterario, acustico e musicale attraverso i sensi del viaggiatore straniero.
La musica popolare messicana, così importante nella cultura di questo
paese (quanto forse lo era stata l’opera nell’Italia dell’800 e del primo ‘900),
era in parte presente, con ammiccamenti e minuscoli frammenti, ma veniva
senz’altro diluita e assorbita da un panorama variegato di idiomi, suoni,
colori, sapori, suggestioni di ogni sorta. Queste Canzoni messicane per
quartetto d’archi, ideale continuazione di One says Mexico, sono invece
riconoscibilissime e citate integralmente e, nel contesto del mio omaggio al
paese, rappresentano senz’altro dei momenti più caratterizzati.
Musicalmente non ci sono stravolgimenti armonici. È invece l’aspetto timbrico
a dominare queste “reinvenzioni” (come Luciano Berio soleva chiamare le sue
riscritture di autori del passato) che, con le sue rifrazioni dei suoni armonici,
assumono una dimensione caleidoscopica. La lezione di Webern, con la
sua orchestrazione del Ricercare dall’Offerta Musicale, rimane l’esempio
insuperabile del secolo XX.
Stefano Scodanibbio
2008
Ritorno a Cartagena
D’improvviso in una notte di maggio
Voyage Resumed
Sono già trascorsi dieci anni da quella sera di primavera in cui Stefano
suonava Voyage That Never Ends all’Accademia Tedesca di Villa Massimo,
un brano che aveva composto molti anni prima e che avevo avuto modo di
ascoltare su disco, mai dal vivo. Bene, quella sera si compì una vera magia:
rimasi folgorato da quella musica e dal modo in cui Stefano aveva stabilito
un legame con essa, quasi fosse una sua naturale emanazione. Conservavo
il cd che Stefano mi aveva regalato alla fine del concerto con quel pezzo
meraviglioso e cominciai ad ascoltarlo senza sosta. Capii allora che dovevo
incanalare tutta questa energia da qualche parte e fu allora naturale arrivare
alla conclusione che avrei proposto una versione per flauto dell’ultima parte
del brano, Voyage Resumed. Stefano fu felice dell’idea ma solo allora
iniziarono i problemi poichè non esisteva una vera partitura su cui lavorare.
Ricevetti il canovaccio utilizzato per costruire lo scheletro del pezzo (due
paginette scarne per un pezzo di 40 minuti....) con appunti sparsi sui centri
armonici, le permutazioni ritmiche etc. In realtà Stefano non aveva mai avuto
bisogno di metterlo su carta (o forse sarebbe meglio dire non aveva voluto)
perchè questa labilità gli permetteva di suonarlo sempre uguale al 70-80% ma
di mantenere il resto per variazioni estemporanee. Capii che l’unica possibilità
era di trascriverlo dal disco e così feci, nota dopo nota, andando avanti e
indietro sul nastro. Fu estenuante ma necessario e questo rituale mi proiettò
ancora di più all’interno di quel pezzo. Fatto questo ci incontrammo a Pollenza
per controllare che le trasposizioni che avevo adattato dal contrabbasso
fossero corrette; Stefano volle aggiungere alcuni effetti flautistici (voce, soffi)
per rendere la parte più strumentale e pensò bene di preparare un nastro (con
8 contrabbassi e suoni vocali) che avvolgesse la parte dal vivo per dargli uno
spessore magico. Fu così che Voyage Resumed vide la sua prima esecuzione
a Roma, al Teatro Palladium per il Festival Scelsi, nell’ambito del Festival
RomaEuropa il 22 novembre 2005. D’improvviso in una notte di maggio e
Ritorno a Cartagena (2003) rappresentano invece i due estremi di un viaggio.
Non è un caso parlare di viaggi quando si parla di Stefano, non è un caso
che questi fossero una passione comune e che spesso ci scambiassimo
itinerari, alberghi e indirizzi di luoghi incontrati nel nostro inquieto girovagare.
D’improvviso in una notte di maggio è un punto di partenza. Ho ricevuto la
copia di questo pezzo per posta come se fosse una cartolina. Sulla partitura
c’è una data, 1980 (periodo di apprendistato con Sciarrino cui il brano deve
un tributo sincero) e una dedica: a Marielena (Arizpe, flautista messicana).
Ritorno a Cartagena è invece il punto di arrivo. Un brano lungamente meditato,
voluto, desiderato. Il flauto basso qui è un semplice risuonatore.
Le azioni indipendenti delle due mani e della bocca si fondono e si sommano
su linee indipendenti creando poliritmie di una complessità selvaggia.
La notazione sembra quasi quella di un’antica intavolatura: non sono segnate
le altezze dei suoni ma i gesti ritmici relativi alle modalità di produzione (dita
della mano sinistra, destra, lingua, soffio...). Rimane il disagio del nostro ultimo
pezzo incompiuto: un progetto per ottavino di cui Stefano aveva già tracciato i
contorni ma cui il destino non ha voluto concedere tempo.
Manuel Zurria
9 marzo 2013
Labore navigacionis
Fare una versione, una riduzione, per piano solo di un pezzo per due
pianoforti, vuol dire scolpire e sottrarre perché la musica è già “dentro”.
Le linee portanti dei materiali sono i cardini da cui si comincia a lavorare
scoprendo la mutazione; una metamorfosi degli elementi primari.
Dall’acqua, componente della struttura d’origine (Sí come nave pinta da buon
vento, era il titolo), alla terra; marciare e camminare invece che navigare.
Sí, perché Labore navigacionis è, per me, una sorta di processionale
implacabile che scandisce inesorabilmente l’immanente. Accordi dissonanti,
pulsazione ritmica costante, rapide figurazioni e tensioni dinamiche sono la
genesi di un labore indefinito; “io sono qui che mi interrogo ancora” ha scritto
Sanguineti. Camminare è anche condurre-ora (riduzione): la musica, le idee,
la gratitudine, l’amicizia; oltre la vita.
Fausto Bongelli
Ottetto
Senza capo né coda. Sauvagerie totale, orizzonti dischiusi.
Documentare un’attività solitaria. Manualità fuori da ogni ordine precostituito.
