anno IV
numero 38
giugno 2007
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CoolClub.it
Il festival era il sogno di una generazione. Per un momento tutto coincideva. Migliaia di ragazzi uniti dall’amore per
la musica mettevano da parte ogni cosa per un giorno o più. Ragazzi e ragazze che diventarono movimento, forza
politica, contestazione. Potenza della musica, arma bianca capace di scuotere, ferire. Era il 1969, era Woodstock. Di lì
a poco molto sarebbe cambiato; molti di quegli ideali di pace sono stati sepolti insieme a Jim Morrison e Jimi Hendrix;
molto è cambiato dell’idea di festival, di raduno collettivo. Oggi il mondo pullula di appuntamenti, di maratone musicali
e non solo. Un super mercato culturale che a volte dimentica il messaggio inseguendo i numeri. Ci sono poi, e non
sono pochi, momenti in cui il pensiero, il pensare precede l’agire e la performance. Se l’anno scorso eravamo Figli dei
festival (Coolclub.it n 26), quest’anno abbiamo deciso di Pensare i festival. Come l’anno scorso abbiamo tracciato una
mappa dei festival estivi, secondo noi, più interessanti. Un piccola guida agli eventi, un vademecum per chi sceglie di
prendersi una vacanza nel Salento ma anche una vacanza dal Salento. Avremo l’onore di ospitare, nei prossimi giorni,
la musica: Philip Glass. Ha scelto la nostra terra e il festival Sound Res per finire un’opera inedita ed esibirsi. E poi tutta
una serie di eventi. La sorprendente nuova direzione artistica (rock?) della Notte della Taranta a cura di Mauro Pagani,
una panoramica sui festival teatrali all’aria aperta, l’intervista ad Alberto Campo, giornalista musicale e anima del
Traffic di Torino, tra i più interessanti festival europei. Abbiamo parlato con Glenn Johnson, leader dei Piano Magic, del
loro nuovo ed emozionante Part Monster, con Giorgio Canali di Tutti contro tutti disco intriso di rabbia sociale. Abbiamo
raccontato la strana storia di un panificio di Altamura che ha costretto alla chiusura un Mc Donald’s e che è diventata
un film diretto da un “mito” del cinema pugliese: Nico Cirasola. Tra piccole e grandi rivoluzioni quella editoriale di
Sensibili alle foglie. Il resto è nelle prossime pagine.
Buona lettura.
Osvaldo Piliego
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
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Sito: www.coolclub.it
Anno IV Numero 38
giugno 2007
Iscritto al registro della stampa
del tribunale di Lecce il
15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala,
C. Michele Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato
4 Alberto
Campo
Hanno collaborato a questo
numero: Stefania Ricchiuto,
Diego Brancasi, Giovanni
Ottini, Emanuele Flandoli,
Dino Amenduni, Livio Polini,
Giancarlo Bruno, Giuseppe
Muci, Elvis Nicolas Ceglie,
Gennaro Azzollini, Flavia
Serravezza, Nicola Pace,
Camillo Fasulo, Alessandra
Pomarico, Rossano Astremo,
Silvestro Ferrara, Valentina
Cataldo, Ludovico Fontana,
Willy de Giorgi, Sabrina Manna,
Antonella Gaeta, Roberto
Cesano
9 Keep Cool
17 Piano
Magic
Ringraziamo le redazioni
di Musicaround.net,
Blackmailmag.com,
Primavera Radio di Taranto
e Lecce, Controradio di
Bari, Mondoradio di Tricase
(Le), Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
QuiSalento, Pugliadinotte.net,
Rete Otto e SuperTele.
Progetto grafico
dario
Impaginazione
Danilo Scalera
19 Sound Res
29 Be Cool
Stampa
Martano Editrice - Lecce
20 Philip Glass
35
Appuntamenti
Chiuso in redazione.... il tre in
tre col te
L’abbonamento al giornale
varia dai 10 ai 100 euro. Per
informazioni 3394313397.
23 Coolibrì
38 Fumetto
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CoolClub.it C
Alberto Campo è giornalista musicale,
scrittore, una delle menti del Traffic, tra i
festival più interessanti dell’estate italiana e
non solo che si svolgerà a Torino dall’11 al
14 luglio. Spettatore, ascoltatore, studioso e
promotore di musica: tutto in una persona.
Ci è sembrato naturale ragionare con lui di
musica e festival.
Dai movimenti giovanili del 69 alla
cosiddetta generazione X, la musica e i
grandi raduni musicali cambiano, cambia il
loro senso e il loro impatto, come secondo
te?
Cambia anzitutto il mastice che tiene
insieme le persone: se nei tardi anni
Sessanta erano le comuni convinzioni
prerivoluzionarie (dal maggio parigino a
Jim Morrison che strepita We want the
world and we want it now), dopo la caduta
dell’utopia hippie direi che avviene una
scomposizione in termini di categorie di
consumo a cui corrispondono tribù spesso
non comunicanti – se non addirittura in
conflitto - fra loro: freaks, metallari, mods,
punks… Vale tutt’al più l’esperienza
condivisa, di cui il festival rock diviene
una sorta di prototipo, così come d’altra
parte – nelle generazioni di fine Novecento
– il fenomeno dei raves. Al peggio, raduni
che idolatrano liturgicamente rockstar
prevedibili; al meglio “situazioni” affini
a ciò che Hakim Bey chiama “zone
temporaneamente autonome”
Questi grandi riti collettivi sono occasioni
per mettere il singolo in contatto con il
circostante, con il tempo che vive, farlo
sentire parte di un tutto. Secondo te è
ancora così?
Direi che è più vero che mai ai giorni nostri,
quando l’esperienza della “seconda vita”
in rete assorbe parti sempre più ingenti della
vita di ciascuno. I festival sono occasione
di socialità, prima ancora che luoghi di
consumo culturale: esperienze in cui la
musica funziona da codice di reciproco
riconoscimento. Anche se poi il “tutto” a cui
alludi è inevitabilmente transitorio e fatica
a depositarsi come coscienza collettiva.
Si sa (lo scriveva anni fa Simon Frith nella
Sociologia del rock a proposito del collasso
dell’utopia hippie): la musica è elemento
che da solo non basta a cementare una
comunità.
I grandi festival europei hanno un peso,
un significato oggi, o sono solo dei grandi
supermarket culturali?
Dipende dai casi. Alcuni sono davvero
nient’altro che ipermercati in cui le merci
musicali vengono esposte l’una accanto
all’altra in modo indifferenziato. Penso a
cose tipo l’Heineken Jammin Festival in
Italia o il Carling Weekend oltremanica.
Altri, viceversa, grazie a temi conduttori
riconoscibili o all’aderenza a specifici
aspetti della scena musicale, pensiamo
al Sonar di Barcellona o all’All Tomorrow’s
Parties britannico, hanno fondamento
culturale prima che mercantile.
Vivi la musica in modi diversi. Come
giornalista, scrittore, dj e anche come
direttore artistico di uno dei festival europei
più importanti. Come nasce l’idea del
Traffic? Come convivono questi tuoi diversi
approcci alla musica?
L’idea di Traffic è nata appunto
dall’intenzione di creare a Torino un vero
festival, che non fosse cioè una semplice
rassegna di concerti. Qualcosa che avesse
al centro la musica e intorno le forme di
espressione – cinema, letteratura, arte
contemporanea – con cui la musica stessa
dialoga spontaneamente. Un vero festival
nel senso di un’esperienza di vita nella
quale uno si immerge completamente per
tre giorni. Quanto a me, potremmo anche
dire che faccio molte cose e nessuna poi
così bene…
Il cast di questa edizione (dall’11 al 14
luglio) è incredibile, ce ne parli? Qual è il
senso di questa edizione?
Se sia incredibile o no, lo diranno i fatti. Sulla
carta, sì: sembra l’edizione più compatta
e culturalmente articolata. Ci piace
soprattutto l’idea che rappresenti epoche
e luoghi diversi: la Berlino vista da Lou Reed
nel 1973. O, per rimanere a figure storiche,
la musica pop italiana in quintessenza
simboleggiata da Franco Battiato, che
apre a Torino il suo tour italiano con un
evento speciale in cui ha voluto accanto
a sé Antony & The Johnsons e altri illustri
ospiti a sorpresa. C’è poi l’attualità rock
britannica espressa da Arctic Monkeys,
Coral e Art Brut. E la sensazione da rave che
procura l’accoppiata fra Daft Punk e LCD
Soundsystem. Un ventaglio di suggestioni
che crediamo sia in grado di stuzzicare la
curiosità di molti. Perché poi, mantenendo
CoolClub.it
alto il punto di qualità, il festival deve
comunque fare numeri: 200mila presenze
lo scorso anno, un risultato difficile da
ripetere.
Il Traffic non è solo musica ma un
evento multi-disciplinare, quali le attività
correlate?
Prendendo spunto dalla Berlino di Lou
Reed, ospitiamo altri sguardi sulla capitale
tedesca che si diramano verso il cinema,
l’arte contemporanea e il nightclubbing. E
c’è poi la sezione letteraria Word Jockeys,
quest’anno consacrata monograficamente
a Napoli, con Roberto Saviano, Valeria
Parrella e Paolo Sorrentino impegnati
a raccontare la magia e il degrado di
quella città. Ecco, lo strano asse Berlino/
Napoli definisce a suo modo un percorso
immaginario dentro la quarta edizione di
Traffic.
Il Traffic è gratuito, credi che rendere
accessibile la musica a tutti sia un mezzo
di divulgazione, di educazione all’ascolto,
un modo per uscire dalla nicchia e
raggiungere le persone?
La gratuità è uno dei precetti fondanti del
festival. Per alcune buone ragioni. Anzitutto
perché offrire gratuitamente musica di
qualità è una forma di alfabetizzazione
culturale, e trattandosi di un festival che
vive anche grazie alle sovvenzioni degli
enti locali riteniamo che quello sia un buon
modo di spendere il denaro pubblico. E poi
perché Torino e il Piemonte scommettono
per il futuro sulla capacità di essere attrattivi
proprio sul terreno del turismo culturale,
oltre che sull’idea di fare polo per la
comunità giovanile e studentesca: Traffic
rappresenta in quel senso una piccola
calamita(www.trafficfestival.com).
A cosa stai lavorando in questo periodo?
Libri in cantiere?
Idee che girano per la testa, quelle sì.
Aspetto che una prevalga sulle altre e
affiori in superficie, reclamando il tempo
necessario per scrivere un libro.
Domanda di rito...quali dischi girano nel tuo
lettore, quali consigli ai lettori di Coolclub.it?
Macino musica quotidianamente per
lavoro e ogni tanto finisco per esserne
travolto. Premesso questo, le cose che
ultimamente più ascolto per e con piacere
sono Live at the Massey Hall di Neil Young
(roba registrata nel 1971!) e la ristampa di
Colossal Youth degli Young Marble Giants
(ritorno di fiamma per un vecchio amore
giovanile). Quanto all’attualità, direi
Mapmaker dei newyorkesi Parts & Labor,
Asa Breed di Matthew Dear, Part Monster
dei Piano Magic e il persistente Sound of
Silver degli LCD Soundsystem (difficile esca
quest’anno un disco migliore).
Osvaldo Piliego
CoolClub.it C
dal 17 al 22 luglio
Italia Wave - Firenze
izio Arezzo Wave cambia
Dopo venti anni di glorioso serv
edizione del nuovo Italia
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guarda all’Europa con
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Wave (la ventunesima
primo piano: Scissor Sisters,
ospiti italiani e internazionali di
Queen, Kaiser Chiefs, !!!
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Mika, The Good
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Yeah, CSS, Gocoo, Cassius,
Cesar, Clap Your Hands and Say
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Jimi Tenor, Carmen
rio, Casino Royale. Presenze
Travel, Orchestra di Piazza Vitto
Bob Geldof e lo spettacolo
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realizzato con i “meninos
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dell’Associazione Axè dal
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questo e anche di più. Tutto il mon
Italia Wave Love Festival è tutto
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nei palchi del festival, dal Mal
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l’unico festival in Europa del circ
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Benicassim, Italia Wave, BAM,
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euro
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soli
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biglietto
pubblico. Dopo le 21 ci sarà un
www.italiawave.com
CoolClub.it
C’è un teatro diffuso che apre ai primi caldi, quando il teatro
recluso nei luoghi ordinari dello spettacolo rimanda il cartellone alla
stagione che verrà. È un teatro che esce fuori, che incontra la gente
in movimento, che supera il concetto di pubblico intenditore ed
affezionato, e sperimenta l’accoglienza all’aria aperta, la proposta
di una creatività più coraggiosa, l’occupazione alternativa di
territori urbani e non. È il teatro dei festival estivi, manifestazioni
che ormai costellano le notti della stagione calda, suggerendo
però cultura più d’avanguardia e concretamente sperimentale,
e che spesso sono lontane dall’identità commerciale dei grandi
contesti musicali, grazie a direzioni artistiche intelligenti, capaci di
gestire senza sovrapposizioni il rapporto tra sponsor e progetto.
Storico evento Volterra Teatro, che si svolge nell’omonima e
suggestiva cittadina del pisanese e in altri comuni limitrofi, a cura di
Armando Punzo e il centro Teatro e Carcere “Carte Blanche”. Da
più di vent’anni anima la Toscana con la “possibilità di incontrare
e conoscere il teatro, senza ridursi a semplicistica vetrina di
spettacoli”, e oltre ad allestire performance di notevole qualità,
con ospiti anche internazionali, costruisce attorno allo spettatore
un’offerta considerevole di laboratori, workshop, incontri, anche
per chi è estraneo all’attività teatrale. L’edizione 2007 si terrà dal 16
al 29 luglio, ma il programma non è ancora definito. Avvenimento
sicuro, però, il debutto di Buffoni ovvero la scuola del disimpegno,
nuovo lavoro della Compagnia La Fortezza, nata all’interno del
carcere di Volterra e diretta dallo stesso Punzo. Inoltre, il 28 il
talento di Giovanni Allevi allieterà Piazza dei Priori, mentre il 29 il
gran finale della manifestazione è affidato a Paolo Rossi, con Qui
si sta come si sta. Serata beat (info www.volterrateatro.it)
Consultazione telematica d’obbligo anche per un’altra manifestazione dal programma ancora da fissare, e cioè Santarcangelo
dei Teatri (www.santarcangelofestival.com), che dal 5 al 15 luglio
trasformerà l’omonimo paesello collinare, in provincia di Rimini, in
un laboratorio permanente di ricerca rinnovata e tradizione custodita. Da sottolineare, al di là degli spettacoli di sicuro richiamo,
l’incontro il 10 luglio con la regista siciliana Emma Dante per la
presentazione del suo libro La favola del pesce cambiato. Attorno
a questi due resistenti punti di riferimento si manifesta, di grazia, un
pullulare di contenitori meno noti ma tenaci, ideati e realizzati da
piccole realtà. Si comincia, ad estate non ancora celebrata, con
il veneto FilòFest, (dal 26 maggio al 10 giugno). Si continua con
Solstizio d’Estate, che dall’8 al 30 giugno invaderà la Piana Rotaliana del Trentino Alto Adige, permettendo al pubblico di abitare i
luoghi caratteristici - non visitabili in altri periodi dell’anno - dei comuni coinvolti, e “urbanizzando” le proposte teatrali, chiamando
cioè gli attori ad esibirsi in siti non usuali. Spiccano nel programma
Marco Paolini con I miserabili. Io e Margaret Thatcher e Ascanio
Celestini con La pecora nera- Elogio funebre del manicomio elettrico. Nello stesso periodo ecco il Festival Opera Prima, a cura del
Teatro del Lemming, realtà conosciuta per la costruzione di spettacoli dedicati ad uno, due, trenta spettatori, dall’intenso “coinvolgimento sensoriale”. A Rovigo, dal 14 al 17 giugno, proprio il
Lemming proporrà un cartellone di eventi che si fondano “sull’autonomia del linguaggio scenico dal testo teatrale, sulla ridefinizio-
ne dello spazio, sulla
riformulazione della
presenza dello spettatore”. Quest’ultimo, infatti, è alla ricerca di una cittadinanza smarrita, ma è
posto dal Lemming,
e dagli altri gruppi
teatrali
impegnati
in ricerche affini, al
centro del contesto
drammaturgico
in
forma partecipata
e condivisa, e non
più solo passivamente subìta. Teatro ad
immagine di una
politica che non
c’è, insomma, e che
come questo teatro
dovrebbe essere. Il
Teatro delle Briciole
di Marco Baliani promuove invece, in quel di Parma, Il giardino racconta, rassegna
multiculturale che reinventa il Giardino Ducale gremendolo di
amache, animazioni ed esplorazioni, ripensando così “un intreccio nuovo tra natura, architettura e spettacolo”. Il 5 luglio, data
d’inizio, irrompe- in uno spazio elegante, segnato dal fascino della
storia - la gioiosità del teatro di strada di ispirazione orientale, con
cantastorie bizzarri e folli trampolieri che disegneranno una narrazione inaspettata e coinvolgente, con protagoniste le figure dei
contadini e dei tiranni della storia. Il viaggio insolito nel giardino
dei Farnese e dei Borbone si protrarrà sino al 25, tra atelier di strumenti di bambù “alla scoperta delle sonorità naturali teatralizzate”, e tende che raccontano il deserto marocchino e le sue storie
di sabbia. Ad agosto il Cadadie di Cagliari si trasferirà nella parte
centro-orientale della Sardegna per l’OgliastraTeatro, che quest’anno vedrà la partecipazione, dal 5 al 9, di Danio Manfredini,
con un laboratorio sul lavoro d’attore e “sulla faticosa dialettica
tra le necessità del politico e dell’artista”. Sempre ad agosto, dal
21 al 26, il Prototipo Priamar di Savona dimorerà presso la fortezza
cittadina realizzando una magnifica convivenza tra la Compagnia di Pippo Delbono, Fanny&Alexander, Teatrino Clandestino,
Teatro del Lemming e Valdoca. La poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri curerà un laboratorio intensivo di scrittura per il
teatro, che avrà come filo conduttore la capacità evocativa dei
luoghi “altri”, che divengono per caso spazi scenici, e per quanto
improvvisati spesso risultano di ambientazione più forte e robusta
rispetto a quelli usuali. Chiude questa carrellata, purtroppo non
esaustiva, il Bella Ciao ideato e diretto da Ascanio Celestini, che
si terrà a settembre.
Stefania Ricchiuto- Il Passo del Cammello
Keep Cool
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
Jeff Buckley
So real: songs from Jeff Buckley
Sony
rock / *****
C’è sempre una buona occasione per
parlare di lui, un buon motivo per mettere
su la sua musica e pensare a cosa
avrebbe potuto fare, oggi, Jeff Buckley.
A dieci anni dalla sua morte (misteriosa
la scomparsa nelle acque del Mississipi) a
pochi giorni dall’uscita di un bellissimo dvd
sul padre, il grandissimo Tim, esce un disco,
una raccolta. Perché un solo album non
bastava. A conti fatti Grace (1994) è l’unico
vero disco concepito, registrato, prodotto
come tale. Ma c’è altro. Non passa anno
che non esca qualche perla live rubata e
tenuta nascosta da qualche fan.
Ci sono poi due altri album. L’intensissimo
Live at Sin, solo quattro brani, due cover,
chitarra e voce. Quella voce capace di
arrampicarsi alle nuvole, di commuovere,
angelica, sofferta. E poi il discusso
Sketches uscito postumo, abbozzo di
quello che sarebbe stato My Sweetheart
the drunk. Questo So Real: Songs from
Jeff Buckely è un’antologia, non un
best off (difficile sarebbe scegliere) per
spiegare, raccontare le tante sfumature di
un’artista che aveva in sé il rock, il folk, il
blues, il gospel. Un accenno di un mondo
bellissimo che tutti meritano di scoprire.
Ed è con questo spirito che operazioni
come questa, al di là delle critiche sulla
speculazione, vanno prese. Come una
scusa per parlare di un uomo che ha
sofferto e ce l’ha raccontato in modo
unico, che riusciva a trasmettere con la sua
musica lo splendore e il terrore della realtà.
Tra le tracce in scaletta anche la bellissima
Forget Her grande esclusa di Grace che
è tra le sue canzoni più pulsanti e sentite,
una versione alternativa di Dream Brothers,
una bellissima So Real acustica, ripresa
dal vivo in Giappone. Riascoltare oggi
questo artista fa un effetto strano, in bilico
tra i ricordi e la nostalgia. Il finale con una
bellissima versione di I Konw it’s over degli
Smiths sembra un presagio, un saluto (a un
certo punto recita testualmente “vedi il
mare mi vuole prendere”). Solitamente non
sono mai favorevole a tributi, compilation,
il meglio di... riassunti della carriera di
un’artista. Ma quando passa una cometa,
bella come Jeff Buckley, anche vederne la
scia merita. Per chi è già innamorato di lui
questa ennesima uscita poco cambia, per
chi non lo ha mai ascoltato So real: Songs
from Jeff Buckley sarà un colpo di fulmine,
l’inizio di un amore da coronare in Grace.
Più che disco del mese, disco del
decennio.
Osvaldo Piliego
KeepCool
10
vulcano. E forse la musica di Valérie è un
po’ così: un movimento interno caldo e
silenzioso.
(O.P.)
