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Università degli Studi di Perugia
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Fisica
(Corso di Recupero)
Dott. Andrea Calandra
Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso:
D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises.
Capitolo 1:
INTRODUZIONE
1.1 - Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura 1
1.2 - Elementi di algebra vettoriale 1
Capitolo 2:
MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI
2.1 - Cinematica del punto materiale 2
2.2 - Dinamica del punto materiale 3
2.3 - Lavoro ed energia 3
2.4 - Meccanica dei sistemi e leve 4
Capitolo 3:
MECCANICA DEI FLUIDI
3.1 - Stati di aggregazione della materia. I fluidi 5
3.2 - Statica dei fluidi 5
3.3 - Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue 5/6
Capitolo 4:
ONDE IN MEZZI ELASTICI
4.1 - Onde in mezzi elastici 7
4.2 - Il suono e l’orecchio umano 8
4.3 - Gli ultrasuoni in medicina 8
Capitolo 5:
TERMOLOGIA
5.1 – Calorimetria 9
5.2 - Termoregolazione del corpo umano 9
5.3 – Termodinamica 10
Capitolo 6:
ELERROMAGNETISMO
6.1 - Interazioni elettriche e magnetiche 11
6.2 - Onde elettromagnetiche 11
6.3 - Le radiazioni in medicina 12
Capitolo 1:
INTRODUZIONE
1.1 - Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura
1.2 - Elementi di algebra vettoriale
1.1
Fisica, grandezze fisiche e
sistemi di unità di misura
1. Le origini della fisica
Etimologia (greco)
La parola Fisica deriva dal Greco physis – φύσις che appartiene alla radice phyo (φύω) (genero, cresco).
Il termine physis indica dunque la totalità delle cose che nascono ed esistono nel loro divenire.
Tale termine fu coniato da Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) per indicare un complesso di attività intellettuali
che aveva il suo centro di interesse nell’osservazione, nello studio e nell’interpretazione dei fenomeni
naturali (filosofia della natura).
Traduzione latina
da: Umberto Garimberti, “Il gioco delle opinioni” Feltrinelli
Il latini tradussero la parola physis con “natura”, che deriva dalla radice latina gna (in greco gen), che
significa “generazione”, da cui origina il verbo latino nasci (nascere, trarre origine), dove c’è il senso di ciò
che genera e fa scaturire da sé. La natura è l’originario manifestarsi delle cose, il loro farsi luce.
Etimologia (indoeuropeo)
da: Emanuele Severino, La filosofia antica
La parola greca physis è costruita sulla radice indoeuropea bhu, che significa essere, strettamente legata
alla radice bha, che significa luce. La parola physis significa allora “essere” e ”luce”, cioè l’essere nel suo
manifestarsi.
Per i primi filosofi la physis è il Tutto, è l'essere che si mostra illuminato, dunque visibile e dunque
comprensibile. Si pretende di spiegare tale realtà senza gli impacci, i fraintendimenti e i veli del mito, delle
presenze determinanti degli dei e degli esseri sovrannaturali. Eliminata, nella ricerca dell'interpretazione
razionale del Tutto, ogni sovrastruttura mitica, resta la physis, la natura.
Origini
La Fisica trae le sue origini dall’antica filosofia greca. Le intuizioni di Talete e Democrito sulla materia e
sul cosmo, il libro di Aristotele “Physica” sul moto dei corpi, e le concezioni astronomiche di Tolomeo
sono i primi esempi di teorie della natura.
Ritratto di Aristotele, conservato a Palazzo
Altaemps, Roma. Marmo, copia romana di un originale
greco di Lisippo (330 a.C. ca.); il mantello in alabastro è
un'aggiunta moderna. Dalla collezione Ludovisi.
La prima pagina della Fisica di Aristotele
tratta dall'edizione di Bekker (1837).
2. Il campo di indagine della Fisica
Scopo
La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che
vi è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste
leggi derivano.
Il metodo scientifico
ll metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della
realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso è stato applicato e codificato da Galileo Galilei
nella prima metà del XVII secolo.
Si basa sulle osservazioni sperimentali le quali, associate alla intuizione, servono a riconoscere gli elementi
fondamentali e caratteristici di un fenomeno ed a formulare ipotesi sulla natura del processo (metodo
induttivo) che devono essere sottoposte al vaglio della verifica sperimentale.
L’attendibilità delle ipotesi e delle loro conseguenze logiche (teorie) dipende non solo dal successo che
esse consentono di ottenere nella interpretazione del fenomeno in esame, ma anche, e specialmente,
dalla conferma sperimentale di altre previsioni che si possono dedurre dallo schema teorico (metodo
deduttivo).
Il metodo scientifico consiste in un continuo alternarsi di osservazioni sperimentali e di attività
speculativa dello scienziato (metodo induttivo e metodo deduttivo).
Corso di Epistemologia
Osservazione
Individuazione della problematica
Ipotesi
Previsione da verificare
Esperimenti per verificare la previsione
Risultati
Analisi e Interpretazione dei risultati
L’ipotesi non è confermata
L’ipotesi è confermata
legge
Unificazione di leggi simili
in una teoria di validità generale
Principi
Previsione di nuovi fenomeni naturali
Esperimenti ulteriori
suggeriti dai risultati
3. Fisica Classica e Fisica Moderna
La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali:
Meccanica
- Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto.
- Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano.
- Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali configurazioni si
realizzano.
Termodinamica
Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi, costituiti da un
grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i quali i metodi
della meccanica risultano inefficaci.
Elettromagnetismo
Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni.
***
La fisica moderna (sviluppata a partire dal XX secolo) studia tutti quei fenomeni che avvengono su scala atomica
e subatomica, e tutti quei fenomeni che implicano velocità prossime a quelle della luce. Le teorie principali che
la costituiscono sono:
Meccanica quantistica
Studio e interpretazione dei fenomeni che avvengono su scala atomica e subatomica.
Relatività ristretta
Studio e interpretazione di fenomeni che implicano velocità confrontabili con la velocità della luce.
4. Grandezze fisiche
Definizione
Grandezze che intervengono nelle relazioni e nelle leggi fisiche.
Una grandezza fisica, per essere tale, deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le
operazioni che conducono alla sua determinazione numerica.
Una grandezza fisica è definita quando:
- sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e
differenza);
- sia fissata una unità di misura.
***
Grandezze Scalari
Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta.
Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura.
Grandezze vettoriali
Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della
grandezza), una direzione ed un verso; ovvero
grandezze determinate da un numero di parametri scalari (componenti del vettore) pari alla
dimensionalità dello spazio (3).
Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico.
Grandezze tensoriali di ordine n:
grandezze determinate da dn parametri scalari ove d è la dimensionalità dello spazio.
Esempi: tensore degli sforzi, tensore di inerzia, polarizzazione elettrica.
5. Sistemi di unità di misura
Grandezze fondamentali:
grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un
campione.
Grandezze derivate:
grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze
alle grandezze fondamentali.
Criteri di scelta delle grandezze fondamentali:
• Grandezze scelte siano facilmente misurabili.
• Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo.
***
Sistema di unità di misura:
Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze
fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni), in
numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate)
mediante le unità delle grandezze fondamentali.
Sistemi di unità più diffusi:
• Sistema Internazionale
• Sistema c.g.s.
• Sistema di Gauss
• Sistema tecnico o degli ingegneri
6. Sistema Internazionale
Grandezza fondamentale
Unità SI
Nome
Simbolo
Intervallo di tempo
(Tempo)
secondo
s
Lunghezza
metro
m
Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo (1/
299.792.458 )s.
Massa
kilogrammo
kg
Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e
misure di Sevres .
Temperatura termodinamica
kelvin
K
Frazione 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo
dell’acqua.
A
Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori
rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e
posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due
conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza.
cd
Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette
una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha
un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante.
mol
Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari
quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari
devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni,
ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle
Intensità di corrente elettrica
Intensità luminosa
Quantità di sostanza
ampere
candela
mole
Definizione
Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione
corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato
fondamentale dell’atomo di cesio 133.
Grandezze fondamentali supplementari
Angolo piano
radiante
rad
Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di
lunghezza uguale a quella del raggio
Angolo solido
steradiante
sr
Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area
uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio
7. Il radiante
Il radiante
sR
   1 rad
s

R
Misura degli angoli in radianti
(radianti ) 
s
R
angolo giro :  
2R
 2
R
2R / 2
angolo piatto :  

R
2R / 4 
angolo retto :  

R
2
s

R
8. Multipli e sottomultipli
fattore di
moltiplicazione
Distanza che la radiazione cosmica
≈ 1026 m
di fondo ha percorso dal Big Bang
Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m
Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m
Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m
Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m
Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m
Raggio classico del protone ≈ 10-15 m
Dimensione di un quark ≈ 10-21 m
prefisso
Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg
Massa del sole = 2 × 1030 kg
24
10
10 21
10 18
10 15
10 12
10 9
10 6
10 3
10 2
10 1
10 -1
10 -2
10 -3
10 -6
10 -9
10 -12
10 -15
10 -18
10 -21
10 -24
yotta
zetta
exa
peta
tera
giga
mega
chilo
etto
deca
deci
centi
milli
micro
nano
pico
femto
atto
zepto
yocto
Lunghezza di Planck = 1,616 252 ×
metri
(la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico)
10-35
simbolo
Y
Z
E
P
T
G
M
k
h
da
d
c
m
µ
n
p
f
a
z
y
Massa della terra = 6 × 1024 kg
Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg
1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg
(1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio)
(≈ massa dell'atomo di idrogeno)
Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg
Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg
9. Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali
Equazione dimensionale
Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono
funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle
grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente
mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A:
[ A]  [ F1n1 F2n2 F3n3 ]
Esempi: velocità ed accelerazione
[v]  [ L1T 1 ]
[a]  [ L1T 2 ]
Dimensioni fisiche
I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A
prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , …
Unità di misura delle grandezza derivate
L’unità di misura delle grandezze derivate si ottiene immediatamente dall’equazione dimensionale: è il
prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale.
Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2.
Prodotto di grandezze fisiche
Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla
relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni
dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole
dell’algebra.
A
mal
t
 [ A]  [ M ][ LT 2 ][ L][T 1 ]  [ MLT 2 LT 1 ]  [ ML2T 3 ]
Unità : kg∙m2∙s-3 (watt)
10. Analisi dimensionale
Analisi dimensionale
I due membri di un’equazione fisica e tutti gli addendi che appaiono in ciascun membro di tale equazione
devono avere le stesse dimensioni fisiche. L’analisi dimensionale è un supporto fondamentale per la verifica
della correttezza di un’equazione o del risultato di un problema.
ESERCIZIO
Un punto materiale lanciato verso l’alto con velocità vo raggiunge la massima quota h data da
(g = accelerazione di gravità):
vo2
h
2g
Verificare che questa equazione è dimensionalmente corretta.
 vo2   L / T 2   L2T  2 

 L


2 
2 
 2 g   L / T   LT 
1.2
Elementi di algebra vettoriale
1. Definizione di vettore e sua rappresentazione
Definizione
Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo)
Rappresentazione
Può essere rappresentato da un segmento orientato AB:
direzione = quella della retta che congiunge A e B
verso = quello che porta da A a B lungo tale retta
modulo = lunghezza del segmento AB
Denotazione
Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta,
o con una freccia al di sopra di una lettera,
o con una lettera in grassetto:
B

AB  v  v

v
Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v
AB  v
A
2. Componente di un vettore rispetto ad una retta orientata
Definizione
Dato un vettore v e una retta orientata x
si definisce componente di v rispetto a x
e si indica con vx
la grandezza scalare
vx   A' B'  v cos   xB  xA
B

v
A
A’
xA

B’
xB
x
1° caso

v
A
A’
xA
0
B
B’
xB
x
vx   A' B'  v cos   xB  xA
A' B' è concorde all ' asse x
  0  cos   1
xB  xA
 vx  vx max  v
B

v
2° caso
0    90

A
A’
xA
B’
xB
x
vx   A' B'  v cos   xB  xA
A' B' è concorde all'asse x
0    90  0  cos   1
x B  xA

vx  0
B
3° caso

v
  90

A
A’=B’
xA  xB
x
vx   A' B'  v cos   xB  xA
A'  B'
  90  cos   0
xB  xA

vx  0
B

v
4° caso
90    180

A
B’
xB
A’
xA
x
vx   A' B'  v cos   xB  xA
A' B' ha verso opposto all ' asse x
90    180   1  cos   0
xB  xA
 vx  0

v

  180 
B
A
B’
A’
xA
xB
5° caso
x
vx   A' B'  v cos   xB  xA
A' B' è discorde all ' asse x
  180  cos   1
xB  xA
 vx  vx mni  v
vx   A' B'  v cos   xB  xA
B
B
B


A
B
A


A
A
B
A
A
’
B’
A
’
B’
A’=B’
B’
B’
A
’
xA
xB
xA
xB
xA  xB
A
’
xB
xA
xB
xA
vx  vx
max  v
A' B' conc. x
  0
cos   1
xB  xA
vx  0
A' B' conc. x
0    90
0  cos   1
xB  xA
vx  0
A'  B'
  90
cos   0
xB  xA
vx  0
A' B' disc. x
90    180
 1  cos   0
xB  xA
vx  vx
min  v
A' B' disc. x
  180
cos   1
xB  xA
x
3. Componenti di un vettore rispetto ad una coppia/terna cartesiana
A  ( xA , y A )
y
B  ( xB , y B )
B
yB
yA

v
A
xA

v  (v x , v y )
vx  xB  xA

v y  yB  yA
xB
x
Un vettore si può anche rappresentare
elencando le sue componenti cartesiane
v  AB  ( xB  xA ) 2  ( yB  yA ) 2  vx2  v y2
Il modulo di un vettore è pari alla radice
quadrata della somma dei quadrati delle
componenti
z
A  ( xA , y A , z A )
zB
B  ( xB , y B , z B )
B
v x  xB  xA

v y  yB  yA

v z  z B  z A

v
zA
A
yA
yB
y
xA
xB
x

v  (vx , v y , vz )
v  AB  ( xB  x A ) 2  ( yB  y A ) 2  ( z B  z A ) 2  vx2  v y2  vz2
4. Somma di n vettori
Definizione
Dati n vettori
si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi,
il secondo nell’estremo del primo,
il terzo nell’estremo del secondo
e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo.
Si definisce risultante o somma degli n vettori
e si indica con il simbolo




R  v1  v2    vn
il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore
ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore

v2

v3

vn 1

v1

R

vn
Somma di due vettori: regola del parallelogramma

v2

v1


v2  v1

v1

v2
Proprietà
La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di
lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione.
5. Prodotto di un vettore per uno scalare
Definizione
Dato un vettore v ed uno scalare a
si definisce prodotto di v per a
e si indica con

av
il vettore con:
direzione = quella del vettore v
verso = il verso di v se a è positivo, quello opposto se a è negativo
modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v
Esempi

v

2v

 2v

v
2


1v  v
7. Differenza fra due vettori
Definizione
Dati due vettori v1 e v2
si definisce differenza fra v2 e v1
e si indica con v2 – v1
il vettore






v2  v1  v2   v1   v2  (1)v1
Proprietà
Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore
che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2

v1


v2  v1

v2

 v1


v2  v1

v2
6. Versore
Definizione
Dato un vettore v
si dice versore di v
e si indica con il simbolo
vˆ
oppure

vers(v )
il vettore di lunghezza unitaria che ha la direzione ed il verso di v
Proprietà
Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore

v
vˆ 
v


v  vvˆ
z
k̂
Versori degli assi cartesiani
iˆ versore asse x
ˆj versore asse y
kˆ versore asse z
ĵ
iˆ
x
y
7. Rappresentazione cartesiana di un vettore
y
A  ( xA , y A , z A )
B  ( xB , y B , z B )
B

v
yB
yA
v x iˆ
v x  xB  xA

v y  yB  yA

v z  z B  z A
v y ˆj
A
ĵ
iˆ
xB

v  vx iˆ  v y ˆj  vz kˆ
xA
x
Un qualsiasi vettore può essere scritto come la somma
dei prodotti delle sue componenti per i versori omonimi
8. Prodotto scalare fra 2 vettori
Definizione
Dati due vettori v1 e v2
si definisce prodotto scalare fra v1 e v2
e si indica con il simbolo
 
v1  v2
la grandezza scalare:
 
v1  v2  v1v2 cos 

v1


v2
1° caso
0

v1

v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
  0  cos   1  v1  v2  v1v2
2° caso

v1

0    90

v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
0    90  0  cos   1  v1  v2  0
3° caso

v1
  90


v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
  90  cos   0  v1  v2  0
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo
4° caso
90    180

v1


v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
90    180   1  cos   0  v1  v2  0
5° caso
  180 


v1

v2
 
v1  v2  v1v2 cos 
 
  180  cos   1  v1  v2  v1v2
 
v1  v2  v1  v2  cos 

v2

v2

v1
 
v1  v2  v1v2
  0
cos   1


v1
 
v1  v2  0
0    90
0  cos   1

v2


v1
 
v1  v2  0
  90
cos   0

v2



v1
 
v1  v2  0
90    180
 1  cos   0

v2

v1
 
v1  v2  v1v2
  180
cos   1
Prodotto scalare, versore e componente
B
y

v
A
iˆ

xA
xB
Proprietà
Moltiplicando scalarmente un vettore per il versore di un asse si
ottiene la componente del vettore rispetto a quell’asse
 ˆ
v  i  v cos   vx
x
 ˆ
v  i  v x
 
v  ˆj  v y
 ˆ
v  k  v z
9. Prodotto vettoriale fra 2 vettori
Definizione
Dati due vettori v1 e v2
si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2
e si indica con il simbolo
il vettore:
 
v1  v2
 
v1  v2  v1v2 sin  nˆ
 
v1  v2

v2
n̂


v1
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo
Capitolo 2:
MECCANICA DEL PUNTO
E DEI SISTEMI
2.1 - Cinematica del punto materiale
2.2 - Dinamica del punto materiale
2.3 - Lavoro ed energia
2.4 - Meccanica dei sistemi
2.1
Cinematica del punto materiale
1. Il punto materiale
Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico dotato di massa pari a quella
del sistema schematizzato (punto materiale) se:
• le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico
(es. distanze percorse)
• non ha interesse studiare i cambiamenti di orientazione del sistema e le sue deformazioni
***
Esempi:
1) La Terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione
attorno al Sole.
2) La Terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione
diurna attorno all’asse polare.
Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del
problema considerato.
2. Traiettoria ed equazione oraria
Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea
P(t)
traiettoria
(rettilinea)
Posizione di P all’istante t
Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x):
1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse
2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza
3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno:
valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x
traiettoria
(rettilinea)
O
x(t)
P(t)
Equazione oraria
Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla
conoscenza del valore di x (posizione di P sulla traiettoria) ad ogni istante,
cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni
istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria
x
x  x(t )
Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria curvilinea.
Stabiliamo sulla traiettoria un sistema di ascisse curvilinee:
1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse curvilinee
2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza
3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore reale s pari alla lunghezza dell’arco OP presa con
segno:
• s > 0 se il verso che porta da O a P è concorde con il verso convenzionalmente scelto sulla traiettoria
• s < 0 se il verso che porta da O a P è discorde con il verso convenzionalmente scelto sulla traiettoria
traiettoria
(curvilinea)
s(t)
O
P(t)
Posizione di P all’istante t
Equazione oraria
Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla
conoscenza del valore di s (posizione di P sulla traiettoria) ad ogni istante,
cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di s ad ogni
istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria.
Il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza di:
1) Equazione della traiettoria
2) Equazione oraria
s  s(t )
3. Equazioni parametriche del moto
Se non è nota la traiettoria, l’equazione oraria non è sufficiente a descrivere il moto del punto.
In questo caso, per descrivere il moto del punto, è necessario conoscere la posizione (cioè le coordinate) del
punto materiale nello spazio ad ogni istante.
Equazioni parametriche del moto
Funzioni che descrivono la dipendenza dal tempo delle coordinate di P.
z
 x  x(t )

 y  y (t )
 z  z (t )

z (t )
P(t)
y (t )
x(t )
x
y
Equazioni
parametriche
del moto
4. Vettore posizione
Vettore posizione
Posizione di P all’istante t
P(t)
Traiettoria

r (t )
Componenti del vettore posizione
k̂
ĵ
O
Individua la posizione di P all’istante t
O  0,0,0
P(t )  x(t ), y(t ), z (t ) 
z
iˆ