Musica come maniera di esistere. Bio-grafismo. Stato di grazia...stato di
veglia…accettando il disordine linguistico e il disorientamento esistenziale.
Perturbati. Metodologia feticistica. Progettazione precisa e intensa
formalizzazione dei materiali sonori, dei gesti strumentali, ma poi scrittura à la
diable. Contro il ben fatto, col suo capo e la sua coda.
Ne se priver de rien, il contrario dell’amministrarsi con cautela, non rifiutandosi
nessuna crudeltà di sintassi. Sconfinata distesa di foglietti e notine, appunti e
paperoles. Collage, assemblage, bricolage. Integrazione frammentaria totale.
Summa, elenco, deposito, ricettacolo, ...catechismi, inventari, erbari.
Procedendo per accumulo e congerie e frammenti, disponendosi a tutti i
significati probabili, inglobando i materiali più sfacciatamente eterogenei.
Aprirsi all’erranza, allo sbilanciamento.
Stefano Scodanibbio
In D
In C è senza dubbio uno dei lavori più rivoluzionari del ‘900. Composto ed
eseguito nel 1964 ha lanciato quello che poi si sarebbe chiamato il movimento
minimalista. Tra gli interpreti della prima esecuzione a San Francisco si
trovavano Steve Reich, Jon Hassell, Pauline Oliveros, Jon Gibson, Morton
Subotnick ed altri che sarebbero diventati i capiscuola della generazione
post-Cage. La struttura del lavoro è molto semplice: un gigantesco canone
all’unisono per un numero variabile di esecutori sostenuti dall’ostinato in
ottava della nota Do (C, in inglese) del pianoforte che inizia, chiude e funge
da metronomo durante tutto il pezzo. Gli esecutori eseguono una serie di 53
moduli ritmico-melodici che vanno da una sola nota a frasi più complesse.
L’ordine dei moduli è fissato ma ogni esecutore è libero di ripeterli quante
volte desidera entrando e uscendo senza allontanarsi troppo dal cammino
collettivo. L’effetto e quello di un cristallo scintillante ed effervescente che
ruota lentamente cambiando impercettibilmente di colore da un netto Do
maggiore a un luminoso Mi minore, poi di nuovo a un trionfante Do maggiore e
finalmente a un oscuro ed enigmatico Sol minore. Questa versione di Stefano
Scodanibbio per un ensemble variabile di contrabbassi, autorizzata da Terry
Riley, mette in gioco le possibilità della corda Re (D, in inglese) che è quella
che più si presta, negli archi scuri, ad articolazioni timbriche ed armoniche.
Oltracuidansa
(lettera rispedita
al mittente)
Oltracuidansa è un mistero.
Già il suo nome (perfino la sua
pronuncia e la sua sonorità) ci
conducono in un luogo ignoto.
Solitamente applichiamo il termine
misterioso a quasi tutto quello che
non riusciamo a comprendere,
procedimento che ritengo sbagliato.
Il mistero lo attraversiamo,
lo impariamo e lo possiamo persino
respirare. Il mistero non risulta
ermetico per chi lo patisce e ne gode,
nel mistero penetrano il corpo e
la mente, i sensi ne bevono fino
ad ubriacarsi, il mistero è qualcosa
di tangibile e luminoso; non ha nulla
di oscuro né di etereo.
L’errore consiste nell’affermare che
il mistero è insondabile, invece quello
che si cerca di dire, mi sembra, è che
il misterioso è inspiegabile.
Conosciamo il mistero, solo che, per
fortuna, non riusciamo a esprimerlo.
Si tratta di un’esperienza
intrasferibile, un segreto che
custodiamo in silenzio.
Jorge Luis Borges, a proposito del
(mistero del) tempo, diceva:
Se non me lo chiedono, lo so;
però se me lo chiedono non lo so.
Oltracuidansa
Oltracuidansa è così. Se non me lo
chiedono, io capisco il suo alfabeto e
la sua calligrafia, il suo tempo, i suoi
colori. Ma se invece mi chiedono
di Oltracuidansa, non so cosa dire.
Nella registrazione di questo brano
di circa un’ora, si possono ascoltare
nitidamente suoni emessi da diversi
tipi di animali, alcuni così evocativi
che ci permettono di ricreare nel
nostro immaginario nuove specie,
esseri fantastici, si percepisce anche
uno strumento a fiato – un oboe mi
pare – e altri suoni elettronici.
Poi ci si rende conto che niente
di tutto ciò è vero, che tutto è
un’illusione, che non c’è una sola
risonanza nella registrazione
del brano che non provenga dal
contrabbasso di Stefano Scodanibbio;
sono combinazioni di suoni puri
che l’interprete e compositore ha
registrato in studio utilizzando
molteplici modi di affrontare
lo strumento.
Per accompagnare l’ascolto
di Oltracuidansa nella Rassegna
2013, ho deciso di attaccare uno
dietro all’altro e senza pretesa
narrativa, alcuni video girati con il mio
stupido telefonino durante gli ultimi
tre anni, come fogli sciolti strappati
da un diario.
Sono immagini che non ho mai
pensato di utilizzare in un’opera,
sequenze fatte forse perché in
quel momento mi stavo annoiando,
materiali che non sono in relazione
con la composizione di Stefano:
non ho registrato niente con
l’intenzione di unirlo a Oltracuidansa.
Al momento di mettermi a lavorare
su questa musica – in seguito alla
proposta di Maresa Scodanibbio
– e dopo aver scartato vari strade,
sono giunto alla conclusione che
questa era la migliore che potessi
intraprendere, il meglio che potessi
fare: aggiungere i fogli strappati dal
mio diario al diario sonoro del mio
stimato amico. È un modo – vedremo
se completamente illusorio o no –
di stare di nuovo insieme.
Rodrigo García
Oltracuidansa
Quando Giorgio Agamben mi diede
le tre pagine che costituiscono
“La fine del pensiero” ho subito
pensato che non poteva esserci un
testo più stimolante per un musicista.
I concetti fondamentali di questa
opera – la voce, il pensiero,
il linguaggio – sono concetti chiave
per un compositore/strumentista sui
quali non si cessa mai di riflettere.