Björk
Volta
Polydor
elettronica / ****
Jinka’ percussion orchestra
Da Groove
Life gate music
ritmo / ***
Urla e grida dalle profondità della terra, le sue viscere più intime e delicate. Etnia
vulcanica scava fino alla nuda carne del mondo. Björk rinnova la sua ricerca sonora,
confermando alcune collaborazioni (Mark Bell, Mike “Spike” Stent) e varandone di
nuove (Timbaland alla produzione, Antony, Damian Taylor, Toumani Diabate, Konono
n° 1); torna ad usare la sua voce come un arpa, adagiandola su raffinate stratificazioni
di elettronica e strumentazioni come partiture d’orchestra. Björk è passionale: ora
calma, ora agguerrita, nel parlare d’amore, l’eterna fiamma (The Dull Flame of
Destre Commovente!, I See Who You Are), dei disastri ambientali (Earth Intruders), o
di patriottismo (Declare Independence), salpando su una barca condotta grazie al
soffiare di venti nordici che naviga spaccando ghiacci con rumori ancestrali all’origine
di nostra Madre Terra. Volta è energia, vibrazione profonda; tocca nel vivo, infondo,
fino alla colonna vertebrale!
Diego “Dieghost” Brancasi
Valérie Leulliot
Caldeira
Village Vert
pop / ***
Ci si aspetta molto e niente da dischi come
questi. Valérie Leulliot è la cantante degli
Autour de Lucie, band francese a cui
sono particolarmente affezionato. L’uscita
del suo primo album solista ha sortito in
me la stessa curiosità del debutto senza
Portishead di Beth Gibbons. E le aspettative
non sono state affatto tradite. La musica
viene sbucciata come fosse un frutto,
liberata da strati che lasciano affiorare
polpa. E poi ancora più giù fino al cuore,
al nocciolo della questione. La voce di
Valérie è pienamente in sintonia con
l’afflato francese, popolo innamorato delle
chanteuse. La mano di Miossec, re mida
della musica francese, si sente e fa bene,
a un disco che pur muovendosi nei canoni
del new folk francese, devia verso altri lidi
per scelta di soluzioni, arrangiamenti e
strumenti. E si resta appesi, affascinati dalla
sua voce, attaccati a brani che riscaldano,
entrano e implodono, proprio come la
Calderia titolo del disco e fenomeno
naturale di implosione sotterranea in un
Se pensiamo al ritmo pensiamo all’Africa, al
Brasile, al funk e al soul. Da groove ha in sé
tutte queste anime e le miscela in un gioco
di citazioni ed esplorazioni in cui il ritmo è
l’asse fortunato. Esce dalla scuderia di Life
gate, questo progetto italiano che esplora
il “beat”, il battito partendo dal tribale per
arrivare al drum and bass. World music,
etnica, poco importano le definizioni, quello
che salta subito all’orecchio è la qualità dei
musicisti coinvolti, la misura e la ricchezza,
allo stesso tempo, degli arrangiamenti, gli
ospiti di tutto rispetto coinvolti (Daniele
Sepe, Amaury Cambuzat degli Ulan
Bator). Un’orchestra di 12 elementi divisa
tra strumenti elettrici e percussioni unisce
spirito tribale e modernità. Quello che
traspare dalle tracce è la passione per
tutto ciò che è black. Tradizioni ritmiche
diverse si intrecciano dimostrando la loro
affinità di base, il loro perdersi per poi
ritrovarsi. Alcuni “groove” sono trascinanti,
manca ogni tanto il guizzo, la sorpresa ma
il complesso dell’operazione finisce per
convincere e divertire.
(O.P.)
120 Days
120 Days
Smalltownsupersound
sinth pop / ****
C’è aria di Germania in Norvegia. Ci sono le
ritmiche matematiche un po’
Kraut in questa
band Nord europea.
Ma c’è anche
il suono dei Primal
Scream,
dei New Order,
c’è l’Inghilterra.
I Depeche mode, gli anni 80, i 90, il presente
e un accenno di futuro. primi in classifica
nel loro paese e sembra un miracolo o
forse solo la conferma che da quelle parti
masticano solo musica buona. 120 Days
non può mancare in una buona discoteca
rock o in un dancefloor alternativo che si
rispetti. In sintonia con i trend, interessante,
acerbo quanto basta, potente quanto
KeepCool
vorresti da un disco così. Cassa dritta,
sinth come se piovesse, il rock nelle vene,
i Cure nel cuore. Tutto compresso e saturo
(la storia narra che il disco sia nato in una
roulotte) ruggente come la giovane età
dei ragazzi. Un gran disco.
(O.P.)
Battles
Mirrored
Warp
post-rock / ****
Ad un anno dai
primi EP, esce il
loro sorprendente
e atteso album
d’esordio.
Nella
loro stanza degli
specchi,
in
un
fantastico
gioco
di luci variabili,
oggi si riflette tutto
e il contrario di
tutto. La rigidità strutturale del math-rock
più angoloso, e la forte componente
ritmica dell’elettronica (anche se la cosa
più elettronica è il marchio Warp sul
retro del cd), incrocia l’istinto free-jazz e
l’avanguardia rumorista. Sparse qua e là
schegge di follia pattoniana (Tij), insieme ai
Devo agitati come biglie in un barattolo di
latta (Ddiamondd). I Pink Floyd interstellari,
rinchiusi in cantina a pane e anfetamine,
che riguadagnano la luce solo dopo i 6’ e
15” di Rainbow. A differenza del passato,
c’è materia organica che pulsa sotto le
fredde formule algebriche, c’è il calore
umano della voce, anche se spesso è
passata in tritacarne elettronici (Atlas e
Leyendeker). Mirrored è uno straordinario
esempio di musica obliqua che merita più
ascolti prima di insinuarsi pericolosamente
nei processi chimici del vostro cervello.
Musica totale, che muove ambedue gli
emisferi.
Giovanni Ottini
11
Cesare Dell’Anna
My Miles
11/8 Records
Nu Jazz/****
Ci sono temperamenti musicali indomabili,
personalità mai paghe che cercano
sempre, si innamorano in continuazione.
Cesare Dell’Anna è a tutti gli effetti uno
dei nostri musicisti più eclettici e curiosi. Un
talento capace di spaziare, di attingere
al passato e guardare al futuro. Tra i suoi
tanti progetti esce in questi giorni My Miles,
omaggio a un genio assoluto della tromba,
il pioneristico Miles Davis, mente e fiato alla
scoperta delle mille strade del jazz. Vicino al
maestro per approccio alla musica Cesare
Dell’Anna dipinge un tributo assolutamente
spiazzante, intriso di elettronica, funk, trip
hop, digitale e analogico, pur mantenendo
l’essenza del jazz. L’effetto è straniante, a
tratti strabiliante. Cesare riesce a inerpicarsi
dove solo lui sa, in viaggi assolutamente free, per poi ritrovare la traccia e seguirla,
domarla. insieme a lui compagni di viaggio d’eccezione (Adam Holzman, già
tastierista di Davis, Mirko Signorile, Mauro Tre, Stefano Valenzano, Raffaele Casarano,
Monodeluxe). Un’altra operazione coraggiosa, non semplice al primo ascolto, ma la
gente capirà.
(O.P.)
hip-hop italiano stia vivendo una fase di
crescita qualitativa generale.
Emanuele Flandoli
Colle der Fomento
Anima e ghiaccio
Rome Zoo (Autoproduzione)
hip hop / ****
Comma Mc
Peccato & Redenzione
Autoproduzione
hip-hop / ***
Forte dell’esperienza pluriennale nella
crew barese dei Mujahedin Senza Frontiere, Comma Mc si presenta per la prima
volta in veste solista, coadiuvato dalla produzione di Dj Danko.
La combinazione funziona bene, il flow
dell’Mc è movimentato e non annoia,
mentre le basi riescono a supportarlo
efficacemente senza essere invadenti. La
formula solista inoltre permette a Comma
di affrontare tematiche intimiste e riflessive,
anche se i risultati non sono sempre
omogenei: a rime coinvolgenti e versi al
limite del poetico si alternano passaggi più
banali. All’interno del disco spiccano l’inno
Bari Rock On (presente anche il video di
questo pezzo nel CD), tipico hardcore
anthem forte di un ottimo beat funk, e
soprattutto Ti piace questa giustizia?, in cui
il rapper si cala nei panni di un condannato
a morte, regalando un testo di qualità, reso
ancora più valido da un flow serrato e ricco
di intrecci ritmici. Peccato & Redenzione è
un’autoproduzione di livello, che dimostra
ancora una volta come l’underground
Ci hanno fatto attendere ben otto anni,
fra Ep ed anticipazioni live, ma finalmente
i Colle der Fomento sono tornati, alla loro
maniera: e cioè con un disco hardcore,
lontano dai trend del momento, e
soprattutto
autoprodotto
nonostante
l’interessamento delle major. Dopo l’uscita
dal gruppo di Ice One, Danno e Masito si
affidano alle produzioni di diversi beatmaker,
fra cui Squarta, Mr.Phil, Mace e Dj Stile,
ottenendo così un suono decisamente
più eterogeneo rispetto al passato. Anche
l’attitudine dei due Mc appare mutata: i
testi sono oscuri, paranoici, e riflettono una
rabbia ed una frustrazione covate a lungo.
La scena hip-hop a cui appartenevano si
è dispersa o peggio è mutata in qualcosa
di falso ed inconsistente, mentre la Roma
celebrata in Scienza Doppia H è mutata
in una metropoli nevrotica e ostile. I Colle
der Fomento dipingono un mondo a tinte
fosche, in cui l’unica possibilità sembra
restare fedeli a sé stessi, contro tutto e
chiunque, col rap come unica luce in
tempi cupi: “Se l’hip-hop è morto, rapperò
al suo funerale”.
Emanuele Flandoli
Club Dogo
Vile Denaro
Virgin/EMI
hip-hop, r’n’b / ***½
Ecco a voi il primo cd gangsta italiano. Ce
n’era davvero bisogno? Di sicuro l’attesa
per questo Vile Denaro era tanta e una
ridda di voci di corridoio non hanno fatto
altro che ingolosire fan addetti ai lavori. E
come tutto ciò che è molto atteso, da un
lato ti esalti, dall’altro ti chiedi se davvero
tutto quel clamore era sensato. Di ottimo
c’è la produzione: non mi sorprenderei se
Club Dogo riuscisse a diventare prodotto
da esportazione. Ancora, la dissertazione
sociologica finissima: Milano è raccontata
in tutte le sue dis(funzioni) (Moratti, comprati
il cd!).
La voglia di strafare però compromette
la credibilità dell’album e qualsiasi MC
senza credibilità rende merce la sua arte:
la Crew sembra essere protagonista del
clichè che viene denunciato e irriso per
tutto un album. Alcune
rime sono facilotte,
la cocaina è citata
in ogni canzone e il
quadro sociologico,
pur finissimo, vedrà
noi meridionali un
po’
straniati.
Non
aspettatevi una pietra
miliare, ma l’attesa
è stata in qualche
modo ripagata. Da
Vile Denaro il rap in
Italia
non
tornerà
indietro.
E
forse
nemmeno Dogo, vista
la bomba contenuta
in quest’album, quella
Spaghetti
Western
che può ambire al titolo di denuncia
sociale perfetta. Ieri de Andrè, oggi Dogo.
Blasfemia?
Dino Amenduni
KeepCool
12
Shannon Wright
Let In The Light
Vicious Circle / Wide
pop, songwriting / ***½
Qualcuno sa dirmi cos’è successo di
recente nella vita di Shannon Wright?
Alcuni parlano di maturità, altri di
maternità. Se pensiamo all’ultimo disco
solista, Over The Sun (2004), al suo suono
rabbioso di una chitarra elettrica e ad
una batteria, ci ritroviamo indubbiamente
spiazzati. Indizi su un certo mutamento si
erano potuti percepire attraverso l’album
del 2005 in coppia con Yann Tiersen, ma
per stessa ammissione di Shannon, l’ultimo
disco, quello che fra breve andremo ad
analizzare, è la naturale prosecuzione di un
cammino artistico e non ci sono particolari
influenze. Ok, se lo dice lei…. Con Let In
The Light la rabbia si smarrisce per ritrovare
un po’ di serenità, il pianoforte, spesso
presente, accompagna una splendida
ed emozionante voce. La leggerezza dei
suoni e la malinconia del vivere espressi
in undici perle cantautoriali tra il classico
ed il pop. Ascoltando You Baffle Me non si
può che restare ammaliati, mentre Don’t
You Doubt Me ci ricorda ancora un po’ il
passato. Meraviglia e piacere.
Livio Polini
Electrelane
No Shouts, No Calls
Beggars Banquet/ Too Pure
indierock / ***½
Quarto disco per
la
band
indie
di
Brighton.
Le
Electrelane
sono
quattro
ragazze
capaci di suonare
nei
modi
più
diversi, ne sono
testimonianza
i
loro album, tutti
in qualche modo
differenti. Il passaggio attraverso i generi
ed i repentini cambi di direzione le hanno
portate a passare nel tempo dal garage
all’indiepop, dal kraut al post-rock, senza
però perdere mai e in nessun modo la
propria identità. Registrato quest’estate a
Berlino, No Shouts, No Calls sembra voler
esprimere un indierock, a tratti pop, dai
risvolti malinconici, perfetta armonia dei
suoni ed un equilibrio a volte spiazzante,
molto lontano dalle improvvisazioni in presa
diretta del precedente Axes (2005). La
magnifica To The East sembra la canzone
perfetta, con tanto di cori e ritornello
accattivante, in Between The Wolf And
The Dog, invece, troviamo più spazio per
la sperimentazione con passaggi vicini alla
Il teatro degli orrori
Dell’ impero delle Tenebre
La Tempesta
noise d’autore / *****
Punta....mira....fuoco! Dall’Impero delle Tenebre i folli attori del Teatro degli Orrori
mettono in scena il delirio, l’oscenità, la rabbia, l’insoddisfazione delle nostre vite. Nato
nel 2005, il gruppo prende il nome dal Teatro delle Crudeltà di Artaudiana memoria
e vede vecchi e nuovi One dimensional man (Giulio Favero in passato chitarrista
dell’uomo a una dimensione su capolavori del calibro di 1000 doses of love e You Kill
Me, qui nelle vesti di bassista e produttore, Pierpaolo Capovilla che in questa occasione
abbandona il basso per dedicarsi solo alla voce e ai testi ed il nuovo ingresso alla
batteria Francesco Valente) accompagnati dallo splendido lavoro alle chitarre di
Gionata Mirai, già chitarrista e cantante nei Super elastic bubble plastic, formazione di
punta del nuovo rock indipendente italiano. Melvins, Jesus Lizard, Scratch Acid, Shellac,
Birthday party sono le coordinate su cui si muove la musica del combo, sostenuta da
una sezione ritmica impeccabile e devastante, dalla chitarra melodicamente noise di
Mirai e dall’interpretazione ironica, isterica e dissacrante di Pierpaolo. I testi in italiano
sono il valore aggiunto del disco, carichi di cinismo (E lei venne!), amore (il tango-noise
de Il turbamento della gelosia), speranza ( la splendida Compagna Teresa), disillusione
(Scende la notte, La canzone di Tom, toccante dedica ad un amico scomparso),
denuncia sociale (L’impero delle tenebre con citazione degli Area di Maledetti) e
politica (Carrarmatorock!). Dell’impero delle tenebre si impone come esempio forse
non unico ma sicuramente raro di quello che dovrebbe essere il rock del nostro Bel
Paese. Per radere al suolo i castelli di carta del re.
Rosario
psichedelia. Un songwriting più maturo
ed uno spirito più pacato (ma comunque
folle) in un disco affascinante.
Livio Polini
Cinematic Orchestra
Ma fleur
downtempo / jazz ***
Il quarto album dell’orchestra composta da un uomo solo
(Jason
Swinscoe)
conferma la classe del compositore
laptop inglese.
Le sue capacità
visionarie, il suo
tocco, in grado di
far viaggiare le menti, rimane inalterato,
se non migliorato. Se avete bisogno di una
colonna sonora della vostra vita (meglio, di
un vostro viaggio in auto), questo è un gran
bel cd. Eppure, lascia l’amaro in bocca. Lo
fa perché le tracce cantate (solo 5 su 13)
appaiono le migliori, quelle che scuotono,
fino a commuovere. In particolare
l’apertura (To Build a Home, cantata da un
bravissimo carneade, Patrick Watson) e la
chiusura (Time and Space, con Lou Rhodes,
ex Lamb, angelica). Il resto dell’album è
un ottimo prodotto che però non scuote
le coscienze, al massimo le coccola. E
per questo potrebbe rischiare di essere
dimenticato nel tritacarne delle produzioni
musicali e nella riproduzione isterica di
sonorità simili a quelle di Swinscoe; a un
ascolto ingenuo, la Cinematic Orchestra
potrebbe essere un ottimo gruppo da
Buddha Bar. Speriamo bene, dai.
Dino Amenduni
The Clientele
God Save The Clientele
Merge
Indiepop / ***½
Recita il titolo di questo album “Dio salvi i
Clientele”, mai frase fu più giusta. Il dream
pop strizza l’occhio agli anni sessanta, così
può capitare di perdersi all’improvviso,
ritrovarsi scaraventati in paesaggi lontani,
KeepCool
prati soffici su cui correre e poi scivolare,
senza farsi male, sentirsi rassicurati, tutto
deve ancora succedere, l’attesa è dolce e
malinconica in egual modo. Tornare in pace
con noi stessi, per alcune decine di minuti,
durante l’ascolto di questo album, potrai
intuire che ne vale la pena, indubbiamente.
Un pop adulto ed elegante, di grande
stile, più immediato rispetto al passato,
attraverso strutture più leggere. Ancora
una volta capaci di stupirci i Clientele, con
un disco che sa di autunno e allo stesso
tempo di primavera, attraverso riflessioni
e meditazione, speranze e dolci risvegli.
Capaci di rinnovarsi senza rinunciare al loro
credo, allo stile che li contraddistingue da
quasi dieci anni. Ogni loro disco un piccolo
capolavoro, un gioiello da custodire.
Livio Polini
Bobby Soul
Draghi Rossi & Buchi Neri
mo-beat Records
nu-groove / ***
13
Mus
La vida
Greenufos rec.
Folk-slowcore ****
Quando ho letto che
questo duo (la cantante
Mónica
Vacas
e
il
compositore Fran Gayo)
venivano dalle Asturie,
devo dire di aver storto un
po’ il naso. Cosa mai ci si
può aspettare da quei
“ricottari” degli spagnoli.
Ed invece eccomi come
un deficiente ad ascoltare
ammaliato questo La vida
che, con 12 splendidi
brani, mi ha costretto
forzatamente a fare un
bel passo indietro sui miei
pregiudizi. A onor del
vero devo dire che qui
lo spagnolo viene messo
da parte a favore di uno
squisito asturiano antico.
Il fatto poi che in Spagna
ci hanno suonato solo tre
volte, mentre per anni
hanno girato in tutto il
mondo (pure in Russia e
Taiwan…), la dice lunga sul loro volersi porre al di là della scena musicale nazionale.
Il risultato è davvero emozionante. Una musica dolcissima, orchestrazioni delicate,
dominate da quell’esotico strumento che è l’autoharp, e canti eterei che evocano
paesaggi incantati. Un’abilità compositiva strabiliante e una voce penetrante fanno di
questo album uno dei vertici dello slow-core di sempre, degno di un posto d’onore nel
catalogo 4AD. Questi due sanno fare magie con una eleganza davvero rara.
Gennaro Azzollini
Plasticines
Groove Armada
Sono quattro ragazze, arrivano da Parigi e nessuna di loro
ha ancora compiuto vent’anni, ma
dalla loro hanno
una lunga trafila
di esibizioni live e
un disco d’esordio
registrato in meno
di due settimane, nonché un produttore
che risponde al nome di Maxim Schmitt
(il nome Kraftwerk vi dice niente?). LP1 è il
titolo di questo primo album delle Plasticines, 13 brani freschi e veloci, solo in un paio
di episodi le tracce superano i due minuti
di durata, leggeri e ammiccanti quanto
basta per ritagliarsi uno spazio nelle playlist
vacanziere. Testi a metà tra francese e
inglese, chitarre sempre in primo piano e
coretti sbarazzini, le quattro parigine fondono il sound e la “stilosità” degli Strokes,
l’impeto e la carica sonora dei Libertines e
la semplicità dei Ramones: il risultato è un
disco molto easy, sicuramente non originalissimo, che unisce momenti più rock (Lost
In Translation, Alchimie) a frangenti “poporiented” (il singolo Loser, Byciclette). Piacevole, ma resta un dubbio: non si tratterà
dell’ennesimo fuoco di paglia?
Giuseppe Muci
A
cinque
anni
dall’ultimo lavoro “in
studio” il duo inglese
torna
sul
mercato
con un disco molto
particolare. Se già
Lovebox
(2002)
ci
aveva colpiti per la
capacità di coniugare
in unica tracklist sonorità a prima vista
incompatibili tra loro, spaziando dal rock
alla dancefloor, questa volta i Groove
Armada la rischiano grossa, e sfornano
un lavoro che definire disomogeneo è
poco, ribadendo la verve compilatoria
mostrata negli episodi a loro nome delle
serie Back to Mine e Late Night Tales
(quest’ultimo di pregevolissima fattura).
Non una traccia che si accomodi allo stile
della precedente, un volo pindarico che
comprende Acid-House made in uk (Drop
that thing), dance grooves alla Basement
Jaxx (The things that we could share), Dub
(Soundboy Rock) raffinatissima Ambient
(From the Rooftops), Pop dal gusto retrò
(come nella dolcissima Paris)…e l’elenco
sarebbe ancora lungo. E ciò che davvero
ci sorprende, la polimorfia di Soundboy
Rock non infierisce sulla qualità del disco,
nobilitandolo tutt’al più. Da non perdere. E
da riascoltare tre volte.
Elvis Nicolas Ceglie
LP1
Virgin
indie pop / ***
Primo lavoro di Bobby Soul, al secolo
Alberto De Benedetti, anima e voce
dei
Blindosbarra.
