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rivista del cinematografo
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
MENSILE N.4 aprILE 2016 € 3,50
trinità
americana
n. 4 apriLe 2016
Football, baseball
e basket. al cinema
fanno ancora
furore
SOUL
MUSIC
DALLE ORIGINI AL RAP,
PASSANDO PER MILES
AHEAD E LOVE & MERCY
anteprima
fantasmi
dal cile
il neruda di Larraín
e le torture di
colonia dignidad
e
a n c o r a
JOHNNY CASH
ELVIS PRESLEY
BOB DYLAN
ROLLING STONES
SEX PISTOLS
DAVID BOWIE
JIM MORRISON
MADONNA
KURT COBAIN
AMY WINEHOUSE
N.W.A.
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dello spettacolo
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AND
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ANDR
DLE
TE KEY
ANDROID
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WIN8 IOS
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29/03/16 13:11
da sconosciute a sorelle
regia di
scritto da
CASTING
DI
PRODUTTORI
ESECUTIVI
COLONNA SONORA DISTRIBUITA DA
e
PRESENTA IN COLLABORAZIONE CON
SUPERVISORE
DELLA MUSICA
SCRITTO
DA
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MUSICA
ORIGINALE DI
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UN FILM DI
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DIRETTORE
DELLA FOTOGRAFIA
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da aprile al cinema
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PROPRIETÀ FOX. SOLO PER USO PROMOZIONALE. LA VENDITA, LA DUPLICAZIONE, O ALTRI TRASFERIMENTI DI QUESTO MATERIALE SONO SEVERAMENTE PROIBITI.
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Punti di vista
nuova serie - anno 86 n. 4 aprile 2016
In copertina Miles Davis - artwork Marco letizia
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l’alibi della censura
EnteSpettacolo
DIrETTorE rESponSabIlE
Ivan Maffeis
“ennesimo esempio di come interessi corporativi censurino
la libertà di parola, l’arte e la verità”. Così andrew Wakefield, l’autore
dello studio che indicherebbe un rapporto tra la diffusione delle
vaccinazioni e l’aumento delle diagnosi di autismo, ha commentato la
decisione di robert De niro di non presentare al Tribeca Vaxxed:
from Cover-Up to Catastrophe, doc curato dallo stesso controverso
medico. “non credo che il film (che doveva aprire il festival
newyorkese, ndr) possa contribuire alla discussione come avevo
sperato”, ha spiegato De niro. È censura? Wakefield può proporre un
film che presenta come scientifiche tesi che dalla comunità medica
sono rigettate? Ciascuno ha il diritto di girare il film che vuole,
ognuno il diritto di commentarlo come crede. Ma la questione posta da De niro è un’altra: lui che ha un figlio
autistico, (in)volontario testimonial della lotta alla malattia, è
particolarmente “esposto” a proposito del film. le scelte che farà
saranno guardate con attenzione e
magari provocheranno conseguenze in
alcune comunità. È senso di
responsabilità. al netto delle
decisioni prese anche per “calmare la
piazza” mediatica, De
niro nel “suo” Tribeca ha la libertà di
proporre ciò in cui si riconosce, o di
non propinare ciò che è contrario alla
sua visione del mondo.
CaporEDaTTorE
Marina Sanna
rEDazIonE
Gianluca arnone, federico Pontiggia, Valerio
Sammarco
ConTaTTI
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arT DIrECTor
alessandro Palmieri
Hanno collaboRaTo
angela bosetto, orio Caldiron, Gianluigi
Ceccarelli, Silvio Danese, alessandro De Simone,
bruno Fornara, Giuseppe Gariazzo, Mauro
Gervasini, Massimo Giraldi, Gianfrancesco Iacono,
Marco letizia, Emanuela Martini, Massimo
Monteleone, Franco Montini, luca pellegrini,
Manuela pinetti, Guido rovatti, Marco Spagnoli,
Chiara Supplizi
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CoMunICazIonE E SVIluppo
franco conta - [email protected]
CoorDInaMEnTo SEGrETErIa
Marisa Meoni - [email protected]
Roberto Santarelli - [email protected]
DIReZIone e aMMInISTRaZIone
Robert De
Niro, direttore
del Tribeca
Film Festival
caso in parte simile a quello
capitato con Weekend, il film di andrew
Haigh distribuito in Italia dal 10 marzo
scorso, giudicato dalla Commissione nazionale Valutazione Film
come “sconsigliato, non utilizzabile, scabroso” per via di un “copione
che indulge in qualche compiacimento che può risultare eccessivo” e
perché - parafrasando De niro - “non credo che il film possa
contribuire alla discussione”. libero il distributore di far circolare il
film in Italia, liberi i cittadini di vederlo, libero di
esprimersi l’organismo che per la CEI valuta i film in vista della
proiezione nelle sale parrocchiali. anche qui un caso di responsabilità
davanti ad una comunità: chi si riconosce nella chiesa, trova un
riferimento fondato. Inscrivere questi casi nel falso binomio censuralimitazione della libertà è improduttivo: spacca solo legna buona da
ardere sotto le pentole degli uffici stampa. Si trovano semmai spunti
per riflettere sulla responsabilità di coloro che si occupano di processi
culturali, nel far crescere la capacità critica in dialogo con la propria
comunità di riferimento e nell’offerta costruttiva, a chi la pensa
diversamente, delle proprie ragioni.
Via aurelia, 468 - 00165 roma
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Iniziativa realizzata con il contributo della
Direzione Generale Cinema - Ministero dei
beni e delle attività Culturali e del Turismo
la testata fruisce dei contributi statali
diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250
aprile 2016
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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in collaborazione con
LA BUSSOLA DEL CINEMA
Come girare film in Italia
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sommario
Aprile 2016
8 In vetrina
In ricordo di Scola e Mastroianni: così
al Bif&st li avevamo tanto amati
12 Brividi di genere
Sam Raimi torna a Casa e crea il
serial: Ash vs Evil Dead
14 Capolavori di carta
Le grandi sceneggiature: La
conversazione di Coppola è sempre
attuale. Conferma Snowden di Stone
16 Cile d’autore
Il Neruda di Larraín e la dittatura
Pinochet in Colonia Dignidad di
Florian Gallenberger
19 Cover story
Accordi e raccordi
Dal country al rap: tendenze,
ribellioni e ripercussioni di un secolo
di musica. Riletti attraverso il cinema,
i grandi autori e i fenomeni di massa
20 Strade perdute 24 Innocenti
evasioni? 28 Il visionario del jazz
32 Like a Rolling Stone 36 No Future
41 Dal glam al grunge 44 Il Club
dei 27 48 Rappami o diva
24
il lato
oscuro
dell’utoPia
51 La questione sportiva
51
16
Football, baseball e basket. Miti e
leggende raccontati dalle opere USA:
non sempre in maniera adulatoria.
E ora è il turno di Zona d’ombra
54 ritratti
Gregory Peck
57 I film del mese
will
smith e
quelle
ultime
mete
neruda
di Pablo
larraín
Recensioni, anteprime, colpi di
fulmine
72 Dvd, Blu-ray & serie tv
Revenant e Il ponte delle spie. Il caso
O.J. Simpson e 22.11.63
78 Borsa del cinema
Audiovisivo italiano: quale riforma in
arrivo?
80 Libri
14
76
snowden
di oliver
stone
james
franco
in 22.11.63
Tra 007 e Gabriele Ferzetti, Gian
Luigi Rondi si racconta
82 Colonne sonore
Mistress America e in cinque per un
David
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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a cura di Gianluca arnone
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
li avevamo
tanto amati
Il Bif&st 2016 nel nome di Ettore
Scola e Marcello Mastroianni. Ecco
tutte le iniziative
8
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
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i
l programma del Bif&st 2016 – dal 2 al 9
aprile a Bari - è stato seguito e curato da
Ettore Scola fino a pochi giorni prima della
sua morte. Perciò il maestro sarà, anche
per questa edizione, il Presidente del Festival
che lo ha visto per sei anni (accolse l’incarico nel
giugno 2010) attivissimo animatore e
protagonista della manifestazione ideata e
diretta da Felice Laudadio. Uno dei temi centrali
del pro ssimo Bif&st sarà proprio ScolaMastroianni 9. C’eravamo tanto amati: il regista
ha diretto più di chiunque altro l’attore
scomparso 20 anni fa: ben 9 film di
lungometraggio, più un film a episodi, tutti in
programma a Bari. Viene inoltre istituito il
Premio Ettore Scola per il miglior regista di
opera prima o seconda assegnato, insieme al
Premio Gabriele Ferzetti per il migliore attore e
al Premio Marian gela Melato per la migliore
attrice, dalla giuria del pubblico presieduta da
un giornalista. A Scola sono dedicati inoltre otto
incontri pomeridiani, uno al giorno, condotti da
Jean Gili con la partecipazione della famiglia, di
amici, colleghi, produttori e studiosi. Marcello
Mastroianni avrà, all’interno del Bif&st, un
festival tutto suo organizzato in partnership
con la Fondazione Centro Sperimentale di
C inematografia-Cineteca Nazionale, con la
collaborazione di RAI Teche e Istituto Luce
Cinecittà. Comprenderà oltre 50 film e una
gran quantità di materiali di documentazione,
oltre a tre laboratori di formazione sul mestiere
dell’attore promossi dalla Scuola di Cinema
Gian Maria Volonté e dalla Cooperativa Artisti
7607. Per parlare del talento di Mastroianni
saranno presenti al Teatro Petruzzelli, dopo la
p roiezione dei film in cui lo hanno diretto, i
registi Francesca Archibugi, Marco Bellocchio,
Liliana Cavani, Roberto Faenza, Paolo e
Vittorio Taviani, Luciano Tovoli. Nel nome di
Mastroianni il Bif&st 2016 ha invitato inoltre a
Bari alcuni protagonisti del cinema di grande
talento e notorietà – fra i quali Paolo Virzì, Toni
Servillo, Jacques Perrin – che alle 18
dialogheranno al Petruzzelli con un regista
italiano dopo la presentazione pomeridiana,
alle 16, di un loro film. A Toni Servillo verrà
conferito il Federico Fellini Platinum Award for
Cinematic Excellence, che riproduce il celebre
profilo felliniano disegnato da Scola.
J
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rivista del cinematografo
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inVetrinaNews
Che succede in città? Eventi speciali, digitali,
on stage e live: tutto quello che non puoi e non devi perdere
il cartellone
Ascensore per il patibolo
Dal 4 aprile torna in
sala, restaurato,
l’indimenticabile
esordio di Louis Malle
alla regia. Con Jeanne
Moreau mozzafiato,
dark lady dallo
sguardo inquieto.
Quando Hitchcock
incontrò Truffaut
In sala l’intervista che divenne un’imperdibile
lezione di cinema
Don Chisciotte
L’eccellenza del Bolshoi
incontra l’acclamata
messa in scena di una
performance esaltante,
accompagnata dalla
famosa partitura di
Minkus. In sala il 10
aprile.
San Pietro e le Basiliche Papali di Roma 3D
Inedito tour 3D nei
segreti di San Pietro,
San Giovanni, Santa
Maria Maggiore e San
Paolo Fuori le Mura,
grazie a riprese mai
realizzate prima. 11-13
aprile.
Amleto
Nel 400° anniversario
della morte di
Shakespeare, arriva
nelle sale italiane (1920 aprile) lo
spettacolo dei record.
Benedict Cumberbatch
nel ruolo principale.
Leonardo Da Vinci - Il genio a Milano
Dopo la mostra a
Palazzo Reale, ecco il
doc che ripercorre il
soggiorno milanese, le
opere e le leggende
sull’artista più
ammirato di tutti i
tempi. 2-4 maggio.
10
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
È il 13 agosto 1962
quando François
Truffaut e Alfred
Hitchcock si siedono
l’uno di fronte
all’altro per una
lunga intervista.
Accompagnati
dall’interprete Helen
Scott, staranno
insieme una
settimana intera,
durante la quale il
grande autore
britannico
condividerà con il
giovane ammiratore i
segreti del suo
cinema. Da
quell’incontro
nascono un’amicizia
che dura per 20 anni
e il volume Il cinema
secondo Hitchcock,
che il regista
francese amava
chiamare
“Hitchbook”.
Divenne il libro da
leggere per gli
addetti ai lavori di
tutto il mondo e
ancora oggi ha lo
stesso valore di
allora. Le
conversazioni tra i
due, infatti,
cambiarono
profondamente la
critica nei confronti
dell’opera di
Hitchcock e
destarono scandalo
perché lo stesso
concetto di “cinema”
venne totalmente
sconvolto. Oggi
quell’incontro, la più
grande lezione di
cinema di tutti i
tempi, arriva nelle
sale italiane con
Hitchcock/Truffaut
di Kent Jones,
distribuito da
Cinema e Nexo
Digital il 4, 5 e 6
aprile.
La visione singolare
di Hitchcock,
mostrata grazie ad
estratti dei suoi film,
alle registrazio ni
originali
dell’intervista, alle
fotografie del tempo,
alle lettere che i due
si scambiarono, verrà
rievocata e
commentata da
alcuni dei più grandi
registi di oggi, da
Martin Scorsese a
David Fincher, da
Wes Anderson a
Peter Bogdanovich.
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brividi di genere
I FestIvAL
a cura di Massimo Monteleone
Agenda del mese:
gli appuntamenti da
non perdere
1
MIDDLe eAst NoW
Località Firenze, Italia
Periodo 5-10 aprile
tel. 3337840736
Web middleastnow.it
Mail [email protected]
resp. Lisa Chiari, Roberto
Ruta
2
reNDeZ-voUs –
APPUNtAMeNto CoN IL
NUovo CINeMA FrANCese
Località Roma, Italia
Periodo 6-10 aprile
tel. (06) 68601203
Web rendezvouscinema
francese.it
Mail muriel.peretti@diplomatie
.gouv.fr
resp. Vanessa Tonnini,
Dragoslav Zachariev
FILM FestIvAL
3 IMAGINe
Località Amsterdam, Paesi
Bassi
Periodo 14-24 aprile
tel. (0031-20) 6794875
Web imaginefilmfestival.nl
Mail [email protected]
resp. Chris Oosterom
4
FAr eAst FILM
FestIvAL
Località Udine, Italia
Periodo 22-30 aprile
tel. (0432) 299545
ToRNA A casa, SAM!
Raimi ripropone il suo cult come serie tv: ash vs evil dead
di Giuseppe Gariazzo
SAM RAIMI è tornato alle origini del suo cinema. Al film e
al personaggio che lo resero
un regista cult e un autore
capace di inventare nuove
strade horror in un decennio
memorabile per quel genere,
gli anni Ottanta. Un film, La
casa (Evil Dead), e un personaggio, Ash Williams (interpretato da Bruce Campbell),
che apparvero sugli schermi
nel 1981 e che furono sviluppati poi da Raimi nei due capitoli successivi La casa 2
(1987) e L’armata delle tenebre (1992), creando così la
celebre trilogia grondante
sangue e umorismo, terrore
e trionfo di dettagli splatter.
A oltre trent’anni da quel
gioiello, e dopo avere esplorato sempre con punto di vista personale altri generi
(western, noir, dramma sentimentale, fantasy) e realizzato un’altra trilogia di alto livello (quella di Spider-Man),
Raimi ha deciso che era tempo di far vivere a Ash altre
avventure. Ma con una serie
televisiva. Ecco quindi Ash vs
Evil Dead, titolo che sintetizza perfettamente il legame
con la trilogia filmica e che
assume anche senso teorico,
evidenziando un ulteriore lavoro di scavo nella memoria
del suo cinema. La prima stagione, del 2015-2016, vede
Ash costretto a ri-affrontare i
propri lati oscuri quando il
Male minaccia l’umanità con
l’obiettivo di distruggerla.
Ideatore della serie con il fratello Ivan e Tom Spezialy,
Raimi ha diretto il primo episodio, El Jefe. Ma sta già
guardando oltre per introdurre nella sua filmografia un
n u ovo g e n e re, q u e l l o d i
guerra, contaminato con fantascienza e azione. Prossima
tappa: World War 3.
LA CAsA 2
DrUG Me to heLL
Gli imperdibili
LA CAsA
(1981)
Visionario
horror
artigianale. Ed
è subito cult.
12
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
(1987)
Raimi sfrenato
fra horror,
cartoon,
humour nero.
(2009)
La crisi
finanziaria
filtrata da un
horror infernale.
Web fareastfilm.com
Mail [email protected]
resp. Sabrina Baracetti
DU reeL 5 vIsIoNs
FestIvAL
INterNAtIoNAL De CINeMA
Località Nyon, Svizzera
Periodo 15-23 aprile
tel. (0041-22) 3654455
Web visionsdureel.ch
Mail [email protected]
resp. Luciano Barisone
6
FestIvAL DeL CINeMA
eUroPeo
Località Lecce, Italia
Periodo 18-23 aprile
tel. (0832) 093331
Web festivaldelcinema
europeo.com
Mail info@festivaldelcinema
europeo.com
resp. Alberto La Monica,
Cristina Soldano
FILM FestIvAL
7 treNto
Località Trento, Italia
Periodo 28 aprile - 8 maggio
tel. (0461) 986120
Web trentofestival.it
Mail [email protected]
resp. Luana Bisesti
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capolavoridicarta
tFF 33
Dietro ogni grande film c’è una magnifica sceneggiatura
Abuso di potere: da
snowden di oliver
Stone a la
conversazione di
Francis Ford Coppola,
il lupo perde il pelo
ma non il vizio
(di spiare)
a volte
ritornano
di Guido Rovatti
14
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
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SNOWDEN,
nuovo e
attesissimo film - scritto e diretto
da Oliver Stone – biopic su
Edward Snowden, informatico
della NSA che ha diffuso
informazioni riservate sulle
attività di intercettazione e
controllo dei cittadini americani
(e non) da parte delle agenzie di
intelligence statunitensi - prende
ispirazione da due libri (The
Snowden Files: The Inside Story
of the World’s Most Wanted Man
e Time of the Octopus).