Ed esattamente questo vorrebbe
essere il senso di questo lavoro, un
interrogarsi radicale sul rapporto tra
corpo e strumento.
Qual’è il linguaggio del contrabasso?
Come dar voce a un pensiero? Tra la
varietà delle voci del contrabbasso,
tra le sue mille voci (“Une seule et
même voix pour tout le multiple aux
mille voix”, diceva Deleuze) come
trovare la Voce? è forse il linguaggio
che nasconde la voce? E infine se “la
fuga della voce nel linguaggio deve
aver fine”, se “il pensiero compiuto
non ha più pensiero”, non ci si
affaccia forse sul baratro del silenzio?
Tra i miei lavori per contrabbasso
questo è senz’altro quello che
più ne esplora il suo “divenire
animale”. Un moltiplicarsi dei corpi
e degli strumenti, un’estensione
dell’uno sull’altro, si mettono ora in
movimento.
Dopo secoli di balbettii e di imitazioni,
questi sembrano finalmente essere
gli anni della piena espressione
del contrabbasso. Tutte quelle che
erano le sue connotazioni negative
(la grandezza, la lunghezza della
tastiera, la pesantezza, il suo registro
abissale, in breve il suo essere
“a misura d’uomo”) sono ora, grazie
alle tecniche nuovissime sorte
negli ultimi decenni, ribaltate in
positivo offrendo così un ventaglio
di possibilità sonore difficilmente
riscontrabili in altri strumenti a corde.
A questo allude anche il titolo del
pezzo. Il provenzale “oltracuidansa”
che è all’origine della parola
tracotanza deriva, secondo le
parole di Agamben, da un latino
“ultracogitare”: eccedere, passare
il limite del pensiero, soprappensare,
spensare.
Oltracuidansa può essere considerato
la controparte del mio precedente
lavoro per contrabbasso solo
Voyage That Never Ends. Mentre
Voyage esplorava glia spetti ritmici
e timbrici di un suono generatore
(una corda generatrice, in realtà),
Oltracuidansa scava ora nelle
viscere dello strumento, rivelando
lati oscuri e animaleschi del
contrabbasso attraverso l’uso di
tecniche non convenzionali. Lontani
dall’effettismo, tutti i suoni prodotti
sono risultato di 20 anni di pazienti
ricerche minuziosamente catalogate,
sistematizzate, precisamente
trascritte e notate. Infatti non credo
ci sia una grande differenza tra
tecniche classiche e contemporanee
quando queste ultime sono trattate
con la stessa cura, rigore e maniacale
esattezza.
Ho registrato così, quasi 6 ore di
materiali sonori al contrabbasso.
Questi sono stati selezionati, tagliati
e usati in maniera polifonica con un
sistema digitale multi traccia. I suoni
non sono stati filtrati o elaborati
elettronicamente.
è stato usato solo un dispositivo
di riverbero.
I suoni del nastro, tutti prodotti
dal contrabbasso, sono ottenuti
attraverso l’articolazione di 26
tecniche o modi di produzione
del suono:
Rimbalzo verticale del crine
(“rimbalzo infinito”), Arco obliquo,
Arco circolare, “Rumore” (arco tratto
lentissimo fino al “dente di sega”),
Arco verticale lentissimo (anche
arco preso con due mani su corde
libere), Staccato di crine (ossia
spazzolato staccato), Battuto di
crine, Tamburellato di mano sinistra
su punta d’arco, “Staffilato” di arco
con legno e crine, “Soffio” di crine,
Arco sul tasto “à la clarinette basse”,
Finger Percussion al di sopra della
posizione, Pizzicato al di sopra della
posizione, Rullo di mano destra,
Pizzicati ottavati e di quindicesima,
Pizzicato “grasso” con due dita,
Mandolinati, “Sfriscio” d’unghia,
Glissandi di armonici artificiali,
Articolazioni di armonici naturali
in regioni estreme, Multifonici con
posizione tra arco e ponte, “Bottone”
d’arco intorno all’ottava della
posizione, Pizzicato mano sinistra
su bottone premuto, Rimbalzo di
legno su corda vuota pizzicata,
Contrabbasso “preparato” con clips,
Suoni percussivi.
Il nastro è stato prodotto al CCMIX
(Centre de Création Musicale Iannis
Xenakis) di Parigi.
La prima esecuzione è avvenuta a
Stoccarda (Festival Éclat, 1.2.2002).
Altre esecuzioni si sono avute a
Los Angeles (County Museum of
Art, 6.5.2002) e Bourges (Festival
Synthèse, 3.6.2002).
Una parte di questo brano è stata
utilizzata per uno spettacolo di danza
(“La fine del pensiero”,1998) di
Hervé Diasnas con testo di Giorgio
Agamben su nastro.
Stefano Scodanibbio
gennaio 2002
Devo concentrarmi di più,
mettere merda e sangue
al posto dell’ingegno
Bertolt Brecht, 20 agosto 1920
Moralista paradossale, Rodrigo
García torna alle origini del rito
teatrale – il suo ruolo, il suo impatto,
quello che mette in gioco – stimola
tutti i sensi dello spettatore, nello
svolgersi di un’esperienza intima e
pubblica allo stesso tempo.
Questo teatro suscita, in ogni forma,
una reazione: fisica e intellettuale,
intempestiva, dubitativa. Potremmo
pensare che esagera quando ci
mostra nel dettaglio come scaviamo
le nostre tombe, ciecamente ed
inopinatamente. Ma è lui che esagera
davvero? Quando in realtà fa sì che
lo scenario sia l’occhio del ciclone,
una spazio effimero, depositario
del rumore e della furia delle nostre
società domestiche e guerriere.
Qui l’esagerazione è la condizione
per misurare lo stato delle cose.
Rodrigo García opera per
la cristallizzazione dei “luoghi
comuni”, cerca il contatto con i
nostri demoni e le altre mitologie
contemporanee. Nei suoi racconti
dimostra come la pubblicità è
infiltrata in tutti i luoghi della nostra
esistenza, sostituendosi alla politica e
governando dietro la sua maschera.