Accantonato
temporaneamente il progetto genovese di
matrice funk torna sul mercato con Draghi
rossi & buchi neri, un album con molteplici
sfaccettature, molti generi, al limite anche
troppi; di fondo c’è un tappeto costante
di groove, acustico e sfacciato in brani
come Maschio N.1 o Sull’onda buona,
più sincopato, minimale ed elettronico
in Real Black con Sharon Jackson e Nio
Siddartha che sembra rimandare alla
migliore tradizione del contemporaneo
nu-soul statunitense di D’Angelo, Common
o Erykah Badu.
Un album composto da brani originali
(tranne per una interessante rivisitazione
di Un uomo che ti ama di Battisti) che
trasmette grinta, tensione e sudore.
Zanca
Soundboy Rock
Columbia
dance & co / ****
KeepCool
14
Mark Ronson
Version
Columbia
cover / ****
Benji Jumping
Da diversi anni a
questa parte è la
figura del produttore a determinare il
successo di un’artista, più delle qualità
dell’artista stesso.
Sospendendo ogni
giudizio a riguardo,
ecco a voi Mark
Ronson.
Nato a NY, vive da anni in Inghilterra;
il suo tocco ha permesso la definitiva
consacrazione di Amy Winehouse, ma
soprattutto ha permesso a Lily Allen di
emergere dal nulla. E in questo album,
come spesso succede negli album dei
produttori che si mettono in proprio, tutti i
“protetti” ritornano al capezzale. Ronson
in questa Version rivisita 12 piccoli classici
(molti dei quali recentissimi) con sonorità
tra il pop e il funky. Delirante la versione di
Toxic di Britney, con la voce di ODB; Stop
Me, il singolo (degli Smiths l’originale), già in
testa alle classifiche in UK, sta conoscendo
un buon successo radiofonico anche da
noi. Lily Allen canta i Kaiser Chiefs (Oh
my God), Amy Winehouse i The Zutons
(Valerie), Robbie Williams (un’altra punta
della scuderia Ronson) rivisita i Charlatans.
Un ottimo album, che però non convince
appieno a causa dell’esasperazione
della stessa soluzione ritmica, sicuramente
d’appeal, ma probabilmente non così
tanto da poter essere reiterata per 50
minuti. Più che altro, una grandissima
collezione di singoli.
Dino Amenduni
Low
Drums and Guns,
Sub Pop
slo-core / ***
Tredici anni dopo
lo
straordinario
I Could Live in
Hope,
disco
d’esordio
che
portò il trio di
Duluth alla ribalta
internazionale,
Drums and Guns
è un lavoro che
si presenta in
punta di piedi; la
band sembrava
pronta a partorire il cosiddetto disco di
transizione, sganciatisi dallo slo-core degli
esordi verso non precisati lidi; ma è qui
che subentra la creatività di un progetto
ormai maturo, capace di trovare vie
d’espressione anche lontano da casa.
Passano gli anni e cambiano gli stilemi,
ciò che resta è la sensazione di disagio, di
tensione emotiva, veicolata da atmosfere
rarefatte e fumose, e dalla voci imploranti
di Alan Sparhawk e Mimi Parker. Hatchet,
Belarus e Dust On The Window gli episodi più
significativi, ed in linea di massima colpisce
la perseveranza nell’uso di drum machine
e loop, esasperanti a volte, specie nella
parte centrale del disco. Siamo ben pronti
Charme & Shake
Irma Records
lounge & shake / ****
Avere questo promo in mano
mi riempie di orgoglio…il titolo
è Charme & Shake ed è il primo
lavoro a firma Bengi Jumping,
(Daniele Bengi Benati, anima, voce
e frontman dei Ridillo); l’album vero
e proprio uscirà dopo l’estate, ci
sono ancora da arricciare gli ultimi
fiocchetti e da spruzzare le ultime
gocce di profumo ad un regalo che
la Irma Records sembra voler fare
a tutti i lounge victim orfani di Sam
Paglia e Montefiori Cocktail. Il pezzo
di apertura (già uscito come singolo)
Ice Cream Pusher è uno shake da
brivido che poteva essere interrotto
solo da Italian Kisses, un leggero
ma passionale omaggio ai maestri
Morricone e Piccioni, una melodia
fischiata e l’ombra di Alberto Sordi
che sorride in lontananza. Non
manca nulla a quest’album, ci sono
paparazzi con vespe anni ’60 a caccia di vip, ci sono sax scatenati (Kikko Montefiori
compare in Paparazzi appunto), ci sono cha cha cha e le trombe di Claudio Zanoni in
Trumpet Cha Cha, c’è un goffo sosia di Elvis che impomatato canta Tutti Frutti Bali…c’è
un assoluto buon gusto nella veste grafica e in quella sonora.
Zanca
a vedere il frutto di queste sperimentazioni
in futuro, e chissà, invertite le responsabilità
della Parker e di Sparhawk. Ma Drums And
Guns non può essere considerato più che
un (riuscitissimo) disco di passaggio.
Elvis Nicolas Ceglie
Alla Bua
Saratambula
Autoproduzione
musica tradizionale / ****
Nel Salento sono una specie di istituzione.
Gli Alla Bua, tradotto dal griko “altra cura”,
in questa terra sono nati e cresciuti. Come
nella più autentica tradizione della pizzica,
la loro musica parte e si fa in mezzo alla
gente. Così è stato per Stella Lucente
(1999), Alla Bua (2002) e Limamo (2004).
A distanza di tre anni dall’ultimo album, la
band torna con 13 brani di pizzica incisiva
e vibrante. Al centro del nuovo disco
intricati scioglilingua e antichi giochi. E a
Saratambula – si salta a mo’ di cavallina
sulle schiene piegate dei partecipanti in
fila - ci giocavano i ragazzi di una volta,
sull’antico basolato salentino, di notte.
Così come bastavano cinque sassolini
per giocare a Paddhi. Non mancano i
tradizionali testi in griko dell’intensa Kalinitta
e di Aremu rondineddamu. Storie sudate
di fatica si leggono nella pizzica di Senza
Camisa, Nu Tuzzare e Taccaru e nel minivalzer di Tristu Furese. Intriganti melodie
liberatorie e in ogni caso festose ritmano
invece i testi rinnovati di Ninella e Cesarina.
Dolce e poi intenso l’intreccio tra flauto e
oboe in Balla cu me. Mentre un frizzante
brano-fotografia dell’atmosfera delle fiere
del Salento, Purginu, conclude un disco
tutto da leggere attraverso.
Flavia Serravezza
Takeshi Nishimoto
Monologue
Büro / Wide
contemporanea / **½
Non molto tempo
fa si era parlato
di lui anche in Italia per il progetto
post-rock a quattro mani con John
Tejada I’m not a
gun.
Ora si ripresenta
con un lunghissimo
album di pezzi di sola chitarra classica
registrato in una chiesa di Berlino, e con uno
stile puramente europeo. Ora, al di là di tutte
le masturbazioni mentali che si potrebbero
perseguire nel cercare di tradurre in parole
la magnificenza tecnica (priva però per
fortuna di virtuosismi e barocchismi) del
nostro, bisogna ammettere che dischi così
sono duri da reggere fino in fondo, anche
per chi è ben predisposto verso le sonorità
più introspettive. Il problema tuttavia non
è solo nel genere (dischi di strumenti solisti
sono sempre un po’ tostarelli…) ma proprio
nel particolare atteggiamento che il
giapponese assume in questo disco, un non
so che che te lo rende proprio antipatico,
sebbene di certo non brutto. Infatti il suono è
malaccio: deciso ma silenzioso, scarno ma
profondo, complesso ma non spocchioso.
Eppure rimane qualcosa di nascosto che
sottilmente ma inesorabilmente produce
tensione e fastidio nell’ascoltatore. È come
se effettivamente il musicista parli, parli,
ma senza volerti dire effettivamente mai
niente, senza arrivare mai a nessun luogo,
riservando a sé stesso e solo a sé stesso il
significato di tutto questo, il che rende il
disco inevitabilmente piatto (solo verso
la fine si apre un po’ con la piacevole
KeepCool
Coming Home). D’altronde, di monologo
si tratta.
Gennaro Azzollini
Ridillo
Soul Assai Brillante
Halidon
lounge-pop / ****
Siamo al quinto
album dei Ridillo.
Soul Assai Brillante
è il titolo ed è strettamente
legato
al musical – con
la regia di Michele Ferrari – che la
band della bassa
padana sta portando in giro per il
nord Italia.
I tredici brani sono canzoni americane
maneggiate con grande rispetto da una
parte e con la voglia di reinterpretarle
in italiano con sensibilità ed esperienza
dall’altra. L’ombra di Mina è sempre
presente, Celentano viene tirato in ballo
con il medley Bisogna far Qualcosa/Il
Beat Cos’è (le intramontabili These Boots
are Made for Walkin/The Beat Goes
On). Avete mai ascoltato Don’t let me
be misunderstood in chiave swing? è il
risultato di Vai pure via. Il non aver inserito
brani originali (pur avendone già registrati
alcuni molto radiofonici) è stata una scelta
mirata per non distogliere l’attenzione
dalla coerenza dell’album, un omaggio
innamorato e imbevuto nella nostra scena
musicale dei ’60 e dei ’70, degli Stevie
Wonder e degli Otis Redding all’italiana.
Zanca
Tied + Tickled trio
Aelita
Morr
ambient / ****
15
glockenspiel, soundtracks. Più che un
passo in avanti sembra che abbiamo
voluto gettare uno sguardo all’indietro,
ai Tangerine Dream, al trip-hop dei primi
Unkle, e all’ambient scandinava anni
’90 (mi viene da pensare a Biosphere).
L’atmosfera è sostanzialmente molto triste
e a tratti inquietante, ma anche rilassante,
se ti ci lasci andare, se smetti di resistergli e
ti abbandoni al flusso: è questo d’altronde
l’unica via per ascoltare certe cose. Era
da tempo che non mi dedicavo più a certi
ascolti. Un piacevole dejà-vu.
Gennaro Azzolini
Dolorian
Voidwards
Wounded Love/Masterpiece
avanguardia / ***½
Terzo capitolo discografico per la
band finlandese
dei Dolorian, anzi
oserei dire terzo biglietto per una dimensione onirica
e surreale.
I Dolorian sono autori, in Voidwards,
di musica innegabilmente avanguardistica, in cui il doom
attinge al nero pece tipico del black, ma
successivamente si dirada e si diluisce in
contesti ambient e melodici, dove, infine,
un flebile sentimento di speranza sembra
celarsi.
Le dieci composizioni sono tappe
obbligatorie per un viaggio sperimentale
in cui suoni ed effetti ricercati, voci dalle
multiformi
espressività,
materializzano
partiture lente ed ossessive, nelle quali
patterns irregolari ed asfittici, danno luce ad
un tipo di scrittura affine al frazionamento
puntillistico. Unico neo (o pregio) è la
scarsa prosodicità dei brani, difficilmente
metabolizzabili ed ascoltabili. Tuttavia, la
sensazione madre che se ne ricava, se
ascoltate le tracce con totale dedizione, è
pieno distacco da tutto ciò che è terreno
e quotidiano, fino a percepire un livello di
catarsi, che oserei dire, per l’uomo di oggi,
essere pienamente curativo.
Nicola Pace
My Dying Bride
A Line of Deathless Kings
Peaceville Records/Audioglobe
doom-metal / ****
Album realizzato sulla base di brani eseguiti
per un festival della Hausmusik (etichetta
indie tedesca che ha prodotto negli anni
del post-rock pregevoli cosette). Forse
anche per questo il sound si distacca da
quelle che sono state le loro direzioni dei
tempi passati. Ancora down tempo, si, ma
privo di ogni frivolezza jazzistica e lounge.
Ciò che rimane è un malinconico dub
misto a un minimal-elettronica glaciale
fatta di glitchs, tastiere kraute, xilofono,
I My Dyng Bride,
sono i precettori indiscussi della scena death-doom inglese dei primi anni
Novanta, genere
a cui sono rimasti
coerenti, ma dal
quale si sono astenuti per momentanee divagazioni
sperimentali (vedi 34,788%...Complete).
A Line of Deathless Kings, loro nona opera
in studio, si pone decisamente un gradino
sotto il predecessore. Abbandonate, ora,
le asprezze black e death, i M.D.B si sono
concentrati sull’indole gotica del proprio
suono, citando soluzioni adoperate
nel recente passato. Quello che trovo
eccezionale nella loro proposta, è
essenzialmente una modalità elaborativa
che appare esprimersi e risolversi in
orizzontale, come se arrangiamenti
contrappuntistici non siano nella cifra
stilistica dei nostri, lo si vede nei numerosi
incisi strumentali, in cui, mai, se non
per leggere sfumature, gli strumenti si
sovrappongono. A Line of… sembra essere
l’opera che riassume il verbo artistico del
quintetto di Birmingham, dal momento
che, la summa delle loro peculiarità
convergono qui, e si caricano di quel
romanticismo cupo e raffinato che solo il
combo inglese riesce a forgiare.
Nicola Pace
Noekk
The Grimalkin
Prophecy Productions/Audioglobe
dark-progressive rock / ****
Se il precedente
lavoro The Water
Sprite, era all’insegna di un doomrock, che molto
aveva dei seventies, in The Grimalkin le carte in
tavola sono state
mescolate, ed in
parte cambiate.
I nuovi brani si sono a dire poco dilatati,
eliminando, in se, qualsiasi traccia di
forma canzone. Tre sono le lunghissime
composizioni (rispettivamente di venti,
undici e dieci minuti) in cui influenze
folk, ambient, doom-rock ed escursioni
barocche, si incastrano come tessere di
un mosaico. Fin qui tutto sembra perfetto,
in realtà, i pezzi non sempre permangono
compatti e coerenti, ma i continui cambi
di registro, di tempo e di interpretazione
vocale, non rendono la proposta di facile
accessibilità; penso, in particolare, ai
momenti nei quali esecuzioni furiose ed
angoscianti lasciano il passo a tempi medi,
nei quali litanici orientalismi e divagazioni
barocche, fungono da bridge per ulteriori e
consequenziali sviluppi. In conclusione, The
Grimalkin risulterà ostico, se ci si accosterà
frettolosamente, ma si farà appetibile una
volta abbandonati nelle sue, oscure e
seducenti, trame.
Nicola Pace
Unsane
Visqueen
Ipecac
noise-rock / ****
Insieme ai vari Helmet, Jesus Lizard e ad
etichette come l’Amphetamine Reptile, gli
Unsane hanno contribuito a definire l’estetica del suono di quei rumorosi anni ’90. A
due anni da Blood
Run e a quattro dalla bellissima raccolta
Lambhouse, che sapeva già di commiato, il trio newyorkese
si ripresenta con un
nuovo disco e col
consueto carico di
violenza
efferata,
KeepCool
16
sangue e morti ammazzati in copertina.
L’ossessivo drumming schiacciasassi di
Vinnie Signorelli è sempre accompagnato
dal truce basso distorto, percosso da Dave
Curran con la solita grazia di un muratore a
cottimo. Su tutto Chris Spencer che squarcia
l’aria coi suoi riff abrasivi e le linee stridenti
di chitarra, e che sputa rabbia e ferocia,
con quella voce invasata, a chiunque gli si
trovi di fronte. Un urlo primordiale dal buio
profondo della città delle città. Una band
che con furia e rancore fa ancora tremare
la terra sotto i piedi. E 10 anni fa, Corigliano
è stata per una sera, l’epicentro di questo
devastante terremoto.
Giovanni Ottini
Kaotica
Timeless
Autoproduzione
prog metal / ****
Esiste un dualismo nelle strutture sonore dei
Kaotica: da una parte il rincorrersi vocale
di luci ed ombre e dall’altra un dialogo
continuo tra gli strumenti. È come se la
voce melodica di Elena Shiva Tarighinejad
giochi a nascondino con le complesse
parti strumentali, quasi ai confini del prog
metal, create da Amir Simone Tarighinejad
e Giuseppe Argentiero (chitarre), da
Luca Varrazza (basso), da Cristiano Trevisi
(tastiere) e da Mauro Lorenzo (batteria).
L’effetto finale è quello di un incrociarsi
continuo di forza e fragilità che disegnano
paesaggi davvero variegati, spesso
filtrati da suoni che non esiterei a definire
anche esotici. Potrebbero tranquillamente
competere con i grossi nomi del genere
più conosciuti all’estero i salentini Kaotica.
Il loro suono possiede un pregevole tasso
di originalità che, senza mai indugiare in
sfoggio di tecnica fine a se stessa, li rende
amabilmente unici. Non sono semplici
e, soprattutto, non sono mai banali le
loro composizioni. Vanno ascoltate con
attenzione e lasciate crescere. È facile che
a questo punto scopriate di avere a che
fare con una band speciale.
Camillo “RADI@zioni” Fasulo
Il nostro viaggio alla scoperta
delle piccole etichette passa
dalla neo nata Muertepop.
Ne abbiamo parlato con
Federico Baglivi.
Cos’è e qual è l’idea che
c’è dietro una label di
questo tipo.
Muertepop è una netlabel
italiana che da gennaio
2007 produce musica con
l’intento di promuovere artisti
della scena musicale indie,
elettronica, e sperimentale.
Le release di Muertepop
sono quindi finalizzate esclusivamente alla
distribuzione e alla promozione musicale,
azzerando qualsiasi intento di tipo
finanziario; consistono in un semplice free
download dal sito www.muertepop.com
di tracce mp3 e immagini jpg, necessarie
all’auto-costruzione di un piccolo booklet.
Si tratta in definitiva dell’estremizzazione
del concetto di DIY, in cui ognuno scarica
la musica che gli interessa e masterizza il
suo cd, stampa la sua cover e si costruisce
il suo booklet. Nonostante questo, il lavoro
dietro una netlabel come Muertepop c’è
ed è anche tanto, dato che dopo ogni
singola release ci occupiamo anche della
fase di promozione sul web.
Tutto questo è possibile grazie ad una
particolare forma di licenza che copre le
produzioni Muertepop. Cosa sono queste
forme di licenza e perché questa scelta?
Tutta la musica scaricabile da Muertepop,
come per tutte le netlabel, è soggetta alle
licenze creative commons; queste licenze
fanno sì che ciascuna release sia scaricabile
gratuitamente. Inoltre l’artista continua a
detenere dei diritti sulle sue tracce musicali.
Difatti coloro che rilasciano la loro musica
come formato mp3 sul sito Muertepop
sono completamente liberi e padroni delle
loro tracce; tuttavia qualora lo volessero
possono essere rimossi dal free download
in qualsiasi momento; inoltre devono
essere citati come autori nel momento
in cui la stessa viene utilizzata da terzi. La
scelta di una netlabel come Muertepop e
delle licenze creative commons è arrivata
per due motivi ben precisi: prima di tutto
per evitare che ci fosse un ostacolo di tipo
economico tra la musica e i ragazzi che
l’ascoltano, autorizzando di fatto un free
download che potenzialmente rende una
release estremamente divulgabile via web;
inoltre per evitare che lo
stesso ostacolo monetario
ci proibisca di “produrre”
artisti
che
a
nostro
parere meritano ma che,
nell’organizzazione attuale
delle cose nel campo
musicale,
difficilmente
avrebbero una possibilità
per farsi conoscere.
Quali sono gli artisti e i
generi che si possono
trovare su Muertepop?
I generi delle produzioni
Muertepop
sono
abbastanza vari ma tutti ruotano intorno
ad una determinata idea di elettronica.
In effetti in tutte le release, dalla prima
compilation sino a queste ultime, è sempre
presente una qualsiasi sonorità elettronica.
Tuttavia si spazia molto dall’indiepop
elettronico di All about Max e Parade
Me
all’elettronica
più
sperimentale
di Manfredini. Fondamentalmente è
necessario che l’artista “ci piaccia”,
indipendentemente
dal
sottogenere
elettronico a cui appartiene.
Quali sono i progetti attuali e futuri di
Muertepop?
Al
momento
stiamo
curando
la
promozione di Nothing to say e di All
about Max, ultima release uscita il 14 di
Maggio in coproduzione con la Peteran
records, label e netlabel di Roma.
Release di cui siamo orgogliosi, infatti
Max ci è piaciuto sin da subito, è molto
bravo nell’amalgamare perfettamente
glitches elettronici e sonorità acustiche, e
nonostante questo è rimasto sempre nella
sua stanzetta. Doveva necessariamente
essere ascoltato da qualcuno. Per giugno
siamo in preparazione di Where Do All
Those Spiders Hide?, release di Parade
Me, un ragazzo di Berlino, che mostra
di aver imparato molto bene la lezione
Morr music, regalandoci un download
di sette bellissime tracce vicine allo stile
Styrofoam. E’in programma poi, per dopo
l’estate, una nuova compilation con artisti
della scena indie elettronica italiana ed
europea marchiata Muertepop. Vi ricordo
che per ascoltare la prossima release di
Parade Me, prevista per l’11 di Giugno,
e in generale tutta la musica prodotta
da Muertepop, è sufficiente visitare il sito
www.muertepop.com e scaricare. Legale
e gratis.
I Piano Magic di Glenn Johnson ci regalano
un nuovo disco. Dopo una lunga carriera e
i vari cambi di formazione la band non ha
perso il suo smalto e il nuovo Part Monster
è bellissimo, intenso, a tratti cupo, intimo e
riflessivo. Ne abbiamo parlato con Glenn.
Il precedente Disaffected era animato da
fantasmi, presenze del passato, questo
nuovo album si intitola Part-Monster. Da
quali personaggi è animato?
è sopratutto autobiografico, il personaggio
strano è presente un po’ qui e un po’ lì,
come il patriota fuorviante di Soldier Song
e England’s Always Better, la popstar che
ha perso la sua strada in The King Cannot
Be Found, ma in generale sono gli angoli
bui racchiusi in me e in te, il “mostro” che
è in tutti noi.