Il dibatt ito sulla condotta di
Snowden e su dove - più in
generale - debba essere
collocato il confine tra privacy
(diritto) e difesa (sicurezza
nazionale) è aperto da molto
tempo. Già negli anni ‘70 infatti
(nonostante le tecniche e le
attività di intercettazione
utilizzate non fossero
minimamente paragonabili a
quelle di oggi) uno dei maggiori
cineasti della storia del cinema
americano - F.F. Coppola - decide
di produ rre, scrivere e dirigere un
film altamente correlato a questo
tema. La conversazione (1974) è
uno spaccato dell’America
nixoniana degli anni ’70 nella
quale la reazione conservatrice
(e paranoica) alla contestazione
si esprime anche con l’affermarsi
del mito della Sicurezza
(attraverso il dispiegamento di
nuove tecnologie di
sorveglianza). Film intriso di
metacinema, manifesta allo
stesso tempo la potenza del
“m ezzo” ed il suo limite nel
comprendere la realtà; puntando
il dito (o meglio, “l’occhio” e
“l’orecchio”) non sulle tecnologie
ma sul loro utilizzo. Nella storia,
Harry Caul (Gene Hackman) è un
professionista delle
intercettazioni (cattolico,
misantropo e paranoico) che
viene incaricato di spiare una
coppia. Ricostruendo e
riascoltando la registrazione si
convince che i due sono in
pericolo di vita e nel tentat ivo di
prevenire il peggio confonde
vittime e carnefici finendo a sua
volta spiato. Di seguito, la
struttura della storia scomposta
col modello dei 5 punti chiave:
Gene Hackman
nella
Conversazione.
Sotto Francis Ford
Coppola
Spaccato
dell’America
nixoniana in cui
la reazione
conservatrice (e
paranoica) alla
contestazione si
esprime anche
con l’affermarsi
del mito della
sicurezza
I Atto
Incidente scatenante:
Il team di professionisti -
incaricato da un cliente privato intercetta e registra la
conversazione della coppia
bersaglio.
Lock-In (snodo critico):
Harry Caul, ricostruendo
faticosamente la registrazione,
ascolta il passaggio critico: “Ci
ammazza se gliene diamo
l’occasione”. Si ritrova
intrappolato in una cosa più
grande.
II Atto
Primo punto culminante:
Dopo aver rimandato la
consegna della registrazione
scopre di essere pedinato.
Nonostante tutte le sue
precauzioni (ai limiti della
paranoia) la registrazione gli
viene rubata.
Punto culminante principale:
Caul conosce di persona il
committente
dell’intercettazione: è il marito
della donna.
III Atto
svolta dell’ultimo atto:
Caul decide di entrare in azione,
convinto che la donna e il suo
presunto amante siano in
pericolo di vita. Non riesce ad
evitare il morto, ma con
scioccante sorpresa scopre che i
due amanti (sapendo di essere
stati intercettati) hanno
escogitato la trappola per
attirare ed uccidere il marito di
lei: a morire è il marito e non la
coppia. Caul da spione finisce
con l’essere minacciato e spiato
a sua volta.
Curiosità:
Prima che Walter Murch creasse
apposta per questo film la
quantità di riverberi e vibrazioni
che caratterizzano le fasi
dell’intercettazione, nel mondo
del cinema non esisteva la
qualifica di “sound designer”.
aprile 2016
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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anteprima
Pablo Larraín
rievoca gli
anni di neruda.
Gallenberger
le torture della
dittatura
Pinochet con
colonia
dignidad
di Angela Bosetto
16
rivista del cinematografo
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aprile 2016
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IL CILE DELLA
VERGoGNA
IL CINeMA è NAto come forma di intrattenimento, ma la sua funzione istruttiva (dall’affrontare argomenti difficili al mantenere viva
la memoria di fatti storici che non devono essere dimenticati) rimane innegabile. Ecco perché chi ne ama tale valenza farebbe bene a
segnare sull’agenda il 26 maggio, data in cui
usciranno nelle nostre sale ben due film ambientati negli anni bui del Cile: Colonia Dignidad di Florian Gallenberger e Neruda di Pablo
Larraín.
Il primo (collocato a ridosso del golpe del
1973 e presentato a Berlino) segue l’odissea
della giovane Lena (Emma Watson), che, per
ritrovare il marito (Daniel Brühl) arrestato dalla polizia segreta di Pinochet, varca la soglia
del luogo che dà il titolo al film, all’apparenza
una comune agricola guidata dal predicatore
laico Paul Schäfer (Michael Nyqvist), in realtà
centro di tortura blindato al servizio del regime. La storia del villaggio è purtroppo vera,
senza contare che lo stesso Schäfer, ex nazista e pedofilo, mise la colonia a disposizione
dei propri commilitoni esuli, fra cui il famige-
rato dottor Mengele.
D’altro canto, la capacità di analizzare l’animo
della società cilena sotto Pinochet ha fatto la
fortuna critica di Larraín (Tony Manero, Post
Mortem, No – I giorni dell’arcobaleno), ma stavolta uno dei registi più bravi e coraggiosi del
Sudamerica ha deciso di affrontare un periodo precedente la dittatura: la seconda metà
degli anni quaranta, epoca dello scontro tra il
politico Gabriel González Videla (futuro alleato del Generalissimo, che represse gli scioperi
nella violenza) e il comunista Pablo Neruda.
oltre al suo attore prediletto Alfredo Castro
(Videla), Larraín ha voluto i due protagonisti
del fortunato No, ossia Luis Gnecco e Gael
García Bernal, nei rispettivi panni di Neruda e
di oscar Peluchoneau, l’ispettore incaricato di
dare la caccia al poeta ribelle. Considerando
la tematica e i nomi coinvolti (la sceneggiatura è di Guillermo Calderón, penna de Il club),
è assai probabile il passaggio a Cannes.
Gael García Bernal in Neruda di Larraín. A sinistra
Emma Watson e Daniel Brühl in Colonia Dignidad
IL GRANDE RITORNO DEL PROTAGONISTA DI “QUASI AMICI”
SANDRO PARENZO PRESENTA
“UN FILM DELIZIOSO”
LE PARISIEN
“UN INCREDIBILE OMAR SY”
L’EXPRESS
CONCEPT BY
PHOTOS: JULIAN TORRES
OMAR SY JAMES THIERRÉE
LA STORIA VERA DEL PRIMO ARTISTA NERO
DAL 7 APRILE AL CINEMA
IN COLLABORAZIONE CON
mymovies.it/misterchocolat
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cover storY
EFFETTO
SONORO
Il secolo
breve della
musica. Gli
autori, i brani
e gli ideali
che hanno
segnato il
‘900. Visti dal
cinema
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cover storY le origini
Solo in un caso film e canzoni appaiono
contemporanei: con il country. Pensi a lui e
vedi il western, immagine acusmatica di una
Nazione sempre meno confusa con il Mito
di Gianluca Arnone
a quali distanze il cinema guarda alla musica? I suoi tentativi di rendere
fisicamente coinvolgente l’esperienza di visione sono sempre più fantasiosi (occhiali, sensori, poltrone
semoventi) e sempre meno efficaci.
Lo schermo resta un mondo al di là
di una finestra chiusa. Nulla a che vedere con la
forza sciamanica del live, il rintocco dei bassi che
pompano nelle vene dell’ascoltatore, la con-di-visione dell’evento “dal vivo”. Il fatto è che il cinema
resta esperienza socialmente solitaria, privata e oltremodo individualista. La musica invece trascina
fuori da sé, crea mescolanza, raduni, piste da ballo.
C’è una koinè di ascoltatori che non si esaurisce
necessariamente con la cricca dei fan. Ha semmai
vocazione trasversale, sposa un sound e, anche,
un modo di essere. C’è una simile koinè al cinema,
dove non esistono due cinefili con gli stessi gusti
cinematografici? Attenzione, non si sta dicendo
che il cinema non cambia la vita. L’ha cambiata a
molti di noi. Ci sono film del cuore che sono vere e
proprie esperienze maieutiche. E certamente ci
sono mode traghettate dal cinema e movimenti
cinematografici di ispirazione politica (i russi sono
stati i maestri, la lezione però l’ha impartita Hollywood), ma quello che ancora non si è visto è
STRADE
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PERDUTE
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cover storY le origini
qualche agit-prop uscire da una sala cinematografica, fondare un movimento e mettersi alla testa
di una generazione e dei suoi slogan per un mondo
migliore. E non è forse il canto l’espressione più alta
di una consonanza di intenti, la voce di tutti in una,
l’unità nel molteplice? Cos’è stato il gospel dentro le
lotte di rivendicazione degli afroamericani? E il rap
per quelli di qualche generazione più tardi? Cos’è
stato il folk negli anni della contestazione? Solo musica? Esiste qualcosa di analogo al cinema? Non
parrebbe. Semmai il cinema arriva sempre dopo, a
testimoniare, immortalare, rubare un po’ di quell’alito di vita che canzoni e canzonieri hanno soffiato
sulla Storia. Perché la musica è adesso, il cinema il
delay. Tranne che in un caso: il country americano.
Pensi al country e vedi il western. Come due mondi
leggendari, né passati né contemporanei, fissati
semmai in un presente astorico. Entrambi prodotti
della massiccia e variegata immigrazione proveniente dalla vecchia Europa. Il country è nomen
omen il canto della nazione. Ma il western ne è la
narrazione, il corpo. Figure, mitologie e storie ribollono nel grande circolo acusmatico, dove le immagini del Far West hanno il suono delle melodie portate lì dai pionieri europei, mentre la polvere, i cavalli
e i cowboy perdurano nelle canzoni. Certo, il country diventa discografico, popolare, un momento dopo la fine dell’epopea del west, ma i cavalieri, le
donne, l’arme e gli amori sono già pronti a diventare
memoriale in musica e testamento per immagini.
Certe strade poi si ripercorrono: il passaggio della
Frontiera traslittera nel viaggio on the road, come
quello intrapreso dall’Honkytonk Man di Eastwood,
eteronimo del grande Hank Williams che il cinema
resuscita quest’anno con I Saw the Light (Tom
Hiddlestone è il grande countryman). E quando
Joaquin Phoenix e Reese
Witherspoon: Quando
l'amore brucia l'anima. A
fianco e in alto a sinistra
Tom Hiddlestone nei panni
di Hank Williams in I Saw
the Light. In alto a destra
Jackie & Ryan
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Johnny Cash deciderà di calcare le scene lo farà in
un western, A Gunfight, (Quattro tocchi di campana), al fianco di Kirk Douglas, sulle orme di altri
“cowboy singer” che negli Anni Trenta erano diventati attori - da Ken Maynard a Gene Autry, da Roy
Rogers a Woodward “Tex” Ritter, per non dire dell’immenso Woody Guthrie. Western è il galoppare
solenne di “I Walk The Line”, esempio massimo del
suo irresistibile boom-chicka-boom sonico; western
è il movimento circolare di “Ring of Fire”, come il lazo lanciato al collo dell’animale. Walk the Line
(Quando l’amore brucia l’anima) è invece la celebrazione di Cash al cinema, intensamente mélo, in rima
con la passione che lo consumò per June Carter, al-
I TEMPI IN CUI "My DARLING
CLEMENTINE" SI SALDAVA CON
LA PARTITURA PER IMMAGINI
DI FORD SONO LONTANI
tro nome che sembra pescato dal mazzo delle eroine di Frontiera. Lei morì a Nashville là dove Robert
Altman ha catturato la fine del mito e l’agonia di un
paese ormai ripiegato su stesso. E in fondo questo
connubio tra country music e cinema non può che
continuare nel lutto, nella nostalgia e nel rimpianto.
Quel mondo che cantano, quella grande epopea
americana, è diventato folklore. Il western si fa crepuscolare, la country-music intimista. Certe ballate
di Micah P. Hinson, tra le voci folk più autentiche di
oggi, sembrano “mormorate” dalla veranda di una
casa colonica con affaccio sul nulla. Gli assoli di chitarra defluiscono e si spengono nell’orchestrale dolente degli archi, a riecheggiare la dissolvenza in blu
di un mondo perduto. I tempi in cui “My Darling Clementine” si saldava armonicamente con la partitura
per immagini di Ford (nel suo Sfida infernale) sono
lontani. Il suono, le voci, i balli e i canti di quella comunità di cowboy, metodisti e donne di malaffare
sono come un’eco lontana, un miraggio nel deserto.
In uno dei film americani più belli degli ultimi anni,
l’inedito Jackie & Ryan, il country tiene insieme una
micro-comunità in cui le camicie di flanella hanno
sostituito stivaloni e gilet, e i pub sono gli eredi dei
vecchi saloon. La diaspora sociale costringe al randagismo musicale sfortunati cantori d’America, i
folksinger, che vagabondeggiano senza meta alla
maniera di Dylan, con le scarpe rotte, i polpastrelli
consumati e la chitarra in spalla. L’abbraccio con la
comunità, quando c’è, è momentaneo (come accade ai due protagonisti della storia). L’eldorado è di
là, sempre di là, ma non è più l’Altrove sconosciuto
di avventurieri e padri fondatori. La terra delle opportunità è piccola come uno studio di registrazione. Lo spirito americano declina nell’anima del commercio.
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cover storY il disimpegno
iNNoceNti
evasioNi?
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Formidabile arma di
dissuasione di massa, il
pop ha attraversato guerre,
crisi e contestazioni
coltivando generazioni di
americani. Gli stessi che
oggi ascoltano Bieber e
votano Trump
di Alessandro De Simone
Madonna, qui sotto Paul Dano in Love &
Mercy e a sinistra Elvis Presley
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cover storY il disimpegno
Buggles erano inglesi, ma Trevor Horn e
Geoff Downes avevano ragione da vendere sul fatto che la televisione avrebbe ucciso le stelle della radio. Così è stato, e tutto
partì dal Nuovo Mondo, già negli anni Cinquanta, con un ragazzotto di provincia che
agitava il bacino con una chitarra a tracolla. Elvis era il suo nome, e del rock il Re divenne,
anche se la leggenda vuole che la “Mossa” gliela
insegnò un bambino della contea di Greenbow
con la schiena più contorta della lingua di un politico. Magari non andò proprio così, ma anche questo fa parte della cultura Pop propria del tessuto
americano. Non a caso Elvis divenne una delle icone dell’arte di Andy Warhol, che nella sua Factory
negli anni Sessanta costruì l’immaginario nuovo di
un paese in disfacimento. Nel suo loft newyorkese
si faceva il futuro, quello che ha ispirato e ancora
oggi ispira musicisti, cineasti e artisti di ogni sorta.
Ma il pop, in quanto movimento popolare, nasce
per la massa dentro la scatola magica, arma di
dissuasione di massa che venne usata negli anni
Sessanta dai discografici per distogliere i giovani
dalla radio, dove i barbari invasori da Albione la facevano da padroni. Difficile contrastare i Beatles e
i Rolling Stone, ma ci si provò, soprattutto per non
far pensare a quello che succedeva in un paese
lontano chiamato Viet-fottuto-Nam. Nacque così il
Bubblegum Pop, con gruppi che scoppiavano come un palloncino di chewingomma. Una truffa con
destrezza nata da alcuni produttori illuminati, che
crearono veri gruppi falsi, come i Bananasplit, gli
Archies, le Josie and the Pussycats, tutti protagonisti di show a cartoni animati, e finte band reali,
come i Monkees, quattro ragazzi messi di fronte a
una camera per vivere un Grande Fratello che ricalcasse ogni settimana le trame di Help e Hard
Day’s Night, senza però Richard Lester a dirigere.
Poi c’erano gli strani intrecci, come la serie cult La
Famiglia Partridge che era ispirata ai veri Cowsills,
o quella animata dei Jackson 5, veicolo delle loro
hit, già cantate da un Michael sovrannaturale.
Tutto questo faceva molto West Coast, dove oltretutto avevano base i Beach Boys, gli unici veri
Beatles americani, grazie al genio di Brian Wilson.
Pet Sounds è un capolavoro insuperato, disco dalle sonorità straordinarie, la cui creazione viene
raccontata nell’ottimo Love & Mercy (leggi la recensione a pagina 58), in cui Paul Dano e John
Cusack interpretano il leader dei Beach Boys in
giovane e mezza età. I Beach Boys erano i finti
bravi ragazzi degli anni Sessanta, in realtà le loro
canzoni anticipavano il Free Love e parlavano di
viaggi psichedelici su una tavola da surf. Senza di
loro non avremmo avuto Un mercoledì da leoni e il
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TUTTO PARTì DAL
NUOVO MONDO,
NEGLI ANNI
CINQUANTA, CON
UN RAGAZZOTTO
DI PROVINCIA
CHE AGITAVA IL
BACINO CON
UNA CHITARRA
A TRACOLLA:
ELVIS
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movimento skater, e di conseguenza quel gran
film di Lords of Dogtown. Sull’altro Oceano, New
york generava Nico e i Velvet Underground, pop
inscatolato in una Campbell Soup pronta a sommergere l’Europa quasi orfana dei Fab Four. Senza
la “Banana” e senza i Beatles, non ci sarebbe stata
la musica a venire. Il Pop resta legato a uno schermo, solo più grande. Gli anni Settanta e Ottanta
sono caratterizzati dai musical di successo e dalla
colonna sonora dell’edonismo reaganiano. Giorgio
Moroder fu il Mozart degli ‘80s, da Top Gun a Flashdance, mentre dal cinema alla tv la fanno da padrone i ragazzi del corpo elettrico, quelli che alla
fine (non) Saranno Famosi, ma che hanno generato fenomeni popolari come i talent show e i programmi per talenti in erba targati Disney.
Christina Aguilera, Britney Spears, Miley Cyrus, le
ragazzine terribili degli anni 2000, già cadute prima ancora di essere regine, arrivano tutte dalla
Mickey Mouse Mansion. Prendono lezioni dall’unica grande regina del pop, Miss Madonna Louise
Veronica Ciccone, quella ragazza “cercata disperatamente” da Warhol stesso e di cui a modo suo ha
raccolto il testimone. Artista crossmediale, tra Marina Abramovic e Marshall McLuhan, ha vinto un
Oscar e cantato per James Bond. Senza di lei
Lady Gaga sarebbe il bislacco fenomeno da baraccone di un’American Horror Story che potrebbe finire tragicamente, con Justin Bieber che intona l’inno nazionale in mutande firmate all’insediamento di Donald Trump, il presidente da riporto
dei Newnited States of Kardashian.