Crea e distrugge tutto quello
che crediamo di conoscere,
ma che nonostante tutto ci rifiutiamo
di vedere: il nostro personale e
crescente coinvolgimento in questo
sistema. Per questo gli si affibbia
l’etichetta di “provocatore”.
Ma non sarà questo sentimento
di provocazione il segno che il suo
lavoro risveglia la nostra capacità
di essere spettatori ancora vivi,
capaci di stupirci, di esercitare
il nostro giudizio, di indignarci?
Da qualche anno ormai, sa come
affrontare il successo e le sirene
della fama commerciale.
Irriducibile alla moda che lo circonda
e lo elogia per denigrarlo meglio
una volta passato l’onda, ha saputo
frenare la spirale di una produzione
esponenziale e privilegiare un
processo artigianale di creazione
che scava sempre più a fondo.
È da notare che Rodrigo García,
come Swift e Brecht, chiama i suoi
spettacoli, video ed istallazioni
“proposte”.
Tocca a noi accoglierle ed usarle.
Philippe Macasdar
Rodrigo García (1964)
trascorre l’infanzia e l’adolescenza
nel sobborgo Yparraguirre de
Grand Bourg, una baraccopoli
nella provincia di Buenos Aires in
Argentina. Lavora come fruttivendolo,
macellaio, fattorino e creativo
pubblicitario, occupazioni che
abbandona per dedicarsi al teatro.
Risiede prima a Madrid, dove fonda
la sua compagnia La Carnicería
Teatro, e in seguito in Asturias.
Produce i suoi lavori, fra gli altri,
con il Teatro Pradillo di Madrid,
il Teatro Nazionale di Bretagna,
il Festival di Avignone, la Biennale
di Venezia, il Festival d’Automne
di Parigi.
Nel 2009 l’UNESCO gli conferisce l’XI
Premio Europa Nuove Realtà Teatrali.
Rodrigo García è autore e regista
di numerosi spettacoli come: Esto
es así y a mí no me jodáis (2010),
Muerte y reencarnación en un
cowboy (2009),Versus (2008), En
algún momento de la vida deberías
plantearte seriamente dejar de hacer
el ridículo (2007), Cruda, vuelta y
vuelta, al punto, chamuscada (2007),
Arrojad mis cenizas sobre Mickey
(2006), Aproximación a la idea de la
desconfianza (2006), Prefiero que
me quite el sueño Goya a que lo
haga cualquier hijo de puta (2004),
Agamenon (2003), Rey Lear (2003),
Jardinería Humana (2003), La historia
de Ronald el payaso de Mc Donalds
(2002), Compré una pala en IKEA
para cavar mi tumba (2002), After
Sun (2000), Borges (1999).
Ottetto, legenda
Il giuoco insolente del teatro contro la
dolce serietà della maschera sociale.
Rodrigo García avanza sul campo
minato del mondo, lo imita,
lo mette alla prova, intesse il gioco e
lo esaspera fino a farlo crollare sopra
a quello del teatro.
Da questo atteggiamento pericoloso
nasce un’arte fragile ed inquieta,
di riflessione e di lotta. Rifiutando la
politica dello struzzo ci invita a non
perdere la speranza nell’incanto della
rappresentazione. Come prova di
future rivolte allegre ed emancipatrici.
Tonino Battista
Ha studiato pianoforte, direzione di coro, musica elettronica e composizione
a Perugia; ha seguito i corsi di direzione d’orchestra con Daniele Gatti
a Milano e con Peter Eötvös in Ungheria e in Olanda e ha frequentato
le masterclass di Nono, Stockhausen e Bernstein. Tra il 1987 e il 2000 è stato
direttore principale de l’Artisanat Furieux Ensemble di Perugia, del Logos
Ensemble di Latina e del Veni Ensemble di Bratislava.
Nel 1996 ha diretto l’Ensemble Modern nell’esecuzione di Mixtur
di Stockhausen a Darmstadt.
Dal 2000 al 2004 ha diretto la Kyoto Philharmonic Chamber Orchestra
con cui, nell’autunno del 2002, è stato in tournée anche in Italia.
Ha diretto al Teatro Lirico Sperimentale e al Festival dei Due Mondi
di Spoleto, al Festival di Norwich-Norfolk, al Cantiere Internazionale d’Arte
di Montepulciano; ha diretto l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra
Sinfonica di Perugia, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra
Cantelli di Milano, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, l’Orchestra del Teatro
Comunale di Bologna, Gli Archi di Firenze, l’Orchestra Barocca di Osaka,
la Tokyo New Sound Orchestra, la Bunri Daigaku Tokushima Orchestra e altre
formazioni internazionali.
Dal 2009 è direttore stabile del PMCE Parco della Musica Contemporanea
Ensemble, con cui ha debuttato nell’opera Le streghe di Venezia di Philip
Glass in prima mondiale a Roma e in seguito al teatro dell’Opera
di Amsterdam.
Nell’autunno del 2012 ha diretto il PMCE alla prima europea dell’opera
The News di Jacob Ter Veldhuis ed un concerto con musiche di Stravinsky,
Pärt e Glass all’Accademia Nazionale di S. Cecilia di Roma.
Fausto Bongelli
Da Il cielo sulla terra_ foto di Lorena Alcaraz Minor
Ha suonato in Austria, Germania, Spagna, Croazia, Francia, Turchia, Ungheria
e sue esecuzioni sono state trasmesse dalla Rai, Radio National de España,
Radio Colonia e Radio Saarbrücken Germania, Klassikaraadios Estonia,
Radio Charts Canada, Yle radio Finlandia, Radio National Messico, New
Classical Radio Tennesse Usa e Radio Svizzera Italiana.
Ha pubblicato 23 CD per alcune tra le più importanti case discografiche:
Naxos (Hong Kong), New Albion (Usa), col legno (Austria), Rca (Spagna),
Wergo (Germania), Ricordi e Stradivarius, Rai Trade, Edipan e Vdm.
I suoi dischi sono stati recensiti da: American Record Guide, Amadeus,
Classic Voice, Guardian, Music Web International, Ritmo, Suonare News,
Giornale della Musica, Evolution Music.