Come è nato musicalmente?
In modo organico. Sopratutto dalle prove.
Ci sono state anche delle registrazioni individuali avvenute in casa. Non c’è stata
una decisione consapevole di andare in
una direzione precisa, ma eravamo d’accordo fin dall’inizio di registrare in diretta il
più possibile, con poche elaborazioni per
non perdere l’effetto naturale. Volevamo
registrare delle canzoni che potevamo
suonare dal vivo. Ironicamente, ci siamo
riusciti solo a metà.
La vostra musica sembra sospesa nel
tempo. Ci sono tante influenze, atmosfere
decadenti, rock, wave. Piano Magic è
cambiato molto in questi anni, forse grazie
all’avvicendarsi di culture musicali diverse?
Credi che questo abbia influito sul vostro
sound molto particolare?
Ho sempre pensato che abbiamo seguito
un percorso istintivo; la nostra musica
è il risultato dell’alchimia tra i singoli
musicisti, più che il prodotto di quello che
accadeva in qualsiasi scena musicale.
C’è stato un momento sul finire degli anni
novanta, quando eravamo ancora alla
ricerca della nostra strada, che senza
cognizione di causa, ci siamo avventurati
un po’ troppo vicino all’estetica “post
rock” di quel periodo, ma quando ce ne
siamo accorti, siamo scappati via il più
velocemente possibile. Oggi qualsiasi cosa
anche lontanamente vicina a Spiderland
degli Slint mi annoia fino alle lacrime.
Ogni tanto si riconosce nelle tue canzoni
l’impronta degli anni 80, come hai vissuto
quel periodo? Cosa ti ha lasciato?
Durante gli anni ottanta ho vissuto in una
piccola casa di campagna, in un villaggio
costruito intorno ad una ex miniera.
Nonostante ciò non ero completamente
tagliato fuori dalla civiltà. Ho sempre
guardato tutte le puntate di qualsiasi
show di musica pop televisivo in onda
in quegli anni, – Top Of The Pops, The
Tube, The Old Grey Whistle Test, SNUB TV
– e contemporaneamente creavo la mia
musica, utilizzando solo un’ economica
chitarra Casio a due corde e solo in un
secondo momento una semidecente a
sei corde. Quegli anni erano eccitanti per
la musica. Agli inizi degli anni Ottanta ero
ossessionato dagli Specials, subito dopo
dai Soft Cell, The Human League, Depeche
Mode e in generale da tutta la musica 1finger synthpop. Ma sono stati gli Smiths che
mi hanno ancorato ad un romanticismo
riconoscibile nei Piano Magic di oggi.
Dopo tanti anni di attività, più di dieci
credo, com’è cambiata la musica intorno
a te e il modo di percepirla?
Oh, c’è sempre qualcosa di decente
intorno se ascolti con attenzione ma è
nascosta sotto un mucchio di robaccia.
Mi rattristano i gruppi che cercano di
assomigliare ad altri. Mi rattristano i gruppi
che sono più famosi per quello che fanno
fuori dal palco che per quello che fanno
sul palco. Mi rattristano le persone che
seguono questo genere di gruppi. Mi
rattristano quelli che non hanno mai sentito
i Velvet Underground. Infatti sono rattristato
per tutti quelli che non hanno avuto modo
di conoscere gli Smiths. Sono stanco di
tutti quei gruppi che hanno a disposizione
tutti gli strumenti ma non capiscono che
gli manca il cuore e l’anima. Sono stanco
degli egoisti. Sono stanco di tutti quei
gruppi che suonano solo per i soldi e la
fama. Odio quei gruppi che suonano solo
nelle capitali delle varie nazioni, senza il
coraggio di andare a visitare i piccoli paesi,
dove è più importante andare. Non so se
qualcosa è cambiato. So solo che posso
contare i gruppi che stimo sulle dita di una
mano. Il 95% della collezione di dischi di
qualsiasi persona è inutile.
Per una nutrita e sempre maggiore schiera
di pubblico state diventando una band di
culto, come vivi questa sensazione?
Stiamo diventando grandi? È difficile
da dire. In Inghilterra la gente è ancora
completamente indifferente alla nostra
musica e la nostra popolarità in Europa và
e viene. Le nostre vendite sono costanti e
buone, ma ancora non siamo apparsi sulla
copertina di una rivista. Mi sto lamentando?
No. Meglio essere un gruppo “Cult” che
lamentarsi per quello che non si ha.
I Piano Magic non appartengono a
una scena particolare, ma se proprio
dovessifare uno sforzo, a quali band ti
senti più vicino? O per lo meno, quali ti
piacciono?
Non ci mettiamo in “relazione” con
nessuno! Certamente non apparteniamo
a nessuna scena. Ma personalmente mi
piacciono vari artisti giorno dopo giorno,
in base al mio umore: i nuovi dischi di LCD
Soundsystem, Giardini Di Mirò, Dinosaur Jr,
Low, The Sea & Cake, ma sempre Kraftwerk,
The Smiths, Joy Division, New Order, The
Durutti Column, Felt. Sono un ragazzo a
cui piace l’indie. Forse dovrei scusarmi per
questo, ma sono fatto così.
Osvaldo Piliego
18
Dagli anni 80 a oggi Giorgio Canali ha rappresentato e rappresenta un elemento chiave del rock Italiano. Prima dietro in comandi
di gente come i Litfiba (quelli buoni), poi ancora nei CCCP e nei
Csi. Una carriera come produttore di band come i Marlene Kuntz,
il Santo Niente e ancora l’esperienza solista che lo vede affiancato dai Rossofuoco. Esce in questi giorni Tutti contro tutti.
La sincerità, quella sbattuta in faccia senza mezzi termini sembra
restare caratteristica portante dei tuoi testi. Cosa ti fa arrabbiare?
Cosa ti indigna?
La rassegnazione mi fa incazzare, chi si accorge che ci stanno
fregando e fa finta di nulla perché tanto “che ci vuoi fare”…
Questo mi fa imbufalire ancora di più di quelli che, accorgendosi
che ci stanno fregando, fanno finta di nulla perché gli conviene o
perché sperano di finire, in qualche maniera, nel numero ristretto
degli “eletti” che fregano gli altri… poi ci sono gli idioti: quelli che
non si accorgono che ce lo stanno mettendo in quel posto e, se
cerchi di avvisarli, prendono te per un idiota… Last but not least…
(e qui arriviamo nel mio piccolo mondo autistico) ecco le teste di
cazzo, ovvero coloro che, automaticamente, nel momento in cui
in una canzone si affronta un argomento che sfiora il sociale, non
importa in che maniera e in che ottica, ti dà del retorico e del
populista… Questo per ciò che riguarda il “cosa mi fa arrabbiare”,
in risposta alla seconda parte della domanda posso solo dire
che l’indignazione è un sentimento che non mi appartiene
perché, fondamentalmente, la ritengo una forma mentale del
qualunquismo…
Qual è il filo conduttore di questo Tutti contro tutti?
Banalmente ti rispondo: “la rabbia”. Se non ci si vuole fermare
alla prima definizione, posso dire che molte delle parole cadute a
pioggia sulle atmosfere musicali di Rossofuoco nell’ultimo lavoro,
sono legate alla dedica sul retro di copertina del cd: “A Federico
Aldrovandi, 1987-2005”, dedica che si estende anche a Patrizia,
madre ostinata e tutt’altro che rassegnata, e all’associazione
Verità per Aldo. Federico era un ragazzo appena diciottenne che,
una notte, tornando a casa, ha scelto la strada sbagliata, questo è
l’indirizzo su internet per saperne di più: http://federicoaldrovandi.
blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/
Sembra che l’imbastitura musicale dell’album sottolinei, o
comunque sia parte integrante del messaggio, diretta, essenziale
sincera. L’importante è l’obiettivo?
C’è, tra coloro che fanno musica, chi prova smisurato piacere
nel concepire ed eseguire intrecci ricercati, invidio quelli che
riescono a trasmettere emozioni profonde in questa maniera, ma
sono pochissimi… dal canto mio penso che quattro accordi di
merda e un migliaio di parole
ancora peggio, comunichino
meglio il mio/nostro stato
d’animo e, se permetti, per
noi è molto più facile divertirci
suonando dal vivo cose che
anche un bambino riesce
ad eseguire… quello che
cerchiamo, è creare ambienti
sonori che, in qualche modo,
emozionino chi ascolta come
emozionano noi… Comunque
sia le tessiture armoniche di
Rossofuoco non sono poi così
elementari… prova a scriverle sul pentagramma…
Nei panni di musicista e di produttore hai visto tanto. Qual è il tuo
parere oggi? Dopo il miracolo indie degli anni 90 di cui sei stato un
protagonista. Cosa è rimasto?
Quello che resta, merita di esserci. Comunque sia, è tutta la vita che
sento esprimere nostalgia per la musica del decennio precedente
e, di decenni precedenti da rimpiangere, in cinquant’anni di vita,
ne ho visti almeno quattro.
Per te oggi la musica è terapeutica? C’è speranza alla fine o solo
rabbia?
Ho ricominciato a scrivere canzoni per me, dopo qualche anno
di pausa dalle mie avventure precedenti, durante il periodo dei
C.S.I. di Linea Gotica, consideravo lo scrivere una specie di terapia
preventiva contro il cancro… sputare fuori ciò che ti tormenta
aiuta a fare sentire meglio la tua testa e il tuo corpo. Toccando
ferro (per essere educati), sembra che funzioni… la mia vita non
è un modello di salutismo quindi, o è solo fortuna, o è la terapia
giusta… Speranza? Roba da preti… e quanto mi fanno incazzare
i preti…
Questo numero del giornale è dedicato ai festival estivi. Che
rapporto hai con queste maratone musicali?
Quelli che mi invitano sono una figata, gli altri fanno cacare… A
parte le battute idiote, i festival, dal più piccolo al più grande,
sono la maniera giusta per ricreare una voglia di vivere la musica
assieme agli altri e un ambiente fertile per i movimenti creativi a
venire… ci sono troppe cose che fanno concorrenza alla musica
dal vivo e che distraggono le nuove generazioni, per questo
penso che ogni manifestazione di questo tipo sia una benedizione
per questo mondo e non sto parlando solo di quello musicale.
Fedele al verbo del rock, ma c’è qualcosa che musicalmente
devia da quello che suoni e che ti piace ascoltare una volta a
casa?
La musica “classica” mi fa furiosamente incazzare, la musica
“contemporanea” mi innervosisce e dopo picchio i bambini che
non ho, il jazz mi fa venire i brufoli, l’etno e il folk scatenano in me
ondate di razzismo fanatico che Borghezio mi fa ridere, la musica
leggera mi diverte una volta su un milione… Quando metto un
disco nel lettore, è sempre un disco che puzza di elettricità, è più
forte di me.
Osvaldo Piliego
Sound Res 2007
8/30 giugno - Salento
Il concetto di residenza artistica è approdato da
poco nel Salento. Da alcuni anni Alessandra Pomarico
e Luigi Negro, responsabili dell’associazione Loop
House, lavorano, non solo in Italia, in questa direzione.
Nel 2004 dall’incontro tra Loop House e Coolclub, sotto
la direzione artistica del percussionista David Cossin
(premio Oscar per la colonna sonora del film La tigre e
il dragone e collaboratore di grandi nomi della musica
internazionale), è nata l’idea della residenza di musica
contemporanea Sound Res che, giunta quest’anno alla
sua quarta edizione, non deluderà le aspettative dei
tanti che attendono l’appuntamento estivo nel Salento
come uno dei più creativi e produttivi nella mappa dei
festival italiani.
Sound Res infatti non è un festival come gli altri:
l’articolato programma, che si svilupperà dall’8 al
30 giugno, prevede una serie di concerti ed eventi,
workshop, lezioni magistrali, masterclass e laboratori
per ragazzi, frutto del lavoro di musicisti riconosciuti
internazionalmente invitati a risiedere e lavorare nel
Salento e a collaborare con artisti e musicisti locali,
in un’esperienza di full immersion. La formula della
residenza, oltre ai momenti di lavoro e di confronto, ha
il merito infatti di far vivere un territorio ai suoi ospiti (dal
mare alla cucina, dal “mercato” alle passeggiate nel
centro storico).
Dalla presenza di Philip Glass, ospite d’onore che si
esibirà giovedì 28 giugno nell’atrio di Palazzo dei Celestini
a Lecce, e dalle trasformazioni che ha generato il
momento musicale generalmente conosciuto come
minimalismo David Cossin è partito per selezionare gli
ospiti e delineare le idee di massima del lavoro che
verranno sviluppate durante la residenza e arricchite
dagli spunti d’ogni partecipante.
“Sono molte le novità di questa edizione”, sottolineano
soddisfatti Alessandra Pomarico e David Cossin.
“Innanzitutto la residenza è suddivisa in fasi diverse,
ognuna delle quali si sovrappone alla precedente
generando collaborazioni tra gli ospiti. Inoltre saranno
presenti compositori all’interno del progetto come Philip
Glass, pietra miliare della musica contemporanea, e
Paola Prestini, giovane compositrice, voce di nuova
generazione. Entrambi i compositori considerano la
musica un mezzo per creare una riflessione socio-politicofilosofica. La residenza coinvolgerà performer della
scena del teatro musicale e multimediale, artisti visivi
e concettuali che lavoreranno insieme ai musicisti alla
creazione di opere sonore, un sociologo e il giornalista
statunitense Ira Glass”.
Nelle precedenti edizioni Sound Res ha ospitato
il contrabbassita latin/jazz/classico Gregg Agoust, il
chitarrista Brice Dessner, il sound designer e compositore
David Sheppard, il cantante sperimentale Theo
Blekmann, il cantante tradizionale Madan Gopal Sing,
il violinista Padma Newsome, The National e numerosi
musicisti salentini.
Sound Res, che rientra nell’articolato programma di
Salento Negroamaro, rassegna delle culture migranti
della Provincia di Lecce, è realizzato in collaborazione
con l’Università del Salento, il settore Patrimonio Culturale:
Conoscenza e Valorizzazione della Scuola Superiore
ISUFI, l’Azienda di Promozione Turistica di Lecce, la
condotta leccese di Slow Food, la Fondazione Semeraro
e la Coop. Solidarietà Salento, Conservatorio di Lecce
con il patrocinio del Comune di Lecce e della Camera
di Commercio di Lecce e grazie al sostegno di Azienda
Vitivinicola Leone De Castris, Alba Service S.p.A., Kubico,
Cantine Santi Dimitri, Quarta Caffé, Gruppo Italgest.
www.soundres.org
20
Cominciamo col parlare dell’opera che
sta completando in questo momento, The
Civil Wars
È
un’opera
basata
sull’evento
di
Appomattox la resa delle truppe del
generale Lee battute da quelle del
generale Grant. Questo è avvenuto nel
1865, si chiama Appomattox perchè quello
è il luogo in cui è iniziata la battaglia. Il tema
dell’opera allude al fatto che la Guerra
Civile negli Stati Uniti non si è mai conclusa.
C’è stato un trattato, è stata firmata la fine
della Guerra, ma il processo di evoluzione
sociale è avvenuto molto lentamente ed è
ancora in atto. La questione della razza e
dei diritti civili che erano i problemi aperti
dell’epoca, continuano tutt’ora a sussistere.
Nell’opera siamo partiti dal momento della
resa per suggerire che la Guerra non si è
mai conclusa. Mi interessava trasferire gli
eventi del 1865 cento anni dopo, nel 1965,
durante il periodo delle lotte civili negli
Stati Uniti. Sono vecchio abbastanza da
aver vissuto quel periodo, sono cresciuto
in una città del Sud in cui esisteva la
segregazione, sono andato in una scuola
in cui si viveva la segregazione, la società
era segregata… durante la mia vita ho
assistito a delle trasformazioni, ma tante
cose non sono mai cambiate. Il lavoro è
anche una sorta di riflessione personale
su quello cui ho assistito nel mio Paese. E
non solo. Se si allarga il quadro si arriva a
capire che la guerra sembra essere una
costante della nostra comunità umana,
e che le ragioni della Guerra sono spesso
legate al razzismo e alla religione. Ci sono
talmente tanti conflitti aperti in nome di
una o dell’altra questione. Così tante
guerre in cui si invoca l’autorità divina per
ammazzare, è assurdo che nel nome di Dio
si compiano atti orribili.
Come si spiega il razzismo, secondo lei?
La ragione del razzismo è nella paura degli
altri. Nella paura dello straniero. La paura
di tutto quello che non è familiare… la
proviamo tutti. Comprendere che siamo
parte di un’unica famiglia umana che
include ogni singolo essere sul pianeta,
Sound Res - 8/30 giugno
è estremamente difficile. Non siamo
incoraggiati a pensare in questo modo
dalle nostre famiglie, non siamo educati
a pensare in questo modo dalle nostre
comunità, i paesi nei quali viviamo non
ci consentono di crescere in un’ottica
di inclusione. E dobbiamo lottare
individualmente per acquisire un certo
equilibrio ed una prospettiva più ampia,
è molto difficile e spesso non ne siamo
capaci…succede a tutti, non si tratta degli
europei, degli americani o degli asiatici…
siamo tutti tentati di cedere al razzismo.
L’impegno socio-politico che sembra
caratterizzare il suo lavoro, in particolare
quello operistico, fa pensare che ritenga
che gli artisti svolgano un ruolo nella nostra
società...
Mettiamola così: penso che gli artisti abbiano
una rara opportunità perchè hanno un
pubblico. Hanno una voce pubblica, hanno
la possibilità di essere ascoltati. L’artista
che lavora in teatro poi ha un’opportunità
ancora più speciale perchè nel teatro e
nell’opera, come dicevi, il tema di uno
sviluppo sociale può essere ampiamente
esplorato e rimanere nell’immaginario del
pubblico, e questo è nella storia stessa del
genere fin dalle sue origini. Era così per Verdi
ed è ancora oggi così.
Può darmi la sua definizione di “musica”…
Per me la musica è il linguaggio umano più
eloquente, il più espressivo e il più universale.
Universale nel senso che anche senza una
particolare conoscenza della linguistica o
della meccanica del linguaggio, possiamo
apprezzare la musica proveniente da altri
luoghi e da altri tempi, creata da persone
diverse e da noi lontane.
Ha collaborato con così tanti scrittori e
registi. Può spiegare come procede il suo
lavoro di compositore in questi casi?
Per me lavorare in collaborazione con un
pittore, un danzatore, uno scrittore o un
regista significa avere degli stimoli in più,
si tratta di incontri che mi permettono
di avere nuove idee e nuovi modi di
procedere. Senza queste collaborazioni
il mio lavoro sarebbe rimasto statico.
www.soundres.org
L’elemento del teatro e del cinema è
l’immagine, il movimento, la musica e la
tecnologia. Sono I quattro elementi di base
che bisogna tenere in considerazione.
Grazie alla cooperazione con diversi
scrittori e registi ho potuto trovare delle
nuance e sviluppare il mio linguaggio in un
modo che altrimenti non mi sarebbe stato
possibile scoprire.
La sua opera è così vasta e include
collaborazioni con così tanti artisti… C’è
ancora qualcosa che non ha compiuto e
che le interessa realizzare?
Oh, sicuramente! Ci sono registi e scrittori
con cui mi piacerebbe lavorare e ci
sono libri che mi piacerebbe adattare
per l’opera. In particolare ce n’è uno di
Daris Lessing, The Memoirs of a Survivor,
che mi piacerebbe adattare. La storia
si svolge in quella che si può credere sia
Londra, qualche tempo dopo una grande
guerra, la città è a brandelli, la società
disfatta. È la storia di due donne, una
più giovane, l’altra più matura, in una
città semidistrutta, che cerca ancora di
funzionare, in cui riemergono gli istinti
sociali e umani di base. Alcuni sono molto
positivi, altri sono scatenati dalla paura
e dall’ansietà. La storia è ovviamente un
esempio estremo di comportamenti in una
situazione emblematica, ma le stesse cose
avvengono nella vita di tutti I giorni.
La sua biografia è così affascinante
incoraggia a perseverare nelle proprie
scelte. Quale consiglio darebbe a
giovani musicisti e compositori colmi di
aspirazioni?
Sound Res - 8/30 giugno
C’è solo un unico messaggio: trovare la
motivazione per andare avanti e realizzare
quello che per sè è la cosa più importante.
Deve essere qualcosa che parte
dall’amore e dall’impegno, qualcosa che
in fondo non lascia scelta. Se devi decidere
se sei un pittore o no, allora non sei un
pittore. Se devi decidere se sei o meno
uno scrittore, allora non sei uno scrittore. Se
devi ancora decidere se sei uno scrittore o
un compositore, allora non sei né l’uno né
l’altro. Quelli che diventano pittori, scrittori o
compositori sono quelli che non hanno altra
scelta, non potrebbero essere null’altro.
Fanno l’unica cosa che possono fare. Una
volta che si ha questo tipo di realizzazione,
allora tutto il resto diventa relativo…se si
riesce ad avere una grande carriera, una
carriera media o se non si riesce a fare
carriera per niente, non importa … se si
riesce a guadagnare o meno…diventano
questioni di poca importanza perchè, in
un certo senso, si deve compiere il lavoro
per cui si è nati. Un’altra cosa importante
da tenere presente è che gli artisti hanno
il privilegio immenso di fare qualcosa di
positivo per la comunità in cui vivono. Lo
stesso si può dire degli educatori e di chi
lavora nella sanità. Gli artisti svolgono un
ruolo che va a beneficio della società. A
qualcuno può non piacere un’opera, ma
non ne subirà gravi conseguenze, si può
passare una brutta serata al cinema, ma un
brutto film non uccide nessuno…tra l’altro
io sono convinto che anche dalle cattive
esperienze si possa trarre un beneficio.