OP(t )  r (t )
y
rx  xP  xO  x(t )

ry  y P  yO  y (t )

rz  z P  zO  z (t )
Rappresentazione cartesiana del vettore posizione
x

r (t )  x(t )iˆ  y (t ) ˆj  z (t )kˆ
Le componenti del vettore posizione coincidono con le funzioni che
definiscono le equazioni parametriche del moto.
5. Vettore spostamento
P(t )

r
P(t+t )

r (t )

r (t  t )
Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
 

r  r (t  t )  r (t )
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
6. Vettore velocità media
P(t )

r
P(t +t )

vM

r (t )

r (t  t )
Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]




r
r (t  t )  r (t )
vM 

t
t
direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+t)
verso: quello che porta da P(t) a P(t+t)
modulo: quello di P(t) P(t+t) diviso t
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità
con cui questo spostamento è avvenuto.
7. Vettore velocità istantanea

v (t )
P(t )

vM
P(t +t )
Vettore velocità istantanea all’istante t





r
r (t  t )  r (t )
dr
v (t )  lim
 lim

t 0 t
t 0
t
dt
direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t)
verso: individua il verso del moto
modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t
8. Vettore accelerazione media e istantanea

v (t )

v (t  t )
Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
 

v  v (t  t )  v (t )
Caratterizza in modulo, direzione e verso la
variazione di velocità del punto nell’intervallo di
tempo [t, t +t ]
Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]

aM



v
v (t  t )  v (t )


t
t
Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione
di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ],
e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Vettore accelerazione istantanea all’istante t





v
v (t  t )  v (t )
dv
a (t )  lim
 lim

t 0 t
t 0
t
dt
Caratterizza in modulo, direzione
e verso la rapidità con cui cambia
la velocità del punto all’istante t
9. Accelerazione tangenziale
il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)

v (t  t )

v (t )

v (t  t )

v (t )

a (t )

v
 

v  v (t  t )  v (t )


v
a (t )  lim
t 0 t
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore
accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione
tangenziale.
10. Accelerazione centripeta
il vettore velocità varia in direzione, ma non in modulo (es. moto circolare uniforme)

v (t )

v (t )

v (t  t )

v (t  t )

v (t  t )

v (t  t )

aM

aM

aM

a (t )

aM

aM

aM

a (t )
Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme),
allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro
di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta.
11. Accelerazione tangenziale e centripeta
il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme)

aT
P

aC

a



a  aC  aT
centro di curvatura in P
cerchio osculatore in P
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo),
allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla
variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla
variazione della direzione della velocità
12. Moto rettilineo, moto uniforme
Moto
Moto rettilineo
Velocità
vettore velocità costante in direzione

vˆ  vers(v )  cost
Moto uniforme
vettore velocità costante in modulo
v  cost
Moto rettilineo uniforme
vettore velocità costante
(in direzione e modulo)

v  cost
Accelerazione
accelerazione centripeta nulla
 
aC  0; a  aT
accelerazione tangenziale nulla
 
aT  0; a  aC
vettore accelerazione nullo
(accelerazione tangenziale e centripeta nulle)

aT  aC  0; a  0
13. Rappresentazione cartesiana dei vettori velocità e accelerazione
Vettore posizione
rx  x (t )

ry  y (t )

rz  z (t )

r (t )  rxiˆ  ry ˆj  rz kˆ
Vettore velocità

v (t )  vxiˆ  v y ˆj  vz kˆ
Vettore accelerazione

a (t )  axiˆ  a y ˆj  az kˆ

 dr
v
dt

 dv
a
dt


dx

v

 x
dt

dy

v y 
dt

dz

v

z

dt


dv x
d 2x

a x 
2
dt
dt

dv y

d2y

a y 
dt
dt 2


dv z
d 2z

a z 
dt
dt 2

14. Equazione oraria del moto rettilineo uniforme

dx ˆ
ˆ
v  vxi 
i  cost.
dt
vx  cost  vx (t  0)  v0 x  v

v

v
P
vx  v
dx
 vx
dt
dx
 v0 x
dt
x(t  0)  x0

vx  v
dx  v0 x dt
x
 dx  v  dt
0x
x v0 xt  cost.
cost  x0
x(t )  v0 xt  x0
v0 x  v
x0
= Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
15. Equazione oraria del moto rettilineo uniformemente vario

a  axiˆ  cost.
P

v0

a

a
v0 x  v0
ax  a
a x  a

v0
v0 x  v0
dvx
 ax  a0 x
dt
ax  cost  ax (t  0)  a0 x  a
dvx  a0 x dt
vx (t  0)  v0 x

 dv
cost  v0 x
vx (t )  a0 xt  v0 x
x
 a0 x  dt

vx  a0 xt  cost.
vx  a0 xt  v0 x
a0 x   a
v0 x  v0
x
dx
 vx
dt
dx
 a0 x t  v0 x
dt
 dx  a0 x  tdt  v0 x  dt
x(t  0)  x0

cost  x0
1
x(t )  a0 x t 2  v0 x t  x0
2
dx  a0 x tdt  v0 x dt
x
1
a0 x t 2  v0 x t  cost.
2

x0
x
1
a0 xt 2  v0 x t  x 0
2
= Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
v0 x  v0 Velocità del punto all’istante iniziale t = 0
a0 x   a
Moto rettilineo uniforme
ax  0
v x  cost  v0 x
Moto rettilineo uniformemente vario
a x  cost  a0 x
v x  a0 x t  v0 x
x  v0 x t  x0
x
x0
x0
= Posizione del punto
all’istante iniziale t = 0
v0 x  v0
1
a0 x t 2  v0 x t  x0
2
= Posizione del punto
all’istante iniziale t = 0
v0 x  v0 Velocità del punto
all’istante iniziale t = 0
a0 x   a
ESERCIZIO
Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 pari a 10 m/s. Ad un certo
istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso
della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF).
Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. Prendiamo l’asse x coincidente con la
traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale.

a
t 0
x0
t  tF
v0

v0
dF
x
Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto:
a x  cost  a0 x
vx  a0 xt  v0 x

x  1 a0 xt 2  v0 x t  x 0
 2
Nel nostro caso
 a0 x   a
 v  v
0
 0x
 x0  0

 a x  a
 vx (t )  v0  at

 x  v0 t  1 at 2

2
All’istante di arresto tarr la velocità vx si annulla:
vx  0
 atarr  v0  0
tarr 
v0
a
La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto :
v0
1 2
1 v02
1 v02 v02 v02
xarr  x(tarr )   atarr  v0 t arr   a 2  v0  
 
2
2 a
a
2 a a 2a
Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare
t F  tarr  t0 
v0
v
0  0
a
a
tF 
v0
a
La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x
all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0):
d F  xarr
v02
v02
 x0 
0 
2a
2a
Sostituendo i valori numerici si trova:
tF  5 s
v02
dF 
2a
d F  25 m
Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF
v02
dF 
2a
v
tF  0
a
Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF .
Note due di queste variabili si determinano le altre due
Noto a e tF
determino dF e v0
1
d F  at F2
2
v0  at F
Noto v0 e tF
determino dF e a
vt
dF  0 F
2
v
a 0
tF
Noto dF e tF
determino v0 e a
2d
v0  F
tF
a
2d F
t F2
Noto a e dF
determino v0 e tF
v0  2ad F
tF 
2d F
a
Noto v0 e dF
determino a e tF
v02
a
2d F
tF 
2d F
v0
ESERCIZIO
Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo in un pozzo. Determinare la profondità del pozzo
cronometrando il tempo T fra l’inizio della caduta e il rumore dell’impatto con la superficie libera dell’acqua.
Il moto del sasso è uniformemente accelerato
verso il basso con accelerazione g
x
 a x  cost  a0 x
 vx  a0 x t  v0 x

 x  1 a0 xt 2  v0 x t  x 0

2
h
1 2
gtcaduta
2

tcaduta 
 ax  0
 v  cost  v
0x
 x
 x  v0 xt  x0

h
 ax  g
 v x  gt

 x  1 gt 2

2
 a0 x  g

 v0 x  0
 x0  0

Il suono si muove verso l’alto di moto
uniforme con velocità pari a VS = 343 m/s
x0  0
2h
g
T  tcaduta  t salita
 ax  0
 v x  vS

 x  vS t

v0 x  vS
x
h  vS t salita
 T
2h
h

g
vS

t salita 
h
vS
16. Velocità angolare
Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
P(t+t)
  (t  t )  (t )
P(t)
Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
M 
 (t  t )  (t )

t
t
Caratterizza in valore e segno lo spostamento angolare
del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la
rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.
Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t

(t  t )  (t ) d
 lim

t 0 t
t 0
t
dt
(t )  lim
Caratterizza in valore e segno la rapidità con cui cambia la
coordinata angolare del punto all’istante t
17. Accelerazione angolare
Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
(t+t)
  (t  t )  (t )
(t)
Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
M 
 (t  t )  (t )

t
t
Caratterizza in valore e segno la variazione di velocità
angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e
la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Accelerazione angolare istantanea all’istante t

(t  t )  (t ) d
 lim

t 0 t
t 0
t
dt
(t )  lim
Caratterizza in valore e segno la rapidità con cui cambia la velocità
angolare del punto all’istante t
18. Moto circolare uniforme: equazione oraria
d
  d  dt
dt
Nel moto circolare
uniforme la velocità
angolare è costante
  cost
(t  0)  0
y


v
cost  0

  t  cost
(t )  t  0
(t )  t  0
P(t)

aC
 d   dt
Equazione oraria. Dalla definizione di radiante:
s(t)
s  r  s(t )  rt  s0
(t)
x
Periodo T e frequenza :

2
T

1
T
  2
Velocità e accelerazione:
vr
aC
v2
 v 
 r2
r
19. Moto circolare uniforme: velocità
v  lim
t 0
s


r
 lim
 lim r
 r lim
r

t

0

t

0

t

0
t
t
t
t
P(t+t)
r
s = r

r

P(t)
r
20. Moto circolare uniforme: accelerazione
aC
2


v
v
 lim
 lim v
 v lim
 v   2 r 
t 0 t
t 0
t 0 t
t
r
v
P(t+t)

v
v 
v

v

P(t)
v
21. Moto armonico
Definizione
Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della
proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P.
y
Equazione oraria
x(t )  R cos(t )  R cos(t  0 )
P(t)
Velocità
vx (t ) 
(t)
O
x(t)
Px
x
dx
 R sin(t  0 )
dt
Accelerazione
d 2x
ax (t )  2  2 R cos(t  0 )
dt
d 2x
a x (t )  2  2 x
dt
2.2
Dinamica del punto materiale
1. Primo principio della dinamica
Principio di relatività galileiana (Galileo)
I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in
moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro.
Sistemi di riferimento inerziali
Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è
omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non
soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di
quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo
illimitato (in un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un
punto libero).
Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di
riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso
inerziale.
Principio di inerzia
In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o
di moto rettilineo uniforme.
Il principio di inerzia è una conseguenza necessaria del principio di relatività.
• Il riferimento inerziale B, solidale al vagone, si muove di moto traslatorio uniforme rispetto al sistema inerziale A.
• Il punto libero A è in quiete nel sistema di riferimento A, il punto libero B è in quiete nel sistema di riferimento B.
• Per l’osservatore inerziale A, il punto B è un punto libero che si muove con velocità costante, pari a quella del vagone.
Sperimentatore B
Sperimentatore A
Punto libero B
Punto libero A

v
Riferimento
inerziale B
Riferimento
inerziale A
Ammettiamo per assurdo che non valga il principio di inerzia: la velocità del punto B, rispetto all’osservatore A,
comincia a variare. L’osservatore B noterebbe che il punto libero B, inizialmente in quiete, comincerebbe a muoversi
spontaneamente.
Ciò contraddice il principio di relatività: nel sistema B (in moto traslatorio rettilineo uniforme rispetto al sistema A),
contrariamente a quanto accade nel sistema A, un punto libero inizialmente in quiete non rimarrebbe in quiete.
2. Il secondo principio della dinamica
Forza
Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme di un punto in un riferimento
inerziale.
La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su
un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro).
Secondo principio della dinamica (Newton)
L’applicazione di una forza ad un punto materiale produce un’accelerazione con direzione e verso
coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza.

 F
a
m
m = massa inerziale del punto


F  ma
Dimensioni e unità di misura della forza.
F   Ma  MLT 2 
kg  m  s 2  newton ( N )
Principio di sovrapposizione
Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto,
l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al
punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze.




F  f1  f 2  f 3  

f1

f2

F
3. Il terzo principio della dinamica
Enunciato
Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente
ed aventi verso opposto.
P1

F21
P1

F21

F12
P2
P2

F12
4. Le leggi delle forze: forza elastica
Forza elastica di centro O
Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto
centro della forza elastica) in modulo proporzionale alla
distanza di P da O

OP  r  rrˆ
r̂
O

Fel
r


Fel  kOP  kr  krrˆ
P
k = costante elastica
Se scegliamo il centro O come origine del
sistema di riferimento cartesiano, allora OP
coincide con il vettore posizione e le
componenti della forza diventano:
Esempio: punto materiale attaccato
all’estremità di una molla allungata o
accorciata rispetto alla lunghezza di
riposo
Fel x  k ( xP  xO )  kx

Fel  y  k ( y P  yO )  ky

Fel z  k ( z P  zO )  kz
molla a riposo
molla allungata
O
molla accorciata
P
O
P
5. Forza di attrazione gravitazionale
Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali
Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione
gravitazionale data da:

m1m2
F12  G 2 r̂12
r
r
m2
G = costante di gravitazione universale

F12
m1
r̂12
G  6.67 1011 Nm2 kg 2
Teorema di Newton
Una sfera omogenea di massa M esercita su
un punto m (esterno alla sfera) la stessa forza
che eserciterebbe se tutta la massa M della
sfera fosse concentrata nel suo centro.

Mm
Fgr  G 2 rˆ
r
M
m

Fgr
r̂
r
6. Resistenze di mezzi fluidi
Resistenze di mezzi fluidi
Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le
particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste
forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo.

F  Af (v)vˆ
f (v )  v
0  v  2 m/ s
(regime viscoso)



F  Avvˆ  Av  bv
 = densità del fluido
 = coefficiente di forma
f (v )  v 2
A = superficie investita
2  v  200 m / s
(regime idraulico)
fluido
Esempio: I due corpi
rappresentati hanno lo
stesso valore di A ma
differenti valori di .

v

v
A
7. Reazioni vincolari
Vincolo
Un vincolo è un sistema o un insieme di sistemi materiali che impediscono al punto materiale di occupare
un insieme di posizioni che sarebbero accessibili al punto in assenza del vincolo stesso.
Reazioni vincolari
Per impedire al punto di occupare determinate posizioni il vincolo esplica sul punto una forza che prende il
nome di reazione vincolare.
Esempio: vincolo di appartenenza ad una guida.
Una locomotiva può muoversi solo lungo le rotaie.
Per non far deragliare la locomotiva le rotaie
esercitano sulle ruote del treno delle forze
(reazioni vincolari).
Esempio: vincolo di appoggio su un piano
Un punto materiale può occupare soltanto le
posizioni al di sopra del suolo. Se il punto si
appoggia o cade al suolo, questo esercita sul
punto delle forze (reazioni vincolari) che
impediscono al punto di attraversarlo.
8. Vincolo di appoggio

N

A
  
RNA
Reazione vincolare
Il componente della reazione perpendicolare al piano
Il componente della reazione parallelo al piano (attrito)
Legge dell’attrito statico
0  Ast  Ast. max   S N
Legge dell’attrito dinamico
Adin   D N  Ast.max

N
( D   S )
D 
coefficiente di
attrito statico
coefficiente di
attrito dinamico

N

F

v 0

N

F

a

Ast. max

N

F

v 0

Ast

p
Forza peso omessa
per semplicità
S 

v 0

v 0

Ast. max

p

N

F

v

Adin

p

a 0
Forza peso omessa
per semplicità
9.Forze apparenti: forza di trascinamento - moto traslatorio
Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio accelerato rispetto a quello fisso (inerziale), solidale
alle rotaie.
Rispetto al sistema solidale
alle rotaie il punto permane
nel suo stato di moto con
accelerazione nulla (quiete o
in moto rettilineo uniforme).
Rispetto al sistema solidale al vagone il

punto si muove con accelerazione  a

a

a
Piano liscio
Accelerazione
del vagone
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio accelerato rispetto ad un sistema di
riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive o reali), il punto è
soggetto ad una forza legata all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento:


Ftr  ma
10. Forze apparenti: Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme
Il sistema mobile (vagone) si muove di moto
rotatorio uniforme rispetto a quello fisso
(inerziale), solidale alle rotaie.
Accelerazione, rispetto
al sistema fisso, del
vagone nella posizione
occupata da P

a  2 PP *
P*
riferimento
fisso inerziale
P
Riferimento mobile
solidale al vagone

a  2 P* P
Accelerazione di P rispetto
al sistema solidale al vagone
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento
inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive o reali), il punto è soggetto ad una
forza apparente legata alla velocità angolare  del sistema ed alla posizione del punto, detta forza
centrifuga:

Fcentrifuga  m2 P * P
P* = proiezione di P sull’asse di rotazione
11. Forza peso
Forza peso
Forza esercitata dalla Terra su un punto materiale che si trova nei pressi della sua superficie.
Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto
di rotazione diurna attorno all’asse polare.


