MARIO PIRATI
FRA GHERARDO
DI
ILDEBRANDO PIZZETTI
192 8
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
MUSICALE
MILANO
PROPRIETÀ LETTERARIA
CopyrigLt by Bollettino Bibliografico Musicale
Maggio 1928
Coi tipi della Tip. Centrale F Balzaretti - Milano, Vicolo Verziere 14-16
NOTIZIE INTORNO ALLA LIGURA
E ALL’ARTE DI
ILDEBRANDO PIZZETTI
Ildebrando Pizzetti è nato a Parma il 20 Settembre
1880. Il padre suo, buon pianista ed insegnante di piano­
forte nella stessa città, gli fece intraprendere gli studi clas­
sici, chè il giovane seguì fino al liceo, allontanandosene,
giunto a tal punto, per dedicarsi agli studi di musica. Con­
tinuò a studiare per suo conto poesia e letteratura, e s’in­
scrisse, quindicenne, al Conservatorio di Parma, senz’alcun’altra preparazione musicale all’infuori di quella che po­
teva procurargli il vivere ai margini della professione pa­
tema. Cominciò quindi a frequentare il corso d’armonia nel­
la classe Righi, e non gli occorse invero gran tempo per
espletarlo completamente e sentire farsi sempre più ristretto
l’orizzonte d’intorno, mano a mano che la scuola veniva
esaurendo le sue « rivelazioni ». Eira il tempo in cui, tanto
nella pratica dell’arte che nella scuola, dominava quella
mentalità da orecchianti che aveva fatto dimenticare e fa­
ceva ignorare l’esistenza di tutta una storia nostra da conti­
nuare e da accrescere, e tutto si restringeva, nel campo della
musica, alle solite opere di soggetto più o meno romantico
o veristico, alle romanze e canzoni di dubbio guato deliziami
tutti i salotti di allora, e a qualche sporadico tentativo di
qualche musicista, vivente nell’orbita dei romantici dell’ot­
tocento tedesco, di far risorgere da noi il gusto per la
musica cosidetta pura.
Il giovane Pizzetti, che già dagli studi classici aveva
appreso ad attingere dalla conoscenza e dallo studio del pas­
sato di che dissetare il suo spirito, ansioso di comprendere
e di rivelarsi attraverso la conoscenza posseduta, si volse
ben presto, una volta ricevuti i primi insegnamenti, a ricer­
care nella musica con altrettanto fervore, e da solo, quanto
la scuola non avrebbe potuto mai dargli.
Gli venne incontro e gli fu di grandissimo ajuto un
uomo di nobile cuore e di appassionata fede che in quel
tempo andava svolgendo un vero apostolato pei la rivendica­
zione e l'esaltazione del nostro passato glorioso: Giovanni
Tebaldini, chiamato a dirigere nel 1897 il Conservatorio di
Parma, proprio quando al giovane musicista nostro si pre­
sentavano i primi problemi da risolvere, al fine di costruire
se stesso in armonia con le aspirazioni e le ispirazioni che
lo studio veniva in lui suscitando.
Il Tebaldini fu subito avvertito, dalla elevatezza e per­
sonalità singolari delle manifestazioni scolastiche del giova­
ne allievo, che in esso era una superiorità d’intelligenza e
di sensibilità che lo ponevano in una luce ben distinta da
tutti gli altri, e non esitò a prenderlo sotto la sua guida spi­
rituale, vigilandolo, proteggendolo ed aiutandolo in ogni
modo, perchè la sua educazione si compiesse secondo la
sua naturale inclinazione, favorendone i desideri di cono­
scenza e di ricerca, e mirando ad imprimere alla scuola
stessa un’atmosfera di libertà entro la quale potersi muoversi
agilmente, senza gli impacci e i pregiudizi della mentalità
burocratico-scolastica, imperante ed opprimente. Per que­
sta sua opera il Tebaldini s’ebbe a quel tempo molte criti­
che e lotte accanite, per cui più tardi fu finanche dostretto ad abbandonare il posto. Ma il seme era gettato e
non mancò di dare i suoi frutti. Fu quello il momento in
cui fu operata la prima benefica spinta verso quel risvegliarsi
della coscienza musicale italiana che con Ildebrando Piz­
zetti doveva dare il segno più alto e certo.
II 1 ebaldini istituì presso il Conservatorio un corso di
canto gregoriano, invitando a parteciparvi gli allievi di com­
posizione : dall’argomento principale del canto gregoriano
il Tebaldini prendeva le mosse per discussioni d’ogni più
vario carattere, dal musicale al letterario al filosofico all’este­
tico in genere. Ebbe a condurre i suoi giovani ad ascoltare
esecuzioni di canto gregoriano in chiese e conventi e, esper­
to polifonista, fece loro conoscere ed ascoltare i capolavori
del Quattro e Cinquecento, nei quali visse e si ampliò nella
complessità del vasto edificio polifonico lo spinto antico del
canto cristiano. Nè fu trascurato, anzi attentamente seguito,
lo svolgersi che si veniva compiendo nella espressione mu­
sicale dai vari paesi, nell’ora contemporanea, sì che da
tutto \ questo fervore, da questa vita intensa di purissime
emozioni e rivelazioni, dal Tebaldini promossi altresì con
viaggi d’istruzione nelle principali città musicali, il.Pizzetti
ebbe a trarre tanto lievito per le sue successive riflessioni e
conquiste.
E innanzi tutto egli cominciò a fondarsi su quel senti­
mento corale tutto italiano che egli sentiva nelle vene e
risentiva nel canto dei contadini della sua terra, riandando
con amore a tutto il cammino percorso dalla nostra classica
polifonia. £ ne assimilò tanto profondamente la sostanza,
da appropriaisenè e fame l’essenza stessa del discorso mu­
sicale attraverso cui venne poi manifestandosi l’arte sua,
e che oggi noi riconosciamo come lo siile pizzettiano.
Questa innata polivocità onde il suo spirito s’era ve­
nuto aprendo e fortificando doveva necessariamente con­
durlo a quella fra le concezioni musicali che di tutte appare
la più comprensiva e armoniosa di voci e di forme : cosic­
ché ben presto, fin dai primi anni del Conservatorio, Pizzetti si diede a vagheggiare la composizione di un’opera
teatrale, sogno che era del 'resto ed è ancora quello di tutti
i giovanissimi e giovani musicisti, e quasi sempre il primo,
il più bello, e quello che sembra più irrealizzabile. Il Pizzetti si -accinse subito con una gran fede nel cuore ai primi
tentativi. Gli fu compagno un giovane amico di quei lon­
tani anni di sogni e speranze comuni, Annibaie Bèggi, che
apprestò al Pizzetti la parte poetica di una Sabina, tratta
da una leggenda alsaziana, opera in due quadri che Piz
zetti, diciassettenne, musicò per intero, ricavandone la pri­
missima esperienza in quel campo musicale drammatico nel
quale dovevano poi convergere tutti i suoi sforzi e le espe­
rienze ulteriori.
Della Sabina, una volta scritta, non si parlò più. L’o­
pera non era riuscita a realizzare praticamente quello che
nelle idee del suo giovane autore già si veniva astrattamen­
te delincando, nell’aspirazione verso una forma propria, per
sonale e inconfondibile, di musica drammatica. « Fu tempo
« sprecato ? Forse no, anzi certo no. Alla scoperta e alla
« conquista delle verità estetiche non ci si può arrivare,
;< credo, considerando i problemi estetici soltanto con l’in« telligenza critica, ragionandoci sopra. Provare, bisogna:
IO -
« e se si è sbagliato strada le conseguenze' dell’errore ne
« faranno cercare un’altra e poi un’altra ancora, fin che
« si sia trovata la buona ».
Sono sue stesse parole, contenute nella lettera dedica­
toria alla memoria di Annibaie Beggi, posta a prefazione
degli’ Intermezzi critici.
Venne allora Giulietta e Romeo, tratta dalla trage­
dia di Shakespeare, in cui comincia a organizzarsi meglio
la struttura tematica e logica, e l’interpretazione drammati­
ca prende accenti' di maggior verità ed efficacia, da dar
quasi all’autore la sensazione di aver raggiunto il primo di
quei gradi che devono portarlo alla realizzazione compiuta
del suo ideale drammatico e la sensazione' che nel problema
del dramma musicale fosse ormai la più alta mèta della
sua attività d’artista. (1) Ed infatti ogni tentativo, ogni espe­
rienza,' in ogni forma musicale tanto vocale che strumentale,
da camera e sinfonica, trovano ne! musicista, fatto più co­
sciente ed esperto, un orientamento, un significato quasi
esclusivamente drammatico, sì che le esperienze stesse assu­
mono quasi' un carattere di forme parziali della più grande
esperienza totale del dramma. Ed ecco quindi il Pizzetti,
tra la composizione di un Trio, di una Sonata, di mottetti
e di cantate per voci e' per orchestra e composizioni sinfo­
niche varie, accingersi a scrivere un Cid, da Corneille, sem­
pre con la fraterna collaborazione dell’amico Beggi, e ten­
tare la sorte' inviando la partitura ad uno dei concorsi Sonzogno dell’epoca. L’opera fu accompagnata dalle più fer­
vide speranze, chè era costata al musicista le riflessioni più
profonde su quanto dai precedenti tentativi era scaturito in
(1) I. Pinzetti - “Intermezzi critici,, cit (Ed. Vallecchi - Firenze).
insegnamenti e suggerimenti. Voleva essere la prima presa
di posizione di fronte agli altri, nell’impresa cui il musici­
sta sentiva ora ' di essersi interamente votato e che il motto
distintore dell’opera valeva a significare sinteticamente:
ii Restaurare innovando ».
L’opera non potè essere ammessa al Concorso perchè
fu trovata’ mancante della scena finale, non potuta com­
porre dato il tempo ristretto.
Passato il primo disappunto, anche il Cid rivelò al mu­
sicista le sue imperfezioni : concepito come forma d’identi­
ficazione fra lirica poetica e lirica musicale, esso veniva ine­
vitabilmente a eludere e ad allontanarsi dal vero dramma,
la mèta ideale da raggiungere, in cui l’espressione lirica
non venisse affermata se non complessivamente dall’evol­
versi e compiersi del dramma stesso e non per opera di ef­
fusioni ed espansioni liriche parziali e premeditate della
poesia e della musica, risolventisi in momenti statici con­
trari al divenire dinamico del dramma.
Vennero quattr’anni laboriosi di nuove e più ansiose
ricerche (1903-1907), intese anche ad apprestare il mate­
riale adeguato, ricco cioè di quelle molteplici e nuove e
mutevoli possibilità di colore e di espressione necessarie a
rendere con la maggiore immediatezza possibile e con le
maggiori risorse il linguaggio multiforme dell’anima uma­
na, così come il dramma per eccellenza, il dramma perfetto,
ancora da trovare, ma non lontano da raggiungere, avrebbe
richiesto. Cominciarono allora gli studi febbrili sulle antiche
tonalità, partendo da quéi canti gregoriani che nelle lezioni
del Tebaldini avevano già rivelato al giovane allievo di
pochi anni innanzi tutto un mondo di bellezze insospettate,
e giungendo fino alla musica dei greci, studiando le tona=
12 -
lità della quale, e trasportando queste nel giuoco tonale e
armonico del nostro sistema moderno, si aveva l’impressio­
ne di poter disporre di un’armonia e di una melodia del
tutto nuova, intatta e inesplorata, capace di suscitare chissà
quali nuovissime incantevoli visioni. E fu infatti, chè le
scale e le inflessioni modali caratteristiche della musica
greca ebbero un singolare potere d’evocazione nella musica
che il Pizzetti, già suggestionato dall’ellenismo e dal paga­
nesimo dannunziano, ebbe a scrivere per La Nave, di d’Annunzio appunto, primo saggio veramente significativo di un
linguaggio personale, nuovo, ricco, moderno, finalmente ot­
tenuto, e dal quale muovere per le definitive conquiste.
Fu l’inizio del primo grande periodo di formazione del­
la personalità pizzettiana, interamente dominato dallo spi­
rito dell’arte dannunziana, che al Pizzetti non poteva non
offrirò materiale abbondante per l’estensione in superficie
e in profondità delle proprie esperienze. E fu anche il pe­
riodo che offrì una maggiore opportunità all’elaborazione
dei motivi più propriamente lirici, che in un secondo tempo,
più tardi, avrebbero trovato modo di immettersi e fondersi
nella forma drammatica, definitivamente raggiunta, poi,
nelle opere della piena maturità. Motivi lirici che ebbero
modo di fiorire attraverso svariatissime forme, dalla lirica
da camera propriamente detta, alle liriche corali e agli stessi
cori e intermèzzi della Nave, al quartetto per archi, ecc.
Gabriele d’Annunzio doveva offrire altresì al musicista
il modo di realizzare il primo esemplare di quell’idèale di
dramma lungamente vagheggiato e cercato. Ormai esso si
presentava chiaro e definito, nei suoi contorni estetici e
nella sostanza, alla mente del musicista, che già ne andava
= 13 =
parlando in scritti critici sparsi quà e là, in riviste e gior­
nali ai quali egli collaborava.
Uno di questi scritti, e precisamente una conferenza
sul « Dramma musicale dell’avvenire », ebbe uno speciale
rilievo sugli altri, in quanto conteneva un’acuta disamina
dello svolgimento storico delle forme drammatiche e la ge­
niale intuizione, scaturita dalla personale interpretazione di
essa storia, del dramma inteso come unica ragione d’essere,
dell’espressione musicale, concetto che fu poi più tardi pre­
cisato e generalizzato nell’identificazione della funzione
drammatica come inerente a qualsiasi espressione anche pu­
ramente lirica, in quanto questa rappresenta il superamento
vittorioso del dramma stesso.
E mentre nei tentativi precedenti, e segnatamente nel
Cid, il Pizzetti, che ben presentiva il risultato cui sarebbe
pervenuto con le successive riflessioni, non era d’altra parte
ancora in grado di sottrarsi all’influenza esercitata su di lui
dalla musica teatrale del tempo, concepita esclusivamente
comè successione di momenti lirici, e perciò statici, colle­
gati dal tenue filo del recitativo o del declamato melodico,
— musica eminentemente anti-drammatica, — con la Fedra
egli si accinse per la prima volta a realizzare compiutamente quel tipo di musica che permettesse al dramma il suo
libero svolgersi e progredire, senza arresti nè soluzioni di
continuità, prestabilite, come nella pratica teatrale corrente,
per dar motivo al musicista di effondersi in voli lirici, e
senza peraltro negare a questi la loro ragione d’essere,
quando il dramma stesso lo permettesse, o meglio, lo richie­
desse .
Nacque così Fedra, dove il discorso musicale si ade­
gua, si plasma, si immette nel dramma e diventa tutt’una
= 14 =
cosa con esso, senza subire soste volontarie, involgendo di
sè ambiente, cose e personaggi, fluttuando, mutando di for­
me e di colori, elevandosi, mano a mano che il dramma si
snoda e prende gli atteggiamenti più vari, dal giuoco ser­
rato! della tragedia alla contemplazione, alla commozione
lirica : divenendo, in una parola, canto, e canto continuo.
Fedra fu, come abbiamo detto, il primo esemplare
compiuto di una propria forma di dramma, cui il musicista
riuscì a pervenire, dopo lunghi anni di travaglio. Non po­
teva, appunto perchè primo, lasciare il musicista stesso com­
pletamente soddisfatto, non solo per l’irresistibile bisogno
di ogni vero artista di non,mai arrestarsi nel suo cammino,
e fare d’ogni punto d’arrivo il punto di partenza per nuove
successive conquiste, ma anche perchè, se la tragedia dan­
nunziana presentava , innegabilmente i requisiti necessari
perchè si prestasse all’interpretazione musicale pizzettiana
nelle sue linee sommarie e generali, d’altra parte esse non
poteva rappresentare sotto ogni riguardo l’ideale, il tipo
vagheggiato dal musicista, per parecchie ragioni.
Se cioè in Fedra, senza dubbio, « ogni episodio, ogni
momento dell’azione, ogni movimento, ogni parola dei per­
sonaggi » potevano « ricevere dalla musica la espressione
necessarta alla loro piena intelligenza da parte dello spetta­
tore », sì che alla musica fosse data « la possibilità di rive­
lare continuamente la misteriosa profondità delle, anime,
oltre i limiti che la poesia non può, e non potrà mai varca­
re », (1) se, fino a un certo punto, altrettanto può dirsi
quanto al principio per cui, secondo lo stesso. Pizzetti, il
(1) Parole di I. P. sulla “ musicabilità,, del dramma per musica, contenu­
te nello scritte su “Ariane et Barbableu,, di P. Dukas, comparso sulla ‘‘Rivista
icale Italiana,, 1907.
15 =
dramma per musica non debba essere « realizzato dal poeta
che formandolo, per quel che riguarda l’azione, dei soli
episodi necessari, al suo svolgimento — sfrondandolo cioè
di qualsiasi episodio nel quale la musica non possa esser
niente più che sovrapposizione o accompagnamento o de­
scrizione solamente », non altrettanto perfettamente, inve­
ro, può dirsi quanto al fatto che nel dramma musicale deb­
ba esser ridotta « la espressione verbale dei personaggi alle
sole parole necessarie per la manifestazione intelligibile del
loro sentimento nascosto, togliendo cioè al loro discorso
qualsiasi, carattere d’autoanalisi psicologica... ». E ancora
continua il Pizzetti : « La sovrabbondanza delle parole nel­
la espressione dei sentimenti non riesce ad altro che ad in­
ceppare il libero svolgimento della musica e a menomarne
l’efficacia... Non v’è nessuna ragione di lirismo che possa
giustificare la verbosità d’un personaggio che per esprimere
i propri sentimenti, li analizzasse sottilmente e compietamente__ ».
Troppo nota è la tragedia dannunziana perchè sia ne­
cessario dimostrare quanto essa potesse esser lontana, anche
nel .rimaneggiamento operato sul testo dallo stesso poeta per
meglio adeguarlo alle esigenze musicali, dall’ubbidire a
quest’ultimo principio di musicabilità, dal Pizzetti afferma­
to, principio altrettanto fondamentale quanto gli altri perchè
il dramma rispondesse pienamente ai criteri pizzettiani. E’
ovvio riconoscere che, se pur la concezione del poeta si
accostava per molti punti di contatto a quella del musicista,
altra fu, e non poteva non essere, la sua origine nello spi­
rito del poeta perchè potesse perfettamente, in ogni punto,
identificarsi con la concezione del musicista. Non poteva
non essere così anche pel fatto che, nonostante l’innata fi-
riissima percezione musicale nel d’Annunzio, questi era e
rimaneva sopratutto poeta, nè d’altra parte, in quell’epoca,
gli ideali pizzettiani potevano essere così ben definiti e ri­
velati, all’ infuori nel pensiero del musicista, da poter
essere, più che intuiti, veramente e profondamente com­
presi e fatti propri dal Poèta stesso.
Ma un’altra ragione, e questa ben più profonda, non
poteva far ritenere il musicista perfettamente a suo agio
nel mondo d’imagini e sentimenti, così lontani da quell’uma­
nità che è precipua ispirazione dell’arte pizzettiana, che
è nell’arte fantasiosa e splendida di Gabriele d’Annunzio.
Bisogna soffermarsi a considerare e comprendere qual
sia la natura e il .carattere di Ildebrando Pizzetti per inten­
dere la sua fondamentale diversità dal d’Annunzio. Rife­
riremo a questo proposito le parole di uno fra i più intelli­
genti e perspicaci critici di Pizzetti, Guido M. Gatti, che
ne tratteggiano efficacemente la figura e lumeggiamo le ca­
ratteristiche essenziali della sua concezione della vita.
« Se dovessimo sintetizzare in una sola parola quale sia
« l’oggetto della religione pizzettiana noi non ne seprem«. mo trovare una più propria e significativa : amore. Amore
« degli uomini e delle cose create, spirito di fraternità per
« il dolore altrui, e volontà di vivere in armonia perfetta
« con se stesso e con gli altri : onde un’austera bontà, una
« comprensione liberale della vita, sì che le avversità d’ogni
« giorno sono viste nell’insieme del bene che la vita stessa
« ci offre e perciò non riescono a toccare la fede in essa.
« Questa concezione filosofica della vita, questa weltau« schauung, si riflette direttamente nella creazione dell’arti « sta, il quale riesce perciò sempre a superare esteticamente
= 17 =
« il dolore nell’espressione ed a conchiudere l’opera sua
^ con una parola di consolazione ».
Verso un tipo di dramma più umano, dunque, più vero,
nonché lontano da ogni spopo che non fosse il dramma stesso
come affermazione di vita profondamente e appassionata­
mente vissuta, non, quindi, letteratura, e tanto meno colore
o imagine riflessa di un mondo o di una vita di cui l’anima
non si senta partécipe intimamente, volgeva ormai l’aspira­
zione del musicista. E sopratutto, bontà, amore, anelito verso
una vita superiore che distolga anche per poco l’mdividuo
dalla cruda e meschina realtà della vita d’ogni giorno.
Ma ecco le parole stesse del musicista, che sono anche
le parole di un uomo che della vita ha fatto altissima poesia
e da essa ha tratto la forza per una fede e una volontà che
non conoscono ostacoli, parole che sono insieme il credo spi­
rituale dell’uomo e il documento più esatto dei principi este­
tici dell’artista.
E’ una specie di dialogo fra il musicista, che finge di
rivolgersi ad un altro musicista, che è poi egli medesimo.
« — Ma insomma, tu, che cosa intendi per dramma ?
« Ed egli a me :
(( — E tu, che cosa intendi per vita ?...
« Definiscimi la vita, e ti darò la definizione del dram« ma. Vivere, che è ? E’ forse respirare e camminare, man­
ti giare e bere, dormire ? No certo.
« Intendere alla conquista di un bene non materiale,
<t e operare per conquistarlo: questo è, certo, vivere. Amo« re dell’individuo, grandezza, gloria, che non sono mai
<t sentimenti meramente egoistici, ma irradiano intorno al­
ti meno altrettanto bene e altrettanto calore di quanto dal18 =
« l’intorno essi assorbono: e, più su ancora, amore dell’uma« nità, aspirazione a un’attività altruistica, e attività dona­
ti trice di bene, di consolazione, d’amore, e più su ancora,
(< al sommo, volontà e forza di sacrificio per il bene altrui,
<t gioia d’amare, avvicinamento massimo alla divinità nel« la dedizione intera di sè stessi a un’intenzione e a un’ott pera di bene. Questo è, certo, vivere. Ora, se tu pensi
tt che ogni aspirazione al bene e ogni attività per il bene
tt sono insidiate e combattute dalle forze del male, miste« riose, oscure, multiformi, ingannevoli, tentatrici, che ogni
tt uomo ha, presenti sempre e sempre deste e attive, in sè
tt e attorno a sè, tu vedi, tu comprendi che la vita è
tt dramma.
tt — Tutta la vita, tutto ciò che è vita può dunque es« sere argomento, soggetto, materia di un’opera d’arte dram« matica ?
tt — Tutta la vita, quando essa nella rappresentazione
tt del particolare possa assumere valore e significazione di
tt universale. Tutta la vita che fu degna di essere vissuta,
tt tutta la vita che un uomo vorrebbe aver vissuto, per essere
tt in essa tanto di bellezza, tanto di aspirazione al bene da
« sollevare lo spirito di lui, sia pure di un palmo solo, al
tt disopra della realtà materiale e verso la coscienza e il desi­
ti derio di una felicità' superiore, tutta la vita che è vita
« vera è degna di essere rappresentata e cantata. (I).
