40 — l’altra musica
Arrivano i Litfiba,
«tornati per restare»
Italia, scavalcando gli anni ottanta e passando dalla wave degli esordi a un miscuglio di hard e pop dal successo, anche commerciale, inarrestabile. Pelù non rinuncia,
anche in mezzo al vortice delle nuove date, a ribadire che
«non ci sono rimpianti in quello che ho fatto e nemmeno
timori per ciò che farò. Cerco di vivere nell’attimo, senza follie gratuite».
Quindi, questo riavvicinamento con Ghigo è frutto dell’impulso o
di un calcolo?
Impulsivo, lo giuro. Dopo un decennio, la voglia di saa cura di John Vignola
lire assieme su un palco si era fatta impellente, inarrestabile. Ho trovato esattameniamo tornati per restare »: parote la mia controparte, ai concerti, e non ci
le lapidarie di Piero Pelù, spese per
mettere in chiaro il senso di que- Jesolo – Palazzo del Turismo sono acredini o rimozioni che ci possano
far desistere.
sta reunion, in realtà una vera e propria ri27 novembre, ore 21.00
Eppure lo strappo, fra di voi, è stato importante.
appacificazione fra lui e Ghigo Renzulli.
Dopo anni e anni di convivenza, anche i grandi matriEra il 10 luglio del 1999 quando i due salirono per l’ultimoni finiscono. Come ho già detto, non vivo di rimpianma volta sul palco, prima di un decennio in cui i Litfiba
ti: però il tempo accomoda e smussa i punti di vista e, sohanno cercato altre strade, non sempre maestre, senza la
prattutto, lenisce le tensioni che magari si accumulano
voce di Piero. Contrasti insanabili, caratteri differenti, didurante un tour.
chiarazioni tutt’altro che pacifiche, da parte di entrambi.
Avete ricominciato proprio con una serie di concerti. Riuscite a
Stato libero di Litfiba, doppio cd live, con inediti annessi,
non litigare, quindi.
riporta alla meLe energie e il piacere per ogni serata, il rapporto con il
moria i momenpubblico e la gioia, pura, di collaborare di nuovo assieme
ti più gloriosi di
sono talmente forti che non c’è spazio per altro.
una band che ha
In tutto questo florilegio, c’è spazio pure per un album intero, in
cambiato il pastudio?
norama rock in
Chissà. Si vive di emozioni, non è vero?
Certamente. Avrebbe mai immaginato che da Firenze sarebbe
potuto nascere il gruppo «rock» più importante del secolo (scorso)?
Non so se questo appellativo abbia senso, però devo
dire che Firenze, negli ottanta, è stata una capitale della
musica cosiddetta «underground». Si aveva la netta sensazione che stesse succedendo qualcosa di importante:
c’erano negozi di dischi, locali, un fermento continuo.
Non immaginavo di sicuro un futuro come quello che
ho effettivamente vissuto. Però ero sicuro che la scena fiorentina non sarebbe evaporata troppo in fretta.
Oggi avvertirebbe lo stesso entusiasmo, in una città come quella?
Attualmente sono cambiate molte cose. Forse la musica è meno urgente, forse ci sono altre forme espressive. Negli ottanta si suonava per socializzare, trovare ragazze, uscire da un malessere che era collettivo. Adesso il malessere è più insidioso, lo si nutre da soli, e qualche volta diventa intolleranza, cattiveria.
C’è allora meno spazio per le forme di espressione
musicali, artistiche?
Forse sì. Non vorrei però sembrare apocalittico: tocco
con mano l’entusiasmo di chi ci viene a sentire e vedo
che ci sono parecchi ragazzi che vogliono esprimersi
con le canzoni, che hanno il desiderio di formare un
gruppo, che nutrono una passione forte. Devono
solo combattere un po’ di più di quanto abbiamo
fatto noi: non avevamo niente, abbiamo dovuto aprire una strada.
Be', apparentemente un’impresa faticosa.
Chiaro. Però, poi, la strada era tutta nostra. Di questi tempi non si trova nemmeno
un sentiero poco affollato. Si deve puntare
all’originalità, a ogni costo. E non è facile. ◼
A Jesolo la band
di Piero Pelù e Ghigo Renzulli
l’altra musica
«
S
I Litfiba.
