Volevo fare la Sono tantissimi i personaggi pubblici reggiani, spesso insospettabili, con un passato, e in alcuni casi anche un presente, da musicista rock. Professionisti, politici, imprenditori, giornalisti: hanno tutti una storia da raccontare Servizio di Giampaolo Corradini - Foto dall’archivio dei gruppi reggiani - Foto attuali di Mattia Iotti 2 rockstar S ono volti noti della città. Sono amministratori pubblici, versi. Tutti nella consapevolezza che il rock è un eccezionale mezzo politici di destra o di sinistra. Sono imprenditori dal suc- di comunicazione, un canale unico per far esplodere creatività ed cesso conclamato, a volte a livello mondiale. Sono anche emozioni e, soprattutto, una forma d’arte altissima, che non ha giornalisti, architetti, professionisti. Ma, soprattutto, sono niente da invidiare ad altre forme espressive considerate più nobi- musicisti rock che, per via delle inconcepibili e casuali strade sulla li. E tutti sono caratterizzati da una genuina voglia di uscire dagli quali ti porta la vita, hanno finito per fare un altro mestiere. schemi, a volte un po’ ingessati, nei quali li costringe il loro ruolo Dagli anni ’60 ad oggi, Reggio Emilia ha dato alla luce un numero pubblico. Anche nel caso di coloro che, invece, rockstar lo erano incredibile di gruppi musicali. È naturale che, dietro ai mostri sacri per davvero, ma poi hanno deciso di fare qualcos’altro. Li abbiamo che “ce l’hanno fatta” ci siano tantissimi altri che, pur dotati di un raccolti tutti in questo servizio, una sorta di enciclopedia della musi- talento a volte eccezionale, abbiano finito per compiere percorsi di- ca popolare reggiana in grado di regalare più di una sorpresa. 3 I POLITICI Simon & Garfunkel? No, Pier e Marco Saccardi e Barbieri, in armonia nella Margherita e sul palcoscenico Pierluigi Saccardi a sinistra, in versione salsero con maracas. A destra, in veste ufficiale Sopra, nel circoletto, Saccardi nel 1981, circondato dai suoi amati “matti”. Sotto, Barbieri e Saccardi in piazza di Spagna. Sono i tempi in cui Saccardi (nella foto a destra tra due poliziotti a Praga) era diventato celebre con la canzone “La mia banda mangia il gnoc” I 4 l vicepresidente della Provincia Pierluigi Saccardi e il consiglie- è senz’altro quella con alcuni dei membri dei Gipsy Kings a casa re regionale Marco Barbieri, già assessore regionale alla cul- di Raul Casadei. Un altro episodio straordinario mi è capitato in tura nella passato legislatura, hanno molte storie in comune. America Latina, dove mi trovavo con una missione istituzionale Molte legate alle sei corde della chitarra. per incontrare i nostri emigrati. Mi sono ritrovato in un orfano- “Molti dei miei ricordi più piacevoli sono legati alla musica – ricor- trofio con la chitarra in mano ad accompagnare un coro straordi- da Saccardi – sia in ambito dei concerti live, sia in altre situazio- nario formato da Ivana Spagna, Beppe Carletti, Franco Simone, ni”. Nel primo filone rientra un ricordo eccezionale: la jam session Iva Zanicchi e Vasco… Vasco Errani, intendo. Alla fine i ragazzi mi che Saccardi e Barbieri fecero nientemeno che con i Gipsy Kings: hanno chiesto quali erano le mie canzoni più famose...”. Come “Il loro chitarrista è eccezionale – ricorda Saccardi - Riusciva a tra tutti i buoni amici, a livello musicale tra Barbieri e Saccardi c’è suonare cose incredibili con la chitarra sia destra che mancina, la giusta dose di sana competizione: “Suono la chitarra, anche suonando indifferentemente con entrambe le mani: un mostro!” mostro!”. se non particolarmente bene – dice di sé Barbieri - Il mio primo Anche Marco Barbieri ricorda bene quella serata: “Mi è capitato insegnante è stato proprio Pier Saccardi che, pur avendo un anno di suonare con i Nomadi, ma la ‘performance live più particolare in meno di me, ha iniziato prima a studiare chitarra e, sono co- stretto ad ammettere, conseguendo anche risultati migliori! Poi man mano negli anni mi sono convertito alle percussioni, capita spesso che mi cimenti con congas e bonghi”. Saccardi, però, ha anche un incredibile successo alle spalle: “Partecipai a metà anni ‘80 - ricorda il vicepresidente della Provincia - alla trasmissione di Telereggio ‘Il Gonfalone’, che vincemmo grazie alla nostra canzone, ‘La mia banda mangia il gnoc’, rivisitazione in chiave ironico-demenziale de ‘La mia banda suona il rock’ di Fossati. La cosa sconvolgente - ride Saccardi - fu accorgersi che tutte le radio private di Reggio, Modena e Parma iniziarono a trasmettere la nostra versione. Diventammo famosi, anche se per un breve periodo, con ‘La mia banda mangia il gnoc’...”. In merito a tutte le esperienze musicali avute negli anni, Saccardi e Barbieri hanno una diversa classifica dei ricordi: “Una delle esperienze più belle in assoluto – sorride Saccardi – è legata alla mia attività di volontariato con alcuni pazienti di una casa di cura mentale. Era il 1981, avevo diciotto anni, e assistevo queste persone uscite dai manicomi dopo la legge Basaglia. Ero l’unico cui davano retta perché suonavo la chitarra e con la musica riuscivo a conquistarli. Dal punto di vista umano, fu un’esperienza straordinaria”. “Ancora oggi ascolto moltissima musica – aggiunge Barbieri - il viaggio quotidiano Vezzano - Bologna aiuta a trovare il tempo necessario. Fin da giovanissimo ho partecipato a moltissimi concerti: da Bob Dylan ai Pink Floyd, dai Rolling Stones a Joe Cocker. Nella nostra città il concerto che considero memorabile fu quello dei Police, anche per il contesto che si è creato Barbieri ieri e oggi, sopra, con Renzo Lusetti che fa solo finta di suonare la chitarra in quell’occasione: il caos attorno al palazzetto per tutti i biglietti falsi che giravano e le tante persone che cercavano in ogni modo di entrare. Per quanto riguarda i concerti di cantautori italiani, ho sempre amato in particolare De Andrè, Guccini, Vecchioni e Conte. Un discorso a parte devo farlo sui Nomadi. Nel loro caso i concerti, vista l’amicizia che da tanti anni ci lega, sono stati centinaia forse migliaia. Come portano, Saccardi e Barbieri, il loro essere musicista nel campo politico? La risposta, e non poteva essere altrimenti, arriva in coro: “La musica è educazione al ritmo, all’armonia, che sono concetti indispensabili nella società e nell’ambiente di lavoro. È un modo prezioso per imparare a lavorare in gruppo. La politica dovrebbe servire proprio ad “armonizzare” rispetto agli interessi diversi, ai conflitti. Suonare in gruppo aiuta a capire che quello che puoi produrre di bello e di positivo è quello che riesci a fare insieme con gli altri. E in un gruppo non conta chi suona più forte, ma che tutti concorrano allo stesso obiettivo: magari fosse così anche in Parlamento...”