Questo è quello che penso. Ho un figlio di
trent’anni che scrive canzoni, una volta gli
chiesi come andava il suo lavoro e lui mi
rispose che non importava come andava,
dato che era la sola cosa che poteva
fare. Ed è vero: puoi far soldi, come puoi
non fare soldi, puoi riuscire a vivere di
quello che fai, come può succedere che
tu debba fare anche altro per continuare
a fare quello che hai bisogno di fare…e
se questo ti è chiaro, allora secondo
me hai successo. Alle volte la gente mi
chiede quando ho cominciato ad avere
successo… rispondo sempre che ho avuto
successo fin da quando ero giovane,
perchè suonavo di fronte ad un pubblico.
Perché facevo quello che volevo fare. Io
misuro il successo in questo modo. Quando
ho cominciato a guadagnare? Questa è
un’altra domanda e posso rispondere che
non è avvenuto prima della quarantina.
Ma considero di essere stato un uomo di
successo a vent’anni.
Cosa risponde a chi classifica il suo lavoro
come “minimalismo”?
Il minimalismo è stato un periodo, tra il
1965 e il 1975, in cui un gruppo di giovani
compositori tra cui il sottoscritto ha
elaborato un nuovo linguaggio musicale.
Eravamo interessati essenzialmente a
rassicurare e riconquistare un pubblico
per la nostra musica, un pubblico che nel
frattempo era stato allontanato da un tipo
di musica che, come posso dire, seppur
molto bella e potente, era diventata
troppo astratta, scritta in un modo
difficilmente comprensibile e dunque
non largamente apprezzata. La mia
www.soundres.org
21
generazione era determinata ad ampliare
il pubblico, cominciammo a cercare una
scrittura che potesse stabilire un contatto
col mondo in cui vivevamo. Volevamo
rompere l’isolamento della musica colta
e interrompere quella sorta di fatto elitario
e privato, estendere l’esperienza della
musica ad un più largo pubblico. La cosa
interessante è che avemmo un successo
immediato, avvenne tutto così in fretta,
con una così grande partecipazione e
una risposta trascinante che posso solo
pensare che I tempi erano giusti, o che
addirittura fossimo in ritardo per qualcosa
che doveva avvenire inevitabilmente. In
ogni caso, fu la generazione di compositori
a cui appartengo che in quei dieci anni
trasformò il mondo della musica, che
d’allora non fu più lo stesso…
Una rivoluzione…
Una rivoluzione senza spargimento di
sangue. Ovviamente facemmo arrabbiare
un po’ di gente. Ma posso dire che la
musica di oggi, quella composta dai
giovani compositori, proviene dalla nostra
esperienza, almeno nel senso che la nostra
musica diede il permesso di sviluppare ed
esplorare nuovi linguaggi, di usare nuovi
mezzi e nuovi idiomi, penso che la mia
generazione abbia aperto una porta e
che stiamo ancora assistendo agli effetti
che questo ha generato.
Bene, chiudiamo con una domanda
leggera: è stato citato in un episodio del
cartone animato South Park che, a mio
avviso, dà la misura della sua immense
popolarità…che effetto le ha fatto?
Oh, penso esattamente quello che hai
detto tu. Credo che questo misuri la mia
popolarità (ride). Mi hanno riproposto
in versione cartone animato, mi hanno
inserito nelle domande di quiz televisivi…
certo questo non significa che chi
conosce il mio nome conosca anche la
mia musica…, ma sanno chi sono e certo,
per un compositore di oggi, cresciuto
nel mondo della musica da concerto
e nella cerchia ristretta della musica
d’arte, essere acclamato e addirittura
riconosciuto è sorprendente! Devo dire
che ne sono onorato. In un certo senso, è
espressione di come si articoli l’evoluzione
della musica: se si considera che ero un
giovane compositore che sperimentava
con le proprie idée e non avevo un
pubblico, ed ora esiste un pubblico che
è cresciuto intorno a quella musica….sai,
esistono barzellette sulla musica minimale,
ma va bene così, la gente si prende gioco
di qualcosa che conosce e che ama.
Non me la prendo mai, anzi essere parte
di questo tipo di espressione può essere
molto gratificante!
È stato un vero piacere parlare con lei, e
ovviamente avrei tante altre domande da
farle. Ma so che sta per cominciare una
prova e la lascio al suo lavoro. Grazie mille
Philip, la aspettiamo a Lecce!
Sono molto felice di poter tornare a
Lecce e di prendere parte alla residenza.
Con Sound Res state facendo un lavoro
importante. A presto!
Alessandra Pomarico.
Trascrizione di David Cossin.
Traduzione di Alessandra Pomarico
22
Sound Res - 8/30 giugno - programma
sabato 16 giugno – dalle 21.30
Convento dei Domenicani Cavallino (Le)
Vision Into Art
Il programma dei concerti di Sound Res
si apre con Body Maps in Progress del
collettivo multimediale newyorkese Vision
into Art (in residenza dall’8 al 29 giugno)
diretto dalla compositrice Paola Prestini
(nella foto), e che ospita il violoncellista
Jeff Zeigler (Kronos Quartet), la cantante
iraniana Haleh Abghari, la videoartista artista
messicana Erika Harrsh e il sound designer
Brian Mohr (Kronos Quartet, John Adams).
In programma anche altre composizioni
contemporanee di Micheal Gordon,
Mark Grey e Philip Glass in un concerto
Multimediale, in collaborazione con il video
maker Davide Faggiano (Lecce) e Irene
Scardia Vocal Ensemble (Lecce). Ingresso
gratuito.
martedì 19 giugno – dalle 21.30
Manifatture Knos - Lecce
Sound Res Band
Un nuovo spazio a Lecce per musica e arte,
incontri e socializzazione. Le Manifatture
Knos, di proprietà della Provincia di Lecce
e da poco in “gestione” all’associazione
culturale Sud Est, ospitano il concerto della
Sound Res Band. Sul palco il chitarrista
e multistrumentista, inventore di bizzarri
strumenti, Mark Stewart, il violoncellista
classico e contemporaneo Felix Fan,
il percussionista Roberto Pellegrini, il
bassista/artista Steve Piccolo (nella foto),
la cantante e improvvisatrice Silvie Gensen,
il clarinettista classico e contemporaneo
Bohdan Hilash, David Cossin in doppia veste
di curatore e percussionista presenteranno
le musiche composte e provate nel corso
della residenza.
sabato 23 / domenica 24 giugno
Mediterraneo - Litoranea San
Cataldo/San Foca (Le)
In C – concerto all’alba sul
mare
La Sound Res Band paga tributo al primo
brano minimalista della storia della musica.
Nella notte tra sabato 23 e domenica 24
giugno presso il Mediterraneo (litoranea San
Cataldo -San Foca) i musicisti di Sound Res
e i loro colleghi locali accompagneranno
il sorgere del sole interpretando all’alba
IN C, il brano di Terry Riley (nella foto)
composto nel 1964 un’opera “aperta”,
essendo caratterizzata da una particolare
forma di partitura eseguibile da qualsiasi
combinazione strumentale. La serata sarà
aperta dalla Jam Session dei gruppi ospiti del
Festival dei Musicisti di Strada, organizzato
dall’associazione Altreforme, che il 22 e 23
giugno sarà ospitato dalle vie del centro
Storico di Lecce.
venerdì 28 giugno - dalle 21.30
Palazzo dei Celestini - Lecce
Philip Glass
Sound Res 07 si chiude con l’insigne presenza
in residenza di Philip Glass, compositore tra
i più prolifici e riconosciuti del nostro tempo,
il cui vasto repertorio include opere, musica
per orchestra, per ensemble da camera
e per solisti, numerose e famose colonne
sonore, collaborazioni con i maggiori
scrittori, artisti, danzatori, registi e uomini di
teatro. L’opera di Glass ha segnato una
svolta nella storia della musica classica
e ha condizionato gli sviluppi di quella
popolare: la sua sintassi non tradizionale,
il suo approccio sperimentale e minimale,
l’ambiguità delle sue tonalità hanno a
lungo sfidato le definizioni critiche e le analisi
compositive, segnando indelebilmente un
punto di svolta nel panorama musicale.
Glass utilizzerà il periodo di residenza nel
Salento dal 25 al 30 giugno per completare
l’opera ‘The Civil Wars’ commissionata
dalla San Francisco Opera House e scritta in
collaborazione con il famoso scrittore inglese
Christopher Hampton (autore tra l’altro della
sceneggiatura di Les Liaisons Dangereuses).
Venerdì 28 giugno alle 21.30 nell’atrio di
Palazzo dei Celestini a Lecce si esibirà in un
concerto insieme alla violoncellista Wendy
Sutter e al percussionista/curatore David
Cossin.
Sound Art
Dal 18 al 24 un gruppo di artisti visivi
e concettuali si unisce ai musicisti per
sperimentare sul suono e creare testi,
installazioni e sculture sonore da attivare
durante i concerti o in altri momenti
della residenza. Questa sezione è a cura
dell’artista Luigi Negro e si arricchisce
della presenza di Cesare Pietroiusti, Emilio
Fantin, Giancarlo Norese, noti nel mondo
dell’arte contemporanea per le loro opere
relazionali, insegnanti presso Università ed
accademie, e del musicista e video-artista
salentino Davide Faggiano. Si affianca a
questa sezione quella curata da Chierin
www.soundres.org
ArteContemporanea che ospita gli artisti
pugliesi Antonia Giuse Sanasi, Sara De Carlo,
Giuseppe Scarciglia, Sandro Marasco,
Angela Beccarisi, Remo Spada, Lucia Leuci,
Lorenzo Buffo, Giuseppe Teofilo in residenza
e in mostra presso l’Ospedale di Santo Spirito
di Lecce.
Sound res Summer School
Nel corso della residenza, inoltre, si tengono
alcune lezioni magistrali presso il Convento
dei Domenicani di Cavallino, sede del
“Settore Patrimonio Culturale: Conoscenza
e Valorizzazione” della Scuola Superiore
Isufi dell’Università del Salento. Tra gli ospiti
Undo.Net (nelle persone fisiche di Vincenzo
Chiarandà e Anna Stuart Tovini artisti e
direttori del più importante network per
l’arte contemporanea in Italia), Philip Glass
e Cesare Pietroiusti. Gli altri ospiti della
residenza terranno inoltre dei workshop
(ingresso gratuito) aperti a musicisti e
curiosi. Inoltre grazie alla collaborazione
con la Cooperativa Solidarietà Salento di
San Cesario di Lecce gli artisti coinvolgono
in un percorso laboratoriale e formativo i
ragazzi ospiti del centro, per condurli alla
produzione di musica e performance.
lunedì 11 giugno (ore 11.00) / Conservatorio
“Tito Schipa” di Lecce
Jeffrey Zeigler (violoncello)
mercoledì 13 giugno (ore 11.00) /
Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce
Mark Stewart (chitarra)
giovedì 14 giugno (ore 11.00) / Università
del Salento
Alessandra Pomarico e VisionIntoArt (Multiculturalism and creation)
sabato 16 giugno (ore 11.00) / Scuola
Superiore ISUFI di Cavallino
Gordon Knox e Bob Sain
lunedì 18 giugno (ore 15.00) / Scuola
Superiore ISUFI di Cavallino
Undo.net (Vincenzo Chiarandà e Anna
Stuart Tovini)
mercoledì 20 giugno (ore 11.00) /
Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce
Bohdan Hilash (Sound Painting)
mercoledì 20 giugno (ore 17.00) / Sala
prove Sound Res - Masseria Ospitale
Silvie Jensen e Haleh Abghari (voce)
venerdì 22 giugno (ore 15.00) / Sala prove
Sound Res - Masseria Ospitale
Workshop/prova di IN C of_Terry Riley
martedì 26 giugno (ore 22) / Sala prove
Sound Res - Masseria Ospitale
Brian Mohr (Electronic music and
recording)
mercoledì 27 giugno (ore 15) / Scuola
Superiore ISUFI di Cavallino
Cesare Pietroiusti
giovedì 28 giugno (ore 11.00) / Scuola
Superiore ISUFI di Cavallino
Philip Glass
venerdì 29 (ore 15) / Scuola Superiore ISUFI
di Cavallino
Ira Glass
Coolibrì
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
la letteratura secondo coolcub
Un’estate al mare
Giuseppe Culicchia
Garzanti
Non sarà un capolavoro ma descrive
in maniera impietosa e onesta, ironica
e angosciante alcuni tic degli italiani.
Giuseppe Culicchia, dopo i successi in
“giovane” età (Tutti giù per terra e Paso
Doble su tutti) e l’annus horribilis 1977
raccontato in maniera sublime nel Paese
delle meraviglie, torna in libreria con
un romanzo ambientato nell’Italia che,
nonostante le nefandezze di Moggiopoli
e Calciopoli, conquista i Campionati del
mondo di calcio. Al centro della storia
c’è un ritorno, quello del protagonista
quarantenne (come l’autore) Luca e della
sua novella sposa – di una decina d’anni
più giovane – Benedetta. I due tornano,
in viaggio di nozze, nei luoghi dell’infanzia
dell’uomo. Marsala, la Sicilia, il mare, la
granita con la brioche, la morte misteriosa
del padre (tra le righe si capisce che è
legata ad una delle pagine più nere della
cronaca “stragista” italiana), la madre
assillante – che chiama ogni cinque minuti
sul cellulare, roba del tipo “no, non mi
disturba affatto” - , un vecchio generale/
colonnello in pensione. Nel caldo di fine
giugno e inizi luglio accade di tutto: Luca
incontra, dopo venti anni, la sua vecchia
fiamma tedesca e la sua giovane e
impertinente figlia diciassettenne, Qui
la situazione si complica e la storia si
ingarbuglia sentimentalmente in modi
alquanto morbosi e ombrosi: ma tutto
regge, è plausibile. E se gli stratagemmi
di Luca per evitare la fine precoce (e
quanto precoce) del matrimonio sono da
manuale del perfetto traditore, Benedetta
è assolutamente immersa nel suo pensiero
di maternità, nella sua voglia di avere un
figlio a tutti i costi, nel suo “odiare” la sua
migliore amica che è rimasta incinta al
primo colpo, nel controllare in maniera
ossessiva l’apparecchietto che le dice
quando è in ovulazione. La storia d’amore
travagliata, ed è questo il bello del
romanzo, è condita dalle piccole manie
della vita di tutti i giorni (Luca ad esempio
è un patito dei giornali) e da un modo di
parlare dei protagonisti che ne connota
anche il carattere e le attitudini. Un bel
romanzo, agevole, scorrevole da far fuori
in poche ore. Proprio come piacciono a
me. Perciò Culicchia fa sempre, o quasi,
centro.
Pierpaolo Lala
Coolibrì
24
24
Reduce
Giovanni Lindo Ferretti
Mondadori
Nasciamo da un incontro, da
un’energia migrante che porta un
corpo a cercare un corpo altro, da
un respiro unito che svela un respiro
rinnovato. Esistiamo per partire, per
urlare lontananza dai luoghi assenti, e
segnare le distanze da una dimensione
avvertita straniera. Moriamo per tornare
a casa, per risvegliare le radici sopite,
per seminare su di un passato che una
volta sentivamo sterile. “Generazione
su generazione”, cominciamo a
muovere carne e spirito, e disegnamo
su mappe d’aria e terra e acqua la
geografia della nostra persona, che
dallo spazio della venuta al mondo va
sulle tracce del senso del nostro esserci,
e spesso lo trova e fissa nei momenti
molesti del vagabondare, il più delle
volte lo smarrisce e dimentica quando
quel vagabondare si arresta. Nelle
fermate obbligate dell’inquietudine,
si alleva qui il cambiamento. Repentino baratto di direzione, ordina l’infame. I piedi
eseguono, e il cammino conosce la sua svolta. L’anima se ne fa convincimento, e il
cammino si espande. Questo andare controverso ed irritante ci narra Ferretti nella sua
prima opera: controverso perché la rotta mutata spesso reca con sé un presagio di
inganno; irritante perché scatta infido il timore che anche chi legge possa ritrattare la
propria identità, e scoprirsi peccatore di incoerenza, e ritrovarsi nudo di appartenenza.
Si levano temibili i dubbi sull’onestà del pensiero costante, sulla legittimità del pensiero
variato. Ma il viaggio continua e si consuma tra atti d’amore, mai genuflessi - l’autore
è padrone - verso le terre e le storie, intime come comuni, che hanno chiamato e
accolto Giovanni: la Jugoslavia, il Salento, il deserto, la Siberia, Gerusalemme, Mosca,
le montagne di famiglia, la nonna - che anche i nonni sono terre. Per tutte un vento
ed un’analisi, tra liriche temerarie e prose prudenti, che alternano lo scritto ragionato
ad un cantare audace e insieme sofferente, ma mai si fanno predica, e tanto meno
supplica. Piuttosto opinione, e in quanto tale opinabile. Testo scomodo, che urta,
vietato agli orfani di mito, precluso ai fedeli alla linea. Ma se la linea non c’è più, fedeli
a cosa? Ferretti registra la fine di un tempo, anche il loro. E intanto coltiva benedizioni
per la Storia.
Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello
Amnesie di un viaggiatore
involontario
David Madsen
Meridiano Zero
David Madsen è
lo pseudonimo di
un professore universitario
inglese
che attualmente
vive ed insegna
a
Copenaghen.
Roma, città in cui
ha soggiornato per
diverso tempo, ha
influenzato in particolare i suoi studi,
orientandolo verso
l’approfondimento della tradizione esoterica cristiana e la
ricerca sui grandi eretici gnostici. Londra,
città natale, ne ha ispirato la scrittura e la
scelta di pubblicare in forma rigorosamente
anonima. Dopo Memorie di un nano gnostico - stravagante romanzo sugli inquisitori
capitolini del cinquecento - e Confessioni
di un cuoco eretico - bizzarra opera sull’ossessione creativa di un gastronomo per la
carne cotta e cruda - Madsen ritorna con
una storia surreale e ricca di humour, che
ci permette di scavare nella dimensione
onirica della dimenticanza con l’appiglio
robusto di uno e più sorrisi. Hendryk viaggia
solo su di un treno. Un black-out improvviso
causa l’arresto del convoglio, e al ritorno
della corrente il passeggero si ritrova smemorato, senza pantaloni, e in compagnia
di due folli personaggi: il dottor Sigmund
Freud, psichiatra ed omonimo del ben
più celebre psicoanalista, e il capotreno
Malkowitz, uomo rozzo e sgradevole che
minaccia anni di lavori forzati per i viaggiatori sprovvisti di biglietto. Inizia con l’incontro dei tre un viaggio impossibile sulla necessità di “ricordare”, sull’urgenza feroce e
razionale di essere pienamente presenti a
se stessi. Tra adattamenti strampalati alla
realtà apparente, e tentativi traballanti di
ricondursi al comprensibile, l’autore dirige
le sue creature sino ad un castello, in cui
si organizzano senza sosta banchetti succulenti, battute di caccia alla mucca e
conferenze sull’arte dello yodel, costruendo un’insolita commedia dei sogni dentro
i sogni. La sola riappropriazione dell’identità perduta può svelare la trappola che
costringe i tre malcapitati, conducendoli
però, anche, alla fine della loro esistenza.
E allora, che fare? Destarsi dalle imprese
assurde e senza misura, o continuare a
dormire un sonno brioso e privo di cognizione? “Nei sogni, amico mio, gli elefanti
volano sulla Luna”. E Madsen, autore dallo
stile pulito e dai contenuti resistenti, fa librare giocosamente nell’aria le inquietudini e
le angosce del pensare umano. Perché le
paure si sciolgono solo se si parte alla ricerca della smarrita eccentricità, e i desideri
si realizzano se ci si incammina con incoscienza verso l’eccesso proibito.
Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello
Cronache di un
disinfestatore
Giuseppe Furno
Atì editore
Dalla celebrazione
di un funerale, rito
ultimo dell’esistenza che fu, spesso
hanno inizio irruzioni violente e dissacranti nella immensa memoria familiare. Accade proprio
questo
all’entomologo
Omero
Cagidiaco, protagonista del lavoro
d’esordio dell’autore radio-televisivo romano Giuseppe
Furno: alla morte del padre, infatti, lo attendono i tempi infiniti della rielaborazione del lutto, che lo conducono a spasso
nei ricordi più lontani, riconsegnandogli gli
intrecci complicati di una parentela difficile. L’eredità conseguente al triste evento, quindi, si rivela un patrimonio carico
insieme di benevolenze ed ostilità, che lo
porta a rivedere e reinterpretare i modi e
le dinamiche del suo stare al mondo. A
cinquant’anni passati si indirizza così verso
un ritorno alle origini, ritrovandosi bambino
vivace e curioso in giocoso conflitto con
la sorella Sandra, fine pensatrice in erba e
futura docente di filosofia. Cresciuto tra la
casa familiare e l’impresa di disinfestazione
creata da suo padre, Omero si appassiona
prestissimo alle formule chimiche e biologiche che regolano la vita degli uomini, ed
all’osservazione del mondo minuscolo e
perfetto di quegli insetti che l’attività paterna studia per poi sterminare. Si laurea
così in chimica, per poter sostenere con la
precisione dell’indagine quanto il padre gli
ha trasmesso con l’esperienza delle cose,
avviandosi verso una brillante carriera nel
campo dell’entomologia. Ma l’atteggiamento speculativo su cui la sua professione
si fonda arriva ad inficiare anche l’intimo e
il privato, e Omero si ritrova, senza accorgimento, a boicottare le emozioni e a relegarle nel freddo spazio degli avvenimenti
previsti e prevedibili, perché - come tutto
- anche queste seguono “le leggi immutabili dei processi biochimici del cervello”.