l’altra musica — 41
Un progetto
«Beautiful»
(il brano che più assomiglia a una canzone) è il singolo
scelto per promuovere l’album. L’elettronica «Single Tool», la meditativa «Fatiche», «White Rabbit», cover di un
brano dei Jefferson Airplane, seguita dall’ipnotica «Suzuki», l’oscura e reggaeggiante «What’s My Name» cantata
da Howie B, i suoni dilatati di «Giorgis», quasi un omaggio all’orizzonte sonoro di Brian Eno; e poi ancora «Gorilla», il pezzo più «cattivo» dell’album, i quattordici minuti di «Flowers» fino alla chiusura con «I Can Play and I
Don’t Want Too». Tutti i testi sono in inglese, principaldi Tommaso Gastaldi
mente perché era il modo più diretto per comunicare con
Howie B; ma la scelta è stata fatta anche in virima di quel giorno d’estate non si
sta di una possibile esportazione del disco su
erano mai incontrati, eppure avevano
mercati esteri. Ma chi sono questi cinque arlavorato a distanza al medesimo proRoncade (Tv)
tisti che stanno dietro il pomodoro rosso digetto. Ai Marlene Kuntz e Gianni Maroccolo
New Age Club
segnato sulla copertina del cd? In realtà non
era stato chiesto di creare delle musiche che
3 dicembre, ore 21.00
ci sarebbe bisogno di presentazioni. I Marlepoi Howie B avrebbe prodotto e remixato. Il
ne Kuntz (che nella loro formazione tipo sono in cinque
pretesto per questo incontro è l’Indeepandace, una specie
mentre in questo lavoro ha partecipato il nucleo storico)
di astronave multimediale che coinvolge musica, cinema,
sono una delle più importanti band del panorama musipoesia e videoinstallazioni, messa in scena a Milano nel
cale italiano. Sette dischi all’attivo e uno, Ricoveri virtuasettembre del 2008. Quando, in maniera del tutto casuali e sexy solitudini, in uscita il 23 novembre. Sperimentatole, gli artisti si ritrovano faccia a faccia nasce un’inaspetri instancabili dei vari territori del rock, nascono nel 1990
tata amicizia; in particolare Cristiano Godano e Howie
da un’idea del chitarrista Riccardo Tesio e del batterista
B passano gran parte della serata a parlare, condividere,
Luca Bergia. Gianni Maroccolo è un riferimento assoluaddirittura a pensare di poter lavorare a un progetto muto per la musica italiana, bassista dei primi Litfiba e poi
sicale comune. «Ci vediamo», «facciamo», «ti mando un
nei cccp di Giovanni Lindo Ferretti, ha poi coltivato ine-mail», «magari una sera ti chiamo, ci troviamo a cena e
ne parliamo»: di solito questo tipo di conversazioni non
finite collaborazioni e produzioni di nuovi artisti. Nato a
vanno oltre la sottile facciata delle pubbliche relazioni. E
Glasgow nel 1963, Howie B è un dj, musicista e produttoinvece alcuni mesi dopo, i nostri si ritrovano in un picre che ha collaborato tra gli atri con Bjork, Elisa (nell’alcolo teatro a Longiano, vicino a Cesena, con l’intenziobum Asile’s World) e U2, affiancandoli nel 1997 nella crene di dare vita a un nuovo disegno sonoro. Decidono da
azione dell’album pop. La maggior parte delle sessioni di
subito il nome, Beautiful, perché continuavano a trovaregistrazione di Beautiful sono state scenografate e riprere bello tutto ciò che stavano facendo. Un nome semplise da Fernando Maraghini e Maria Erica Pacileo; da quece, comune e immediato, perché, come spiega Howie B,
ste riprese, e da altro materiale inedito girato appositalo scopo è quello di spingere la bellezza verso il pubblimente, nascerà un film-documentario, che sarà presentaco attraverso la musica. Volontariamente reclusi nel Teato nel 2011. Intanto a ottobre è partito il tour, che porterà
tro Petrella (scelto da Gianni Maroccolo), suonano, proin vari club d’Italia, e poi sicuramente d’Europa, i suoni
vano, improvvisano. Registrano tutto. Due settimane di
del nuovo progetto: tenendo fede all’idea che sta alla sua
full immersion musicale, senza una direzione ben precisa,
base, le esibizioni dal vivo danno grande spazio all’imtrasportati dall’onda creativa che via via nasceva. Quello
provvisazione, in una continua ricerca della bellezza. ◼
che viene rinchiuso nelle dodici tracce del cd omonimo
– uscito il 14 settembre scorso per al-kemi records (label
Sotto: il progetto «Beautiful». Da sinistra: Cristiano Godano, Luca Bergia,
di Ala Bianca Group) – è il frutto di queste session: pezHowie B, Riccardo Tesio e Gianni Maroccolo (foto di Gianluca Moro).
zi che sono volutamente lontani dalla forma canzone, con pochi testi.
Idee musicali aperte, che spaziano dall’elettronica al blues e alla musica psichedelica. Un disco
che viaggia sulla distanza, volutamente indefinito e mutevole. «Pow Pow Pow»
è il brano d’apertura, un rock costruito su quello che sembra il
campionamento del battito
cardiaco durante un’ecografia. «Tarantino»
è un omaggio al
regista pulp, mentre «In Your Eyes»
Insieme Marlene Kuntz,
Gianni Maroccolo e Howie B
l’altra musica
P
42 — l’altra musica
La vita in sei corde
di Joe Satriani
Il chitarrista statunitense
in concerto a Padova
l’altra musica
di Tommaso Gastaldi
te pulito, ineccepibile a ogni passaggio, è velocissimo, anche se fortunatamente ha da tempo abbandonato l’inutile gara della maggior quantità di note suonate al secondo. Ha saputo coniugare la tecnica senza mai dimenticare il gusto per la melodia. Sarà forse per l’origine italiana ma i suoi dischi sono essenzialmente composti di canzoni, dove la parte melodica esce da una chitarra elettrica. Oltre al dichiarato amore per Hendrix e per altri illustri colleghi come Eric Clapton, Jimmy Page e Jeff Beck,
il suo modo di suonare risente della profonda influenza
del suoi primi maestri, il chitarrista jazz Billy Bauer e il
pianista Lenny Tristano. Con grande intuizione nel 1996
fonda i G3, un super trio formato dai più grandi guitar he-
Sono passati quarant’anni da quel 18 settembre 1970