Volto a questo ideale, e pervenuto alla convinzione che
per l’unicità di ispirazione e realizzazione del dramma mu­
sicale così concepito, fosse impossibile separare, allo stesso
(1) In ‘‘La musica e il dramma., conferenza.
= 19 -
modo che nel dramma stesso, l’opera poetica da quella mu­
sicale e per essa quella del poeta da quella del musicista,
Pizzetti assommò in sè la funzione duplice, identificandola
in una sola. E si diede a elaborare da sè i motivi poetici e
drammatici per le sue nuove opere, volgendo le sue ricer­
che verso la storia di epoche e di mondi lontani eppur vicini
a noi per quel soffio di umanità che attraverso la leggenda
o la storia vera bastava a dare la sensazione di una vita non
interrotta nel corso del tempo, e della quale ci si sentisse
profondamente partecipi come uomini d’ogni epoca e d’ogni
razza.,
Furono così quasi contemporaneamente concepiti tre
drammi, come una trilogia ideale in cui venisse affermata
ed esaltata, sotto aspetti e vicende diversi, la superiorità
dell’amore, forza purificatrice e vittoriosa d’ogni male ter­
reno, aspirazione ansiosa ed ardente verso le supreme vette
del Bene immateriale ed eterno. Alla remota lontananza
della preistoria, nell’età della pietra, fu attinta la materia
drammatica per Lo Straniero, alla leggenda biblica quella
per Débora e Jaèle, e alla storia di Parma e dei moti reli­
giosi del medioevo italico quella di Fra Gherardo.
Débora e Jaèle venne prima delle altre composta, e
rappresentata al Teatro alla Scala nel dicembre 1922, sotto
la direzione di Arturo Toscanini, che all’opera diede entu­
siasticamente tutto il suo fervore di ricreatore, conferendo
all’avvenimento l’importanza storica di una prima vera e
completa affermazione dell’opera drammatica pizzettiana.
Sei anni di assiduo lavoro era costata al musicista la compo­
sizione del dramma, condotto a termine sotto il peso della
crudèle sventura venuta a colpire il Maestro con la perdita
della sua adorata compagna. Venne subito dopo iniziata la
=
20 =
composizione de Lo Straniero, opera in due atti, già ulti­
mata e rimasta ancora inedita per volontà dell’autore, ma
di cui non è forse lontana l’epoca della prima apparizione
al pubblico. Fra Gherardo fu iniziato nel 1925 e condotto
a termine nel breve perìodo di [due anni, durante i quali
fu costante, affettuoso incitamento al lavoro dell’artista, en­
trato forse nel periodo della maggior pienezza e maturità
dell’Arte sua, l’amicizia e la comunione spirituale con Ar­
turo Toscanini.
Come abbiamo detto, alla esperienza totale del dram­
ma Ildebrando Pizzetti ha fatto convergere1 tutte le altre,
nel campo della musica vocale e strumentale, sinfonica e
da camera, nel quale la sua attività ebbe a prodursi sempre
instancabilmente, fra una pausa e l’altra dell’attività tea­
trale.
Dopo il periodo che si potrebbe propriamente chia­
mare lirico di tale attività, a cui abbiamo accennato, e al
quale appartengono, oltre i lavori giovanili, le menzionate
musiche per La Natie dannunziana, il quartetto per archi,
i tre pezzi per pianoforte. Da un autunno già lontano, le
liriche corali e le mirabili Cinque liriche, che rimarranno
come il modello più perfetto di composizione vocale da ca­
mera moderna, si venne formando quel periodo di elabora­
zione più spiccatamente drammatica dei motivi che, da Fe­
dra a Débora e alle successive opere, doveva condurre il
Pizzetti alla! piena realizzazione del suo dramma.
Importantissimo discernere e considerare come ciò ab­
bia potuto attuarsi in quel campo dèlia musica dove, venen­
do a mancare la parola e qualsiasi sostrato oggettivo,' la
funzione espressiva viene limitata ed esaurita nella materia
= 21
musicale stessa, vale a dire nel campo della musica stru­
mentale. ?
Qui il Pizzetti ebbe modo di pervenire ad un sostan­
ziale rinnovamento di forme e ad una significazione del tutto
moderna e personale del discorso strumentale. Risultati con­
seguenti e necessari del principio da lui affermato, per cui
« qualsiasi espressione artistica, di qualunque arte si voglia
X « intendere, non ha'valore, non ha ragione d’essere, se non
« crei un dramma o non sia la conseguenza e la conclusione
« di un dramma ».
Così la forma sonata, intesa presso i classici quasi sem­
pre e unicamente come puro giuoco estetico di proporzioni
(come appunto nel taglio classico della sonata, monotema­
tica o bitematica, costituito dall’esposizione del tema o dei
temi, lo sviluppo, che molto spesso è semplice collégamento fra l’esposizione e la ripresa, che è l’esposizione stessa
riprod'otta nella sua integrità, con l’unica modificazione,
non sostanziale, della tonalità del secondo tema, riesposto
in quella del primo, più la coda, più o meno lunga, o anche
omessa), presentita drammaticamente, nelloi spirito modertk. no, dal solo Beethoven, che non potè disporre peraltro dei
frutti di una notevole esperienza drammatica quale il melo­
dramma del suo tempo non poteva offrirgli, e vissuta più
liricamente che altro da César Franck, trova in Pizzetti, —
italiano e discendente in linea retta da quei primi musicisti
nostri che, dal ricercare organistico scaturito dalla strumen­
talizzazione delle forme corali, alle prime forme sonatisti­
che del settecento, posero le fondamenta di quello stile stru­
mentale che doveva emigrare e venire assunto poi da musi­
cisti di altri paesi e d’altra razza, — come il punto di ar­
rivo di un ideale ritorno alla fonte genuina delle sue ori=
22 =
gini, arricchita e accresciuta da tutta una vita vissuta nel
comprendere e assommare in sè, mano a mano che venivano
rivelandosi, i risultati della complessa e multiforme e seco­
lare esperienza drammatica.
In Pizzetti, dunque, dramma e sinfonia si incontrano
e si identificano, dopo lungo cammino, sembrato talvolta
quasi opposto. Nella sonata pizzettiana, non più giuoco di
SovuCCa.
linee e proporzioni, ma espressione profonda e compiuta di
vita, come nel dramma stesso.
»
Ciascuna idea non è più un tema soltanto : talvolta un
complesso di temi, e tuttavia tutt’insieme un 'idea, il polo
positivo o negativo di un nucleo formato dall’idea stessa
e da un’altra che vi si contrappone, sì che dall’urto, dal frap­
porsi, dal conflitto con la prima riesca ad una vittoria, ad
un superamento lirico di un dramma che ha ricevuto vita
ed è insito esclusivamente nei suoni. Il classico principio che
nella contrapposizione di forze contrarie tendenti irresisti­
bilmente verso la catastrofe trovò attuazione nella tragedia
greca, ben può dirsi riviva qui, ad opera del Pizzetti, tra­
sferito nella forma musicale, realizzando di questa il tipo per
eccellenza moderno della sonata drammatica. Védasi lo svi­
luppo nelle sonate pizzettiane, (Sonata per violino e piano­
forte, Sonata per violoncello e pianoforte. Trio per violino,
violoncello e pianoforte) dopo l’esposizione delle due idee
separate. La ripresa, dopo esso sviluppo, che è vero e pro­
prio travaglio di forze in divenire, è irriconoscibile dalle ri­
prese delle sonate classiche, ma è conclusione, epilogo, apoteosi, di qualcosa che è realmente avvenuto e che ha ac­
quistato valore di vero e proprio dramma vissuto nei suoni.
La storia dirà se davvero 'l’esperienza sinfonica sia
stata quella che abbiamo chiamata una forma parziale del= 23 =
l’esperienza totale drammatica in PiZzjetti o non piutto­
sto il contrario, nell’inconsapevolezza, forse necessaria, del­
l’artista, e in tal caso certamente stabilita da quel Destino
che sembra presiedere alle cose dell’Arte e disporne lo
svolgimento. La produzione musicale assoluta non è invero
predominante nell’intera produzione pizzettiana, in cui è
superata da quella teatrale. Ma l’una e l’altra, e quella già
notevolissimamente, contengono, ora già in atto ed ora al­
meno in potenza, i germi e i motivi essenziali di quello che
sarà il linguaggio definitivo e avvenire dei nostri tèmpi, nel­
la nostra Italia.
»
Nell’una e l’altra fase dell’attività pizzettiana s’inseri­
scono, di minor mele ma non di minore importanza, opere
di vario carattere e di varia struttura che partecipano volta
a volta dell’atmosfera lirica e di quella drammatica o di
ambedue insieme.
Tali, per citare le più significative, i Tre preludi per
YEdipo re di Sofocle, l'Ouverture per una farsa tragica, il
Poema emiliano, la Sinfonia del Fuoco per il dramma ci­
nematografico Cabiria di Gabriele d’Annunzio, tutte opere
sinfoniche ; e poi le musiche di scena per la Pisanella di
Gabriele d’Annunzio ancora, fra le più fresche e vive e
colorite fra le musiche pizzettiane, quelle per la sacra rap­
presentazione di Abram e Isaac di Feo Beicari, suggestiva
rievocazione dell’antico dramma sacro italiano, le Due li­
riche drammatiche napoletane per tenore e orchestra, su ver­
si di Salvatore di Giacomo, due piccoli drammi in cui è
meravigliosamente ritratta e sentita la mutevole passiona­
lità dell’anima napoletana, il Lamento di Shelley per tenoro e coro, pagina dolorosa scritta nell’angoscia del lutto
= 24 =
&
recente per la sposa perduta, i Tre canti per violoncello e
pianoforte, parentesi serena e affettuosa nell’evento lieto
delle nozze della figliola del Maestro, i tre Sonetti del Pe­
trarca, per canto e pianoforte, le tre Canzoni, su poesie
popolari italiane, per canto e quartetto d’archi, e, sovratutte, la Messa da requiem, per la quale ben possono ripe­
tersi le parole che Gabriele d’Annunzio ebbe a dire a pro­
posito della trenodia per Ippolito morto, nella Fedra : « uno
dei vertici della musica moderna », ideale continuazione
nel nostro tempo della più pura e classica coralità polifoni­
ca italiana.
Nella multiforme attività d’Ildebrando Pizzetti pren­
dono un posto notevolissimo quella del critico e quella del
maestro ed animatore di giovani, espressioni diverse ed in­
tegranti della sua salda fede e del suo entusiasmo d’artista.
Sono da ricordare pertanto, e da indicare come le fonti mi­
gliori per una esatta conoscenza della personalità e degli
intendimenti pizzettiani, se pur non è già sufficiente ad
attestarne la sua opera di musicista, gli scritti pubblicati
in varie epoche su giornali e riviste, fra cui l’opuscolo sulla
musica dei greci, l’acuto studio critico sulla leggenda del
Faust nella poesia e nella musica, quello sull’zlnane et
Barblebleu di Dukas, il volume Musicisti contemporanei,
in cui sono passati in rassegna e visti attraverso il lume del­
la sua propria personalità molti fra i più significativi musi­
cisti dell’ora appena trascorsa, e quegli Intermezzi critici
di grande valore autobiografico, per la prefazione dedica­
toria alla memoria dell’amico Annibaie Beggi ivi contenu­
ta, contenenti pure il bellissimo e personalissimo studio sul­
la musica di Vincenzo Bellini, quello sul Barbiere di Sivi­
glia, sulla lirica vocale da camera e alcuni interessanti e
25
vivaci apprezzamenti sull’opera tanto discussa di Arnold
Schônberg.
L’attività di insegnante del Pizzetti ebbe ad esplicar­
si dapprima a Parma, negli anni ormai lontani succeduti
immediatamente al compiersi dei suoi studi ufficiali, dove
riuniva attorno a sè una schiera di giovani che a lui trae­
vano per consiglio ed ammaestramento, giovani fra i quali
erano anche antichi compagni di conservatorio che ne ave­
vano percepito il valore e la elevatezza d’animo, poi, do­
po un brevissimo periodo di insegnamento nel conservatorio
stèsso che lo aveva avuto allievo, il Pizzetti passò a Firenze,
dove si stabilì e trascorse oltre quindici anni, prima insegnante,
poi direttore del Conservatorio, animatore fervido ed instanca­
bile, ispiratore sempre appassionato di giovani (vedi anche,
fra gli scritti, le Lettere ad un giovane musicista, (1) prezio­
se di insegnamenti) fra i quali qualcuno, come il Castelnuovo Tedesco, che oggi degnamente ha preso il suo posto fra
i più attivi e valorosi rappresentanti della modèrna musica
del nostro paese. Nel 1924 Ildebrando Pizzetti fu chiama­
to a reggere la direzione del Consènfatorào di Milano,
carica che copre tuttora.
(1) In “Il Pianoforte,, Torino, numeri dal *ett. - ottobre, novembre 1923 e
gennaio 1924
s=
26 =
Musica da Camera
Vocale
Strumentale
Anni
Musica corale
Musica religiosa
Ave Maria, a 3 voci m
con acc. di organo
1897
Musica sinfonica
Musica di scena
Musica teatrale
Scritti critici
xlase, (da V. Hugo) poe­
metto sinfonico per or­
chestra (1), (5).
Tenebrar jactae Slitti,
voci miste (2).
Tantum ergo, a 3 voci
rili (2).
1898
'unto di guerra (da Os­
sian) per coro e orche­
stra (1) (5).
Sonala in do minore per
violino e pianof. (1).
In sogno, per pianof. (3).
(libr. di Annibaie
s(Sabina
Beggi) opera in 1 a. e 2
1899
f quadri.
1901 Trio,
Canzone a Maggio (poesia Giulietta e Romeo (testo
del Poliziano) per coro
di Shakespeare) opera in
4 atti.
e orchestra (1) (5).
in
sol minore per
viol., violone, e piano­
forte (1) (4) (5).
idipo a Colono, ouverture
(1) (5).
1902 Trio, per oboe, corno e
pianoforte (1).
Messa a 4 voci, orch. d
chi e organo (1) (8).
Candite, poema sinfonico,
(1) (7).
Il Cid (libr. di Annibaie
Beggi) opera in 1 atto,
(1) (6).
ex un’opera teatrale ed esclusa perchè mancante di una scena — (7) Soggetto tratto dalle « Metaorfosi » di Ovidio — (8) Messa sine credo, composta per una funzione nella Cattedrale di Cre(I) Inedito — (2) Ed. Marcello Capra. Torino — (3) ed. Rebora, Genova — (4) Presenti
al concorso al « Premio Bellini » del R. Conservatorio di Napoli, senza ottenere il premio. - L’s
tografo trovasi ora depositato nella Biblioteca del Conservatorio stesso. — (3) Eseguito nei sai
del Conservatorio di Parma, durante l'alunnato dell'A. — (6) Opera presentata al Concorso Sonzogl
Anni
Musica da Camera
Strumentale I
1908
Vocale
Musica corale
La musica religion
Lo Nave - musica di ss
I bride d’Annunzio.
1906 Aria i ì re maggiore, per
viol e pianoforte (3).
Foglio d'album per piano­
forte (3).
Scritti critici
Articoli vari sul « Mo­
mento » di Torino.
Tre liriche (poesie di II
debrando
Cocconi)
per
c. e pianoforte. 1. Vigi­
lia nuziale, 2. Remem­
ber, 3. Incontro di Mar­
zo (3).
1905
Musica teatrale
Tre intermezzi per « Edipore » di Sofocle (6).
Epitaphe (poesia di V
Hugo) per c. e pianof.
( 2) .
1904
Musica sinfonica
Musica di scena
Sera d’inverno (poesia di, Cori dei catecumeni e
M. Silvani) per c. e pia-i ris stella a due cori,
noforte (3).
I
tifano amatoria di li
Mattutino a due cori -T
Surdanapato (da Byron);
(
a per la tragedia di Ga-I Mazeppa (da Puskin);
Aeneos (da Virgilio e Ovidio);
Il
Faust, nella leggenda,
nella poesia e nella mu­
sica (8).
Ile cucitrici (9) - Ave Ma-}
ocessionale a 7 voci - in- Lena (Annib. Beggi);
opere incompiuto (1).
liola (3). - Inno a Diana
anza dei sette candelabri
(10)
Quartetto in la per archi
(4).
L’Ariane e Barbebleu di
Paul Dukas (8). Lettera
all’avv. Bocca sulle sue
musiche per La Nave
(8).
1907
1908
Pastori (poesia di G
d’Aitnunzio) per c. e pia­
noforte (5).
Pelléus et Melisande di
Claude Debussy (8).
sotto il titolo «Tre preludi» per l'« Edipo re» di Sofocle — (8) Rivista Musicale Italiana. F.lli
(1) Inedito — (2) Ed. La nuova musica, Firenze — (3). Ed. Schmidl, Trieste (4) F.'iBocca, Torino — (9) Nella rivista S. I. M. - PariKi — (10) Eseguita durante la prima rapprec- • ni_________
i.-j I- ». r
/zi r- -- .
. i ... r-.-.llsentazione della tragedia dannunziana in Roma, teatro Argentina, data dalla compagnia GaraPizzi, Bologna (5) Ed. For.ivesi, Firenze - (6) Eseguiti in una rappresentazione dell « Ed.tfl vagl;a ne, marz0 1908, direttore della parte musicale Vittorio Gui.
re » di Sofocle data a Milano da Gustavo Salvini, Pubblicati nel 1927 in ed. Ricordi, M-ilam
Anni
Musica da Camera
Strumentale I
Vocale
Musica corale
Musica religiosa
Musica sinfonica
Musica di scena
Musica teatrale
Scritti critici
1909 Poemetto romantico, per
pianoforte (2).
Sopra gli Istituti Musicali
(IH.
1910
La madre al figlio lontano
(poesia di R. Pantini)
per c. e pianof. (3).
1911 Da un autunno già ionia
Erotica (poesia di G. d’An
nunzio,», per c. e piano
forte (5).
no, per pianoforte.
1. - Sole mattutino sul pra
to del roccolo.
2. - In una giornata pio
vosa, nel bosco.
3. - Al fontanino (4).
1912
V
(
Ouverture per una farsa\ Fedra. Tragedia musicale
tragica (1) (8).
| in 3 atti. Poema di G.
d’Annunzio (9).
Giacomo
Puccini
(111
•3 ^
San Basilio (poesia pop.
greca trad, di N. Tom­
maseo) per c. e piano
forte (3).
£
C
V
Il Clefta prigione (id. id.)
id. (3).
1918
Due canzoni corali (poei
pop. greche, trad, di
Tommaseo) per 4 vo
virili. 1. Per Un mori
2. Lu Rondine (6) (7).!
La Pisanclla, musica
Gabriele d’Anminzio
(10).
di
(3)
S5Z
% £O
CJ C N
•a « «
C«£
(1) Inedito — (2) Ed. Rebora, Genova — (3) Ed. Forlivesi, Firenze — (4) Ed. Willìai
viero. L’estampie royale. La Danza della morte profumata) per pianoforte. L’Autore stesso poi ebbe
Londra — (5) Ed. Pizzi, Bologna - (6) Ed. Dissonanza, Firenze — (7) Ed. Ricordi, Milano
(8) Eseguita a Milano in un concerto Toscanini nel 1918 — (9) Prima rappresentazione alla Seul i » trarne una Suite sinfonica in 5 parti. (Nella reegia di Cipro. Sul molo di Famagosta. Il Castello
\della
regina spietata. La danza dello Sparviero. La danza dell’amore e della morte profumata) per
di Milano, direttore Gino Marinuzzi, interpreti Salomea Krucenisky (Fedra), Edward Johnso
orchestra, eseguita all’Augusteo (1917, dirett. Molinari) e a Napoli (1919, dirett. l’Autore), quindi
Ed. Sonzogno, Milano — (10) Eseguita alla rappresentazione del dramma dannunziano a Parig
4n altre città. (11) La Voce, Firenze.
Teatro dello Châtelet, nel 1913. Pubblicata la riduzione per pianoforte di M. Castelnuovo Tedesct
che ne trasse altresì Quattro trascrizioni da Concerto. (11 molo di Famagosta. La danza dello Spar
Anni
Musida da camera
Strumentale
Vocale
1914
Musica corale
Musica religiosa
Musica sinfonica
u9Ìca di scena
Sinfonia del Fuoco, peri
chestra, per il dramm
Gabriele d’Annunzio
Musica teatrale
baritono, coro e or­
La Musica dei Greci (9).
Il dramma musicale del­
l’avvenire (10).
La musica nella vita musi­
cale contemporanea (11)
Musicisti contemporanei ■
ma emiliano per viol,
orchestra (1) (5).
1916
Passeggiata (poesia di G.
Cauto d*Amore, terza del
Papini) per c. e pianof.
le cr Canzoni corali » (4|
(2).
1916
1919
1921
1922
Gabriele
6).
Due
liriche
drammati siche per i
che
Napo
’Abramo ei
letane( poe
sacco
dii
aie di S."di
'eo Belcarif
Due
Antifone
tratte
dal
Cantico dei Cantici, per
\ Sonata in la per violi- c. e pianof. (1).
i no e pianoforte (15)
1/y Cry (poesia di Miss
Gerda Dalliba) per canto
e pianoforte (1).
1920
( 12) .
sacaglia, Balletto e due Gigliola (trat­
to da L a
orrenti di Frescobaldi,
Fiacco
la
astorale di Pasquini e
sotto i 1
ue Correnti di M. A.
moggio
di
ossi,
strumentate
(1)
J
1917
1918
Scritti critici
(3) <?)- >
Giacomo)
d’ Annun zio) - op.
incompiuta I D è b o r a e Lii musica di Vincenzo Bel­
lini (13).
I a è l e ,
( 1 ).
dramma in
3 atti (3)
(81-
per
tenore
e or e h e
stra.
1. A ngelerà’,
Lamento (poesia di She
ley) per tenore e cori
(1).
2. Assunta
2
( )
Sonata in fa, per violoncello e pianoforte (3).
La musica italiana (14).
Intermezzi critici (111 (16)
Tre sonetti dfl Petrarca,
per c- e pianof.
1. La vita fugge;
2. Quel rosignuol;
3. Levommi il mio pensier (3).
liessa da rèquiem per v<
ci sole (3) (17).