. Chissà, si potrebbe provare con Vasco Rossi Presidente del Consiglio... 5 Rock di opposizione L’epopea musicale di Leopoldo Barbieri Manodori (consigliere provinciale di Alleanza Nazionale) e Stefano Tombari (coordinatore provinciale di Forza Italia) Leopoldo Barbieri Manodori oggi, nella foto a destra, e negli anni ‘70 con la band Il Giardino, nella quale militava anche Luigi Maramotti, alla chitarra nelle due foto qui sotto A 6 desso suonano musica country, in un gruppo che, a partire Barbieri Manodori, che ha iniziato a calcare i palchi imbracciando la dal nome, è tutto un programma: House of Freedom. Voce chitarra all’alba dei turbolenti anni ’70: “Il mio debutto in assoluto della “Casa delle libertà” in versione musicale è Leopoldo è avvenuto a Londra nel 1971 – ci racconta – Avevo diciassette Barbieri Manodori, che siede tra i banchi di Alleanza Nazionale anni e, nel corso di una vacanza studio, ho conosciuto un chitar- nella sala consiliare della Provincia. Alla chitarra c’è Stefano Tom- rista di Lugano che mi ha convinto ad esibirmi dal vivo. Il primo bari, coordinatore provinciale di Forza Italia. “Quando io e Stefano pezzo che cantai di fronte ad un pubblico fu Hey Joe, versione Jimi abbiamo fondato il gruppo – spiega Leopoldo Barbieri Manodori Hendrix: una cosa terribile!”. Tornato in Italia, Barbieri Manodori – abbiamo deciso di chiamarlo House of Freedom proprio per es- continua a coltivare la sua passione per il soft rock melodico, con sere sicuri che non ci avrebbero mai invitati a suonare alla Festa un atteggiamento bipartisan ante litteram: “Amavo i cantautori dell’Unità, anche se abbiamo un bassista di nome Red...”. Ma se, italiani: Battisti, Guccini, De Gregori. Erano questi i nomi cui mi politicamente parlando, nel centro destra ci sono alcune divisioni ispiravo nella composizione dei miei primi brani”. Una scelta un tra gli alleati, sul versante musicale è tutta un’altra cosa: “Stefano po’ strana per un giovane di destra, specialmente negli anni ’70: alla chitarra è veramente un fenomeno” assicura Barbieri Mano- “Ma quale ideologia – si schernisce Barbieri Manodori – quella dei dori, anche se il diretto interessato replica in maniera polemica: cantautori di sinistra è una bufala. Nel ’72 mi capitò di intervistare “Leopoldo è un ottimo cantante ed un bravo chitarrista – conferma Guccini per la rivista del liceo e mi confessò di votare Repubblicano Tombari – anche se mi obbliga a fare del country, mentre io vorrei da sempre...”. Proprio in quegli anni, il giovane Barbieri Manodori fare dei pezzi più hard rock, tipo i Red Hot Chili Peppers!”. Guai scopre anche l’ondata folk americana: i suoni acustici di Bob Dy- a scherzare sulla musica: il rock, soprattutto, riesce a scaldare gli lan, James Taylor, Jim Croce e Cat Stevens fanno da colonna so- animi peggio di un dibattito sui Dico. Ne sa qualcosa Leopoldo nora all’educazione musicale del giovane reggiano che, nel 1974, Stefano Tombari a 15 anni suonava nei “New Quacks”, oggi si cimenta come chitarrista country negli “House of Freedom” con Barbieri Manodori. Anche se Tombari vorrebbe suonare il rock dei Red Hot Chili Peppers appena raggiunti i diciannove anni, fonda il suo primo gruppo se- nostri amici, o da persone che comunque gravitavano nell’ambito rio: “L’idea fu di un chitarrista diciassettenne, molto precoce ed della destra reggiana, per cui il dibattito finiva sempre per conte- estremamente dotato sul piano della tecnica: Luigi Maramotti”. nere argomenti del tipo ‘La frattura tra De Gregori e la sinistra’...”. Assieme al figlio del fondatore di Max Mara, Barbieri Manodori dà Ma l’intervento senza dubbio più carico di emotività fu quello che vita a Il G.I.A.R.D.I.N.O.: “Erano anni impegnati – ride Barbieri Il Giardino tenne nel 1976 in via Compagnoni: “Suonammo qual- Manodori – e, anche se non lo abbiamo mai pubblicizzato troppo che giorno dopo la morte di Alceste Campanile – ricorda Barbieri in giro, l’acronimo dietro a Il Giardino stava per Gruppo Indiriz- Manodori – e l’atmosfera era a dir poco elettrica. Io ero già allora, zato Alla Ricerca DI Nuovi Orizzonti. Infatti, proprio in ossequio sebbene non facessi politica attiva, un noto esponente della destra all’impegno che connotava il rock negli anni ’70, non facevamo dei giovanile. In quei giorni la verità accreditata sull’omicidio di Alceste ‘banali’ concerti, ma degli ‘interventi musicali’ ai quali, inevitabil- era che fosse stato ucciso da fascisti. La tensione, soprattutto tra il mente, seguiva il dibattito” dibattito”. Tragica consuetudine degli anni ’70, il pubblico, era palpabile ma, per fortuna, non successe nulla di gra- dibattito seguente alla performance de Il Giardino verteva su temi ve”. Anzi, nonostante il dolore per la recente scomparsa dell’amico che mescolavano musica popolare e politica: “Dal momento che i Alceste, Leopoldo Barbieri Manodori ricorda quel giorno per via nostri non erano concerti veri e propri, ma interventi legati ad una di una delle sue prime grandi soddisfazioni artistiche: “In cartel- certa filosofia e ad un certo modo di porsi, non ne facevamo più lone, dopo di noi, quel giorno c’era Lucio Dalla, il quale mi strizzò di due o tre l’anno e in posti selezionati con cura. Una volta suo- l’occhio in segno di approvazione per la nostra esibizione. In quel nammo in un magazzino abbandonato di Max Mara, scovato ov- momento mi sentii una rockstar e per un attimo dimenticai anche viamente da Luigi Maramotti, un’altra volta in un centro sociale al la morte di Alceste, che fino a qualche giorno prima provava con Buco del signore. Il pubblico era quasi esclusivamente formato da noi nella nostra saletta”. L’ennesimo esempio che il rock supera la 7 Stefano Tombari (secondo da sinistra) negli anni ‘70 suonava la chitarra con The New Quacks 8 politica nella capacità di abbattere le barriere ideologiche. presenti si aspettavano di vedere i due prendersi a pugni, e in- Chiusa l’esperienza con Il Giardino, Barbieri Manodori continua il vece si abbracciarono sul palco: divisi dall’ideologia politica ma suo percorso musicale su altri fronti: “Ho inciso un paio di brani uniti dall’esperienza di carcere che entrambi avevano fatto per da solo, chitarra e voce, con una cura molto attenta alla produ- via della loro attività negli anni ’70. In quell’occasione De Ange- zione. Li feci girare, sperando di trovare un produttore interes- lis mi strinse la mano dicendomi che desiderava conoscermi da sato a metterli su disco. In quegli anni ho accarezzato l’idea di quando, negli anni ’70, le mie canzoni avevano