quando Jimi Hendrix fu trovato cadavere nella stanza da
letto del suo appartamento di
Londra. Come molte altre leggende della musica ( Janis Joplin, Jim Morrison o Kurt Cobain), era morto a ventisette
anni: un’esistenza breve che
avrebbe però lasciato un segno indelebile nel mondo del
rock divenendo un punto di
riferimento per qualsiasi altro chitarrista o musicista di
lì a venire. Joe Satriani aveva
all’epoca quattordici anni e,
narra la leggenda, appresa la
notizia durante un allenamento di football, avrebbe immediatamente comunicato al suo
allenatore l’intenzione di abbandonare la squadra per diventare un chitarrista. Da quel
momento in poi gran parte
della sua vita la passerà con
una sei corde a tracolla, divenendo uno dei più grandi chitarristi viventi, assoluto innovatore sia a livello tecnico che
roes in circolazione e inizia una lunga tournée mondiastilistico. Per sbarcare il lunario, agli inizi Satriani imparle. Se all’inizio i suoi compagni d’avventura erano Steve
tisce lezione di chitarra e tra i suoi allievi ci sono musicisti
Vai e Eric Johnson, altri si alterneranno via via a formache diventeranno poi molto famosi: Kirk Hammett dei
re questo formidabile trio: Yngwie Malmsteen, Robert
Metallica, David Bryson dei Counting Crows e Steve Vai,
Fripp e Paul Gilbert, tanto per citarne qualcuno. Anche
che ricambiò il favore aiutandolo a muovere i primi passi
i Chickenfoot, gruppo in cui militano Sammy Hagar e
nello show business. Dopo la pubblicazione del suo priMichael Antony dei Van Halen e il batterista dei Red Hot
mo disco, Surfing with the Aliens (1989), che ottenne un diChili Peepers, Chad Smith, sono una sua idea: nel 2009
screto successo, Satriani viene chiamato da Mick Jagger
hanno pubblicato il loro primo disco (e pare ci sia abbaa seguirlo in giro per il mondo come chitarrista nel suo
stanza materiale per pubblicarne un secondo) fatto di un
primo tour senza i Rolling Stones, esperienza analoga a
rock metal sincero senza nessun obbiettivo se non quelquella del 1993 quando suona con i Deep Purple in sostilo del divertimento. In tutti questi anni Satriani ha pubtuzione di Ritchie Blackmore. La consacrazione planetablicato decine di album da studio: Flying in a Blue Dream
ria come rock star avviene nel 1992 con il disco Extremidel 1989, Crystal Planet del 1995, Super Colossal del 2006
st e in particolare con la canzone «Summer Song». Sono
sono alcuni dei titoli più venduti; l’ultimo lavoro, Black
diverse le motivazioni che spiegano l’estrema popolarità
Swans and Wormhole Wizards, è stato pubblicato nell’ottodi questo chitarrista italoamericano: è stato il primo a inbre di quest’anno. Con le sue chitarre ha esplorato tuttuire il potenziale di una produzione musicale sia discoti i generi che negli anni lo hanno ispirato, richiamando
grafica che concertistica incentrata sulla sei corde: il puba sé migliaia di fan da tutto il mondo, che magari grazie
blico compra i suoi dischi e va ai suoi concerti per sentiralla sua musica hanno iniziato a suonare. E per chi suolo suonare e magari per carpire qualche trucco. A diffena la chitarra elettrica, riuscire a imparare una delle tanrenza di altri suoi colleghi, che sovraccaricano le loro esite canzoni di Satriani equivale per un alpibizioni di simbolismi, richiami pseudo-minista raggiungere una vetta himalayana. ◼
tologici e vestiari improponibili che li rendono terribilmente kitsch, Satriani fa ciò Padova – Gran Teatro «Geox»
che meglio gli riesce: suona. Tecnicamen12 novembre, ore 21.00
Sopra: Joe Satriani.
l’altra musica — 43
I primi venticinque
anni dei Batisto Coco
me l’acqua alta e l’incessante via vai di turisti. E a vedere I
Batisto Coco in azione – anche quando li incontri per caso e in organico ridottissimo a cantare la celeberrima «Tatiana» sulle tavolate delle Vignole – quello che salta subito all’occhio è un’inesauribile energia e l’inesausto divertimento di suonare insieme. Ma se è vero che la loro tradi Leonardo Mello
scinante musica spesso può fungere da efficace, economico e innocuo antidepressivo, per l’innata capacità di
escolare le sonorità e i ritmi salsa con le parsorridere senza malizia anche sulle nostre miserie, bisoticolari cadenze del dialetto veneziano: in quegna stare molto attenti a non prendere il gruppo sottosta sfida si può riassumere la storia di un grupgamba. Oltre alla già citata provenienza «colta» di alcuni
po storico come i Batisto Coco, assai noto e apprezzato
dei membri, chi fa lo sforzo di andare al di là del ritornello
anche al di fuori dei confini lagunari. Una sfida che, dopo
orecchiabile ritroverà anche – oltre alla bravura indiscuventicinque anni di onorata carriera, si può certamente
tibile dei musicisti – un’inaspettata profondità testuale,
dire vinta, se si guarda al successo che accompagna quemascherata magari da battuta scherzosa. Un esempio
per tutti è la recente
«Clandestin», storia attuale quant’altre mai di migrazione coatta, e fotografia tutt’altro che
benevola del cosiddetto primo mondo e del suo senso
dell’ospitalità, che
in epoche diverse
contraddistingueva
proprio la cosmopolita Venezia. E a
ben guardare, poco
indulgente nei confronti di uno degli
sport più assiduamente praticati dai
pochi residenti rimasti è anche la solo apparentemente
bonaria «Spriss». I due brani menzionati appartengono
sta formazione e ai numerosi dischi incisi, che vanno dal
all’ultimo album uscito, Baroccococo, che riprende il discorprimo, intitolato appunto Batisto Coco, all’ultimo live che
so iniziato nel precedente Acqua alta. (2007). Se infatti
celebra 25 anni di musica e in cui trovano posto sedici tra i
quest’ultimo metteva in relazione le sonorità caraibiche e
migliori brani composti tra il 1993 e il 2010.