(I) laedito — (2) Ed. Forlivesi, Firenze — (3) Ed. Ricordi, Milano — (4) Pubblicata ne
1 Almanacco della « Foce» 1916, Firenze — (5) L’esecuzione che dovevasi avere di questo lavo]
nei concerti commemorativi del centenario verdiano non ebbe luogo — (6) Eseguite in una rap­
presentazione di Aminta, favola boschereccia di T. Tasso data nel 1914 a Fiesole — (7) Composta
per l’esecuzione della Sacra Rappresentazione di Abraham e Isaac dì Feo Beicari avutasi in Fi­
renze nel 1917 ; e riprodotte poi al Teatro di Torino nel 1925, con aggiunte, sotto la direzione
dell’Autore, il quale ora ne ha preparata una seconda versione senza soluzioni di continuità, mu­
sicando le parti che venivano recitate nelle precedenti esecuzioni. Della prima versione è pubbli­
cata la riduzione per pianoforte (M Zanon). — (8) Prima rappresentazione alla Scala di Milano, 16
Dicembre 1922, direttore Arturo Toscanini, interpreti Elvira Casazza (Dèbora), Giulia tess
(Jaèle), Giovanni Sample (Sisera). Pubblicata la partitura d'orchestra e la riduz per c. e piano
Lo straniero, dramma
in 2 atti (1)
(V. Frazzi). — (9) Ed. Musica, Roma, (con lettera dedicatoria a Giovanni lebaldini). - (10)
erenza letta a Milano, Firenze, Parma, Genova e altrove. — (11) Conferenza (In Atti dell Acceic e Istituto Musicale, Firenze) — (12) Ed. Treves, Milano. Raccolta di articoli di cui
,i precedentemente pubblicati su riviste e giornali. — (13) Ed. l a Voce, Firenze ;
(14) Ed.
cechi, Firenze — (15) Ed. Chester. Londra, — (16) Contenenti il saggio su Bellini già prentemente pubblicato ed altri scritti, oltre ad una lettera dedicatoria alla memoria del poeta
a Annibaie Beggi. di carattere autobiografico. (17) Scritta dincarico della romana Accaa di S. Cecilia per la commemorazione di Umberto 1 ed eseguita alla commemorazione
ì, al Pantheon, ne! 1923.
Musica da Camera
Strumentale
Vocale
Anni
Musica sinfonica
Musica cop
Musica religif Musica discena
Musica teatrale
Scritti critiei
j (Lo Straniero).
Lettere ad un giovane
musicista (8).
1928
Arturo Toscanini (8,1.
1924 Tre Canti per violoneello
c pianoforte.
1. Affettuoso;
2. Quasi grave e com­
mosso ;
3. Appassionato (2) (3).
1926
Trio in la, per viol, vio
loncello e piano!'. (2
(4).
1926
Tre canzoni per canto e
quartetto d’archi:
1. Donna lombarda.
2. La prigioniera;
3.
La pesca dell’anello,
(2) (5).
192
Fra Gherardo,
dramma in 3 at­
ti (2) (6).
La Musica e il Dramma
(9).
(Seconda versio­
ne di « Abramo
e Isaac al.
(7).
(1) Inedito — (2) Ed. Ricordi. Milano — (3) Esistono anche trascritti per violino e piano!
Composti in occasione delle nozze della figliuola del Maestro. — (4) Scritto per generoso il
della signora Elisabetta Sprague Coolidge. (3) Pubblicata la partitura e la riduzione
e pianof. fatta dall’A. - (6) Vedi a pag. *45 i dati sulla prima rappresentazione. Pubblic»1
i!uz. per canto e pianof. (M. Pilati). — (7) Vedi nota 7 del quadro precedente — (8) In «Il
anoforte» di Torino, annate 1923-1924 — (9) Conferenza riprendente e sviluppante i motivi
à contenuti nell'altra precedente La mugica e il dramma deli avvenire.
SCRITTI CRITICI E BIOGRAFICI SU
ILDEBRANDO PIZZETTI
H. ANTCLIFFE : Pizzetti as a song writer (The Chesterian, Londra, gennaio 1922).
H.
ANTCLIFFE: Pizzetti’s sonata
Opinion, Londra novembre 1922).
ïor
celle
(Musical
G. BASTI ANELLI: La crisi musicale europea (ed. Pagnini, Pistoia, 1922).
G.
BASTIANELLI : Ildebrando
Milano, marzo-aprile 1921).
Pizzetti
(Il
Convegno,
M. CASTELNUOVO TEDESCO: La « Pisanella »
d’Iidebrando Pizzetti (Critica Musicale, Firenze,
tembre-ottobre 1919.)
M.
set-
CASTELNUOVO TEDESCO: La Sonata per vio­
lino e pianoforte di Ildebrando Pizzetti (Il Pianofor­
te, Torino, luglio 1920).
M. CASTELNUOVO TEDESCO: Ildebrando Pizzetti
e la sua musica corale (Il Pianoforte, Torino, agosto
1921 *).
A. DELLA CORTE: Impressioni di liriche vocali di Piz­
zetti (id.).
R. FONDI: Ildebrando Pizzetti e il dramma musicale di
oggi (Biblioteca djell’« Oi/feo », Roma 1919).
G. M. GATTI : Le liriche d’Ildebrando Pizzetti (Rivi­
sta Musicale Italiana, 1919).
G.M. GATTI : Pizzetti critico (Il Pianoforte agosto 1921*).
(•) Numero speciale della rivista interamente dedicato a Ildebrando Pizzetti.
- 38 -
•
G. M. GATTI: Debora e Jaele di I. P. Guida attraverso
il poema e la musica (ed. Caddeo, Milano).
G.
M. GATTI: Ildebrando
New-YorK, gennaio 1923).
Pizzetti (Musical Quarterly,
F. LIUZZI : Opera e dramma nell’arte di I. P. (Il Pia­
noforte, agosto 1921*).
R. GIANI : Note marginali agli <( Intermezzi critici » di
Ildebrando Pizzetti (Rivista Musicale Italiana, 1921).
L. PAGANO: Debora e Jaèle di J. P. (Rivista Musicale
Italiana, 1923; e poi nel volume La fionda di Davide,
ed. Bocca, Torino).
L. PARIGI : Pizzetti (Il momento musicale italiano, ed.
Vallecchi, Firenze 1921).
A. PROCI DA : Ildebrando Pizzetti (L’orma, G. Gianni­
ni, Napoli 1919). Intorno alla Messa da requiem di
I. P. (Corriere di Napoli 1923). Fedra (id. febbraio
1924). La sonata in fa di I. P. (Mattino, di Napoli
fébbr. 1924). Il Quartetto di I. P. (id. aprile 1925).
ecc. ecc.
H.
PRUNIERES: Ildebrando
d’Italie, luglio 1920).
Pizzetti
(Nouvelle
Revue
D. SINCERO : La « prèmière » della Fedra alla Scala
(Rivista Musicale Italiana, 1915).
Oltre a tutti i resoconti critici e recensioni apparsi su
giornali e riviste italiani e stranieri in occasione di esecu­
zioni o pubblicazioni di musiche pizzettiane.
FRA G H E R A R D O
L’ARGOMENTO
Tutta l’arte di Ildebrando Pizzetti è ripiena della vo­
ce ch’egli stesso trasse da quella fertile terra di cantori cheè l’Emilia. Dagli anni lontani delle prime esperienze a
quelli della maturità già raggiunta mai venne meno in lui
il desiderio, il bisogno di legare palesemente ad un opera
sua, — nel nome, nell’immagine, nel riferimento a un luo­
go, in qualunque modo insomma che valesse ad avvertirne
gli altri prima ancora che la musica lo rivelasse per suo
conto, — l’unicità d'origine e d’essenza dell’arte sua con la
sua terra. E par quasi ch’egli ne sia andata cercando l’occa­
sione buona, la più adeguata e la più degna, per realizza­
re il desiderio. Spesso crede di trovarla ma subito dopo si
accorge che è ancora troppo poco, e allora non vi pensa più :
tanto, non sarebbe necessario, è soltanto il capriccio e l’il­
lusione delle apparenze.
Ma certe illusioni, quando ci si mettono, riescono an­
che a vincerla. E così dopo il sogno svanito di Lena, (1) dopo
(1) Una delle opere concepite nel periodo 1903-07 di cui è fatto oenno nella
preparazione agli “Intermezzi critici,, (vedi più innanzi).
il Poema emiliano e altre cose seppellite nel più profondo
della cassapanca di casa (il mobile più misterioso della di­
mora pizzettiana) o di quella della memoria, Fra Gherardo,
doveva esaudire finalmente il voto dèi musicista.
Fra Gherardo, dunque, si svolge tutto in terra emilia­
na, fra gli echi dei canti dei suoi figli innamorati di sole,
di aria, di alberi e di campagne distese, sempre verdi e odorose, e precisamente a Parma, proprio la città natale di
Pizzetti, quella dei primi sogni e delle prime indimentica­
bili impressioni dell’infanzia e dell’adolescenza, e quindi
degli studi e del primo fervore operoso.
Come abbiamo detto, un’unica ispirazione ha sempre
presieduto alle concezioni pizz,ettiane :
l’Amore, inteso
come aspirazione verso un ideale di vita superiore. Consi­
derando tale sua elevata comprensione del più divino degli
umani sentimenti, si può senz’altro scorgere quale debba es­
sere stato il motivo che abbia portato Pizzetti a musicare,
per esempio, una tragedia pur così torbida e tormentata qua­
le la Fedra dannunziana : non esitiamo ad affermare che
il vero centro di gratìità di quell’opera sia spostato verso la
conclusione del dramma laddove la figura di Fedra ci appare
illuminata a poco a poco di uYia luce chiara e purificatrice e
la sua anima si eleva in una commossa atmosfera di vera e
umana bontà, dove non più giunge l’eco tremenda del mo­
struoso delirio e delle turbinose passioni suscitate dal fato
degli Dei. E’ il sentimento profondamente umano di Piz­
zetti che ciò riesce ad avverare, superando la stessa conce­
zione dannunziana, anzi liberandosene finalmente, in quanto
questa continua a rimanere costretta nella esteriorità fredda e
disumata che l’ha determinata.
Quésto dissidio fondamentale fra la natura di d’An-
44
nunzio e quella di Pizzetti e la nozione ben chiara che
questi deve averne avuta, dopo parecchi anni di una colla­
borazione improntata ad entusiasmo ed ammirazione devota
per il Poeta, deve essere stato il motivo non ultimo (a par­
te i personali intendimenti sulla musicabilità dei drammi
per musica dal Pizzetti conclamati, per i quali egli sentì
la necessità di apprestare lui stesso i testi per la propria
musica) che dovette portarlo a rinunziare all’opera, pur inap­
prezzabile, del Poeta. Fors’anco il musicista potrà avere
percepito solo indistintamente e quasi inconsciamente questo
dissidio: fatto sta che egli non ha potuto sottrarsi all’impre­
scindibile necessità (diremo anzi urgenza, come ne è prova
l’improvvisa interruzione, per non più riprenderla, della
musicazione di Gigliola, tratta dalla Fiaccola sotto il moggio,
a lavoro già molto inoltrato e persino annunciato dagli edi­
tori) di seguire liberamente la strada segnata dal suo senti­
mento, così diverso e addirittura opposto a quello di d’Annunzio, se pure taluni credono di scoprire nei due artisti,
delle affinità che secondo noi non vanno più in là di qualche
atteggiamento stilistico. E’ appunto, anzi, nell’esistenza di
queste particolari affinità, per le quali nello stile poetico
del Pizzetti è riconoscibile senz’altro l’influenza di quello
d’annunziano, il motivo per cui riteniamo non potersi attri­
buire a un bisogno d’indole affatto esteriore quale quello
che è inerente allo stile delle parole, — e tanto più tale
per un musicista — la rinunzia del musicista stesso all’opera
del suo poeta prediletto, ma a qualche cosa di più ìntimo
ed essenziale.
Nè è da pensare a una eventuale ambizione poetica in
Ildebrando Pizzetti, la cui rigorosa disciplina interiore
-- 45 —
esclude ogni mira vana o comunque al di fuori e lontana
dai fini cui la sua missione d’artista lo ha destinato.
Certamente, la prima idea germinatrice di Fra Ghe­
rardo deve farsi risalire, come per Fedra e Debora, a quel
periodo di tempo intercorso fra il 1903 e 1907, durante il
quale, come abbiam detto nelle pagine precedenti, Pizzetti
elaborò intènsamente e travagliosamente gli elementi morali,
estetici e tecnici che dovevano condurlo parecchio tempo
dopo alla realizzazione sempre meglio affermata e compiuta
del suo ideale drammatico. E proprio in quella Lena che
abbiam più dietro ricordata e che, con Sardanapalo, Aeneas
e Mazeppa rappresenta uno dei tentativi di quei quattro
anni di ricerche e di esperienze, si possono riconoscere i
caratteri salienti che dobbiamo poi ritrovare in Fra Ghe­
rardo, anzi si può dire senz’altro che Fra Gherardo rappre­
senta la risoluzione appena oggi avvenuta di un problema
che si presentò dinanzi al musicista venti anni fa, costrin­
gendolo ad abbandonare il lavoro già iniziato con tanto en­
tusiasmo. E’ facile desumerlo dalle parole stesse del musi­
cista, il quale ne parla nei suoi Intermezzi critici (Lettera
dedicatoria alla memoria di Annibaie Beggi) :
« Da quell’aspirazione a un’arte propriamente uma­
na, è cioè veramente drammatica, che non avevano potuto
soddisfare nè il Cid nè l’zleneas, mi nacque il concepi­
mento d’un dramma di ambiente contemporaneo e non solo
italiano ma emiliano. Persone semplici, contadini della cam­
pagna reggiana, quei contadini che io avevo osservato e
amato negli anni vissuti a Coviolo : e avvenimenti comuni,
quasi quotidiani, ma che potessero assumere un significato
altissimo e universale. E due figure centrali, un uomo ribel­
le alle leggi e alle consuetudini civili correnti, in nome di
— 4(3
nuovi principi etici, intuiti per istinto piuttosto che com­
presi per jona di pensiero, e una donna — Lena — che,
contro le leggi dei suoi padri e sopra i nuovi principi so­
ciali del suo amante, ajjerma e dimostra la superiorità di
ima legge divina, quella dell’amore ».
Analogia vera e propria, dunque, fra le due « figure
centrali » di Lena e quelle di Fra Gherardo : Gherardo e
Mariola, per non parlare di quella inerente all’elemento
ambientale per cui abbiamo esposti i motivi di ordine senti­
mentale che fecero sempre vagheggiare al Pizzetti l’occa­
sione di esaltare nel canto la sua terra nativa.
Ma ecco sorgere il problema :
« . . . l’esperimento non andò oltre le prime scene del
primo atto, che lo troncai subito per non riprenderlo — al­
meno coi concetti di allora — mai più. Erano bastate poche
pagine a farmi accorgere del mio nuovo errore : poche pa­
gine a dimostrarmi che quella realtà così evidentemente tale,
così riconoscibile e controllabile come tale, avrebbe tolto
a me musicista ogni mia forza di volo e avrebbe raffreddato
e forse distrutto dinanzi allo spettatore del dramma ogni ef­
ficacia espressiva della musica. Un’altra esperienza fallita,
ma utile e forse necessaria ».
Utilissima si addimostrò l’esperienza, in quanto il mu­
sicista, che in fondo non si sentiva di rinunziare a questo
tipo di dlramma, nonché rievocante quell’ambiente a lui
particolarmente caro, rispondente altresì alla sua elevata con­
cezione dell’amore, non smise di pensare al modo con cui
il problema potesse essere risolto.
E se in Fedra prima e quindi in Débora e Jaele e nello
Straniero egli, evitando l’ostacolo costituito dall’evidenza
della realtà contemporanea, cercò nella lontananza del mito,
— 47 —
della leggenda e della preistoria la materia drammatica atta
ad affermare il significato della sovrumana potenza d’amore,
rimase tuttavia in lui vivissimo il desiderio di riprendere e
sviluppare il tema preferito attraverso una vicenda che per
ambiente, colori e sentimenti si riferisse più immediatamen­
te a noi e alla nostra sensibilità. E contemporaneamente
alla concezione di Debora e Jaèle e de Lo Straniero, fu
concepito Fra Gherardo, ultimo nell’ordine della compo­
sizione, secondo in quello dell’apparizione al pubblico.
Gli elementi del dramma furono attinti alla storia del
medioevo italiano denso di quel travaglio delle coscienze
che si manifestò in moti politici, sociali e religiosi, e preci­
samente all’epoca di quel movimento post-francescano che,
sotto il dilagare delle crisi di fanatismo religioso, nascon­
deva un più profondo significato sociale, dando luogo a
quei fenomeni di eresia ad un tempo apostolica e politica,
prodotta dall’urto fra popolo e rappresentanti dell’autorità
papale e imperiale, chè del popolo erano gli oppressori
materiali e spirituali.
Pizzetti fermò la sua attenzione su una di queste tipi­
che figure d’eretici, allora pullulanti nell’Italia centrale e
settentrionale, durante la lettura della famosa Cronaca di
Fra Salimbene da Parma che è uno dei documenti più
vivi e coloriti, 5^dei più autentici, di quel periodo, di cui
il Salimbene fu contemporaneamente spettatore ed attore.
In essa è narrato diffusamente delle imprese e avventure di
tal Gherardino Segalello, figura singolare di visionario ed
esaltato, tratteggiata con la pittoresca naturalezza che di­
stingue il Salimbène, il quale peraltro non esita a porlo
nel più pietoso ridicolo, avventandosi contro il suo fana- 48 =
tismo inconsulto e immorale e trattandolo da istrione e
rejetto.
Togliamo dalla Cronaca il brano che riguarda la con­
grega degli Apostolici, apostrofati dal Salimbene come
una « congrega di ribaldi e di porcai stolti e abbietti » e
la sua istituzione per opera di fra Gherardo.
a E fu appunto quando io soggiornano nel convento dei
« frali Minori di Parma, e che io ero già sacerdote e pre« dicatore, che si presentò un giovane parmigiano, di bassi
i< natali, illetterato, laico, idiota e sciocco per nome Ghe« tardino Segalello, e domandò d’essere ricevuto nell’ or « dine dei frati Minori. Ma non essendo stato esaudito,
« tutto il giamo, quando poteva, stava nella chiesa dei frati,
« e pensava a una cosa che poi pazzamente eseguì. Sopra
(i la coperta della lampada della congregazione e frateria
« del beato Francesco erano in giro dipinti gli apostoli, con
« sandali ai piedi e coi mantelli avvolti attorno alle spalle,
« secondo la tradizione dei pittori, raccolta dagli antichi
(( e arrivata fino a noi.
« Attorno a quella lampada egli stava in contemplazio» ne, e infine, preso il suo partito, si lasciò crescere la
« barba e i capelli, calzò i sandali dei frati Minori e ne
u cinse il cordone e si fece una tonaca di biglietto e un
(( mantello di grosso filo bianco, che portava avvolto in« tomo alle spalle, credendo di imitare il vestire degli Apo« stoli. E, Venduta la sua casetta e riscossone il prezzo, si
« pose su una tavola di pietra, sopra la quale solevano in
« antico tenere le loro concioni i Podestà di Parma, e te« nendo il sacchetto dei denari in mano, non li distribuì ai
« poverelli, nè con loro si accomunò; ma chiamati quei ri
« baldi che stavano là presso in piazza a giocare, fra loro
- 49 -
<( buttò i denari, gridando : « Chi ne mole se li prenda e
« se li tenga! » Quei ribaldi raccolsero mollo presto le mo« nete e andarono a giocarle ai dadi, e intanto besiemmiaa vano il Dio vivente sì jorte che li udiva chi aveva loro
« dato le monete.
« Egli credeva di eseguire rigorosamente il precetto
a del Signore (S. Matteo XIX), ma nota bene che il Van« gelo dice : dà ai poveri, non dice ai ribaldi.
« Quest’uomo dunque cominciò male, continuò peggio
« e finì pessimamente, poiché la sua congregazione fu ri­
ti provata in pieno concilio di Lione da Papa Gregorio X.
a E a ragione, poiché questi guardiani di porci e di vacche
« tentarono di soppiantare i frati Minori e i Predicatori,
« campando in un beato ozio e senza jatica, delle limosine
a di coloro che i Minori e i Predicatori avevano educati
« colle lunghe fatiche e con l’esempio.
« Di Gherardino Segalello pertanto, che fu il loro fon­
ie datore, è da sapere che voleva somigliare al figlio di
a Dio.
« Perciò si fece circoncidere, contro l’insegnamento
<( dell’Apostolo (S. Paolo ad Galat. V), e volle giacere
« in una culla avvolto tra le fasce, e suggéré il latte da
« una donna. Dopo si recò ad un castello sulla via che da
« Parma Va a F ornovo, chiamato Collecchio... E stando in
a mezzo alla strada, colla sua semplicità andava dicendo a
« chiare note a chi passava: a Andate anche voi nella mia
« vigna... ».
(( Chi lo conosceva lo giudicava pazzo, sapendo che là
« non aveva vigna; ma i montanari, che non lo conoscevano,
« entravano in una gran vigna ch’egli additava con la ma= 50 =
« no stesa, e mangiavano l’uve che non erano sue, credendo
« che l’invito Venisse dal vero padrone della vigna...
« Questo Gherardino Segalello rimase molti giorni solo
« per Parma, senza trovar compagni. E portava il suo man­
ti tello avvolto attorno alle spalle, non parlava a nessuno,
a non salutava nessuno, credendo di adempiere la parola di
« Dio (S. Luca IX). E spesso gridava ad alta voce quella
« parola del Signore, dicendo : Penitenzagite, nè lo sape­
te va dire come Veramente suona: Poenitentiam agite. E
« così la pronunziarono in seguilo, molto tempo dopo, i suoi
<( seguaci che erano lutti campagnuoli idioti. Se talvolta era
« invitato a pranzo, a cena o ad ospitare presso qualcuno,
« rispondeva sempre ambiguamente : O verrò o non verrò...
ti Perciò quando egli veniva al convento dei Frali Minori,
a cercando se il tal frate fosse in casa o no, il portinaio,
« canzonandolo e beffandolo, rispondeva: 0 c’è o non c’è;
a il qual modo di parlare però non è conforme agli inse« giramenti di grammatica, la quale vuole che la risposta si
« faccia precisa come richiede la domanda ».
Più in là il Salimbene si fa raccontare da frate Rober­
to, uno dei seguaci di Gherardino, qual’opera questi an­
dasse svolgendo fra i suoi congregati e fra il popolo.
« E prima dii tutto (frate Roberto) disse che frate Gfie­
li rardino Segalello, loro istitutore, non aveva mai voluto
« saperne di governare la loro congregazione, sebbene lo
« pregassero di ciò: e diceva loro che ciascuno operasse
« bene da sè ; che chi lavora, lavora per sè, e ognuno riceverà
« la mercede commisurata all’opera sua, ciascuno porterà il
u proprio fardello, ciascuno darà ragione di sè stesso a Dio.