fatto da colonna fare della musica qualcosa di più di un semplice hobby, ma non sonora alla sua latitanza a Parigi. Fu, per me, un’emozione uni- avrei mai rinunciato a tutto: il mio percorso di studi era troppo ca”. Ma Leopoldo Barbieri Manodori racconta anche con orgoglio importante per abbandonarlo completamente. Nel 1980, poi, è di quando lo scambiarono per cubano...: “Era il 1982, a Reggio cominciato il mio sodalizio con Stefano Tombari, ed è proprio c’era la Festa Nazionale dell’Unità. Allo stand cubano suonava in quell’anno che è iniziata anche la mia attività politica, sebbe- ogni sera il gruppo del mio amico Pirelli il quale, una sera, mi ne senza che ricoprissi cariche pubbliche”. Ma politica e musica, chiese se la mia band poteva sostituire la sua dal vivo. Allora nella vita di Barbieri Manodori, sono sempre destinate ad intrec- suonavo un repertorio di musica popolare sudamericana. Andai ciarsi: “In quello stesso anno suonai al Campo Hobbit vicino a molti volentieri, anche perché la soddisfazione di venire pagato L’Aquila, davanti a duemila persone. Fu un’esperienza esaltante 300mila lire dai ‘compagni’ per suonare al Campo Volo era troppo e molto triste al tempo stesso, perché qualche giorno più tar- ghiotta per lasciarsela scappare. Il concerto andò così bene che i di la strage di Bologna mise praticamente fine alla stagione dei cubani dello stand mi presero per un loro connazionale!” connazionale!”. grandi raduni della destra giovanile come quello nel quale avevo Oggi l’attività del gruppo country House of Freedom è estrema- appena suonato”. Se i raduni giovanili si interrompono, l’eco del mente vivace: “L’idea è quella di portare il nostro repertorio in raduno del 1980 continua a portare risultati a Barbieri Manodori: spazi adatti: come gli agriturismi, i maneggi, feste in stile country, “Qualche anno dopo aprimmo il concerto del più famoso gruppo situazioni nelle quali è possibile abbinare la musica che facciamo di destra, La Compagnia dell’Anello, all’università di Bologna, ed ad uno stile di vita legato al cavallo ed alla natura”. Il percorso in quell’occasione si fecero avanti molte persone per stringermi musicale compiuto sino ad oggi da Leopoldo Barbieri Manodori gli la mano: avevano ascoltato la cassetta del concerto al Campo ha insegnato molte cose: “Ogni volta che, in ambito politico, parlo Hobbitt e conoscevano a memoria le mie canzoni!”. L’esempio della mia passione per la musica trova immediatamente sintonia più eclatante della fama di Barbieri Manodori arriva però qualche con l’interlocutore. Devo dire che il mio passato da cantante e chi- anno più tardi: “Era il 1993 – racconta il diretto interessato – e tarrista mi fa guadagnare sempre la stima dei miei colleghi, anche organizzai, con il mio circolo culturale ‘Oltre la Linea’, un incon- degli avversari. Forse perché la mia esperienza mi ha insegnato tro pubblico all’Italghisa tra l’ex Br Alberto Franceschini e l’ex che, nella musica come nella politica, è fondamentale andare alla esponente di Terza Posizione Marcello De Angelis. I giornalisti ricerca dell’armonia”. Max Mara Rock Collection Luigi Maramotti viene descritto come un timido chitarrista dal grandissimo talento anche come compositore GLI IMPRENDITORI Sopra, Luigi Maramotti, numero uno dell’impero Max Mara. A fianco, la copertina dell’album inciso da Maramotti nel 1986. “Era avanti vent’anni” è il giudizio del tecnico del suono Iannò A nche Luigi Maramotti, figlio di Achille, ha un passato da quindi adattissimo a cose acustiche e folk, come il country, ma musicista. Chi si è trovato a suonare con lui negli anni in quegli anni venne nel mio studio perché voleva creare questi ’70 e ’80 lo descrive come un chitarrista dal grandissimo loop, queste canzoni circolari, basate su frammenti sonori che talento, ed un compositore eccezionale. Uno di questi è Leopoldo ritornavano costantemente. Io, già da allora, ero specializzato Barbieri Manodori, suo compagno ne Il Giardino negli anni ’70: nell’utilizzo del computer, per questo lo aiutai a creare l’effetto “Luigi scriveva la maggior parte dei pezzi del gruppo. Facevamo che voleva. Posso dire che quel disco era avanti vent’anni” vent’anni”. le prove al suo castello e ricordo che lo prendevo in giro: ‘basta Non mancano, nel passato di Luigi Maramotti, le esperienze dal vedere la vista che ha dai qui – gli dicevo – per capire come fai a vivo. Con il Giardino arrivò addirittura ad allestire un magazzino scrivere canzoni così belle. Sei circondato dalla bellezza’. All’epo- abbandonato di Max Mara per ospitare un concerto o, come si ca aveva un carattere riservato, addirittura schivo. Credo che diceva allora, un “intervento musicale” del gruppo. Negli anni esprimesse molto di sé attraverso la musica”. seguenti Luigi Maramotti mise anche in scena la sua “non mu- Giuseppe Iannò ha incrociato Luigi Maramotti un decennio dopo: sica”. Iannò ricorda l’esperienza: “Registrare l’album non fu un “Luigi registrò nel mio studio un suo album nel 1986. Già dal problema, replicare quegli spezzoni musicali circolari dal vivo in- titolo si capiva la direzione nella quale stava andando: ‘Knot mu- vece sì. Erano gli anni in cui si lavorava su nastro, per cui dovetti sic – Musica per ascolto distratto’. Il gioco di parole era davvero registrare dei piccoli spezzoni e unirli insieme in una cassetta da efficace. Knot significa nodo, ma si pronuncia ‘not’, ecco quindi far girare senza sosta. Allora era un problema enorme, oggi si espresso il concetto: non era musica, ma una sorta di colonna fa in cinque minuti con un normale programma di editing audio. sonora, oggi si direbbe lounge, pensata per la filodiffusione nelle Sarebbe interessante produrre qualcosa oggi, chissà cosa ne ver- sale d’attesa. Luigi è un grandissimo chitarrista di fingerpicking, rebbe fuori”. Già, chissà. 