 
Mm
P  mg  Fgr  Fcentr.  G 2 rˆ  m2 P* P
r
rˆ  vers(OP)
Accelerazione di gravità

 P
M
g   G 2 rˆ  2 P* P
m
r
Verticale
Direzione della forza peso.
Passa per il centro della terra
solo all’equatore e ai poli.
m2 P* P
P*
 
mg  Fgr

Fgr

mg
m2OP
Il peso e l’accelerazione di gravità:
• aumentano con la latitudine:
Fgr resta costante, Fcentr diminuisce
• diminuiscono con la quota:
Fgr diminuisce, Fcentr aumenta
g = 9.81 m/s2 alle nostre latitudini
g = 9.78 m/s2 all’equatore
g = 9.83 m/s2 ai poli
O

Fgr

mg
ESERCIZIO
Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo su un piano liscio, inclinato di un angolo 
rispetto ad un piano orizzontale. Determinare l’equazione oraria del punto.
1) Forze agenti:
y
 
mg , R

R
2) Equazione della dinamica
 
ma  F

 
 ma  mg  R
3) Proiezione sugli assi x e y
max  mg sin 

0  mg cos   R
a x  g sin 

 R  mg cos 

mg
4) Equazione oraria
 a x  cost  a0 x
 vx  a0 x t  v0 x

 x  1 a0 xt 2  v0 x t  x 0

2
 a0 x  g sin 
 v 0
 0x
 x0  0

a x  g sin 
vx  g sin   t

x  1 g sin   t 2
 2

x
12. Oscillazioni libere

R
y
P
O
x
 kOP

mg
Equazione della dinamica
1) Forze agenti:


mg ,  kOP, R
2) Equazione della dinamica
 
ma  F



 ma  mg  kOP  R
3) Proiezione sugli assi x e y
max  kx

0  mg  R
k

a x   x
m


 R  mg
d 2x
2
 2  0 x
 dt
 R  mg

dove
0 
k
m
pulsazione delle
oscillazioni libere
Equazione oraria
Equazione oraria, velocità, accelerazione
d 2x
2



x
0
2
dt
x(t )  A cos(0t  0 )
vx (t ) 
Equazione del moto armonico
dx
 0 A sin(t   0 )
dt
d 2x
ax (t )  2  02 A cos(t  0 )
dt
x  A
x0
xA

a

v

a

v
x
Rappresentazione grafica
t
x / xmax
x / xmax
vx / (vx)max
ax / (ax)max
t
13. Oscillazioni smorzate

R
O
P

 bv
x
 kOP

mg
Equazione della dinamica
1) Forze agenti:



mg ,  kOP, R,  bv
2) Equazione della dinamica
3) Proiezione sugli assi x e y
 
ma  F

max  kx  bvx

0  mg  R


 
ma  mg  kOP  bv  R
 d 2x
dx
m 2  b  kx  0
dt
 dt
 R  mg

Equazione oraria
• le componenti inerziale ed elastica prevalgono su quella viscosa: oscillazioni smorzate
4km  b 2

x(t )  Ae  t cos(S t  0 )
S  02   2

• la componente viscosa prevale su quelle inerziale ed elastica: smorzamento aperiodico
4km  b
2
 x(t )  c1e
    2  2  t
0


 c2e
    2  2  t
0


• smorzamento critico
4km  b 2
 x(t )  et (c1  c2t )
x
t
b
2m
13. Oscillazioni forzate

R
O
P
 kOP
F cos(F t  )iˆ

 bv
x

mg
Equazione della dinamica
1) Forze agenti:



mg ,  kOP, R,  bv , F cos(F t  )iˆ
2) Equazione della dinamica
 
ma  F



 
ma  mg  kOP  bv  R  F cosF t  iˆ
3) Proiezione sugli assi x e y
max  kx  bvx  F cos F t  

0  mg  R
 d 2x
dx
m 2  b  kx  F cos F t  
dt
 dt
 R  mg

Equazione oraria
0 
x(t )  B cos(F t  )
F
B

2
0
k
m
pulsazione (frequenza) delle
oscillazioni libere
Pulsazione (frequenza) imposta
dall’esterno
F /m
 2F

2
 4 2 2F
B
 F 


2 
 m 0 
Il punto si muove di moto armonico con
la pulsazione (frequenza) della forza
esterna ed ampiezza che dipende dalla
differenza fra 0 e F
Per piccoli smorzamenti  γ  ω0 / 2 
l’ampiezza cresce quanto più la
frequenza della forza esterna F si
avvicina alla frequenza delle
oscillazioni libere 0 (frequenza
propria), e quanto più piccolo è
=b/2m.
0

  0.1 0
b
2m
  0.15 0
  0.2 0
  0.3 0
  0.5 0
  1.5 0
  0 / 2
  5 0
F / 0
2.3
Lavoro ed Energia
1. Lavoro elementare
Definizione
Sia F la forza agente su un punto P all’istante t e dl lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo
infinitesimo dt fra gli stanti t e t+dt. Si definisce lavoro elementare compiuto dalla forza F su P
nell’intervallo [t, t+dt], e si indica con dL, grandezza scalare:
 
dL  F  dl  F dl cos 

F

F

dl


dl
 
F  dl  Fdl
  0
cos   1
 
F  dl  0
0    90
0  cos   1

F
Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in
relazione allo spostamento subito dal punto stesso


dl
 
F  dl  0
  90
cos   0

F



dl
 
F  dl  0
90    180
 1  cos   0

F

dl
 
F  dl   Fdl
  180
cos   1
Dimensioni ed unità
L  FL  MLT 2 L  ML2T 2 
Nm  kg m2 s 2  joule ( J )
2. Lavoro in un intervallo di tempo finito
In un intervallo di tempo finito [t1,t2] in cui il punto compie uno spostamento da P1 a P2 lungo l’arco di traiettoria 

F3

F2

F1

l1
P1

l2

F4

 l3

l4

l

P2
LP1P2 , 


 
 


 lim F1  l1  F2  l2  F3  l3   
li 0
P1 , 
Se la forza F agente su P è costante
P2
P2
P1 , 
P1 , 
  
L   F  dl  F 
 
 F  dl
P2
 
 
 dl  F  P1P2  F  l
Se la forza F agente su P è costante e parallela a l
L   Fl
dove vale il segno più se i due vettori sono
concordi, il segno meno se sono discordi
3. Energia
Definizione
Capacità di compiere lavoro.
Tipi di energia in meccanica
• Energia cinetica:
Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto
1
EC  mv2
2
• Energia potenziale
Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno
di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) .
EP ( peso)  mgh
EP ( gravitazionale )  G
Mm
r
E P (elastica ) 
h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento
r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale
• Energia meccanica
Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale
EM  EC  EP
1 2
kr
2
4. Energia Cinetica

F
m

vo
v0
Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0.
a  F /m
d arr
v02

2a
v02
1 2
L  d arr F   F   mv0
2a
2
Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica),
e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a:
L
1 2
mv0
2
Un punto, solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v, è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a:
EC 
1
mv 2
2
Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica.
5. Teorema del lavoro e dell’energia cinetica
Enunciato
La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari
al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo.
Ec (t2 )  Ec (t1 )  Lt1t 2
In termini differenziali
Dimostrazione
dEc  dL

 dv
a
dt
 
dv  adt

 dr
v
dt
 
dr  v dt
 
   
 
 
1 2 1    1
dEc  d  mv    m d v  v   mdv  v  v  dv   mdv  v   ma  v dt  F  dr  dL
2
2
 2 
 
v  v v
2
   
dv  v  v  dv


ma  F
6. Forze conservative, energia potenziale
Definizione
Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale che si sposta da un punto
P1 a un punto P2 dipende soltanto dalla posizione di questi punti e non dal percorso seguito per
andare dal primo al secondo.
1
P1
2
P2
Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione generalmente
regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep
P2
LP1 P2
 
  F  dl  E P ( P1 )  E P ( P2 )
Per qualsiasi percorso  che congiunge P1 e P2
P1 , 
In termini differenziali
 
dL

F

  dl  LP1P2
p2
P1
P1
P2
dL  dEP
risulta infatti
P2
P1
 dE
P
 EP ( P2 )  EP ( P1 )
ESERCIZIO
Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo
P1
P1
P1

mg


mg

mg
h
P2
LP1P2  mgh
EP  mgh
P2

mg
LP1P2  0  mgh  0  mgh
risulta infatti

mg
h
P2

l

mg
LP1P2  0  mgl cos   mgh
LP1P2  EP ( P1 )  EP ( P2 )  mgh  0  mgh
7. Determinazione dell’energia potenziale
1)
Dimostrare che la forza è conservativa, cioè che il lavoro
 
  F  dl
P2
LP1P2
P1 , 
non dipende dal percorso  ma solo dalla posizione iniziale P1 e finale P2
2) Determinare l’energia potenziale in un punto generico P(x,y,z) sfruttando la definizione di energia potenziale:
 
  F  dl  E p ( P1 )  EP ( P2 )
P2
LP1P2
P1 ,

 
EP ( P2 )    F  dl  E p ( P1 )
P2
P1 ,
 
EP ( x, y, z )    F  dl  EP ( x0 , y0 , z0 )
P
P0
• P2 → generico punto P=(x,y,z)
• P1 → punto di riferimento P0(x0,y0,z0) arbitrariamente scelto nel campo di definizione della forza
• EP(x0,y0,z0) è il valore che viene arbitrariamente assegnato a EP nel punto P0(x0,y0,z0).
11. Principio di conservazione dell’energia meccanica
Enunciato
Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative,
allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo
Dimostrazione
in termini infinitesimi
in termini finiti
LP1P2  EC (2)  EC (1)
LP1P2  EP (1)  EP (2)

Teorema del lavoro
Definizione di forza conservativa
dL  dEC
dL  dEP

EP (1)  EP (2)  EC (2)  EC (1)
dE P   dEC
EC (1)  EP (1)  EC (2)  EP (2)
dEP  dEC  0
EM (1)  EM (2)
EM  cost.
d ( EP  EC )  dEM  0
EM  cost.
12. Potenza
Definizione
Sia dL il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli
istanti t e t+dt. Si definisce potenza erogata dalla forza F all’istante t, la grandezza scalare:
dL
W
dt
La potenza caratterizza il lavoro compiuto della forza e
la rapidità con cui tale lavoro è compiuto
Proprietà
Dalla definizione di lavoro elementare risulta:
 
F  dl  
W
 F v
dt
Dimensioni ed unità
W   FLT
1
  MLT
2
LT
1
  ML T 
2
3
kg m 2 s 3 
J
 watt (W )
s
ESERCIZIO: la caduta di un grave
Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare
la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo, nell’ipotesi di poter trascurare
la resistenza dell’aria.
v0
L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi
applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica.
h
EC (iniziale)  E p (iniziale)  EC (impatto) EP (impatto)
0  mgh 
1 2
mvimp  0
2

vimp  2 gh

vimp
ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto
Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la
massima quota raggiunta h, nell’ipotesi di poter trascurare la resistenza dell’aria.
v0
Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica.
EC (iniziale)  E p (iniziale)  EC (h)  EP (h)
1 2
mv0  0  0  mgh
2

v02
h
2g
h

v0
2.4
Meccanica dei sistemi
1. Centro di massa di un sistema materiale
Definizione
Centro della distribuzione della massa del sistema
Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m
m
m
C
m
C
2m
Centro di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN.
m2
m1

r1

r2
C
O
mi

ri



m r  m2 r2    mN rN
1
OC  1 1

m1  m2    mN
M
mN

rN

m
r
 ii
N
i 1

M  OC   mi ri
N
i 1
ESERCIZIO
Applichiamo la formula



m1r1  m2 r2    mN rN
OC 
m1  m2    mN
• 2 punti di uguale massa m
C
O→

r
m
•
m


 
m1r1  m2 r2 m  0  mr r
OC 


m1  m2
mm
2
due punti di massa m e 2m
m
O→
C

r
2m



m1r1  m2 r2 m  0  2mr 2 
OC 

 r
m1  m2
m  2m
3
Coordinate del centro di massa
1
OC 
M
1
xC 
M
1
yC 
M
1
zC 
M

 mi ri
N
i 1
N
i i
N
m y
i 1
i
N
m z
i 1
i i
i 1
N
m x
i 1

M OC   mi ri
N
MxC   mi xi
i 1
N
i
MyC   mi yi
i 1
N
MzC   mi zi
i 1
2. Quantità di moto di un sistema materiale
Definizione
Somma dei prodotti delle masse dei punti per le rispettive velocità
 N 
Q   mi vi
i 1
Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava

M OC   mi ri
N
i 1
N


M vC   mi vi
i 1
N


M aC   mi ai
i 1
Teorema
La quantità di moto di un qualsiasi sistema materiale si può sempre esprimere come il prodotto della
massa del sistema per la velocità del centro di massa


Q  MvC
Derivando questa relazione rispetto al tempo
 N


dQ
  mi ai  MaC
dt i 1
3. Forze interne e forze esterne al sistema
Definizione
Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente
fra i vari punti del sistema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi
materiali che non fanno parte del sistema.
Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali
e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla.
 (int)
R 0
sistema
Punto appartenete al sistema
Punto non appartenete al sistema
forza interna
forza esterna
La somma delle forze interne agenti su un
punto del sistema non è in generale nulla.
Al contrario, la somma delle forze interne
agenti su tutti i punti del sistema (risultante
delle forze interne) è sempre nulla.
4. Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
  (int)  ( est )
m1a1  f1  f1
 (int)  (est )

m2 a2  f 2  f 2

 (int)  (est )

mN aN  f N  f N






  (int)  ( est )
 mi ai  R  R
N
Seconda equazione della dinamica
scritta per ciascun punto del sistema
 (int)
fi
Somma delle forze interne
agenti sull’i-esimo punto
 (est )
fi
Somma delle forze esterne
agenti sull’i-esimo punto
 (int)
fi
mi
 (est )
fi
La somma dei primi membri di
queste equazioni deve essere uguale
alla somma dei secondi membri
i 1
Dalle relazioni


N
 mi ai  MaC
 i 1 
 R (int)  0

segue
 (est )

MaC  R
Teorema del moto del centro di massa
Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale
si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema
e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema
Prima equazione cardinale
della dinamica dei sistemi
 (est )

MaC  R
 
ma  F
5. Principio di conservazione della quantità di moto
Utilizzando al relazione


dQ
 MaC
dt
la prima eq. cardinale
 (est )

MaC  R

dQ  (est )
R
dt
Teorema della quantità di moto
La derivata rispetto al tempo della quantità di moto di un sistema
è uguale alla risultante delle forze esterne agenti sul sistema.
Se
 ( est )
R 0
allora


Q  cost.  vC  cos t
Principio di conservazione della quantità di moto
Se la risultante delle forze esterne agenti su un sistema è nulla,
allora la quantità di moto del sistema si conserva costante nel tempo.
si può scrive nella forma
6. Momento di una forza rispetto ad un asse
Definizione
Dato un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso,
e una forza agente sul corpo e appartenente a un piano perpendicolare a tale asse,
si definisce momento della forza rispetto all’asse
il prodotto del modulo della forza per il suo braccio.
Il braccio è la minima distanza fra asse e retta di applicazione della forza.
M a   Fb
asse di rotazione
corpo rigido

F
Dimensioni ed unità di misura
M a   FL  MLT 2 L  ML2T 2 
Nm  kg m2 s 2
C
corpo rigido

F
C
corpo rigido

F
Il braccio della forza (ed il momento)
aumenta all’aumentare della distanza
fra punto di applicazione della forza e
centro di rotazione
Il braccio della forza (ed il momento)
aumenta quanto più la forza è
perpendicolare alla retta fra il punto di
applicazione della forza e il centro di
rotazione
Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C
7. Momento di inerzia
Definizione
Dato un asse a, si definisce momento di inerzia di un sistema rispetto all’asse a, e si indica con il simbolo Ia ,
la somma dei prodotti delle masse dei punti del sistema per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse.
Sistema particellare
I a  m1d12  m2 d 22    mN d N2

Sistema continuo
I a  lim m1r12  m2 r22    mN rN2
mi 0
  r 2 dm
M
d1
m1
d2
di
m2
ri
mi
dN
mN
mi

8. Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi
Grandezze traslazionali
massa
Accelerazione del centro di massa
Risultante delle forze esterne
Prima equazione cardinale della
dinamica dei sistemi
Grandezze rotazionali
m

aC
 ( est )
R

Ia


 M a( est )
Momento di inerzia
Accelerazione angolare
Momento assiale delle forze esterne
Seconda equazione cardinale
della dinamica dei sistemi
 (est )

MaC  R
I a   M a(est )
Quantità di moto
Momento assiale della quantità di moto


Q  MvC
Teorema della quantità di moto

dQ  (est )
R
dt
La  I aa
Teorema del momento della quantità di moto
dLa
 M a(est )
dt
9. Principio di conservazione del momento angolare
Dalla seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi segue
dLa
 M a(est )
dt
M
est
a
dLa
0 
 0  La  cost.
dt
Principio di conservazione del momento assiale della quantità di moto
Se il momento assiale delle forze esterne agenti su un sistema è nullo,
allora il momento assiale della quantità di moto del sistema si conserva costante nel tempo.
* **
Nel caso di un corpo rigido vincolato ad asse fisso
La =Ia a
:
I aa  cost.
Un aumento di Ia genera una diminuzione di a e viceversa.
10. Equazioni cardinali della statica dei sistemi
In condizioni statiche le accelerazioni che compaiono nelle equazioni cardinali della dinamica si annullano
 ( est )

MaC  R

( est )
I


M
a
 a

aC  0

0
Si ottengono 2 equazioni vettoriali che prendono il nome di equazioni cardinali della statica:
 ( est )
R
0
 ( est )
M a  0
11. Le leve
Leve
Corpo rigido vincolato ad asse fisso (fulcro) sollecitato da due forze (dette “forza” F e “resistenza” R) che
producono momenti assiali di segno opposto (rotazioni di verso opposto).