il dialetto veneziano con i grandi maestri del Novecento
In effetti questo ensemble, che riunisce strumenti– le tredici canzoni fanno ciasti di formazione eterogenea,
scuna esplicito riferimento a un
dal jazz al reggae alla classica
componimento di volta in vol– ad esempio Eddy De Fanti,
El pescaòr
uno dei fondatori e anima della Uno dei più geniali e poetici rifacimenti dei Batisto Coco è certa- ta di Varèse, Satie, Stravinskij,
band sin dal 1985, è stato fino mente «El pescaor» (2010), versione lagunare del «Carretero» di Boulez, Cage e così via – il laPortabales che è stata riportata in auge dai Buona Vi- voro uscito nel 2010 prima dela pochissimo tempo fa percus- Guillermo
sta Social Club.
la collection dal vivo compie la
sionista titolare nell’orchestra
medesima operazione nei condella Fenice – è ormai un’istiPer el canal visin casa mia un pescaòr vogando passò
E na canzon de malinconia, co’ la so camoma allegro cantò
fronti del Seicento, chiamando
tuzione cittadina. Questa fama
Me voria un trasportador per scaricar la sampierota
direttamente in causa Vivaldi,
gli deriva, oltre che dall’esplopar finir in belessa, el mio pesante lavor
Händel, il Buranello, Pergolesivo cocktail linguistico-ritmi
E vogando passo pa’l ponte
si, Purcell... Due esperimenti
co, anche dal tono scanzonato
E vogando passo pa’l ponte
Mi lavoro sin riposo para poderme sposar
assai riusciti di contaminazioe ironico con cui, canzone doe se riuscirò a realizar sarò un pescaòr orgoglioso
ne tra generi, categorie ed epopo canzone, narra le vicende
E vogando passo pa’l ponte
che: per i trent’anni di attividella gente normale, i sogni e
E vogando passo pa’l ponte
tà i Batisto Coco ci regalerani desideri ma anche le difficoltà
Mi so un pescaòr de laguna e in barca vivo ben
La barca xè la me vita, la più bela del mondo intero
no un mix tra salsa, merengue
della vita quotidiana, le paure, i
E vogando passo pa’l ponte
e madrigali cinquecenteschi? ◼
disagi e le frustrazioni, sottoli
E vogando passo pa’l ponte
neando ovviamente problemaVogar in laguna calar covoli ti ciapi el fruto del tuo suor.
tiche tipicamente lagunari co(Portabales – De Fanti)
Sopra: i Batisto Coco.
l’altra musica
M
44 — l’altra musica
San Servolo
Jazz Meeting 2010
ve sonorità. Il suo stile pianistico raccoglie ispirazioni
diverse: il jazz dei grandi maestri, Duke Ellington, Jelly Roll Morton e Thelonious Monk, ma anche la tradizione europea, in particolare il repertorio operistico. A
seguire, in una esclusiva serata «doppia», la coppia Wayne Horvitz (storico partner dei progetti più innovativi
di Ilaria Pellanda
di John Zorn) e Robin Holcomb, che si alterneranno alla tastiera a esploraiunto al suo settimo anno e reduce dal lure sperimentazione e canzosinghiero successo di pubblico e critine. Pianisti e compositoca della scorsa edizione, il San Serri originalissimi, Horvolo Jazz Meeting – rassegna realizzata
vitz e Holcomb sodalla Provincia di Venezia, San Servolo
no partner nella
Servizi, in collaborazione con Vortice/
vita e nella musica
Teatro Fondamenta Nuove – si conda più di trent’anferma uno degli eventi da non perdeni, alla guida di
re nell’autunno musicale, e non solo
molti gruppi e dia livello locale. È infatti un programrigendo insieme
ma di respiro internazionale quello che
la New York Comattende gli appassionati in questa nuoposers Orchestra e la
va avventura, una sorta di perlustrazione
Washington Composers
tra le espressioni creative del linguaggio jazOrchestra.
zistico di oggi, in un contesto in
A chiudere idealmente il cercui la forte globalizzaziochio di questa ricognizione tra tradizione
ne apre le porte a fore futuro, il concerto finale della rassegna, giome ed esplorazioni
vedì 25 novembre, che porterà sotto il fuoco
sempre mutevoli
dell’attenzione una delle formazioni chiae intriganti.
ve del jazz urbano di questi ultimi anni:
Il sipario si
si tratta del Chicago Underground Duo,
apre il 4 noformato dal cornettista Rob Mazurek e
vembre, con
dal percussionista Chad Taylor, tra Africa
un artista che
ed elettronica, post-rock e improvvisazioriassume molne. Nel 2010 hanno pubblicato uno dei loro
to bene l’incrodischi più riusciti, Boca Negra, nel quale, oltre
cio tra geografie e
alla materica sintesi e agli ipnotici groove cui
musiche: si tratta del
ci hanno abituati, si muovono su
percussionista di origiterreni più astratti ed evocativi.
ne indiana Ravish Momin
Parte integrante del San Ser(recentemente chiamato da Shavolo
Jazz Meeting 2010, e novikira a far parte della sua band),
Venezia
tà
di
questa edizione, è la serie
che nel suo Tarana Trio fonIsola di San Servolo
di «Jazz Conversations», che sade tradizione e contemporaneirà abbinata a ciascuno dei contà, con sonorità che si muovono
4 novembre, ore 18.45
Jazz Conversation 1
certi in programma. Ogni giodalle suggestioni asiatiche e afriLa compagnia delle Indie – Jazz e globalizzazione
vedì alle 18.45, durante tutto l’arcane alle inquietudini postmoconduce Marcello Lorrai
co del cartellone, un giornalista o
derne. Con lui sul palco il violi4 novembre, ore 21.00
uno studioso introdurrà l’appunno di Skye Steele e il violoncello
Ravish Momin Tarana Trio
tamento della sera, contestualizdi Greg Heffernan.