9 L’Alan Parsons reggiano Giuseppe Iannò, imprenditore di successo e produttore musicale all’avanguardia A sinistra, Giuseppe Iannò nel suo studio con l’Officina Musicale nel 1987. A destra, l’imprenditore immobiliare oggi O 10 ggi, musicalmente parlando, si considera una sorta di i primi a darmi una mano quando ho bisogno. Fornili, ad esem- Alan Parsons, chiuso nel suo studio a dare la forma mi- pio, ha suonato un bellissimo assolo di chitarra in un brano della gliore alla voce altrui. Un produttore con la capacità di mia band, l’Officina Musicale”. Sì, perché a distanza di tantissimi immaginare e dare vita a suoni innovativi, grazie alla strumenta- anni dal debutto degli anni ’70, l’Officina Musicale è ancora attiva: zione giusta e ad un talento naturale per il sound. Negli anni ’70, “Certo, non facciamo più concerti dal vivo, ma produciamo ancora come tanti suoi coetanei, aveva un suo gruppo, l’Officina Musicale, dei dischi. Il mio studio è attrezzatissimo, tanto che abbiamo la e molti sogni nel cassetto. possibilità di realizzare le nostre produzioni con tutta calma. Tra Giuseppe Iannò non è solo il titolare di una delle più grandi agen- poco uscirà il nostro nuovo cd, che metteremo su I-Tunes e su zie immobiliari della città, ma anche una sorta di collettore, di pun- Vitaminic”. Non è un caso che Iannò, un vero e proprio esperto to di riferimento per i musicisti reggiani e non solo. “Ancora oggi, nell’utilizzo di computer MacIntosh in ambito musicale sfrutti al nonostante il poco tempo libero, riesco a ritagliarmi uno spazio per meglio le possibilità offerte da internet: “Quando ho cominciato la musica e a collaborare con molti artisti reggiani”. Era suo, ad a suonare dal vivo, a diciott’anni nel 1976, le cose erano molto esempio, il gong sfoggiato da Gigi Cavalli Cocchi al mega concerto diverse e le possibilità più limitate. Però, a mio avviso, c’era una di Ligabue al Campo Volo nel 2005: “Credo di essere l’unico a Reg- maggiore creatività. Ogni album rock, negli anni ’70, era un even- gio a possedere un gong – ride Iannò, che però vanta molte altre to che faceva fare un passo in avanti alla musica. Era normale, collaborazioni importanti – Mi capita spesso di dare consulenza per le band emergenti, proporre pezzi di propria composizione dal musicale agli artisti reggiani. Ho dato una mano, ad esempio, a vivo. Oggi, la musica non evolve più ed i gruppi locali sono for- Ivana Spagna e spesso viene a trovarmi in studio Fornili, il chitarri- mati quasi esclusivamente da cover band”. Di chi è la colpa di sta degli Stadio”. Ma, nella migliore tradizione romantica-musicale, questa involuzione? Iannò ha le idee chiare: “Allora non c’erano si tratta di consulenze gratuite: “Certo – si schernisce Iannò – la locali che dessero spazio alla musica dal vivo, ed ogni situazione musica è un hobby per me, se mi facessi pagare diventerebbe live era realizzata dall’ufficio cultura, nel quale lavorava già Luca un lavoro. Si tratta di favori che faccio a degli amici che poi sono Fantini. Vista la logica non commerciale degli eventi, le band era- no probabilmente più libere di esprimersi, preoccupandosi meno della reazione di un pubblico che, comunque, era più preparato dal punto di vista musicale”. In quell’epoca così attenta al rock, anche Iannò corse seriamente il rischio di diventare una rockstar: “Con l’Officina Musicale vincemmo un’edizione di Terremoto Rock alla pari con Ligabue. Mi colpirono molto i suoi brani e lo invitai ad insistere, a non mollare perché aveva del talento. Qualche anno dopo, quando trovò un produttore, mi chiamò per chiedermi di segnalargli dei musicisti validi. Gli segnalai Giovanni Marani, che poi entrò nei Clandestino”. Anche in veste di produttore Iannò andò vicino a sfondare: “Conobbi Marani perché faceva parte dei Photo, un gruppo di ragazzi molto giovani ma molto validi che avevo messo insieme e prodotto, i Photo, dei quali ero il manager. Li portai ad un concorso per una produzione ad alto budget a Milano nel 1982 e Giuseppe si ritrova sulle spalle la gestione dell’agenzia nei primi anni ’80, che vinsero. Andai con loro a registrare il loro immobiliare: “Improvvisamente il lavoro mi tolse tutto il tempo per singolo scelto dalla produzione, veramente brutto a dire la verità, la musica e mi assorbì completamente”. Un lavoro che ha dato i nel castello di Carimate, dove, per intenderci, stavano registrando suoi frutti, se è vero che nel 1982 c’erano 2 impiegati, mentre oggi Pfm” Ma il lavoro prese il sopravvento i loro album Bennato e la Pfm”. sono 14 e l’agenzia Iannò vanta clienti del calibro di Maramotti, e Iannò dovette lasciar passare anche un’altra grande occasione: Burani e Brevini. Un successo arrivato anche grazie all’esperienza “Con l’Officina Musicale arrivammo secondi, a livello nazionale, al musicale di Iannò: “La musica mi ha insegnato ad allargare gli concorso organizzato dalla rivista Fare Musica, ma si vede che non orizzonti, a guardare più lontano. Una capacità fondamentale, sia era proprio destino”. Il padre di Giuseppe Iannò, infatti, scompare per realizzare un disco sia per gestire un’azienda”. 11 I Mani, professionisti del beat I PROFESSIONISTI I 12 Negli anni ’60 erano rivali de I Nomadi, oggi sono affermati in diversi ambiti Sopra, I Mani negli anni Sessanta, a destra, oggi nella loro sala prove. Alla batteria c’è Franco Menozzi che però, da qualche anno ha lasciato la band, sostituito da Claudio Pederini l loro nome è leggendario nell’ambito della musica pop/rock di divertirsi e di far ballare la gente”. Però I Mani, a differenza di reggiana. Hanno registrato un 45 per la Durium di Milano nel molte altre formazioni di allora, arrivarono a un passo dal profes- 1966 e sfidato i Nomadi in una gara di popolarità nello stesso sionismo: “Nel 1966 incidemmo un 45 per la Durium. Si trattava, anno. Poi hanno seguito tutti una carriera professionale che li ha come andava di moda allora, di un pezzo americano ricantato portati ad avere grande successo, e popolarità, a Reggio e non in inglese. ‘Hold on I’m coming’ di Sam & Dave divenne, nella solo. nostra versione, ‘Tu non gridare’. Il testo ce lo aveva scritto Cor- Oggi quella de I Mani è una band intergenerazionale, che prova rado Costa”. Nonostante il prestigioso contratto con l’etichetta ogni venerdì sera in un attrezzatissimo garage, dove fanno bella milanese, però, la carriera della band non decolla: “Decidemmo mostra di sé amplificatori e strumenti d’epoca, locandine di con- noi di non firmare il contratto – spiegano i musicisti – perché certi tenuti nei locali più in della “swinging Reggio” degli anni ci prospettarono un tour promozionale spaventoso. E noi dove- ’60 e tantissimi altri ricordi di un passato che, ascoltando molta vamo studiare o lavorare, non potevamo permetterci di fare i della musica che circola oggi, sembra ancora presente. Franco musicisti a tempo pieno. Anzi, già allora, per via della musica, Fajeti (imprenditore di successo in ambito edilizio e padre dei eravamo stati tutti bocciati a scuola...”