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Donald Trump. A
sinistra dall'alto
Michael Jackson, i
Beatles e Justin
Bieber
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cover storY kind of mood
IL
VISIONARIO
DEL
JAZZ
Aggressivo, introverso,
follemente innamorato della
moglie: Miles Davis nella biografia
libera e impressionante di
Don Cheadle
di Silvio Danese
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un mood, una dispersione
di congetture, una triste
vaghezza, ma che cosa importa sapere se c’era l’intenzione o meno di fare
“monologo interiore” nella
celebre camminata di
Jeanne Moreau uscita dal bar a cercare
Julien su quel cadenzato di tromba, su
quel soffiato senza vibrato, su quell’imboccatura magica inventata come un
fiato d’anima - ed è bene ricordare che
nell’unica session notturna per la colonna di Ascensore per il patibolo Louis
Malle proiettava le sequenze e Miles Davis improvvisava (si fa per dire, improvvisazione, la questione è più complessa)? Però c’è del vero quando Franco La
Polla, in un bel saggio su cinema&jazz
È
Don Cheadle in Miles Ahead. Sopra
Jeanne Moreau in Ascensore per il
patibolo di Louis Malle
per un festival di Locarno, ricordando la
coetanea avventura della settima arte e
della rottura nella musica popolare tonale a New Orleans intorno al ‘95 (del XIX
secolo) richiama il “flusso di coscienza”
di Virginia Woolf e James Joyce nella
frattura delle convenzioni sociali come
improvvisazione, frammentazione della
costruzione logica, eccetera. Viaggio intrecciato a più livelli quello tra il jazz e il
cinema, nella fusione della musica nelle
immagini, nella documentazione storica,
nella biografia dei musicisti, sostanzialmente, a livello formale, in un’immediatezza di “ritmo” spesso evidente, nella
tematizzazione del “disagio della civiltà”
e nella decostruzione analogica delle
narrazioni (ancora La Polla ricordava il
montaggio di Altman e Cassavetes). Da-
vis è stato riprodotto frequentemente al
cinema, ma non furono frequenti i suoi
interventi d’autore, tra Malle (per una
nuova collaborazione le pretese di Davis
furono inaccettabili) e la colonna per il
doc sul pugile Jack Johnson (la boxe,
seconda passione di Miles), e meno rari
negli anni ‘80, alla ripresa dopo l’oblio a
metà ‘70 (Hot spot, Siesta).
Ora, non solo un disco memorabile, Miles Ahead è anche il titolo di un film, un
intenso, informato (col contributo della
famiglia) tentativo di biografia libera,
applaudito a Berlino e in uscita ad aprile negli Usa, diretto e interpretato da
Don Cheadle, esordiente alla regia che
oltre a somigliargli fisicamente nel ten-
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“SE VUOI SAPERE QUALCOSA DI ME,
ASCOLTA LA MIA MUSICA” ERA
L'IMPERATIVO PER I SECCATORI
per aggressività, intelligenza, introversione e imprevedibilità. Quando tocca
la tromba, nei flashback in cui si riprendono registrazioni memorabili, l’arresto
razzista o l’amore incontrollato per la
moglie ballerina Frances, l’editing funziona e la carne vive. Costretto a uscire
dalla tana di New york da un giornalista
(Ewan McGregor), Miles subisce il furto
di una nuova bobina per ritrovare la
quale impugna la pistola (e lo faceva
veramente), minaccia, insegue, soffre,
ricorda, incontrando il giovane, geniale
trombettista Junior, un alter ego dal
passato.
Non è difficile, tra i vari piani temporali,
vedere in quel tape, nell’investimento di
rinascita, un riferimento, pur spostato di
data, alla (terza) rivoluzione di Davis in
“Bitches Brew” (in realtà inciso alcuni
anni prima, nel 1970), con la fusion jazzrock, la dissoluzione della forma, la post
produzione sonora. “Se vuoi sapere
qualcosa di me, ascolta la mia musica”
era l’imperativo per i giornalisti seccatori. Quando parte la storia Davis aveva
quasi perso l’imboccatura e la crisi è
giustamente il momento più fruttuoso
per ‘ascoltare’ Miles, per correre su e
giù nella vita, dall’incontro con Charlie
Parker a “Kind of Blue” a “Sketches of
Spain” a “In a silent way”.
Formalmente siamo in piena fusion cinema-jazz: come la sua musica, la struttura del racconto è “modale” (svincolo
delle attrazioni tonali degli accordi, insomma fine della continuità armonica),
una delle sue scoperte: “Kind of Blue” è
il primo album modale nella storia del
jazz. Sette anni di promesse e rifiuti per
produrlo. Grazie Cheadle.
J
Miles Davis e sotto ancora Don Cheadle nel
biopic da lui diretto e interpretato
tativo di allinearsi alla personalità conscia e inconscia, fu un fan dall’età di
dieci anni. Sapendo bene che quando
Davis componeva e suonava “neanche
il cielo è un limite”, per dire la verità sulla sua vita il colonnello blockbuster di
Iron Man e The Avengers prende la
strada giusta: meglio inventare, creare,
svisare sui fatti e fissa il centro della
biografia nel momento più crudo, dispersivo fino all’immobilismo da droga
e alcol, tra il ‘75 e l’80. Diciamo subito
che in alcuni momenti il Davis di
Cheadle è un’ipotesi impressionante,
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cover storY scariche elettriche
LIKE A
ROLLING
STONE
Che cos’hanno in comune Mick Jagger
e Bob Dylan? Facile: Scorsese. Da shine a
light a no direction home, la camera
con vista rock di Martin
di Federico Pontiggia
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cover storY scariche elettriche
Stones da Martin. Già supervisor, montatore e assistente alla regia - con la
sodale Thelma Schoonmaker - al celeberrimo Woodstock: tre giorni di pace,
amore, e musica (1970), a riff e ugole
Scorsese ha dedicato anche quattro
documentari: L’ultimo valzer (1978),
The Blues: dal Mali al Mississippi
(2003), No Direction Home: Bob Dylan
(2005) e George Harrison: Living in
Waltz, uno dei concert movie migliori
di sempre, ed è indicazione valida per
tutto il corpus socrsesiano. Per quell’ultimo concerto di The Band, il 25 novembre 1976 al Winterland Ballroom di
San Francisco, al gruppo di Robbie
Robertson si unirono, tra gli altri, Eric
Clapton, Neil Diamond, Joni Mitchell,
Van Morrison, Ringo Starr, Muddy Waters, Ronnie Wood, Neil young. E Bob
Mick Jagger ha ironizzato: "Shine
a Light è l'unico film in cui Marty non
abbia usato Gimme Shelter"
NEW YoRk, 1973:
un produttore discografico intraprendente e cocainomane, Richie Finestra
(Bobby Cannavale), è disposto a tutto
pur di salvare la sua etichetta, l’American Century Records. Dietro la – bella
– serie tv Vinyl, prodotta da HBO, c’è
una coppia che più rock non si può:
Martin Scorsese, regista del magnifico
pilot, e Mick Jagger, il frontman dei
Rolling Stones. Mick ci ha messo pure
un figlio, James, già leader dei britannici Turbogeist, che interpreta Kip Stevens, il frontman dei Nasty Bits, la
punk band che dovrebbe salvare l’American Century. Tra New york Dolls e
Led Zeppelin, Vinyl canta il rock, stana
i sopraggiungenti punk, disco e hiphop, ritrae il taylorismo disinibito, trasgressivo e drogato dell’industria discografica. Il 1973 non è data qualsiasi:
Scorsese vi licenziò Mean Streets, sottotitolo italiano Domenica in chiesa, lunedì all’inferno. Ecco, Vinyl è il sabato
al concerto, e Martin nella sua lunga
carriera cine-musicale non se n’è perso uno, con un occhio di riguardo per i
“suoi” Stones. Mick Jagger ci ha perfino ironizzato: “Shine a Light è l’unico
film in cui Scorsese non abbia utilizzato Gimme Shelter”, e Shine a Light è
proprio il rockumentary dedicato agli
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the Material World (2011). In attesa,
forse vana, di poter dare fiato cinematografico a The Voice, il biopic di
Frank Sinatra (Leo Di Caprio?), Scorsese per ora fa Silence, ma la sua anima rock, tendenza punk, siamo certi
non si esaurirà: “This film should be
played loud!”, apriva (cartello) The Last
Dylan. Dopo gli Stones, è il menestrello di Duluth il compagno sonoro di
Martin. In No Direction si concentra sugli esordi di Dylan: dall’arrivo a Ny nel
1961 al temporaneo ritiro di cinque anni più tardi, da folksinger acustico a
rockstar elettrica, per intermezza –
adesione alla – protesta. Messo in piedi
James Jagger in Vinyl, in alto Cate Blanchett in I'm Not There. A sinistra in alto: Scorsese
con i Rolling Stones. Sotto Bob Dylan, Mick Jagger e keith Richards
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Bob Dylan in The
Last Waltz. Sotto
Bobby Cannavale
in Vinyl
su input del manager di Dylan Jeff Rosen, il rockumentary passa in rassegna
i tempi dell’high school, il provino per
Andy Warhol del 1965 e il concerto di
Manchester del 17 maggio ’66, quando
un fan gridò in faccia a Dylan e The
Hawks “Judas”, poco prima che eseguissero Like a Rolling Stone, da cui
viene il titolo No Direction Home. Soprattutto, Scorsese appoggia il proprio
genio ribelle a quello di Dylan, cogliendone “il folle volo” da voce di una generazione a Mr. Tambourine Man postideologico. In fondo, il menestrello al
cinema è solo qui, con e per Scorsese,
altrimenti è I’m Not There (2007) di
Todd Haynes. Non c’è lui, perché non
si tratta di un biopic musicale, e non ci
sono le canzoni più note, eccetto Like
a Rolling Stone confinata a ridosso dei
titoli di coda, addossata al primissimo
piano del vero Bob Dylan con armoni-
ca a bocca, l’unico del film. Haynes
di non-Dylan ne mette in scena sei:
Woody (Guthrie), afroamericano con
chitarra, on the road su carri bestiame;
il contestatore Arthur (Rimbaud), con
il volto di Ben Whishaw; Jack (Rollins),
interpretato da Christian Bale, che ha
lasciato il palco per l’altare; Robbie
(Heath Ledger), anni ’70, denaro, successo e una moglie lasciata a se stessa; Jude, la folgorante, metamorfica
Cate Blanchett, in bianco e nero psichedelico; Richard Gere alias Billy (the
Kid) nella città di Enigma, fantasmagorica polis minacciata dall’autostrada
della modernità. Sei personaggi in cerca d’autore, che fu attore – e che attore! - in Pat Garrett e Billy Kid di Sam
Peckinpah. Correva l’anno 1973, e le
Mean Streets scorsesiane avrebbero
trovato 32 anni dopo No Direction Home.
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cover storY punk!
La fashion designer
Vivienne
Westwood
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Nofu
ture
In principio furono i Sex Pistols e Vivienne Westwood,
ancor prima Patti Smith e Iggy Pop negli Usa,
ma la più arrabbiata di tutti è... la Regina Elisabetta!
di Emanuela Martini
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cover storY punk!
IL 26 NoVEMBRE
del 1976 uscì in Inghilterra il primo singolo dei Sex Pistols, Anarchy in the UK:
55.000 copie vendute, 38° nelle classifiche, cancellato dal listino Emi all’inizio
del 1977 per le proteste ricevute e la
conseguente scissione del contratto tra
la casa discografica e la band, passata
poi alla Virgin Records, che nel maggio
dello stesso anno pubblicò il secondo
singolo del gruppo, God Save the
Queen, secondo posto nella classifica
dell’anno (ma si è sempre sospettato
fosse al primo posto, mai ufficializzato
da radio e televisioni per non dare
troppa pubblicità ai Pistols e al pezzo
nel pieno del Silver Jubilee di Elisabetta II). Pochi mesi prima, durante l’estate, Londra era stata folgorata da due
concerti di artisti provenienti da oltreoceano: prima Patti Smith, poi i Ramones. E solo un mese prima, alla fine di
ottobre, era uscito New Rose, primo 45
giri del gruppo britannico dei Damned.
Ma l’impatto più dirompente fu, fin dal
titolo, quello di Anarchy in the UK, dichiarazione, in realtà, per nulla politica
ma molto esistenziale, fatta di anti-Cristi e “anarchisti”, di “destroy”, “cahos” e
“no future” (anche se, letteralmente,
questa espressione salta fuori nel successivo “sberleffo” God Save the
Queen). Il look dei Sex Pistols, poi, era
di quelli che dilagano immediatamente
nell’immaginario collettivo, pelle nera e
capelli ispidi e colorati, catene e spille
da balia, T-shirt che, stracciate ad arte,
divennero subito oggetti di desiderio,
da quella, celeberrima, con la scritta
DESTROy, a quelle talmente lise da parere tessute da una ragnatela. Dietro
quel look c’era una giovane signora
con i capelli gialli sparati intorno alla
testa, che aveva da poco cambiato il
nome (da “Too Fast To Live, Too young
Julian Temple, sopra
Patti Smith. A destra This is
England e Derek Jarman
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To Die” a “Sex”) del negozio-atelier al
430 di King’s Road che gestiva insieme
all’allora compagno cantante, manager
e discografico: lui era Malcolm McLaren, “inventore” dei Sex Pistols, la cui
astuta operazione di lancio e promozione è stata immortalata da Julien
Temple nel suo film d’esordio, La grande truffa del rock’n’roll (1980), e
vent’anni dopo riletta e ridimensionata
in Sex Pistols - Oscenità e furore; mentre lei, la grande, impareggiabile Vivienne Westwood, ha proseguito sulla
sua strada artistica, continuando a coniugare e rimescolare le carte della tradizione e della provocazione, com’è
nelle abitudini e nello spirito dei migliori creatori britannici (di moda, di musica, di cinema, di arte in genere).
Così accadde che fu il punk britannico
a dilagare internazionalmente, come
nuova propaggine del rock e come
controcultura nascente (spesso equivocata e semplificata), e che, quando si
è trattato di ufficializzare una data di
nascita del “movimento”, ci si è rifatti
proprio a quel 26 novembre 1976, che
ne indica in realtà solo l’esplosione mediatica e trascura il punk rock statunitense, che nacque invece alcuni anni
prima (ispirato dai gruppi e dagli interpreti “proto-punk”, garage rock e hard
rock, Patti Smith, Iggy Pop, i New york
Dolls) con la costituzione dei Ramones,
i Voidoids di Richard Hell, i Dead Boys.
Tutti gruppi che McLaren conosceva
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bene, perché tra il ‘73 e il ‘75 era stato
spesso a New york, e da là aveva tentato invano di trascinare a Londra Richard Hell per metterlo a capo di una
band di giovani che stava formando.
Anche il cinema punk nasce prima negli Stati Uniti, sulla East Coast degli indipendenti, dove nel 1976 Ivan Kral
(chitarrista di Iggy Pop, Blondie e Patti
Smith) e il regista Amos Poe filmano in
16 mm le esibizioni sul palco del CBGB
di molti artisti emergenti, che poi sonorizzano fuori synch, in esplicito omaggio agli insegnamenti godardiani: è The
Blank Generation, quasi un home movie che mostra dal vivo la nascita del
punk e il cui titolo (lo stesso di un brano di Hell e i Voidoids) diventa un vero
e proprio manifesto generazionale. Tre
anni dopo, nel 1979, sulla West Coast,
mentre una giovane regista e producer,
Penelope Spheeris, inizia a girare il primo dei tre film che dedica alla scena
punk di Los Angeles, The Decline of
Western Civilization (uscito nel 1981,
seguito da un altro film punk dell’autrice, Suburbia, del 1984, e poi nell’88 e
nel ‘98 dai due capitoli successivi), il
padre degli indipendenti, Roger Cor-
man, produce Rock’n’roll High School,
commedia musicale e demenziale diretta da Allan Arkush, nella quale gli
studenti di un liceo fanatici dei Ramones occupano la scuola e vengono raggiunti dai loro idoli. Corman, che è a
caccia di un film che rinverdisca i successi dei college-movies anni 60, afferra l’aria del tempo.
Nel frattempo, però, si è mosso qualcosa anche nel cinema inglese, dove uno
dei più visionari dei giovani autori
emergenti nella palude degli anni ‘70
realizza, nel 1977, il suo secondo film,
Jubilee, ritratto sconvolgente e
desolato di un’Inghilterra attanagliata
dalla crisi economica e dalla violenza,
ruotante (come molta della promozione dei Sex Pistols) intorno al simbolo
più permeante della cultura british, la
Regina Elisabetta (seconda e prima) e
percorso di simboli, nichilismo, icone
punk. Vivienne Westwood non gradì e
produsse una T-shirt con una poesia
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Sid Vicious, il
celebre frontman
dei Sex Pistols
storia del suo paese attraverso la musica, ed è ritornato
tre volte, tra il 1979 e il 2008,
sui Sex Pistols (La grande
truffa del rock’n’roll, Oscenità
e furore e There’ll Always Be
an England), mentre in The
Future Is Unwritten (2007)
ha tracciato il ritratto di Joe
Strummer, il leader dei Clash.
Temple, come Vivienne Westwood e come Derek Jarman, è un artista talmente radicato nella propria cultura
che, nel momento stesso in
cui si accinge, per delusione
e rabbia, a distruggerla, finisce per riscoprirne e recuperarne i sommersi significati
positivi, e la nostalgia si mescola con il furore, senza per
questo addolcirlo. Questo
elemento isolano ed eccentrico, insieme alla crisi economica attraversata negli anni ‘70
e all’avvento del durissimo
decennio Thatcher (una signora che, con il suo disprezzo, ha fatto un gran bene alle
arti), è forse una delle cause
dell’espansione a macchia
d’olio e della resistenza della
subcultura punk nel Regno
Unito: a differenza che negli
Stati Uniti, dove l’accento è
aperta all’autore, dove disapprovava la
rappresentazione dei punk; e tuttavia
Derek Jarman, non solo in Jubilee e nel
successivo The Last of England (1988)
ma anche nei suoi film di ambientazione storica, è stato forse l’autore che si
è avvicinato più profondamente allo
spirito punk, cogliendo bene quell’impasto di anarchia, malinconia, disperazione e provocazione che ha reso tanto
duratura e pervasiva l’estetica punk britannica, e che nel decennio 80 non solo dà origine a esplicite rievocazioni
come Rude Boy (1980) di Jack Hazan,
docu-fiction su un giovane fan dei Clash con molto footage dei concerti della
band, o la storia autodistruttiva di Sid
Vicious e Nancy Spungen, Sid & Nancy
(1986) di Alex Cox (bizzarro regista british trapiantato a Los Angeles, dove
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DEREK JARMAN È STATO FORSE
L'AUTORE CHE SI È AVVICINATO DI PIù
ALLO SPIRITO PUNK
aveva diretto nel 1984 Repo Man, punk
californiani più Ufo), ma attraversa
spesso i film di autori che non hanno
alcuna relazione con il “movimento”, da
My Beautiful Laundrette (1985) e
Sammy e Rosie vanno a letto (1987) di
Stephen Frears a Il cuoco, Il ladro, sua
moglie e l’amante (1989) di Peter Greenaway, da suggestioni sparse nei film di
Neil Jordan a Naked (1993) di Mike Leigh. E poi, naturalmente, c’è il cantore
“ufficiale” del punk britannico, Julien
Temple, che con i suoi documentari
adrenalici ha raccontato gli umori e la
sempre stato “esistenziale” (e infatti ha
coinvolto cineasti agli esordi come Jim
Jarmusch e Susan Seidelman), in Inghilterra il punk ha spesso assunto una colorazione politica, per quanto confusa e
altalenante tra neo-anarchismo e neonazismo, come dimostrano film molto
successivi come Trainspotting (1996) di
Danny Boyle e This Is England (2006)
di Shane Meadows. Resta, a congiungere i due filoni, quel motto tristissimo,
“No Future” che, anche avanzando nel
nuovo millennio, sembra destinato a durare.