È autore del libro Pianoforte e Isometria che ha suscitato notevole interesse
per i concetti innovativi e per la particolare visione dell’approccio muscolare
della tecnica pianistica.
Ludus Gravis
Daniele Roccato – contrabbasso principale
Stefano Battaglia, Paolo Di Gironimo, Simone Masina,
Andrea Passini, Giacomo Piermatti, Francesco Platoni,
Alessandro Schillaci – contrabbassi
Ensemble di contrabbassi dedito all’esecuzione di musica contemporanea,
è nato dall’incontro fra Stefano Scodanibbio e Daniele Roccato.
Ha debuttato nel Marzo 2010 presso l’Auditorio Nacional di Madrid.
L’ensemble ha all’attivo la partecipazione a festival internazionali quali
La Biennale di Venezia, Musica D’Hoy di Madrid, Rassegna di Nuova Musica
di Macerata, AngelicA di Bologna, Imago Dei di Krems (Vienna), Music of
Changes di Klaipeda (Lithuania), Gaida di Vilnius (Lithuania), Unicum di
Ljubljana (Slovenia), Borealis di Bergen (Norvegia), Vinterfestuka di Narvik
(Norvegia).
Ha effettuato registrazioni radiofoniche per Rai RadioTre, Sky ARTE e un CD
per l’etichetta discografica Wergo.
Collabora con lo scrittore, drammaturgo, attore Vitaliano Trevisan e ha lavorato
a contatto con Hans Werner Henze, Sofia Gubaidulina e Julio Estrada.
Data la sua straordinaria originalità, Ludus Gravis si pone come un’autentica
novità nel panorama concertistico internazionale.
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Fondata nell’anno 1985 ed oggi gestita dalla Fondazione Orchestra Regionale
delle Marche (FORM), è una delle tredici Istituzioni Concertistiche Orchestrali
italiane (ICO) riconosciute dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Attualmente il M° Donato Renzetti ne è il Direttore Principale ed Artistico.
Formata per la maggior parte da valenti musicisti marchigiani, fra cui molti
giovani, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana affronta con notevole flessibilità
il repertorio sia lirico, sia sinfonico, distinguendosi di conseguenza per una
particolare duttilità sul piano artisticointerpretativo, come rilevato da tutti
gli interpreti e i direttori d’orchestra che con essa hanno collaborato.
Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella realizzazione
della Stagione Sinfonica in ambito regionale e nella partecipazione alle più
importanti manifestazioni a carattere lirico delle Marche (Teatro Pergolesi di
Jesi, Sferisterio Opera Festival di Macerata, Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro
delle Muse di Ancona), si è esibita con grandi interpreti come Gidon
Kremer, Natalia Gutman, Vladimir Ashkenazy, Andrea Bacchetti, Alessandro
Carbonare, I solisti della Scala, Ivo Pogorelich, avvalendosi della guida di
direttori di prestigio internazionale, quali Gustav Kuhn (Direttore Principale
dal 1997 al 2003), Woldemar Nelsson (Direttore Principale Ospite dal 2004 al
2006), Daniel Oren, Donato Renzetti, Bruno Campanella, Corrado Rovaris,
Anton Nanut, Hubert Soudant.
Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei compositori
marchigiani del passato, soprattutto Pergolesi, Rossini e Spontini,
promuovendo nel contempo anche l’attività dei maggiori compositori
marchigiani contemporanei.
Collabora con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose della
regione Marche. Realizza inoltre circuiti di concerti destinati al pubblico
scolastico.
Dal 1998 al 2002 è stata orchestra principale del Festival Snow & Symphony
di St. Moritz. Nel maggio del 2003 ha effettuato una tournée di concerti in
Austria con il sostegno del Consolato Italiano di Innsbruck e dell’Istituto
Italiano di Cultura.
Nel 2005 è stata invitata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
ad eseguire, in collaborazione con il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”,
il tradizionale Concerto di Fine Anno al Quirinale sotto la direzione del Maestro
Donato Renzetti, riscuotendo apprezzamenti critici e un grande successo
di pubblico. Nel 2006, in occasione dei 250 anni dalla nascita di Mozart,
ha realizzato con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Provincia
di Macerata il progetto “Sinfonie d’organo”, un concerto itinerante teso
alla valorizzazione del patrimonio degli antichi organi delle Marche nello
splendore artistico dei luoghi che li ospitano.
Nel Natale del 2006, sotto la direzione di Corrado Rovaris, ha eseguito
in tournée a Roma, Betlemme e Gerusalemme il “Concerto per la Vita e
per la Pace”, con il soprano Cinzia Forte e il violoncellista Enrico Dindo.
Il concerto è stato trasmesso in differita su RAI 1 e su RADIO 3.
Nel luglio 2009, nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo, l’Orchestra
ha partecipato insieme al chitarrista Giovanni Seneca al Festival
Internazionale di Izmir (Turchia) con il concerto “Serenata mediterranea”,
successivamente riproposto, nel 2010, al Festival Internazionale
di Hammamet.
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è presente sul mercato discografico
con numerose incisioni, tra cui si segnalano: La Serva Padrona e Stabat Mater
di G. B. Pergolesi, Guntram di R. Strauss, Rossini Ouvertures, Le nozze
di Figaro di W. A. Mozart, Oberto Conte di San Bonifacio e Preludi e Ouverture
di G. Verdi, Sinfonia n. 9 di G. Mahler, e con diverse opere liriche in DVD:
L’elisir d’amore di Donizetti realizzato dalla Rai, I racconti di Hoffmann di
Offenbach, Macbeth di Verdi, Norma di Bellini, Maria Stuarda di Donizetti.
Giacomo Piermatti
Nasce a Foligno (Pg) nel 1986. Sotto la guida di Daniele Roccato, nel 2007
si diploma al conservatorio di musica di Perugia con il massimo dei voti e nel
2011 ottiene il diploma accademico di II livello con il massimo dei voti e la lode.
Collabora con orchestre quali Orchestra Sinfonica di Perugia e dell’Umbria,
Orchestra dell’Impresario e I solisti di Perugia.