11 novembre, ore 18.45
zandolo all’interno dell’evoluzioGli appuntamenti dell’11 e del
Jazz Conversation 2
ne dei linguaggi del jazz di oggi,
18 sono dedicati al pianoforte e
Free e tradizione – From Ancient to the Future
e proponendo anche una serie di
vedono protagonisti, in un ideaconduce Enrico Bettinello
ascolti guidati, che forniranno
le confronto tra linguaggi e po11 novembre, ore 21.00
agli spettatori stimolanti chiaetiche, dapprima uno dei persoDave Burrell, pianoforte
vi di lettura per godere al menaggi storici del panorama cre18 novembre, ore 18.45
glio la musica del concerto. Gli
ativo afroamericano: si tratta di
Jazz Conversation 3
stessi artisti, invitati a partecipaDave Burrell, pianista e compoAmerica Coast to Coast – Geografie sonore in movimento
re, potranno inoltre scambiare
sitore di spicco della scena muconduce Veniero Rizzardi
opinioni e soddisfare la curiosisicale contemporanea (collabo18 novembre, ore 21.00
tà dei presenti, che si rilasseranratore storico di Archie Shepp,
Wayne Horvitz & Robin Holcomb: «Duo/Solo»
no poi al buffet prima di entraDavid Murray e William Par25 novembre, ore 18.45
re nell’atmosfera del concerto. ◼
ker), che tiene sulla punta delJazz Conversation 4
le dita un secolo di tradizione di
Sweet Ohm Chicago – Jazz ed elettronica
blues e di musica afro-americaconduce Stefano Merighi
na, perseguendo parallelamente
In alto: Trio Tarana.
25 novembre, ore 21.00
una costante ricerca verso nuoSopra, a sinistra: Chicago Underground Duo.
Chicago Underground Duo
l’altra musica
G
l’altra musica — 45
La stagione autunnale
tra danza e nuove sonorità
I
nato in Germania ma americano dell’Illinois, batterista
e compositore, Reed rappresenta con chiarezza l’attuale
new wave di Chicago. Con la sua band, People Places &
Things, va a radicarsi nella tradizione della musica nera,
non senza un’evidente attitudine a una propria rielaborazione critica, che si apre a dar forma a nuovi linguaggi.
L’obiettivo principale di questo progetto musicale è quello di studiare e reinventare parte di un repertorio poco
conosciuto dal pubblico del jazz, quello cioè della scena
di Chicago della seconda metà degli anni cinquanta, ospitando anche solisti del calibro di Bobby Bradford e Roscoe Mitchell. Dopo l’album di esordio, che esplicitava i riferimenti
al passato, è uscito lo scorso
anno About Us, che contiene invece materiale originale, scritto dai componenti stessi del gruppo.
L’11 dicembre approda al Fondamenta
Nuove la voce di Elaine, fra le più sosprendenti della scena creativa inglese, accompagnata dall’elettronica di
David Toop, fra i pionieri del panorama improvvisa-
7 novembre, il Teatro Fondamenta Nuove riapre i battenti sulla sua nuova stagione autunnale con
un evento dedicato alla danza internazionale. A calcare le assi della scena sarà infatti Virginie Brunelle, con
una coreografia in esclusiva regionale: Les cuisses à l’écart
du coeur. Correndo lungo la sottile linea che oscilla tra
disagio e umorismo, lo spettacolo della giovanissima
canadese getta uno sguardo ora ironico ora spietato sull’odierna complessità dei rapporti tra uomo
e donna. Al centro di tutto c’è l’atto sessuale, spogliato di ogni sovrastruttura romantica e trasformato in una sorta di ballet mécanique, che rivela la sua
natura di lotta: cinque donne
e due uomini, vestiti di
rosso, si incontrano e si scontrano, si attraggono e si respingono
in preda
a desideri contraddittori, che li
rendono
contempora neamente vittime e carnefici. Sette corpi
scossi da una danza violenta, che li scaglia a terra e li risolleva, li accoppia e li separa, rivelando il dissidio interiore di una generazione divisa tra i propri bisogni più profondi e i cliché imposti dai modelli sociali.
Il 12 novembre si torna nella sfera prettamente musicato anglosassone. Elaine, al termine di un periodo di rele, con il concerto che unisce David Grubbs, leggenda del
sidenza presso la Fondazione «Buziol» e in collaboraziopost-rock, al chitarrista dei Massimo Volume, Stefano Pine con l’Institute Of Living Voice
lia, e ad Andrea Belfi, uno dei bat(cfr. p. 53 a dx), presenta due suoi
teristi più originali della scena speVenezia – Teatro Fondamenta Nuove
lavori in anteprima mondiale: Of
rimentale italiana. A Venezia, i tre
Leonardo Da Vinci e Voices. (i.p.) ◼
presentano Onrushing Cloud, il loro
7 novembre, ore 21.00
primo album, appena uscita per la
Les cuisses à l’écart du coeur di Virginie Brunelle
Blue Chopstick, dove le eccentriche
simmetrie della chitarra di Grub12 novembre, ore 21.00
David Grubbs voce e chitarra,
bs, le sue tipiche melodie vocali e
Stefano Pilia chitarra
i suoi accordi di feldmaniana meAndrea
Belfi
batteria, percussioni, elettronica
moria si mescolano al personalisIn alto: Elaine.