Romanzo curatissimo, dalla scrittura voluttuosa, quest’opera prima di Furno diletta il
lettore combinando tra loro il libero arbitrio
e la fissità della scienza, in un simpatico
duello all’ultima percezione, in una disfida
aperta e senza vincitori.
Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello
Coolibrì
Memorie di un artista della
delusione
Jonathan Lethem
Minimum Fax
2325
affatto averla disonorata. Le dovevo
soltanto una magnifica canzone”. Ecco,
tutto il senso del libro mi pare racchiuso in
queste poche righe, e perché no, tutto il
senso del suo essere scrittore è racchiuso in
questa tentativo continuo di non crollare
in mille pezzi, di evitare lo sbriciolamento
emotivo attraverso la costruzione di lucenti
mondi narrativi.
Rossano Astremo
Il collezionista di tempo
Marino Magliani
Sironi
Attenzione! Il libro che avete tra le mani
può tirarvi un brutto scherzo. Chi ama la
saggistica e corre in libreria ad acquistare
l’ultima fatica di Jonathan Lethem, Memorie
di un artista della delusione, edito da
minimum fax, a lettura terminata potrebbe
inveire contro l’editore e chiedere al libraio
di fiducia la restituzione degli euro sborsati
per portarsi il libro a casa, o quantomeno
scambiare il libro dell’autore di La fortezza
della solitudine con un saggio che rispetti
tutti i crismi del genere. Preambolo
necessario, perché il libro in questione, pur
raccogliendo interventi critici scritti nelle
occasioni più disparate, in realtà è un
intenso ripensamento retrospettivo degli
anni di formazione di Lethem, una sorta di
autobiografia geneticamente modificata,
dove gli episodi della fanciullezza e
dell’adolescenza
si
trasformano
in
correlativi oggettivi composti da film, libri,
fumetti e musica. L’autore sembra volerci
comunicare “sono Jonathan Lethem
perché ho divorato i fumetti della Marvel,
perché ho amato Philip Dick alla follia,
nonostante il fatto che lo stesso abbia
sfornato libri maledettamente illeggibili,
perché una ragazza che mi piaceva mi ha
portato una sera, in un cinema, a vedere
un film di Cassavetes, sono Jonathan
Lethem perché ho avuto un padre pittore
(Ho imparato a pensare guardando mio
padre che dipingeva) e una madre colta
ed eccessiva, con il dono della scrittura,
stroncata troppo presto da un male
incurabile”. Al di là di tutti i titoli citati, di
tutta la cultura enciclopedica, affastellata,
confusa, onnivora, mostrata da Lethem
in questo libro, rimangono, a lettura
compiuta, le pagine dedicate al rapporto
conflittuale con il padre e a quello troppo
presto interrotto, ma tuttora viscerale,
totale, ineliminabile con Judith Lethem, la
madre: “Dato che i Pink Floyd erano fioriti
all’indomani della perdita di Barrett, io non
dovevo necessariamente crollare in mille
pezzi per dimostrare quanto mi era costata
la scomparsa di una figura immensa
come quella di Judith Lethem. Essere
sopravvissuto alla sua morte non significava
Marino
Magliani, scrittore ligure
che vive da molti
anni in Olanda,
ha da poco pubblicato per Sironi
il romanzo Il collezionista di tempo.
La prima cosa che
ho pensato, una
volta terminata la
lettura del libro, è
stata: “Questo libro mi ricorda Gli
esordi di Antonio Moresco”. Stilisticamente
siamo lontani anni luce. Moresco forza la
prosa, la lacera dall’interno, la fa esplodere. Magliani ama un linguaggio misurato,
composto, fatto di parole antiche, compite, mai eccessive. Eppure in entrambi i romanzi si racconta la storia di un uomo che
passa attraverso tre stadi: quello dell’adolescenza, della giovinezza e della maturità.
Ed altri sarebbero gli elementi comuni rintracciabili nella trama, piccoli rimandi che,
comunque, nulla tolgono all’originalità del
lavoro di Magliani. Il protagonista della storia è Gregorio. Il lettore può seguire l’evolversi della sua vita scandita in tre momenti.
Nel primo momento Gregorio è ragazzino
in collegio, nel secondo un giovane appena congedato dalla leva militare, con
l’idea quantomeno bizzarra di trasferirsi in
Spagna per dedicarsi allo spaccio della
droga, nella terza è ormai adulto, esiliato
dalla Liguria in Olanda, dove vie grazie
ad un sussidio statale, trascorrendo le sue
giornate scrivendo romanzi mai pubblicati. A ritmare la narrazione la presenza di
alcune voci che assillano Gregorio sin da
bambino. Una volta giunto in Olanda, una
di queste voce, quella di un certo Lukas,
gli si manifesterà attraverso l’invio di alcune email provenienti dal futuro: dal 2065.
Sarà proprio questa fitta corrispondenza
a determinare alcuni cambiamenti nella
vita di Gregorio, il cui destino è drammaticamente legato a quello di Lukas. Quello
di Magliani è un romanzo che racconta la
storia di un uomo, costruita attraverso l’utilizzo di una scrittura essenziale, a tratti lirica,
sempre efficace.
Rossano Astremo
Cento poesie d’amore a
Ladyhawke
Michele Mari
Einaudi
Da un narratore sopraffine come Michele
Mari c’era da aspettarselo: esordire con
un libro di versi, Cento poesie d’amore a
Ladyhawke, edito
recentemente da
Einaudi, e lasciare il segno. Parla
d’amore Michele
Mari, s’addentra
in uno dei temi più
usati e abusati della letteratura, ma
riesce a farlo con
intelligenza e grazia, ironia e struggimento, usando
un numero spropositato di citazioni messe
tutte al servizio della propria autobiografia.
Mari racconta di un amore nato tra i banchi di scuola, durato per più di trent’anni,
custodito segretamente, poi esternato,
tacitamente vissuto, mai consumato, poi
svanito. Come i grandi libri di poesia, quelli
che attraversano indenni il passare dei lustri, il libro di Mari si legge, ma soprattutto
si rilegge, si assapora lentamente, come
boccone delicato che dalla lingua sprigiona il suo gusto unico, toccando il cervello
e rendendolo schiavo. I ricordi del passato
annegano la memoria del poeta. Ricordi
dai quali non riesce a liberarsi. Ricordi che
hanno ricadute inevitabili sul suo presente.
La realtà è più dura d’ogni dorata immaginazione, perché la donna amata dal
poeta è sposata. Lei, però, dopo i primi
tentennamenti, non cede, cerca di preservare la stabilità della sua vita, cerca di non
farsi travolgere da questa nuova possibile
passione. Tutto si avvia verso il più negativo
degli epiloghi. Restano solo i condizionali
ad alimentare artificiose costruzioni di una
vita non vissuta. La separazione è avvenuta, ma con quali danni: “Fedeli al duro
accordo / non ci cerchiamo più // Così i
bambini giocano / a non ridere per primi
/ guardandosi negli occhi / e alcuni sono
così bravi / che diventano tristi per la vita
intera”. Inutile aggiungere che ho trovato il
libro stupendo. L’ho letto, l’ho riletto e ancora aleggia nello spazio della mia stanza
riservato alle letture future.
Rossano Astremo
Merda e luce
Antonio Moresco
Effigie
Ecco il teatro di
Antonio Moresco:
un uomo e una
donna nudi, sotto
un cielo stellato,
in
una
notte
estiva, con uno
spaccaossa a fare
da leitmotiv ai loro
discorsi sul senso
del loro amore;
Maria Callas, nel
fulgore della sua
forza
vocale,
alle prese con la progressiva prepotenza
scenica della sua tenia; un siparista, in
un monologo iroso e folle sul senso e sul
valore del teatro, interrotto solo dalle
incursioni sceniche di un motociclista e
dal rigonfiamento improvviso di un cazzo;
una partoriente che dialogo con la voce
del proprio feto; sullo sfondo il sole, la
luna e una meteora, sulla scena un unico
attore che incarna, di volta in volta, famosi
Coolibrì
26
personaggi del passato, da Primo Levi
ad Alessandro Magno, da Adolf Hitler
allo stesso Antonio Moresco. Questi, in
sintesi, i contenuti dei cinque testi teatrali
che compongono Merda e luce, il nuovo
libro dello scrittore mantovano, appena
edito da Effigie. Nel suo teatro, come
già dimostrato in La santa, i protagonisti
abbandonano il proprio corpo per divenire
tutt’uno con lo spazio e il tempo, in una
sorta di totale fusione materica, all’interno
della quale la parola teatrale riacquista
tutta la sua radicalità e violenza, la sua
fragilità e poesia.
Rossano Astremo
Mal di pietre
Milena Agus
Nottetempo
Dopo Mentre dorme il pescecane, Mal di
pietre. Titolo strano l’uno, strano l’altro. In
comune tra i due romanzi, oltre alla stranezza del titolo, un modo particolare di scrivere, quasi una trasposizione del parlato,
una storia di tutti i
giorni raccontata
con un non so che
di magico, una
ricerca
“pazza”
dell’amore, che
quando c’è fa
male ma quando
non c’è fa ancor
più male. I capelli
neri corvino raccolti in delle crocchie, i calcoli renali, il sangue dappertutto, i dolori strazianti, la presunta pazzia, la Sardegna bigotta,
la guerra racchiudono la vita di questa
donna speciale, raccontata dalle parole
della nipote, voce narrante del romanzo.
Un romanzo da leggere in un’ora di fila,
quattro ristampe in un mese in una Francia
entusiasta, le poesie e i versi citati accanto
al duro dialetto sardo, le strade di Milano,
Genova, Cagliari, Gavoi. Al centro una
donna che è figlia mamma nonna, moglie
amante puttana, artista, sognatrice, bellis-
Come diventai monaca
Cesar Aira
Feltrinelli
Dimenticate subito suore e conventi, perché
questa è la storia di un tenero bambino di sei
anni e del suo gelato alla fragola. Niente conflitti
di coscienza, niente conversioni dunque,
nell’universo assurdo di Aira basta molto meno
per stravolgere una vita. Forse non l’avreste
mai immaginato, ma un semplice cono gelato,
nonostante il suo aspetto innocente, è in grado
di disgregare una famiglia mandando un
padre in carcere, un figlio in coma e lasciando
una madre inconsolabilmente sola; ed in
questo romanzo le cose andranno proprio così.
Ovviamente non finisce qui, anzi, siamo soltanto all’inizio. Preparatevi allora a svolte
imprevedibili, perché pagina dopo pagina la situazione si complica, il reale quotidiano
si dilata e si distorce, al punto che non capirete più nemmeno se il protagonista sia in
realtà un piccolo lui o una piccola lei; anzi, l’incredibile finale, pur spiazzandovi alla
grandissima, non darà ancora una risposta all’enigma. A questo punto, dopo aver
consumato inutilmente le meningi, non potrete far altro che accettare la sconfitta
e rimettervi al buon cuore della traduttrice, che in una nota finale vi indirizzerà verso
la soluzione. Doverosa avvertenza: arrivare a riconoscere, contro ogni razionale
aspettativa, che possa esistere una logica dietro la monacazione di un bambino di
sei anni non è certo cosa facile; seguire l’autore nelle sue folli evoluzioni narrative
richiede pazienza e applicazione, ed alcuni di voi potrebbero trovare tutto ciò assai
fastidioso, se non addirittura irritante. In questo caso - ma solo in questo - il mio consiglio
è di lasciar perdere, altrimenti portate questo libro sotto l’ombrellone e preparatevi a
cento pagine di pura goduria.
Silvestro Ferrara
sima. Combatte con su mali de is perdas
(il male delle pietre), con l’incomprensione
della gente, con i sogni e i ricordi. Per chi
ha i calcoli, per chi non viene capito, per
chi sogna, per chi ricorda.
Valentina Cataldo
Magia del cinema, le visioni
dell’invisibile
Giuliano Capani
Aracne
Il cinema è una macchina strana, complessa eppure semplicissima nella sua immediatezza. A suo modo persino magica.
È questo che racconta nel suo libro, intitolato per l’appunto Magia del Cinema
(Aracne editrice) Giuliano Capani, docente del Laboratorio Audiovisivo dello STAMS
di Lecce e figura di spicco del panorama
culturale salentino. Il libro cerca di svelare
gli ingredienti alla base di quella pozione
che è il cinema, analizzando provocatoriamente passato, presente e futuro di un
mezzo troppo spesso sottovalutato eppure
di straordinaria potenza. A tratti tecnico, di
sicuro sempre appassionato, il racconto di
Capani è corredato da una serie di tavole
ed immagini che ne rendono più facile la
comprensione e più piacevole lettura anche per i non addetti ai lavori. Al centro
delle analisi sempre un approccio scientifico che è per l’autore una maniera valida
di confrontarsi con una forma artistica, ma
pur sempre regolata da rigidi meccanismi.
Interdisciplinare e variegato, questo libro
rappresenta non solo un valido strumento
per gli appassionati, ma anche un’ottima
occasione per chi semplicemente voglia
saperne di più.
C. Michele Pierri
La casta
Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella
Rizzoli
In Italia ci sono oltre cinquecentomila auto
blu. Lo stipendio dei parlamentari è di oltre
15mila euro al mese, senza contare una serie di privilegi come viaggi gratis in auto e
treno e 4mila euro al mese per i collaboratori (spesso pagati in nero) e per i “rapporti
con gli elettori”. I parlamentari europei italiani sono retribuiti con circa 150mila euro
all’anno, più del doppio rispetto ai colleghi
francesi, spagnoli, svedesi e olandesi. Bastano questi numeri per capire che i costi
della politica sono altissimi. Sono questi alcuni dei dati contenuti ne La casta – Come
Coolibrì
i politici italiani
sono diventati intoccabili, libro-inchiesta scritto da
due giornalisti del
Corriere della Sera,
Gian Antonio Stella
e Sergio Rizzo. In 18
capitoli sono raccolti tutti gli sprechi
della politica italiana, dalle spese folli
dei consigli comunali alle migliaia di
cariche distribuite
nelle società pubbliche ai politici “trombati” alle ultime elezioni. L’inchiesta di Stella
e Rizzo parte dalla Puglia, dalla pianeggiante Comunità montana della Murgia
tarantina. “È unica al mondo – scrivono
gli autori -: non ha salite, non ha discese e
svetta a 39 (trentanove) metri sul mare”. E
ha pochissime funzioni. In compenso ha un
bilancio di circa 400mila euro all’anno, che
viene quasi tutto impiegato per le spese di
personale e per lo stipendio del presidente,
dei sei assessori e dei 26 consiglieri. Che noi
paghiamo.
Ludovico Fontana
D’amore e di altre sevizie
Stefano Zuccalà
Zona
Ventisette anni di Galatone, studente di
Lettere Moderne all’Università del Salento,
Stefano Zuccalà pubblica, con Editrice
Zona, D’Amore e di altre sevizie che esce
dopo Quaderno in la minore (2001) e Nadir
(2004. Piccoli racconti in versi, che parlano
soprattutto d’amore spesso tinteggiato in
maniera poco romantica, molto concreta.
Nella prefazione lo scrittore Livio Romano
sottolinea tutti i pregi del volume. “Stefano
Zuccalà è un poeta che non prende sul serio
il ruolo della poesia, o che della poesia è
talmente innamorato, talmente cosciente,
da accostarvisi con referenzialità ironica,
con la consapevolezza di chi riconosce
all’arte del versificare una tale dignità da
non poter fare altro che arricciare le dita
per non accarezzarla bollando senza
troppe perifrasi come delirante il sublime.
27
Venerdì 29 e sabato 30 giugno il Castello Aragonese di Otranto ospita Il Vicino
Oriente convegno internazionale sul Medio Oriente organizzato dalla redazione
dell’omonima trasmissione radiofonica di
RadioRadicale, sito internet multimediale
(www.ilvicinoriente.it) e prossimamente
giornale periodico free-press. Il Convegno,
patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dalla Regione Puglia, dall’Azienda di Promozione Turistica di Lecce
e da Il Corriere del Mezzogiorno, rientra
nell’articolato programma di Salento Negroamaro, rassegna delle culture migranti
della Provincia di Lecce in questa settima
edizione dedicata al rapporto tra la civiltà
occidentale e quella arabo-islamica.
Il Medio Oriente rappresenta con la sua
storia, la sua cultura (laica e religiosa), le
sue tradizioni e i suoi costumi, il luogo, in
cui i percorsi delle donne e degli uomini
di oriente ed occidente, interagiscono: si
incontrano, si scontrano, si miscelano, si
distruggono, si confrontano, si annientano.
Il Medio Oriente ci emoziona, ci affascina,
ci incuriosisce. La sua storia, dalla più antica alla più recente, racchiude tutti gli elementi e i particolari, tipici delle “grandi storie”. L’emozione, la passione, il desiderio, il
cambiamento, la morte…. Questo è presente nei protagonisti delle vicende mediorientali ed è forse quello che più ci colpisce, che ci spinge alla ricerca di qualcosa che sentiamo
particolarmente
nostra.
Quella
med i ori enta l e
è ancora una
dimensione vicina ai sogni, alle
angosce, ai desideri e alla vita
della gente.
Il Vicino Oriente
proporrà
due
giorni di dibattiti, testimonianze
ed impressioni
su di un’area
che oggi attira le
maggiori attenzioni della comunità
internazionale
e
che vive nei sogni,
nei progetti, nei
desideri di una società civile a cui ci
sentiamo indissolubilmente vicini. La
scelta del nome, il
vicino oriente, non
ha evidentemente una motivazione solo
geografica. Rappresenta il tentativo di
guardare al Medio Oriente convinti che le
tante lacerazioni tra le nostre civiltà nascano prima di tutto da un enorme deficit conoscitivo delle nostre culture millenarie.
Si parte venerdì 29 giugno (dalle ore 18.00)
con “Islam e Occidente. La grande sfida
del nuovo secolo”. Vittorio Emanuele Parsi
converserà con: Khaled Fouad Allam, Nicola Bux, Renzo Guolo, David M. Jaeger,
Giovanni Pellegrino. Introdurrà Mohammhdjavad Faridzadeh (ambasciatore
iraniano presso la Santa Sede). Dalle ore
20.00 il sociologo Franco Chiarello modererà “La Persia attraverso la macchina da
presa. Incontro con il cinema iraniano”.
Parteciperanno Antonia Shoraka, Khosrow
Sinai, Fereshteh Taerpour, Hossein Taheri,
Edoardo Winspeare.
Sabato 30 giugno dalle ore 18.30 si discuterà di “Oriente e Occidente. La difficoltà
del conoscersi” con Maddalena Tulanti,
Francesco Boccia, Toni Capuozzo e Joumana Haddad (nelle foto), Firouzeh Khosrovani, Monica Maggioni, Michelle Nouri,
Farian Sabahi, Yasemin Taskin. Ultimo appuntamento alle 21.00 il direttore di Radio
Radicale Massimo Bordin introdurrà e modererà l’incontro “Medio Oriente in fiamme. Quanto è lontana una pacificazione dell’area?”. Parteciperanno Akl Awit,
Gianluca Ansalone, Giuseppe Caldarola,
Duilio Giammaria, Vittorio Emanuele Parsi,
Antonio Polito, Stefano Polli, Robert Springborg.
28
Chiamo Nicola Valentino un sabato pomeriggio. Lo trovo, come
al solito, molto disponibile a raccontare - più che a rispondere a
delle domande - i vissuti pesanti verso cui la casa editrice Sensibili
alle Foglie ha orientato le sue pubblicazioni.
Sensibili alle Foglie è un nome suggestivo. Suggerisce un’identità,
un modo di porsi quasi poetico verso i vari contesti di ricerca. In
realtà, la vostra produzione riguarda tematiche tutt’altro che lievi.
Come nasce, allora, questa denominazione?
Devo premettere che tra le attività di cui ci occupiamo vi è anche la
raccolta di manoscritti, disegni, dipinti di persone istituzionalizzate.
Per creare un contenitore che custodisse tutti i documenti, è
stato istituito un “Archivio di Scritture, Scrizioni e Arte Irritata”, da
me diretto. Tra questi materiali ci sono anche i quaderni di una
donna di Torino, che furono spediti in carcere a Renato Curcio nel
corso di una corrispondenza. Questa donna aveva conosciuto sia
l’istituzione psichiatrica che quella carceraria, ed in uno di questi
quaderni aveva scritto “Chi è sensibile si può rovinare, chi può
morire. Io sono sensibile alle foglie, al povero, al patire”. Da questa
frase il nome della nostra realtà.
Tu sei il co-fondatore della casa editrice, insieme a Renato
Curcio. Cosa vi ha spinti a creare una situazione autonoma di
produzione?
La nostra storia nasce in carcere alla fine degli anni ‘80. Io, Renato
e Stefano Petrelli - che eravamo in carcere da circa un decennio
- decidiamo ad un certo punto di affrontare un lavoro sul tipo
di esperienza umana che fanno le persone recluse. In modo
particolare, indaghiamo su come le persone detenute riescono
a tenersi in vita, come fanno a non morire, come rispondono ai
meccanismi mortificanti dell’istituzionalizzazione. La motivazione
principale era comprendere la nostra esperienza. Nasce una
ricerca. Pensiamo così alla pubblicazione di questo lavoro,
verificando però che gli editori che contattiamo hanno difficoltà
a diffondere queste tematiche. Con alcuni operatori esterni
al carcere, allora, avviamo la possibilità di pubblicare in forma
autonoma questa analisi. Editiamo così il primo titolo di Sensibili
alle Foglie: Nel bosco di Bistorco.
Quindi siete stati mossi soprattutto dalla necessità di testimoniare
e sfogare un vissuto personale, necessità che si è tradotta dopo in
un’urgenza di denuncia più diffusa.
Tutti e due i filoni della nostra ricerca, e cioè la critica delle istituzioni
totali e l’esperienza della lotta armata degli anni ‘70, sono analisi
relative alla nostra vita.