J
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cover storY polvere di stelle
DAL
GLAM
AL
GRUNGE
Per capire come tutto
è finito, bisogna iniziare
dalla fine. Dall’utopia di
Woodstock alla morte
di Bowie, percorsi
intrecciati e paralleli
di Gianluigi Ceccarelli
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cover storY polvere di stelle
er capire come tutto è finito, bisogna iniziare dalla
fine. Dagli ultimi minuti di
Woodstock di Michael
Wadleigh, quando Jimi
Hendrix inizia il suo show
la mattina del 18 agosto
1969 e migliaia di ragazzi sono già andati via. Il mondo riprende a lavorare e
a girare come prima, dopo tre giorni di
utopia e, forse, di esperimento sociale
sull’utilizzo di LSD da parte dell’FBI. La
fine è sempre un nuovo inizio: di lì a poco, tutto cambierà. Il rock destrutturato
e psichedelico di Doors, Jefferson Airplane e Grateful Dead ha ottenuto l’acme della fruizione di massa; il prog dei
primi anni ‘70 mira più al cervello del
pubblico borghese che alla pancia dell’ascoltatore. L’intuizione successiva è
quella che Todd Haynes racconta in
Velvet Goldmine (1998), evocando fra le
righe del racconto il fantasma di David
Bowie (che non gradì); mentre Born to
Boogie, diretto da sir Ringo Starr
(1972), è un rockumentary con folli inserti alla Magical Mystery Tour e introduce quel rivoluzionario della musica
che fu Marc Bolan. Lui e Bowie impongono all’attenzione mondiale il glam
rock: per la prima volta l’aspetto di un
artista, i suoi ostentati richiami a una
(presunta) ambiguità sessuale contano
al pari della musica e portano all’estremo i principi libertari della filosofia hippie. Bowie attraversa il glam (portandolo all’apogeo) indossandolo come uno
dei mille vestiti e delle mille mode cavalcate in carriera; quando al cinema
esce il film-concerto Ziggy Stardust and
the Spiders from Mars di D.A. Pennebaker, nel 1979, il genere è morto da un
pezzo. Forse due anni prima, quando
Bolan, il suo reale inventore, muore di
incidente stradale.
In America, i New york Dolls di Johnny
Thunders (quelli che “folgorano” Richie
Finestra nel pilot di Vinyl diretto da
Scorsese) produssero un esplicito glam
rock per omosessuali gettando di fatto,
musicalmente, le basi del punk, ennesima rivoluzione organizzata a tavolino
dai discografici sulla pelle di giovani che
non sopravvivranno al proprio desiderio
di autodistruzione. Inevitabile pensare
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al morboso Syd e Nancy (1986) di Alex
Cox con Gary Oldman, ma merita segnalazione What we do is Secret
(2005), il biopic sul leader dei Germs,
Darby Crash, apologeta di Hitler e al
contempo gay mal tollerato in un contesto punk omofobo e reazionario. Dopo un solo disco, GI, Crash muore di
overdose il 7 dicembre 1980, un giorno
prima di John Lennon. Curiosamente,
l’attore Shane West, che lo ha interpretato, ne ha preso il posto anche sul palco, come frontman dei riformati Germs.
Il rock è morto? Forse, ma la giostra deve continuare. Può chiamarsi gothic, ma
continua a nutrirsi dei suoi deboli eroi:
Ian Curtis dei Joy Division si impicca a
23 anni. Lo vediamo in tutta la sua de-
Marc Bolan. A destra
i New York Dolls e, in
basso, Velvet
Goldmine
L’ASPETTO DI UN ARTISTA E LE
RELATIVE AMBIGUITà COMINCIANO
A CONTARE QUANTO IL SOUND.
GLI APRIPISTA? MARC BOLAN E IL
DUCA BIANCO
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bolezza (splendido Sam Riley) nel bel
Control di Anton Corbijn (2007), incentrato sulla sua figura e sul mancato
“controllo” della propria vita.
Il grido di dolore dell’artista alienato e
divorato dal sistema arriva al cinema
fuori tempo massimo: The Wall di Alan
Parker esce nel 1982, tre anni dopo il
disco, con Bob Geldof a impersonare
gli incubi egotici di Roger Waters. Gli
anni ‘80 hanno voltato pagina, i Joy Division si chiamano New Order e scalano le classifiche, la parola d’ordine è
evasione. Un diktat che tiene lontani
dalle charts i fenomeni indipendenti e
“controculturali”, mai come in questo
decennio così di nicchia. Julien Temple,
autore nel 1980 de La grande truffa del
rock’n roll (vera e propria dichiarazione
di colpevolezza di Malcolm McLaren,
gran burattinaio dei Sex Pistols), gira
nel 1986 Absolute Beginners, musical
esile che sfrutta Bowie per una blanda
operazione nostalgia, emblematica di
anni orientati a rimuovere rabbia e ribellione a favore del back to the past e
di una convinta apologia del presente.
Fa eccezione il bellissimo Stop Making
Sense di Jonathan Demme (1984), che
porta in scena nel loro splendore David
Byrne e i Talking Heads, forse gli unici
veri rivoluzionari nel panorama pop
dell’epoca. Gli anni ‘90 offrono l’ultima
rivoluzione: Kurt Cobain riporta la chitarra elettrica al centro del villaggio
con il grunge, che il mercato ingloberà
fino a renderlo genere da salotto. Cobain ha tutto per essere un nuovo divo
del rock: bello, dannato, una moglie
(Courtney Love) novella yoko Ono. E
una tensione mortifera che sfocia nel
suicidio, i cui momenti precedenti sono
immaginati in Last Days (2005), biopic
straniante e volutamente falso firmato
Gus van Sant. La vita di Cobain è invece ricostruita in Montage of Heck
(2015), docurock di Brett Morgen che
attinge all’archivio di famiglia (produce
Frances Bean Cobain, neonata all’epoca della morte del padre).
Vent’anni dopo, anche Bowie, ultimo
testimone di una vacua rivoluzione di
costume, ci ha lasciato cantando la sua
morte in un disco postumo. E il rock
viaggia oggi lungo fredde corsie digitali, in cerca di nuove storie di martiri
da raccontare.
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IL CLUB DEI
cover storY too young
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Accesso negato: il cinema è mai riuscito ad entrare davvero nel
famigerato “gruppo”? Quello di finzione poche volte (e con poca
convinzione): meglio lasciar dormire la rockstar che muore…
di Valerio Sammarco
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Amy Winehouse e
sopra alcuni membri
del "club" tra cui Jimi
Hendrix, Jim Morrison
e Janis Joplin
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cover storY too young
L’unica lente per non deformare
ulteriormente la leggenda dei vari
morrison, Joplin e cobain sembra
essere quella del reale
CINeMA e MALeFICIo. Un binomio tutto sommato “felice”, soprattutto se pensiamo allo sterminato filone degli horror anni ’70 e ’80, a partire
da La maledizione di Roy Ward Baker (1972),
passando per il classico Poltergeist di Tobe Hooper (1982), che poi si lasciò dietro una scia di
maledizioni ben più tragiche e reali di quelle raccontate nel film. Ed è proprio all’alba dei Settanta che venne “ufficializzata” per la prima volta
un’altra maledizione, quella del “Club 27”, ormai
celeberrimo ritrovo di leggendarie rockstar morte all’età di 27 anni. Dal 3 luglio 1969 al 3 luglio
1971 Brian Jones dei Rolling Stones, Jimi Hendrix
(il 18 settembre ’70), Janis Joplin (4 ottobre ’70)
e Jim Morrison passarono a miglior vita. Negli
anni seguenti, al gruppo (che vedremo poi essere molto più ampio di quanto si pensi) si aggiungeranno Kurt Cobain dei Nirvana (5 aprile ’94) e
Amy Winehouse (23 luglio 2011).
Prima di provare a capire se e come il cinema
abbia saputo confrontarsi con questa sciagurata
coincidenza, è curioso constatare che il cosiddetto Club 27 sia “nato” in realtà molti anni prima: il capostipite (tra cantanti, musicisti e artisti
vari alla fine se ne contano più di 50) è il paulista Alexandre Levy, compositore e direttore
d’orchestra (morto nel 1892), tra i primi a fondere gli elementi della musica classica con le tradizionali sonorità brasiliane.
Ma colui al quale si deve la suggestione più forte
di questa maledizione rimane senza dubbio Ro-
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bert Johnson, stratosferico bluesman (il padre
di Sweet Home Chicago, per intendersi), avvolto
da sempre in una fumosa e misteriosa leggenda
secondo la quale aveva venduto la propria anima al diavolo per poter suonare la chitarra come nessun altro al mondo. Nel 1938, a 27 anni,
morì in circostanze che ancora oggi nessuno è
stato in grado di chiarire (tra le teorie più accreditate, l’avvelenamento).
Ora, a parte il documentario Can’t You Hear the
Wind Howl? The Life & Music of Robert Johnson
(1998) di Peter Meyer, a Hellhounds On My Trail:
The Afterlife of Robert Johnson (2000, resoconto filmato del tribute concert avvenuto a Cleveland nel ’98) e a Sessions for Robert J. (2004),
sorta di doc sulla realizzazione dell’omonimo album di Eric Clapton, il cinema solamente una
volta ha provato ad avvicinare la leggenda di
Johnson, nel 1986, grazie a Walter Hill, che in
Mississippi Adventure (lasciare l’originale Crossroads, che rimandava ad un omonimo brano di
Johnson, sembrava brutto…) racconta la storia
di un ragazzo (Ralph Macchio) che cerca di trovare la trentesima traccia mai incisa dal celebre
bluesman. Tim Russ interpreta Johnson, mentre
Joe Seneca è l’amico Willie Brown, altro chitarrista. Gli arrangiamenti di Ry Cooder, le mani del
protagonista nella scena del duello di chitarra
quelle del virtuosissimo Steve Vai (che è anche il
diabolico sfidante). Un film (tra i meno riusciti di
Walter Hill) che prende spunto dal “mistero”
Johnson, ma che ben si guarda di scavare dentro il mistero stesso, rimanendo saldo sul terreno poco “scivoloso” del road-movie. Se vogliamo, quello del “caso Johnson” fu un pretesto
come quello che aleggiava intorno a Maledetto
il giorno che ti ho incontrato di Carlo Verdone
(1992), in cui il regista e attore romano, affiancato da Margherita Buy, è un giornalista musicale
che vuole completare una biografia su Jimi Hendrix, promettendo incredibili rivelazioni sulla verità della sua scomparsa. Uno spunto accatti-
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vante, che fa comunque da sfondo alla reale dimensione del film, commedia amara sull’incontro/scontro tra due depressi cronici.
È come se il cinema – sul mistero del Club 27 –
fino ad oggi abbia preferito rimanere a debita
distanza, quasi a non voler scomodare icone
così drasticamente radicate nell’immaginario
collettivo. Quasi preferendo non andare a “rovistare” nel torbido
di situazioni mai
chiarite del tutto.
Solamente in tre
occasioni – T h e
Doors di Olive r
Stone (1991), Last
Days di Gus Van
Sant (2005) e Jimi: All Is by My Side di John Ridley
(2013) – il cinema
mainstream e d’autore ha tentato frontalmente,
metaforicamente e biograficamente l’incursione: nel primo caso, attirandosi le ire della critica, dei fan di Jim Morrison e, su tutti, di Ray
Manzarek (tastierista dei Doors) che si scagliò
contro Stone asserendo che nel film Morrison
(interpretato da Val Kilmer) era dipinto solo come “un pazzo e un ubriacone”. Nel caso di Last
Days, invece, pur non facendo nomi e cognomi
e senza utilizzare alcun brano dei Nirvana, Van
Sant “rinchiude” (l’immagine di) Kurt Cobain
(Michael Pitt) in un maniero diroccato circondato dal bosco, negli ultimi giorni antecedenti il
suicidio: rifuggendo le dinamiche da “inchiesta
biografica”, il regista di Elephant concentra –
come d’abitudine – le sue attenzioni sulle lente
sinergie tra scorrere del tempo e moto interiore
dell’inferno che (non) anima il protagonista
(“un’immersione sensoriale, emozionale e quasi
calma nel cuore di un mistero e di una fascinazione che circondano gli ultimi due giorni della
vita dell’artista”, come scrisse Jean-Luc Wachthausen su Le Figaro). L’ultima volta, in ordine di tempo (2013), invece, John Ridley con Jimi: All Is by My Side ha tentato la via del film
biografico su Hendrix cercando di svincolarsi
dalla solita fanghiglia in cui si resta impantanati
con i classici biopic che si preoccupano della
vuota descrizione dei fatti.
Altra operazione, nel 2008, quella della regista
inglese Erica Dunton, che ha diretto The 27
Club, film indie presentato al Sundance e incentrato su personaggi “di fantasia”, naturalmente ispirato alle vicende dei rocker “maledetti”.
Da sempre in cerca di storie “vere” e d’impatto
da poter mutuare, insomma, il cinema su certe
figure è come se non avesse mai voluto insistere troppo, lasciando però ampio margine di
movimento alla sfera documentaristica: su Jim
Morrison nel 2009 ci ha pensato Tom DiCillo
con When You’re Strange, affidandosi a
Johnny Depp per la voce narrante (da noi era
Morgan dei Bluevertigo), su Janis Joplin (si
parla di un biopic su di lei da almeno sei anni,
che dovrebbe interpretare Amy Adams…) c’è il
recente Janis: Little Girl Blue di Amy Berg
(2015). E sempre l’anno scorso Brett Morgen e
Asif Kapadia si sono concentrati sul leader dei
Nirvana (con Cobain: Montage of Heck) e su
Amy Winehouse (con lo struggente Amy, anche fresco vincitore dell’Oscar): due approcci
differenti, seppur accomunati dall’enorme lavoro sulla ricerca di materiale d’archivio inedito, per raccontare due celebrità entrambe
soffocate (e uccise) dalla celebrità stessa.
Come se, per entrare davvero nel Club 27, il cinema non possa fare a meno di affidarsi al filtro del reale. Unica lente per non deformarne
ulteriormente la leggenda.
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In alto Jimi: All Is by My Side, a sinistra Val Kilmer
in The Doors e Kurt Cobain. Nei riquadri piccoli:
Alexandre Levy e Robert Johnson
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cover storY parole e dintorni
RAPPAMI O DIVA...
Da Eminem a Straight Outta Compton: bianco o nero non
i
l blues è l’albero, jazz e rock i
frutti, sostiene B.B. King.
Bene, ma il rap? Il frutto più
alto, l’ultimo in ordine di
tempo, apparentemente
“ribelle” se paragonato al
resto della pianta, nonostante
una derivazione diretta da quella pratica della musica del diavolo chiamata
in gergo “talkin’ blues”. Ma cambia lo
scenario: da rurale a metropolitano,
facendo certo tesoro delle influenze
elettriche di chi la scala pentatonica
l’ha rielaborata in quel di Chicago.
Negli anni, il rap ha avuto un’estensione culturale ampia che riguarda lo
slang quotidiano, il modo di vestirsi,
persino la gestualità, tutte fondamenta
dell’hip hop. Tra gli afroamericani
soprattutto, ma ci sono eccezioni
“scandalose”. Se per il blues l’intromissione bianca dovette arrivare da
oltreoceano, con la British Invasion,
per l’hip hop la partita si è giocata in
casa con toni anche accesi, come ben
dimostrato dalla lotta per l’improvvisa-
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zione rap tra i neri e il cucciolo bianco
interpretato da Eminem (di fatto nel
ruolo di se stesso) in 8 Mile di Curtis
Hanson (2002).
Il rap è un modo di pensare la musica e
la vita. Sembra un’esagerazione ma no:
da almeno 30 anni rappresenta il linguaggio urbano, lo strumento di narrazione di quelli che un tempo erano
chiamati ghetti, alcune sue parole d’ordine (“No Justice, No Peace”
ai tempi del feroce pestaggio di Rodney King a Los
Angeles, 1991, con conseguente messa a ferro e
fuoco del quartiere di South
Central) si sono estese al
conflitto di classe, padre di
tutti i conflitti. L’anno scorso
ha fatto discutere il successo
di pubblico di Straight Outta
Compton di F. Gary Gray
(che ha sostituito John
Singleton), biopic del gruppo rap N.W.A. (Niggaz Wit
Attitudes) nel quale a cavallo
tra gli anni 80 e i 90 si sono fatti le
ossa pesi massimi del genere come Ice
Cube, Dr. Dre e Eazy-E (i primi due
direttamente coinvolti nel progetto
come produttori). Un film importante,
realizzato da afroamericani per fare
giustizia di molti luoghi comuni che
accompagnano il rap, spesso visto dai
media bianchi come una specie di
“neomelodico della malavita” Usa; ma
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importa, l’importante è far la cosa giusta di Mauro Gervasini
anche per pacificare una comunità artistica in effetti, spesso, contaminata
dalla criminalità, estremamente divisa
al proprio interno (i N.W.A. “implosero”
a causa di rivalità e ripicche, con strascichi violenti). Ma il cosiddetto gangsta rap, di cui un altro attore-cantante,
Ice-T, è stato alfiere (sua è la canzone
che dà il titolo al film di Dennis Hopper
Colors, del 1988), non esaurisce per
fortuna l’immaginario hip hop, che
invece spesso coincide con la poesia,
l’invenzione linguistica e non solo
melodica.
Un po’ dimenticato nonostante avesse
vinto la Camera d’or a Cannes, ma in
questo senso importante, è Slam
(1998), scritto e diretto da Marc Levin
con le musiche di DJ Spooky, storia
classica di caduta, riscatto e redenzio-
ne di un ragazzo che finisce in galera,
esce su cauzione, partecipa a un poetry slam rappando e riesce a provocare uno scatto d’orgoglio nella sua crew
altrimenti votata esclusivamente al crimine. Non poteva che appartenere
anche a Spike Lee questa volontà di
distinzione del rap dallo stereotipo
della “drug culture” afroamericana. Fa’
la cosa giusta (1989), che comincia
sulle note di Fight the Power dei
Public Enemy, ristabilisce il valore
identitario culturale del rap, soprattutto nella celebre scena in cui Radio
Raheem (Bill Nunn) e Buggin Out
(Giancarlo Esposito) rifiutano di spegnere il ghetto blaster che spara la
“loro” musica nel locale italoamericano
gestito da Sal (Danny Aiello) e da suo
figlio razzista Pino (John Turturro),
sequenza che si conclude con l’uccisione di Radio Raheem da parte della
polizia. Bianca.