Fa parte dell’ensemble Ludus Gravis, unica formazione in ambito
internazionale costituita da soli contrabbassi e dedita interamente alla musica
contemporanea.
Con questa formazione, sotto la direzione artistica di Stefano Scodanibbio,
ha all’attivo la partecipazione ai festival internazionali Musica d’Hoy di
Madrid, Rassegna di Nuova Musica di Macerata, Angelica di Bologna,
Music of Changes di Claipeda, Gaida di Vilnius. Ha effettuato registrazioni
radiofoniche per RadioTre e discografiche per Wergo. È stato premiato al
concorso internazionale “Valentino Bucchi”, edizione 2011. In qualità di solista
è intervenuto al Festival di musica contemporanea italiana, tenutosi nel 2011
presso “Area Sismica” di Forlì.
Attivo nella musica sperimentale, ha partecipato all’improvvisazione guidata
da Giancarlo Schiaffini e alla Conduction di Butch Morris in occasione della
XXIX Rassegna Nuova Musica di Macerata.
Quartetto di sassofoni Alea
Gianpaolo Antongirolami
Gabriele Giampaoletti
Roberto Micarelli
Luca Mora
Attivo dal 1998, ha come obiettivo primario la ricerca e l’innovazione del
repertorio. La formazione ricca di potenzialità, suscita sempre maggior
interesse nelle nuove generazioni di compositori e nel pubblico. Grande
attenzione è data ai recenti contributi dei più significativi compositori europei e alle ultime correnti della musica americana, senza dimenticare il repertorio del Novecento e le incursioni nel mondo del jazz e della trascrizione colta. I componenti del quartetto, docenti titolari in Conservatori di musica, svolgono intensa attività concertistica, collaborano con prestigiose orchestre, effettuano registrazioni radiofoniche, televisive e discografiche, e tengono corsi di alto perfezionamento presso importanti istituzioni italiane ed europee.
Quartetto Prometeo
Giulio Rovighi – violino
Aldo Campagnari – violino
Massimo Piva – viola
Francesco Dillon – violoncello
Risultato vincitore della 50° edizione del Prague Spring International Music
Competition nel 1998, il Quartetto Prometeo è stato insignito anche del Premio
Speciale Bärenreiter per la migliore esecuzione fedele al testo originale del
Quartetto K590 di Mozart, del Premio Città di Praga come migliore quartetto
e del Premio Pro Harmonia Mundi.
Nel 1998 il Quartetto Prometeo è stato eletto complesso residente della
Britten Pears Academy di Aldeburgh e nel 1999 ha ricevuto il premio Thomas
Infeld dalla Internationale Sommer Akademie Prag-Wien-Budapest per le
“straordinarie capacità interpretative di una composizione del repertorio
cameristico per archi” ed è risultato secondo al Concours International de
Quatuors di Bordeaux.
Nel 2000 è stato nuovamente insignito del Premio Speciale Bärenreiter al
Concorso ARD di Monaco.
Sin dall’inizio, al Prometeo sono state destinate importanti borse di studio dalla
Scuola di Musica di Fiesole e dall’Accademia Chigiana di Siena, che nel 1995
gli ha attribuito il prestigioso Diploma d’Onore.
Questa la brillante carriera internazionale: Concertgebouw di Amsterdam,
Musikverein, Wigmore Hall, Aldeburgh Festival, Prague Spring Festival,
Mecklenburg Vorpommern Festival, Wexford Festival, Orlando Festival,
Festival “Die Lange Nacht der Elektronischen Klange 2000” di Berlino,
Waterfront Hall di Belfast per la BBC, Grand Théâtre di Bordeaux, Foundation
Royaumont (prima esecuzione assoluta di Strada non presa di Stefano
Gervasoni dedicato al Prometeo), Auditorium Musée d’Orsay di Parigi.
In Italia ospite dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma (prima assoluta
di Esercizi di tre stili di Salvatore Sciarrino dedicati al Prometeo), Società
del Quartetto di Milano (prima italiana di Târ di Ivan Fedele), Settimana
Musicale Senese, Settimane Musicali di Stresa, Festival delle Nazioni di Città
di Castello, Società Veneziana dei Concerti, Sagra Musicale Umbra, GOG
di Genova, Associazione Scarlatti di Napoli, Amici della Musica di Firenze,
Festival Sinopoli di Taormina.
Sempre attento alle espressioni musicali del nostro tempo, il Quartetto
Prometeo da sempre affianca il repertorio tradizionale a quello
contemporaneo. Particolarmente intensa la collaborazione con Salvatore
Sciarrino che ha dedicato al Prometeo gli Esercizi di tre stili e il nuovo
Quartetto n. 8 per archi commissionato dalla Società del Quartetto di Milano,
Aldeburgh Festival, Ultima Festival di Oslo e dal MaerzMusik Festival
di Berlino e recentemente registrato per Kairos in un CD monografico.
Prosegue anche la collaborazione con Ivan Fedele di cui il Prometeo nel 2011
ha inciso il quartetto Palimpsest e ha interpretato il nuovo quartetto per archi
e voce commissionato dall’Accademia Filarmonica Romana.
Il Quartetto Prometeo ha recentemente inciso anche l’integrale di Hugo Wolf
per Brilliant, l’integrale dei quartetti di Schumann per Amadeus e per ECM
un cd con musiche di Stefano Scodanibbio.
Il quartetto è stato premiato con il Leone d’Argento alla Biennale di Venezia
del 2012.
Terry Riley
Nato a Colfax in California nel 1935, è un caposcuola, uno dei personaggi
più interessanti del panorama musicale degli ultimi quattro decenni.
Il suo collocarsi al crocevia delle esperienze e degli ambiti più diversi
(dall’avanguardia colta, al jazz, alla grande tradizione indiana) ne impedisce
la classificazione e lo rende una sintesi vivente dell’attuale magmatico
rimescolamento musicale.
Con In C del 1964, opera considerata come il manifesto della musica
minimalista, Riley ha influenzato tutta una generazione di musicisti, da Steve
Reich, Philip Glass e John Adams ad altri di estrazione pop quali i Curved Air,
Soft Machine, Who, Tangerine Dream e Robert Fripp, fino a certe musiche
di consumo cosiddette New Age.