=
51
« Perciò quella società, non avendo capo, andò dispersa ».
Il Segalello fu poi fatto prendere e gettare in carcere
dal vescovo di Parma, Obizzo Sanvitale, ma questi, « che
era un uomo amante del sollazzo, per gli atti e i moti di
quel pazzerello rideva, reputandolo più un giocoliere fatuo
e insensato che un religioso... » e si mostrò verso lui tanto
indulgente da tenerselo presso di sè a guisa di buffone di
palazzo, facendolo partecipe delle sue ben fomite dispense
e cantine. Ciò valse a far chiudere un occhio su quanto
andavano commettendo gli Apostolici suoi seguaci, finché un
giorno, quando le stranezze di costoro passarono il segno,
non li espulse da Parma e da tutta la diocesi, « conoscendo
che sono vili truffatori, ribaldi, gabbamondo e seduttori del­
la peggiore risma », come seguita a bollarli inesorabilmente
il Salimbene.
« Quel Gherardino Segalello ora è ridotto a tanta
« demenza, che Va vestito da istrione, e fattosi giullare e
« mimo, va dicendo pazzie per vie e piazze, poiché ha il
u cuore in Vanità e niente del timor di Dio ».
L’acceso zelo di francescano ortodosso, ligio alla re­
gola dell’Ordine e intransigente nell’affermarne la supre­
mazia su ogni altra iniziativa religiosa parallela o derivata,
è il sentimento che solitamente muove il Salimbene nel far
la critica, non di rado con quel tono di virulenza che lo ren­
de peraltro sì pittoresco, all’opera altrui. E se da questa
vengono risparmiati, per es. : i domenicani, è solo perchè
ne va di mezzo l’intangibile autorità del grande San Do­
menico e dell’Inquisizione.
52
E’ evidente quindi che anche nei riguardi del Sega­
lello egli non debba peccare di eccessiva imparzialità, non
esitando, anzi, con maggior ragione, a servirsi dei motivi
fornitigli dalla di lui esaltazione e follia per farne ogget­
to di scherno e di disprezzo, laddove la sua qualità stessa
di francescano e il suo sano criterio di uomo non tòcco dal­
l'epidemia di misticismo patologico, offuscatrice di tante
coscienze, avrebbero dovuto ispirargli un sentimento di cri­
stiana pietà e indulgenza.
Queste riflessioni doverono in Pizzetti avere larga
parte, se egli si decise a fare di Gherardo la figura cen­
trale del suo dramma, tanto più allorché, ricercando nella
storia della sua città (Chronica parmensis, ecc.) altri dati
è fatti ed elementi diversi che a Gherardo si riferissero e
ponendoli in relazione con quella di tutto il movimento reli­
gioso o pseudo-religioso sorto dopo S. Francesco, egli eb­
be agio di considerare la figura dell’eretico parmense in
una luce più vera e più chiara, identificandolo in ciascuno
di quegli invasati di follia mistica, che in quel tempo, presi
morbosamente dall'esempio francescano, si prestarono qua­
si inconsciamente ad essere strumenti e vittime di compe­
tizioni a fondo meramente sociale, più che religioso. E di
questi egli assommò i caratteri peculiari in Gherardo, otte­
nendone così quel tipo di uomo « ribelle alle leggi ed alle
consuetudini civili conenti, in nome di nuovi principi etici,
intuiti per istinto piuttosto che per forza di pensiero » che
a lui occorreva, quello stesso immaginato per Lena, ma
allontanato dalla realtà attuale e contemporanea per quel
tanto che valesse ad evitare gli ostacoli che dalla sua evi­
denza si sarebbero frapposti al libero volo lirico, espres­
sione di significati universali e non contingenti.
Pervenuto alla concezione del protagonista, venne
Mariola, soave figura di donna tutta poesia d’amore e di
sacrificio, la donna di Pizzetti, quella di tutti i tempi e
di tutti i paesi, la più vicina sorella di Jaèle, a integrare il
binomio sul quale si sarebbe imperniata la vicenda dram­
matica. Questa fu tutta liberamente inventata, sceverando
nel complesso di cognizioni e impressioni venutesi accumu­
lando durante il lavoro di ricerca, quanto poteva venire of­
ferto al drammaturgo di più vero e di più umano e più su­
scettibile di sviluppi propri, rinunziando ad ogni pretesa
erudita di ricostruzione storica e mirando dritto all’unico
scopo che il musicista, in quanto tale e poeta nello stesso
tempio, poteva porre a sè stesso.
Che, se la profonda cultura e il vigile senso estetico
in Pizzetti non piotevano risparmiargli ogni più lunga e me­
ticolosa fatica d’indagine e di studio, per la sua ardente
coscienza di artista egli non poteva aspirare a compiere
opera, comunque colorita ed efficace, di erudizione o ripro­
duzione, ma innanzi tutto e sopratutto opera d’Arte.
Ed ecco la trama del dramma.
Il tessitore Gherardo ha fatto dono d’ogni cosa sua
ai pioveri e si dispone a seguire l’esempio degli Apostoli,
predicando fra la gente della sua terra la rinunzia al mondo
e l’avvento del regno di Dio. Ma quando più forte è in lui
l’ardore del penitente e dell’apostolo, ecco apparire sul
suo cammino, creatura dolce e mansueta, Mariòla, una fan­
ciulla sfuggita alle male arti di una zia megera e che il
destino conduce fino a Gherardo, alle parole del quale,
infiammate di fede e d’amore divino, ella intravede tutta
una vita di sogno e di pure dolcezze, la liberazione, lunga» 54 «
mente e segretamente sospirata, dalla tetra schiavitù del
male cui la sorte l’ha fino allora costretta e alla quale vor­
rebbe dannarla per sempre.
Anche in Gherardo un sentimento nuovo è sopravve­
nuto alla vista della fanciulla. Ma egli non vorrebbe con­
fessarlo nemmeno a sè stesso: il suo spirito lotta fra il ti­
more di Dio che lo chiama a penitenza e le lusinghe del
Demonio che gli sembra di scorgere sotto le apparenze del­
la donna che gli è dinanzi a turbare i suoi sensi. Ma è
breve il conflitto: non vi è che un Amore solo, che è divino
ed umano insieme ed a quello egli finalmente si abbandona
e inneggia, stringendosi al cuore la donna e traendola seco,
verso l’oblio d’ogni male, nella gioia di amare e di essere
amato.
Non è però ancora sopita la prima ebbrezza degli aman­
ti che il conflitto risorge, e questa volta violento e ineso­
rabile, nell’animo di Gherardo. Egli ha peccato, si è dan­
nato, ha ceduto alla tentazione della carne e del Demonio
e Dio ora lo castigherà in eterno, nè vi sarà più salvezza
per lui, se egli non avrà la forza di scacciare da sè la
creatura di perdizione e disporsi all’espiazione che potrà
rifarlo ancora degno.
E Mariòla viene scacciata, e quell’amore appena sboc­
ciato, luminoso di sorrisi e di speranze, disperso, distrutto.
E mentre Mariòla ritorna al suo destino, più che mai
bujo e incerto, ormai, dopo il colpo tremendo, Gherardo
cone ad unirsi ad una turba di Flagellanti che passano can­
tando le lodi del Signore, che saprà essere clemente col
peccatore contrito.
Passano nove anni, durante i quali Gherardo, fattosi
capo di una congrega detta dei Fratelli Apostolici, è anda= 55 «
to predicando per città e campagne. Egli passa tra il po­
polo, che lo tiene in stima di santo e ne ascolta la parola
infiammata, e vede del popolo le sofferenze e ne ascolta
i lamenti. I signori suoi oppressori hanno gettata la città
nello squallore della carestia e della pestilenza e il popolo
è abbandonato financo da Dio, i cui ministri giungono a
rifiutare il viatico ai moribondi che non hanno di che pa­
garli.
Ma il Signore non dimentica i suoi figli e sarà Ghe­
rardo, l’annunziatore del suo regno, a eseguirne la volontà,
conducendo il popolo alla liberazione. E mentre tutti cor­
rono ad armarsi, eccitati dalle parole di Gherardo, questi
rimane assorto nei suoi pensieri. Ma ne è distolto da un’om­
bra che gli appare dinanzi. E’ Mariola.
Nel riconoscere la donna, Gherardo si ritrae con orrore :
è ancora il Demonio che lo perseguita ?
Non è, invece, che un povero essere avvilito, consunto,
che Io guarda con occhi dolorosi eppur pieni di tanta
pietosa dolcezza. A Gherardo ella racconta quel che av­
venne di lei dopo quel giorno lontano : vita di stenti e pati­
menti, cui un raggio di luce venne a illuminare il bujo
profondo e pauroso nella nascita di un bimbo, il frutto del
loro amore. A questa notizia Gherardo sussulta, sentendosi
inondare il cuore da una gioia fin allora sconosciuta: l’idea
di un figlio suo, figlio della sua passione e della sua carne,
lo pervade di un’esaltazione nuova. E vorrebbe ansiosamen­
te saper ogni cosa di lui, e interroga Mariola perchè rac­
conti .
Ma la storia è ben triste : per allevarlo, per sostentarlo
e curarlo perchè la Morte non se lo prendesse, Mariola ha
percorsa tutta la strada del sacrificio, fino alla vergogna.
36 =
A nulla è valso; e il piccino morì di febbre, in una notte
tempestosa.
Al racconto e alle lacrime di Mariola, Gherardo ha
sentito attraverso il rimorso la voce di Dio che per la prima
volta si rivela nella vera terribilità del suo castigo : è que­
sta la vera, la immensa colpa che egli ha commesso, rin­
negando quell’Amore nel quale non seppe scorgere il segno
e il comandamento divino.
Ma nel rimorso e nel pentimento è ancora la salvezza,
e questa volta è la donna stessa che egli scacciò, che viene
a portargli il perdono e la speranza. E tremante di commo­
zione le s’inginocchia davanti : nel riprendere la loro vita da
quel punto in cui essa fu spezzata dalla sua follia rinnegatrice sarà l’inizio per essi d’una nuova era di benedizio­
ne la felicità.
Ma c’è un dovere da compiere, ed è Mariola a ram­
mentarglielo : c’è il popolo che attende, il popolo che Ghe­
rardo deve guidare alla lotta e alla vittoria, secondo la pro­
messa fatta. Gherardo non dovrà dimenticarla. Ormai non è
più solo, in Mariola egli ha ritrovata la sua forza migliore
e nessuna cosa varrà più a separarli. Nuovo fervore di pro­
positi rianima Gherardo all’idea generosa e liberatrice; e in
un impeto di passione e di gioia riabbraccia la sua donna,
benedicendola ed esaltandola.
Intanto, il tradimento cova nell’ombra. Uomini armati
sopraggiungono, guidati da un losco frate Simone, che un
giorno Gherardo scacciò dai suoi, per arrestare l’eretico so­
billatore del popolo contro il Vescovo e il Podestà. E’ sta­
to il frate ad accusarlo, per vendicarsi di lui.
Tuttto sembra crollare come per opera di una forza
maligna che voglia distruggere il bene appena ritrovato e
= 57 =
riconquistato, dopo tanto dolore e tanto sacrificio. Gherar­
do è condotto via fra le guardie e Mariola rimane sola e
tremante, angosciata. Ma è un attimo L’amore è più forte
di tutto e le darà modo di salvare Gherardo. E, come illu­
minata e rianimata da una luce e da una forza sovrumana,
si ricompone, chiama a raccolta i seguaci di Gherardo e fa
suonare a stormo le campane per convocare il popolo e an­
nunziargli la nuova sopraffazione : hanno preso il Padre, il
difensore della povera gente, lo hanno arrestato e imprigio­
nato perchè voleva il bene del popolo, ed ora vorranno am­
mazzarlo, come fecero a Cristo, reo d’aver voluto la salvez­
za dei suoi figli.
Mentre il popolo, acceso di furore, insorge e va verso
la casa del Vescovo dove Gherardo si trova rinchiuso, il
Podestà ed il Vescovo vengono a dirgli quale sarà la sua
sorte se egli non ritratterà le accuse e gli oltraggi mossi,
dinanzi al popolo, all’autorità della Chiesa e del Comune :
egli sarà condannato a morire sul rogo, e con lui Mariola,
che s’è messa a capo della marmaglia ed ha sollevato tutto
il popolo contro i governanti.
L’orrore di mancare alla parola data ripugna talmen­
te a Gherardo che egli fa per scagliarsi conto i suoi giudici.
Ma è pur troppo atroce il pensiero della morte dinanzi alla
vita che dianzi gli sorrideva e che lo richiama verso un av­
venire di luce e di speranza, nell’amore della sua donna ri­
trovata. Ed egli cede alfine alla traditrice lusinga del Po­
destà : se abiurerà dinanzi a tutta la gente di Parma, prima
di salir sul rogo, sarà libero lui e la sua donna, e sarà loro
assicurata e protetta la fuga.
Non è che un ignobile inganno tramato dall’autocrate
per evitare il pericolo di una vendetta del popolo, dise
- 58 »
gnando la soppressione del suo condottiero, che sarà richie­
sta dal popolo stesso, il quale su lui farà ricadere la pro­
pria ira per il tradimento compiuto. E già fra la gente,
mentre infuria la più feroce repressione della rivolta, va
insinuandosi il dubbio che Gherardo si sia messo d’accordo
col Podestà, già si vocifera contro di lui, e ben poco vale
che Mariola inciti alla resistenza e alla fiducia nel capo,
che non tradirà 1 suoi protetti e saprà condurli ad ogni costo
alla vittoria finale. Dinanzi a tutti, Gherardo, alla richiesta
rivoltagli di riconoscere, coi suoi errori, la sua eresia, e di
fare atto di sommissione alla suprema autorità dello Stato
e della Chiesa, consente, quasi senza parola.
E’ uno scoppio di indignazione che si leva da tutte le
parti: si grida la sua morte, quella della sua femmina. Già
il rogo attende la vittima, un uragano si scatena sulla città
con folgori e tuoni e, in una selvaggia esplosione di furore
e di vendetta, Mariola viene colpita a morte, da una donna
che ha avuto ammazzato il figliuolo durante la sommossa.
Un urlo di Gherardo, che si divincola dagli uomini che lo
tengono fermo e riesce a trattenere fra le braccia la sua
donna morente, mentre la tempesta improvvisamente si tace
e la folla è presa da subitaneo sgomento e terrore. E’ il
segno di Dio. Mariola muore. Essa precederà Gherardo nel
supplizio, e lo attenderà là dove è la Verità suprema e il
perdono del Signore.
L’OPERA
ATTO PRIMO
Nel 1260, a Parma. Si è sparsa in città la voce che
Gherardo, il tessitore, illuminato da Dio, stia per spogliarsi
d’ogni suo avere per farne dono ai poveri. E subito ne accor­
rono molti e riempiono il cortile della casa di Gherardo, in
attesa ciascuno di ricevere la sua parte. 11 velario si schiude
su questa scena. Fuori, al di là del cortile e del rozzo por­
tone di legno che dà sulla strada, è la campagna, nella cal­
ma del tramonto imminente.
Sullo sfondo tonale di un ja, puro, senza determinazio­
ne di modo maggiore o minore, gli archi divisi, con un
lieve ripieno di corni e fagotti, annunciano un tema chiaro e
largo, nel quale s’insinuano subito le prime viole, in amalga­
ma col flauto, ad accennarne un altro, dall’ampia voluta me­
lodica, di un carattere dolce e sereno e di ispirazione quasi
popolaresca.
E’ il doppio tema nel quale risiedono gli elementi
di significazione complessiva di tutto il dramma che dovrà
svolgersi.
Le riproduzioni del testo poetico e musicale sono state
gentilmente autorizzate dalla Casa Editrice Musicale
G. Ricordi & C. di Milano
proprietaria dell’opera
Le ultime note delle viole si peidono con gli ultimi ac­
cordi degli altri archi, e al 4/4 iniziale succede un movi­
mento più mosso, a terzine di ottavi, di un colore monotono
e insistente, affidate a viole e corni, mentre nella parte
superiore un nuovo tema viene enunciato d'all’oboe.
(1) L’indicazioni delle pagine si riferiscono a quelle della riduzione per can­
to e pianoforte pubblicata dalla Casa Ed. Ricordi e C
64 =
Potrebbe dirsi il tema dei mendicanti, tanto ne richia­
ma gli accenti insieme supplichevoli e petulanti.
Es. 2 (pag. 2)
Mosso
Una vecchia biascica un Salve regina, altri, il Guercio,
il Cieco, il Notaio, nell’attesa che venga Gherardo, parlano
di lui. Il Notaio, come quegli che, per esser stato un tempo
a intendersela di carte e di affari, crede di veder chiaro
nella faccenda.
Uno che dona tutto il suo ai poveri
per amore di Dio? Costui è un pazzo
o un imbroglione. Ed ei si farà capo
di un altra frateria, e ci saranno
almen venti altri oziosi come noi
a girare le terre ed a contenderci
le limosine...
S’annuncia il tessitore che arriva. Tutti s’inginocchiano
e cominciano ad invocarlo.
— O buon cristiano, aiuta un poverino.
— La limosina a un povero stroppiato.
— O buon cristiano, fa’ la carità.
Si recita il Pater noster, tutti si protendono per potere
- 65 =
5
essere i primi a esser veduti. Ma Gherardo non viene ancora.
Si ripigliano le discussioni, nell’attesa che sembra stia di­
ventando vana. Chissà se verrà, si chiedono i più increduli.
Altri fanno i conti di quanto avrà potuto prendere della casa
venduta. Qualcuno ha la bisaccia vuota ed ha fame.
Il tema dell’inizio riprende, ma in tono minore, un
po’ opaco, nella torbida quiete del tramonto afoso ed immo­
bile (pag. 14-15).
Ma finalmente, la voce di Gherardo, di lontano, alta e
squillante. Sta per giungere. Se ne ode il grido infiammato:
Es. 3 (pag. 17)
che è sugli stessi intervalli del tema degli archi, all’inizio,
ma ora questo è delineato, nel grido, con una sua fisionomia
marcata e incisiva, di tema vero e proprio. Lo ritroveremo
spesso in tutta l’opera, sia nel canto che nell'orditura tema­
tica dell’orchestra, ogni volta che ricorreranno, attraverso le
parole o i! sentimento dell’azione, gli accenti ammonitori e
profetici di Gherardo.
Egli è giunto, ormai, seguito da una turba di altri poveri
cenciosi e malandati. Il vocìo si fa alto e implorante, ma è
sopraffatto dalla voce di Gherardo, che si rivolge alla folla :
=
66 =
Fratelli in povertà!
Chi correrà più ratto? L’uomo spoglio,
0 quel che su le spalle porti un sacco
pieno di pietre ? Or Voi non lamentatevi,
ma lodate il Signore in allegrezza;
per Voi e per chiunque sarà salvo.
Non tesserà più panni nè broccati.
Gherardo tessitore. La sua casa,
1 suoi telai e le sue robe, tutto
è in questo piccol sacco di monete:
e il Vento della sera le disperda.
San Pietro e San Giovanni me Io dissero,
jra gli Apostoli intorno alla lucerna:
« Fatti povero come fummo noi,
«
prendi il bordone e Va’ pel mondo, e grida
la verità, la verità eh’è una :
« Quest’è una vita vile, ma la Vera,
«
« la vita vera è l’altra ». E me ne andrò,
senza bisaccia e senza pesi vani,
libero come l’aria andrò pel mondo,
e getterò fra gli uomini allo un grido:
Gente di Dio, il Terzo Regno viene!
Destatevi, pentitevi, e correte!
E’ la solenne dichiarazione di fede di Gherardo, la
rinunzia e il suo voto di nuovo Apostolo, che lo condurrà poi
alla fondazione dei Fratelli Apostolici.
E’ da notare, alle parole « Fatti povero, ecc. », un in­
ciso importante per i numerosi ricorsi e per i successivi svi­
luppi che se ne avranno in seguito :
- 67
Tutti fanno ressa attorno a Gherardo per contendersi
l’elemosina.
Non gli è rimasta ormai che l'ultima moneta, ed anche
quella egli getta ai poveri, pervaso dalla gioia deH’ultima
rinunzia liberatrice.
Un gruppo di gentiluomini sono venuti con le loro donne
a osservare la scena, spinti dalla curiosità di vedere e sentire
da vicino il nuovo benefattore del popolo. E quando la gene­
rosità di Gherardo fa proferire ai mendicanti parole di ma­
ledizione per i ricchi signori che tutto prendono e nulla
danno, e fanno patir la fame alla povera gente, uno di
quei gentiluomini si avanza verso di loro e grida che non
è vero, ch’è tutta un’impostura.
O non capite
ch’egli è un jurbo imbroglione, e non un santo ?
—
66 ~
Se tu, volpe del Diavolo, hai Venduto
I tuoi telai, l’hai jatto sol per vivere
nell’ ozio, e per mangiare
a spese del tuo prossimo.
All’insulto, Gherardo risponde pacato con le parole
dell’Apocalisse, ammonimento ai superbi e ai potenti della
terra che soccomberanno, nel gran Giorno, sotto il peso
stesso della loro superbia e della loro falsa potenza. E alle
donne di quei gentiluomini ei pure si rivolge. Anch’esse
subiranno la trista sorte dei loro compagni, per esser state
serve
e schiave del Demonio il dì e la notte.
Una calda frase degli archi sulla IV corda si svi­
luppa qui dall’inciso di cui all és. 4 e s’innesta col tema
Gente di Dio, (pagg. 48-49 e segg. dello spartito), am­
piamente disteso, mentre dura l’avvertimento di Gherardo.
Ma chi può prestar fede alle parole di un simile ozio­
so ed impostore ? Basterebbe che una di quelle donne gli
desse un bacio su la bocca perchè egli si sentisse vinto
e mandasse all'aria ogni velleità di apostolo e di profeta;
sarebbe pur capace, se quella volesse, di fargli ritogliere ai
poveri tutto quello che a loro ha donato. E subito il genti­
luomo, e Claretta, una donna bionda che è con lui, si
propongono di dimostrarlo. Ma sono accolti dal più fiero
disprezzo di Gherardo, che li addita alla folla come crea­
ture perdute dalla Lussuria, che succhia loro il sangue e ne
avvelena il fegato. La Morte è sul loro capo. Egli non li
teme. Che lo battano, che lo frustino a sangue, se vogliono:
egli si spoglierà d’ogni veste e si offrirà alle loro percosse
69
senza reagire. Le accoglierà con gioia, come una grazia
del Signore.
E la donna bionda si avanza, infatti, e fa per batterlo
e punirlo degli audaci insulti che ha osato proferire. Ma
il suo braccio è rattenuto. Una fanciulla, che finora era
stata in disparte e che ha visto ogni cosa, le si para im­
provvisamente dinanzi, con un balzo, e la spinge indietro.