Braccio della
resistenza, bR

F


R  mg
retta di applicazione
della resistenza
Regola d’equilibrio
M a(est )  0
Se
bF  10bR
bF F  bR R  0
 F
1
R
10
bF F  bR R
F
bR
R
bF
(per equilibrare la resistenza basta una forza 10 volte più piccola).
E’possibile equilibrare/spostare un carico elevato con una forza minima

F
bF
bR

R
12. Leve vantaggiose e leve svantaggiose
Leve vantaggiose
Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza
Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza
bF F  bR R
vantaggiose
bF  bR
 FR

F
bF
bR

R
Leve svantaggiose
Braccio della forza è minore del braccio della resistenza
Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza
bF F  bR R
svantaggiose
bF  bR
 FR
bF

F
bR

R
13. Leve di primo, secondo e terzo tipo
Leve di primo tipo
Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza
Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose
1° tipo

R
Esempio di leva anatomica di primo tipo
Estensione dell’articolazione atlanto-occipitale

F
Leve di secondo tipo
Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro
Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose

F
2° tipo
Esempio di leva anatomica di secondo tipo
Estensione della caviglia nel sollevamento del peso del corpo

R
Leve di terzo tipo
Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro
Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose

F
3° tipo
Esempio di leva anatomica di terzo tipo
Flessione dell’articolazione del gomito

R
14. Leve di forza e leve di velocità
Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò appare un controsenso. In realtà una leva svantaggiosa dal
punto di vista dinamico (delle forze) è vantaggiosa dal punto di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e
viceversa.

R
sR
bR  nbF
F
e sR  nsF
n
 FsF  RsR  LF  LR
 R
Il lavoro compiuto dalla forza e dalla resistenza è lo stesso
(in valore assoluto)
sF
E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola
resistenza, ma lo spostamento della resistenza è grande
rispetto a quello del punto di applicazione della forza e il punto
di applicazione della resistenza si sposta ad una velocità più
elevata di quello della forza

F
15. Calcolo della forza agente sul fulcro (reazione vincolare)


Braccio della
resistenza, bR

F


R  mg

F
retta di applicazione
della resistenza


Regola d’equilibrio
 (est)
R
0
  
F  R0

 
  ( F  R)

R
16. Dinamica delle leve



F
Braccio della
resistenza, bR


R  mg
retta di applicazione
della resistenza
M a( est )  I a
bF F  bR R  I a
F
bR R  I a
bF
 = accelerazione angolare
a = velocità angolare
bF F  bR R    0  a
aumenta
bF F  bR R    0   a
costante
In particolare:
bF F  bR R    0  a
diminuisce
a =0: equilibrio statico
a =cost: movimento isocinetico
Capitolo 3:
MECCANICA DEI FLUIDI
3.1 - I fluidi
3.1 - Statica dei fluidi
3.2 - Dinamica dei fluidi
3.1
I fluidi
2. Fluidi
Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche
Isolidi hanno forma e volume propri.
I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore.
I gas non hanno forma e volume propri, ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene.
Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche
Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari:
Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a posizioni fisse nello spazio.
Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni
sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con le pareti del recipiente.
Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato,
tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle.
Fluidi
Si definisce fluido una sostanza che si deforma illimitatamente (fluisce) se sottoposta a uno sforzo di taglio,
indipendentemente dall'entità di quest'ultimo; è un particolare stato della materia che comprende i liquidi e
i gas.
Fluidi ideali
Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se è
• Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione),
• Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo).
3.2
Statica dei fluidi
1. Pressione
La forze esplicate dalle particelle di fluido su una superficie S del recipiente o all’interno del fluido
• sono forze a corto raggio;
• non sono applicate ad un punto, ma distribuite su tutta la superficie;
• sono forze di spinta e di taglio, mai di trazione;
Per lo studio di queste forze è utile introdurre il concetto di pressione.
Forza che le particelle che si trovano dalla parte 1 di S esercitano
sulle particelle che si trovano dalla parte 2 di S attraverso S



F12  FN  FT

FN

n12
2
b
S
1

F12
(b  90)
Per fluidi in equilibrio o privi di viscosità

FT  0 (b  0)
Si definisce pressione media su un elemento di superficie S
P

FT
pS
FN

S
Pressione in un punto P del fluido
FN
S 0 S
( PS )
p  lim
2. Unità di misura della pressione
Unità del SI: il pascal
1 pascal (Pa)  1 N/m2
L’ atmosfera
1 atmosfera = 1.013·105 Pa
Il kgpeso/cm2
kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa
Il torr (mmHg)
760 torr = 1 atm;

1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa
I multipli del Pascal
1 bar  105 Pa
1 mbar  10-3 bar =102 Pa


1 atm = 1.013 bar
1 torr = 1.333 mbar
kgpeso/cm2 = 0.981 bar
Tabella di conversione delle unità di pressione.
atm.
Torr
kgpeso/cm2
bar
mbar
Pascal
1 atmosfera
1 Torr
1 kgpeso/cm2
=
=
=
1
1 / 760  10-3
0.968
760
1
736
1.033
1.32·10-3
1
1.013
1.333x10-3
0.981
1.013·103
1.333
0.981·103
1.013·105
1.333·102
0.981·103
1 bar
1 mbar
1 Pascal
=
=
=
0.987
0.987·10-3
0.987·10-5
750
0.750
0.750·10-2
1.019
1.019·10-3
1.019·10-5
1
10-3
10-5
103
1
10-2
105
102
1
3. Legge di Stevino
Enunciato
La differenza di pressione fra due punti in un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio, è pari
al peso di una colonna di fluido di sezione unitaria ed altezza pari alla differenza di quota (distanza verticale)
fra i due punti
p ( z0 ) S
z0
Dimostrazione:
Condizione di equilibrio di una porzione cilindrica
di fluido di densità , massa M, volume V, base S
e altezza h (proiezione della prima equazione
cardinale della statica sull’asse z):
 p( z)S  p( z0 )S  Mg  0
Mg
p( z)S  p( z0 )S  Mg  S ( z  z0 ) g
p( z )  p( z0 )  g ( z  z0 )  gh
p( z )  p( z0 )  g ( z  z0 )  p( z0 )  gh
z
p( z ) S
La pressione aumenta linearmente con la profondità
Recipiente aperto
(h = profondità rispetto alla superficie libera):
M  V  S ( z  z0 )
p(h)  patm  gh
4. Principio di Pascal
Enunciato
Un aumento di pressione in un punto di un fluido incomprimibile, omogeneo, pesante e in equilibrio, si
trasmette istantaneamente in tutti gli altri punti del fluido.
Giustificazione
Consideriamo 2 punti all’interno del fluido, la differenza di
pressione è data dalla legge di Stevino:
p( z2 )  p( z1 )  g ( z2  z1 )  gh
• Se si produce dall’esterno un aumento di pressione p in uno
dei due punti, ciò non provoca variazioni nelle grandezze  (il
fluido è incomprimibile), g e h.
• Non cambia quindi la differenza p(z1)-p(z2)
• Lo stesso aumento si deve avere nella pressione del secondo
punto, dovendo la differenza rimanere costante.
P1
P2
5. Pressa idraulica
F
F
F1  P1  1  P2  2  F2  S 2 P2
S1
S2
Il volume di fluido
(incomprimibile)
resta costante:
S1d1  S2 d 2

Per il principio di Pascal
P1  P2
Lo spostamento dei pistoni è inversamente
proporzionale alle rispettive sezioni e quindi
alle relative forze:
S1 d 2

S 2 d1


F1 F2

S1 S 2
Il lavoro compiuto dalle
due forze è lo stesso
F1d1  F2 d 2
F1
d2
d1
S1
S2
F2
Se S2 è 10 volte più grande di S1,
la forza applicata in S1 produce su
S2 una forza 10 volte più grande
(ma uno spostamento 10 volte
più piccolo).
6. Principio di Archimede
Enunciato
Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di
Archimede) diretta verticalmente dal basso verso l’alto, in modulo pari al peso del fluido spostato, ed
applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S).
FA  M fl .sp. g  V fl .sp. fl . g
fluido spostato
S

p fl .sp.
S
7. Misura della densità
S
h
H
H
H
Fpeso  Farch
Fpeso  Farch
Fpeso  Farch  R
VS g  V fl .sp. fl . g
VS g  V fl .sp. fl . g
VS g  V fl .sp. fl . g  R
SHS g  Sh fl . g
SHS g  SH fl . g
SHS g  SH fl. g  R
S 
h
 fl .   fl .
H
 S   fl .
 S   fl . 
R
  fl .
SHg
8. Equilibrio del corpo umano in acqua

Farch

P
3.3
Dinamica dei fluidi e
Circolazione del sangue
1. Moto stazionario
Moto Stazionario
Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità
del fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel
tempo.
Tutte le particelle di fluido (P1, P2, P3) che in istanti successivi transitano per la posizione A, hanno la
stessa velocità vA. Tutte le particelle di fluido che in istanti successivi transitano per la posizione B,
hanno la stessa velocità vB, che può essere differente da vA.
A
t
P1

vA
B

vB
P2
P3
A
t+t

vA
B

vB
P3
P1
P2
2. Linee di flusso
Linea di corrente di una particella
Traiettoria descritta dalla particella.
Linea di flusso all’istante t
Linee tangenti in ogni loro punto alla velocità delle particelle del fluido che all’istante t si trovano in quel punto.
t
t
P2
t
P1
t
P3
P4
linea di flusso
all’istante t
Proprietà
In condizioni di moto stazionario, le linee di flusso
• non cambiano nel tempo
• coincidono con le linee di corrente
3. Tubo di flusso
Tubo di flusso
Insieme di linee di flusso che passano per i punti di una linea chiusa.
Proprietà
In condizioni di moto stazionario
• ogni tubo di flusso è fermo;
• nessuna particella può attraversare la superficie del tubo di flusso.
E’ come se il tubo di flusso fosse materializzato da una superficie solida (tubo solido).
4. Equazione di continuità
S1
S2
v1dt
v2dt
v2dt
v1dt
Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa
di fluido fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo.
La massa di fluido che attraversa le sezioni S1 e S2 nel tempo dt deve essere la stessa:
dm1  dm2  S1v1dt  S2v2 dt 
S1v1  S2v2
(Equazione di continuità)
Se la sezione del tubo diminuisce,
allora la velocità del fluido
aumenta.
Portata
Il prodotto Sv prende il nome di portata e rappresenta il volume di fluido che attraversa una sezione del
tubo nell’unità di tempo. Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un
tubo di flusso, la portata è la stessa in tutte le sezioni del tubo.
5. Velocità del sangue
I capillari sono i vasi sanguigni di sezione
minore, posti tra l'estremo terminale di
un'arteria e quello distale di una vena.
A livello dei capillari avviene lo scambio
di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e
molti altri nutrienti chimici e sostanze di
scarto tra sangue e tessuti limitrofi; la
marcata diminuzione della velocità del
sangue nei capillari dovuta all’eq. di
continuità facilita grandemente tale
compito .
Peraltro, il capillare è capace di nutrire
tessuto per un raggio di 1mm. Quindi, il
numero di capillari in un tessuto dipende
dalla massa del tessuto stesso.
È questo particolare che impedisce o
permette lo sviluppo di un tumore. Se il
tumore ha capacità angiogeniche (di
sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire
da altri già esistenti) avrà quindi
possibilità di aumentare di volume.
8. Teorema di Bernoulli
Ipotesi: Fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso.
Applichiamo il teorema del lavoro e dell’energia cinetica alla massa di fluido che all’istante t è compresa fra le sezioni
S1 e S2. Dopo un tempo dt la stessa massa di fluido sarà compresa fra le sezioni S’1 e S’2
v1 dt
dm1  S1v1dt  dm2  S2v2 dt  dm
dm
p1 S1
v2 dt
S’1
S1
dm
p2 S2
h1
S2
dLpeso  dm  g h1  h 2 
dL pressione  p1S1v1dt  p2 S 2v2 dt 

1
dEC  dm v22  v12
2

Teorema del lavoro:
dm
 p1  p2 

h2
S’2
dLpeso  dLpressione  dEC
1
1
p1  gh 1  v12  p2  gh 2  v22
2
2
10. Effetto Venturi
placca
S1
v1
S2
arteria
v2
p1 = pest
p2 < pest
pest
pest
equazione
di continuità
S1v1  S2v2
teorema
di Bernoulli
1
1
p1  gh 1  v12  p2  gh 2  v22
2
2
v1  v2
p1  p2
In corrispondenza della strozzatura la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi).
11. Stenosi di un arteria
A livello della strozzatura, la pressione esterna non è più equilibrata dalla pressione interna e la sezione S2 tende a
restringersi ancora, deformando la parete dell’arteria.
placca
arteria
v1
v2
S1
S2
p2 < pest
p1 = pest
Fel.
pest
pest
Ciò provoca un ulteriore aumento di v2 e un’ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un
ulteriore restringimento di S2, innescando un circolo vizioso.
Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua
deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione.
Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa
maggiore di p1 e l’arteria si riapre.
placca
S1
p2 > pest
v1
S2 = 0
v2 = 0
p1 = pest
Fel.
pest
pest
1 2
1 2
p1  gh 1  v1  p2  gh 2  v2
2
2
p2  p1
Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria).
Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete
dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente.
placca
12. Aneurisma
pest
pest
Fel.
p2 > pest
p1 = pest
S1
arteria
S2
v1
v2
In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi).
A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e la sezione S2 tende
a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria.
Ciò provoca un’ulteriore diminuzione di v2 e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un
ulteriore allargamento di S2, innescando un circolo vizioso.
Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua
deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione.
Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo ed il processo diventa inarrestabile,
fino alla rottura della parete dell’arteria.
13. Portanza
S2
p2
S1
p1
La pressione al di sopra dell’ala è minore
di quella imperturbata a monte dell’ala
(il tubo di flusso si restringe).
S1  S2 
p1
p1= pimp
p1  pimpert  p2
La pressione al di sotto dell’ala coincide
circa con quella imperturbata a monte
dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione
circa uguale).
Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superiore dell’ala genera una forza diretta verso
l’alto nota col nome di portanza.
15. Moto laminare di fluidi viscosi
Fluidi ideali in moto stazionario
Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare)
r
R
dLpeso  dLpres  dEC
dLpeso  dLpres  dLdiss  dEC
1
1
p1  gh 1  v12  p2  gh 2  v22
2
2
dL
1
1
p1  gh 1  v12  p2  gh 2  v22  diss
2
2
dV
dL
p   diss  ediss
dV
p  0
Il moto del fluido si mantiene anche senza una
differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del
condotto.
v(r )  cost.
Q  vS  vR
R
P
0
Q
Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare
agli estremi del condotto una differenza di pressione,
che serve per vincere il lavoro delle forze di attrito.
Profilo delle velocità
2
portata
resistenza al flusso
v(r ) 
P 2 2
(R  r )
8l
R 4
Q
P
8l
R
P 8l

Q R 4
Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico
Sezione del condotto
cilindrico ortogonale
al suo asse
Sezione condotto cilindrico contenente il suo asse
16. Moto turbolento
Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata , aumentando la differenza di pressione agli
estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento
Moto laminare
vmax  

 vcrit
(d / 2)
silenzioso
Q  P
Moto turbolento
vmax  vcrit
rumoroso
Q  P

Caratteristiche del moto turbolento
Numero di Reynolds
• Aumento della resistenza del condotto e della dissipazione di
energia per attrito.
• Un volumetto di fluido catturato in un vortice, pur avendo
una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme
al vortice, che si muove in modo relativamente lento.
• Vale circa 1200 per condotti rettilinei
• In corrispondenza di strozzature o gomiti
diminuisce (in corrispondenza di irregolarità
il moto diventa più facilmente turbolento).
19. Effetto della distensibilità dei vasi
Aorta
Se i vasi fossero rigidi la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo
cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua).
A causa della distensibilità delle arterie, durante la sistole la parete dell’aorta si dilata. Quando la valvola aortica si
chiude, inizia la fase diastolica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa
dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di
partenza.
La distensibilità delle arterie, in altre parole, permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia
cinetica del sangue sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti dell’arteria, che si riconverte
in energia cinetica del sangue durante la fase di diastole.
Si ottiene così un andamento della
pressione che varia da un valore
massimo, o sistolico, ad un valore
minimo, o diastolico.
Arterie
La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via via
lungo le arterie: la pressione sistolica produce, quindi, una deformazione elastica che si propaga lungo le
pareti delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti
ed è superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del
sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca.
L’aumento della rigidità delle pareti arteriose (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda
sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto
minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatilità della parete fornisce un minor
aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato da
un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione).
20. Effetto della pressione idrostatica
In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene
notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica.
La pressione nei vasi degli arti inferiori viene incrementata in maniera
importante.
Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi
Le pareti dei vasi arteriosi sono costituite da tessuto elastico e tessuto
muscolare in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg
→ Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze.
Per quanto riguarda i territori arteriosi sopra il livello del cuore, il sangue
a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso
compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi.
→ Il cuore deve quindi esercitare una pressione supplementare per fare
equilibrio al peso del sangue sovrastante, e svolgere un maggior lavoro
per far salire il sangue fino al cervello
→ Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera
la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello.
760 mmHg → colonna di 10 m di acqua
100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m
Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di
oltre un metro (la distanza cuore - cervello non supera mezzo metro)
In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può
arrestare
Valori della pressione media venosa e arteriosa
in un soggetto in posizione eretta
Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi
Le pareti dei vasi venosi, a differenza di quelli arteriosi, sono sottili e
contengono poco tessuto elastico.
→ La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far
dilatare le vene.
Questo inconveniente è in parte ovviato:
• dalla presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la
funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la
pressione sulla parete venosa
• dalla contrazione dei muscoli, intorno alla vena, che aiuta il
ritorno del sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle
vene
Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli
arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la
deformazione della parete venosa (vene varicose).
Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a
quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione
nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue
nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica
aumenta bruscamente
21. Misura della pressione del sangue
Lo sfigmomanometro
Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una
camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un
palloncino munito di una valvola.
Misura della pressione del sangue
1.
La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad
applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il
trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato
sull’articolazione interna dell’avambraccio dove l’arteria scorre superficialmente.
2.
A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la
pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano:
Pressione sistolica (ps) o pressione massima:
pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione
(p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successiva apertura e
chiusura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Pressione diastolica (pd) o pressione minima:
pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd
→ p4) da rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) a silenzio in regime laminare
(arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Dal momento che il braccio è allo
stesso livello del cuore, le misure
di pressione del sangue al braccio
forniscono valori
prossimi a
quelli vicino al cuore (nelle grandi
arterie la dissipazione di energia
per attrito e la corrispondente
diminuzione di pressione è
modesta anche per percorsi di
alcune decine di cm).
Pressione in una grossa arteria
Pressione nella fascia elastica
Capitolo 4:
ONDE IN MEZZI ELASTICI
4.1 - Onde meccaniche in mezzi elastici
4.2 - Il suono e l’orecchio umano
4.3 - Gli ultrasuoni in medicina
4.1
Onde meccaniche in mezzi elastici
1. Onde elastiche
Onde elastiche
• Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di
richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella
posizione di equilibrio.
• Le particelle del mezzo, essendo sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico
attorno alla posizione di equilibrio.
• A causa dell’interazione a corto raggio esistente tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si
propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo, dalla direzione di propagazione (se il
mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione.
Esempio
Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si
manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove
è caduto il sasso. L’arrivo dell’onda, in questo caso, produce nelle particelle di liquido via via interessate dal
fenomeno un moto oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa
posizione di equilibrio che occupavano prima dell’arrivo dell’onda.
Propagazione di energia
Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui
è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale).
2. Onde longitudinali e onde trasversali
Onde trasversali
Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda
(es. onda in una corda o in una fascia in tensione)
direzione di
propagazione
dell’onda
Onde longitudinali
Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda
(es. onda di densità in un gas contenuto in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto
armonico)
3. Forma matematica delle onde elastiche
y
t 0
t
vt
y  f (x)
se y=f(x) rappresenta la perturbazione all’istante iniziale t=0, allora y
all’istante t assume in un punto x1 il
valore della funzione f nel punto x1vt
y  f ( x  vt)
vt
x1-vt
x2-vt
x1 x2
x - individua un punto del mezzo
t - un istante
y - la deformazione del punto x del mezzo all’istante t
Una perturbazione che si propaga con velocità
v e forma invariata nel verso positivo dell’asse
delle x è rappresentata da una funzione in cui x
e t compaiono nella combinazione x-vt
y( x, t )  f ( x  vt)
x
Si vuole determinare la deformazione
del mezzo in ogni punto ad ogni istante:
y(x,t)
Una perturbazione che si propaga con velocità v
e forma invariata nel verso negativo dell’asse
delle x è rappresentata da una funzione in cui x e
t compaiono nella combinazione x+vt
y( x, t )  f ( x  vt)
4. Onde sinusoidali: lunghezza d’onda
y
Onda sinusoidale
A
t
t + t
 2