Tra gli anni sessanta e settanta il lavoro di Riley si orienta verso concerti
solistici eseguiti al sassofono soprano e tastiere elettroniche in performance
chiamate All Night Concert della durata di svariate ore come An All Night Flight
svolto al Philadelphia College nel 1967 che durò ininterrottamente per otto ore
e mezzo.
Durante gli anni settanta Terry Riley, con La Monte Young, diventa allievo
del celebre cantante indiano Pandit Pran Nath e lo accompagnerà alla voce e
tampura in diversi tour in occidente. A quegli anni risale anche il suo incontro
con David Harrington, fondatore del Kronos Quartet con il quale Riley inizia
una collaborazione che continua tuttora scrivendo diversi quartetti per archi
quali Cadenza on the night plain, Salomè dances for peace, G Song, Dream
Collector, Requiem for Adam. Tra gli anni ottanta e novanta collabora con
il Rova Saxophone Quartet e gli ensemble Array Music e Zeitgeist.
Tra i suoi lavori più importanti va ricordato il monumentale The Harp of New
Albion per pianoforte accordato secondo l’intonazione naturale.
Recenti lavori includono: SolTierraLuna per 2 chitarre, violino e orchestra
e The Transylvanian Horn Courtship per strumenti Stroh, The Universal Bridge
con cui ha inaugurato il grande organo della Disney Hall.
Virgilio Sieni
è stato nominato Direttore del Settore Danza della Biennale di Venezia per
gli anni 2013, 2014 e 2015. Protagonista della scena contemporanea italiana
a partire dai primi anni ‘80, Virgilio Sieni è oggi coreografo e danzatore
conosciuto a livello internazionale, “tra i pochissimi capaci tramite
il movimento di dar vita a composizioni che parlano ancora dell’“umano”,
delle sue debolezze e fragilità” (Goffredo Fofi) e “le cui opere si offrono
come un pensiero in forma di danza e sulla danza” (Roberto Giambrone). Sieni si è formato alla danza classica e contemporanea ad Amsterdam,
New York e Tokyo, ma il suo percorso comprende anche studi di arti
visive, architettura e arti marziali. Nell’83 ha fondato la Compagnia Parco
Butterfly, che nel 1992 diventa Compagnia Virgilio Sieni, con cui, fra i tanti
riconoscimenti, vince tre premi UBU - nel 2000, nel 2003 e nel 2011, anno in
cui ottiene anche il premio della rivista “Lo Straniero”. In qualità di coreografo
ospite, ha creato balletti per i principali Enti Lirici e istituzioni teatrali italiane:
Teatro alla Scala di Milano, Teatro Comunale di Firenze - Maggio Musicale
Fiorentino, Teatro Massimo di Palermo, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro
dell’Opera di Roma. Osso, La natura della cose, tratto dal De rerum
natura di Lucrezio con la collaborazione del filosofo Giorgio Agamben per la
drammaturgia, Solo Goldberg Improvisation, Tristi tropici, liberamente ispirato
all’omonimo testo di Claude Lévi-Strauss e De anima, ispirato ad Aristotele,
sono alcuni dei titoli più significativi della sua produzione. Per la creazione dei suoi lavori Sieni si è spesso avvalso della collaborazioni
di artisti visivi, musicisti e compositori di fama, come Alexander Balanescu,
Ennio Morricone, Steve Lacy, Francesco Giomi/Tempo Reale, Evan Parker,
Stefano Scodanibbio, Grazia Toderi, Liliana Moro, Maurizio Nannucci, Flavio
Favelli. Insieme alla sua compagnia, Sieni affianca alla creazione di spettacoli
un programma di ricerca, studio, diffusione del linguaggio coreografico
contemporaneo articolato in progetti di residenza, produzione e formazione. Dal
2003 dirige infatti, a Firenze, Cango Cantieri Goldonetta e dal 2007 l’Accademia
sull’arte del gesto, finalizzata alla trasmissione delle pratiche artistiche e alla
definizione di un nuovo rapporto tra formazione e produzione, rivolto sia a
professionisti che a gruppi di neofiti della danza, dall’infanzia alla terza età ai
non vedenti. Cura la collana editoriale Il Gesto della casa editrice Maschietto
Editore di Firenze. Filo conduttore del progetto è l’intento di incorporare in ogni
volume, attraverso visioni e intersezioni inedite, il senso del gesto, la pratica
performativa, la ricerca iconografica, la riflessione teorica e poetica.
Yoichi Sugiyama
Nato a Tokyo nel 1969, ha studiato direzione d’orchestra con Emilio Pomarico
e Morihiro Okabe e composizione con Franco Donatoni, Sandro Gorli e
Akira Miyoshi. È attivo sia come direttore che come compositore in Europa e
Giappone. Ha diretto prestigiose orchestre ed ensemble internazionali tra cui:
Ensemble Modern Orchestra Frankfurt, Klangforum Wien, Kammerensemble
Neue Musik Berlin, Remix Ensemble Porto, Gumma Philharmonic Orchestra,
Orchestra del Friuli Venezia Giulia, Orchestra Milano Classica, Collegium
Novum Zurich, Alter Ego, Icarus Ensemble, Divertimento Ensemble, Ensemble
Antidogma, Fontana Mix. È stato ospite di rassegne internazionali quali Wien
Modern, Automne a Paris, Milano Musica, Auftakt/Alte Oper, Klangwege,
Winter music/Akademie der Kuenste Berlin, Settembre Musica, Musik im
Industrie Raum, Mittelfest, Angelica, REC Festival d’Autunno, Festival
Internacional de Musica de Espinho.
Si è inoltre esibito presso La Philharmonic Hall a Berlino, Wiener Konzerthaus,
Alte Oper a Francoforte, Cité de la Musique a Parigi, Casa de Musica a Porto,
Teatro Regio di Torino, Teatro Regio di Parma, Teatro Giovanni di Udine.
Alcune di queste esecuzioni sono state riprese da RAI SAT e RAI 3 FM.