Poca accoglienza nei confronti delle vostre narrazioni, all’epoca.
E ora, nel vasto panorama della piccola editoria indipendente,
rintracciate delle realtà a voi affini?
Ci sono sicuramente editori che fanno un ottimo lavoro, con
produzioni editoriali di qualità e di un certo respiro sociale. Abbiamo
avuto modo di incontrarne alcuni alle ultime fiere di Napoli e di
Coolibrì
Torino. Come affinità possiamo individuare un problema comune,
che è la ricerca di uno spazio reale nelle librerie. Spazio che
dovrebbe spettarci di diritto, visto l’ampliamento degli interlocutori
sociali in seguito alle molte direzioni delle nostre ricerche: mondo
del lavoro, istituzioni sanitarie, case di cura per anziani. Inoltre,
un’accoglienza particolare sta riscontrando il Progetto Memoria
sull’esperienza armata degli anni’70. Stiamo puntando molto ,
quindi, sul nostro sito - nei giorni scorsi rinnovato - per rispondere a
questo spazio sociale mancante.
Qual è il nesso tra la critica verso le istituzioni, totali e non, e
l’attenzione verso un tema come quello degli stati modificati di
coscienza?
Domanda importante. Cominciammo, per Il bosco di Bistorco,
ad occuparci delle risorse a cui attingono le persone recluse
per mantenersi in vita. Scoprimmo che molte di queste risorse
appartenevano al territorio della dissociazione identitaria
volontaria.
L’autore pubblicato al quale siete più legati?
Difficilissimo rispondere. In questi giorni stiamo ristrutturando il
nostro sito. Un settore è dedicato ai nostri autori. Elencandoli, ci
siamo resi conto di aver pubblicato autori provenienti da tutte
le parti del mondo, e che hanno affrontato le più diverse ed
estreme esperienze di vita. Autori legati anche alla ricerca a livello
nazionale, e al mondo accademico. Tutti insieme hanno costruito
una ricchezza umana sociale, preziosa per il nostro lavoro.
Sensibili alle Foglie non è solo una casa editrice, ma anche una
cooperativa che rintraccia il suo fondamento nell’analisi sociale.
Quali le vostre altre attività?
Noi siamo principalmente un laboratorio di ricerca. Questa
ricerca si articola in varie modalità, editoriale, principalmente,
ma anche seminariale. Inoltre, creiamo in tutta Italia cantieri di
socioanalisi narrativa, attraverso gruppi di lavoratori che operano
all’interno delle istituzioni. Queste dinamiche ci consentono di
esplorare le strutture dal loro interno. Proprio attraverso i cantieri è
nato il mio ultimo lavoro Pannoloni verdi, sui dispositivi mortificanti
e le risposte di sopravvivenza che si consumano all’interno delle
case di riposo per anziani. Sottolineo, poi, le mostre itineranti che
curiamo, frutto della raccolta di manoscritti, scarabocchi e dipinti
conseguenti al malessere dell’inclusione e dell’esclusione sociale.
Ne curiamo davvero molte, destano tutte interesse e riscuotono
molto successo.
Ultima domanda. Il numero di giugno di Coolclub sarà dedicato
ai festival estivi, soprattutto musicali ma non solo. Cosa pensi delle
fiere letterarie che ormai pullulano sull’intero territorio durante
l’anno, e che animano anche l’estate italiana ?
(ride ndr) Alcune le seguo e le trovo anche interessanti, quel che
vedo però è che il nostro lavoro è diverso.
Stefania Ricchiuto - Il passo del cammello
Be Cool
il cinema secondo coolcub
Notturno Bus
Davide Marengo
01 Distribution
Tutto in due giorni: è quello che accade
in Notturno Bus. Parafrasare il cult movie
di John Landis è istintivo, forse un po’
esagerato per le vicende raccontate,
decisamente più italiane e meno intense,
o forse solo un po’ più dilatate, rispetto alla
nottataccia di Jeff Goldblum e Michelle
Pfeiffer. Le vicende, e la vita, sono quelle di
Franz, “cuor di leone”, autista di autobus,
giovanotto
capitolino
“normalmente
vile”, e quella di …Leila, o Angela, o…
ancora Alessandra, giovane donna,
eccezionalmente bella e ladra. Un incontro
casuale il loro, in autobus; tra loro due
un’immediata empatia, ma anche due
poliziotti (Francesco Pannofino e Roberto
Citran) uno divertente e crudele, l’altro
gelido, entrambi estremamente decisi
e cattivi; un agente segreto in gamba,
buono e romantico (Ennio Fantastichini),
un microchip di vitale importanza per un
pezzo grosso dello Stato, un nerboruto
“ras” di quartiere che cerca di recuperare
un piccolo credito di gioco, una valigetta
stracolma di bigliettoni di grosso taglio.
Tanti quanto bastano per cambiare una
vita; anzi due.
Questi gli ingredienti della piacevole
commedia,
miscelati
con
assoluto
senso della misura, e furbizia, da Davide
Marengo. È un’opera prima per il regista
che, prima di questo italianissimo “noir”,
aveva già mostrato il suo talento in Craj,
uno spettacolo teatro-musicale con
Teresa De Sio, Lindo Ferretti e un bel po’ di
personaggi e musicanti salentini. Qualche
importante videoclip e, adesso, Notturno
Bus, film che se riesce a strappare applausi
in sala (… è quello che è successo a
Lecce), qualcosa significherà pure.
In effetti gli ingredienti per una piacevole
serata al cinema ci sono tutti “a bordo”
del Notturno Bus guidato da Marengo.
C’è la storia, assolutamente normale
ma ben raccontata e coinvolgente
(liberamente tratta dall’omonimo romanzo
di Gianpiero Rigosi), c’è la suspense giusta,
una opportuna dose di azione, ben
costruita (funziona bene, per esempio,
l’inseguimento a bordo di autobus), c’è
un finale intenso, in grado perfino di far
tribolare e parteggiare; ci sono titoli di
coda divertenti e “scanzonati”. Ci sono gli
interpreti. Bravi. C’è Valerio Mastandrea
alle prese con l’interpretazione di “se
stesso”. Un ruolo, quello di un autista di
autobus, romano, intelligente e furbo, per
quanto normalmente vile, che sembra
cucito su di lui. Un ruolo solito, per lui,
ma che funziona alla grande, come
sempre. C’è poi Giovanna Mezzogiorno,
protagonista bella e brava, ladruncola di
passaporti, dall’infanzia negata, immersa
in un presente torbido, ma con un futuro
ambizioso. Ci sono tutti gli altri personaggi,
co-protagonisti, e funziona tutto, non c’è
che dire. È efficace il mix di elementi che
rendono Notturno Bus un film assolutamente
godibile. Un po’ di commedia, un pizzico
di noir, una manciata di azione, una
spruzzatina di giallo. Tutto in due giorni, e in
un paio di ore di film.
da.qua.
Be Cool
30
più interessante del film è lo sguardo
della camera che si fonde con quello dei
prigionieri: derisi, seviziati, mortificati, privati
persino della loro personalità: in nome di
cosa? Ecco, forse vale la pena cercare
questo film e andarlo a vedere anche solo
per porsi questa domanda.
Willy De Giorgi
La vie en rose (La môme)
Olivier Dahan
Breakfast on Pluto
Neil Jordan
Fandango
Una donna di spalle che, mani tese, canta su un palco. È il 1959 ed è New York. Un
attimo dopo, siamo catapultati nel 1918 per le vie di Belleville, XX arrondissement de
Paris dove un’altra donna canta per strada, e una bambina dagli enormi occhi blu
impauriti piange. Si apre così, senza troppe presentazioni, solo il titolo in bianco, Le
vie en rose. Olivier Dahan, alla regia, ha deciso di non seguire un filo cronologico
per raccontare la vita della piccola potente Môme, ha scelto una stupefacente
Marion Cotillard ad interpretarla, sei ore giornaliere di trucco per dare credibilità al
personaggio, ha riempito le scene di persone, dettagli, cenni. Musica.
L’infanzia nel bordello, l’infezione agli occhi e le preghiere intense a Sainte Thérèse
de Lisieux; Titine, la prostituta affezionata come mamma; il rossetto rosso messo per
gioco. Il padre contorsionista, la madre assente, il circo. La Marseillaise. Poi, le canzoni
per strada, l’amica del cuore Momone, le prime audizioni, Leplée e Raymond Asso.
Il cabaret e il teatro. Mon légionnaire. Le amicizie sbagliate, l’alcool, gli abbandoni.
Ma una intensa voglia di ricominciare sempre, daccapo, ripartire da zero. Impara a
recitare, a “vivere la canzone”, diventa attrice. L’America, prima ostile poi riconoscente,
-“io sono troppo triste, loro sono troppo coglioni” dice Edith riferendosi agli americani
-, l’incontro con Marlène Dietrich, l’amore travolgente per il pugile Marcel Cedran,
la violenza dei pugni e le carezze della sua voce, la tragedia infinita quando Marcel
muore in cielo. L’Hymne à 1’amour. Il dolore, la morfina, la dipendenza. Le iniezioni, le
date annullate e le tournèe che sono un trionfo. La vie en rose. Un accenno alla figlia
morta di meningite, agli incidenti stradali, all’Olympia, al matrimonio. Tutta una vita
per cenni e richiami, per canzoni, un film lungo veloce mai noioso che ha commosso a
febbraio la platea berlinese e commuove ora quella mondiale. Al centro una donna
di fragile costituzione, determinata, capricciosa, goffa, innamorata, curva, sorridente,
malata, che a quarantasette anni ne dimostra settanta o più. Ma gli enormi occhi blu
impauriti, nei dispiaceri e nella felicità, rimangono quelli di sempre. Edith ci insegna a
non rimpiangere mai, nella vita, niente di niente. Non je ne regriette rien.
“Signora Piaf, che consiglio darebbe a una donna? Ama. A una ragazza? Ama. A un
bambino? Ama”.
Valentina Cataldo
Buenos Aires 1977 - Cronaca
Di Una Fuga
Adrián Caetano
20th Century Fox - Fandango
Nel 1978 a Buenos Aires la nazionale
argentina divenne per la prima volta
campione del mondo di calcio: il dittatore
Videla consegnò nelle mani di Daniel
Passerella la Coppa del mondo. Negli stessi
anni in Argentina a qualcuno è capitato
di passare dallo spogliatoio di un campo
di calcio di serie B ad una prigione per
terroristi. A qualcuno è capitato di vedere
la madre e la sorella umiliate nella propria
casa perché si rifiutavano di svelare il tuo
nascondiglio. “Chi non è con me è contro
di me”, il leit motiv di tutte le dittature, e
quella dei generali
argentini non fece
eccezione. Il film
di Israel Adriano
Caetano
tratto
da un romanzo
autobiografico
di
Claudio Tamburini
parla di questo: del
regime e del suo
potere sulle persone.
La trama di per sé
non è la parte più
interessante del film, che passa da una
parte claustrofobica che ricorda Garage
Olimpo e La notte delle matite spezzate
ad un finale travolgente con il racconto
della fuga, tipo Midnight Express. La parte
Neil Jordan continua a misurarsi con il
vasto universo della identità sessuale, lo
aveva fatto quindici anni fa con il noto La
moglie del soldato, lo rifà oggi con una
nuova trasposizione cinematografica.
Trova ispirazione nelle pagine di Patrick
McCabe, nella sua Irlanda occupata dagli
inglesi e rivendicata dall’Ira, in una storia
a cavallo tra confini identitari e geografici
che si spezzano. Breakfast on Pluto è la
storia di Patrick Brady (Cillian Murphy), sin
da subito, “gattina”. La cesta sulla porta
di una chiesa, poi il rossetto allo specchio,
i tacchi. Gli insulti, la valigia colorata, la
fuga alla ricerca della madre vera, lady
fantasma, che è scappata via nella città
che non dorme mai, un selvaggio oceano
che tutto inghiotte. Gattina per le strade
di Londra e per quelle della sua piccola
Tyreelin, dove ritorna, porta scompiglio,
fa scalpore. L’autostop, il frontman di una
band indiana e il mago che si innamorano
di lei, dei suoi movimenti eccentrici, dei
suoi occhi blu, da uomo o donna, sempre
gli stessi. Una vita non facile scandita per
capitoli e supportata da una colonna
sonora sparata a palla. Il lento sulle spalle
del marine e Bobby Goldsboro che canta
Honey, la sua preferita. Nell’intero film, sono
l’ironia e la fantasia a salvare gattina, che
credeva fosse possibile fare colazione…
dove? Su Plutone.
Valentina Cataldo
Zodiac
David Fincher
Warner Bros.
Direttamente dal sessantesimo festival di
Cannes la vera storia di Zodiac, il serial killer
che nel 1969 terrorizzò San Francisco con
ben tredici omicidi rimasti irrisolti. Sempre
abile nel rappresentare la tensione questa
volta il cinema di David Fincher, autore di
pellicole come Seven o Fight club, si sgretola davanti ad un intreccio reale quindi
già scritto e poco
negoziabile. Zodiac, che ha
in una sceneggiatura lenta e
prevedibile il suo
peggior nemico,
non riesce mai
ad entusiasmare
lasciando con la
brutta sensazione di un’opera
incompiuta e raffazzonata. Il gioco che accompagna autori e spettatori in
film come questi, quello di scovare l’assassino, è reso impossibile dal reale svolgimento della vicenda che non ha mai dato un
volto al colpevole. Il film punta sui numerosi
personaggi che compongono lo scenario
in cui si muove l’assassino e in cui spicca
un sempre più maturo Jake Gyllenhaal
(Brokeback mountain) nei panni di un appassionato giornalista. Al centro del film
anche il disagio di essere impotenti davanti allo scorrere degli eventi, di sapere che
in fondo la vita è piena di sorrisi, ma anche
di ingiustizie. Poca roba per un autore che
aveva senza dubbio il dovere di stupire e
scarse note positive per un lavoro che non
vale davvero la pena di vedere.
Michele C. Pierri
Grindhouse - Death Proof
Quentin Tarantino
Medusa
Grindhouse – Death Proof è stato presentato
in concorso al sessantesimo Festival di Cannes.
L’ultimo film di Quentin Tarantino è uscito nelle
sale americane, in verità, con scarsi risultati al
botteghino, in coppia con Planet Terror (che
probabilmente vedremo al Festival di Venezia
a Settembre) diretto dall’amico, suo alter ego,
Robert Rodriguez, intermezzati da falsi trailer
cinematografici. Arriva nei cinema italiani, in
una versione gonfiata, lunga 85 minuti.
Dopo essersi ispirato agli “spaghetti western”
e agli “yakuza”, con quest’ultima pellicola, il
regista di culto del doppio Kill Bill e Pulp Fiction,
omaggia proprio i film dei cinema “grindhouse”,
dei postacci, poco raccomandabili, in cui venivano proiettati a rotazione durante tutta
la notte i b-movies degli anni 60 e 70, privi di ambizioni artistiche, che offrivano delle
miscele esplosive di sesso, violenza, donne e auto veloci. Protagonista della storia è uno
stuntman, un Kurt Russell in versione basettoni e ciuffo impomatato, un personaggio
singolare che si diverte ad andare a caccia di giovani donne che prima seduce, poi
tortura e infine investe con la propria Chevrolet d’epoca. L’uomo deve però vedersela
con otto ragazze, delle “hot chicks”, tra cui ricordiamo le attrici Rosario Dawson e
Tamia Poitier, che non ci stanno ad essere le vittime di turno e gli daranno del filo
da torcere. Quentin Tarantino, che anche qui si ritaglia un piccolo ruolo da attore,
confeziona un film che, seppur lontano dalla quasi perfezione stilistica dei suoi ultimi
lavori, diverte per le sue innumerevoli e sempre precise citazioni (e autocitazioni!) da
cinefilo incallito, per i suoi lunghi e contorti dialoghi, sempre in puro stile “tarantiniano”
e per le grandiose inquadrature. Il regista sceglie, questa volta, di essere anche il
direttore della fotografia, ottenendo ottimi risultati. Si diverte a “graffiare” e a sottrarre
volutamente alcuni fotogrammi, proprio per ricordare l’atmosfera tipica dei filmacci
dei cinema grindhouse.
Sabrina “Zero Project” Manna
Be Cool
32
Come leggono gli americani: focaccia? Non è facile ma, a – ricorda - ma siamo
operazione completata, prende un senso di sazietà. Focaccia è riusciti a fargli credere che stavamo festeggiando un compleanno
termine onomatopeico di quelli che, pronunciati al suo cospetto, all’italiana e che Nico girava il filmino di rito. Alla fine, la focaccia
potrebbero far venire una punta d’ulcera al signor McDonald. ce l’hanno riscaldata loro stessi”. Non è mancato neanche il
Ma questo adesso. Riavvolgendo il nastro, è ancora il 2001. Nella mandolino, suonato addirittura da John Labarbera, musicista di
Murgia digradante, terra di lentisco e falchi grillai, pulo e funghi John Turturro nella messinscena dell’eduardiano Questi fantasmi.
cardoncelli, la colonizzazione americana sta per abbattersi. La mission americana non è ancora del tutto compiuta. Cirasola &
All’ombra della M gigante, gli altamurani si avvicinano all’Impero. Pepe torneranno per incontrare il signor McDonald e convincerlo
Filet-o-fish, McRoyal, McToast, McSnack, McChicken. Tavolini a inserire la morbida icona altamurana nei Mcmenu o, almeno,
sagomati intorno al corpo, commessi cappellino in testa e mezzo per aprire il punto vendita Focaccia Blues o Mediterraneo Blues o
sorriso in faccia, clown gigante con parrucca un po’ IT un po’ Lampascione Blues. Le idee non sono ancora molto chiare se non
Crusty. Tutti i ticket sono in regola per entrare nel tunnel della sul principio: “dobbiamo convertirli al buon gusto”. Ne è convinto
globalizzazione. Gli altamurani all’inizio ci stanno. Il Mc Donald’s Cirasola che, qualche settimana dopo, agli inizi di maggio ha
si adagia su 550 metri quadri, luccica,
dato il via al set altamurano. Cambio di
attira, fa sentire meno periferici. Ma alla
set, cambio di facce. “Vengo io, vengo
M si accosta la D, non di Davide contro
io?” grida all’indirizzo del regista, che
Golia (realtà biblica che pur si da) ma di
dispone le comparse intorno al tavolo,
Digesù, panificio proditoriamente aperto
un indigeno pelle bruciata e andatura
proprio a fianco del fast food. A consigliare
preoccupante. Cirasola, dal canto suo,
la manovra è stato Onofrio Pepe, paladino
più che alla recitazione deve badare che
del mangiare secondo tradizione nonché
le focacce per la scena restino al loro
presidente della locale associazione a tutela
posto. “Aspettate a mangiare che sennò
del fungo cardoncello. La concorrenza è
finiscono”. Ma il film si fa anche per spiegare
sulla carta leale, sulla pasta sleale. Effluvi
la malìa della morbida pasta lievitata.
di focaccia contro effluvi di patate fritte;
Qualcuno lamenta pure l’assenza di un
tranci di pizza ripiena da mangiare subito
bell’agnello arrosto. Ma, in compenso,
contro hamburger fast food. Il big mac
arriva il vino rosso e, poi, una corvette gialla
perde colpi, l’ufficio marketing corre ai
con finti bulli americani e hamburger veri.
ripari ma i ragazzi hanno cominciato a
La battaglia alimentare, come le riprese,
consumare il patrio alimento persino sui
ha inizio sulle note di “Chellà là” cantata
tavolini esterni del Mc. Alla fine, il colosso
modello karaoke da un “posteggiatore”
s’inginocchia e dichiara un fallimento che,
locale. Premesse eccezionali. Tu vò fa’
attraverso il New York Times e Liberation, fa
l’ammericano sarà interpretato anche
il giro del mondo.
dagli attori Dante Marmone, Luca Cirasola
Materiale su misura per Nico Cirasola,
e Tiziana Schiavarelli e da una allegra
Gli affezzionati di Sky nelle ultime
regista nato poco più in là, a Gravina, e
rappresentanza sparsa di altamurani. La
settimane si saranno imbattutti nelle
certamente sensibile, oltre che alle storie
vicenda prenderà forma di favola.
pellicole del regista Nico Cirasola,
bizzarre, al buon cibo. Accadimenti che,
Assicura
il
produttore
Contessa:
nato nel 1951 a Gravina, personaggio
alla stessa maniera, conquistano i produttori
“Prevederemo
un
ampio
uso
di
eclettico e adorato dal mondo
Gianluca Arcopinto e Alessandro Contessa
“product placement”, evitando di citare
cinematografico pugliese ma non
con la loro Pablo Bunker Lab. E le riprese
direttamente il McDonald’s”. E, intanto,
solo. Il suo recente Bell’Epoker (con
del docufilm Tu vò fa’ l’ammericano
si cercano sponsor. Dovrebbe esser
Dante Marmone, Dino Abbrescia,
cominciano. Una prima tranche è già
pronto per la prossima Festa del cinema
Pinuccio Sinisi e Edoardo Winspeare)
stata realizzata a New York, nel cuore
di Roma “ottima vetrina per un film che
racconta la vita di Bari attraverso gli
della grande mela e dei McDonald, tra
già dal trailer, da poco montato, ci
occhi del custode del glorioso teatro
Manhattan e Greenwich Village. Anche
appare assolutamente entusiasmante”.