Non è degna essa di toccare quell’uomo.
Lascialo,
vergognati. Lo sai che ti conosco.
Ora ella si rivolge a Gherardo.
Ed anche tu dovresti Vergognarti.
Rizzati e smetti...
Chi ha spinto la fanciulla a lanciarsi in difesa del
l’uomo che è lì in terra, in ginocchio, pronto a ricevere
senza onta l’ingiuria e le percosse di una cortigiana, in un
atteggiamento di viltà che le ripugna e le appare inconce­
pibile e vergognoso quanto la sua follia di bestemmiatore
di Dio, che egli osa invocare ad ispiratore delle sue im­
posture ? Forse per richiamarlo alla dignità che sta per per­
dere, abbandonandosi, — come tanti altri vagabondi che
girano la città, mendicando in nome di Dio e aggravando
la miseria del popolo, — all’ozio e al vizio, lui uomo va­
lido e finora onesto e laborioso; fors’ancc un sentimento
di pietà. Chi è questa fanciulla così fiera e insieme così
generosa ?
E’ una fanciulla del popolo, che la conosce per la
Francesina. Un ragazzo le si rivolge, motteggiando
- 70 =
Uh! uh! La Francesina
si mette coi santoni. Se lo sa
tua zia, la senti!
Il cortile si sfolla. Anche il gentiluomo e la donna
bionda se ne vanno, con gli altri. Gherardo rimane pen­
sieroso, dopo aver lanciato un ultimo ammonimento ai suoi
derisori. Si odono le voci lamentose dei mendicanti che
s’allontanano. La scena viene a poco a poco invasa dalle
prime ombre del crepuscolo.
Il tema dell’inizio riappare, anche questa volta in mi­
nore, e con sommessi e misteriosi mormorii di celli e viole
e velati accenti del clarinetto e del fagotto, cui fanno eco
ri corno e il flauto (pag. 67-68).
Una voce lontana di donna chiama : Mariòla, Mariòla !
E’ una voce irosa e rauca che si va avvicinando. Nell’udirla, la fanciulla, che non è ancora uscita ed è rimasta
ultima, e sola con Gherardo nel cortile, sussulta. E subito
si volge a lui, presa da visibile sgomento, e lo prega di
andare a chiudere il portone. Quella donna va in cerca pro­
prio di lei. Se la trovasse lì, la picchierebbe. Gherardo
rimane un momento stupito di trovarsi daccanto ancora la
fanciulla, ma si rimette subito dall’improvviso imbarazzo
e fa quanto essa le ha detto e gli ripete, impaurita e im­
paziente. Ora la voce è sempre più vicina.
Un nuovo elemento tematico già introdotto alle parole
di Mariòla a Gherardo: « Anche tu dovresti vergognarti »
(pag. 69 ultimo rigo) serpeggia in orchestra, sopra un sordo
e confuso pedale di bassi e tremolo di timpani. Quattro
note, le due quarte di un’ottava, strisciante e tortuoso come
un tentacolo
- 71 -
Es. 5 (pag. 69)
La donna è giunta al portone di casa di Gherardo e
vr picchia su a grandi colpi. Un martellare ostinato di
archi, colpi sefcchi e 'rabbiosi di violoncelli pizzicati e
fagotti, guizzi di clarinetto, stridii di violini acuti.
Es. 6 (pag. 71)
Aftsaj mosso e Iroso
E la voce inviperita della femmina
Romperle l’osso Voglio, se la trovo—
O tu, sei costì dentro?
Odimi. Tu m’hai jatto la sdegnosa
con chi ben sai. Ma badai Or io ti giuro
pr. 72
=
che se hai jatto pensiero di donare
i tuoi bei diciott’anni a uno straccione,
io t’ammazzo. Cavarti gli occhi, voglio :
metterti gli occhi in mano...
Nessuno risponde, di quà del portone. Forse Manda
non è qui. Si allontana la megera, e con essa l’eco della
sua voce, mentre il martellare degli archi si placa, il tema
a quarte si distende e si raddolcisce, l’aria si rischiara, c è
odore di fresco e di sereno intorno, come dopo uno scro­
scio improvviso d’acqua in una sera afosa d’estate, e un
tema tutto chiarità e profumo di campagna irrorata, terso e
limpido, il tema di Mariola, s ode, accennato dal cla­
rinetto.
Es. 7-8 (pag. 75)
La paura è passata. La fanciulla ne ride, ora, felice
= 73 =
d’averla scampata bella. Gherardo, che ha preso parte alla
scena finora quasi automaticamente, le si avvicina, le chiede
chi ella sia, e chi quella donna che la cercava. E Mariola
racconta tutto : quella donna tè la sorella di sua madre,
alla quale questa la lasciò, prima di morire. Erano di Par­
ma, il padre e la madre, e partirono un giorno alla volta
di Francia. Poi il padre andò col Re di Francia a guer­
reggiare contro i Saraceni e di lui non s’ebbe più notizia.
La mamma, rimasta sola, se ne tornò allora di dove era
venuta, portandosi la bimba. Ecco perchè la chiamano la
Francesina. La sua mamma morì, ed ora essa non ha che
quella zia, che vorrebbe far di lei la favorita del genti­
luomo, un principe, che dianzi era venuto ad insultare
Gherardo :
Un vecchio guercio,
che a guardarlo jaceva orrore e schijo!
Ma se quel principe fosse stato bello e giovane ?,
chiede Gherardo, che ha ascoltato con interesse le parole
di Mariola. Ma questa scrolla fanciullescamente le spalle,
dopo essersi fermata un momento su questo pensiero.
O a te, che te n importa ?
Gherardo è preso dalla sorte di questa fanciulla, sorte
che è in balia di tutte le insidie del Demonio. Bella,
giovane, ignara, essa non saprà sfuggirle e cadrà inelutta­
bilmente nella rete del peccato.
Cupo e torbido, avvolgente, un tema che potremmo
chiamare della tentazione si avanza dall’orchestra. E’ un
breve inciso ribattuto dai fagotti e sostenuto da un moto stri­
sciante dei bassi su di un si bem. grave.
74 =
Es. 9 (pag. 81).
Ma che importa ? Non è la bellezza 1 unico bene che
essa possieda ? E perchè non dovrebbe goderne e farne
godere gli altri, la bellezza che è la ricchezza di tutti ?
Son le parole di Mariola. le sole ch’essa sappia rispondere,
nella sua candida incoscienza del male. Ma Gherardo in­
calza :
Anche tu, dunque, t’inebrierai
di te, della jugace
bellezza del tuo corpo, jango e polvere
vana nel Vento della perdizione.
E ti compiacerai veder accendersi
di te la cupidigia dentro agli occhi
= 75 «
degli uomini, e il tuo corpo adornerai
di vesti preziose, e l’ungerai
d’unguenti profumati, per accendere
più desideri, e per dannar più anime.
Ma quando il piede tu porrai sudi orlo
del baratro profondo, ed i tuoi occhi,
Volgendosi un istante, mireranno
l’eterno lume a cui fur sempre ciechi,
qual mano avrà la forza di tenerti ?
Chi ti potrà salvare ?
Un sùbito turbamento invade la fanciulla. Ella non sa,
non vede, vuole andar via, non vuol sentirsi dire quelle cose
che le pare di comprendere e non sa...
La parola di Gherardo si fa più dolce, egli seguita:
Povera creatura! Non hai mamma
che ti guardi e ti guidi. E una mezzana
fa conto sulla tua bellezza, e intende
al suo profitto. Chi ti salverà ?
Forse eri nata per servire a Dio
in purità di vita. E la tua madre
forse ti volle offrire a lui—
11 tema allusivo della tentazione, ricorrendo, mutevole
e incessante, mentre Gherardo parla, qui si trasforma e as­
sume un accento patetico e penetrante, per diventare soave
di tenerezza quando Gherardo accenna al voto materno del
la madre di Mariola
= 76 =
Es. 10 (pag. 97)
e continua
Vedi, com’è piccola :
e pare un giglio bianco appena schiuso.
Ch’ella si serbi pura, e benedire
io possa il giorno e l’ora in cui mi nacque
Ora la fanciulla è commossa. Non va più via, vor­
rebbe rimanere ancora a sentir parlare così... Sì, è vero,
ricorda: a Tolosa, un giorno, in un tempio, ella vide dipinto
un uomo biondo
che accarezza una giovane donna inginocchiata.
Ella ha i capelli sciolti e par lo adori.
Tu rassomigli tanto a lui..
E’ Gesù.
77
Un lieve calmo ondeggiar d’archi in sordina, due note
in pedale di un flauto nel basso, sommesse,
Es. Il (pag. 101)
E Gherardo racconta con trepida voce, come in estasi,
della cena in casa di Simone, di Maria Maddalena, cui
furono rimessi 1 peccati, « conciossiachè ella abbia molto
amato »...
Amare ! Ora Manda comprende.
Non è dunque peccato, amare. Amare,
dar tutto ciò che si ha, dare se stessi...
E’ tutta un’onda di dolcezza nuova, indicibile, nel= 78 =
l’aria, nel cielo tempestato di stelle. La fanciulla, tremante
di commozione, chiude gli occhi in una visione di sogno...
Ella appoggia il capo sulla spalla di Gherardo, trasfigu­
rato anch’egli nella divina luce delle parole di Cristo. Nel­
la strada, un canto all’aria serena. E’ una canzone pro­
venzale : son due voci arrochite dal vino e sgarbate che la
cantano. Ma bastano a suscitare altri maliosi ricordi, ad
accrescere il rapimento dell’ora.
La canzone è ben nota a Mariola, è quella della regi­
ne Aorillouse, che cantavano lassù in Provenza, quand'era
piccina, alla Festa di Settembre.
Es. 12 (Pag. 110)
11 doppio tema dell’inizio ora si espande in una tona­
lità di la bemolle calda e piena: ai tromboni quello supe­
riore degli archi e a questi e ai flauti quello centrale, ora
spaziante al disopra, mentre i corni si contrappongono, ac­
compagnando e unendosi alle voci dell’oboe e del clari­
netto, e mentre gli arpeggi dell’arpa involgono il tutto, di
una viva e densa polivocità, fusa e diffusa insieme (pag.
- 79 -
■
w
109 e segg.). Poche larghe battute che sono un quadro e un
poema di natura e di vita.
A un tratto la canzone s’interrompe. Mariola la ripi­
glia, presa dalla commozione dei ricordi, arriva sino in
fondo, prorompe in un pianto toccante.
Oh, oh, portami via, portami via!
Voglio tortiare là, nella mia casa.
Aspetterò il mio babbo. Qui mi janno
morire. Io muoio...
E si stringe a Gherardo e questi a sua volta la stringe.
Ma è un momento: chè egli la respinge e l’investe, rifatto
subitamente conscio. E’ una tentazione del Demonio, è lui
chè gli ha mandata quella donna per fargli perder l’anima,
e fa per scacciarla. La fanciulla, piangendo, implora Ghe­
rardo di lasciarla lì con lui. Non gli farà nessun male, sarà
buona: non la mandi via: è notte, .ella ha tanta paura!
Ma Gherardo minaccia: « Se non vai, t’ammazzo!... ».
Atterrita, tremante, Mariola va verso il portone, lo
apre: il buio della notte le appare pauroso e tenibile. Si
arresta, non sa andar oltre. Ma Gherardo ancora la scaccia.
Ed ella esce.
Fuori, si riode la canzone. Le voci son quelle di due
soldati di ventura, mezzo ubriachi, che passano per la strada.
Non appena essi scorgono Mariola, le si fanno incontro e,
fatti audaci dal vino bevuto e dall’aria smarrita della fan­
ciulla, sola, a quell’ora di notte su di una via di campagna,
prendono a chiamarla con nomi galanti e a rivolgerle prof­
ferte intraprendenti. Nè valgono le sue parole supplichevoli,
chè quelli insistono e, alle ripulse di lei, fanno per ag­
guantarla. Mariola getta un grido. Gherardo, che durante la
= 80 =
scena è stato sul limitare della sua casa ad osservare, esitan­
do nell’intervenire in difesa dèlia fanciulla, a quel gridio
dà un balzo e affronta i due ubriachi, strappando loro Ma­
riola e minacciandoli con un coltello che ha tratto dalla
cintola: « Il primo che fa un passo, gli pianto il mio col­
tello nella gola ! » Uno dei due gli risponde con comica
millanteria, incitando ' l’altro a lasciar andare : « Non vedi
ch’è un villano? Noi siamo gentiluomini... Tienti la tua
smorfiosa ! »
E vanno via, sghignazzando e intonando una canzonaccia da strada,
Es. 13 (pag. 131)
= 81
un felice tocco di colore e d’umori»mo, appena accennato,
ma squisito.
Ora son soli, Gherardo e Mariola. Un brivido per­
corre l’aria. Una frase ampia, piena di calore contenuto
Es. 14 (pag. 132-133)
e Gherardo si volge verso Mariola, che è rimasta muta e
trepidante, in attesa. Un palpito è nella sua voce
Chiudi i tuoi occhi... Chiudili... Io non ücdo
più nulla... Lampi, lampi... Giù dal cielo
piove fuoco di stelle... Non guardarmi,
non guardarmi così...
Si avanza, le si avvicina, la prende, la stringe. E
come ebro.
Mariola l Piccola,
piccola cara, cara donna mia!
= 82 =
—
No, non tremare, non aver timore.
Le tue labbra... le labbra...
E la donna le si abbandona fra le braccia, perdutamente, mentre la frase d’amore prorompe piena dall’orche­
stra e la scena si chiude sul primo quadro dell’atto primo.
Senza soluzione di continuità, una pagina sinfonica
piena di respiro, a mo' d’interludio, riempie il passaggio dal
quadro primo al quadro secondo. Un breve inciso del tema
di Gherardo viene accennato e sviluppato, mentre i bassi
percorrono, sul terzo movimento di un 3/4 mosso e appas­
sionato, affannosamente, veloci scale ascendenti, e un oboe
richiama al tema di Mariola.
Es. 13 (pag. 139)
A scena chiusa, il dramma ha qui il suo naturale prose­
guimento in orchestra. E il tumulto di sentimenti e passioni
= 83
e desideri che l’Amore ha scatenato nei due amanti ne co­
stituisce il sostrato oggettivo. Molti dei temi già uditi li
ritroviamo qui trasformati, abbreviati o nuovamente svilup­
pati, e poi uno del tutto nuovo, un'altra delle numerose
figure tematiche che a Gherardo si riferiscono, tristezza di
vita senza gioia, desiderio d’amore, il più umano di tutti,
di una vivezza parlante. All’ispirazione del musicista esso
è balenato con le parole stesse che Gherardo rivolge a Mariola, mentre egli si trova con lei, ora, nella casa, e che
questa, con le identiche inflessioni, gli ripete nel quadro 11
(Son solo al mondo, solo... vedi pag. 170).
1! tema cl amore (es. 14)
riappare poi in un largo e
dolce ja maggiore, cantato am
piamente dai violoncelli, con
lievi echi del clarinetto e del
flauto e sussurri di viole, cui
84 =
seguono i violini, con una frase di commossa dolcezza che
i violoncelli stessi riprendono dialogando, secondati da'l'oboe, quasi a commento delicato e tenero del soave mo­
mento d’amore.
Es. 17 (pag. 143)
La melodia ascende a un vertice di passione e d’inten­
sità, per arrestarsi su di un accordo ff di settima sul 2" grado
minore (fa - la bem. - do bem. - mi bem. ; - pag. 143) e per
riapparire, dopo vaghi accenni dell’oboe al tema di Mariolo,
rifatta serena e larga, nel tema d’amore ripreso di nuovo in fa
maggiore, in un pp degli archi all’acuto, largamente divisi
ad accordi perfetti paralleli, mentre si leva, con accento
estatico e contemplativo, un solo del violoncello, quasi par­
lante commentò di voce umana.
85 =
Es. 18 (pag. 145)
j
La scena si rischili
J '— 'y ’ f
de, E’ passato tutto*. unfit
L tórno L’azione conti­
nua sulla strada su cui
------ jj— -------------------------------dà il portone della casa
di Gherardo, che ne esce, quasi barcollando, appoggiandosi
al muro. Appare disfatto, impietrito. Al più piccolo rumore
ha un sussulto, sbigottisce. Il tema della tentazione s’insinua in orchestra, come un presagio minaccioso.
wia-i
Al suono di campane lontane che annunciano la
Gherardo s’inginocchia, si segna, recita l’Avemaria. E
quasi senza voce. Ma il fervore della preghiera lo riprende.
Un grido, improvviso, gli sale dal turbinoso bujo dell’anima
r
1
»v
i
i
1 :
—
1
V t ’------------------ " - ■
«—
Signore Iddio, aOrà dunque più peso
un’ora sola che Ventisett’anni ?
La voce di Mariola che lo chiama, disopra la loggetta
della casa, l’interrompe, mentre già egli sta nperdendo ogni
forza di continuare la preghiera.
=
86
Alla vista di lei dà in un nuovo sussulto, incapace di
rispondere o star muto, di fuggire o star fermo. Alla fine,
s'accascia, quasi nascondendosi e raggomitolandosi su di
un sedile, e si copre il viso con le mani.
Gli accenti freschi e chiari del tema di Mariola hanno
rilevata l’apparizione (fella fanciulla (pag. 151). Ora ella
ha visto Gherardo, sorride, e scompare per ridiscendere
e muovere verso di lui, sulla strada. Lo chiama ancora, dol­
cemente, gli si avvicina, carezzevole e amorosa.
Ma alle sue parole, Gherardo non si volge neppure.
Sembra che perfino la voce di lei gli ripugni. Egli ha un
terrore segreto che gli sconvolge l’anima. 11 terrore della
punizione temenda per il peccato ch’egli ha commesso. E’
di lei la colpa, tutta di lei, che lo ha stregato, che lo ha
fatto perdere.
Un sordo movimento di bassi
Es. 19 (pag. 160)
e Gherardo
Tu tonfati con l’ombra della notte,
perchè non m accorgessi degli spiriti
maligni eh’erari teco. E quando jurrrmo
la dentro, nel cortile, mi rammento,
un cento Venne, caldo, e non aceco
più forza, e non potevo respirare.
E i tuoi occhi giiiaVan fiamme, e il fiato
della tua bocca m era come un fuoco.
E mi pareva berlo. E più bevevo,
più sentivo l’arsura della sete...
In peccato mortale, io son caduto.
Per te, per te, dannato io sono.
Disperato, egli s’abbatte sul sedile. A nulla vale ogni
parola e il pianto di Mariola, che gli si offre, a tutto pronta
pur di toglierlo dal rimorso ingiusto e crudele.
Forse, ella che lo ha perduto potrebbe pure salvarlo.
E Gherardo le dice allora di confessare a Dio il peccato di
quell’ora di vertigine, e maledirlo, come a opera del Demo­
nio, che si servì di lei per strappare un peccatore dalla
grazia celeste.
E’ troppo orribile. L’angoscia stringe il cuore di Ma­
riola. Ma è dunque Gherardo che parla ? Lui che la sera
innanzi, inginocchiato ai suoi piedi, le chiedeva la gioia
e il conforto di essere amato, di accompagnarlo nella sua
esistenza di solitudine, di esserne la luce e lo scopo ? Lui
che con tanta trepida ansietà di baci e di carezze le diceva
di essere come un fanciullo che da lei, dalla sua bocca,
stesse per prender vita, coscienza d’essere ?
Alle parole « Son solo al mondo, solo... » si riode il
tema già udito nell’interludio (es. 16).
88 =
Perchè non sei più quello ?
Chi urla nel tuo cuore ?
Una follia maligna
o una spietata santità ? Non so.
Non so, nè Oo’ sapere.
Che d’essermi data non mi pento.
E se peccato fu, Dio me n assolve,
che solo per la gioia di donare
mi ti donai. E guarda, m’inginocchio
davanti alla Madonna, sì, mi prostro,
ed essa mi perdoni se bestemmio,
ma l’ora del mio dono
la benedico I
Le ultime parole ricevono dal tema d’amore (es. 14)
ora in una luminosa tonalità di do maggiore, (pag. 174 e
segg.) forza di fede e di passione intensa, continuando con
la stessa frase calda e appassionata come nell’interludio
(es. 17).
Mariòla s’inginocchia, per affermare a Dio il suo voto
sublime d’amore. Poi si rialza, s’avvicina a Gherardo, vor­
rebbe toccarlo, trepida ed ansiosa. Ma egli la respinge
nuovamente, con un gesto e un grido d’orrore, e invoca Cri­
sto Signore perchè lo liberi, lo salvi, gli dia forza di re­
sistere.
Affranta, Mariola comprende che ormai più non varrà
nè il suo amore nè il suo pianto per riavere l’uomo che ora
la rinnega e la discaccia. Ella se n’andrà, ritornerà al suo
oscuro destino.
Addio. Io ti perdono
il male che m’hai fatto.
=c 89
Così ti possa Cristo perdonare
nell’ora della morte. Ma se allora
mi chiamerai, ed io sarò lontana...
Gherardo si riscuote, fa un gesto. Ma Mariola s’arre­
tra, allontanando da sè la visione paurosa
No, no, non dir più nulla... Oimè!...
E s’allontana, sperduta, disparendo di là dalla strada.
Un debole richiamo di Gherardo: « Mariola, Mariola...
un singhiozzo, poi, più nulla.
Dalla città cominciano a giungere suoni di campane,
mormorii indistinti e sempre più vicini. Un uomo appare
sulla strada, annunciando 1 Flagellanti che sono per passare
Sono usciti
da Porta Benedetta e canno a Borgo.
Il Podestà li guida. E ricchi e poveri,
di parte imperiale o della Chiesa,
sono come fratelli.
L’annuncio richiama altra gente. E’ intensa 1 aspetta­
zione. Gherardo, che ha ascoltato, subitamente si riprende
dall’accasciamento cui aveva ceduto all’addio di MariolaUn lampo s’accende nella sua mente ottenebrata, mentre i
Flagellanti giungono, circondati dalla folla allelujante. A
gran voce essi intonano il Pater noster. A quegli accenti
Gherardo s’infiamma, muove invasato verso i penitenti. E
il segno della grazia del Signore.
Fratelli in Cristo! Santa Compagnia!
Mi conoscete. Sono il tessitore
Gherardo, quel Gherardo
=
90
=
che s’ebbe dagli Apostoli il comando
d’andare via pel mondo a predicare
la legge del Signore.
O Santa Compagnia,
è passato il Demonio, ed ho peccato!
Pel tradimento della carne mia
vituperevole, io sono caduto
in peccato mortale.
Ora son come un cieco che cammina
sull’orlo d’un abisso.
Fratelli, rispondetemi. Fratelli,
sono dunque perduto ?
Son perduto per sempre? Rispondetemi!
Convulso, egli s’accascia, prostrato dinanzi ai Flagel­
lanti. Dal gruppo di questi una voce si leva ad accennare
lo spunto di una lauda.