J
Il gruppo rap Public Enemy. A fianco, Fa'
la cosa giusta. In alto Eminem in 8 Miles e
Straight Outta Compton
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SMARTTV
TV
SMART
BLURAY
SMART
TV
BLURAY
PC
BLURAY
PC
TABLET
PC
TABLET
SMARTPHONE
SMARTKEY
KEY
KINDLEKEY
TABLET
SMARTPHONE
SMART
SMARTPHONE
SMART
KINDLE
doppia cinematografo istituzionale_STAR WARS.indd 28
ANDROID
KINDLE
ANDROID
IOS
WIN8 IOS
ANDROID
IOS
WIN8
WIN8
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momenti di gloria
QUELLE SPORCHE,
ULTIME METE
Sugli schermi Zona d’ombra, nuovo capitolo di una storia –
quella tra film americani e sport – che ha prodotto grandi titoli.
E quasi sempre era molto più di un gioco
di Alessandro De Simone
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momenti di gloria
otremmo farlo anche noi,
gli argomenti non mancherebbero. Le molte calciopoli, la parabola di Marco Pantani, i successi sassaresi del basket. Quante
storie ci racconta lo sport,
meravigliose e controverse, scuola di vita, ma il cinema italiano le ha colte raramente e malamente. Gli americani, al
contrario, ne hanno fatto epica per sopperire alla loro breve storia nazionale,
creando miti tra il diamante, il cesto e la
end zone. Frank Capra fece di un giocatore di baseball il suo profeta in Arriva
John Doe e lo stesso Gary Cooper
avrebbe prestato il suo corpo all’incarnazione cinematografica di Lou Gehrig,
l’orgoglio degli Yankees nel magnifico
L’idolo delle folle. Un genere di successo il film sportivo, e non necessariamente celebrativo, come dimostra l’immi-
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nente Concussion (Zona d’ombra da
noi, in sala dal 21 aprile con Warner),
storia vera del dottor Bennet Omalu,
patologo che ha scoperto i gravi danni
cerebrali da cui sono affetti molti giocatori di football professionisti. Will Smith
cerca riscatto dopo alcuni passi falsi,
ma soprattutto è l’ulteriore tassello di
un mosaico cinematografico che rac-
giovane America che cresce sotto la
guida di un mentore. Friday Night Lights ne è l’esempio principe. Tratto da
una storia vera, diventato bestseller in
libreria, successo sul grande schermo e
serie tv ancora più amata. Ma è solo l’ultimo di una lunga serie, in cui gli schemi
di campo sono la scusa per raccontare
altro. Il sapore della vittoria faceva san-
Il tessuto sociale Usa si basa su una
trinità: football, baseball e basket. E le
opere ne alimentano il mito
conta molto più che storia di campo e
spogliatoio.
Il tessuto sociale americano si basa su
una trinità: football, baseball e basket. Il
primo racconta storie di formazione, la
guinare la ferita mai chiusa del razzismo negli stati del sud, The Program affrontava il problema del doping giovanile, Le riserve una commedia che raccontava una cosa ben più seria come la
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disoccupazione cavalcante nell’America
dell’amministrazione Bush. L’All American, il giocatore perfetto, pronto per la
ribalta professionistica e anche per la
caduta a cui gli Dei sono inevitabilmente destinati, negli anni Cinquanta era il
maschio alpha da demolire. Le pulsioni
irrefrenabili di Warren Beatty in Splendore nell’erba, film che rivisto oggi ha
una violenza potente e inalterata. Tennesee Williams che ne La gatta sul tetto
che scotta prende a schiaffi il Paese dicendogli che il suo seme potrebbe non
essere così fertile, opera straordinaria e
geniale.
Il football è uno sport violento come le
storie che racconta. Il basket è velocità
e sottolinea quelle diverse della società
americana. L’esempio lampante è He
Got Game, forse il miglior Spike Lee di
sempre, in cui il grandissimo Ray Allen,
vera giovane stella del basket NBA, si
confronta con il padre appena uscito
dal carcere. La fuga dal ghetto, lo sport
come rivincita sociale, elementi che si
trovano anche in Colpo vincente, straordinario film di David Anspaugh che racconta l’epopea di una bianchissima
squadra di high school di provincia che
trionfa nonostante l’etichetta di perdenti che tutti si portano appresso. Un
gioiello, con Gene Hackman e Dennis
Hopper immensi, quasi quanto un piede
di Shaquille O’Neal, attore per William
Friday Night Lights,
la serie. A sinistra,
dall'alto: Zona
d'ombra, The Program,
L'uomo dei sogni,
He Got Game, Arriva
John Doe
Friedkin in Basta vincere, o “Il braccio
violento della pallacanestro”. Lezione di
vita, sul campo e fuori, sapendo che
quando si finisce di giocare non si vincerà più.
Perché di campo dei sogni ce n’è solo
uno ed è in Iowa, che non è il Paradiso,
ma è dove Kevin Costner (L’uomo dei
sogni) racconta l’America a cui manca
la pace e con una sola costante: il baseball. Anche quando qualcuno lo ha
sporcato, come gli Otto uomini fuori dei
Chicago White Sox del 1919, la squadra
più forte del mondo che si vendette le
World Series. Un dolore che ha segnato
la nazione e l’immaginario collettivo.
Francis Scott Fitzgerald lascia intendere che Gatsby c’entrasse qualcosa, il codice Hays entra in vigore nel cinema
perché il baseball si diede delle regole. I
sogni non si devono corrompere. Dallo
schermo e dai diamanti nascono solo le
stelle. Non a caso Roy Hobbs, il protagonista de Il migliore, nel romanzo di
Bernard Malamud è un uomo senza
qualità, simbolo di un paese malato,
mentre al cinema, interpretato da Robert Redford, trionfa sul campo e nella
vita, giocando a baseball al tramonto
con il figlio nell’orizzonte del Grande
Paese. Lo sport americano crea leggende. E come disse una volta il cinema
americano, è sempre meglio raccontare
la leggenda.
J
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RITRATTI
di Orio Caldiron
La spontanea
naturalezza degli
eroi tutti d’un
pezzo e il tormento
di personaggi
vulnerabili.
Indimenticabile nel
Buio oltre la siepe
GREGORY
PECK
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F
Gregory Peck con
Audrey Hepburn
in Vacanze romane. In
apertura nell’artwork
di Marco Letizia
Fin dall’inizio Gregory Peck – nasce a La Jolla,
California, il 5 aprile 1916, morirà a Los Angeles il 12 giugno 2003 – s’impone per la disinvoltura con cui passa dallo smemorato in sospetto di omicidio di Io ti salverò (1945), psicanalizzato dalla dottoressa Ingrid Bergman,
al farmer tutto boschi e famiglia di Il cucciolo
(1946), dal cronista liberal di Barriera invisibile
(1947) che si finge ebreo per indagare sull’antisemitismo allo scrittore vittima del demone
del gioco di Il grande peccatore (1949), assicurandosi la simpatia del pubblico soprattutto
femminile per la sua immagine di bravo ragazzo, elegante e gentile.
Se richiama la spontanea naturalezza degli
eroi tutti d’un pezzo del cinema classico, è a
suo agio con i personaggi tormentati e vulnerabili, che non riescono a nascondere le loro
inquietudini. Come Frank Savage, il generale
dell’aviazione di Cielo di fuoco (1949) che, alla
testa dei piloti impegnati nei bombardamenti
delle città tedesche, entra in crisi quando
mette da parte l’impassibilità e soffre con i
suoi uomini, mentre la tensione emotiva tocca
il punto di rottura. O come Jimmy Ringo, il pistolero di Romantico avventuriero (1950) perseguitato dalla sua fama di imbattibile. Stanco
e disilluso, è ormai lontano dal mito che ha alimentato le sue imprese, vorrebbe cambiar vita, farsi una famiglia con la donna e il figlio
che aveva abbandonato, ma la lunga sosta al
Bar Palace di Cayenne è il drammatico capolinea in cui ancora una volta vince la maledizio-
ne della leggenda.
L’orgoglio della divisa tutta alamari e bottoni
dorati prevale in Le avventure del capitano
Hornblower, il temerario (1951), dove l’attore
guida l’ammiraglia inglese contro le navi napoleoniche in un’epopea marinara che, tra
perfidi agguati, mirabolanti arrembaggi, amori
tenaci, ritrova il gusto del sogno a occhi aperti. Siamo nella favola con Vacanze romane
(1953), la sua prima commedia in cui è il giornalista che, sottraendola al protocollo, accompagna la principessa in giro per la città. Audrey Hepburn gli ruba spesso la scena, ma la
loro immagine in Vespa resta un’icona della
modernità in arrivo. Tom Rath, l’impiegato di
L’uomo dal vestito grigio (1956) si identifica
con l’americano medio che si rifugia nella flanella grigia, l’uniforme della normalità, fino a
quando non scopre di aver avuto un figlio dalla ragazza italiana con cui era stato durante la
guerra. L’avvocato Atticus Finch di Il buio oltre la siepe (1962) – tratto dal bestseller di
Harper Lee – all’inizio degli anni trenta difende
un giovane nero accusato ingiustamente di
aver stuprato una ragazza bianca. È uno dei
personaggi più appassionati e popolari della
sua galleria d’attore sensibile ai valori civili e al
rispetto della diversità. Singolare romanzo di
formazione di Scout e del fratello Jem sullo
sfondo del problema razziale in una cittadina
del Sud, il film gli offre l’occasione di una delle
performance più straordinarie dell’intera carriera, che gli vale l’Oscar.
J
L’IMMAGINE IN VESPA CON AUDREY
HEPBURN ICONA DELLA MODERNITÀ
INCOMBENTE
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SMARTTV
TV
SMART
BLURAY
SMART
TV
BLURAY
PC
BLURAY
PC
TABLET
PC
TABLET
SMARTPHONE
SMARTKEY
KEY
KINDLEKEY
TABLET
SMARTPHONE
SMART
SMARTPHONE
SMART
KINDLE
doppia cinematografo istituzionale_STAR WARS.indd 32
ANDROID
KINDLE
ANDROID
IOS
WIN8 IOS
ANDROID
IOS
WIN8
WIN8
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I TOP 5
58
al Cinema
HHHHH OTTIMO HHHH BUONO HHH SUFFICIENTE HH MEDIOCRE H SCARSO
LOVE & MERCY
60
61 THE DRESSMAKER
SOLE ALTO
62
65 RACE - IL COLORE DELLA VITTORIA
66 ZONA D’OMBRA
TRUMAN
63
68 IL COMPLOTTO DI CHERNOBYL
DESCONOCIDO
64
58 Love & Mercy
60 Sole alto
61 The Dressmaker
61 Appena apro gli occhi
62 Truman
63 Desconocido
63 Un’estate in provenza
64 Veloce come il vento
64 Una notte con la regina
65 Race – Il colore della
vittoria
66 Zona d’ombra
67 Ustica
67 Lo stato contro Fritz Bauer
68 L’infinita fabbrica del
Duomo
68 Il complotto di Chernobyl
69 Preview
n Captain America: Civil
War
n Il traditore tipo
n X-Men: Apocalisse
n Pelé
n Alice attraverso lo
specchio
n Money Monster
VELOCE COME IL VENTO
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i film del mese
Brian Wilson, mente
musicale del gruppo,
era un artista
raffinato e un abile
sperimentatore
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LoVe & MeRCy
Biopic anomalo e affascinante sui Beach Boys. Bravissimi
Paul Dano ed elizabeth Banks
In sala
Regia Bill Pohlad
Con Paul Dano, John Cusack,
Elizabeth Banks
Genere Biografico (121’)
I
Beach Boys sono un
gruppo a cui la storia
della musica non ha
reso il giusto tributo.
Troppo facilmente
etichettati come una
semplice pop band, nati in
un periodo in cui
dall’Inghilterra i Rolling
Stones e i Beatles la
facevano da padrone e la
musica americana si
divideva tra il folk
impegnato di Bob Dylan e
“
l’onda rock che avrebbe
culminato in Woodstock.
La band californiana in
questo panorama sembrava
essere un fenomeno di
passaggio, ma non era
assolutamente così. Brian
Wilson, mente musicale del
gruppo, era un artista
raffinato e un grande
sperimentatore, e non è un
caso che il processo
creativo che portò alla
realizzazione del loro
capolavoro, Pet Sounds, sia
in tutto e per tutto simile a
quello che avrebbero poi
seguito anche i Beatles per
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts
Club Band, il loro album più
complesso e meraviglioso.
Si racconta anche questo in
Love & Mercy, biografia
della tormentata vita di
Wilson, segnata da problemi
mentali di cui approfittò lo
psicanalista Eugene Landy,
che di fatto lo tenne
prigioniero suo e della
malattia per quasi un
ventennio. Come spesso
accade, l’amore per la futura
seconda moglie Melinda
Laedbetter fu il motore
primario della guarigione,
insieme al desiderio di
tornare a essere un
musicista. Equamente diviso
tra il periodo Pet Sounds,
interpretato da un ottimo
Paul Dano, e quello
dell’incontro con Melinda, in
cui Wilson è interpretato da
un John Cusack ispirato
come non gli succedeva da
tempo, Love & Mercy è un
biopic atipico diretto con
intelligenza da Bill Pohlad,
produttore di assoluto
valore (nel suo curriculum
troviamo The Tree of Life e
Into the Wild, tra gli altri),
qui alla sua opera seconda
dopo quasi venticinque
anni. I due protagonisti
fanno rivivere mirabilmente
il genio, ma soprattutto i
demoni di Wilson, ma se da
un lato quello di Dano è
praticamente un One Man
Show, tra musica e
ossessioni, Cusack ha invece
la fortuna di essere
supportato da due grandi
attori come Paul Giamatti,
nei panni di Landy, e
soprattutto una
straordinaria Elizabeth
Banks, bellissima e sempre
più brava, che tratteggia
un’amorevole e risoluta
Melinda.
Lo racconta il titolo stesso,
quella di Brian Wilson è una
vita divisa tra l’amore, per la
musica prima di tutto, e il
perdono di ciò che si è
lasciato alle spalle, a partire
dalla famiglia. Una parabola
molto umana e narrata con
una non comune dolcezza,
quasi a cercare entrambe le
cose anche da quel pubblico
che per troppo tempo non
ha potuto godere di uno dei
più grandi talenti musicali di
sempre.
ALeSSAnDRo De SIMone
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i film del mese
SoLe ALTo
Amore e guerra nei Balcani: l’opera di Dalibor Matanic vive di tensioni erotiche
Anteprima
Regia Dalibor Matanic
Con Goran Markovic e Tihana Lazovic
Genere Drammatico (123’)
POSSONO DI PIù le divisioni create ad
arte dagli uomini o i legami genuini
che s’instaurano tra le persone? E’ la
domanda elementare che sembra
percorrere dall’inizio alla fine il croato
Sole alto, film che lo scorso anno si
aggiudicò il Premio della Giuria di Un
Certain Regard a Cannes. Il lavoro di
Dalibor Matanic (suo il cortometraggio
pluripremiato Party) è diviso in tre atti,
corrispondenti a tre decenni distinti
nella storia di un villaggio dei Balcani
(1991, 2001, 2011). In scena, con
variazioni minime, una relazione
proibita tra una ragazza serba e un
giovane croato. I nomi dei personaggi
cambiano, ma gli attori che li
interpretano sono sempre gli stessi (gli
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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ottimi Goran Markovic e Tihana
Lazovic) a suggerire probabilmente la
ciclicità e l’universalità della vicenda
raccontata. La guerra rimane
fuoricampo. Nel 1991 non era ancora
esplosa, nel 2001 era già finita. Il clima
di conflittualità però era già presente
prima e si sarebbe avvertito anche
dopo. A Dalibor Matanic non interessa
fare memoria, scavare nelle divisioni
etniche di ieri e di oggi. Vuole semmai
sentirne l’aria, isolare le pulsioni,
trasformare l’inquadratura in un
campo magnetico di forze in lotta: un
cinema, il suo, mosso da un violento
impulso sensoriale, una tensione
erotica che né le forme della cultura
né i retaggi della Storia – e qui sta
l’ottimismo – sanno contenere.
Una visione metastorica, fisica,
consegnata a uno scenario (un villaggio
di confine) indefinito, sospeso nel
tempo e immerso in una luce calda,
estiva, foriera di epifanie. Perfetta la
chimica tra i due attori protagonisti: il
modo in cui usano i corpi, si lanciano
occhiate, si respingono e si annusano,
ha un che di bestiale, autentico e
straordinario. Bello il contrasto con la
calma piatta della campagna intorno, il
bagno d’inquietudine nella placida
neutralità della natura. Il mondo per
Matanic esisteva prima di ogni io, noi,
loro. E’ intero sotto la grande ferita.
Verità condivisibile. Non lenisce ma
almeno, diceva qualcuno, ci renderà
liberi.
GIAnLUCA ARnone
Premio della giuria di Un Certain
Regard a Cannes 2015
J
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APPenA APRo GLI oCChI CAnTo PeR LA LIBeRTà
Tra formazione e ritratto generazionale: buon esordio
alle porte. Storia di formazione e
ritratto generazionale di un passatopresente che abbiamo ancora dinanzi
agli occhi, l’opera della Bouzid si
caratterizza per le contrapposizioni:
non soltanto quella fra giovani aperti ai
desideri del mondo globalizzato e
adulti legati a una realtà tradizionale,
ma persino quella che può sorgere fra
due coniugi decisi a rinunciare agli
ideali professati in gioventù in cambio
di un po’ di stabilità e, allo stesso
tempo, sensibili alle richieste
dell’universo giovanile. Sullo sfondo,
permangono le restrizioni del regime,
spia lampante di un sistema sull’orlo del
collasso. Massiccio, infine, il ricorso a
numeri musicali di etno-rock per un film
lontano dall’entusiasmare ma che si
conferma, oltre ogni dubbio, come una
prova di tutto rispetto.
GIAnFRAnCeSCo IACono
PRIMO LUNGOMETRAGGIO della
giovane regista tunisina Leyla Bouzid,
Appena apro gli occhi è la storia di
Farah, una diciottenne di Tunisi con la
passione per la musica. Mentre la
famiglia vorrebbe iscriverla alla facoltà
di Medicina, lei ha testa soltanto per il
gruppo rock di cui fa parte e grazie al
quale contribuisce a dar voce ai
turbamenti di una generazione ansiosa
di rinnovamento. Ci troviamo, però,
nell’estate del 2010 e la rivoluzione è
J
Anteprima
Regia Leyla Bouzid
Con Baya Medhaffer, Ghalia Benali
Genere Drammatico (102’)
The
DReSSMAKeR
L’abito non fa il film, ma la
sexy Kate Winslet convince
Anteprima
Regia Jocelyn Moorhouse
Con Kate Winslet, Judy Davis
Genere Commedia (118’)
LA STORIA DI TILLy DUNNAGE (Kate
Winslet), bomba sexy, stilista ardita e
sarta provetta: dopo l’apprendistato a
Parigi e in mezza Europa, torna nella
natia Australia per ritrovare
l’eccentrica madre Molly (Judy Davis).