. due fratelli Fajeti, musicisti pop/rock di professione) è una delle Però, in quegli anni, il percorso del gruppo era andato avanti in voci del gruppo, l’altra è quella di Giorgio Bigi (consulente per modo estremamente spedito: “Allora c’era letteralmente fame di lo sviluppo internazionale delle imprese e, negli anni ’70, uno musica – ricorda Bigi – perché nei locali non esistevano i dj, ed dei fondatori e voce storica di Radioreggio, la prima radio libera era il gruppo che doveva far ballare la gente. E la gente aveva reggiana). Al basso c’è l’architetto Antonio Malaguzzi, affermato una voglia enorme di ascoltare musica”. Ed ecco che I Mani, professionista e figlio di quel Loris Malaguzzi che s’inventò gli dopo gli esordi, arrivano a dividere il palco con i mostri sacri della asili più belli del mondo, mentre suo figlio Andrea oggi suona musica dell’epoca: “Abbiamo suonato con i Corvi, i Ribelli, Don la chitarra. Alla batteria allora c’era Franco Menozzi, oggi affer- Backy, i Rokes. Addirittura nel 1965 organizzarono una vera e mato antiquario. propria sfida tra noi e i Nomadi: allora eravamo alla pari, e non “La nostra storia è simile a quella di molte altre band dell’epoca si sapeva quale dei gruppi avrebbe sfondato”. Un’altra grande – ricordano i protagonisti di quella stagione – fatta di concerti nei serata cui parteciparono I Mani fu l’inaugurazione della Gallery, locali, di impianti che funzionavano poco e male e di molta voglia il locale aperto in quegli anni a Reggio Emilia da Daniele Piombi. I Mani nel 1965 e nel 2007. Da sinistra a destra, in senso orario in entrambe le foto, Franco Menozzi, Giorgio Bigi, Franco Fajeti e Antonio Malaguzzi A sinistra, il bassista Antonio Malaguzzi negli anni ‘60. A destra, l’architetto del Ccdp Malaguzzi oggi al lavoro con Aimaro Isola Ma quelli non furono solo anni di amore fraterno e “vibrazioni vano in dubbio la mia eterosessualità e minacce di spaccarmi la positive”: “Ogni nostro concerto rischiava seriamente di finire in faccia. Per fortuna Franco Fajeti, all’epoca, aveva un gran fisico, rissa – ridono Fajeti e Menozzi – per colpa di Giorgio Bigi”. “È vero ed era sempre pronto a difendermi”. – conferma ridendo il diretto interessato – era colpa mia. All’epo- Ma la storia de I Mani non è ancora finita: “Il 5 maggio abbiamo ca portavo i capelli lunghi e mi vestivo in modo davvero sgar- in programma un concerto in occasione di una festa ad invito. È giante. Ricordo che avevo sempre indosso un paio di pantaloni bello suonare ancora di fronte ad un pubblico – sorridono i mu- di velluto rossi ed una camicia a fiori. Un look che non passava sicisti – perché siamo più bravi oggi di allora. Siamo invecchiati, certo inosservato, specialmente nelle balere della Bassa reggiana questo è vero, ma non siamo stati superati dai tempi”. Parole dove, come minimo, dal pubblico mi arrivavano insulti che mette- sante. 13 Doctor Rock‘n‘Roll CON SENTIMENTO TURCO (1985) Alessandro Chiari: la chitarra fa bene alla salute di fisico e mente di Alessandro Chiari Consigliere Ordine dei Medici, Segretario Sindacato Medici Italiani e Direttore del Bollettino dell’Ordine dei Medici T utti i musicisti formatisi negli anni settanta hanno avuto lo stesso approccio allo strumento: chitarra classica, imparando la Canzone del Sole, seguita da altre canzoni di Battisti, poi dai cantautori italiani.Così è successo anche a me. Poi all’inizio degli anni ‘80 la svolta elettrica. Nascono i Choice Quality, nome preso dal pacchetto di una marca di sigarette, abbreviato in seguito a “Choice”. Tantissimi gli aneddoti da raccontare, ma uno su tutti ha segnato il mito di questa band appenninica. Il 16 agosto 1985 ci scritturano contemporaneamente sia per la festa dell’Unità di Ramiseto sia per la festa dell’Amicizia di Felina. A complicare la questione subentra un concerto dei Litfiba a Felina: Piero Pelù era davvero travolgente tanto che, nella sua pazzesca esibizione, ad un certo punto, urlava il nome di “Alì Agcà”. Questa esibizione ci spinse a scrivere una canzone, “Con sentimento turco”, con un testo nel quale ci immaginavamo che Agcà implorasse pietà, giustificandosi come la vittima di poteri politici superiori. In poco tempo la nostra canzone divenne una local hit, che naturalmente era in scaletta per il concerto di Felina. Arrivati alla canzone incriminata (tutto vero ho un video che lo prova) uno dell’organizzazione, urlando improperi, improvvisamente, ci stacca la corrente dell’impianto e ci troviamo sul palco, come coglioni, senza volume e il personaggio che ci insulta da sotto il palco per il testo della canzone e per il fatto che Prodi, all’epoca Presidente dell’Iri, in quel momento stava tenendo un discorso a pochi metri di distanza. Incazzatissimi, andiamo via verso Ramiseto a consumare la nostra “vendetta” dando in pasto ai “Compagni” l’intero episodio: scrosci di applausi per noi “vittime del potere” e finale con l’Internazionale socialista suonata con la chitarra distorta come Jimi aveva fatto con l’inno Americano a Woodstock. Professionalmente sono un medico e lavoro sia nell’area della medicina generale che come consulente di grosse realtà locali nel campo della programmazione e consulenza sanitaria e di telemedicina. Sono consigliere dell’Ordine dei medici, direttore del Bollettino dell’Ordine, scrivo articoli di tecnica e politica sanitaria su riviste nazionali di settore e su questo fantastico magazine che mi ospita come opinionist sanitario, faccio parte del Comitato Etico del S. Maria e della commissione di Accreditamento delle strutture sanitarie dell’ASL e sono anche il Segretario Regionale di un sindacato medico (Sindacato Medici Italiani), ma siccome ho una serie di chitarre (tutte rigorosamente nere) e tastiere… appena posso, o quando sono incazzato, accendo il mio Marshall… e allora sono dolori… per tutti! A sinistra, il dottor Alessandro Chiari sul palco nel 1985, e, a destra, con una delle sue numerose chitarre (rigorosamente nere) oggi 14 (Ugoletti-Chiari-Simonelli) Questo il testo della canzone che i Choiche Quality, la band del dottor Chiari, eseguì alla Festa dell’Amicizia di Ramiseto del 1985 e che scatenò l’ira degli organizzatori, che spensero l’impianto interrompendo l’esibizione per non disturbare l’ospite d’onore, l’allora Presidente dell’Iri e attuale Premier Romano Prodi. Abbiate pietà di me io non volevo uccidere nessuno Abbiate pietà era solo un gioco Un piccolo sottile gioco una mano molto abile che comanda i miei movimenti un cervello molto lucido un governo molto abile Io non sono Lucifero Io non sono il Messia Mi chiamano Alì Sono solo Alì, Alì Agca Memet Alì Agca “Ho suonato con una futura rockstar” Paolo Ambrogi, assicuratore, cantò nel gruppo di Gigi Cavalli Cocchi Paolo Ambrogi in versione frontman nel 1977 (sopra) e assicuratore nel 2007 (sotto) Grande concerto nel 1977. Paolo Ambrogi è il terzo da destra con cappello e occhiali. In cima alla piramide, con la maglia rossa, c’è Gigi Cavalli Cocchi. In primo piano, sdraiato con gli occhiali e la camicia azzurra, c’è Emanuele Iannuccelli, direttore