Petruzzelli distrutto da un incendio nel
della finzione, protagonista è l’ormai
Prime immagini che lasciano pregustare
1991. Tra le altre pellicole di Cirasola
mitologico Onofrio Pepe, io narrante del
quest’angolo di paradiso gastronomico
Albania Blues, Da do da, Odore di
piccolo caso internazionale. A NYcity è
low budget ma decisamente high quality
Pioggia.
riuscito, troupe al seguito e focaccia in
(come imparò il signor McDonald).
mano, a introdursi in un Mc Donald’s. “I
Antonella Gaeta
commessi ci guardavano interrogativi
La parabola di Nico Cirasola s
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A P P Un T aM E n TI
I M MaGI na la MUSI ca
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MUSICA
ogni venerdì / Montecarlo Night con Tobia
Lamare al Soul Food di Torre dell’Orso (Le)
domenica 10 / Bermuda Acustic Trio a
Trepuzzi
Serata in ricordo di Maurizio Rampino,
giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno,
scomparso un anno fa. E proprio nel giorno
dell’anniversario della sua morte (giovedì 14)
verrà consegnato il premio a lui dedicato.
domenica 10 / Paolo Fresu a Cavallino (Le)
giovedì 14 / Rio a Cutrofiano (Le)
venerdì 15 / Ameba4 all’Ombra del barocco
di Lecce
venerdì 15 / Sud Sound System a San
Pancrazio Salentino (Br)
venerdì 15 / Zina alla Fiera di Galatina (Le)
da venerdì 15 a sabato 16 / Anima Mundi a
Galatina (Le)
Tuttaunaltracosa e Solidaria direzione sud
ospitano la presentazione ufficiale delle
nuove produzioni firmate Anima Mundi. Nel
corso dei tre giorni (tutte le info su www.
tuttaunaltracosa.it) saranno presentati i
cd: Tis Klei di Ninfa Giannuzzi, partendo
dal Salento con la proposta di brani della
tradizione e di inediti esclusivamente in
lingua grika, un viaggio nei paesi che si
affacciano sul Mediterraneo prima, e
passando attraverso lo Stretto di Gibilterra,
supera l’Oceano Atlantico e si ferma
nell’Oceano Pacifico; Nuzzelu e Pparolu
di Tonino Zurlo, straordinario cantastorie
e poeta popolare di Ostuni. Osannato
da artisti importanti tra cui Moni Ovadia e
Giovanna Marini. Il cd è accompagnato da
un libro contenente il pensiero e la poetica
di questo grande artista; Mandatari di
Dario Muci. Il “mandatario” è il messaggero
d’amore chiamato per cantare una
serenata a una bella fanciulla. Il nuovo
progetto di Dario Muci è un percorso nei
territori al confine tra musica popolare e
jazz attraverso composizioni originali ed
inediti arrangiamenti di alcuni canti della
tradizione popolare salentina. Info www.
suonidalmondo.com
sabato 16 / Vision into art (vedi inserto Sound
Res) all’Isufi di Cavallino (Le)
sabato 16 / Abash alla Fiera di Galatina
(Le)
domenica 17 / Orchestra dei Popoli della
Provincia di Lecce alla Fiera di Galatina
(Le)
da lunedì 18 a giovedì 21 / Festa della
musica a Cursi (Le)
Palazzo De Donno e Piazza Pio XII a Cursi
ospitano la seconda edizione della Festa
della musica, ideata e promossa dal Centro
di produzioni musicali Dilinò di Muro Leccese.
Quattro giorni per ricreare una vera e
propria fiera in cui si riuniscono le maggiori
produzioni indipendenti salentine allestendo
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venerdì 22 e sabato 23 / Festival dei musicisti di
strada a Lecce
L’appuntamento
è
ormai
tradizionale
per
l’inizio dell’estate salentina. Anche quest’anno
l’associazione Altreforme presenta, nell’ambito del
festival Salento Negroamaro, il Festival dei musicisti
di Strada. Il centro storico sarà invaso per due
sere da una carovana multietnica di musicisti che
farà risuonare suoni provenienti da tutto il mondo.
In programma il blues dei Marvellous Pig Noise
(Francia), la fanfara di strada della Bandakadabra
(Italia), il reggae dei Sons of gaia (Francia), il jazz di
Valentina Madonna e Roberto Gagliardi (Salento),
l’innovazione araba dei Lamar (Palestina), l’elettronica dei Scientist & Cinic (Salento) e il
flamenco delle Malasangre (Spagna).
i loro angoli promozionali per presentare i
loro lavori, le loro produzioni, i loro progetti. Si
parte lunedì 18 con l’inaugurazione ufficiale
e un’inedita ed originale manifestazione dal
titolo Musica di pietra, con dimostrazioni di
sculture dal vivo sullo sfondo della musica
degli Otakatroi E Ntzuia Nahara (DubLounge Dj Set). Martedì spazio ai Crifiu con
il loro Folk-core dal Salento, e i Nidi D’arac,
una delle band migliori del panorama
della world music internazionale, capaci
di mescolare la tradizione della trance
folklorica al concetto di trance legato
alle nuove tendenze della club culture
e rendendo i loro live veri e propri rave
di musica etnica. Mercoledì 20 giugno
sul palco si alterneranno i Mascarimirì di
Claudio “Cavallo”, e Zina, progetto elettroworld dell’eclettico trombettista Cesare
Dell’anna. Ultima giornata giovedì 21 con
numerosi show-case di tanti gruppi salentini,
tra i quali hanno già dato adesione: Criamu,
Mascarimirì, Discordia, Aioresis, P40 Band,
Skarlat, Sostanza, Lagrima De Oro e tanti
altri. Inizio concerti ore 21.30. Ingresso libero.
Info: www.dilino.com – 0836/341153.
martedì 19 / Sound Res band (vedi inserto
Sound Res) alle Manifatture Knos di Lecce
da mercoledì 20 a venerdì 22 / Veglie in
Jazz a Veglie (Le)
venerdì 22 / Bandadriatica a Melpignano
(Le)
È Contagio il titolo del primo cd della
BandAdriatica guidata dall’organettista
e cantante Claudio Prima. BandAdriatica
è la banda del nuovo tempo, emaciata e
contenta come i padri che hanno percorso
suonando i chilometri che ci hanno portato
dove siamo e ad un tempo modernamente
figlia di tutti gli ascolti che il viaggio e la
strada propongono, inevitabilmente. Dieci
musicisti percorrono e ripercorrono le strade
virtuali che uniscono due mondi musicali,
attraccando nei porti che si affacciano
sull’adriatico, come se Venezia, Capodistria
e Dubrovnik fossero le tappe obbligate per
arrivare più in fretta da Lecce a Tirana.
La presentazione ufficiale del disco è in
Piazza San Giorgio a Melpignano. Ingresso
gratuito.
venerdì 22 / Agnese Manganaro al Soul
Food di Torre dell’Orso (Le)
Col Salento nel sangue e il Brasile nel cuore
Agnese Manganaro si muove con agilità
nel repertorio a lei caro: la bossa e gli anni
’60. Cantautrice per vocazione e artista in
continua evoluzione, si autodefinisce “una
pralina ripiena di bossa nova con pezzetti di
jazz e ricoperta da pop fuso”. Ha da poco
inciso un disco per l’indipendente Irma
Records. Il primo singolo dal titolo E vai via
prodotto da Roberto Vernetti (collaboratore
di Mina e Caterina Caselli) è già nella
playlist delle radio di tutta Italia. Si esibisce in
quartetto ma ama anche le performance
più intime, voce e chitarra. Il suo repertorio
di cover comprende brani in portoghese,
inglese, spagnolo, italiano e giapponese,
ispirato all’atmosfera del lounge.
da venerdì 22 a domenica 24 / Festa dei
Sapori antichi a Surbo (Le)
L’associazione Le Rene organizza la terza
edizione della Festa dei Sapori Antichi. Una
tre giorni dedicata ai prodotti tipici locali,
alla musica e alla tradizione. Sabato 23
giugno doppio concerto tra rock e musica
balcanica, blues e sonorità jazz. Alle 21.00
sul palco saliranno i Black Notes, a seguire
gli Opa Cupa. Domenica 24 giugno, infine,
serata conclusiva della Festa dei sapori
antichi con la pizzica degli Alla bua. Ingresso
gratuito
sabato 23 / In c concerto all’alba (vedi
inserto Sound Res) al Mediterraneo sulla
litoranea San Cataldo/San Foca (Le)
sabato 23 / Fabrizio Bosso a Vaste (Le)
sabato 23 / Roy Paci & Aretuska al Torre
Regina Giovanna di Apani (Br)
domenica 24 / Opa Cupa e Skarlat a Zollino
(Le)
domenica 24 / Triace a Taviano (le)
da mercoledì 27 a sabato 30 / Bari in Jazz
a Bari
Giunge alla sua terza edizione il Festival
Bari In Jazz – Swinging & Swimmin’ diretto
da Roberto Ottaviano. Il cartellone di
quest’anno presenterà dal 27 al 30 giugno,
in vari siti del centro storico, una significativa
panoramica dei progetti di punta del
panorama musicale europeo ed americano,
ivi comprese alcune produzioni originali,
e due omaggi a paesi extraoccidentali.
Il 27 andranno in scena The Three Moons,
Trilok Gurtu con l’Arkè String Quartet, il trio
di Norma Winstone ed il gruppo Dondestan
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con Karen Mantler con un programma
denominato The Robert Wyatt Project; il
28 sarà la volta del trio di Carlos Zingaro,
Lucas Niggli Zoom, Michel Portal & Richard
Galliano, e della MinAfric Multiculti Orchestra;
il 29 prevede la partecipazione di Paolo
Angeli, Kenny Wheeler Quartet, Henri Texier
La Strada Quintet e della Gangbé Brass
Band. Il 30 proiezione del film reduce dal
festival di Berlino “Play Your Own Thing” di
Julian Benedikt, conversazione con l’autore
ed alcuni musicisti presenti al festival. Ogni
sera Bari In Jazz Village con mostre, dj set e
gruppi emergenti nella zona portuale a cura
di Controradio e del Conservatorio Piccinni
di Bari. Info 0805283361
giovedì 28 / Philip Glass (vedi intervista
nell’inserto Sound Res) a Palazzo dei
Celestini di Lecce
venerdì 29 / Philip Glass a Bari
venerdì 29 / Enrico Rava a Cavallino (le)
lunedì 4 luglio / Idir al Castello di Otranto
(Le)
sabato 7 / Soeur Marie Keyrouz – Meditations
de l’Orient a Palazzo dei Celestini di Lecce
Teatro
dal 7 al 30 giugno / Ecumenes ad EgnatiaFasano (Br)
A
Egnatia
(Fasano,
provincia
di
Brindisi), uno dei siti archeologici più
importanti della Puglia, il primo cantiere
internazionale delle arti nell’ambito del
progetto ECUMENES –Eredità Culturali del
Mediterraneo nelle Eccellenze Storicoarchitettoniche selezionato dal Programma
Comunitario Interreg IIIA/Grecia Italia con il
coordinamento artistico dei Cantieri Teatrali
Koreja. Intenso e variegato il programma
con spettacoli di danza, teatro, musica,
cinema ma anche installazioni, work in
progress, laboratori, conferenze e incontri
proposti da artisti
greci e italiani con
l’obiettivo di valorizzare il patrimonio
culturale comune, materiale e immateriale.
Attorno al tema de “La eredità della cultura
classica greca nella contemporaneità”
sono molte le novità assolute come Mari di
voci, installazione per nastro magnetico di
Biagio Putignano, The Cryonic Chants con
Scott Gibbons e la Societas Raffaello Sanzio
(giovedì 28 giugno), Ajax the madness da
Sofocle con l’Attis Teatro di Atene per la
regia dello straordinario regista Theodoros
Terzopoulos (venerdì 22 e sabato 23
giugno), le Apparizioni con la compagnia
Katzenmacher di Alfonso Santagata
(giovedì 14, venerdì 15, sabato 16 giugno),
Polis della compagnia Abbondanza-Bertoni
(sabato 30 giugno), la festa-concerto con i
greci Sirtos (sabato 9 giugno), lo studio su Le
Troiane di Euripide a cura di Koreja (sabato
9 giugno), le conferenze di Gino Pisanò (15
giugno), Francesco D’Andria (23 giugno),
Eduardo Sanguineti (sabato 30 giugno). Info
0832 24 20 00 [email protected]
dal 4 al 6 luglio / Persae a Marina di Andrano
(Le)
Astràgali Teatro promuove “Persae” una
nuova produzione teatrale internazionale
sostenuta dalla Provincia di Lecce e dalla
Fondazione Culturale Europea, seguendo
un
percorso
meridiano, in
cui è impegnato da anni,
per la creazione di una rete
culturale
nel
Mediterraneo.
Lo spettacolo,
per la regia di
Fabio Tolledi è liberamente tratto dalla tragedia di Eschilo “I Persiani”. Astràgali teatro
realizzerà una residenza teatrale internazionale che coinvolgerà, oltre alla compagnia
salentina, un gruppo selezionato di attori
e attrici provenienti da Siria, Giordania, Albania. La residenza (dal 18 giugno al 3 luglio), condotta dal regista, sarà finalizzata
alla realizzazione dello spettacolo che avrà
luogo in tre repliche (dal 4 al 6 luglio - Marina di Andrano). Persae è l’occasione per
realizzare un lavoro comune tra artisti, attori
e musicisti italiani, siriani, giordani, albanesi,
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proseguendo il work in progress di Astràgali
Teatro per la creazione di una Compagnia
Teatrale Mediterranea.
Incontri
da venerdì 8 a domenica 10 giugno /
Laboratorio di scrittura: Scritture e narrazioni
tra biografia e letteratura al Convento dei
Francescani Neri di Specchia (Le)
mercoledì 13 / Recital Le rivoluzioni di
Eleonora nell’ex Convento dei Padri
Agostiniani di Melpignano (Le)
venerdì 15 / Letteratura tra giallo e cronaca
nell’ex Convento dei Padri Agostiniani di
Melpignano (Le)
domenica 17 / Premio Olio della Poesia con
Adonis a Serrano
giovedì 21 / Convegno “Olivo: coltura e
cultura del Mediterraneo. Puglia, Israele,
Palestina: agricoltura e artigianato per
un economia di giustizia e pace” a San
Francesco della Scarpa di Lecce
venerdì 22 / Adnia Shibli (scrittrice
palestinese) presenta “Estetica e resistenza
nella nuova scrittura palestinese”. Introduce
Monica Ruocco a San Francesco della
Scarpa di Lecce
venerdì 22 / Scrittrici di Puglia a Taviano
La rassegna Donne che dovresti conoscere,
organizzata nell’ambito del Progetto
nazionale GiovaniLibri dall’associazione
Diotimart e dalla Libreria Idrusa, ospita un
incontro con alcune autrici salentine: Luisa
Ruggio, Elisabetta Liguori, Carmen Tarantino.
Accompagnamento musicale dal vivo:
Donatello Pisanello
giovedì 28 / Giovane poesia ad Alessano
(Le)
venerdì 29 / Inferno minore di Claudia
Ruggeri ad Alessano
La rassegna Donne che dovresti conoscere
si chiude con un incontro sulla poesia di
Claudia Ruggieri. Nata 27 agosto 1967 a
Lecce, sin da bambina scrive filastrocche
e poesie e mostra una propensione
straordinaria verso la lirica. Negli anni ’80 è
considerata da molti come “promessa della
poesia italiana”. Il suo primo testo compiuto
è Inferno minore, presentato e chiosato da
Franco Fortini. Verrà pubblicato solo nel
dicembre del 1996 sulla rivista “L’incantiere”,
due mesi dopo la sua prematura e tragica
scomparsa. Parteciperanno Mario Desiati,
Mauro Marino, Anna Rita Merico, Maria
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Teresa Ruggeri Del Zingaro, Alessandro
Canzian, Maria Mazzone. Letture: Francesca
Russo
sabato 30 / Staramascè a Lecce e Maglie
(le)
“L’Afghanistan non è un paese in guerra, ma
una terra utilizzata e scelta – ancora una volta
– da una guerra alimentata da imposizioni e
mancanza di dialogo, la dimostrazione che
il pregiudizio e le dittature nell’informazione
sono all’origine dell’evoluzione di ogni
conflitto”. Descrive così la sua visione
dell’Afghanistan il fotoreporter salentino
Kash Gabriele Torsello rimasto per alcune
settimane, lo scorso autunno, nelle mani dei
talebani. Quella lunga esperienza nelle terre
martoriate da una guerra infinita è diventata
una mostra fotografica. “Staramascè, attimi
di vita tra l’Afghanistan e il Salento: trenta
fotografie per trenta piazze” raccoglie trenta
gigantografie (manifesti 6x3), attimi di vita in
Kabul, Badakhshan, Khost e Kandahar, che
saranno affisse in trenta piazze di comuni
salentini. Le foto, in formato ridotto, saranno
inoltre in mostra presso la Galleria Lamarque
di Maglie (www.lamarque.it). La mostra
rientra nell’articolato programma di Salento
Negroamaro, rassegna delle culture migranti
della Provincia di Lecce. La presentazione
ufficiale sarà ospitata dall’Aula Consiliare
di Palazzo dei Celestini. Dalle 10.30 Torsello
illustrerà i contenuti della mostra e discuterà
con giornalisti, politici e operatori culturali.
Alle 19.00 invece si terrà l’apertura ufficiale
della mostra di Maglie. Per info www.kashgt.
co.uk
lunedì 1 luglio / Incontro con lo scrittore turco
cipriota Mehmed YasIn a San Francesco
della Scarpa di Lecce
La redazione di CoolClub.it non è responsabile
di eventuali variazioni o annullamenti.
Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Per segnalazioni:
[email protected]
CoolClub.it
Gea,
un’irrequieta
liceale,
vive
in
un’imprecisata
città
moderna,
trascorrendo le proprie giornate tra la
scuola e le prove del gruppo musicale, nel
quale suona il basso. Orfana di entrambi i
genitori, abita in un fatiscente stabile ed è
mantenuta da un misterioso benefattore,
che chiama Zio. La ragazza, dietro tale
facciata movimentata ma ordinaria,
nasconde un segreto: appartiene alla
casta dei Baluardi, millenari custodi
dell’ordine dimensionale, il cui compito è
difendere la nostra realtà dalle invasioni
di mostruose entità. Moltissimi esseri alieni
vivono tra gli umani pacificamente e con
discrezione, tuttavia tra essi si nascondono
alcuni membri della Razza nemica, feroci
demoni che dominavano la Terra prima
dell’uomo. Combattuti ed esiliati dai
Baluardi, i demoni desiderano far ritorno
sul nostro pianeta per riconquistarlo e
spazzare via gli usurpatori umani. Grazie
all’azione dei pochi demoni rimasti sulla
terra, è stata aperta un’enorme porta
extrtadimensionale che ha condotto
una moltitudine di creature sul nostro
pianeta e ne ha mutato l’aspetto,
sconvolgendone i vari ecosistemi. Il
mondo non è più lo stesso, mentre le
società umane sono cadute nel caos, a
causa dell’azzeramento di tutte le risorse
tecnologiche su cui si poggiava la loro
esistenza, e debbono confrontarsi con le
numerose forme di vita animale e vegetale
di altre realtà. Soltanto Gea assieme ad
un esiguo numero
di
persone
è
consapevole di ciò
che è accaduto e
si è posta a difesa
dell’umanità
contro le orde
bellicose
di
demoni,
nelle
prime avvisaglie
di
un
conflitto
mondiale
senza
precedenti. Gea
è
un’anomalia
all’interno
della
casa
editrice
Bonelli:
testata
semestrale, scritta
ed illustrata dal
talentuoso
Luca
Enoch, la serie
vanta caratteristiche peculiari rispetto a
Dylan Dog, Julia e gli altri comics targati
Bonelli. La trama poggia su una continuità
narrativa in antitesi con l’autoconclusività
caratteristica delle altre testate, che
ha permesso ad Enoch di ribaltare le
sue premesse iniziali, facendo evolvere
vicenda e personaggi. Questo è
conseguenza della piena libertà creativa,
che l’editore ha dato al fumettista, autore
del fumetto culto dell’underground
degli anni ’90, Spray Liz, che aveva
come protagonista una spregiudicata
graffitara bisex, perennemente in lotta
con poliziotti violenti e naziskins ottusi.
Sin dai suoi esordi, Enoch s’è distinto
per il tratto dai dettagli accuratissimi
(da ciò la sua leggendaria lentezza
nel disegnare) e per il mix tra fumetto
occidentale e suggestioni nipponiche.
In Gea vi sono continue citazioni di Keith
Harring, di Felix il gatto, dei lavori delle
Clamp (le fumettiste giapponesi, autrici
di Sailor Moon) e persino dei due film di
Men in Black, nei quali Tommy Lee Jones
e Will Smith ricercavano alieni immigrati
clandestinamente sulla Terra. Il risultato
è una magmatica esplosione di stile e
tematiche differenti, amalgamati con
sapiente cura e passione. Un altro aspetto
fondamentale della serie è il riguardo
per gli argomenti a sfondo sociale: nel
corso dei 16 episodi pubblicati, Enoch
ha spesso affrontato la questione
della convivenza tra culture differenti,
attraverso la metafora del binomio
umano-alieno sino a giungere all’attuale
conflitto, che sta devastando il mondo di
Gea. Gli stessi demoni invasori non sono
soltanto dei mostri spietati, ma creature
a cui è stato strappato il proprio mondo
e condannate all’esilio in un luogo
tremendo. Utilizzando i canoni del genere
fantasy, fantascientifico e catastrofico,
l’autore si diverte a ricreare un mondo,
nel quale la sopravvivenza degli uomini è
affidata al buonsenso ed alla tolleranza
verso il diverso da sé. Appassionante ed
originale Gea è uno dei migliori prodotti
seriali italiani, condito da un’ironia ed
una sagacia che ne stempera i momenti
più drammatici. Vista la sua semestralità,
è facile reperirne gli arretrati, dunque
se vi capita acquistatelo. Ne rimarrete
soddisfatti.
Roberto Cesano
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