y ( x, t )  A sin  ( x  vt)


x
-A
Lunghezza d’onda
 2

 2

 2

y( x  n, t )  A sin  ( x  n  vt)  A sin  ( x  vt)  2n  A sin  ( x  vt)  y ( x, t )






dy
dy
( x  n, t )  ( x, t )
dx
dx
y



lunghezza d’onda: minima distanza fra
due punti del mezzo che vibrano in fase
x
5. Onde sinusoidali: periodo e frequenza
Periodo
 2v  x 
 2  x  
y ( x, t )  A sin 

t

A
sin


  t 

   v 
 T  v 
T

v
Periodo: tempo necessario ad un
punto P del mezzo per compiere
un’oscillazione completa
 2  x
 2  x 

 2   x 

y ( x, t  nT )  A sin    t  nT   A sin    t   2n  A sin    t   y ( x, t )

T v
T v 

 T  v 
dy
dy
( x, t  nT )  ( x, t )
dt
dt
t
t T
y
P
P
Frequenza

 x 
y ( x, t )  A sin 2f   t 
 v 

f 
1
T
Frequenza: numero di oscillazioni che un
punto del mezzo compie al secondo
6. Onde sinusoidali: pulsazione e numero d’onda
Numero d’onda e pulsazione
  x vt 
  x t 
y( x, t )  A sin 2    A sin 2    A sin(kx  t )
    
   T 
k
2
(numero d’onda)


2
T
(pulsazione)
Fase iniziale
In tutte le rappresentazioni utilizzate sinora per un’onda sinusoidale risulta y(x=0,t=0)=0, cioè il mezzo è
imperturbato all’istante iniziale, nel punto in cui l’ascissa x è nulla. Per eliminare questa limitazione si introduce
la fase iniziale , in modo che y(0,0)=Asin :
y( x, t )  A sinkx  t  
Moto delle particelle del mezzo
Da questa rappresentazione risulta evidente come ogni particella del mezzo si muove di moto armonico, nel
caso di onda sinusoidale:
y ( x , t )  A sinkx  t    A cos(  / 2  kx  t  )
y( x , t )  A cos(t  0 )
sin   cos (  / 2   )
0 

 kx  
2
x
7. Velocità di propagazione
La velocità di propagazione può dipendere:
• dalle caratteristiche del mezzo, ed in particolare dalla sua densità e dalla natura delle forze di interazione delle
particelle.
• dalla forma della perturbazione e da alcuni suoi parametri, ad esempio dalla frequenza (fenomeno della
dispersione).
Onde trasversali in un corda tesa

v

= forza di tensione della corda
 = densità lineare del mezzo (massa per
unità di lunghezza)
Onde longitudinali in una sbarra
di materiale omogeneo
v
Onde longitudinali in un gas
v
E

K
p



Onde di superficie in un liquido
v
g
2
E = modulo di Young
 = densità del mezzo
K= modulo di compressione di volume
p = pressione
 = densità del mezzo
 = cP/cV
g = accelerazione di gravità
= lunghezza d’onda
8. Superfici d’onda e raggi di propagazione
L’equazione di propagazione è stata da noi ricavata per un’onda che si propaga in una sola dimensione (es. Onda in
una corda). Più comunemente le onde si propagano nello spazio, cioè in tre dimensioni. In questo caso è utile
introdurre il concetto di superficie d’onda e di raggio di propagazione:
Superficie d’onda
Luogo geometrico dei punti che, ad un certo istante, si trovano nello
stesso stato di vibrazione, cioè che vibrano in concordanza di fase,
come ad esempio tutti i punti che si trovano ad avere ad un certo
istante la massima ampiezza di vibrazione (cresta).
Raggio di propagazione
Linea perpendicolare a tutte le superfici d’onda che essa interseca.
superficie d’onda
raggio
Una sorgente puntiforme immersa in un mezzo
tridimensionale isotropo dà origine a superfici d’onda
sferiche: per questo l’onda viene detta onda sferica. I
raggi di propagazione sono diretti radialmente.
A grande distanza dalla sorgente, in una regione
limitata dello spazio i fronti d’onda sono
approssimabili con porzioni di piano. Si parla in
questo caso di onde piane. I raggi di propagazione
sono perpendicolari a tali piani.
9. Intensità di un’onda
Intensità di un’onda
L’intensità I di un’onda è l’energia che essa trasporta nell’unità di
tempo attraverso l’unità di superficie posta normalmente alla
sua direzione di propagazione. Nel S.I. l’intensità si misura in
watt/m2.
Per onda piana, I si ricava facilmente, nota l’energia meccanica e
di una particella del mezzo di massa m che si muove di moto
armonico, essendo soggetta ad una forza elastica di richiamo:
S
m
vt
1
1
1
1
1
e  kel x 2  mv2  kel A2 cos 2 (t  0 )  m2 A2 sin 2 (t  0 )  m2 A2
2
2
2
2
2
(  kel / m )
Un’onda elastica che si propaga attraverso una superficie S con velocità v percorre nell’intervallo di tempo t un
tratto (vt). Il volume V attraversato è Svt, contiene un numero n di oscillatori, ed ha massa M=V pari a nm.
L’energia E che attraversa S nel tempo t è pari a quella degli n oscillatori contenuti in V:
1
1
1
1
E
1
E  ne  nm2 A2  M2 A2  V2 A2  Svt 2 A2  I 
 v2 A2
2
2
2
2
St 2
Intensità di un’onda sferica
L’energia trasportata da un’onda sferica, all’aumentare della distanza r dalla sorgente,
si distribuisce su una superficie la cui area aumenta con r2.
Per la conservazione dell’energia, l’intensità dell’onda deve diminuire come r-2.
Affinché ciò accada l’ampiezza dell’onda deve diminuire come r-1.
I0

I
(
r
)

 sf
r2

 A (r )  A0
 sf
r
10. Principi che regolano la propagazione dei fenomeni ondulatori
Principio di Malus
I raggi di propagazione rappresentano il cammino rettilineo lungo il quale si propaga l’energia trasportata dalle
onde. Non c’è quindi trasporto di energia nelle direzioni tangenti alle superfici d’onda.
Principio di sovrapposizione delle onde
La propagazione simultanea di due o più onde nello stesso mezzo avviene, per ciascuna di esse, come se le altre
non fossero presenti, e la stato di vibrazione in un punto del mezzo è dato, in ogni istante, dalla somma
vettoriale degli stati vibrazionali associati alle diverse onde presenti in quel punto del mezzo.
Principio di Huygens
Tutti i punti di una superficie d’onda possono essere considerati come sorgenti (“secondarie”) puntiformi di
vibrazioni con la stessa fase. Il principio, nota la superficie d’onda (S1) ad un istante (t), consente di costruire la
superficie d’onda (S2) ad un istante successivo (t’=t+t). Si considera ciascun punto di S1 come sorgente di una
superficie d’onda elementare sferica di raggio vt (v = velocità di propagazione): S2 è la superficie tangente a
tutte queste onde elementari (il cosiddetto inviluppo).
11. Interferenza
Onde componenti
Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e frequenza, ma con
fasi differenti (più in generale differenza di fase definita e costante).
y1  A sin(kx  t  1 )
y2  A sin(kx  t  2 )
Onda risultante
ampiezza
  
   

y  y1  y2  A sin(kx  t  1 )  A sin(kx  t  2 )  2 A cos 1 2   sin kx  t  2 1 
2 
 2 

Caratteristiche
Onda di frequenza pari a quella delle onde componenti,
fase iniziale (12/2, ed ampiezza 2Acos [(12/2]:
Rappresentazione grafica
in fase
• Se 12  0 (onde componenti in fase)
l’onda risultante ha ampiezza massima 2A.
• Se 12   (onde componenti in opposizione di fase)
l’onda risultante ha ampiezza nulla (mezzo imperturbato).
• Se 12  /2 (onde componenti in quadratura di fase)
l’onda risultante ha ampiezza A per radice di 2.
  b
  b 
sin   sin b  2 sin
 cos 
 Formula di prostaferesi
 2 
 2 
in opposizione
in quadratura
12. Battimenti
Onde componenti
Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e fase, ma frequenze
di poco differenti:

 x 
y1  A sin 2f1   t 
 v 


 x 
y2  A sin 2f 2   t 
 v 

Onda risultante
ampiezza


  f  f  x 
  f  f  x 
 x 
 x 
y  y1  y2  A sin 2f1   t   A sin 2f 2   t   2 A cos 2  1 2   t   sin 2 1 2   t 
 v 
 v 


  2  v 
  2  v 
Caratteristiche
Onda di frequenza pari alla media delle frequenze
delle onde componenti, ampiezza che varia
secondo un’onda, di ampiezza 2A e frequenza pari
alla semidifferenza delle frequenze delle onde
componenti.
Rappresentazione grafica
2A
ampiezza
x
-2A
onda risultante
Rappresentazione grafica della perturbazione ad un istante t
13. Onde stazionarie
Onde componenti
Due onde sinusoidali di uguale ampiezza, frequenza e fase, che si propagano nella stessa direzione
ma in versi opposti.
y1  A sin(kx  t )
y2  A sin(kx  t )
Onda risultante
y  y1  y2  A sin(kx  t )  A sin(kx  t )  2 A sin kx  cos(t )
non è un’onda
ampiezza del moto armonico
Caratteristiche
I punti del mezzo compiono oscillazioni armoniche in fase
tra loro, con la frequenza delle onde componenti, ed
ampiezza dipendente dalla posizione del punto :
• L’ampiezza è nulla nei punti (nodi) per cui
kx  n  x  n( / 2)
• L’ampiezza è massima e pari a 2A nei punti (ventri) per cui
kx  (2n  1) / 2  x  n( / 2)   / 4
• Un nodo ed un ventre successivo sono separati da una
distanza pari a /4. Due nodi (e due ventri) successivi sono
separati da una distanza pari a /2
Nelle onde stazionarie non si ha propagazione di energia
(l’energia non può transitare attraverso i nodi).
Rappresentazione grafica
1
2
3
4
5
ventre
nodo
Onde stazionarie su una corda di lunghezza L fissata alle estremità
Nei punti estremi della corda si devono avere 2 nodi (essendo punti bloccati, l’ampiezza di oscillazione deve
essere nulla). Dunque, la lunghezza della corda deve essere uguale ad un numero intero di semi-lunghezze
d’onda:
Fondamentale o
1a armonica (n=1)
Ln
2a armonica (n=2)

2L
 λ
2
n
f 
v
v
1 
n
n
 nf1

2L
2L 
f1 
1 
2L 
3a armonica (n=3)
4a armonica (n=4)
frequenza
fondamentale
Modi di vibrazione
In generale, quando una corda vibra, il modo di vibrazione dominante è rappresentato dall’ armonica
fondamentale, con un contributo minore di armoniche superiori.
Regolazione della frequenza fondamentale
La frequenza fondamentale (e le armoniche superiori) può essere regolata variando:
•
la densità (lineare) della corda
•
la tensione della corda
•
la lunghezza del tratto L di corda interessato alla oscillazione stazionaria (ad esempio intervenendo con le dita)
Onde stazionarie su una membrana fissata nel suo bordo
Onde stazionarie su un tubo di lunghezza L, chiuso ad un’estremità
All’estremità chiusa
• non c’è spostamento d’aria (nodo di spostamento) ;
• la variazione di pressione è massima (ventre di variazione di pressione).
All’estremità aperta
• la pressione p è costante e coincide con la pressione all’esterno del tubo (nodo di variazione di pressione) ;
• le particelle d’aria sono libere di muoversi avanti e indietro e subiscono il massimo spostamento (ventre di spostamento).
• Una diminuzione di p richiama particelle dall’esterno del tubo in modo da mantenere p costante e viceversa.
La canna chiusa ad una estremità
può contenere un numero dispari
di quarti di lunghezze d’onda:
L  (2n  1)
λ
4L
 
4
(2n  1)
Onda di spostamento
f 
v
v
 (2n  1)
 (2n  1) f1

4L
f1 
v
4L
frequenza
fondamentale
Onda di pressione
14. Effetto Doppler
L’effetto Doppler
L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di
un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla
sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro:
• se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS
• se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS
Analisi quantitativa
Se S e R si muovono lungo la medesima retta, di moto uniforme, si trova che:
fR 

vR

vS
c  vRx
fS
c  vSx
x
c = velocità di propagazione dell’onda
Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione
vSx  0

c  vRx
fR 
fS
c

vRx  0 
vRx  0 
fR  fS
fR  fS
vSx  0 
vSx  0 
fR  fS
fR  fS
(R si allontana da S)
(R si avvicina a S)
Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione
vRx  0

c
fR 
fS
c  vSx

(S si avvicina a R)
(S si allontana da R)
Dimostrazione
1) all’istante t0 = 0, quando S e R sono separati da una distanza d, S emette un’onda
t0  0 xS (0)  0 xR (0)  d
2) l’onda raggiunge R all’istante t nella posizione
xR (t )  vRx t  d
3) L’onda percorre una distanza ct data da
ct  xR (t )  xS (0)  vRx t  d
t0  0
t
ct
xS (0)
xR (t )
t
x
d
c  vRx
1) S emette il fronte d’onda successivo dopo un periodo, all’istante TS, quando si trova nella posizione
xR (t ' )  vRx t 'd
2) Il fronte d’onda raggiunge R all’istante t’ nella posizione
ct 'TS   xR (t ' )  xS (TS )  vRx t 'd  vSx TS
3) L’onda ha percorso una distanza c(t’-TS) data da
TS
ct 'TS 
xS (TS )
Il periodo e la frequenza percepiti da R sono:
xS (TS )  vSx TS
t'
xR (t ' )
TR  t 't 
t' 
x
c  vSx
TS
c  vRx
fR 
c  vRx
fS
c  vSx
d  c  vSx  TS
c  vRx
15. Riflessione e rifrazione
Riflessione e rifrazione
Quando un’onda giunge sulla superficie di separazione fra il mezzo in cui si propaga ed un mezzo diverso può:
• Essere parzialmente restituita al primo mezzo (riflessione), e passare parzialmente nel secondo mezzo
(rifrazione), rispettando il principio di conservazione dell’energia.
• Essere completamente restituita al primo mezzo (riflessione totale).
Le leggi della riflessone e della rifrazione
• Il raggio riflesso e il raggio rifratto appartengono al piano
contenente il raggio incidente e la normale alla superficie di
separazione nel punto di incidenza
• l’angolo di riflessione r (angolo fra il raggio riflesso e la normale
alla superficie di separazione) è uguale all’angolo di incidenza i
(angolo fra il raggio incidente e la normale alla superficie di
separazione)
normale
raggio
incidente
raggio
riflesso
i
r
ir
mezzo 1
• Il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza i e il seno
dell’angolo di rifrazione t è uguale al rapporto fra le velocità di
propagazione nel primo e nel secondo mezzo (fra gli indici di
rifrazione nel secondo e nel primo mezzo ):
sin i v1 n2


sin t v 2 n1
(n  cost. / v)
Superficie
di separazione
mezzo 2
t
raggio
rifratto
16. Impedenza acustica
• Quando un’onda elastica incide sull’interfaccia fra due mezzi diversi, essa in parte viene
riflessa e in parte viene trasmessa, o completamente riflessa. L’intensità dell’onda
incidente è pari alla somma dell’intensità dell’onda riflessa e dell’intensità dell’onda
trasmessa (per incidenza normale).
• Si definisce impedenza acustica Z di un mezzo materiale il prodotto della densità del mezzo
e della velocità di propagazione dell’onda elastica nel mezzo
Ii  I r  It
Z  v
• I rapporti Ir /Ii (coefficiente di riflettività) e It /Ii (coefficiente di trasmissibilità) sono dati
dalle relazioni:
I r  Z 2 cos i  Z1 cos t 