responsabile di Reporter E ra il luglio del 1977 ed io, quasi dal Fu però una parentesi breve, per motivi di nulla, fui invitato a cantare nella band tempo non rimasi molto con loro. In seguito, più famosa della città”. Paolo Ambrogi, con il nome di Tokyo, il gruppo andò anche a oggi un noto assicuratore reggiano, ricorda suonare a Londra, come rappresentante del quell’esperienza con i GSM: niente a che fare meglio della musica emergente italiana degli con i cellulari, l’acronimo stava per Gruppo di anni ’80. Di allora ricordo l’aura da rockstar Studio Musicale. Nella band suonavano Gigi che circondava le nostre esibizioni, nel no- Cavalli Cocchi, in seguito batterista dei Clan- stro piccolo eravamo delle celebrità locali, destino di Ligabue e Csi con Giovanni Lindo e il grande clima di divertimento. In più, Ferretti, e, alle tastiere, l’attuale direttore quell’esperienza mi è tornata utile anche in responsabile di Reporter, Emanuele Iannuc- campo lavorativo, dal momento che ho co- celli. “Fu un’esperienza esaltante – ricorda nosciuto un sacco di persone che, in seguito, Ambrogi – anche perché avevo vent’anni. sono diventate miei clienti...” “ 15 “Da suonatore a suonato, il passo è (semi)breve” I GIORNALISTI Roberto Lugli e il suo magico clarinetto che ha incantato anche Raul Casadei Roberto Lugli, in versione musicista popolare nel 1973 (a sinistra) e responsabile ufficio stampa per i Ds oggi (nella foto a destra) di Roberto Lugli Giornalista professionista, Responsabile Ufficio Stampa DS L o ammetto: avrei voluto fare il musicista! Ma le cose sono andate diversamente. Pazienza. Sarà per la prossima volta… Il mio incontro con la musica è arrivato molto presto, all’età di 2-3 anni, col mitico giradischi: un vecchio Phonola a valvole che a fine giornata era incandescente. I 45 giri di Tienno e Iller Pattacini, di Learco Gianferrari e gli inni patriottici di qualche banda andavano per la maggiore anche in casa. Dai miei cugini, tutti più grandi di me, cominciavano a circolare i Beatles, Lucio Battisti e Adriano Celentano ma tutti avevano un aspetto che ai miei genitori non piaceva per niente: i capelli, un po’ troppo lunghi. A 8 anni ho iniziato a prendere lezioni dal compianto Bione Franchini. Compiuti 12 anni, fu lui a convincere mio padre e mia madre che per me era venuto il momento “ed continuèr al cunservatòri perché al ragasòl al prumèt bèin”. Gaspare Tirincanti fu il mio vero professore di clarinetto al Peri. Purtroppo non sono riuscito a diplomarmi. Con l’arrivo della quarta classe, alle superiori, e la vita del collegio che non mi permetteva di studiare musica, il Peri si allontanava sempre di più. Al clarinetto e ai sassofoni ho suonato di tutto, dai classici, alle canzonette con qualche esperienza in sala di incisione, al liscio. Mitico lo zumpappa che ho iniziato giovanissimo a suonare (a 14 anni, come si può vedere dalla foto), nelle sale da ballo così come nelle feste popolari. I ricordi sono tanti, almeno uno per ogni se16 rata, tante le storie da raccontare: dal tipo (sempre quello più strano) che ti offriva da bere perché appagato del pezzo richiesto, a quello che ti mandava a quel paese perché il repertorio non era di suo gradimento. Poi però clarinetto e sax sono finiti nelle custodie dove sono rimasti per una quindicina d’anni. Ne sono usciti la scorsa estate, a Gatteo a Mare, la sera di Ferragosto, nel giardino di Raoul Casadei, in occasione del suo 69esimo compleanno dove mi sono cimentato in un valzerino che ha fatto spellare le mani ai presenti, increduli che un reggiano potesse suonare la loro musica. Ad accompagnarmi, gli amici di sempre del re del liscio: Marco Barbieri alle percussioni e Pierluigi Saccardi alla chitarra, con Paolo Rossi; tutti e tre amministratori della … Margherita. Da quella sera il clarinetto ha di nuovo un posto fisso: la scrivania dello studio. Ma in casa è tutta un’altra musica e non va dimenticato il noto adagio: è bella quand’è corta. La titanica tolleranza di mia moglie e delle mie due figlie non mi fa perdere di vista il rischio concreto che corro ogni volta che suono: quello di essere … suonato! Ma nella vita a che serve la conoscenza della musica? Serve eccome. Favorisce socialità e comunicazione: è linguaggio universale. A chi di mestiere ha a che fare con la parola scritta la musica ricorda che la sonorità del fraseggio non è solo musicale. Anche nei pezzi giornalistici ci sono piani e forti, crescendi, accenti e legature, con tante tonalità da distribuire su un pentagramma immaginario che ha le sue regole e, quando per tante ragioni non ti riescono come vorresti, sincopi e dissonanze. D’altronde, anche nella vita extra musica ogni stonatura suona male. “Io, giornalista dal ritmo beat” “Nei favolosi anni ’60 mi dividevo tra la tastiera della macchina da scrivere del Carlino e quella del mio organo Farfisa con I Discepoli 67” di Bruno Cancellieri Collaboratore ed ex vice capo servizio de Il Resto del Carlino, corrispondente agenzia Ansa D a un volantino d’epoca: “Domenica 31 dicembre 1967. Grande veglionissimo di fine d’anno. Rallegrerà la serata l’orchestra di successo I discepoli 67”. Tra i Discepoli c’ero anch’io, alle tastiere, con mio fratello Alberto al sax. Gianpaolo Iori era la voce, alla batteria Francesco Neroni, alla chitarra William Poli, al basso Angelo Tasselli. Mi ero lasciato contagiare dal boom dei favolosi anni Sessanta quando a Reggio si era instaurato un fervore forse unico nel panorama della musica leggera italiana. I musicisti reggiani – alcuni di autentica razza – erano validi al punto che si era creato un mercato degli orchestrali. Alcuni di loro avevano diverse attività di base, altri erano professionisti della musica. Ricordo per esempio il dott. PierPaolo Rossi, uomo politico e farmacista, il titolare della discoteca Number One Dino Guidetti (guidava i Cuban CGD), Enzo Magistro, promoter, ex dipendente Telecom (al basso tra i Selvaggi dell’indimenticabile Dante Torricelli). Appena terminate le scuole superiori, suonavo il pianoforte da un paio d’anni, ma solo musica classica, quando Angelo Tasselli mi venne a cercare: “Il gruppo c’è già, manca il tastierista, vieni con noi”. Nel complesso mancava un fiato: pensammo a mio fratello Alberto che aveva suonato il sax nella banda della cavalleria, sotto le armi. Per la divisa scegliemmo un abito serio, color nocciola, cravatta rossa, lo realizzò un sarto di San Polo che ha ancora il negozio affacciato sulla piazza principale. Il nome della band? In quei mesi andavano molto forte gli Apostoli, pensammo di avere molto da imparare da loro. Di qui il nome Discepoli cui aggiungemmo l’anno di nascita: ’67. Con la sfrontatezza dei giovani affrontammo le balere con un repertorio miserello, specie nei brani più movimentati. Ricordo un Gimme some lovin’ che suonavamo bene e pertanto riproponevamo fino alla noia. Poi cominciò il giro delle più sperdute balere dell’appennino reggiano, modenese, parmense. Si partiva nel primo pomeriggio per essere pronti alle sette per montare impianto e strumenti e alle otto per suonare. La gente in montagna voleva andare a letto presto. Veniva a prelevarci un’auto a noleggio con conducente, una scassata 1800 che aveva agganciato un piccolo rimorchio per gli strumenti. In quei mesi esplorai palmo a palmo tutto l’appennino. Emilio, l’impresario, ad ogni contratto era costretto a tenere a freno la nostra esuberanza promettendoci locali migliori dopo la gavetta appenninica. Un sabato, dalle parti di Felina, la macchina andò in panne ad un paio di chilometri dal locale. Arrivammo alla balera a piedi, sudati, portando a mano strumenti e spartiti, con i primi avventori che già ci aspettavano davanti alla sala. Il gestore ci guardò male, quella sera nell’intervallo non ci offrì neppure un panino. Le prime prove in casa mia erano troppo rumorose, i vicini di casa non gradivano soprattutto la batteria. Ci trasferimmo a Puianello nella casa del cantante ancora in costruzione: lì, tra cemento armato e impalcature, finalmente potevamo scatenarci. Avevamo un fan accanito, Ermanno, zio del bassista, che non perdeva una prova. Qualche sera prima del festival di Sanremo eravamo impegnati a montare una delle canzoni in gara senza averla mai ascoltata. Ricordo, era Deborah. Quella Deborah così grintosa, come la facevamo noi, non convinceva il severo Ermanno che, in barba allo spartito, ci spronava a farla molto melodica. Sussurrava: “Debora…aaa… m-i-a Debora…aaa…” e muoveva dolcemente le mani come dovesse dirigere un comples- Sotto, Bruno Cancellieri oggi, in versione giornalista del Carlino e corrispondente per l’Ansa. Sopra, nel 1967, è seduto alla tastiera, circondato dagli altri membri del complesso I Discepoli 67 so da camera. Venne la sera di Sanremo, eravamo tutti incollati alla tv, ansiosi. Arrivò sul palco Fausto Leali e attaccò la canzone con tutta la sua grinta. Corremmo subito a Puianello a ristudiare il brano, imprecando contro Ermanno che, per la verità, un po’ si offese. Il tanto atteso impatto con la città fu al Tarantola, l’attuale Adrenaline. Nella serata dovevamo confrontarci con la collaudata band fissa del locale, l’affiatato sestetto Casappa. La nostra beata incoscienza ci fece superare dignitosamente la prova. E ancor meglio andò al Gabbiano, balera estiva della Rivalta che fu. Ma quella si rivelò la sera dei musi lunghi. L’università e il lavoro al giornale sempre più coinvolgente non mi lasciavano spazio. La band si sciolse proprio mentre stava cogliendo i primi veri successi e avrebbe potuto cominciare ad intascare i primi soldini. Adesso non oso più nemmeno strimpellare in casa, mi vergogno davanti a mia figlia che sta preparando l’ottavo anno di pianoforte al conservatorio. Ma, quando ascolto qualche canzone anni ‘60 tornata di moda, mi viene un nodo alla gola. “Questa la facevamo anche noi” informo con sommesso orgoglio. Mia moglie mi lancia uno sguardo tra l’incredulo e il compassionevole. 17 L’ex punk che gioca a golf Alessandro Gandino, giornalista con un passato sul palco ed un presente sul green di Alessandro Gandino Giornalista, consulente per la comunicazione, direttore responsabile di K-Rock T utto era partito attorno al 1978. La prima formazione aveva un’impostazione molto west coast e poteva vantare su una sorta di ideologo hippie, che oggi dirige un quotidiano a Reggio Emilia. La prima band si chiamava “City Lights” in onore Sopra, il giovane punk: Alessandro Gandino è il secondo da destra nei Sabotage, anno 1981. Sotto, il giornalista che si è dato al golf, Gandino sul green nell’estate del 2006 alla libreria di Ferlinghetti a San Francisco. Un anno solo e cambiò tutto: quando, anche in Italia, arrivò il punk la spaccatura fu netta. Perdemmo l’ideologo e ci ritrovammo in tre, con qualche accusa di fascismo… Del punk la cosa che ci colpì di più era la manifesta incapacità di suonare, e questo indubbiamente ci avvantaggiava. Nacquero così i Sabotage, poi divenuti Blitz, che di fatto vedevano il sottoscritto alla chitarra, Massimo Cargnelutti al basso, Marcello Guerrera alla batteria più altri che ruotavano soprattutto nel ruolo di cantante. Per un po’ avevamo anche uno che suonava il clarinetto….mah!?!? Del periodo ricordo i terribili amplificatori a nolo, che fumavano dopo dieci minuti che eri uscito dal negozio, la totale mancanza di strutture e, sul versante artistico, degli improbabili testi in anglo-dialetto. La scoperta del distorsore ci aprì un mondo: lo collegavamo anche all’impianto voci…. Ma la cosa migliore erano i concerti. In questo senso eravamo veramente bipartisan. Abbiamo suonato infatti in egual misura a sagre parrocchiali e Feste Anarchiche. Con reazioni differenti. Ramones, Clash, Who della prima ora, The Jam: erano questi i gruppi che saccheggiavamo di più. Quando arrivarono i Police provammo un paio di cose, ma era come pretendere di 18 insegnare a sciare ad un giamaicano… Ramones una bottiglietta di plastica centrò il batterista al grido di Tra le date da ricordare c’è sicuramente una Festa Anarchica alla “punk fascisti”. Dal palco esprimemmo tutto il nostro apprezza- Zucchi, dove suonammo con le Kandeggina Gang, la band che mento verso i freak, gli hippie eccetera, finché tre nerboruti non aveva Jo Squillo alla voce, i Kaos Rock e i Wind Open. Una mat- ci sbatterono giù dal palco. tina al palasport, per il classico sciopero marcato Fgci con con- Siamo andati avanti fino all’81, poi ci siamo persi di vista. L’anno certo dei Nomadi, suonammo per secondi e dopo un pezzo dei dopo ho ricominciato a giocare a calcio... CONTROCORRENTE Non voglio più fare la rockstar Due storie controcorrente: Gianfranco Fornaciari, voce e tastiera dei Clandestino con Luciano Ligabue, oggi è manager di successo. Massimo Zamboni, fondatore con Lindo Ferretti di Cccp e Csi, è assessore alla cultura a Carpineti I accompagnato Ligabue nei suoi primi tre album - a frontman e stato abbastanza casuale. Nel ’98 sono rimasto folgorato da in- vocalist dello stesso gruppo quando, lasciato il rocker correggese, ternet, strumento nel quale vedevo una naturale evoluzione del ha deciso di intraprendere una carriera autonoma. Il secondo ha mio mestiere di musicista. Ne ho parlato con Franzoso, mio amico conquistato il mondo della musica underground italiana, con il lun- da sempre, il quale