Es. 20 (pag. 194)
Chi con . fos.mlno pe* .
• C».to— dal Si gno.ro è per . do . ui.lo
Un’altra risponde, cui altre ancora si uniscono ad an­
nunciare il perdono del Signore, e poi un’entrata dolcissima
delle voci femminili, alle parole
E per lui, divino ausilio,
= 91 ~
intercede presso il Figlio
la Madonna, puro giglio
subito seguita, a canone, dalle voci maschili. La pagina
corale prende corpo e si amplifica in un’armoniosa fusione
delle voci, otto parti reali, e dell’orchestra, che s’intesse
lievemente di quelle, come di aerei fili d'argento: pagina
mirabile, in cui rivivono insieme l’ardore di Jacopone e lo
spirito della più schietta e classica liricità italica.
Si rialza Gherardo, che nel canto ha udito la parola
misericordiosa del Signore, e infiammato di gioia lancia il
suo grido di fede, superando tutte le voci.
Gente di Dio, il tempo è breve.
Su, destatevi, destatevi e correte!
Il popolo gli risponde con un’ultima ripresa unisonante
del tema della lauda. E su un luminoso Alleluja la scena
si chiude.
atto secondo
Un tema greve e incisivo, enunciato ad ottave dagli archi
e fagotti si leva dall’orchestra, prendendo avvìo dall'inciso
iniziale del tema centrale che trovasi al principio dell’atto
primo, e distendendosi con nuovi elementi ritmici che ritro­
veremo durante il corso dell’atto secondo.
La evidente derivazione cui abbiamo accennato sta in
certo modo ad attestare del significato che a questo tema può
attribuirsi, quale riferimento a Gherardo ora divenuto fra
Gherardo. Nove anni sono passati dagli avvenimenti svoltisi
nell’atto pirmo, durante i quali egli, adempiendo al voto di
penitenza e d’apostolato, si è dato alla predicazione fra la
gente della città e del contado, mettendosi a capo dei Fra­
telli Apostolici, di cui ha fondato l’Ordine.
Il breve motivo, insistentemente ripetuto dai legni, che
viene a sovrapporsi al tema degli archi alla quinta battuta,
è il motivo che ricorrerà molto spesso in tutto il rimanente
dell’opera, e specialmente all’atto terzo, intimamente con­
nesso all’idea del popolo, agitantes! sotto il dominio degli
oppressori e ansioso di pace, di benessere e di libertà. Il
corso dell’azione svilupperà poi drammaticamente quello che,
— all’inizio di questo atto secondo, — con la fusione dei
due elementi tematici relativi a fra Gherardo e al popolo,
già è annunciato e significato in immagine musicale.
La scena si schiude facendo apparire una piazzetta del­
la Parma medioevale. Da un lato si vede la casa dei Putagi, ove Gherardo raccoglie i Fratelli Apostolici. Alcuni
di essi sostano dinanzi alla casa : vestono tutti una rozza
tonaca bianca, lunghi 1 capelli e la barba. Un gruppo di
popolani è presso a loro, venuti per vedere fra Gherardo,
che deve giungere da Faenza. 11 gruppo va accrescendosi
man mano : le notizie che si vanno divulgando sempre più
delle gesta e dell’ardore ispirato di Gherardo, sono il mo­
tivo che fa accorrere a lui tutta quella gente, attirata ora da
curiosità incredula, ora dall’ingenua fede nelle virtù mira­
colose del nuovo apostolo. Ma questa è la maggioranza. E
son lì ad invocarlo, ad attendere che si svegli e si mostri
= 94 »
al popolo, e chiedono ai Fratelli se Gherardo si ricorda del
suo popolo, e di Parma. Frate Guido Putagio (1) li ras­
sicura
... perchè si ricorda e vi vuol bene
è tornato :...............................................
. . . . « Lo so », diceva,
a che il popolo di Parma è come un gregge
(( senza pastore : e vive in mezzo ai lupi.
« E i nobili e il clero, e il Podestà
« e il Vescovo, son tutti congregati
« contro di lui. Lo so ch’egli patisce
« angherie e soprusi d’ogni sorta,
« la carestia, la fame... ».
La folla si scuote, freme alle parole di frate Guido,
si protende neU’ascoltare la promessa di Gherardo. E i
due temi dell’inizio sottolineano ogni frase, ogni impreca­
zione contro gli oppressori. II motivo del popolo, in parti­
colare, mutevole, incessante, ondeggiante. A questo viene
ad aggiungersi un nuovo motivo, che pure ritroveremo in
tutto il seguito, ora a guisa di esclamazione, ora accompa­
gnato ai motivi de] tema di fra Gherardo e a quello del
popolo.
E». 22 (pag. 225)
(1) Guido Putagio, secondo la cronaca salimbeniana, era come il luogote­
nente e fu poi il successore di Gherardo come capo degli Apostolici.
- 95 -
Una voce di incredulo si leva a contraddittorio. 1 mi­
racoli di Gherardo saranno tutti (c inganni e ciurmerle ». Un
altro frate, Simone, risponde. Racconta del miracolo vero
che Gherardo ha operato un giorno, fermando e allonta­
nando una ciurma di pirati, scesi al saccheggio su di una
spiaggia della Marca d’Ancona. Bastò che Gherardo trac­
ciasse una gran croce sulla rena perchè quelli si arrestassero,
gli si prestassero dinanzi, soggiogati, rinunziando al loro tri­
sto disegno. E il popolo salvato dalla furia saccheggiatrice di
quei malvagi donarono a Gherardo e ai suoi dieci sacchi di
grano, per gratitudine. E così una ricca signora di Faenza,
che si spogliò d’ogni gioiello per offrirli a Gherardo, che gli
salvò il figlio, già moribondo e d’un tratto guarito... Il
racconto è accolto da una risata derisoria da parte dell’in­
credulo e di alcuni suoi compagni. Si capisce a che fine
conducono i racconti di quel genere : tutte imposture im­
bastite per viver d’ozio alle spalle della povera gente cre­
dulona.
Ma una donna che ha sentito del miracolo della gua­
rigione del moribondo si fa innanzi, ansiosa. « Giura che
non mentisci ! », ella grida a frate Simone, e questi assi­
cura : <i Era già per morire e si levò, ti dico, si levò can­
tando... ». E la donna
Anch’io, anch’io ho un figlio che mi muore,
che non ha più la forza di star ritto,
ed era il più fiorente e bel figliuolo
del mondo. Dimmi che quel santo Padre
Dorrà guarirlo. Dimmelo...
Una frase intensa di commosso dolore, cantata dalle
viole, segue le parole della misera madre. L’inciso iniziale
- 96 ^
Ma l’infelice non ha di che donare ai frati. Appena
un cerchio d’oro al dito e un paio di buccole, e li offre.
Ma come il losco Simone fa per prenderli, una voce alta
scaglia un’apostrofe e una minaccia
Ladro!
Rendi a codesta donna le sue robe.
Rendile tutto, o ch’io ti stronco il collo
mentre un braccio fermo stringe il polso del profittatore e
gli fa cadere di mano gli oggetti carpiti. E’ Gherardo, che
si era tenuto fino allora nascosto tra i frati e che ha udito
tutto. Le sue parole roventi di spregio per l’indegno com­
muovono la folla. « Chi non abbia forza di soffocare in sè
le turpi voglie del corpo », chi non si senta di giungere
alla Porta del Cielo « libero d'ogni amore sensitivo »,
d’ogni temporale interesse, che quello si allontani da lui.
97
7
E». 24 (pag. 250-251)
tremolo acuto che continuerà in una successione di scale
discendenti, mentre squilli e richiami lontani dei comi e
del clarinetto, e accenti cupi dei bassi accompagneranno
la evocazione apocalittica :
E quando il sole
sarà nero e la luna aürà il colore
del sangue, e i re, i ricchi, e i preti e i papi
andranno senza scampo per le terre,
soltanto a chi spregiò la vita e il mondo
sarà dato d’entrare nella Santa
Città di Dio!
E proseguendo, egli pronuncia parole di condanna per
ogni sentimento umano, che non basta rinunciare a ogni bene
mondano se non si soffoca in se stessi la volontà, 1 amore.
Quello stesso amore è la causa per cui quella donna piange
ora il figlio che le muore. Non ora, doveva piangerlo, ma
quando egli le nacque dal peccato per cui fu concepito e
fu dannato ad una vita di perdizione.
=
98 =
i
V
Fàtcgìi largo,
o gente, al borsaiolo,
ch’egli nell’andar via non metta mano
a vuotarvi le tasche.
E mordi pure
le dita a minacciarmi. Ma Va’ via!
Bieco di rancore e di vergogna, il frate s’allontana. Il
téma dell’inizio, in modo lamentoso, si svolge ora su di
un agitato ribattere di terzine negli archi. La madre che
poco prima si era rivolta a Simone per ottenere che Ghe­
rardo le guarisse il figlio, ora si trascina ai pièdi di lui
e lo supplica :
Il mio figlio mi muore, o Padre Santo!
Ma Gherardo ha uno scatto d’ira.
E son io forse Cristo, per guarire
gli infermi e ridonar la vita ai morti ?
Ma Voi, perchè pensate ch’io tornassi ?
Per trarvi a perdizione con lusinghe
ed imposture? No! Sono tornato
per dirvi ,che prossima è la fine!
Colui che nella mano ha sette stelle
sta per venire, o gente!
Con lo stesso schema ritmico del tema « Gente di
Dio » (atto I, es. 3) una tromba accenna un largo tema in
la maggiore, cui subito un’altra fa eco, e gli archi tremolano
un pedale superiore di quinta, alle parole di Gherardo
« Colui che nella mano ha sette stelle... »
-
99
La folla, che ha seguito con crescente emozione il di­
scorso di Gherardo, ora erompe in un impeto d’indignazione
per l’insulto arrecato alla santità della madre. Il tema del
popolo si ripresenta con moto concitato (pagg. 256-257) e
due accenni in fortissimo a! tema della madre, accompagna­
no il grido di questa, che suona maledizione sul capo del
negatore
Ma tu, da chi nascesti ? Ma chi fu
tua madre ? E di che carne sei tu fatto,
tu che non sai l’amor del proprio sangue ?
Ma se donna v’è al mondo che t’amò
e di donna mai nacque un figlio tuo.
Voglia Dio eh’ei sia morto o ch’egli muoia
maledicendo a te così come io
ti maledico!
Riprende il popolo, che vorrebbe sfogare il suo sdegno
su Gherardo. Voci di morte si levano d’ogm parte, di
esecrazione e disprezzo. Ma uno della folla, il vecchio An­
tonio, si fa innanzi e accenna agli altri di quietarsi : parlerà
egli a Gherardo, lo ricondurrà alla ragione e gli dirà quanto
il popolo abbia bisogno di lui per porre fine alle sofferenze.
Il tema concitato ora si placa in un sommesso movimento
di sestine degli archi (pag. 264) e il tema di fra Gherardo
viene accennato tristemente dall’oboe, dialogando col cla­
rone e il clarinetto che ne riprendono gli elementi ulte­
riori, già apparsi all’esposizione del tema nella sua inte­
rezza all’inizio dell’atto (es. 21) per continuare in un fune­
bre ritmo ribattuto, su cui corni e fagotti sforzano accordi
gravi e dolorosi,
100
Es. 25 (pag. 266)
intercalandosi alle riprese di una frase degli archi piena di
desolata tristezza
Es. 26 (pag. 267)
anch’essa di evidente derivazione dal tema iniziale (atto 11),
mentre il vecchio Antonio parla con voce afflitta a Gherar­
do dei patimenti e dei soprusi ond e angariato il popolo
da parte dei rappresentanti del Papa e dell’Imperatore.
101
La pestilenza miete vittime nella più fiorente gioventù
della città, affamata dall’ingordigia dei signori che non co­
nosce pietà, la carestia annienta ogni sforzo di sopporta­
zione, e financo 1 preti negano il viatico ai moribondi che
non hanno di che pagarli. E’ giusto tutto ciò ? Vorrà Ghe­
rardo venire incontro al suo popolo, a quel popolo che a
lui è venuto per aver conforto e forza nella speranza di
una vita migliore ? E’ giusto che Gherardo ne aggravi l’an­
goscia con le sue inesorabilità di giudice degli uomini ?
Non del popolo è la colpa, se soffre e si lamenta, ma dei
nemici suoi, che sono anche nemici di Dio.
La commozione invade l’animo di Gherardo alle pa­
role del vecchio, e subito s’accende in lui il fervore della
rivolta all’ingiustizia dei potenti. E si rivolge alla folla, e
grida, incitando all’incendio delle case dei signori e al
saccheggio d!ei loro granai : il popolo arde nel pensiero
della vendetta e della liberazione (tema del popolo, pag
275-276). Sia Gherardo il suo capo, guidi egli alla giusta
vittoria la gente sua. E Gherardo accetta, e giura. Si riode
qui, alle parole del giuramento, il tema più volte ricorso nel
primo atto (es. 4, pagg. 27 e segg. ; 48 e segg. ; 54; 92-93)
Es. 27 (pag. 277)
=
102 =
tema che attraverso un crescente sviluppo porterà al coro
intonante una strofe guerresca di sapor popolare, baldan­
zosa e vigorosa
Quando il popolo di Parma
sorge invaso dal furore,
non v’è Papa o Imperatore
che lo possa soggiogar
in un jortissimo dell’orchestra accompagnante il canto
Es. 28 (pag. 281 e segg.)
La folla si allontana per andare ad armarsi e prepararsi
alla lotta, secondo l’incitamento di Gherardo, che è rimasto
in iscena, attorniato dai suoi frati, che da. lui attendono una
parola, un gesto. Egli è assorto, ora, e nella sua voce sono
vibrazioni di un intimo affanno, di una vaga incertezza. In­
vita ì frati a raccogliersi nella chiesa, a pregare il Signore
- 103 -
E pregate per me, per tioi, per tutti!
Anche un altro suggello è stato infranto
del Libro Eterno, e sale dagli abissi
un Dento di procella...
Son parole dell’Apocalisse. In orchestra ricorre, lamen­
toso e triste, il tema di cui all’es. 26, ai due oboi, marcato
sui tempi deboli da una doppia appoggiatura dissonante dei
fagotti, e gli archi scivolano rapidi su scale cromatiche di­
scendenti e ascendenti, quasi folate, di vento (pag. 289 e
segg.). Chiari accenti dei flauti e del corno (tema es. 4),
violé e fagotti evocanti il tema « Gente di Dio » e voci
lontane completano l’atmosfera sonora della scena.
Ora con Gherardo non è rimasto che un giovine fra­
ticello. Ad un tratto, Gherardo gli si rivolge :
0 mio fanciullo,
qual’è la cosa giusta ? E quale è iniqua ?
E’ il dubbio. Ma non sa che rispondere il fraticello :
« Padre, se tu non sai, come poss’io sapere ? »
A un tratto, Gherardo sussulta. Un’ombra gli è parso
di intravvedere, là in fondo alla piazzetta. Ma il fraticello
lo rassicura : non c’è nessuno.
In un sol maggiore dolce e calmo la frase dell’es. 26
viene ora ripresa e dialogata da archi, corno e strumentini,
mentre Gherardo dice al fraticello di rientrare anch’egli
(pag. 293)
I fanciulli han bisogno di dormire.
Ma prega per Gherardo, anche tu prega:
che l’alba di domani non sia rossa
di sangue e di sterminio...
104
=
Commosso, il fraticello gli bacia le mani e si ritira.
Gherardo rimane solo, nel silenzio della notte in cui vanno
affievolendosi gli echi delle voci lontane. Appare abbat­
tuto, e mentre si lascia andare stancamente su di una panca,
la sua voce ha un lamento.
Un’ombra si è intanto staccata dal fondo e viene ora
avanzando verso Gherardo. E’ una figura di donna dal­
l’aspetto misero, recante sul volto i segni dolorosi di una
lunga e crudele sofferenza. Con voce che sembra quasi spen­
ta, ella chiama Gherardo per nome. Da’ in un balzo subita­
mente, questi, e, volto alla donna: « Ancora qui? », le
grida, « Non ti bastava d’avermi maledetto? ».
Ma non è, come egli crede, la madre che dianzi egli
aveva offesa nel suo dolore e che gli aveva lanciata la tre­
menda maledizione. E’ Mariòla. Un urlo di Gherardo, che
retrocede atterrito. No, non può esser lei !
Un flèbile accenno al tema di Manda (es. 8), e la
sua voce dolorosa: « T’avevan detto ch’io ero morta?... »
Viole e clarinetto introducono un tema cupo di accenti
d’odio e di disperazione.
Es. 29 (pag. 297)
E l’orrore di Gherardo alla vista di colei che, secondo
la sua mente ottenebrata dall’esaltazione, è già stata la cau-
105
=
sa del suo primo peccato ed ora gli si ritrova dinanzi, man­
data dal Demonio, che, dopo nove anni di penitenza in
espiazione, vuole ancora farlo perdere, forse dannarlo irre­
parabilmente. Ed egli la discaccia, e nel discacciarla la
sua voce da impetuosa e minacciosa si fa or umile e suppli­
chevole, ora riprende violenta, sempre dominata da un ter­
rore quasi vile.
Non Vedi che in quest’ora
tremenda la mia forza mi tradisce ?
Non lo vedi ch’io son come un fanciullo
sperduto in una landa ai quattro Venti ?
Una parola infranse le muraglie
della mia rocca, e un’altra m’ha dischiuso
la porta d’un abisso... Fosti tu,
che chiedesti a un demonio di tentarmi,
per Vendicarti? Vattene, va’ via!
Tristemente, accorata, gli risponde Mariòla, parole di
sublime amore e sacrificio. Un tenue ribatter d’archi le acpagna, e un tema che ricorrerà poi durante tutto il racconto
che Mariola farà della sua storia dolorosa.
Es. 30 (pag. 304)
Dolce e triste
\
Non è venuta, no, per fargli dd male, la çreatura mi­
sera e dolente
Volevo solo dirti una parola
per consolarti, chè ti vidi, e vidi
e intesi il tuo terrore. Volea dirti
che non avvenne, no, la cosa orrenda
che il cuore ti gridò di quella madre
straziata...; che prima di morire
no, non ti maledisse il tuo bambino...
E’ un urlo ancora di Gherardo alla rivelazione. Non
è possibile. Ella mentisce.
Per colpirmi
nel cuore, tu mentisci.
Ma subitamente più dolce si fa la sua voce, al pen­
siero di un figlio suo, venuto a sorridergli nel buio di una
vita trista e senza gioia, e ansioso chiede alla donna come
fu, come nacque, che n’è di lui. E Mariola racconta tutto.
Da quella notte fatale in cui, dopo d’essere stata scacciata
da lui, ella ritornò presso la zia, fu un continuo martirio
per resistere alle mali arti della megera, che le rinfacciava
il poco pane come se ella glielo rubasse. Stanca, fuggì, la
notte d’Ognissanti.
Una veste di cenci indosso, e in mano
un pane, ma nel cuore, in fondo al cuore,
un grande amore, grande come il mondo...
S’adattò a far la serva in una casa di contadini, nella
campagna di Noceto. Là, la mattina del giorno degli Inno­
centi, le nacque il bambino. Non la cacciarono per questo,
i suoi padroni, che n’ebbero pietà. Ma uno degli uomini
di quella casa fu preso dalla voglia di lei ed ella, che non
voleva nè poteva far male alla donna di quell’uomo che
bene le aveva fatto, se ne andò anche da quella casa. Tut­
ti i mestieri, tutti i patimenti, pur di sfamare il piccino.
Persino la vergogna : senza poter trovar lavoro, senza più
nulla nemmeno d’elemosina, ella chinò il capo al destino, e
fu di tutti che la vollero...
Poi venne la pestilenza. La gente, impaurita dal peri­
colo del contagio, cacciava via lei e il bambino, che s era
ammalato di febbre, dalle aie e dai cortili. Nessun rifu­
gio le era concesso. Si fermò allora sulle rive di un fiume
e là fece al bimbo un letticciolo con le foglie. Ma venne un
uragano, con lampi e tuoni forti, e acqua che diluviava. Non
un cencio per coprire il piccolo, non un tugurio per riparar­
lo. E il bimbo morì chiamando la sua mamma...
Al racconto, interrotto dal pianto lungamente rattenuto
di Mariola, Gherardo è passato dall’ansia, al dolore, al
pentimento, al rimorso. Ora una cosa egli chiede, trepidan­
te, a Mariola, alla sua «santa martire » :
Per l’anima
del piccolo innocente, io ti scongiuro,
dimmi la verità... Quando il bambino
moriva, tu, non mi maledicesti!
La Verità, Mariola !...
Ma la sua donna non seppe maledirlo. E chiamava il
bimbo col suo nome...
Il più puro, il più luminoso do maggiore, in un accor­
do pieno e piano di tutta l’orchestra illumina la parola su­
blime di bontà e d’amore. E un canto dolcissimo s’innalza.
108 =
mentre la commozione più intensa inonda il cuore di Ghe­
rardo, lo vince, e gli fa piegare i ginocchi dinanzi alla
donna.
E parole di pentimento egli le rivolge, parole di do­
lore nell’implorazione di un perdono di cui egli non sara
mai abbastanza degno.
V orrei
che Dio mi concedesse di rijare
passo per passo tutto il tuo cammino.
E ad ogni passo m’inginocchierei
per baciare la terra che sentì
109
il peso del tuo corpo, e fu sfiorata
da quei piccoli piedi.
E ad ogni crocevia dove posasti
vinta dalla stanchezza, e ad ogni proda
che t’accolse benigna, e la materna
tua tenerezza vide, e vide il sonno
del tuo bambino, io piangere vorrei
lagrime di rimorso e pentimento,
e lagrime d’amore...
Con l’amor tuo m’aveva Dio mandalo
la più sicura guida
per il mio viaggio d’uomo fra gli umani.
Superbo e Vile io fui : negai la Vita...
Ed ora... — orrenda cosa! —
sono un padre che ucciso ha il suo bambino,
e Dio non avrà più pietà di me!
E’ tutto un seguito di momenti musicali di una profon­
da espressività. La lirica pizzettiana qui assume al massimo
dell’intensità nella maggiore semplicità dei mezzi espres­
sivi.
Ora una luce di speranza s’è accesa, viva, nel cuore
dei due esseri nuovamente uniti dall’amore, e dal dolore
e dal sacrificio. La vita bruscamente interrotta in quell’alba
lontana continuerà in quest’alba di perdono e di redenzio­
ne. In Gherardo è l'ansia di fuggire lontano, ora, con la sua
donna, verso la pace, la libertà. Ma esita Mariola.
V’è un popolo, lo sai, di poverini,
che speran nel tuo aiuto e han fede in te.
=
110 -
Non ti varrà neppure l’amor mio,
se li abbandoni, contro il luo rimorso.