I i  Z 2 cos i  Z1 cos t 
It
4Z1Z 2 cos i cos t

I i Z 2 cos i  Z1 cos i 2
2
I r  Z 2  Z1 


I i  Z 2  Z1 
It
4Z1Z 2

I i Z 2  Z1 2
e nel caso di incidenza normale
(i = 0°) dipendono solo dalle
impedenze acustiche dei due
mezzi
• Per Z1>>Z2 e per Z2>>Z1 si ha Ir ≈ Ii cioè It ≈ 0
– La trasmissibilità fra aria e pelle, o fra aria e
tessuto biologico è praticamente nulla.
– La trasmissibilità fra tessuto molle e tessuto
osseo è molto bassa
– La trasmissibilità fra acqua, sangue, grasso
muscolo e pelle è elevata.
2
tessuto
densità (g/cm3)
v (m/s)
Z ∙106 ( kg m-2 s-1)
osso
1.990
3760
7.48
pelle
1.100
1537
1.69
sangue
1.060
1584
1.68
muscolo
1.041
1580
1.64
acqua
0.993
1527
1.52
grasso
0.928
1476
1.36
aria
0.0012
340
0.0004
4.2
Il suono e l’orecchio umano
15. Il suono
Il suono
L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz.
In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni. Vibrazioni meccaniche con frequenze
superiori (inferiori) a 20 kHz (20 Hz) prendono il nome di ultrasuoni (infrasuoni).
Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione atmosferica), la
lunghezza d’onda del suono in aria (  = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m.
Pressione sonora
Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a zone di compressione e di rarefazione delle particelle costituenti il
gas, e determina una variazione di pressione istantanea che per onde piane sinusoidali (suoni semplici) segue una
legge del tipo
p  p0 sin(kx  t  )
dove p=p-p0 (pressione sonora istantanea) è la variazione istantanea della pressione p rispetto alla pressione p0
del gas imperturbato (es. pressione atmosferica) e p0 è l’ampiezza della perturbazione pressoria (massima
variazione di p rispetto a p0). La variazione sinusoidale di p, con successive compressioni e rarefazioni, è in grado
di porre in vibrazione una membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio umano.
Si può dimostrare che sussiste la seguente relazione fra ampiezza di variazione di pressione e ampiezza A del moto
oscillatorio delle particelle del mezzo:
p0  vA
Confrontando questa espressione con quella dell’intensità I=1/2v2A2 di un’onda si ottiene la seguente
relazione che lega l’ampiezza della perturbazione pressoria e l’intensità sonora:
1 p0 
I
2 v
2

p0  2Iv
16. Livelli di sensazione sonora
Livello di sensazione sonora e scala decibel
Il livello di sensazione sonora  avvertita dall’organo uditivo può essere utilmente caratterizzato mediante la
scala decibel (dB):
  0  10Log10
I
I0
I0 = 10-12 W/m2 = minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano
0 = valore della sensazione sonora corrispondente a I = I0
Vantaggi della scala decibel
• La minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano 0 è di 0 dB.
• Il rapporto fra l’intensità di due suoni, la cui differenza è appena percettibile, è dell’ordine del dB.
• Una conversazione media corrisponde a circa 60 dB, la soglia del dolore è di circa 120 dB.
Curve di sensibilità
Dipendenza della
sensazione sonora dalla
frequenza di vibrazione
La sensibilità dell’udito
è massima fra 3000 e
4000 Hz.
17. L’orecchio umano
L’orecchio è il dispositivo di trasduzione che permette di trasformare le onde sonore in segnali di eccitazione nervosa
(potenziali di azione), che sono poi elaborati dal cervello in modo da fornire le sensazioni sonore.
Dal punto di vista funzionale l’orecchio può essere considerato diviso in tre parti: esterno, medio e interno.
L’orecchio esterno
Costituito dal padiglione auricolare e dal canale auricolare. Il padiglione auricolare ha la funzione di concentrare la
perturbazione sonora verso il timpano. Il canale auricolare è in pratica un risuonatore, schematizzabile come un
tubo sonoro, di lunghezza L=2.5 cm, chiuso ad un’estremità dalla membrana timpanica. Esso è perciò sede di onde
stazionarie con frequenza fondamentale
f1 
v
340 m/s

 3400 Hz
4 L 4  0.025 m
• Proprio alla frequenza di circa 3400 Hz la
sensibilità dell’orecchio è massima.
• Nei bambini, la lunghezza del canale è minore
e f1 assume valori più elevati. Essi sono quindi
più sensibili alle frequenze elevate: riescono a
dormire in presenza di conversazioni fra
adulti, mentre sono bruscamente svegliati da
un tintinnio di posate o di un mazzo di chiavi.
• Se la membrana timpanica fosse rigida il
canale auricolare risuonerebbe solo alla
frequenza di 3400 Hz o multipli dispari di
questo valore, e l’orecchio percepirebbe solo
suoni ad alcune determinate frequenze. In
realtà la membrana timpanica è abbastanza
elastica da causare risonanze anche a
frequenze inferiori o superiori.
L’orecchio medio
La funzione dei tre ossicini (martello,
incudine e staffa) è di trasmettere la
vibrazione sonora alla finestra ovale
amplificandola. Questa catena di
ossicini si comporta come una leva di
primo tipo in cui la distanza dt fra
timpano e fulcro è circa 3 volte la
distanza df della finestra ovale dal
fulcro. Si ottiene un fattore di
amplificazione della forza sulla
finestra ovale pari a 3:
Ft d t  F f d f

Ff
Ft

dt
3
df
L’area del timpano St è circa 20 volte maggiore di quella Sf della finestra ovale.
Si ottiene un fattore di amplificazione della pressione sulla finestra ovale pari a 60:
p f
F f St F f St


 3  20  60
pt S f Ft Ft S f
Questo fattore di amplificazione è necessario per poter compensare la perdita di
intensità sonora che altrimenti si avrebbe al passaggio dall’aria al liquido
dell’orecchio interno.
L’orecchio interno
• E’ costituito da una struttura
canaliforme lunga circa 3.5 cm, avvolta
a spirale (coclea), e riempita di liquido
(perilinfa ed endolinfa) che si può
ritenere incomprimibile.
• Quando una vibrazione meccanica è
trasmessa alla finestra ovale, da questa
si propaga un’onda meccanica nel
liquido, che origina un’onda di
deformazione del canale cocleare.
Quest’onda si propaga eccitando le
cellule ciliate cocleari che inducono i
potenziali di azione lungo il nervo
acustico verso il cervello.
• Per avere la miglior efficienza di trasmissione dall’orecchio medio a quello interno, è necessario che l’energia
sonora non venga dispersa e quindi che l’intensità sonora in aria sia uguale a quella nel liquido dell’orecchio
interno. Nei due mezzi è costante la frequenza, ma sono diverse la densità, la velocità di propagazione e
l’ampiezza dell’oscillazione. Le intensità sono uguali se le ampiezze nei due mezzi sono in un preciso rapporto:
I1  I 2 
1
1
1v1 A122  2 v 2 A222 
2
2
A1
v
 2 2
A2
1v1
Inserendo i valori numerici si ricava che tale rapporto è circa 60: affinché l’intensità dell’onda sonora sia la stessa
nei due mezzi è necessario che quella in aria venga amplificata di circa 60 volte, ciò che effettivamente avviene.
4.3
Gli ultrasuoni in medicina
19. Gli ultrasuoni
Ultrasuoni
Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz.
Produzione e rilevazione
• Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata
una differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella delle
oscillazioni elettriche che li sollecitano.
• L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni
meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con
opportuni dispositivi elettronici.
• In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda  in
aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1500 m/s) di 1.5 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di
questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quella della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo
dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale.
• I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2.
Interazione con la materia
• Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti situati a
mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 m nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di pressione
istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del mezzo, sottoposte
ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 g.
• Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di calore
nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei liquidi, e
aumentare la velocità di reazioni chimiche.
• L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di tipo
esponenziale
I0= intensità incidente; I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x
 = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato)
I ( x)  I 0ex Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz,  è proporzionale a f.
20. Gli ultrasuoni nella diagnostica medica
Flussimetria Doppler
Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando, l’effetto
Doppler con onde ultrasonore.
(Approssimazione di  piccolo)
Sonda
(sorgente in quiete)
globuli rossi
fascio ultrasonoro
(ricevitore mobile)
emesso dalla sonda
trasmittente
c  vB
f

fS
ricevitore
B
vB
c
Sonda
(ricevitore in quiete)
(B = blood)
fascio ultrasonoro
riflesso dal sangue
trasmittente
ricevitore
fR 
c  vB
fS
c  vB
fS  fR 
globuli rossi
(sorgente mobile)
c