aveva in mente l’idea di aprire una società go sodalizio con Giovanni Lindo Ferretti prima nei Cccp, poi diven- dedicata ai servizi internet. Gli è piaciuto il mio progetto e, da un tati Csi, fino a toccare i vertici delle classifiche di vendita italiane sul giorno all’altro, mi sono ritrovato ad essere responsabile di O-one, finire degli anni ’90. Il primo, Gianfranco Fornaciari, oggi è general un’azienda partita allora con due persone che oggi conta venti manager di O-one, azienda leader nel settore dei servizi dedicati dipendenti e clienti internazionali”. Ma la carriera musicale di For- ad internet con sedi a Reggio Emilia e Milano. Il secondo, Massimo naciari non si è interrotta bruscamente: “All’inizio dell’avventura in Zamboni, è assessore alla cultura per il comune di Carpineti. O-one continuavo la mia attività musicale, anche se dietro le quin- l primo ha raggiunto una enorme fama a metà degli anni ’90, GIANFRANCO FORNACIARI: DA LIGA A INTERNET passando dal ruolo di tastierista dei Clandestino - la band che ha “Il mio approdo a questa nuova carriera – racconta Fornaciari – è A sinistra, Gianfranco Fornaciari, animale da palcoscenico, nel 1995. A destra, in “divisa” da general manager di O-one nel 2007 19 te. In quegli anni ho suonato negli album di alcune band italiane, come Gang e Marlene Kuntz, una ‘doppia vita’ che ho continuato sino al 2000”. Rimpianti per quel capitolo della vita? “Sì, soprattutto l’età che avevo allora – sorride oggi il 45enne Fornaciari – ma per il resto posso dire di essermi goduto fino in fondo quell’esperienza, compresi i momenti difficili”. Ma, nella vita, anche quello che avviene per caso insegna sempre qualcosa, a saperlo cogliere: “Devo dire – spiega Fornaciari – che quella parentesi mi ha fatto crescere tantissimo. Sono laureato in economia e commercio e, prima di lasciare tutto per suonare con Ligabue, lavoravo in banca. Nel corso degli anni passati sul palcoscenico credo di aver imparato a capire le persone, anche le più diverse tra loro, e a mettermi in relazione con gli altri in maniera più efficace. Il mio mestiere attuale mi fa mettere in gioco entrambe le competenze che ho maturato, quella di bancario e quella di musicista. Adesso capisco che tutto il mio percorso professionale ha un senso”. Ma l’ambito musicale, anche se in secondo piano, continua ad avere un suo spazio: “Gli ex Clandestino, oggi Klan, mi hanno coinvolto nel loro progetto, e sto lavorando con loro come compositore e arrangiatore. È un ruolo nel quale mi ritrovo perché sia con i Klan sia in azienda devo progettare e organizzare le cose, e andare ol- MASSIMO ZAMBONI, L’ASSESSORE PUNK tre il quotidiano per vedere il progetto finito. Uno dei pochi aspetti “In realtà io non ho mai voluto fare la rockstar: il grido di battaglia positivi della mia età è l’esperienza – sorride Fornaciari – e sono dei Cccp nei primi anni ’80 era ‘Il rock è morto’. Quello che voleva- felice di metterla in gioco ogni giorno”. mo fare era propaganda all’Unione Sovietica, volevamo diventare presidenti di partito”. Massimo Zamboni è davvero l’antitesi della rockstar: schietto, solare, gentile e cordiale ma palesemente disinteressato a suscitare nel prossimo una considerazione positiva. Da questo punto di vista, è anche l’antitesi dell’uomo politico. Com’è finito allora a fare l’assessore? “Io non mi considero né musicista, né scrittore, né politico. Avrei accettato di fare l’assessore solo a Carpineti, il comune dove vivo. La mia attività di amministratore pubblico è solo un’estensione delle mie altre attività, musicale e letteraria. E ognuno di questi aspetti – spiega Zamboni – non è altro che uno dei modi che ho per fare quello che m’interessa davvero: sperimentare continuamente, aprire gli occhi e mettermi in relazione con gli altri. Essere assessore, così come suonare o scrivere, non è che un mezzo per allargare gli orizzonti, non una via per fare carriera”. Una cosa è sicura, in veste di assessore Massimo Zamboni si trova ad interagire con tipologie umane molto diverse da quelle incontrate sui palchi di tutta Italia: “È vero – sorride Zamboni – e spesso credo di essere visto come una mosca bianca, ma ci sono anche molti aspetti positivi. Ogni volta che sul giornale esce una mia intervista in qualità di artista, automaticamente guadagno molti punti anche in chiave politica. Una situazione che mi dà mag- Gianfranco Fornaciari, primo a sinistra, con gli altri Clandestino: da sinistra a destra, Cavalli Cocchi, Cottafavi e Ghezzi. Era il ‘93 giore libertà di movimento, che mi concede la libertà di sbagliare”. Ma la sua nuova esperienza è ben diversa da quella di musicista: “Quando fai musica, specie come la facevamo nei Cccp, puoi dav- 20 vero fare quello che ti pare. In politica le cose sono più complesse e le posizioni da considerare prima di prendere una decisione sono moltissime”. Se la storia dei Cccp è stata, sin dalla scelta del nome, Sopra, tre momenti nella vita da musicista di Zamboni, nella foto centrale è con Giovanni Lindo Ferretti e Amanda Lear. Sotto, l’assessore Zamboni oggi intrecciata con la politica, i rapporti tra i partiti, anzi “Il Partito”, e il giovane Zamboni furono spesso turbolenti: “Noi cercavamo il dialogo con il Pci – ricorda Zamboni – ma i funzionari di allora ci guardavano come se venissimo direttamente da Marte. Anche se - scherza l’assessore – sulla maglietta avevo più spille dell’Unione Sovietica io di quante ne avessero tutti i funzionari del Pci messi insieme”. Una fama, quella dei marziani Cccp, alimentata anche da vere e proprie leggende popolari: “Il 1° maggio del 1983 – ride Zamboni ricordando l’episodio – suonammo al concerto della Cgil a Castelnovo Monti. Il palco era stato attrezzato su un camion da partigiani, con il quale girammo per tutta la montagna. A Villa Minozzo ancora raccontano di come, appena finito il nostro concerto, si alzò un vento terribile che fischiò per tre giorni di fila. Giorni nei quali avvenne un furto in chiesa, nonostante la porta fosse rimasta sprangata, così dice la leggenda, e un’auto parcheggiata in un cortile vicino al palco prese fuoco per combustione spontanea. Provo un grande affetto per la mia storia musicale – conclude Zamboni – e sono felice quando qualcuno me la ricorda”. Zamboni, oggi, oltre a fare l’assessore continua la sua attività di compositore di colonne sonore: “Ho bisogno di una musica diversa dal rock che, secondo me, non rappresenta tutta la vita, ma non comunica più nulla agli over 35. Ho bisogno di una musica nella quale si possa identificare tutta una vita, e non solo una sua piccola parte. Per questo suono ancora, per continuare a cercare” ■ 21