Nel villaggio di Dungatar, da cui fuggì
“rea” di omicidio, l’attendono invidia e
cattiveria, ma anche gli occhi blu, che
fanno scopa con i suoi, di Teddy (Liam
Hemsworth). Sarà amore, vendetta o
che altro? Campione di incassi in
Australia, è The Dressmaker di
Jocelyn Moorhouse: troppo lungo e
incerto tra commedia e revenge
movie, si bea dell’interpretazione di
Kate Winslet e Judy Davis, ma
nemmeno loro riescono a farci
interessare, figurarci appassionare, alla
storia. Che strizza un occhio al
pubblico gay, grazie al sergente Farrat
di Hugo Weaving innamorato di stoffe
e boa di struzzo e la stessa Winslet
che scimmiotta le femme fatale della
Hollywood che fu, e l’altro all’haute
couture, complici i costumi
meravigliosi di Marion Boyce, la cosa
migliore del film e non ci vuole molto.
Già, non bastano sequenze indovinate,
come quella bruciante del finale, e
siparietti a segno per distoglierci dalla
vera “maledizione” di The Dressmaker:
l’abito non fa il film.
FeDeRICo PonTIGGIA
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i film del mese
tRumAn
L’amicizia oltre la morte. Script eccellente e due interpreti maiuscoli
Anteprima
Regia Cesc Gay
Con Ricardo Darín, Javier Cámara
Genere Drammatico (108’)
“ognuno muore come può”. Julián
(Darín), malato di cancro, ha deciso di
smettere con le cure: preferisce viversi
quel poco che gli resta al di fuori di un
ospedale. L’amico di sempre, Tomás
(Cámara), torna allora a sorpresa dal
Canada a Madrid per trascorrere con
lui qualche giorno prima che sia troppo
tardi. Attore ancora in scena, divorziato
e con un figlio universitario ad
Amsterdam, Julián ha una sola
preoccupazione: trovare qualcuno che
possa adottare il suo secondo “figlio”,
Truman, cagnolone da cui non si è mai
separato.
L’amicizia oltre la morte: lo spagnolo
Cesc Gay richiama a sé Ricardo Darín e
Javier Cámara (splendidi entrambi) e
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dopo la coralità di Una pistola en cada
mano si concentra sull’aspetto più
intimo, e vero, di un rapporto destinato
a non morire anche al di là della vita
stessa.
Non è un caso che il film – scritto
insieme al sodale Tomàs Aragay –
debba il titolo all’unico personaggio
silenzioso, il cane Troilo (morto
qualche mese dopo le riprese), lascito
terreno di un uomo che, in quei pochi
giorni di spostamenti, pranzi, cene e
viaggi improvvisati, avrà modo di
riflettere ancor più in profondità sul
senso dell’esistenza, sulla forza dei
legami, sulla continuità delle “cose”
oltre il termine materiale delle stesse.
La bravura degli autori e degli
interpreti (5 premi Goya, gli Oscar
spagnoli, per miglior film, regia, attore
protagonista e non protagonista,
sceneggiatura originale) è però
nell’evitare qualsiasi stucchevole
filosofia d’accatto, nel saper fuggire
ogni trappola da ricatto emotivo, nel
lasciar scivolare i dialoghi e i momenti,
nell’approfittare dei giusti silenzi e
dell’incredibile alchimia tra i due
protagonisti, così lontani-così vicini da
risultare per questo tremendamente
veri, incarnazione di una sincerità
leggera e commovente.
Ecco, è proprio nella levità di una
commozione mai forzata che Truman
cerca di accomodarsi, proprio come un
affettuoso e docile cagnone che ti si
accuccia accanto. Senza chiedere nulla
in cambio, se non uno sguardo. O una
carezza.
vALeRio SAmmARCo
J
Sorprende la levità con cui si cerca una
commozione mai forzata
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DeSConoCIDo
Guida per riconoscere i tuoi bancari: ottimo Luis Tosar
anche noi italiani conosciamo fin
troppo bene. Eppure, la gogna non è
(solo) per i bancari, ma per i banchieri:
se i primi sono spregiudicati, ma meri
esecutori, le pratiche fraudolente
vengono promosse ai piani alti. A
rischiare le chiappe sono quelli come
Carlos (Tosar), un funzionario di banca
rispettato e rampante, con una bella
famiglia, una bella casa e un’incipiente
crisi coniugale. Un brutto giorno è lui,
al posto della moglie, ad
accompagnare i figli a scuola, ma
nell’abitacolo squilla un cellulare e una
voce sconosciuta gli intima di versare
fior di quattrini su un conto: se non lo
farà, salterà in aria insieme ai figli,
perché sotto i sedili della sua BMW X5
(già auto di Locke...) è stata messa una
bomba. Chi c’è all’altro capo del
telefono? Boom!
FeDeRICo PonTIGGIA
GUIDA per riconoscere i tuoi bancari:
Desconocido. E’ un thriller
potenzialmente esplosivo quello
diretto dallo spagnolo Dani de la Torre
e molto ben interpretato – è la cosa
migliore del film - da Luis Tosar, già
apprezzato in Cella 211. Adrenalina e
suspense fanno da cornice a un ritratto
perfettibile (colpi di scena fuori
bersaglio, snodi fallaci), ma impietoso
dell’attuale sistema bancario, che da
Banca Etruria alla Popolare di Vicenza
J
In sala
Regia Dani de la Torre
Con Luis Tosar, Javier Gutiérrez
Genere Thriller (102’)
Un’eSTATe
In PRoVenZA
Banale commedia
vacanziera. Anche Jean
Reno è “in ferie”
In uscita
Regia Rose Bosch
Con Jean Reno, Anna Galiena
Genere Commedia (105’)
JEAN RENO è Paul, burbero nonno di
Adrien, Lea e Theo, tre giovani fratelli
parigini costretti a trascorrere l’estate
in Provenza nell’approssimarsi del
divorzio dei genitori. A condurli nel
soleggiato e gaudente Midi è la nonna,
interpretata dalla nostra Anna Galiena,
che fin da subito deve darsi da fare per
rintuzzare le schermaglie generazionali
fra lo scorbutico marito campagnolo e
i vivaci nipoti, in tutto e per tutto figli
della metropoli e della
contemporaneità globale 2.0: quasi
superfluo aggiungere che i contrasti fra
età matura/gioventù e città/campagna
la faranno da padroni durante l’intera,
abbondante ora e mezza del film.
Un’estate in Provenza, commediola
francese diretta da Rose Bosch che non
brilla di particolari virtù né per
originalità, si segnala invece per aderire
in pieno ai canoni rassicuranti, patinati
e volemosebene del film vacanziero,
fotografia da cartolina compresa. Il plot
non punge, non solletica mai, non tenta
una sola volta di sollevare il minimo
dubbio e spesso annoia nei suoi
tentativi di provocare un pur minimo
sussulto emotivo. E Jean Reno, qui
protagonista non troppo convincente,
fa sentire nostalgia del suo simpatico
personaggio ai tempi di French Kiss.
GIAnFRAnCeSCo IACono
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i film del mese
UnA noTTe Con LA ReGInA
Anche i reali nel loro piccolo si divertono: noi meno
Hepburn, qua un acerbo attore irlandese
(Ja ck Reynor) e una fin qui solo
graziosa Sarah Gadon. S’incontrano
nella finzione la notte dell’8 maggio
1945, tra i balli del Mall e la baldoria
ubriaca di Trafalgar Square, per
celebrare la fine della guerra e la vittoria
dell’Europa sull’Asse del Male. Classica
commedia degli equivoci in moto
perpetuo e a tempo di swing, modellata
su un romanticismo caramelloso che
tutto ammette e perdona, baci rubati,
diff erenze di censo, pietose bugie e
improbabili inganni, audace quanto
basta per non essere imprudente, Una
notte con la regina confida soprattutto
sulla generosità bonaria di un pubblico
d’altri tempi e la simpatia dei suoi reali di
contorno, re Giorgio (Rupert Everett), la
moglie Elisabetta (Emily Watson) e la
figlia minore Margaret (Bel Powley).
GIAnLUCA ARnone
L’IPOTESI NAIF di una società
orizzontale, un tempo cara ai comunisti
e ai commoventi cantori della
Hollywood b/n, è il cuore di questa
commedia all’inglese deliziosamente
futile, che trasforma un aneddoto bio di
sua maestà Elizabetta II nella favola
escapista modello Vacanze romane. Là il
giornalista e la principessa, qua
l’aviatore e la giovane erede al trono
d’Inghilterra. Là soprattutto il fascino di
Gregory Peck e la grazia di Audrey
J
In sala
Regia Julian Jarrold
Con Sarah Gadon, Jack Reynor
Genere Commedia (97’)
VeLoCe CoMe
IL VenTo
Motori e voglia di
rivincita: è il titolo giusto
per Accorsi
In sala
Regia Matteo Rovere
Con Stefano Accorsi, Matilda De Angelis
Genere Drammatico (119’)
FINALMENTE ACCORSI ha accettato
un ruolo scomodo, diverso,
accogliendo le insicurezze di Loris, ex
pilota che un incidente ha precipitato
in un presente senza prospettive, se
non quelle di rimanere ai bordi della
società senza affetti e responsabilità,
sempre pronto a compiere gesti
audaci, pericolosi, vuoi per ribellione,
vuoi per la droga di cui ormai abusa
quotidianamente. Per evadere,
dimenticare. La sorella Giulia (Matilda
De Angelis) è stata contagiata pure lei
dalla passione dei motori, la sua
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rivista del cinematografo
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Porsche è la vita, e le gare cui
partecipa come pilota un modo per
affermarsi, fuggire forse, scacciare
fantasmi. Quando il padre muore, il
fratello torna ad affacciarsi.
Inizialmente lo scontro è inevitabile,
poi i due troveranno un modo, non
senza dolore, per correre insieme alla
stessa velocità, sulle piste e nella vita.
Matteo Rovere si ispira a fatti in parte
accaduti, si cala nella provincia
emiliana e nel mondo delle corse, ne
gestisce bene lingua e ambienti, spazi
e pulsioni. Realismo e commozione
procedono nel giusto senso di marcia,
non sono mai forzati. I due
protagonisti si fanno lentamente
conoscere, regolando perfettamente i
loro caratteri, le loro parole, i loro
sentimenti. Tra motori e voglia di
rivincita.
LUCA PeLLeGRInI
J
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RACe - IL CoLoRe DeLLA VITToRIA
La velocità di Jesse owens. Che “bruciò” le olimpiadi naziste del 1936
In sala
Regia Stephen Hopkins
Con Stephan James, Jason Sudeikis
Genere Drammatico (134’)
“IL RECORD MONDIALE non è niente,
arriva il primo ragazzino sconosciuto e
te lo leva. Ma una medaglia d’oro no,
quella non te la leverà mai nessuno”.
Restano impresse le parole di Larry
Snyder (Jason Sudeikis), coach
dell’Ohio University che riuscì ad
affinare il talento di James Cleveland
Owens (Stephan James), per tutti
“Jesse” Owens da quando, bambino,
una maestra di Cleveland iniziò a
storpiare le sue iniziali, J.C.
Veloce come il vento, il nero Jesse
passerà alla storia (non solo sportiva)
vincendo quattro ori (nei 100 e nei 200
metri piani, nel salto in lungo e nella
staffetta 4x100) alle Olimpiadi del ’36
di Berlino, nella Germania del Terzo
Reich, sotto gli occhi di Hitler e
Goebbels. Il film di Hopkins – primo a
raccontare sul grande schermo le gesta
del grande olimpionico USA (il cui
record sarà eguagliato nel 1984 da Carl
Lewis, che a Los Angeles vinse
altrettanti ori nelle stesse quattro gare)
– è un interessante ritratto, oltre che
del personaggio protagonista, di
un’epoca in cui il nazismo provò a
consacrare se stesso attraverso il
volano dei Giochi, immortalati
trionfalmente dalle cineprese di Leni
Riefenstahl (Carice van Houten), oltre
alle contraddizioni dell’America
depressa e razzista in cui nacque e
crebbe lo stesso Owens. E senza
dimenticare le tensioni relative alla
partecipazione a quelle Olimpiadi (fino
all’ultimo, scosso dalle ordinanze
tedesche contro gli ebrei, il comitato
olimpico USA era diviso sulla scelta di
partecipare), il film affida a Jeremy
Irons il ruolo del controverso Avery
Brundage, presidente del comitato
americano che non solo decise di non
boicottare i Giochi, ma sembrerebbe
abbia spinto affinché i corridori ebrei
Glickman e Stoller venissero sostituiti
da Owens e Metcalfe per la finale della
staffetta. Tra storia e finzione (il rifiuto
di Hitler nel congratularsi con il
vincitore, cosa che Owens smorzò anni
dopo dicendo che in realtà il Führer lo
salutò dal palchetto), Hopkins prova a
rendere giustizia ad un campione che,
come detto, anche in patria continuò
ad avere problemi per il colore della
sua pelle.
VALeRIo SAMMARCo
J
Tra storia e finzione, Hopkins rende
giustizia ad un campione assoluto
aprile 2016
rivista del cinematografo
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i film del mese
ZonA D’oMBRA
Le conseguenze da trauma cranico del football americano: Landesman contro la nFL
Anteprima
Regia Peter Landesman
Con Will Smith, Alec Baldwin
Genere Drammatico (123’)
PROvATE AD IMMAGINARE che nel
giuoco del calcio si decida di vietare il
colpo di testa. O che nella boxe non si
possa colpire l’avversario dal collo in su.
Ecco, nel 2002, in seguito alla tragica
morte dell’ex giocatore di football
americano Mike Webster (per tutti Iron
Mike, leggendario centro dei Pittsburgh
Steelers), c’è stato qualcuno che ha
provato a far notare i pericoli letali di
uno sport dove il trauma cranico è
all’ordine dei minuti. Un neuropatologo
nigeriano, Bennet Omalu (Will Smith),
che fino a quel momento non aveva mai
visto neanche una partita dell’NFL. E
che, da quel momento, venne
considerato dall’NFL stessa il nemico
66
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
pubblico numero uno. Dopo Parkland,
Peter Landesman si concentra su
un’altra storia vera, lì erano i giorni
immediatamente successivi alla morte di
JFK, qui tutto prende le mosse da
“Game Brain”, articolo di Jeanne Marie
Laskas pubblicato su GQ in cui si faceva
luce sulla ricerca di Omalu, che dopo
quello di Webster prese in esame il
cervello di altri “cadaveri eccellenti”,
tutte ex stelle NFL come Terry Long,
Andre Waters e Dave Duerson, morti in
seguito alla malattia degenerativa che
Omalu definì CTE (encefalopatia cronica
traumatica), causa di amnesie,
disorientamento, demenza, disartria e
via discorrendo. Il film, che Landesman
dirige senza particolare originalità e
senza servirsi di chissà quali
stratagemmi, apre però un importante
squarcio sull’annosa questione tra ciò che
sarebbe giusto fare e ciò che sarebbe
tremendamente impopolare, per non
parlare degli interessi monstre che
orbitano intorno ad un universo quale
quello del football americano negli
States. Ecco allora che la narrazione si fa
via via più “spettacolare”, puntando sui
risvolti thriller della vicenda (Omalu e la
moglie che vedono minacce ovunque),
senza però mai perdere di vista
l’indubbia e assoluta integrità di un
personaggio che, anche grazie
all’interpretazione di un Will Smith
monocorde, sembra provenire da un altro
pianeta. Effetto voluto, per carità, ma che
alla lunga rischia di sembrare posticcio.
VALeRIo SAMMARCo
The show must go on. Fino a che
punto vale in questo caso?
J
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Lo STATo ConTRo FRITZ
BAUeR
Germania, i conti col passato non tornano
Bonn. Non sarà facile. Il tormento del
passato è un fuoco ancora vivo per la
giovane generazione di registi tedeschi,
chiamati come i loro padri a fare i conti
con la Storia. Con quello che sta
succedendo in Germania, tra gestione
degli immigrati e nostalgie della destra
xenofoba, vanno compresi. Tuttavia Lo
stato contro Fritz Bauer di Lars Kraume
forma un dittico ideale con Il labirinto
del silenzio di Ricciarelli, non solo per
uno scrupolo edificante verso gli eroi
della Germania “denazificata”, ma
anche per la resa visiva,
cromaticamente pastosa e di sciagurata
piattezza televisiva. Una “qualità” che
finisce per far apparire questi prodotti
tutti uguali. Quasi intercambiabili. Con i
film dei loro padri non succedeva.
Quello era cinema politico. Questo è
marketing democratico.
GIAnLUCA ARnone
GERMANIA, 1957. Il procuratore
generale Fritz Bauer, ebreo tedesco, sta
cercando di portare in giudizio i
criminali del Terzo Reich. Peccato che
molti di loro sotto Adenauer si siano
ripuliti occupando i buoni uffici della
Repubblica Federale, da dove si
spalleggiano e coprono gli hitleriani
fuggiti. Il più pericoloso è Adolf
Eichmann, ex tenente colonnello delle
SS, che Bauer vuole stanare dal
nascondiglio argentino e processare a
J
Anteprima
Regia Lars Kraume
Con Burghart Klaussner, Ronald Zehrfeld
Genere Drammatico (105’)
USTICA
Pregevoli intenzioni, ma
Renzo Martinelli sbatte
contro il muro del cinema
In sala
Regia Renzo Martinelli
Con Caterina Murino, Marco Leonardi
Genere Drammatico (106’)
27 GIUGNO 1980, un DC9 della
compagnia Itavia scompare dai radar
senza lanciare alcun segnale di
emergenza e si schianta tra le isole di
Ponza e Ustica: muoiono 81 persone,
di cui 14 bambini. Un mistero
(arci)italiano, su cui il cinema si è già
espresso con Il muro di gomma di
Marco Risi (1991): ora tocca a Renzo
Martinelli con Ustica, in cui “tutto
quanto viene dichiarato è
inconfutabilmente supportato da
materiale documentale”. Non
sveleremo la (ipo)tesi del regista di
Vajont, basti sapere che non
contempla il cedimento strutturale, il
missile o la bomba, bensì il triangolo
con caccia libici e americani. A
indagare sul caso sono Roberta
Bellodi (Caterina Murino), giornalista
siciliana che su quel DC9 aveva la
figlia, e il deputato Corrado di
Acquaformosa (Marco Leonardi), la
cui moglie elicotterista Valja (Lubna
Azabal) ha trovato il relitto di un
caccia a Timpa delle Magare, ma
depistaggi e incidenti sospetti
tagliano la strada… Buone, ancorché
confutabili, le intenzioni di fare luce e,
possibilmente, riaprire il caso, ma
Ustica, che ha nel doppiaggio
pervasivo il vizio di forma peggiore,
non ha la dignità del cinema, bensì
della fiction tv: è in sala per “colpa” di
Martinelli o italica censura?