E i motivi del tema di fra Gherardo ricorrono, come
per ricordare la promessa, la missione giurata. E poi il te­
ma d’amore (es. 14), al grido di Mariola, alto, appassiona­
to: « Per la vita e la morte, teco e tua » (pag.344).
Raggiante, Gherardo stringe e bacia le mani della sua
donna, benedicendola: l’amore riavuto, ora lo rende forte
e sereno nell’adempimento del doveie cui Dio e il popolo
Than chiamato.
Si odono passi di là dalla strada. Gli amanti si scuo­
tono, fanno per fuggire. Ma in un attimo uomini armati sbu­
cano da tutte le parti e circondano Gherardo. Sono famigli
del Podestà, venuti per arrestarlo, condotti da quel frate
Simone che, per vendicarsi di Gherardo, è andato a denun­
ziarlo.
« Giuda ! », gli grida questi. « Sì, se tu fossi Cristo ! »
risponde l’indegno, con un ghigno. E Gherardo è preso,
condotto via. Il tema del racconto di Mariola, che dal suo
apparire (es. 30) fino al termine dell’opera ricorrerà sempre
come nuovo vero e proprio tema di Mariola, che il sacrificio
e il dolore han fatto donna ed eroina, accompagna Gherar
do che va verso la sua incerta sorte, alle parole che Ma­
riola gli grida
Guarda in alto!
Tien gli occhi fissi al Cielo: il giorno viene!
ripetendogli ancora il supremo giuramento
Per la vita e la morte, teco e tua!
Ora un solo pensiero domina in tutto il suo essere :
- Ili »
salvare l’uomo amato, ritrovato dopo tanta pena. E anima­
ta da una forza e un coraggio quasi virile, cone alla casa
dei Putagi, bussa, chiama il fraticello e gli dice di correre
in chiesa, sonare a stormo la campana: Gherardo è stato
preso dai famigli del Podestà.
In breve tutta la piazzetta è piena di popolo. 1 frati so­
no anch’essi usciti tutti dalla casa, disorientati.
Tutta la scena è mirabilmente descritta sinfonicamen­
te, nel susseguirsi e nel ricorrere di tutti i temi inerenti a
fra Gherardo, a Mariola e al popolo (pag. 352 e segg.).
Dal pulpito che è sulla piazza, una voce alta e squil­
lante domina il tumulto. E’ Mariola.
Gente di Parma, un losco traditore
ha venduto Gherardo ai suoi nemici.
Perchè voi l’acclamaste vostro capo
Vorran mandarlo a morte come Cristo.
Gente di Parma, e lascerete uccidere
il vostro Padre ?
Urli di morte al traditore, di « Viva il Padre! », ac­
colgono l’annuncio.
La volontà sia questa : il Padre libero
o morte a chi lo tiene...
Il sole splende! Il cielo è tutto d’oro!
La croce azzurra in campo giallo al vento!
Tutta la folla risponde giurando, invasa d’entusiasmo.
E al canto della strofe guerresca (es. 28) muove verso il Co­
mune, mentre la scena si chiude.
- M2
ATTO TERZO
E’ la mattina del giorno successivo. Gherardo dorme
in uno stanzone del Palazzo del Vescovo Obizzo, rappre­
sentante del Papa in Parma, dove è sorvegliato da due
guardie armate.
L’atto s’inizia con un tema largo e solenne annunciato
dai corni, con accenti squillanti ed incisivi.
Es. 32 (pag. 371)
L’austerità delle linee,
— l’ampiezza maestosa e ierati­
ca del ritmo, fanno pensare
all’imponenza solenne dell’au­
torità apostolica, dominatrice, intangibile, vittoriosa sem­
pre e sicura nella sua infallibilità E’ un tema che po= 113 =»
tremino chiamare appunto il tema della Santa Madre
Chiesa, chè lo riudremo ogni volta che nell’azione, attra­
verso il personaggio del Vescovo, sarà presente e dominerà
lo spirito della suprema potenza temporale.
Entrano il Vescolo e il Podestà.
Dopo d’aver fatto uscire le guardie, il Vescovo espri­
me il suo disprezzo per il frate che egli definisce « volgare
villano ». Alle parole del Podestà, che manifesta il suo con­
senso, un nuovo motivo, sale dai fagotti e violoncelli, men­
tre le viole mantengono un insistente pedale tremolato di
mi bemolle, che conferisce un tono di cupa incertezza al
dialogo fra i due autocrati.
El». 33 (pag. 374)
« Un tal villano », dice il Podestà, « che neppur Fra
Bernardo Inquisitore ha potuto piegarlo a sottomettersi ».
E al Vescovo che lo vuole inesorabilmente punire, egli
risponde che tutto il popolo è in armi per liberare Gherar­
do, ed è guidato da una donna che chiamano Mariola. —
Un breve accenno al tema già udito al canto della stro­
fe guerresca del li atto (es. 28) sopra un movimento di
terzine che fan sentire il tema del popolo con un mormorio
sordo e torbido, accompagna le parole del Podestà (pag.
377-378).
E soggiunge ancora che all’alba, un gruppo di popolo
in furore, sempre guidato da quella donna, ha sfondato le
porte della Camusina dov’erano rinchiusi già molti prigio­
nieri, riuscendo a liberarli.
Violini e bassi ad ottave lontane cominciano a richia­
mare uno dei temi di Gherardo, che ancora dorme, e preci­
samente quello dell’atto 1 che chiamammo della tentazione
(es. 9) mentre a tratti continua il movimento delle terzine
con il tema del popolo.
Intanto Gherardo si desta e, visti 1 due parlare presso
alla porta, li avvicina inosservato per ascoltare.
« Buono! Gente Valida
ha il comune Parma a sua dijesa ! »
dice il Vescovo. Ma il Podestà lo rassicura: i prigionieri
ora rinchiusi nel Vescovado non potranno più fuggire.
Undici sono;
e vi son tre di quei jalsi Apostolici,
e v’è pur quella donna indemoniata
che Vi dicevo.
A queste parole Gherardo insorge improvviso con il
cuore gonfio di disperazione e di dolore e chiede, per ac­
certarsi, il nome della prigioniera, e angosciato implora:
L’avete presa e imprigionata? Anch’essa
avete preso ? E che Volete jarle ?
Che delitti ha commesso ?
mentre dall’orchestra sale, come un’eco lontana, il tema
d’amore lievemente modificato (es. 14), accennato dai vio­
lini ad ottave, sopra un ansimoso tremolo dei bassi (pa­
gina 382).
= 115
Essa è colpevole pet aver dieso le leggi del Comune
e della Chiesa, dice il Podestà, e d’aver sobillato il popolo
alla rivolta; quella donna è una « strega d’interno ».
Gherardo balia brandendo un pezzo di una scranna e
la per scagliarsi contto l’insultatore; ma questi l’arresta
gridandogli :
Getta quel legno! Al Podestà e al Vescovo
corrai tu jar ciolenza?
Alla rivelazione Gherardo sbigottisce, e con l animo
straziato implora la salvezza di Mariola, di quella santa che
si dovrebbe adorare in ginocchio. Lo si condanni anche a
morte purché lei venga risparmiata
Qui l’orchestra esprime con un ritmo ansioso tutta 1 an­
goscia e intimo ahanno di Gherardo, mentre nel canto è
contenuta tutta la trepida ansia per la sorte della donna
amata.
Ls. 34 ipag. 388)
116 -
e Mariola e 1 suoi seguaci : basterà che egli confessi i suoi
peccati sulla piazza, al cospetto di tutto il popolo, che
rinneghi la sua fede e che faccia « atto di piena sommis­
sione alla Chiesa e al Comune ».
Un tema lento e strisciante sottolinea le parole del Po­
destà, quasi dissimulando le subdole intenzioni nascoste ne
suoi propositi.
Es. 35 (pag. 391)
Ma Gherardo, che già sospettava, scoppia in un riso
beffardo e amaro: ha compreso il gioco dell’avversario : egli
non cade nel tranello delle false lusinghe e delle false pro­
messe : ora egli ha afferrata la verità : la donna è libera
e tutte le proposte che gli vengon fatte non son che delle
vili imposture. Ma è un attimo: vedendo ridere il Podestà
in modo sprezzante, il dubbio lo riprende, lo riassale il
timore che Mariola sia veramente caduta nelle loro mani.
« Ditemi, vi scongiuro, ch’ella è libera... », egli sup­
plica, mentre nell’orchestra ritorna il tema dell’affanno di
Gherardo (Es. 34).
« La verità ? Vedrai, là sulla piazza, più tardi » gli
risponde il Podestà ambiguamente, e conchiude:
117 =
Medita, Fra Gherardo, il tuo sermone,
che’ il tempo siringe e il rogo è preparato.
E fa per andarsene, insieme con il Vescovo; ma Ghe­
rardo, dopo un momento di perplessità, lo raggiunge, l’af­
ferra per un braccio, chiedendo convulso : « Chi m’assicura
che terrete il patto?». Sempre ambiguo, il Podestà gli
risponde :
Quando sarai , fra un’ora, sulla piazza,
per abiurare — o per salir sul rogo —
se fra gli altri arrestati tu vedrai
pur la tua donna, e allora a tutto il popolo
d’inganno accuserai il Podestà.
Ma bada che già il popolo t’è contro.
Si odono grida lontane del popolo in tumulto.
Gherardo non crede. E vuole che il Podestà gli giuri
che sarà libérato con la sua donna, se egli abiurerà. Ma il
Podestà, senza dargli più ascolto, chiama invece le guardie,
fa togliere al prigioniero il manto « insegna di superbia ».
Gherardo, sprezzante, se lo toglie egli stesso gettandolo
a terra.
Intanto le voci del popolo a poco a poco si odono più
distintamente sopra uno sfondo dell’orchestra ora cupo (tre­
molo di bassi) ora concitato (incisi del tema dell’affanno
di Gherardo, es. 34) (pag. 408).
Al Vescovo che sottovoce disapprova l’inganno trama­
to dal Podestà, questi risponde :
Non è forse un eretico, costui ?
Menzogna per menzogna. E la salvezza
del Comune ben Vale la mia frode...
118 =
I bassi riprendono il tema della Chiesa (es. 32) sotto un
pedale di mi bemolle, in un movimento molto largo, men­
tre nella parte superiore il corno inglese richiama al tema
prima udito nell’interludio e poi nel quadro secondo del
1 atto, « Son solo al mondo... » (es. 16) pag. 410).
Quindi, chiamate le due guardie, esce il Podestà col
Vescovo sulle ultime misure del tema, mentre i violini
riprendono ancora il movimento ansioso del tema dell’affan­
no di Gherardo (es. 34).
La porta della prigione si chiude. Gherardo resta as­
sorto un attimo in sè stesso, poi la commozione lo vince,
un’onda di fervore febbrile lo invade, e trabocca in una
implorazione appassionata
Signore Iddio, un raggio del tuo lume,
ch’io sappia dote andare. E dammi almeno
tanta forza ch’io possa strangolare
in me la mia Viltà.
II canto sale intenso sopra un tremolo degli archi, si
madia, come una mistica luce, s’incupisce sopra un accordo
di re minore, par quasi contenere tutta l’amarezza per il
dubbio che a un tratto fa vacillar la fede dell’apostolo,
poi cadenza, come per ripiombare nell’oscurità, in un mi
bemolle minore, sommessamente tremolato dagli archi e
sordamente tenuto dai comi e dai bassi, che cominciano ad
agitarsi pesantemente sul ritmo del tema del popolo, mentre
Gherardo s’inginocchia, bacia una rozza croce che porta
al collo, mormorando, smarrito, il « Libera me domine, de
morte aetema... » Gli ultimi accenti del corno inglese si
perdono, nel ricordo del tema Son solo al mondo..., e la
scena si chiude, continuando l’orchestra a martellare nei
-
119
bassi il tema del popolo, gradatamente avanzando e cre­
scendo, mentre s’odono gli allarmi del popolo in sommossa,
incisi dal tema della strofe guerresca, diviso fra gli archi
accentanti rudemente e le trombe che lo riecheggiano a
tratti (pagg. 414 e segg.).
A poco a poco il ritmo incalza, per scoppiare in un jj
sul tema della strofe guerresca ; ora affermato in un la mi­
nore quasi violento e selvaggio, poi, come un’invocazione
lamentosa, le voci femminili riaccennano la frase piena di
tristezza già udita al li atto (es. 26) ripresa poi larga­
mente dall’orchestra e suddivisa fra i legni acuti, corni e
fagotti a tre ottave di distanza e corni ancora, clarinetti e
corno inglese che seguono a canone nella parte centrale, su
di un accordo tenuto dai tromboni e agitato da un rapido
movimento insistente dagli archi, sostenuto da un largo on­
deggiare dei violoncelli, in un ampio e pieno do minore
Es. 36. (pag. 420).
La tonalità si rischiara in un maggiore pieno di dol-
120 =
cezza all’entrata dei violini riprendenti la stessa frase, che
va man mano languendo. Riprende subito, vieppiù conci­
tato, il ritmo selvaggio della strofe guerresca, cui si uni­
scono ì clamori sempre più sensibili della folla tumultuante
all’interno e il rullo dei tamburi.
Le complesse pagine sinfoniche che riempiono questo
passaggio dal primo al secondo quadro dipingono con viva
efficacia il tumulto violento del popolo in rivolta e tutta
l’atmosfera torbida della sommossa.
Un cupio presagio pare incombere e precipitare nell in­
calzar dei ritmi della musica, che raggiunge qui una rara po­
tenza descrittiva.
Sul martellare insistente e fortissimo di tutta l'orche­
stra sul ritmo del tema del popolo,
Es. 37 (pag. 423)
la scena si rischiude, facendo apparire la Piazza Maggiore
di Parma.
Il popolo in tumulto occupa parte della piazza. L ac­
cesso alle vie è sbarrato da soldati armati. Tra la folla si
fanno largo a stento quattro famigli armati che conducono
due ragazzi. Due soldati li precedono per aprir loro il passo,
mentre il coro inveisce con grida e con insulti contro ì fami
gli che piortan via ì ragazzi.
121
-
Uno di loro implora aiuto dalla madre la quale assiste
disperata tra la folla al rapimento del figliolo. Ma il popolo
sempre più inferocito preme da ogni lato i famigli tentando
di toglier loro la preda, finché un uomo riesce a liberare uno
dei ragazzi. Ma prima di lasciarlo, nel furore della mi­
schia, un famiglio cala un fendente sul ragazzo e lo ferisce
al collo, riuscendo a sottrarsi all’ira del popolo e rifugian­
dosi insieme con i compagni e con l’altro ragazzo rimasto
nelle loro mani nel Palazzo del Vescovo.
Un grido sovrasta la folla : è la madre del ferito che
si precipita sul figliolo: alcuni l’aiutano a sorreggerlo e a
portarlo fuor dalla calca, sulla gradinata del Duomo. 11
tumulto si placa s’ode la donna invocare il figlio con voce
straziata
O figlio, figlio! Cuore di tua madre,
unico bene mio, non mi morire !
e voci di uomini e donne commossi dal dolore della povera
madre
Povero jiglio bello insanguinato,
e misera la mamma che ti fece...
Pianto di madri e sangue d’innocenti!
Fatti di pietra, o cuore, per il giorno
della giusta Vendetta...
Un tema grave, dolente, d’un'espressione intensa e pro­
fonda ma contenuta, sale dai violini, alla quarta corda, rin­
forzati dal corno inglese, sopra un pizzicato sommesso e
scandito dei bassi, mentre le donne del I coro intonano la
loro lamentazione
»
122 «
Contemporaneamente un’altra parte del popolo (11 coro)
aizzata all’odio e alla vendetta da un uomo dai capelli
rossi, che accusa Gherardo di tradimento e d’intesa con 1
signori della città, inveisce contro il Frate. Ma in quella
giunge Mariola, che investe con vivacità l’insinuatore, vol­
gendosi alla folla a ricordare il giuramento fatto di liberare
Gherardo. Una parte riconosce il giuramento, ma un’altra
sfiduciata per le perdite subite, per i feriti e i prigionieri,
vorrebbe cedere.
- 123 -
Tutta questa scena, dalla lamentazione delle donne, al
discorso dell’uomo dei capelli rossi e alle invettive del po­
polo, diviso fra partigiani e avversari di Gherardo, all’ap­
parizione di Mariola, accorsa a difendere Gherardo dalle
accuse e a incitare il popolo per la sua liberazione, è co­
struita musicalmente su uno svolgimento fugato del tema
della lamentazione, in una successione originale delle quat­
tro entrate, da re minore a fa diesis minore a si bemolle mi­
nore a sol minore, con figurazioni e proporzioni strumen­
tali sempre diverse e crescenti di intensità. Al tema della
lamentazione viene ad unirsi, alla seconda entrata, a mo’ di
contrassoggetto, un tema subordinato derivante dal tema del
popolo, mentre sulla scena si sviluppano, indipendentemente
e pur fusi in contrappunto con l’orchestra, il coro delle lamentatrici e quello del popolo, di carattere l’un l’altro con­
trastante, fino a un ritorno fortissimo dell'orchestra nella
tonalità di re minore, pedale di dominante tenuto dai bassi
agitantisi sul ritmo del tema del popolo, con la ripresa lar­
ga del tema della lamentazione, quasi stretto della fuga, di­
viso fra archi e legni, e ottoni (pag. 449 e segg.). E’ un
quadro vasto e complesso, di un’ardita e possente conce­
zione polifonica.
Alle incitazioni di Marnala, il popolo appare convinto
e sta per cedere alle parole della donna, quando esce dal
Palazzo l’Assessore del Podestà per parlare alla folla. 11
clamore si placa dopo alcune grida ostili. — « Quel falso
religioso », dice il rappresentante del Podestà
or verrà dinanzi a Voi,
per umiliarsi e chiedere perdono
124 -
dei suoi delitti contro Stalo e Chiesa
E abiurerà.
Grida opposte accolgono la dichiarazione del Podestà :
a Mariola che lo accusa di menzogna, il popolo si rivolta
accusando lei di tradimento :
d’accordo eri con loro, per tradirci!
Sbega d’injerno! A morte, a morte, ammazzala!
La madre del fanciullo morto chiede il suo sangue per
vendicar quello del figlio.
Intanto l’Assessore è rientrato, mentre per suo ordine i
famigli allontanano la folla dal Palazzo.
Ma la fede di Mariola non vacilla : ella si offre in
ostaggio al popolo — pegno la sua vita — giurando che
Gherardo non rinnegherà il giuramento, nè abiurerà.
Serpeggia, alle sue parole, fra un movimento insistente
tratto dal tema del popolo, il tema a intervalli di quarta,
quello accompagnante la prima apparizione di Mariola nel
1 atto (es. 5).
Ecco, guardate, io mi consegno a voi.
E s’ei v’avrà tradito,
E s’io v’avrò tradito,
mi caccerete un jerro nella schiena.
E offre le braccia a due uomini, che la prendono, men­
tre altri le si fanno intorno minacciosi. La sua voce è ar­
dente di speranza, di certezza : non tenterà di fuggire, no :
... il mio cuore
non trema, no, non trema!
grida, appassionatamente, in uno slargarsi e rianimarsi suc­
cessivo della frase in orchestra (pag. 470-471).
- 125
La folla è ora sospinta verso la gradinata della catte­
drale da una numerosa guardia annata. Viole e bassi ripren­
dono pesantemente il movimento del tema del popolo, su
cui s’incidono squilli di trombe e rintocchi di campane an­
nunciarti il Vescovo e il Podestà che giungono per il giu­
dizio, col loro seguito. Circondati da famigli armati, avan­
zano i prigionieri, in mezzo a cui Gherardo. Mormorii della
folla accolgono il corteo, mentre dall’orchestra sale, in mo­
do Lamentoso e a canone, ancora la frase triste del 11 atto
(es. 26) sostenuta da un oscuro movimento dei bassi (pag.
472), seguita dalla ripresa dell’episodio strumentale prece­
dente dell’annunzio del corteo, cui succedono violente strap­
pate dell’orchestra, intercalanti il tema della strofe guer­
resca squillato dai corni, mentre il popolo, diviso in due
parti, lancia grida di abbasso all’indirizzo del Podestà e del
Vescovo e di viva Gherardo e grida di morte per questi e
di grazia per gli innocenti prigionieri (pagg. 474 e segg.).
Sorge il Vescovo a parlare, mentre il tema della Chie­
sa s’eleva gravemente dai bassi (pag. 478).
Con parole energiche egli esorta il popolo a mantenersi
calmo e a non lasciarsi trascinare in peccati di eresia contro
la Chiesa, come Gherardo,
Capo per sua superbia e altrui stoltizia
d’una setta d’eretici ribaldi;
contro la santa chiesa ed il Comune...
Qual altra pena per sì orrende colpe
che non il rogo? E il rogo ju approntato...
Ma il Signor della Vita e della Morte
gli ha tocco il cuore : e noi, a maggior gloria
di Dio Padre clemente, jarem grazia:
=
126 =
a lui che abiurerà
le sue jolli eresie, e a’ suoi seguaci...
La musica accompagna le sue parole con maestosa gra­
vità, resa dal tema della Chiesa variamente atteggiato ed
esprimente con singolare efficacia il tono di pomposa auto­
rità emanante dalla presenza del rappresentante del Papa,
e dagli accenti di ostentata infallibilità che ispirano il suo
parlare.
Ad un ordine del Vescovo, Gherardo è fatto avanzare.
11 cielo nel frattempo si è venuto oscurando : nell’aria cor­
rono fremiti di vento, rombi lontani di tuono. Sulla folla è
un’atmosfera greve d’angoscia. Si node il tema della lamen­
tazione, su cupi sussulti dei bassi (pagg. 485 e segg.).
Mariola, sempre tenuta dagli uomini, smarrita e tre­
mante, cerca di nascondersi perchè Gherardo non la veda.
Nel popolo ricorrono opposte esclamazioni di dolore per la
sconfitta e di rassegnazione alla ragione dei più forti.
Incomincia il giudizio. Con voce alta e imperiosa, il
Vescovo si rivolge a Gherardo. L’orchestra percuote un
do fortissimo sugli acuti e sui bassi, come un rombo, adom­
brato da un mi bemolle dei corni, perdentesi, che dà una
vaga e cupa sensazione di minore, piena della terribilità e
sgomento dell’attesa.
Uomo, confessi tu d’aver vissuto
nell’errore, spargendo fra le genti
mal seme d’eresia ?
Un lieve movimento delle labbra di Gherardo, che
assente, col capo chino, quasi senza voce. « Ha confessato:
ha detto s ì ! » , annuncia l’Assessore del Podestà.
127 =
Ancora un fremito di tempesta nell’aria e in orcheatra,
e la voce del Vescovo:
Uomo, ritraiti tu dinanzi a noi,
e al popolo le tue empie dottrine,
e ti penti d’averle predicate ?
Ancora Gherardo risponde assentendo, dopo un atti­
mo di silenzio. Mariola è annichilita, perduta.