c
fS  fR 
vB
2vB
2v
fS  B fS
c  vB
c
2vB cos 
2v cos 
fS  B
fS
c  vB cos 
c
Nel caso in cui il vaso forma
un angolo  col fascio non
trascurabile
Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto
per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB
fR 
c
fB
c  vB
Ecografia
L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi
acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro.
• Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel,
che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde
ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a
frequenze da 1 a 15 MHz).
• Il fascio ultrasonoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici
diversi (grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione
del fascio.
• Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi), prodotti dalle
superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio, in tempi diversi a
seconda della distanza complessiva percorsa dal fascio.
• Il tempo che intercorre tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde
riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di
misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse e quindi anche quelle
tra le interfacce.
• I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per
fornire una immagine della anatomia della zona esplorata.
Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici
che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°.
tessuto
densità (g/cm3)
v (m/s)
Z ∙106 ( kg m-2 s-1)
osso
1.990
3760
7.48
pelle
1.100
1537
1.69
sangue
1.060
1584
1.68
muscolo
1.041
1580
1.64
acqua
0.993
1527
1.52
grasso
0.928
1476
1.36
aria
0.0012
340
0.0004
21. Gli ultrasuoni nella terapia medica
Terapia fisica
Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati
tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi.
Nel caso in cui si richieda un effetto termico localizzato, il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene
spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione
prolungata per più di qualche secondo, per evitare danni cellulari.
Terapia dei calcoli
I calcoli vengono frantumanti da onde meccaniche ultrasoniche impulsate ad alta intensità (litotrizione).
Odontoiatria
L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il
tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti).
Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari.
Oculistica
Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i
residui.
Urologia
Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica.
Chirurgia vascolare
Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono
eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica e causarne la frantumazione,
disostruendo le arterie.
Capitolo 5:
TERMOLOGIA
5.1 - Calorimetria
5.2 - Termoregolazione del corpo umano
5.3 - Termodinamica
5.1
Calorimetria
1. Stato termico di un corpo, termoscopio
La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un
corpo. La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che si provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può
apparire più caldo di un altro.
Osservazioni sperimentali
• Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’altro, vengono lasciati a contatto per un tempo sufficientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico.
• Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i
valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc.
Termoscopio
Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà
che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento
(termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi.
Esempio di termoscopio
Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si
osserva l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica).
Utilizzo del termoscopio
Disponendo il termoscopio successivamente a contatto
con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio
termico, la proprietà termometrica assume valori che
possono essere usati per il confronto dello stato
termico dei corpi stessi.
corpo 1
corpo 2
2. Temperatura centigrada Celsius (°C)
Scale termometriche
Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati
termici che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o
ebollizione di sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori
convenzionali di T.
Scala centigrada Celsius
Punto fisso di riferimento
Temperatura in gradi Celsius (°C)
Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale
0 °C
Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale
100 °C
Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n.,
l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso
in 100 parti uguali. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto, usando una legge
lineare.
Termometro a gas perfetto
• Problema: i valori di T che si ottengono nel suddetto modo dipendono dal particolare termoscopio
(sostanza e proprietà termometrica) utilizzato. Tuttavia si ottengono identici valori di temperatura
utilizzando
Sostanza termometrica
Proprietà termometrica
un gas rarefatto
la pressione (p) a volume (V) costante o il volume (V) a pressione (p) costante
• Ciò significa che nel caso dei gas rarefatti le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.) sono
dello stesso tipo, sono particolarmente semplici, corrispondono a proprietà generali dei gas rarefatti.
• Per la misura di T in °C si adotta quindi un termometro a gas molto rarefatto, ponendo lineari le
relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.).
• Altri termometri possono essere usati dopo taratura per confronto con quello a gas.
3. Scala delle temperature assolute, scala Kelvin (K)
Scala delle temperature assolute
Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica
basandosi sulle proprietà dei gas perfetti. Con la scala delle temperature assolute
Tass  Tcent  273.15
• le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici,
• lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non
può essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica).
Lo zero assoluto
Con la scala delle temperature assolute non si può dare un significato alla temperatura dello zero assoluto:
• prima che si raggiunga questa temperatura i gas diventano liquidi, il termometro a gas non è più
utilizzabile
• con termometri a elio a bassa pressione si può raggiungere una temperatura minima di 1 grado
assoluto.
Scala termodinamica delle temperature (scala Kelvin)
Si può dare un significato allo zero assoluto definendo una nuova scala delle temperature, che si introduce
in termodinamica (scala termodinamica delle temperature o scala Kelvin):
• non dipende dalle proprietà della particolare sostanza impiegata nel termometro
• coincide numericamente con la scala delle temperature assolute (nel campo in cui il termometro a gas
può essere usato). Per questo motivo i gradi della scala assoluta si indicano con K (gradi kelvin).
La temperatura nel S.I.
Nel S.I. si adotta come grandezza fondamentale la temperatura termodinamica.
L’unità di misura è il (grado) kelvin (K) definito come la frazione (1/273.16) della temperatura
termodinamica del punto triplo dell’acqua.
4. Quantità di calore
Interpretazione microscopica
Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi posseggono in virtù dello
stato di moto individuale e disordinato delle particelle che li costituiscono (moto di agitazione termica).
Calore e temperatura
Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior
energia all’aumentare della temperatura.
Equipartizione dell’energia
Il raggiungimento dell’equilibrio termico fra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature
diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad
una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema.
Questo trasferimento di energia, dovuto alla differenza di temperatura, corrisponde a quantità di calore
che dal corpo più caldo passano a quello più freddo.
Definizione di calore
La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non
è altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle
passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato.
Calorico e caloria
Tuttavia, anticamente il calore era considerato come un fluido (calorico) che poteva passare da un corpo
ad un altro, e che deve essere somministrato o sottratto ad un corpo per far variare la sua temperatura.
Ciò è alla base dell’introduzione di alcune grandezze (es. la caloria), ancora in uso.
Calorimetro
La quantità di calore che un corpo scambia con l’ambiente può essere misurata con uno strumento
chiamato calorimetro.
5. Caloria, calori specifici
Calore specifico
La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è:
1) proporzionale a (T2 -T1); 2) proporzionale alla massa del corpo ; 3) dipende dalla natura del corpo
Q  cm(T2  T1 )
c = calore specifico. Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità di
calore richiesta per variare la sua temperatura (c∙m = capacità termica del corpo).
Per variazioni infinitesime di T:
dQ  c m dT
T2
Per ampie variazioni di T:
Q  m  c(T )dT
T1
Caloria:
La scelta di una unità di misura per le quantità di calore richiede la scelta di:
1) un intervallo di temperatura; 2) una massa; 3) una sostanza.
caloria = Quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C.
→ Unità del calore specifico: cal· g-1 · °C-1
→ Calore specifico dell’acqua: cacqua = 1 cal· g-1 · °C-1
Calore specifico a volume costante ( cV ) e a pressione costante ( cP )
Il calore specifico dipende anche dalla modalità con cui viene somministrato il calore: a V o p costante.
• In generale cP > cV : a pressione costante si permette alla sostanza di dilatarsi compiendo lavoro esterno, e
parte del calore somministrato viene utilizzato per compiere lavoro di espansione.
• La differenza è importante solo per i gas: nei solidi e nei liquidi il coefficiente di espansione termica è molto
piccolo e cP ≈ cV
6. Trasmissione del calore: convezione
Trasmissione del calore
La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una
parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e
irraggiamento.
Convezione
La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può
presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità
con la temperatura.
Descrizione quantitativa della convezione
Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo, attraverso la superficie S:
Q
 K conv S T
t
Meccanismo della convezione
Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento
della temperatura produce una diminuzione della
densità (aumenta il volume a parità di massa).
Per il principio di Archimede le particelle calde tendono
a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e
quelle più fredde nella parte inferiore.
Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in
conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una
parte all’altra del fluido.
Esempi
• Liquido in una pentola scaldata sul fondo
• Impianti a termosifone
• Correnti oceaniche
• Impianti di ventilazione
• Formazione dei venti
• Brezza di terra e brezza di mare
7. Trasmissione del calore: conduzione
Conduzione
La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica
soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso
corpo si trovano a temperature diverse.
Descrizione quantitativa
Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di
lunghezza l le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier):
Q
T
 K cond S
t
l
T2
S
Conducibilità termica di alcune
sostanze a T ambiente
T1
l
Meccanismo microscopico
Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione
termica, oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio
con ampiezza proporzionale alla loro energia. La
trasmissione di calore per conduzione corrisponde al
trasferimento di energia dalle molecole più calde alle
molecole più fredde per interazione fra molecole
adiacenti.
sostanza
Kcond (J m-1 s-1 °C-1)
rame
ferro e acciaio
ghiaccio
vetro
acqua
pelle secca
neve
legno
sughero
polistirolo
lana di vetro
aria
3.85·102
4.60
2.17
0.84
0.585
0.251
0.210
0.125
0.042
0.040
0.0389
0.0230
8. Trasmissione del calore: irraggiamento
L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un
corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche (radiazione).
Elettromagnetismo
5.2
Termoregolazione del corpo umano
9. Termoregolazione
La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C), indipendentemente
dalle condizioni ambientali esterne.
• La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una
temperatura quasi uniforme fra le sue parti.
• Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo
sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea.
quantità di calore
prodotto nel corpo
=
quantità di calore eliminato (dissipato)
dal corpo attraverso la superficie cutanea
La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi:
Dissipazione di calore per conduzione
– Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria.
– Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier).
Dissipazione di calore per irraggiamento
– A 37 °C il corpo umano emette nello spazio circostante radiazioni principalmente nel campo dell’ infrarosso.
– Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita.
– Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è approssimativamente proporzione a (Tcorpo - Tambiente)
Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione
– In entrambi i casi si ha evaporazione di acqua dalla superficie del corpo.
– Il calore necessario per l’evaporazione del sudore (o dell’acqua all’interno dei polmoni) viene sottratto dal corpo.
– Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente.
– Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore.
10. Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione
A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il 70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione.
A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il 45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione.
Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore.
Termoregolazione del corpo umano in presenza di condizioni ambientali estreme
Effetti sul corpo e
reazioni del corpo
Effetto sui meccanismi di
trasmissione del calore
Condizioni
ambientali
Ambiente freddo
(temperatura esterna bassa)
Ambiente secco
(umidità relativa bassa)
Ambiente umido
(umidità relativa elevata)
la quantità di calore dissipata dal
corpo verso l’esterno per
conduzione ed irraggiamento
tende ad aumentare.
Per mantenere la T cost. bisogna
aumentare la produzione di calore
nel corpo e diminuire la
dissipazione verso l’esterno.
la quantità di calore dissipata dal
l’evaporazione di acqua dalla
corpo verso l’esterno per
superficie del corpo è
conduzione ed irraggiamento tende fortemente favorita
a diminuire.
Per mantenere la T cost. bisogna
diminuire la produzione di calore
nel corpo e aumentare la
dissipazione verso l’esterno.
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione del sudore e
rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore
Per diminuire la dissipazione il
corpo reagisce con una
vasocostrizione che ha l’effetto
di ridurre il trasferimento di calore
dall’interno alla superficie del
corpo (ridurre la differenza di
temperatura fra superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di ridurre la sua dissipazione per
conduzione.
Per aumentare la dissipazione di
calore il corpo reagisce con la
sudorazione e con una
vasodilatazione che ha l’effetto di
aumentare il trasferimento di
calore dall’interno alla superficie
del corpo (aumentare la differenza
di temperatura fra la superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di aumentare la sua dissipazione
per conduzione.
Aumentare la dissipazione di
calore: vestiti leggeri e larghi,
ventilazione, ombra.
L’eccessiva siccità può
provocare disturbi
dell’apparato respiratorio,
poiché la notevole
evaporazione all’interno delle
vie respiratorie produce una
pericolosa disidratazione di
queste vie.
in presenza di un
ambiente esterno molto
caldo sarebbe necessario
poter sudare
abbondantemente, ma
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione
del sudore, provocando
una sensazione di caldo
soffocante
E’importante mantenere il
giusto grado di umidità
relativa (50-69%) nelle
abitazioni
In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi dagli
eccessi di temperatura.
Ridurre la dissipazione di calore:
vestiti basso coeff. cond. termica.
Precauzioni
e Commenti
Ambiente caldo
(temperatura esterna elevata)
Aumentare la produzione di
calore: esercizio fisico, cibo
elevato contenuto calorico.
Ridurre la produzione di calore:
riposo, cibi ridotto contenuto
calorico.
Se l’ambiente esterno è
freddo, anche se è umido,
l’ambiente interno delle
abitazioni riscaldate può
essere pericolosamente
secco (l’umidità relativa, a
parità di umidità assoluta,
diminuisce all’aumentare
della temperatura)
se l’ambiente esterno è
molto freddo, sarebbe
necessario poter isolare il
corpo dall’ambiente
esterno, mentre invece
l’elevata umidità rende la
pelle e i vestiti migliori
conduttori di calore e
quindi ostacola la difesa
dal freddo.
Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di
sopportare temperature estreme molto meglio che non in
climi umidi
5.3
Termodinamica
1. Sistemi termodinamici
Sistema termodinamico
Sistema costituito da un gran numero di particelle (atomi o molecole), ovvero, da un gran numero di
gradi di libertà.
• Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema
(microstato del sistema), applicando i metodi della meccanica.
• Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un numero
limitato di grandezze globali (grandezze o variabili di stato), fra le quali è compresa la temperatura.
Termodinamica
Lo studio del comportamento di tali sistemi in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o
variazioni di temperatura è compito della termodinamica.
Classificazione dei sistemi termodinamici
Un sistema termodinamico si dice:
• aperto se consente uno scambio con l'ambiente esterno sia di massa sia di energia (tramite calore e/o
lavoro e/o altre forme di energia);
• chiuso se consente uno scambio di energia con l'ambiente esterno (tramite calore e/o lavoro e/o altre
forme di energia), ma non di massa;
• adiabatico quando non scambia calore con l'ambiente esterno;
• isolato se non permette uno scambio né di energia né di massa con l'ambiente esterno.
2. Equilibrio termodinamico
Stato di equilibrio termodinamico
Un sistema termodinamico si trova in equilibrio (o in uno stato di equilibrio termodinamico) quando:
1. Le forze meccaniche che si esercitano sulle varie parti del sistema sono in equilibrio (equilibrio
dinamico);
2. non c’è moto macroscopico osservabile fra le varie parti: le singole particelle del sistema si trovano
sempre in moto, ma tali moti non sono percettibili su scala macroscopica (equilibrio cinematico);
3. tutte le parti del sistema sono alla medesima temperatura (equilibrio termico);
4. eventuali reazioni chimiche hanno raggiunto l’equilibrio, nel senso che non c’è ulteriore variazione di
composizione (equilibrio chimico);
5. processi di cambiamento di stato (solidificazione, evaporazione, ecc.) hanno anche essi raggiunto
l’equilibrio (equilibrio fisico).
Sperimentalmente si osserva che un sistema termodinamico lasciato a se stesso (per esempio isolato
dall’ambiente esterno), dopo un tempo più o meno lungo raggiunge uno stato di equilibrio.
Microstato
Configurazione microscopica del sistema a cui corrisponde un particolare insieme di valori per le
posizioni, le velocità e gli stati quantici delle singole particelle.
Natura dinamica dell’equilibrio termodinamico
In condizioni di equilibrio termodinamico, da un istante all’altro, il sistema passa da un microstato ad un
altro al quale corrispondono gli stessi valori delle grandezze globali che descrivono lo stato di equilibrio
termodinamico (macrostato di equilibrio).
3. Variabili di stato, equazioni di stato
Variabili di stato
Lo stato di equilibrio termodinamico è descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze o parametri
che prendono il nome di variabili di stato (temperatura, volume, etc.): i valori che esse assumono per un
certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non dipendono dal modo in cui lo stato è
raggiunto.
• Si ha una coppia di tali variabili (una intensiva, una estensiva) per ciascuna maniera con cui il sistema può
scambiare energia (meccanica, elettrica, termica, magnetica, etc.) con l’ambiente esterno, ad es.:
- Energia meccanica legata a forze di pressione: pressione (P), volume (V)
- Scambio di calore: temperatura (T), entropia (S)
- Scambio di materia: potenziale chimico (), numero di moli (n)
Equazioni di stato
Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti.
La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse.
• Si ha una di tali relazioni per ciascuna maniera con cui il sistema può scambiare energia con l’ambiente
esterno (per ciascun contatto energetico).
• Il numero di grandezze di stato indipendenti (numero di grandezze meno numero di relazioni) è pari al
numero di contatti energetici.
• Lo stato del sistema può essere rappresento da un punto in uno spazio con dimensionalità pari al numero
di variabili indipendenti (numero di contatti energetici).
4. Il sistema gas perfetto
Gas
I gas sono sistemi termodinamici che tipicamente possono scambiare con l’esterno
energia termica tramite calore ed energia meccanica mediante il lavoro delle forze
di pressione.
Per i gas si hanno quindi:
2 contatti energetici : lavoro meccanico delle forze di pressione, scambio di calore
4 variabili di stato: pressione (p), volume (V), temperatura (T), entropia (S);
2 equazioni di stato
2 variabili di stato indipendenti: lo stato del sistema viene tipicamente
rappresentato da un punto nel piano p-V (piano di Clapeyron).
p
pA
A
VA
V
Gas perfetti
Le equazioni di stato dipendono dal gas considerato, tuttavia, tutti i gas ad elevate rarefazioni ed alte temperature
mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale (gas perfetto) che ne
riproduce il comportamento limite. Il gas perfetto si ritiene formato da un gran numero di molecole che:
• si muovono con uguale probabilità in tutte le direzioni obbedendo alle leggi della meccanica classica;
• occupano un volume trascurabile rispetto al volume totale occupato dal gas (particelle puntiformi);
• non scambiano forze tranne che durante gli urti con le altre molecole o con le pareti del recipiente, e tali urti
sono perfettamente elastici (non vi sono cioè perdite di energia cinetica).
Equazione di stato dei gas perfetti
Per i gas perfetti l’equazione di stato che lega le variabili p e V è nota come equazione di stato dei gas perfetti e
può essere ricavata sperimentalmente:
pV  nRT
R  8.314
J
K mol
Costante universale
dei gas perfetti
5. Trasformazioni termodinamiche
Trasformazioni termodinamiche
Cambiamenti di stato di un sistema, ovvero, passaggio da uno stato iniziale di equilibrio ad uno stato
finale anch’esso di equilibrio.
Trasformazioni quasi-statiche
Trasformazione costituita da una successione di stati intermedi di equilibrio (per ciascuno dei quali sono
definiti i valori delle grandezze di stato).
• Il passaggio da uno stato intermedio contiguo al successivo deve avvenire in un tempo
sufficientemente lungo.
• Possono essere rappresentate graficamente mediante una linea continua.
Trasformazioni reversibili
Una trasformazione si dice reversibile se oltre ad essere quasi-statica, non è accompagnata da processi
dissipativi (attriti, etc), ed eventuali scambi di calore con l’esterno avvengono con corpi (sorgenti) alla
stessa temperatura del sistema (al momento dello scambio).
• Una trasformazione reversibile può essere descritta in senso contrario, invertendo la sequenza
temporale degli stati di equilibrio.
Trasformazioni irreversibili
Trasformazioni che non sono quasi-statiche, o trasformazioni quasi-statiche, non reversibili.
Trasformazioni cicliche
Una trasformazione che riporta il sistema nello stato iniziale si dice ciclica.
6. Lavoro nelle trasformazioni reversibili
Lavoro e variabili di stato
Durante le trasformazioni di un sistema, questo compie frequentemente lavoro. Nelle trasformazioni
quasi-statiche o in quelle reversibili tale lavoro può essere calcolato mediante le grandezze di stato.
Per una massa gassosa contenuta in recipiente cilindrico chiuso da un pistone mobile di superficie S:
trasformazione elementare:
dL  Fdl  pSdl  pdV
trasformazione finita:
S
p
dl
B
B
A
A
L   dL   pdV
A
F  pS
B
L
V
Nel caso di più contatti energetici, per ciascuno di questi il lavoro elementare è dato dal
prodotto della relativa variabile intensiva per il differenziale della variabile estensiva
Contatto energetico
Variabili di stato
Lavoro elementare
Energia meccanica legata a forze di pressione
p, V
pdV
Scambio di materia
, n
dn
dL  pdV  dn  
7. Esperienza di Joule
Premessa
Alcune esperienze (es. quelle in cui è coinvolto l’attrito)
suggeriscono l’idea che il calore prodotto in un trasformazione
corrisponda ad una trasformazione di energia meccanica (o di
altra specie) che sembra scomparire.
Verifica
Ogni volta che una data quantità di energia meccanica (o di altra
specie) scompare mentre viene prodotto calore (senza che
contemporaneamente appaiano altre forme di energia), la
quantità di calore prodotta è sempre la stessa.
Apparato
• Un sistema di pale montate su un asse può ruotare in un
cilindro pieno d’acqua nel quale sono disposti alcuni diaframmi
fissi.
• La rotazione dell’asse è determinata dalla caduta di pesi noti e
l’energia meccanica è dissipata in calore per attrito nel liquido.
• Il calore prodotto può essere misurato e rimosso, in modo da
riportare il liquido nelle condizioni iniziali.
Trasformazione
Il sistema liquido ha subito una trasformazione ciclica durante la
quale un lavoro L è stato compiuto dall’esterno sul sistema, e una
quantità di calore Q rimossa.
Risultato
Il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L (massa dei pesi).
8. Calore ed energia
Generalizzazione dell’esperienza di Joule
Lo stesso risultato si ottiene in qualunque esperienza analoga, nella quale un sistema descrive una
trasformazione ciclica in cui lavoro viene compiuto sul sistema e calore prodotto: il rapporto L/Q resta
costante qualunque sia L .
Equivalente meccanico della caloria
Si può quindi parlare di un equivalente meccanico della caloria, indicato con J, e si può scrivere fra
lavoro speso e quantità di calore prodotta in una trasformazione ciclica la relazione :
L  JQ
J  4.1868
joule
cal
Dimensioni fisiche e unità di misura del calore
Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il joule.
Convenzione sul segno del calore scambiato dal sistema
Q0
Q0
se assorbito dal sistema
se ceduto dal sistema all’ambiente esterno
9. Primo principio della termodinamica
Un sistema termodinamico compie diverse trasformazioni (reversibili o non) dallo stesso stato iniziale A allo stesso
stato finale B. Sperimentalmente si trova che:
Il lavoro L compiuto dal sistema e il calore Q scambiato
dal sistema con l’esterno dipendono dalla trasformazione
seguita
L’energia totale scambiata con l’esterno (Q – L) non
dipende dalla trasformazione, ma solo dallo stato
iniziale A e da quello finale B della trasformazione
Lavoro e calore non sono funzioni di stato
Si può introdurre una funzione di stato U, detta energia
interna U, tale che UB – UA = Q – L
Non si può parlare di lavoro e di calore contenuti in un
corpo in un certo stato, ma solo di calore scambiato e di
lavoro compiuto dal sistema durante una trasformazione
Si può parlare di una energia totale (energia interna) del
sistema in un determinato stato termodinamico.
Enunciato
Per un sistema termodinamico esiste una funzione di stato, energia
interna, la cui variazione quando il sistema passa da uno stato A ad
uno stato B dipende solo dagli stati iniziale e finale e non dalla
trasformazione seguita: tale variazione è pari all’energia scambiata
con l’esterno tramite il flusso di calore ed il lavoro.
Espressione analitica
trasformazione finita:
U B U A  Q  L
trasformazione elementare:
dU  dQ  dL
p
A
B
V
10. Il significato del primo principio della termodinamica
Quando un sistema termodinamico compie una trasformazione da uno stato A a uno stato B, il bilancio (Q – L)
dell’energia (termica e meccanica) che esso scambia con l’ambiente non va in generale in pareggio (Q - L ≠ 0).
Lo sbilanciamento (Q – L) viene tuttavia compensato da una variazione dell’energia (interna) accumulata dal
sistema
Se l’energia complessivamente ricevuta dal
sistema è maggiore di quella ceduta (Q - L > 0)
l’energia interna aumenta di una quantità pari
proprio a Q - L.
Se l’energia estratta dal sistema è maggiore di quella
che esso ha ricevuto (Q - L < 0), la differenza è stata
fornita dal sistema, la cui energia interna è diminuita
di una pari quantità.
In definitiva il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza di
scambi di quantità di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa.
Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante.
11. Espansione libera di un gas perfetto
A
B
C
gas
vuoto
Esperienza di Joule
Un gas perfetto, inizialmente contenuto nel recipiente A,
può espandersi liberamente nel recipiente B (inizialmente
vuoto) aprendo il rubinetto C. Tutto il sistema è posto in un
bagno termometrico, termicamente isolato dall’esterno.
Risultato sperimentale
Nell’espansione libera di un gas perfetto la temperatura
resta costante
bagno
termometrico
Applicazione del primo principio
L0
Il gas si espande liberamente
Q0
Il sistema è adiabatico
U  Q  L  0  U  cost.
T  cost.
Conseguenze
• Per i gas si hanno due variabili di stato indipendenti ad
es. T, V. Quindi tutte le grandezze si posso esprimere
mediante queste variabili, in particolare U(T,V).
• Nell’espansione libera U resta costante, mentre V
varia e T resta costante.
Legge di Joule
L’energia interna di un gas perfetto è indipendente dal suo
volume, ed è funzione esclusivamente della temperatura.
U  U (T )
20. Secondo principio della termodinamica
Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore
in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non
avvengono mai nella realtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica.
Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto
diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si
equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra.
Enunciato di Kelvin
E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di
trasformare in lavoro il calore estratto da una sorgente termica.
Enunciato di Clausius
E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di
trasferire una quantità di calore da un corpo ad un altro a temperatura maggiore.
21. Il significato del 2° principio
Il 2° principio riconosce il fatto che molti processi avvengono spontaneamente in un verso ben preciso e che in tal
caso essi sono intrinsecamente irreversibili, nel senso che non è possibile realizzare una combinazione di processi
naturali che ripristini esattamente lo stato iniziale del sistema.
Esempio 1
Il passaggio di quantità di calore da un corpo caldo a un corpo freddo avviene
spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo ed il II principio afferma l’impossibilità di
invertire il processo.
T1
T2
Esempio 2
In un pendolo portato fuori dalla posizione di equilibrio e lasciato a se stesso, il processo
naturale è quello delle oscillazioni smorzate fino al ritorno all’equilibrio (quiete), con
produzione di calore per attrito e resistenze passive. Il processo non può avvenire in verso
opposto: esso richiederebbe un lavoro ottenuto per trasformazione di quantità di calore
prelevate dall’ambiente (sorgente a T cost.) e ciò è vietato dal II principio.
Trasformazioni reali
In una qualsiasi trasformazione reale c’è sempre trasformazione di una quantità di energia di altra specie in
calore: esse risultano irreversibili giacché, per il II principio, la trasformazione inversa non può essere realizzata.
Le limitazioni espresse dal II principio sono legate alle cause che rendono i processi reali irreversibili e che di
conseguenza fissano il verso delle trasformazioni spontanee dei sistemi.
22. Trasformazioni reversibili
Caratteristica delle trasformazioni reversibili elementari
1.
La quantità di calore elementare dQ che il sistema riceve è pari a quella fornita dalle sorgente
esterna, non c’è produzione di calore nel sistema per fenomeni dissipativi di attrito (non c’è
trasformazione di energia di altro genere in calore).
2.
La temperatura del sistema in questo processo coincide con quella della sorgente esterna (uno
scambio di calore con differenza di temperatura fra sorgente e sistema genera fenomeni
irreversibili, ad es. differenze di temperatura fra le parti del sistema).
T
T
sorgente
dQ
dQ
sistema
Trasformazioni reversibili (finite)
Una trasformazione reversibile da uno stato A ad uno B può essere considerata come la somma di tante
trasformazioni reversibili elementari in cui il sistema, alla stessa temperatura T della sorgente esterna,
scambia con questa una quantità di calore dQ .
La temperatura e la quantità di calore possono variare da trasformazione elementare a trasformazione
elementare, ma in ogni trasformazione elementare la temperatura della sorgente e del sistema è la stessa
e la quantità di calore assorbita dal sistema è uguale a quella ceduta dalla sorgente.
dQ1
A
Ti
Ti
dQ2
T1
sorgente
dQi
T2
Ti
B
dQi
dQi
sistema
23. Entropia
Entropia
Il calore Q non è una funzione di stato: fissati gli stati iniziale e finale del sistema il calore scambiato dal sistema
con l’ambiente esterno dipende dalla particolare trasformazione fra questi stati.
La somma delle quantità dQ/T, lungo tutta una trasformazione reversibile, è invece indipendente dalla
trasformazione e dipende solo dallo stato iniziale e dallo stato finale. E’ possibile allora introdurre una funzione
di stato, l’entropia S, definita in modo che la sua variazione fra due stati sia uguale a quella sommatoria:
 dQ 
SB  S A   