FeDeRICo PonTIGGIA
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i film del mese
L’InFInITA FABBRICA DeL
DUoMo
Doc fascinoso su un simbolo dell’architettura mondiale
restauratori, costruzione-metamorfosi
che diviene, in un trapasso audace ma
saldamente ancorato all’immagine,
simbolica dichiarazione d’amore
all’operosità umana. Il percorso seguito
da D’Anolfi e Parenti è arduo, insolito
anche per un documentario, fondato su
un rigoroso studio dell’immagine (e dei
suoi rimandi simbolici, per cui si rischia
sovente una sovrabbondanza
polisemica, non sempre
raccomandabile per un’opera
cinematografica) e su un’intensa
partecipazione alla manualità e
all’artigianalità intese nel loro senso più
letterale che le vuole immerse
nell’ombra, nella pace, nel silenzio dei
laboratori. Quel silenzio che,
inevitabilmente, si fa nido e culla della
sacralità e in-forma l’agire
dell’esperienza architettonica.
GIAnFRAnCeSCo IACono
LA SECOLARE STORIA del Duomo di
Milano, uno dei simboli dell’architettura
italiana nel mondo, rivive
nell’affascinante documentario a firma
di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti.
Nascita, ascesa, consolidamento e
conservazione nel tempo sono concettipilastri su cui poggia l’approccio dei due
registi alla materia, una materia quanto
mai concreta, della costruzione nel suo
farsi, dall’estrazione del marmo nelle
cave sino alle rifiniture degli orafi e dei
J
In sala
Regia Massimo D’Anolfi e Martina
Parenti
Genere Documentario (74’)
IL CoMPLoTTo
DI CheRnoByL
Il disastro fu voluto da
Mosca. Duro j’accuse
In sala
Regia Chad Garcia
Genere Documentario (82’)
SON PASSATI 30 ANNI dal disastro di
Chernobyl e non ne sappiamo ancora
abbastanza. Chi e che cosa innescò
l’incendio nel reattore che avrebbe
avvelenato mezzo mondo? Indaga un
coraggioso regista ucraino, Fedor, e il
suo cameraman, convinti che
l’incidente non sia tale ma un
sabotaggio voluto da Mosca per
distogliere l’attenzione da una
gigantesca antenna eretta di fronte
alla centrale, la Duga. Costata sette
miliardi di rubli e voluta da un pezzo
grosso del Partito, la Duga doveva
interferire con le comunicazioni
68
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
occidentali ma si era rivelata un’arma
inutile, da liquidare con il suo
committente. Il complotto di
Chernobyl di Chad Garcia - Gran
Premio della Giuria al Sundance 2015 è un nervoso, fazioso, a tratti
inquietante j’accuse contro il Potere
sovietico di ieri e di oggi, il cui sinistro
monito riecheggia nel rumore debole
e martellante della Duga, simile a
quello di un grosso picchio (evocato
nel titolo originale: The Russian
Woodpecker). Visivamente nulla di
nuovo ma l’infotainment è utile,
merita il plauso per l’audacia e la
prudenza per la smaccata retorica
complottista. Verissimi invece i
tumulti di Kiev del 2014 e la ripresa
delle ostilità con la Russia. Per Fedor il
primo atto della terza guerra
mondiale.
GIAnLUCA ARnone
J
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i film del mese preview
a cura di manuela pinetti
Captain ameRiCa:
Civil waR
x-men: apoCalisse
pelé
l’un contro l’altro armato.
Captain America (Chris Evans) e Iron
Man (Robert Downey Jr.), all’indomani
degli eventi narrati in Avengers: Age
of Ultron, capeggiano due fazioni di
supereroi, tra cui spiccano Vedova
Nera (Scarlett Johansson), Soldato
d’Inverno (Sebastian Stan) e SpiderMan (Tom Holland), che ha
furoreggiato già dal trailer. La “Fase
Tre” del Marvel Cinematic Universe è
ufficialmente iniziata.
J
la minaccia per i mutanti del
Professor X (James McAvoy) e gli
abitanti della Terra arriva dal passato
più remoto e risponde al nome di
Apocalisse. Invincibile, potente come
una divinità, immortale, Apocalisse
(Oscar Isaac) è il primo dei mutanti,
pronto a sottomettere l’universo dopo
un sonno millenario. Ma il ritorno più
emozionante, per i fan e non solo, è
senz’altro quello di Bryan Singer alla
regia.
J
non un film sul calcio, ma la
storia di una leggenda vivente. Pelé
(Kevin de Paula, Leonardo Lima
Carvalho), nato Edson Arantes do
Nascimento, era un ragazzino
brasiliano povero con un grande
sogno, un’incredibile passione e un
innegabile talento. Il film racconta la
prima parte della sua carriera, tra
successi e lezioni di vita,
concentrandosi sul rapporto con il
padre, il calciatore Dondinho.
J
Regia Anthony e Joe Russo
Con Robert Downey Jr., Scarlett Johansson
Regia Bryan Singer
Con Jennifer Lawrence, Michael Fassbender
Regia Jeff Zimbalist, Michael Zimbalist
Con Vincent D’Onofrio, Rodrigo Santoro
aliCe attRaveRso
lo speCChio
il tRaditoRe tipo
money monsteR
a sei anni da Alice in Wonderland,
Mia Wasikowska e Johnny Depp
tornano nei variopinti panni di Alice
Kingsleigh e Cappellaio Matto nel
fantastico regno di Sottomondo. Con
loro, amici vecchi e nuovi:
Bianconiglio, Brucaliffo, Stregatto,
Regina Bianca, Regina Rossa… ma a
dirigere non c’è più Tim Burton.
Confermata invece Linda Woolverton
alla sceneggiatura, tratta dall’omonimo
romanzo di Lewis Carroll.
J
in vacanza a marrakech Perry
(Ewan McGregor) e Gail (Naomie
Harris), un’ordinaria coppia di
professionisti britannici, conosce Dima
(Stellan Skarsgård) un eccentrico
magnate russo dedito al riciclaggio di
denaro. La pericolosa amicizia li
catapulterà nel mondo dello spionaggio
internazionale, tra i politici corrotti di
mezza Europa. Sceneggiatura di
Hossein Amini (Drive) dall’omonimo
romanzo di John Le Carré.
J
“money monster” è una trasmissione
televisiva di successo. A condurla c’è il
pittoresco guru della finanza Lee Gates
(George Clooney), che insegna agli
spettatori ad arricchirsi coi suoi modi
spicci ed irresponsabili. Ma quando un
povero cristo (Jack O’Connell, Cook in
Skins) irrompe armato in diretta tv,
perché seguendo i consigli di Lee ha
perso tutti i suoi risparmi, saltano fuori
tante scomode verità. An teprima
mondiale a Cannes.
J
Regia James Bobin
Con Johnny Depp, Mia Wasikowska
Regia Susanna White
Con Ewan McGregor, Naomie Harris
Regia Jodie Foster
Con George Clooney, Julia Roberts
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fondazione ente dello spettacolo
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Dvd /// Blu-ray /// SerieTv /// Borsa del cinema /// Libri /// Colonne sonore
tele
A CURA DI Valerio Sammarco
DA NON
PERDERE
Homevideo da
Oscar: Revenant,
Il ponte delle
spie. Si ride con
Bogdanovich
in queSto numero
Nuovi disegni di legge:
ci siamo? Le presidenziali
USA a colpi di tweet
american
crime Story:
the People v.
o.J. Simpson
Il processo del secolo nel
serial di Ryan Murphy
Classe dei classici
Quo vado?
Game of Silence
Social Surfing
Divi italiani
Mistress America
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TELECOMANDO
/// Dvd e Blu-ray ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
revenant
redivivo
Scene tagliate ed estese
negli extra. Oltre al documentario
un mondo sconosciuto
arà disponibile sui migliori store
digitali (iTunes, Google Play, Chili
Tv, TIMvision e Wuaki) dal 30
aprile, mentre in homevideo arriverà il 5
maggio (4k Ultra HD, Blu-ray e DvD),
Revenant di Alejandro G. Iñárritu, film che
è valso il primo Oscar a Leonardo Di
Caprio e vincitore di altre due statuette
(regia e fotografia). Ispirato a fatti
realmente accaduti, Revenant segue la
storia dell’esploratore Hugh Glass,
abbandonato in fin di vita – dopo un
brutale attacco di un orso – da un
membro della sua squadra di cacciatori di
pelli (Tom Hardy). Tra pene
inimmaginabili, Glass lotterà contro un
S
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
inverno inarrestabile, in un terreno
inesplorato. Fortemente caratterizzato
dallo straordinario lavoro del direttore
della fotografia Emmanuel Lubezki
(premiato per la terza volta consecutiva
dall’Academy), il film è arricchito da
contenuti speciali imperdibili: oltre alle
scene tagliate ed estese, infatti, è
disponibile il documentario Un mondo
sconosciuto, che trasporta gli spettatori
direttamente nell’America del xIx secolo e
mostra, attraverso il contributo del regista
e di Di Caprio, il pensiero dietro Revenant
e il parallelismo con il nostro mondo.
diStr. 20TH CENTURy FOx H.E.
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Laclasse
deiclassici
a cura di Bruno Fornara
Il romanzo di
Thelma Jordon
Il titolo originale è The
File of Thelma Jordon. Si
trova anche “Jordan” al
posto di “Jordon”. “File”
nel senso di “dossier”,
“fascicolo”, qualcosa che
ha a che fare con
un’inchiesta, un caso
giudiziario. Il titolo italiano
dice “romanzo”, storia
romanzesca, storia
d’amore. Vanno bene
tutte e due le accezioni:
questo bel film del grande
specialista Robert
Siodmak è un noir, un
caso giudiziario e un
melodramma, tutto
insieme. C’è una donna
che è la dark lady ma è
anche la donna
innamorata (che
uccide...). C’è un giudice
sposato e attaccato alla
bottiglia che incontra la
dark lady e se ne
innamora. C’è un
processo a lei che ha
ucciso. Lui, Wendell
Corey, costruisce
un’intricata tela per
salvare lei e vi finisce
dentro. Lei, Barbara
Stanwick, è perfetta nel
doppio gioco al punto da
restarne anch’essa irretita.
Certo, c’è molta fatalità
ma c’è soprattutto quella
visione nerissima che le
vittime sono soprattutto
vittime di se stesse.
Regia Robert Siodmak
Con W. Corey, B. Stanwick
Genere Noir (Usa, 1949)
Distr. Golem Video
aprile 2016
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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/// Dvd e Blu-ray ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
TELECOMANDO
knock knock
Rimasto da
solo il giorno
della Festa
del Papà,
Evan Webber
– sposato e
con due figli – sente
bussare alla porta e si
ritrova davanti due giovani
e avvenenti donne che
trasformeranno la sua vita
da sogno in un incubo a
occhi aperti. In Limited
Edition + Booklet (Blu-ray
e Dvd) l’horror di Eli Roth
mai uscito in sala, con
Keanu Reeves. Negli extra
interviste al cast, scena
alternativa, finale
alternativo e making of del
film. Disponibile dal 14
aprile.
DISTR. KOCH MEDIA
Lo straordinario
viaggio di T.S.
Spivet
A dieci anni, il
brillante T.S.
Spivet lascia
segretamente
il ranch di
famiglia nel
Montana, dove vive con la
madre scienziata ed il
padre cowboy, e viaggia
attraverso il paese a bordo
di un treno merci per
ricevere un premio allo
Smithsonian Institute.
Anche in Blu-ray 3D
l’ultima avventura di JeanPierre Jeunet, con
divertenti e interessanti
approfondimenti negli
extra: “L’adattamento”,
“Creare un film in 3D”, “Il
T.S. Perfetto”, “La famiglia
Spivet”.
DISTR. KOCH MEDIA
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2016
Il ponte delle spie
Spielberg e la Guerra Fredda, su script dei Coen con Tom Hanks eroe “comune”
Buon successo di critica e
ottimo riscontro di pubblico, Il
ponte delle spie di Steven
Spielberg arriva dal 6 aprile in
Blu-ray e Dvd dopo aver vinto
l’Oscar per il migliore attore non
protagonista (Mark Rylance).
Thriller storico-biografico tratto
da una storia vera e sceneggiato
dai fratelli Coen, il film è
interpretato da Tom Hanks, che
veste i panni dell’avvocato James
Donovan. Legale assicurativo di
Brooklyn, viene ingaggiato dalla
CIA durante la Guerra Fredda per
negoziare il rilascio di un pilota
americano catturato dai sovietici.
E, grazie alla sua integrità morale
e senso di giustizia, Donovan –
anche a costo di scelte difficili
contro le indicazioni della CIA
stessa – riuscirà a gestire quella
missione solo apparentemente
impossibile.
Numerosi e interessanti i
contenuti speciali presenti
nell’edizione Blu-ray: oltre alle
interviste al cast,
approfondimenti e documentari
sul contesto storico, come “Un
caso durante la guerra fredda:
Il ponte delle spie”, “Berlino 1961:
ricreare il muro”, “Scambio di
spie: uno sguardo all’atto finale”.
DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E.
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Quo vado?
Il fenomeno zalone arriva in salotto dopo il record d’incassi
Dopo
l’incredibile
exploit al
botteghino
(oltre 65
milioni di
euro), arriva in Blu-ray e
Dvd – dal 20 aprile –
l’ultimo successo con
Checco Zalone. Che
stavolta interpreta un
ragazzo che ha realizzato
tutti i sogni della sua
vita: voleva vivere con i
suoi genitori evitando
così una costosa
indipendenza e c’è
riuscito, voleva essere
eternamente fidanzato
senza mai affrontare le
responsabilità di un
matrimonio con relativi
figli e ce l’ha fatta, ma
soprattutto, sognava da
sempre un lavoro sicuro
ed è riuscito a ottenere il
massimo: un posto fisso
nell’ufficio provinciale
caccia e pesca.
Con questa meravigliosa
leggerezza Checco
affronta una vita che fa
invidia a tutti. Un giorno
però tutto cambia. Il
governo vara la riforma
della pubblica
amministrazione che
decreta il taglio delle
province. Convocato al
ministero dalla spietata
dirigente Sironi, Checco
è messo di fronte a una
scelta difficile: lasciare il
posto fisso o essere
trasferito lontano da
casa.
Per Checco il posto fisso
è sacro e pur di
mantenerlo accetta il
trasferimento. Anche a
costo di arrivare al Polo
Nord…
DISTR. WARNER BROS. H.E.
Il Trono di Spade
Tutto può accadere a Broadway
Accolto con
enorme favore
alla Mostra di
Venezia 2014
(fuori
concorso) e
uscito molto dopo in sala –
con esiti poco lusinghieri – è
disponibile in Blu-ray e Dvd
dal 5 aprile il gustosissimo
ritorno del fresco
ultrasettantenne Peter
Bogdanovich. Un film che
riporta in auge i meccanismi
della screwball comedy, un
congegno narrativo che
tende a risolvere gli
equivoci nel momento
stesso in cui si presentano,
alimentandone poi di nuovi.
Isabella “Izzy” Patterson
(Imogen Poots) è una
giovane squillo che aspira a
diventare attrice. O piuttosto
una giovane attrice che si
arrangia a sbarcare il lunario.
Una notte s’imbatte in
Arnold Albertson (Owen
Wilson), affermato regista
con passioni da filantropo.
Arnold le offre 30.000 dollari
per coltivare i suoi sogni e
realizzare se stessa.
Si innesca così una gi randola
di eventi inaspettati ed
incredibili equivoci che
cambieranno la vita di tutte
le persone che Izzy conosce,
dalla sua stralunata
psicanalista (Jennifer
Aniston) fino ad un
misterioso detective
(George Morforgen). Ma
attenzione ai cammei
eccellenti, Tarantino su tutti.
Il 24 aprile inizierà
l’attesissima sesta
stagione del serial HBO.
Se siete colpevolmente
ignari e volete correre ai
ripari o se avete
finalmente deciso di
collezionare la vostra serie
preferita, l’occasione arriva
il 20 aprile: in Blu-ray e
Dvd il cofanetto che
contiene le stagioni
complete 1-5 con
un’infinità di contenuti
speciali. Winter is
coming…
DISTR. WARNER BROS. H.E.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
aprile 2016
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TELECOMANDO
/// Serie Tv ///---------------------------------------------------------------------
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22.11.63
[canale 106 - 112 di Sky]
Dall’11 aprile in anteprima per l’Italia la serie tratta dal bestseller di Stephen King
T
ratta dall’omonimo bestseller di
Stephen King e prodotta dallo
scrittore insieme a J. J. Abrams
arriva dall’11 aprile su Fox (canale 106
e 112 del bouquet Sky), ogni lunedì
alle 21.00, 22.11.63, serie evento in
otto episodi diretta da Kevin
Macdonald e interpretata da James
Franco. Il titolo fa riferimento alla
data della morte di John F. Kennedy
e la serie, proprio come il romanzo di
piccolo schermo
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King, segue le vicende di Jake
Epping, un insegnante di letteratura
inglese da poco separato dalla
moglie. Quando l’amico Al
Templeton (Chris Cooper) gli rivelerà
l’esistenza di un varco spaziotemporale che conduce chiunque lo
oltrepassi al 21 ottobre 1960, la vita di
Jake cambierà per sempre. E dopo
qualche titubanza, deciderà di
tornare nel passato per provare a
sventare l’omicidio di JFK.
Garantendo (?) così all’umanità un
presente migliore: ma riscrivere la
storia non è così semplice come
potrebbe apparire... Nel cast della
serie troviamo anche Josh Duhamel,
Sarah Gadon, T.R. Knight e Cherry
Jones. Sempre l’11 aprile, su National
Geographic Channel (canale 403 di
Sky) alle 22.30, andrà in onda lo
speciale JFK: le ultime 24 ore.
a cura di Federico Pontiggia
o.J. Simpson
Gregory Peck
Una scomoda verità
Fox crime
Studio universal
Studio universal
Dal 6 aprile ogni
mercoledì alle 21.00
American Crime Story:
The People v. O.J.Simpson,
serie sul processo-show
iniziato nel ’95.
Il 5 aprile 1916 nasceva
Mr. Peck, il lunedì:
Duello al sole,
I cannoni di Navarone,
Arabesque, La notte
dell’agguato.
Il 22 aprile alle 18.50,
la Giornata della Terra
con l’eco-doc (2006)
di Davis Guggenheim
sul riscaldamento
globale.