Chiudetemi
la bocca, ch’io non gridi, eh’ei non m’oda,
che piuttosto io qui muoia soffocata!...
Ma all’ultima interrogazione del Vescovo, di ricono­
scere la giustizia delle leggi dello Stato e la suprema au­
torità della Chiesa di Roma, unica custode della cristiana
Verità, Gherardo ha un sùbito moto di esitazione : il re­
spiro gli si fa affannoso, sussulta, batte con forza il piede
in terra, e proteso verso il popolo getta un urlo: « No, no,
no! », mentre la folla ondeggia in un movimento opposto
di furore e di entusiasmo e il cielo folgora lampi e ha scop­
pi di tuoni. Da una parte si levano grida d’odio e di ese­
crazione contro il falso frate bastardo e traditore, che con
la sua risposta ha messo in nuovo pericolo la salvezza del
popolo dall’ira dei reggitori, e dall’altra si inneggia ancora
a lui e si vocifera contro i signori, il Podestà e il Vescovo.
Ardente si leva la voce di Gherardo :
Condannatemi, sì
mandatemi alle jiamme.
Peccai contro la vita e contro Dio,
è vero: offesi il Cristo, predicai
non l’amore ma l’odio. Ma giurare
128
che la menzogna è verità non voglio.
Fratelli, o miei fratelli, una è la Legge,
una la Verità:
Donare senza chiedere,
e amare, amare, amare!
O mia Mariolo,
perdonami, io ti perdo...
E’ l’affermazione della ragione ideale del dramma:
una è la Legge, una la Verità : donare senza chiedere e
amare, amare, amare ! Il sacrificio di Mariola ha dato la
luce a Gherardo: or egli comprende qual fu la sua follia, il
suo vero peccato. Quella luce stessa rischiarerà il buio triste
dell'espiazione.
Alle sue parole, il tema « Gente di Dio » (es 3) si
riode, dolcemente accennato da oboe e tromba ad ottava, in
una aerea tonalità di la bemolle appena mossa da lievi tre­
moli degli archi, mentre il canto assume accenti di trèpido
e appassionato fervore (pag. 502), cui rispondono le paro­
le di Mariola, piene di tenerezza
No, Gherardo....
Cuor del mio cuore! Dio t’ha illuminalo!
L’Arcangelo è con te...
Ma il dramma incalza. Alla vista di Mariola, Ghe­
rardo ha un grido di gioia. Essa è libera, dunque, ed egli
ha ben riscattato con la sua viltà la salvezza della donna
amata. Ansioso, si volge verso il Podestà per ricordare il
patto, ma questi compie alfine il suo disegno traditore e
indica i prigionieri e Mariola alla folla
s»1 129 —
La vita di questi undici
per quella di costei.
Una parte del popolo raccoglie l’invito, l’altra vor
rebbe opporsi a tal vigliaccheria, ma in quella alcune dònne,
fra cui è la madre di quel fanciullo che è stato ucciso dai
famigli del Podestà durante il tumulto, si slanciano verso gli
ucraini che tengono Mariola, se ne impadroniscono e la
spingono minacciosamente sul davanti della piazza, in mezzo
a loro. Gherardo a tal vista fulmineamente si libera, con
uno strattone, dagli uomini che lo tenevano fermo, togliendo
a uno di loro la picca che aveva in mano e con un balzo
è presso Mariola, minacciando terribilmente con l’arma. Ma
non fa in tempo che a ricevere fra le braccia il corpo della
sua donna, mortalmente colpita alle spalle da una pugna­
lata che, nel frattempo, le ha vibrato ferocemente la madre
del fanciullo morto. Uno scoppio tremendo dell’uragano, lo
schianto di una saetta squarcia il cielo, e il popolo, inor­
ridito, si arretra alla scena terribile. Una tragica pausa densa
di terrore. L’uragano si placa. La voce del Vescovo, so­
lenne
Prosternatevi al Giudice Supremo!
La Santa Madre Chiesa vince e regna.
Il Podestà ordina che sia gettata la pece sul rogo. Ma
il popolo non ascolta, non vede. Ciò che è avvenuto ha fatto
tacere in lui ogni feroce sentimento di vendetta, ogni pas­
sione torbida di rivolta. Sono le creature pavide e inno­
centi del Destino, che ora volgono verso la divinità a im­
plorare la pace, il perdono, l’amore. « Signore Iddio, se
amare è la tua legge, perchè ponesti Y odio in cuor dell’uo­
mo? Perchè?...».
« 130 =
E’ un canto sommesso, fervido, dove la commozione
assurge al sublime (pag. 511). Uno dei momenti più belli di
tutta l’opera.
Coi nomi più teneri ora Gherardo chiama Mariola, e
una sovrumana dolcezza emana dallé parole di lei
E’ il Signore che a te fa questa grazia,
per dirti il suo perdono.
Per esserti più prossima
nell’ora del supplizio, io ti precedo.
Riappare, calda ed intensa, la frase d’amore dell in­
terludio (es. 17), cui si unisce quella di Mariola del 11 atto
(es. 31).
Es. 39 (pag. 515)
fondendo insieme le voci appassionate dei due amanti.
Mariola muore, gli occhi volti alle stelle, con un ultimo
addio all’amato, nel ricordo del bimbo che con lei l’atten­
derà, ora, là, sull’argine...
Il popolo s’inginocchia, mentre s ode il suono funebre
dei tamburi. Gherardo ha deposto la donna, la segna tre­
mante col segno della croce, si rialza e si volge attorno,
solo nel mezzo della piazza, già divenuto assente. Si riode
il tema sulle parole « Son solo al mondo », flebilmente
agitato
Prèndetemi, prèndetemi. Io non Voglio
jar del male a nessuno. Un poveruomo
10 ero, un peccatore...
Ma Voglio bene a tutti, a tutti, a lutti...
E s’offre agli uomini che lo prendono per condurlo al
supplizio, volto un ultimo sguardo a Mariola già composta
nel sonno sereno ed eterno. L’onda del ricordo gli fa nodo
alla gola. Sottovoce, barcollante, intona la canzone del suo
giorno lontano d’amore: A Ventrada del term clar... Un
urlo straziante, Mariola, Mariola mia!..., rotto dai sin­
sulti, e poi, smarrito, come un ebro, la Verità, la Verità...,
la parola suprema cui non è dato rivelarsi agli uomini.
11 doppio tema dell’inizio dell’opera si riodè, in mi­
nore ora, e scende pianamente come un velo denso sulla
scena, mentre la folla, inginocchiata, mormora quasi muta­
mente le litanie, e il gruppo dei giudici assiste immobile
e in silenzio. Continuano i tamburi il Icaro funebre ritmo,
accompagnando l’uomo che va verso il supplizio, A un trat­
to, un raggio di sole filtra dalle nuvole e illumina per un
istante la scena. Poi scompare. L’atmosfera s’affosca ancora,
la scena si chiude, mentre svanisce l’ultimo accordo dell’or­
chestra.
132 =
CARATTERISTICHE MUSICALI del DRAMMA
Un’analisi del contenuto musicale secondo un qualsiasi
metodo di ricerca e di classifica dei vari elementi, stabi­
lendone il significato e riferendosi ai vari oggetti che costi­
tuiscono l’insieme statico o dinamico del dramma è l’im­
presa meno facile possibile e più inutile, se non addirittura
fuori luogo, così per « Fra Gherardo » come per qualun­
que altra opera pizzettiana. E in ciò appunto risiedono i
motivi per cui la concezione drammatica pizzettiana assume
una tutta propria fisionomia, non solo nell’astrazione della
teoria, se pur di teoria si possa parlare, ma proprio e spe­
cialmente nell’atto pratico dell’opera creata e compiutamente manifestata.
Mentre, ad es., nell’opera di Wagner (e specialmente
nella Tetralogia, che del sistema wagneriano è il massimo
documento), può essere rilevato e separato dal dramma quel­
la specie di schema, di telaio, sul quale viene quasi presta­
bilito il giuoco dei temi conduttori, destinato a sovrapporsi
e a combaciare col dramma, ridotto a puro e semplice so­
strato ideologico di un organismo sinfonico vivente di sè
e per sè, in cui al canto viene riserbata la meno necessaria
delle funzioni, nell’opera di Pizziettì può dirsii avvenga
135 «
precisamente il contrario, in quanto dal dramma, dal suo
distendersi ed elevarsi, dal suo progredire crescente prende
motivo di distendersi ed elevarsi e progredire la musica.
Così, mentre in quella ci è dato rilevare e addirittura
isolare la sinfonia, distinguendone i temi costitutivi, classi­
ficandoli, elencandoli e seguendone il corso sinfonico che
noi sappiamo legato al ben determinato meccanismo degli
oggetti drammatici, in questa non ci è assolutamente pos­
sibile procedere ad una distinzione, classificazione o elen­
cazione di temi alla stessa stregua, nè ci può esser dato
seguire il corso sinfonico che solo a condizione di trasferire
noi stessi nel dramma e, in una parola, viverlo, soffrirlo.
Che tale è il principio fondamentale della concezione pizzettiana e a questo si riduce tutto quello che potrebbe chia­
marsi la sua teoria, che è viceversa la negazione d’ogni
teoria, in quanto se questa prestabilisce un’ordine di idee
e di fatti che devono trovare la loro applicazione nel dram­
ma qualunque esso sia e in tutti 1 casi, avverando il dram­
ma stesso in potenza, sinfonicamente, ancor prima che esso
sia stato espresso, in Pizzetti il dramma non può ottenersi
che ad espressione avvenuta e compiuta, quando esso cioè
sia stato profondamente vissuto dall’artista.
Così, invece di temi conduttori che si riferiscano ai
personaggi, alle cose, ai sentimenti, individuabili e distin­
guibili, nell’opera pizzettiana esistono, è vero, temi, ele­
menti melodici o ritmici o armonici distinguibili, ma non
individuabili in quel personaggio, in quella cosa, in quel
sentimento, in quel fatto determinato, e, mentre talvolta
sembrano vogliano riferirsi a un oggetto distinto, nello stesso
tempo ci accorgiamo che, se vi si riferisce, ciò avviene in
quanto quell’oggetto fa parte di un'oggetto più vasto, che è
136 =
il dramma stessa tutto intero, cui fa riferimento altresì tutto
il complesso dell’organismo musicale, inscindibile da quello.
Nel capitolo precedente avemmo bisogno di dare un
nome, per intenderci, a qualcuno dei temi incontrati durante
lo svolgersi del dramma. Lo facemmo per pura comodità di
esposizione e soltanto in quei casi in cui, per avventura, il
risultato musicale aveva qualche analogia con quello deter­
minato da un uso sistematico del tema conduttore, il che
non è detto non possa esser possibile, se si pensa che, in
fondo, la questione non è qui nelle apparenze, ma tutta
nella sostanza, che è nel modo di concepire il punto di par­
tenza per giungere al punto d’arrivo, identificabili l’uno
e l’altro in uno solo, il dramma, come il punto d’origine
e di giunzione di un vasto circolo idealmente descritto dal
suo vivere e divenire.
Non temi conduttori, dunque, ma tutta un’atmosfera,
quasi un’impalpabile materia dalla quale prendono corpo
ed anima le persone e della quale s’impregna e vive l’aria
che li circonda, una materia pieghevole e multiforme che
viene plasmata dallo stesso destino che imprime una volon­
tà, una passione e un moto agli uomini e alle cose, e si
manifesta attraverso le voci dei personaggi, del coro e del­
l’orchestra, in un insieme unito e complesso, polivoco e
policromo, ognora mutevole e vario, e pur sempre generato
dallo stesso nucleo originario che dalla concezione dell’ar­
tista emana, si distende, ramificandosi per mille vie, e si
esaurisce nel dramma, che in tal modo prende la sua con­
sistenza di forma.
Interessante, e tale da offrire abbondanti motivi di
constatazione e di riflessione sulla singolarità e personalità
del processo creativo pizzettiano, è il seguire lo sviluppo
- 137 -
del dramma, cercando, dove è possibile, di isolarne i prin­
cipali motivi drammatico-musicali e studiandone gli svolgi­
menti mano a mano che il dramma stesso procede. Osser­
vare, in Fra Gherardo, ad esempio, come vengono elaborati
i motivi del doppio tema dell’inizio dell’opera, quelli che
si riferiscono ai due protagonisti così come ci appaiono al
primo atto e quindi al secondo atto, quelli del popolo, e
quelli che rappresentano il conflitto fra il timore divino e
l’amore umano in Gherardo, mentre tutte queste persone e
sentimenti e passioni vengono mossi da quella forza intima
e misteriosa che fa convergere tutto verso il fine, la ca­
tastrofe.
I tre personaggi principali dell'opera, i véri protago­
nisti, sono Gherardo, Mariòla e il popolo. Ad essi fa capo
un complesso di idee musicali che nello stesso tempo si di­
ramano e s’incontrano per fondersi in modi innumerevoli e
sempre vari nell’atmosfera complessiva del dramma, che
della passione dei tre protagonisti, del suo vivere e dispie­
garsi costituisce la risultante. Di qui la varietà infinita di
atteggiamenti, quello slogarsi e ricomporsi, trasformarsi e
rincorrersi delle idee musicali, ora in funzione di veri e pro­
pri temi, ora attraverso il ricorso di figure tematiche par­
ziali, ritmi, incisi melodici appartenenti o derivanti da quel­
le stesse idee musicali che sono legate ai cardini del dram­
ma e ne seguono e significano lo svolgersi, fatte tutt’uno
col pensiero e il sentimento dei protagonisti. E’ una pro­
gressione incessante in cui vengono ad identificarsi intima­
mente il movimento drammatico e quello sinfonico, realiz­
zazione vera e compiuta di un linguaggio comprensivo delle
due espressioni.
= 138 -
Delle opere precedenti del Pizzetti, Fedra e Débora
Jaèle (non conosciamo ancora Lo Straniero), Fra Ghe­
rardo appare come l’armoniosa fusione e compensazione dei
motivi più specialmente predominanti, lirici nella prima,
drammatici nella seconda. Ciò riesce ad una maggiore e
più immediatamente sensibile organicità dell’opera in con­
fronto delle due precedenti, offrendo da una parte, nel più
serrato giuoco della vicenda scenica, motivo per un inte­
resse e una partecipazione più attiva e costante dello spet­
tatore allo svolgersi del dramma, e dall’altra, nella mag­
gior frequenza delle fasi liriche, motivo per quei riposi con­
fortanti atti a temperare e a meglio coordinare nello spetta­
tore il progredire e il compiersi dell’emozione.
Coefficiente precipuo sotto quest’ultimo aspetto è nel
dramma il personaggio di Mariòla, figura soave di donna,
la cui apparizione giunge sempre a rischiarare di una luce
di bontà, di speranza, di poesia, l’atmosfera resa oscura
ora dall’agitarsi tortuoso ed incerto della passione di Ghe­
rardo ora dal torbido fluttuare dei sentimenti del popolo.
Così al primo atto, dall’entrata di Mariòla al successivo
duetto con Gherardo, là dove essa racconta a lui di sè e
della sua vita, alle parole di Gherardo stesso rievocanti la
madre che offre a Dio la sua creatura (pag. 97) e poi l’epi­
sodio di Gesù e Maria Maddalena (pag. 101), la scena
della canzone provenzale (pag. 109), fino a quella d'amore
che chiude il primo quadro e il successivo interludio. E an­
cora, nel secondo quadro, dopo la notte degli amanti, l’ap­
parire di Mariòla mentre Gherardo è oppresso dal pensiero
del peccato commesso, le sue parole appassionate nel bene­
dire il dono fatto di sè all’uomo amato, e quelle di rasse­
gnato dolore nell’allontanarsi. Così al secondo atto, dove
-
139 =
il duetto fia Mariòla e Gherardo occupa le più belle e
commoventi pagine di tutto lo spartito, e al terzo atto, dove
la catastrofe del dramma riceve dalla scena della morte di
Mariòla chiarità di speranza, nella visione benefica di una
vita resa migliore dall’amore di tutte le creature, cui par­
tecipa il coro con gli accenti fervidi e commossi della sua
implorazione a Dio (pag. 511).
La maggiore abbondanza e ampiezza dei momenti lirici
trova nell’organismo dell’opera motivo per una sua più note­
vole quadratura, specialmente nelle parti vocali, in con­
fronto delle altre, delle quali forse la più vicina a Fra Ghe­
rardo sotto questo aspetto è Fedra, cui Fra Gherardo mol­
to spesso si ricollega più direttamente che non con Débora,
per taluni caratteri dell’ispirazione.
Tale quadratura consegue necessariamente dalla strut­
tura stessa d'el dramma, pur senza l’impiego, è ovvio il dirlo,
di forme chiuse contrarie al libero progredire dell’azione,
se se ne eccettui la lauda che è infine al primo atto, e che
peraltro viene ad inserirsi naturalmente nell’azione stessa,
costituendo, dopo la trenodia della Fedra, una delle pa
gine più mirabili di pura lirica corale nel dramma, è la
breve strofe guerresca durante e alla fine del II atto, di
una certa analogia di condotta drammatica, nella sostan­
ziale diversità dell’accento, con VAlleluia del coro al terzo
atto di Débora.
L'orchestra di Fra Gherardo è quella stessa di tutti i
precedenti lavori pizzettiani, concepita sovratutto come giuo­
co d’individui strumentali nella massa, parallelo, o meglio,
partecipe della vita drammatica che s’agita sul palcosce­
nico. Maggior vastità e complessità di struttura si riscontrano
nell’organismo sinfonico di Fra Gherardo, che pur conserva
140
la trasparente chiarezza delle altre partiture pizzettiane, a
motivo della densità polifonica ond’è ordito il discorso mu­
sicale, che d’altronde mai vale ad ottenebrane, come è ca­
ratteristica precipua e fondamento dell'arte del nostro mu­
sicista, il rilievo lineare del canto, cui la sonorità orche­
strale sa ognora adeguarsi e proporzionarsi.
Individui strumentali, dicevamo, agiscono nell’orche­
stra pizzettiana, ora in funzione di strumenti singoli, ora di
aggregazioni o suddivisioni dei loro aggruppamenti, conser­
vanti ciascuno una propria autonomia nella contrapposizione
dei piani sonori. Una suddivisione sistematica è quella ope­
rata negli archi, che, essendo posti a base dell’intero edi­
ficio, offrono in tal modo la risorsa di una continua loro
presenza nella successione dei vari episodi strumentali che
vale ad animarli di un’atmosfera sempre vibrante, ad am­
morbidirne i contorni e a meglio rilevare nello stesso tempo
il valore espressivo dell'individuo nell’interlocuzione stru­
mentale. Così suddivisa, la massa degli archi assume la du­
plice funzione di personaggio e ambiente nell’insieme sin­
fonico, funzione che le due parti vengono incessantemente
scambiandosi reciprocamente.
Bandito, nell’orchestra pizzèttiana, ogni uso di stru­
menti speciali o artifici volti al solo fine del colore, che
è già insito e deve ricercarsi nella peculiarità timbrica ed
espressiva di ciascuno istrumento. In Fra Gherardo anche la
indispensabile e abusata celeste di tutte le moderne parti­
ture è stata eliminata, e ridotto al minimo l’uso della batte­
ria. Vi è stato introdotto invéce il pianoforte, al solo scopo
di servire da rinforzo o a meglio incidere, in alcuni mo­
menti, sonorità o ritmi destinati ad una maggior prevalenza.
Nel momento in cui la giovane musica italiana, — do=**
141
po le turbinose vicissitudini dovute alle molteplici e oppo
ste tendenze provocate dalle varie influenze straniere di pri­
ma e dopo la guerra — va ricomponendosi ricercando nel no­
stro passato l’essenza vitale che varrà ad assicurarne l’avve­
nire, Fra Gherardo giunge a riaffermare luminosamente il
frutto sostanzioso e maturo di un’esperienza che da quel pas­
sato stesso ispirata, un’artista di grande fede e di chiaroveg­
gente sensibilità e già venuto compiendo in lunghi anni di la­
voro tenace e appassionato : comunque considerato e discusso
il risultato estetico della concezione e realizzazione drammati­
ca pizzettiana, superiori ad ogni particolare considerazio­
ne e discussione rimarranno l’alto valore e il significato del1 opera del musicista.
LA PRIMA ESECUZIONE
TEATRO ALLA SCALA IN MILAN
MAOOIO 1928
ESECUTORI:
Gherardo .
.
.
.
Antonio Trantoul
.
Florica Cristoforeanu
Mariolo..............................
Il Guercio .
.
.
.
soprano
)
' Aristide Baracchi
Frate Guido Putagio
L’assessore del Podestà
Il
- tenore
Vescovo
.
.
.
Un Vecchio .
.
.
.
Il Podestà .
.
.
.
.
- baritono
)
^ Edoardo Faticanti
- baritono
| Salvatore Baccaioni .
- baritono
| Giuseppe Nessi .
- tenore
Un gentiluomo
Frate Simone .
.
.
.
Il Notaro............................
I. Minghini Cattaneo
- mezzo soprano
Gina Pedroni
- mezzo soprano
Il Cieco..............................
Giuseppe Menini
- basso
Un jraticello .
.
.
.
Bruna Castagna
- contralto
Un incredulo .
.
.
.
Nello Palai
- tenore
Una Madre .
Una vecchia .
.
.
.
.
.
.
Maestro direttore e concertatore
A R T U R O
T O S C A N I N I
Maestro del Coro Vittore Veneziani
Scene di Edoardo Marchioro — Bozzetti dèi costumi e at­
trezzi di Caramba — Direttore della messa in iscena
G iovacchino Forzano.
ERRATA - CORRIGE
Pag. 15 - 23° rigo - necessaria leggasi necessaria
*
15 - nota 1,3° rigo - reale » Musicale
»
17 - 20° rigo -
y>
32 -
»
43 -
»
102
*
106 -
»
ISO
»
-
penultimo rigo - disumata » disumana
9° rigo - le sue leggasi la sua
18° 19° rigo - ac-pagna leggasi accompagna
-
137 -
penultimo rigo - riferisce » riferiscono
1° rigo - stessa leggasi stesso
» L39 - fiue 1° rigo •»
sapremmo
» 1, 2° rigo - preparazione leggasi prefazione
14 -
»
»
sepremmo
nota 9 - Edward Johnson (Ippolito )
140 - 18° rigo -
infine
Débora
aggiungasi
leggasi
in
fine
e
INDICE
Notizie intorno alla figura e all'arte di Ilde­
brando Pizzetti ......................................................... pag.
7
Bibliografia.................................................................... »
28
Fra Gherardo - L'argomento......................................... »
48
»
63
Secondo atto......................................... »
03
Terzo atto............................................. »
113
L’opera : Primo atto
Caratteristiche musicali del dramma .
»
135
La prima esecuzione..................................................... »
145
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
MUSICALE
RIVISTA DI MUSICA INTERNAZIONALE
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Milano, Via Brera N. 5 - Tel. 36583
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