simo linguaggio di Belfi e alle tesSopra, a sinistra:
4 dicembre
siture sonore elettroacustiche tipiLes cuisses à l’écart du coeur
Mike Reed Quartett
che di Pilia.
della coreografa canadese
Il 4 dicembre è la volta del Mike
Virginie Brunelle;
11 dicembre, ore 21.00
Reed Quartet. Trentacinquenne
Elaine voce e David Toop elettronica
a destra: Mike Reed Quartett.
l
l’altra musica
Non solo musica al
Fondamenta Nuove
46 — l’altra musica
L’Italia che si
racconta cantando
I cantastorie
dell’Italia settentrionale
I
di Gualtiero Bertelli
l’altra musica
n questo clima, ancora incerto, da centocinquantesi-
mo anniversario dell’Unità d’Italia (si fa, non si fa, come si fa, chi lo fa…???) mi vien voglia di dare un mio
modesto contributo (si dice sempre così, un po’ anche per
mettere le mani avanti, che non ci si aspetti troppo) dedicando alcuni appuntamenti ai repertori e ai personaggi che
con le loro canzoni hanno cantato questo nostro Paese, la
sua storia, le sue fortune, le sue sventure. I modi e le forme di questo cantare sono molteplici, ma tutti concorrono
a tracciare un percorso narrativo assolutamente originale,
anche quando l’apporto «storico» del prodotto è del tutto
inconsapevole.
Attraverseremo quindi un’Italia che in vari luoghi, momenti e situazioni, canta e si racconta, seguendo esclusivamente il filo della memoria e
della mia personale esperienza.
Nel 1983 i dieci Comuni della Riviera del Brenta realizzarono la prima edizione della rassegna culturale «Teatromusica
intorno al Brenta». Ne ero uno
dei promotori, in quanto assessore alla cultura di Mira, il comune più vasto e popoloso della Riviera, e contribuii alla definizione del programma.
Occupammo tutti gli spazi a
disposizione, visto che quelli
dedicati al teatro e alla musica
erano davvero pochi, con iniziative che si prestavano ad essere realizzate anche in luoghi
non deputati: scuole, centri civici, biblioteche, altri luoghi di
ritrovo. In tutto realizzammo,
nei dieci comuni della Riviera,
oltre ottanta iniziative ordinate
per settori, generi, argomenti.
Uno di questi era «la storia
cantata» e per l’occasione presi
contatto con Lorenzo De Antiquis (nomen homen) che orgogliosamente, e con buon merito, svolgeva dal 1947 il ruolo
di presidente dell’Associazione
Italiana Cantastorie Ambulanti (aica), da lui stesso fondata e
guidata fino al 1999, data della
sua morte.
Entrai così in contatto con un
mondo mitico che credevo di
conoscere, ma che in realtà avevo solo immaginato ascoltan-
do storiche ballate come «Il feroce monarchico Bava», «Il
tragico naufragio del vapore Sirio», «Il delitto Matteotti»,
«L’attentato a Togliatti», e via cantando pezzi di una storia
colpevolmente dimenticata.
I cantastorie della mia fantasia erano coraggiosi cantori
delle vicende popolari, aedi della lotta di classe, poeti erranti della cultura proletaria, punto. Insomma un’icona a tutto tondo di quella che chiamavamo «cultura alternativa».
È facile comprendere il mio stupore quando mi trovai di
fronte a un anziano signore con giacca e cravatta e un vistoso basco accompagnato da uno strampalato personaggio con una giacca a macchie e un gran cilindro scalcagnato in testa che si accompagnava con una «caccavella» ottenuta da un gran vaso di conserva. Si trattava di Giovanni Parenti detto «Padela», cantastorie di lungo corso e tra i
fondatori dell’Associazione.
Ma ancor maggiore fu il mio stupore quando avviarono
il loro spettacolo: battute, barzellette, canzonette allusive
o di moda, storie buffe o grottesche si intersecavano con
qualche storia drammatica di tradimenti, assassini o prodigiose grazie ricevute. Mi stavo convincendo di aver sbagliato cantastorie. A un certo punto De Antiquis intonò
la ballata «Caryl Chessman il bandito scrittore», una storia che nella seconda metà degli anni cinquanta fece il giro del mondo e che terminò nel 1960 con l’esecuzione del
condannato, e in essa ritrovai
il linguaggio e il piglio dei canti che conoscevo. Ma che c’entrava questa ballata con tutto
il resto? In realtà questi erano
i cantastorie. Un po’ guitti, un
po’ imbonitori, venditori di un
prodotto impalpabile, la parola, che dovevano condire con
oggetti il più delle volte inutili, ma essenziali per raggiungere l’unico vero obiettivo di
tanto lavorio: sbarcare il lunario. In un’Italia povera, affamata e ignorante erano i depositari dell’informazione popolare, illuminavano la notte della
conoscenza di centinaia di persone con storie e racconti che
sapientemente mescolavano in
una specie di avanspettacolo
dei poveri che aveva il compito
di mantenere coeso il «treppo»,
senza il quale non si mangiava.
Il successo non era dettato dagli applausi, quelli bastano a chi
è già pagato per la sua esibizione, il cantante, l’attore di teatro,
il comico. Il cantastorie i soldi
deve farli uscire lì, da quelle tasche derelitte ed è la somma di
tutte quelle monetine che a sera
determina l’insuccesso o il successo del lavoro.