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WORLDWIDE
Percorsi di vita
Il nuovo drama NBC remake del format turco
Suskunlar (Silenziosi), venduto in oltre 30
paesi. Tra Mystic River e Sleepers
a cura di Angela Bosetto
Wynonna earp
(Première: 1 aprile)
A dispetto della data, non si
tratta di uno scherzo: la serie
fanta-western tratta dal
fumetto di Beau Smith è
pronta a esordire su Syfy. La
showrunner è emily Andras (la
stessa di Lost Girl), mentre il
ruolo della pistolera Wynonna
earp, discendente del
leggendario sceriffo Wyatt e
impavida cacciatrice di mostri,
spetta a Melanie Scrofano, che
non avrà i capelli biondi e le
cur ve esplosive della sua
controparte cartacea, ma ha
promesso ai fan di essere
altrettanto tosta, sarcastica e
agguerrita.
The Girlfriend
experience
(Première: 1 aprile)
Game of Silence
L’avvocato Jackson Brooks (David
Lyons) è un vincente. Ha una bella fidanzata e lo studio per cui lavora sta
per farlo socio, ma quell’apparenza perfetta si incrina quando riappaiono Gil
(Michael Raymond-James) e Shawn
(Larenz Tate), i suoi migliori amici d’infanzia, che non vede da quando, adolescenti, scontarono insieme nove mesi in
un carcere giovanile.
Anche se la trama fa pensare a Mystic
(Première: 7 aprile)
River, in realtà il nuovo drama della
NBC è il remake della serie turca Suskunlar (Silenziosi, evento in patria e
venduta in oltre trenta paesi), scritta
da Pinar Bulut combinando un’inchiesta giornalistica sugli abusi perpetrati
nella prigione di Pozanti con le atmosfere del romanzo Sleepers. A occuparsi dell’adattamento americano è
David Hudgins, penna di Everwood,
Friday Night Lights e Parenthood.
nel 2009 Steven Soderbergh
ha diretto l’omonimo film con
protagonista Sasha Grey, oggi
ne produce la versione
“seriale”, che approda su Starz
dopo una favorevole
anteprima al Sundance Film
Festival. Tocca a Riley Keough
(Mad Max: Fury Road)
(s)vestire i panni di Christine,
brillante studentessa e stagista
presso uno prestigioso studio
legale a Chicago, che viene
irresistibilmente attratta dal
lusso, dal potere e dai ricchi
(nonché facili) guadagni che si
ottengono facendo l’escort
d’alto bordo.
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TELECOMANDO
/// Borsa del cinema ///------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
A COLPI
DI DDL
I tempi per una nuova
legge sul cinema sono
maturi: la spunterà
la proposta Di Giorgi o
quella del ministro
Franceschini?
di Franco Montini
A
Arriverà finalmente una nuova
legge sul cinema in sostituzione
del provvedimento che governa
il settore e che, espressione di una
realtà superata, risale a più di 50 anni
fa? Sull’urgente, improrogabile necessità di una nuova legge, il consenso è
unanime e, forse, è davvero la volta
buona. Da una parte c’è l’impegno della
Commissione Cultura del Senato e in
prima persona della senatrice del PD
Rosa Maria Di Giorgi, firmataria di un
disegno di legge attualmente in discussione, dall’altra l’iniziativa del governo,
che, a fine gennaio, ha presentato un
secondo disegno di legge di matrice
ministeriale, fortemente sponsorizzato
anche dal premier Matteo Renzi.
Ispirato al modello francese, il ddl Di
Giorgi introduce alcune importanti
novità, prima fra tutte, da un punto di
vista economico, è l’introduzione di un
prelievo di scopo da applicare a tutti i
soggetti che utilizzano il cinema: sala,
televisione, home video,
rete, provider, telefonia. In
questo modo, proprio come
avviene in Francia, il cinema
potrebbe autofinanziarsi con la
creazione di un tesoretto di risorse
da distribuire a tutta la filiera ed in particolare alla realizzazione di cinema di
qualità, ovvero al segmento di produzione più emarginato dal mercato. Su
questo specifico punto, che è essenziale, il ddl Franceschini, pur prevedendo
un sostanzioso aumento delle risorse
pubbliche per il settore audiovisivo, con
una soglia minima di 400 milioni di
euro annui, più del doppio rispetto a
quanto attualmente a disposizione, non
prevede un prelievo aggiuntivo per i
soggetti che beneficiano di proventi tramite il cinema, bensì la destinazione al
settore cinema di una quota dell’Ires e
dell’Iva versate dai soggetti che operano nel settore. Di fatto non sarebbero le
imprese a sostenere il cinema, ma lo
Stato rinunciando ad una parte delle
sue entrate.
Altra sostanziale differenza, per cui non
sembra facile, come da più parti si è
auspicato, poter arrivare ad un’armonizzazione fra i due progetti, è la destinazione delle risorse. Il ddl Franceschini
prevede un automatismo delle assegnazioni in base ai risultati ottenuti precedentemente dalle singole produzioni e
riservando solo il 15% del totale a contributi selettivi, destinati a nuovi autori,
esordi, opere sperimentali. Di fatto si
tratta di un meccanismo che favorisce la
produzione più commerciale, penalizzando le piccole e medie imprese. Al
contrario, la filosofia del ddl De Giorgi
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Surfing
@Marco_Spagnoli
Cinguettii presidenziali
L’endorsement USA corre su Twitter e Facebook
U
sembra essere indirizzata ad aiutare
prevalentemente imprese ed autori
emergenti, nella convinzione che i poteri forti del cinema siano già sufficientemente tutelati e possano trovare le
necessarie risorse confrontandosi sul
mercato. Altri aspetti destinati a suscitare discussioni sono l’introduzione di
nuovi soggetti creati per la governance
del settore: il Centro Nazionale del
Cinema nel ddl Di Giorgi; il Consiglio
Superiore nel ddl Franceschini. In
entrambi i casi gli enti previsti ed ipotizzati non hanno mancato di suscitare
perplessità: il primo per una struttura
eccessivamente elefantiaca, il secondo
per l’eccessivo potere del governo nella
scelta dei commissari.
Cosa accadrà concretamente non è
facile prevederlo, perché le differenze
fra i due progetti non sono di poco
conto, ma soprattutto perché sorprendentemente entrambi i ddl nascono da
una stessa area politica: il PD.
na volta
c’erano le
veline e le
Convention, le
interviste a radio e
quotidiani, i dibattiti
in Tv. Oggi, la
campagna elettorale
per eleggere il 45°
Presidente degli Stati
Uniti si caratterizza
per un’onnipresenza
amplificata dai Social
Media.
E Hollywood,
ovviamente, scende
nell’arena
esprimendo consenso
per questo o quel
candidato (di solito
democratico) e
sparando ad alzo
zero contro il
dibattito
repubblicano e al suo
unico, vero, grande
protagonista
mediatico: Donald
Trump.
Dal ‘solito’ Michael
Moore al comico
Louis Ck, solo per
citarne alcuni, stelle
di prima e seconda
grandezza
partecipano in
maniera attiva,
attraverso Twitter o
Facebook, arrivando
ad una vera e propria
dichiarazione di voto.
Come nel caso di
Schwarzenegger, che
su Twitter ha
annunciato il suo
sostegno al collega di
partito, il
repubblicano John
kasich o come Mark
Ruffalo e Spike Lee in
favore del
democratico Bernie
Sanders che, però,
sembra avere meno
appeal della rivale
Hillary Clinton.
In un’era come la
nostra, un tweet o un
post possono
influenzare molto
l’elettorato. Ecco
quindi nascere
account gestiti dai
team dei diversi
politici:
@celebsforbernie è
dedicato ai
sostenitori (famosi) di
Sanders, mentre sui
siti dei principali
quotidiani si possono
leggere elenchi di
artisti schieratisi in
favore di questo o di
quel candidato: katy
Perry e Lena Dunham,
kerry Washington,
Beyoncé, Robert De
Niro e kim kardashian
votano Hillary; Danny
De vito, Neil young,
Will Ferrell e Susan
Sarandon per
Sanders; mentre
Donald Trump deve
accontentarsi di Mike
Tyson e Stephen
Baldwin.
A dispetto delle
classifiche e dei
gradimenti degli altri
utenti, vale la pena
citare il tweet dello
scrittore Stephen
king durante uno dei
dibattiti repubblicani:
“Il Mondo intero ci
ride dietro,
QUALCUNO
zITTISCA QUESTI
CLOWN!” Che, poi,
scritto dall’autore di
IT, fa decisamente un
certo effetto.
Il candidato
alla Casa
Bianca Donald
Trump
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/// Libri ///------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
TELECOMANDO
Arrivano i nostri
Jacqueline
Reich, Catherine
o’Rawe
Divi. La
mascolinità nel
cinema italiano
Meno venerati delle colleghe e
più umani rispetto alle stelle di
Hollywood, i divi italiani hanno
conquistato il pubblico grazie
un’immagine virile che mescola
carisma e fragilità. Le autrici ne
spiegano i motivi attraverso un
percorso che parte dalle star
del cinema muto Bartolomeo
Pagano ed Emilio Ghione per
arrivare ai contemporanei Toni
Servillo (il prediletto del cinema
d’autore), Riccardo Scamarcio
(ex beniamino delle adolescenti
tramutatosi in presenza rassicurante per lo spettatore medio),
Roberto Benigni e Carlo Verdone (esponenti del “regionalismo
comico”), passando per Vittorio De Sica, Amedeo Nazzari,
Raf Vallone, Vittorio Gassman,
Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e Gian Maria Volonté.
(Donzelli, Pagg. 160, € 21,00)
Più umani delle
inavvicinabili stelle
hollywoodiane,
i divi del nostro
schermo. Dal muto
a oggi
Uomini
veri
AnGeLA BoSeTTo
Infedele alla linea
Pier Paolo
Pasolini
Il mio cinema
I tanti, troppi sproloqui su Pasolini l’hanno ribadito: il modo
migliore di celebrare i morti è
continuare a farli parlare con
le loro parole.
(Pre)detto, fatto: Il mio cinema, curato da Graziella Chiarcossi e Roberto Chiesi, accompagna gli stupendi scatti
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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(350) sui set dei suoi film ai
testi, dalle interviste ai lacerti
di sceneggiatura e i dattiloscritti inediti, in cui lo stesso
PPP si espresse sul cinema.
Sulle opere realizzate, da Accattone a Salò, e quelle non
trasformate, da Il padre selvaggio a Porno-Teo-Kolossal,
il basso continuo è la verità,
questa sconosciuta: “Io affronto il problema del Terzo
Mondo, ma il mio destinatario – dichiarò di Medea – non
è il Terzo Mondo”. Ditelo, ai
terzomondisti di oggi.
(Cineteca di Bologna, Pagg.
280, € 29,00)
FeDeRICo PonTIGGIA
L’arte di raccontare
Federico Di Chio
American
storytelling. Le
forme del
racconto nel
cinema e nelle
serie tv
Se parliamo dell’arte di narrare storie, Hollywood è la fabbrica del racconto all’americana per eccellenza: quali sono i temi, i valori, le strutture
drammaturgiche e le tipologie di personaggi che sorreggono i film e le serie televisive statunitensi? In che modo
queste componenti hanno attraversato oltre un secolo di
spettacolo, quali sono rimaste immutabili e quali sono
cambiate, ma soprattutto
perché?
Come Netflix è riuscita a
scomporre i titoli del proprio
catalogo nei singoli elementi
che ne determinano il gradimento tramite un sofisticato
algoritmo (in modo da poter
consigliare ai clienti storie in
linea con i loro gusti personali) così si propone di fare l’autore con Hollywood grazie a
questo il libro.
(Carocci, Pagg. 192, € 15,00)
AnGeLA BoSeTTo
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Marcello
Mastroianni
Umberto Eco lo salutavano come uno dei fenomeni più eclatanti della “cultura di massa”,
Alberto Abruzzese, Nello Barile, Paolo Fabbri, Gian Piero Jacobelli, Gian Franco Lepore
Dubois, Valerio Magrelli, Andrea Miconi, Massimo Negrotti
e Giovanni Scipioni sottolineano quanto 007 ci appartenga,
in virtù del suo cambiare e attraversare i decenni restando
sempre se stesso, in un’odissea
in cui dopo ogni fine si torna
allo stesso inizio.
(Rubbettino, Pagg. 208, € 15,00)
Gattopardo
Un
lungo
viaggio
Il decano Gian Luigi Rondi si
racconta. In 50 anni di diari e
annotazioni
di Chiara Supplizi
ChIARA SUPPLIZI
Un attore, mille volti
Massimo Giraldi
Gabriele Ferzetti
Agente 007
A. Abruzzese,
G.P. Jacobelli
Bond, James Bond.
Come e perché si
ripresenta l’agente
segreto più famoso
al mondo
James Bond, nato nel 1952 dalla penna di Fleming e approdato al cinema 10 anni dopo,
con il volto di Sean Connery, in
Agente 007 - Licenza di uccidere, grazie alla sua longevità e
ai suoi numerosi interpreti si è
inscritto nel mito. E se già negli
anni ’60, Oreste del Buono e
Si è congedato dalla scena della vita nel 2015, all’età di 90 anni. Gabriele Ferzetti, raffinato
ed eclettico interprete, è stato
un protagonista importante
della storia del cinema e del
teatro del Novecento, dimostrandosi attore versatile ed
atipico. Nella sua carriera ha lavorato con Soldati (La provinciale), Cavani (Il portiere di
notte), Leone (C’era una volta
il West), fino all’esordio alla regia di Edoardo Leo Diciotto
anni dopo (2010). Da non dimenticare, poi, le tante esperienze internazionali, tra cui
Agente 007. Al servizio di sua
maestà. Il pregio dell’opera di
Giraldi è quello di aver ricostruito con attenzione la carriera di Ferzetti, rendendo così
giustizia alla memoria di un
grande interprete.
(Tabula Fati, Pagg. 100, €€10,00)
Gian Luigi Rondi
le mie vite allo
specchio. diari
1947-1997
Edizioni Sabinae
Pagg. 1308
€ 50,00
Ne Le mie vite allo specchio, come in
caleidoscopio, il critico e lo storico
cinematografico, il saggista,
l’operatore culturale, lo sceneggiatore,
il regista, l’attore, il direttore della
Mostra del Cinema di venezia, il
presidente della Biennale, del Festival
di Roma e in ultimo, ma solo in ordine
di tempo, dei David di Donatello si
mescolano nei resoconti di giornate
vissute e raccontate con eleganza ed
entusiasmo. Una lettura coinvolgente
in cui si alternano brevi annotazioni e
resoconti di viaggi, incontri ed eventi
mondani, riflessioni sull’Italia del xx
secolo scritti rigorosamente su
quaderni a righe rilegati in tela nera e
custoditi per anni nello studio di Gian
Luigi Rondi. Una vera e propria
vocazione diaristica assecondata dal
1947, su consiglio di Andreotti, in cui
sono le considerazioni e i pensieri ad
accompagnare gli avvenimenti
creando un palcoscenico su cui si
alternano artisti e politici, dive e
personalità ecclesiastiche, eventi
culturali e festival cinematografici.
Un lungo viaggio nella nostra storia in
cui la passione per la vita e per il
cinema si incontrano e si confrontano,
mantenendo un confine davvero
labile. Un libro ricco di notizie,
aneddoti, una fucina di polemiche e
battibecchi in cui il mondo del cinema
si intreccia alle trasformazioni della
cultura e del costume. Un tesoro a cui
attingere per ricordare chi siamo e da
dove proveniamo.
SeRGIo PeRUGInI
Gian Luigi Rondi
all’Auditorium di Roma
quando era presidente
del Festival capitolino
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TELECOMANDO
/// Colonne sonore ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
CInQUe PeR Un DAVID
David Lang, già candidato all’Oscar
con Simple Song #3, per lo score di
Youth o Ennio Morricone,
oscarizzato per The Hateful Eight,
con l’OST de La corrispondenza di
Tornatore? E se invece toccasse a
Paolo Vivaldi, che in collaborazione
con Alessandro Sartini musica Non
essere cattivo? In lizza anche
Michele Braga e Gabriele Mainetti
per Lo chiamavano Jeeg Robot e il
francese Alexandre Desplat per Tale
of Tales di Garrone. Chi di questi
magnifici cinque la spunterà ai
60esimi David di Donatello? La
musicale risposta il 18 aprile.
F.P.
EFFETTO DOMINA...
Come in While We’re Young, Noah Baumbach
affronta con tocco leggero il confronto fra
generazioni, con i più giovani destinati a prendere il
posto dei propri mentori. Stavolta, però, il commento
musicale “nostalgico” è più elaborato ed ambizioso.
Baumbach affida la soundtrack (come già nel
precedente The Squid and the Whale del 2007) al
duo indie Dean Wareham/Britta Phillips (ex Luna),
coppia perfetta per una odierna rielaborazione del
sound rétro. Il registro è un synth pop anni ‘80 che
manderà in sollucchero i sopravvissuti degli anni
ottanta: la title track Mistress America, con quel riff di
basso e i sintetizzatori in primo piano, sembra uscita
da un album dei New Order. In Tracy & Tony la
chitarra arpeggia melodica come nei Cure più
commerciali, per poi dialogare con le tastiere nella
b ellissima Tracy in New York. C’è aria di Ocean Blue,
ma ascoltando frammenti “da strada” come Do
Everything (Gas Station) la mente torna anche ai
contrappunti elettropop di Giorgio Moroder. E non
mancano le fissazioni di Baumbach, i “suoi” personali
anni ‘80: ancora McCartney (No More Lonely Nights),
gli OMD di Souvenir, gli struggenti Suicide di Dream
Baby Dream, gli Hot Chocolate di You Could’ve Been
A Lady. Dean e Britta, per il resto, fanno tornare
indietro nel tempo chi quel tempo lo ha vissuto.
GIAnLUIGI CeCCAReLLI
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on aiR
Chi non conosce il
programma radiofonico Lo
zoo di 105? vita, miracoli e
sconfitte del suo creatore,
il dj Marco Mazzoli, in On
Air – Storia di un successo,
dove la musica –
incredibilmente? - non la fa
da padrone. O tempora, o
mores!
F.P.
10 cLoveRFieLd Lane
Musicare il sequel di Cloverfield
tocca a Bear McCreary,
compositore seriale – da Battlestar
Galactica a The Walking Dead –
premio Emmy per Da Vinci’s
Demons. Claustrofobia e minaccia
per basso continuo, il suo score,
per cui ha potuto disporre di un
orchestra di 90 elementi, lavora
sull’acustico per ottenere un effetto
al sintetizzatore, complice quel
Blaster Beam impiegato già in Star
Trek: The Motion Picture. Se il
retaggio tv si fa sentire, non manca
il citazionismo cinematografico,
ovvero il morriconiano C’era una
volta il West.
F.P.
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