Alcune fra le sue ultime composizioni sono state eseguite in prestigiosi
festival internazionali: Milano Musica (2003,2004), Biennale di Venezia
(2000), Takefu Internatioal Music Festival (2003), Tiroler Festspiel Erl (2000),
Angelica Bologna (2005), REC Festival d’Autunno Reggio Emilia(2005). Ha
vinto il Premio SIAE nel 1994, durante un corso con Franco Donatoni presso
l’Accademia Chigiana; ha inoltre seguito master courses e workshops tenuti
da Luis de Pablo (Milano,1996), Adriano Guarnieri (Milano, 1996) e dalla
London Sinfonietta (Tokyo, 1994).
È stato assistente di Franco Donatoni ai corsi tenuti a Tokyo (1998) e
Hiroshima (1998), di Giacomo Manzoni al “Composition Course”(1999).
Il suo Divertimento I per ensemble (1997) è stato pubblicato da Ricordi;
mentre Regalo per marimba (1997) e Capricci per solo nastro (1999) sono
stati incisi su CD. Attualmente insegna presso l’Accademia Internazionale
della Musica di Milano.
Manuel Zurria
è nato a Catania nel 1962 e vive a Roma dal 1980.
Ha collaborato con alcuni tra i più importanti compositori italiani tra i quali
Francesco Pennisi, Adriano Guarnieri, Sylvano Bussotti, Aldo Clementi,
Franco Donatoni, Luca Francesconi e Salvatore Sciarrino. Negli anni ha
incontrato artisti come Arvo Pärt, Philip Glass, Terry Riley, Gavin Bryars,
Giya Kancheli, Toshio Hosokawa, Alvin Lucier, László Sáry, Alvin Curran e
Frederic Rzewski, promuovendone opere in prima assoluta. Ha collaborato
con un’intera generazione di compositori di tutto il mondo: da Yan Maresz
a James Saunders, Caspar Johannes Walter, Maurizio Pisati, Fausto
Romitelli, Mary Jane Leach, Matthew Shlomowitz, Yoshihisa Taira, Yi Xu,
Emanuele Casale, Rytis Mazulis, Stefano Scodanibbio. Fortemente attratto
dal minimalismo, nei primi mesi del 2008 ha pubblicato con l’etichetta DIE
SCHACHTEL un triplo cd intitolato REPEAT! che rappresenta la summa delle
sue esperienze, includendo lavori originali o trascritti per flauti ed elettronica
realizzati in collaborazione con Arvo Pärt, Alvin Lucier, Louis Andriessen, Tom
Johnson e molti altri, ricevendo una grande attenzione da parte della critica
internazionale. Ha partecipato alla Biennale Musica di Venezia, Pacific Music
Festival/Sapporo-Japan, Festival Musica/Strasbourg, Beethovenhalle/Bonn,
Settembre Musica/Torino, De Yjsbreker/Amsterdam, IRCAM - Festival Agorà/
Paris, Rachmaninov Hall/Moscow, Festival d’Automne/Paris, Rikskonserter/
Stockholm, Illkhom Theatre/Tashkent-Uzbekistan, Takefu Festival/Japan,
Akademie der Kunste/Berlin, Maerz Musik/Berlin, The Warehouse/London,
Festival Archipel/Geneve, NUMUS/Aarhus, ULTIMA/Oslo, Ensem/Valencia,
Wien Modern, Jauna Muzika/Vilnius, MusikHaus Wien, Berliner Philarmonie,
Huddersfield Contemporary Music Festival, New Directions/Lulea-Sweden.
Nel 1990 è stato tra i fondatori di Alter Ego. La sua discografia comprende
pubblicazioni per BMG-Ricordi, Capstone Records, EdiPan, Stradivarius,
Die Schachtel, Mazagran Records, Megadisc e Touch. Nel 2009 la BMC ha
pubblicato Niagara, un cd monografico con musiche di László Sáry, mentre
nel 2010 l’etichetta belga Megadisc ha pubblicato Musica Falsa con opere del
compositore lituano Rytis Mazulis, ambedue registrate da solo con la tecnica
del multi-traccia. Il 2011 vede la pubblicazione di altri due dischi: Loops4ever
per l’etichetta portoghese Mazagran, un doppio cd che prosegue nel ciclo
aperto con REPEAT! sul minimalismo, e JOY FLASHINGS, sempre con DIE
SCHACHTEL, frutto della collaborazione con Philip Corner.
xxxi Rassegna di Nuova Musica
A cura di
Gianluca Gentili
Con la collaborazione di
Maresa Bonugli Scodanibbio
Consulenza artistica
Tonino Tesei
Direttore di palcoscenico
Elisabetta Salvatori
Registrazioni audio e sito web
Andrea Lambertucci
Grafica
Simona Castellani
Traduzioni
Maresa Bonugli Scodanibbio
Amministrazione
Maria Sara Rastelli
Roberta Spernanzoni
Rosa Silvestri
Segreteria
Paola Pierucci
Foto
Fabio Falcioni
Si ringraziano
Luciano Messi
Direttore dell’organizzazione artistica e
tecnica dell’Associazione Arena Sferisterio
Fabio Tiberi
Direttore generale della Fondazione
Orchestra Regionale delle Marche
Paola Taddei
Direttrice dell’Accademia
di Belle Arti di Macerata
Gli uffici amministrativi della Fondazione
Orchestra Regionale delle Marche
L’Ufficio Stampa del Comune di Macerata
Si ringraziano inoltre
Roberto Cafaggini
Gabriele Forberg-Schneider
Julio Estrada
Marina Mentoni
Enrico Pulsoni
Le studentesse dell’Accademia
di Belle Arti di Macerata
Daniela Belleggia
Emi Xing Jinhua
Sonia Carucci
Massimo Simonini
Museo di Storia Naturale di Macerata
Un particolare ringraziamento a
Gianni Dessì
per la realizzazione dell’opera utilizzata
per il manifesto
I contributi di Julio Estrada, Helmut
Lachemann e Terry Riley sono tratti
dalla rivista Perspectiva Interdisciplinaria
de Música, UNAM – Città del Messico –
numeri 5 e 6 (2012-2013)
www.rassegnadinuovamusica.com
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