E non è semplice. Bisogna radunare la gente, costruire, appunto, «il treppo», motivare gli
astanti a restare, anche se pressati da altre urgenze, mantene-
l’altra musica — 47
• I fatti, che raccontano storie drammatiche o
tragiche
• Le strofette e i testi comici e satirici
• Le parodie di canzonette in voga
• Musiche di tipo canzonettistico, dichiarate
originali dai cantastorie, usate specialmente negli ultimi anni, ma in situazioni rare.
A questi generi possiamo aggiungere le canzonette in voga che servivano soprattutto ad attirare l’attenzione del
pubblico.
Il genere che comprende la maggior parte della produzione dei cantastorie e dei fogli volanti è il primo; in quel gruppo di canti si raccolgono quelle storie, e altre mille, a cui ho
fatto riferimento prima.
Anche il repertorio comico-satirico è piuttosto abbondante e nella gestione della strategia di approccio con il
pubblico riveste una notevole importanza.
I cantastorie non sono molto preoccupati di inventare
musiche originali. Di parte dei testi si conosce l’autore, ma
le musiche sono anonime e ripetitive. Questa ripetitività le
rende facili da seguire e da ricordare. Ai cantastorie bastava indicare: sull’aria del Sirio, sull’aria di Caserio, sull’aria
dell’Orsini, e così via, e tutti erano in grado di far circolare i nuovi racconti.
Ancor oggi ci sono artisti che proseguono l’esperienza
dei cantastorie, ma la strada non dà più da vivere, i giornali, la radio, la televisione hanno contribuito a collocare quei
cantori popolari tra i ricordi del passato.
L’ostilità dei venditori ambulanti dei vari mercati e le nuove regole comunali tese a ridurre la presenza dei cantori
ambulanti nelle diverse piazze dei paesi hanno allontanato ancor più i cantastorie dal loro ambiente naturale, decretandone la quasi totale estinzione.
Per rivedere, e talvolta anche risentire Piazza Marino bisognava andare al mercato della Piazzola a Bologna, dove
fino a dieci anni fa vendeva lamette da barba, recitando le
sue «Zirudele».
Eppure non sono stati un episodio puramente folklorico i nostri cantastorie se il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 13 febbraio 2007, in occasione del primo anniversario della morte del grande Angelo Cavallini, ha scritto alla moglie Vincenzina, anch’essa cantastorie: «…Le voglio testimoniare l’apprezzamento per l’opera meritoria che lei e Angelo avete svolto per
quasi cinquant’anni come cantastorie, dando un rilevante contributo al grande filone della musica popolare». ◼
Nella pagina a fronte: sopra, cantastorie pavesi: da sinistra, Adriano
Callegari,Vincenzina Cavallini, Angelo Cavallini; sotto, Franco
Trincale all’Alfa Romeo di Arese, autunno 1970. Qui sotto,
cantastorie emiliani: da sinistra, Lorenzo de Antiquis
e Giovanni Parenti «Padela».
l’altra musica
re la «disciplina» (c’è sempre qualcuno che fa il furbo o il
guastafeste) e soprattutto farsi scucire le palanche non solo alla fine, quando tutti se ne vanno, ma durante l’esibizione quando, rapiti dalla capacità imbonitoria, gli astanti acquistano biglietti con i numeri del lotto, foto autografe, fogli con i testi delle canzoni in voga, fogli volanti, ma anche
creme miracolose, statuette della Madonna di Lourdess assolutamente uniche e originali, paccottiglie varie.
Le canzoni fanno da attrazione: mentre uno o due cantano, gli altri girano per il treppo. Per questo i cantastorie dell’Italia settentrionale viaggiavano sempre in gruppo,
mentre quelli del sud, in particolare i grandissimi siciliani,
si presentano prevalentemente da soli con i loro cartelloni
e le loro storie straordinarie.
Se però diamo uno sguardo d’insieme alla produzione dei
grandi cantastorie padani, vi troviamo cantata e raccontata sia la cronaca che la storia, fissando nella memoria e nella coscienza popolare quei fatti che hanno contrappuntato il cammino faticoso del nostro Paese e della nostra democrazia, contribuendo così a farci sentire un popolo, una
nazione.
Nelle ballate dei cantastorie, come in tutte le narrazioni,
non troviamo la cronaca asettica degli eventi; il cantastorie
entra nel merito, si schiera, esprime pareri e giudizi, in questo modo influenzando e facendosi influenzare.
Esprime il dolore dei popolani italiani il cantastorie toscano Anton Francesco Menchi quando intona «Partire,
partirò, partir bisogna / dove comanderà il nostro sovrano... » in seguito alla leva obbligatoria imposta da Napoleone nel 1799, e il canto si diffonderà in tutto il Nord Italia e
conoscerà anche una bellissima versione veneta.
«Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio», che il
cantastorie Pietro Cini scrisse nel 1873, accompagnò i nostri emigranti negli usa e fu incisa in uno dei primi 78 giri
cantati in italiano. Il tema musicale, forse preesistente alla
stesura del testo, divenne per tutti «L’aria di Caserio», sulle cui note furono eseguiti molti altri canti, tra i quali «Sacco e Vanzetti» nel 1927.
Le vicende del dopoguerra sono state puntualmente riportate dai cantastorie a noi più vicini: l’emiliano Marino
Piazza, o meglio Piazza Marino come lui si faceva chiamare, clarinettista e cantore, ha raccontato «L’attentato a Togliatti» e «L’immane sciagura nella miniera di Marcinelle in Belgio»; ancor oggi il figlio Giuliano continua la tradizione paterna. Il pavese Adriano Callegari, cantante e
sassofonista, ci ha raccontato «La tragedia di Mattmark».
Franco Trincale, siciliano trapiantato a Milano, ancor oggi punteggia con le sue storie le vicende politiche italiane e
internazionali.
Potremmo continuare l’elenco e mostrare così come
l’unità culturale di questo Paese debba molto alla tradizione orale e ai cantastorie. Ma riprenderò il discorso nel
mio prossimo intervento. Ora voglio approfondire alcuni aspetti legati all’attività di questi straordinari cronisti
popolari.
Roberto Leydi, uno dei grandi etnomusicologi del dopoguerra, ha suddiviso il repertorio dei cantastorie settentrionali in quattro «generi»:
48 — l’altra musica
Margherita Galante
Garrone, in arte
Margot
l’altra musica
T
a cura di Guido Michelone
ornata nell’ottobre scorso a esibirsi quale cantautrice, dopo circa trent’anni d’assenza, Margherita Galante Garrone, in arte Margot, è un vero
e proprio mito nella storia della canzone: la Joan Baez
d’Italia, o comunque la prima donna, giovanissima fra
l’altro, a calcare i palcoscenici per interpretare le ballate di protesta, composte dagli amici o di proprio pugno
o raccolte dal gran calderone degli inni anarchici, socialisti, partigiani. Questo e altro ancora nell’intervista
esclusiva, rivolta a un presente e un futuro ancora ricco
di iniziative, collaborazioni
e sorprese.
Margot, se ti chiedo di narrarci
in breve la tua carriera artistica,
cosa ci racconti?
Che ho incominciato a
cantare con lo storico gruppo dei Cantacronache, fondato da Sergio Liberovici nei
primi anni sessanta. Il passo dal canto alla composizione è stato brevissimo, direi automatico; in mezzo a
quel gruppo, di cui facevano
parte Italo Calvino, Franco Fortini, Michele Straniero, Fausto Amodei, tutti impegnati nello «svecchiare»
(o meglio, nel distruggere)
la canzone di consumo (chi
con i testi, chi con la musica),
come poteva una ragazza di
diciannove anni limitarsi a
cantare? E fu così che iniziai
a comporre canzoni (parole
e musica), che vennero subito pubblicate da Ricordi, Cetra, Italia Canta, Dischi del
Sole, Zodiaco, Divergo: le etichette che allora andavano per la maggiore. Questa attività, insieme alle tournée
che feci con il gruppo in Italia e in Europa, smise quando mi trasferii a Venezia, città che mi coinvolse talmente
(e fu una libera scelta decidere di stabilirmi in laguna) che
abbandonai il girovagare e divenni totalmente «stanziale», con qualche brevissima incursione a Bologna, Torino e Firenze, per seguire, come musicista di scena, alcune performance teatrali.
Quindi sei rimasta a Venezia…
Sì, e proprio a Venezia, per un’illuminazione improvvisa, scoprii che la cosa più gratificante e totalizzante sarebbe stata «fondare» un gruppo di teatro musicale per marionette: così, nel 1987, ebbe inizio l’avventura della creazione del Gran Teatrino La Fede delle Femmine, che in
poco più di vent’anni ha prodotto e portato in giro per
l’Italia ventitré spettacoli di diversa estrazione letteraria
e musicale. A Venezia soprattutto, nel foyer del Teatro La
Fenice, rappresentammo molti spettacoli, alcuni dei quali legati alla programmazione del Teatro stesso. E proprio
per la Fenice, oltreché per la Biennale, io e le mie colleghe
(Paola Pilla e Margherita Beato) impostammo anche tre
regie d’opera (senza marionette).
A Venezia dunque ti occupi soprattutto di teatro: ci parli di questa tua esperienza?
Del teatro, anzi del Gran Teatrino, accennavo poc’anzi:
tu immagina un gruppetto di tre donne di diversa estrazione (una musicista/regista: io; una scenografa: Paola
Pilla; una giornalista: Margherita Beato) che si inventano un’attività che in realtà è un gioco, sia pure con riferimenti culturali, musicali e visivi di un certo peso. Immagina un teatrino costruito ad hoc a casa mia, dove provare effetti speciali, movimenti, soluzioni: immagina un
laboratorio (sempre a casa mia) in cui «costruire», dipingere, assemblare… per poi offrire lo spettacolo «finito»
a pochissimi ospiti, a volte anche per un solo spettatore.
Divertimento puro.
Hai ripreso a comporre e cantare canzoni e stai ricostituendo il
gruppo Cantacronache…
Cantacronache era nato, a suo tempo, anche e soprattutto per reagire alla situazione politica disastrosa dei
primi anni sessanta. Adesso, la situazione è talmente degenerata, talmente al limite del verosimile, che mi sono nate spontaneamente strofette satiriche, o «canzoni di protesta», secondo la vecchia tradizione, e quindi le ho musicate in quattro e quattr’otto, ritrovando la
gioia di rimettermi a suonare. Riprendendo in mano
la chitarra, ho visto che non mi era impossibile cantarle… Anzi! Mio figlio Andrea Liberovici, attento e pieno d’iniziativa, mi ha proposto, senza mezzi termini,
di «rifondare» con lui il movimento di Cantacronache.
La cosa mi ha entusiasmato: soprattutto l’idea di trovare «nuovi» autori, nuovi cantanti, nuove idee. Ma l’operazione è ancora da definire, con qualche cautela. ◼
Sopra: Margot.