T  rev
A
 dQ 
dS  

 T  rev
B
In termini differenziali
A
dQi
Ti
dQ1
T1
dQ2
T2
dQn
Tn
dQ3
T3
B
B
dQi
 dQ 
lim 
 

n 
T  rev
i 1 Ti
A
n
24. Trasformazioni irreversibili e Disequazione di Clausius
Caratteristica delle trasformazioni irreversibili elementari
1.
Esistenza di processi dissipativi, come l’attrito, che provocano trasformazioni di energia meccanica, elettrica,
ecc., in energia termica (calore).
La quantità di calore totale dQtot ricevuta dal sistema è pari alla somma di quella ricevuta dalla sorgente
esterna (dQest) e quella prodotta (dQdiss > 0) nel suo interno per trasformazioni di altri tipi di energia.
2.
Esistenza di una differenza di temperatura fra sorgente e sistema.
La temperatura della sorgente (Tsorg) è maggiore di quella del sistema (Tsist), se le quantità di calore sono
cedute al sistema, è invece minore, se le quantità di calore sono cedute dal sistema.
Disequazione di Clausius
 dQ 
SB  S A   

T
irr
A
B
T+T
T
dQest
dQest
sorgente
sistema
dQdiss
 dQ 
dS  

T

irr
26. Entropia nei sistemi isolati
Nelle trasformazioni reversibili l’entropia di un sistema isolato (dQ=0) resta costante:
 dQ 
SB  S A   

T  rev
A
B
dQ  0  S B  S A  0  S B  S A
Nelle trasformazioni irreversibili l’entropia di un sistema isolato (dQ=0) aumenta:
 dQ 
SB  S A   

T irr
A
B
dQ  0  S B  S A  0  S B  S A
Il sistema e l’ambiente esterno (universo) costituiscono un sistema isolato.
Siccome le trasformazioni reali sono tutte irreversibili si può dire che “le trasformazioni avvengono
spontaneamente nel verso per cui l’entropia dell’universo aumenta, e non possono avvenire mai
spontaneamente nel verso opposto provocando una diminuzione di entropia dell’universo”.
Se per il primo principio della termodinamica, l’energia dell’universo è costante, il secondo principio della
termodinamica equivale ad affermare che l’entropia dell’universo cresce continuamente (o al massimo resta
costante per trasformazioni reversibili).
27. Integrale di Clausius ed Entropia
B
S B  S A rev
B
S B  S A irr
A
 dQ 
  T rev
A

 dQ 
  T irr
A

irrev.
rev.
rev.
B
29. Potenziali termodinamici
2 principio
1 principio
dU  dQ  dL  dQ  pdV  dn
dS  dQ / T
dU  TdS  pdV  dn  dU  TdS  pdV  dn  0
S, p, n costanti
 dQ  TdS
espressione combinata
del 1° e 2° principio
H = entalpia
(T,S; p,V; ,n)
dU  pdV  0  d (U  pV )  0
H  U  pV
dH  0
a S, p, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua entalpia H sia minima
T, p, n costanti
(T,S; p,V; ,n)
dU  PdV  TdS  0  d (U  PV  TS )  0
G = energia libera di Gibbs
G  U  PV  TS
a T, p, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia libera G sia minima
dG  0
espressione combinata
del 1° e 2° principio
dU  TdS  pdV  dn  dU  TdS  pdV  dn  0
T, V, n costanti
A = energia libera di Helmoltz
(T,S; p,V; ,n)
dU  TdS  0  d (U  TS )  0
A  U  TS
dA  0
a T, V, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia libera A sia minima
S, V, n costanti
(T,S; p,V; ,n)
U = energia interna
dU  0
a S, V, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia interna U sia minima
Capitolo 6:
Elementi di
ELETTROMAGNETISMO
6.1 - Campo elettrico e campo magnetico
6.2 - Onde elettromagnetiche
6.3 - Le radiazioni in medicina
6.1
Campo elettrico e campo magnetico
1. Carica elettrica, legge di Coulomb
Particelle elementari
Particella
Protone
Neutrone
Elettrone
Massa (kg)
mp = 1.6725210- 27
mn = 1.6748210- 27
me = 0.9109110- 30
Dimensioni (m)
 10- 15
 10- 15
< 10- 16
Carica elettrica (coulomb, C)
e = 1.610-19
0
-e = -1.610-19
Interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (legge di Coulomb):
 el
qq
1 q1q2
f12  K 1 2 2 rˆ12 
rˆ12
r
4 0 r 2
(K = 9109 Nm2C-2)
q1

r12  r r̂12
q2
0 = costante dielettrica del vuoto
Legge di Newton
 gr
mm
f12   G 1 2 2 r̂12
r
(G = 6.710-11 Nm2kg-2)
m1

r12  r r̂12
m2
Confronto: atomo di idrogeno
el
12
gr
12
f
f

19 2
K e
9  10
(1.6  10 )

 1039
11
 27
 30
G m p me 6.7  10 1.67  10  0.91  10
2
9
r  0.5  1010 m
prot.
elettr.
2. Campo elettrico
Una carica puntiforme Q (ferma in un sistema inerziale) esercita su una carica q0 molto piccola posta nelle sue
vicinanze (carica di prova) una forza proporzionale alla carica elettrica di prova q0 :

1 Qq0
F
rˆ
2
4 0 r
Q

r  r rˆ
q0
Il rapporto fra questa forza e il valore della carica di prova è allora indipendente dalla carica di prova, e dipende
solo dalla carica Q e dalla posizione occupata dalla carica di prova. Questo rapporto definisce il vettore campo
elettrico generato dalla carica Q (detta sorgente del campo) nella posizione considerata:

 
F
1 Q
ˆ

r  E0 (r )
q0 4π 0 r 2
Nel caso in cui la sorgente del campo non sia una carica puntiforme, ma un insieme discreto o una distribuzione
continua di cariche (ferme in un sistema inerziale), il campo si definisce allo stesso modo, considerando la somma
vettoriale dei vettori forza generati da ciascuna carica e utilizzando, però, una carica di prova molto piccola
(infinitesima), in modo da produrre una perturbazione trascurabile nella configurazione delle cariche circostanti:


F
E  lim
q 0 q
La carica di prova può infatti provocare spostamenti macroscopici delle cariche presenti su un conduttore (fenomeno
dell’induzione elettrostatica) o modificazioni localizzate nelle distribuzioni di cariche negli isolanti (fenomeno della
polarizzazione).
4. Potenziale elettrico
Potenziale elettrico generato da una carica puntiforme Q
In ogni punto dello spazio possiamo definire una energia potenziale per unità di carica, indicata con
V(x,y,z,) e detta potenziale elettrico, utilizzando la relazione:
P 

 
 E0  dl  V ( P0 )  V ( P)  V ( P)    E0  dl  V ( P0 )
P
P0
P0
Scegliamo P0 infinitamente lontano dalla carica sorgente Q, dove la forza elettrostatica ed il campo
elettrico si annullano, e poniamo nulla l’energia potenziale in questo punto:
P0  P ; r0  
V ( P0 )  V ()  0
Risulta:


 Q 1
Q 1
1 Q
  V () 
V ( P)    E0  dl  V ( P0 )  

4 0 r
 4 0 r0 4 0 r 
P0
P
Unità di misura
joule
 volt (V )
coulomb
Q
r
P
7. Corrente elettrica
Corrente elettrica
Se un conduttore metallico è immerso in un campo
elettrico si stabilisce ai sui capi una differenza di
potenziale V=VA-VB e le cariche libere (di conduzione)
presenti nel conduttore sono soggette ad una forza qE. Si
stabilisce allora un moto ordinato di cariche nella
direzione del campo che prende il nome di corrente
elettrica.
Intensità di corrente elettrica
Si definisce intensità di corrente il rapporto fra la carica
dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel
tempo dt, e l’intervallo dt stesso:
dQ
I
dt
Generatori
Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenere
costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore.
In questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel
tempo (corrente stazionaria I ).

E
+
+
+
+
+
+
+


F  qE
VA
VB
VA
VB
I
Unità di misura
coulomb
 ampere (A)
s
-
A
+
-
B
8. Legge di Ohm
R
Legge di Ohm
In condizioni stazionarie, per una vasta varietà di conduttori
(conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità
fra V e I:
I
V  RI
Schema di un semplice circuito
costituito da un conduttore di
resistenza R e da un generatore
di forza elettromotrice
La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza
elettrica del conduttore.
Resistenze in serie
R
R1
VA  VB VA  VC VC  VB


 R1  R2
I
I
I
I
C
A
I1
Resistenze in parallelo
1
I
I I
I1
I2
1 1

 1 2 

 
R VA  VB VA  VB VA  VB VA  VB R1 R2
-
+
R2
B
R1
I
A
B
I2
R2
9. Campo magnetico
Osservazioni sperimentali
In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti
fermi e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità
v. Si osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza:
•
•
•
•
•
dipendente dalla posizione
perpendicolare alla velocità
modulo proporzionale alla carca q
modulo proporzionale al modulo v della velocità
in ogni posizione, il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è
sempre una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la
forza è massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla
q

v
I
+
-
Forza di Lorentz e campo magnetico
Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B0 (detto campo
magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F
(detta forza di Lorentz) data dalla legge:

 
F  qv  B0 ( x, y, z )
Unità di misura del campo magnetico
NC 1m1s  tesla (T )
13. Campi elettrici e magnetici variabili nel tempo
Fenomeno dell’induzione elettromagnetica
Una spira conduttrice (non alimentata) immersa in un campo magnetico viene percorsa
da corrente elettrica quando:
- è ferma in un campo magnetico variabile nel tempo
- è in moto in un campo magnetico costante nel tempo e non uniforme nello spazio
- è in moto non traslatorio in un campo magnetico costante e uniforme
Legge di Faraday (terza equazione di Maxwell)
Un campo magnetico B0 variabile nel tempo genera un campo elettrico (campo
elettromotore indotto Ei), tale che “la circuitazione di Ei lungo una linea chiusa
orientata l è pari alla derivata rispetto al tempo, cambiata di segno, del flusso del
campo magnetico B0 attraverso una qualsiasi superficie S che ammette l come
contorno”.
 
d  
l E  dl  - dt SB  d S

E

B
S

E
Quarta equazione di Maxwell
Un campo elettrico E0 variabile nel tempo genera un campo magnetico B0 tale che “la circuitazione di B0
lungo una qualsiasi linea chiusa orientata l è pari al prodotto di 0 per la somma algebrica delle intensità
delle correnti concatenate con la linea, inclusa la corrente di spostamento data dal flusso della derivata
temporale di 0E0 attraverso una qualsiasi superficie S che ammette l come contorno”.

 

E0  
l B  dl  0  I   0 S t  dS 
6.2
Onde elettromagnetiche
1. Onde elettromagnetiche
Onde elettromagnetiche
Il campo elettromagnetico può
propagarsi nel vuoto sotto
forma di onde trasversali (onde
elettromagnetiche): il campo
elettrico e magnetico oscillano
mantenendosi perpendicolari
fra loro e alla direzione di
propagazione dell’onda.
T

c

1 c

T 
Velocità della luce
La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale:
c  3 108 m / s
Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla Terra alla Luna, 384400 km, la luce impiega circa 1,2808886126
secondi considerando la distanza media centro Terra/centro Luna.
Indice di rifrazione di un mezzo
In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il
nome di indice di rifrazione del mezzo:
n
c
v
2. Il fotone
Il fotone
L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella
elementare, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica e il mediatore dell’interazione
elettromagnetica.
• L’energia E trasportata da un’onda elettromagnetica monocromatica di
frequenza  può assumere solo valori discreti, multipli interi di un valore
elementare , l’energia del fotone, proporzionale alla frequenza dell’onda:
E  n
  h
h  6.62 1034 J  s
(h = costante di Planck)
• Quando interagisce con un altro sistema, un’onda elettromagnetica di frequenza
 può soltanto cedere o ricevere una quantità di energia che sia un multiplo
intero dell’energia h del fotone. Le onde elettromagnetiche vengono quindi
emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni:
– L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello
fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (energia En), cedendogli tutta
la propria energia:
En  E1  h
– Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La
diseccitazione può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi
a livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati i e j (di
energia Ei ed Ej, con Ei > Ej) corrisponde l’emissione di un fotone la cui energia è
pari alla differenza di energia dei livelli fra cui avviene la transizione:
h  Ei  E j
3. Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone
Lunghezza d’onda 
La lunghezza d’onda  si esprime tipicamente in metri.
Frequenza
1 c
 
T 

108
( Hz)  3 
(m)
L’elettronvolt
1 eV  1.6 1019 coulomb 1volt  1.6 1019 J
6.62 1034
15
h
eV

s

4.14

10
eV  s
19
1.6 10
Energia
E  h
hc
E  h 

E (eV )  4.14 1015  ( Hz)


3 108 m / s  4.14 1015 eV  s
E (eV ) 
(m)
106
 E (eV )  1.24
(m)
4. Lo spettro delle onde elettromagnetiche
6.3
Le radiazioni in Medicina
(da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )
1 Le microonde

 (Hz)
E
1 m - 1 mm
300 MHz - 300 GHz
≈ 1 eV - 1 meV
Produzione
Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici
(klystron, magnetron)
Interazione con la materia
Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto
causa, per attrito, il riscaldamento del materiale stesso.
Assorbimento nei tessuti
L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale:
I ( x)  I 0 e
x / D
I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo
I0 = intensità incidente sulla superficie
D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63%
della radiazione incidente
Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla
quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente
è determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde con il
momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo riorienamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un
assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con
produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in
tessuti con differente contenuto di acqua.
2 Effetti biologici ed applicazioni delle microonde
Effetti biologici
L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia).
Utilizzo a scopo terapeutico
L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché
queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di
zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti,
borsiti e lesioni muscolari.
Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con  pari a circa 2450 MHz) che sono
indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che
permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal
corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle.
Danno biologico
La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi
pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi
di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che
può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2).
Altre applicazioni
• Comunicazioni satellitari
• Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi
• Radar
• Forno a microonde
3 La radiazione infrarossa

 (Hz)
E
1 mm – 0.7 m
3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz
1.24 · meV – 1.77 eV
Produzione:
Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura.
Emissione termica
Nella materia il moto di agitazione termica genera:
• un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde
elettromagnetiche.
• transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di
diseccitazione vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici.
Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien:
Legge di Stefan
L’energia radiante emessa in un secondo da un
elemento di area unitaria della superficie di un corpo è
direttamente proporzionale alla quarta potenza della
temperatura assoluta ( = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4):
I  T 4
Legge di Wien
La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge
il massimo d’intensità è inversamente proporzionale
alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K):
 max  kT 1
• La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per
1 pm ≤  ≤ 1 nm si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle
(sorgenti X stellari).
• Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica
nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25
∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1
• Quando un metallo viene riscaldato diventa luminoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel
visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio e al bianco, man mano che si
aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze
d’onda minori all’aumentare di T.
• Il Sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa
T=5800 K, a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile (più esattamente nel giallo).
sole
lampadina
lampada da
infrarosso
4 Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa
Effetti biologici
Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma di calore. L’effetto della radiazione sul corpo
umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e
particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso.
• per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm
• il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide
Utilizzo a scopo terapeutico
L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo
umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari.
• Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta
temperatura (3000 K).
• Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un
riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi
per conduzione.
Utilizzo per scopo diagnostico
Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della
superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di
radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile:
• Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura
superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo
modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue.
• Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo scheletrico) o un tumore (della pelle, della
mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a
quella del tessuto sano circostante.
Altre applicazioni
• Visione notturna
5 La radiazione visibile

 (Hz)
E
0.7 m – 0.4 m
4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz
1.77 eV – 3.1 eV
La luce
Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla
porzione dello spettro elettromagnetico visibile
dall'occhio umano, ed è approssimativamente
compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza
d'onda.
I colori
Le differenti lunghezze d'onda vengono
interpretate dal cervello come colori, che vanno
dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori
(frequenze più basse), al violetto delle
lunghezze d'onda minori (frequenze più alte).
Ottica
6 La radiazione ultravioletta (UV)


E
0.4 m - 10 nm
7.5 · 1014 - 3 · 1016 Hz
3.1 eV - 124 eV
Sottoclassificazione
regione
UVA
UVB
UVC

400-315 nm
315-280 nm
280-100 nm
Produzione
• Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura.
• Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne).
• Lampade a fluorescenza, lampade UVA.
• Radiazione solare.
Lampade a fluorescenza. In medicina si usano
lampade contenenti un tubo di quarzo (che,
contrariamente al vetro, è trasparente agli UV),
contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da
scariche elettriche, emette diseccitandosi una
serie di righe nella regione spettrale del violetto
e dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha
 = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da
opportuni fosfori che si eccitano proprio per una
 di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno
spettro continuo con 270 ≤  ≤ 400 nm.
Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il
cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm.
7 Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta
Interazione con la materia
L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o
addirittura la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia,
questa radiazione è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici.
Effetti biologici sulla pelle
L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette (in prevalenza UVB) produce un eritema (dilatazione dei vasi
sanguigni dovuta a sostanze prodotte dalla radiazione), seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento
che si deposita nei tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti).
Per  inferiori a 320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle.
Effetti biologici sugli occhi
Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e
dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul
ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea.
Attivazione della sintesi della vitamina D
Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito
all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm.
Azione battericida
Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per  ≈ 260 nm e si estende fino a
circa 360 nm), conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche.
Trattamento dell’epidermide in dermatologia
Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm
Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre
Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con  < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che
viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con  compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta
assorbite dall’ozono stesso.
8 Raggi X

 (Hz)
E
10 nm - 1 pm
3 · 1016 - 3 · 1020 Hz
124 · eV - 1.24 MeV
Produzione
• Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore.
• Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono
presenti al massimo raggi UV. Questo perché la differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli
elettroni di valenza e gli stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X.
1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni.
2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può
ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi ad alta energia possono generare raggi X se vengono
bruscamente frenati.
9 La radiazione di frenamento
• Un elettrone di elevata energia cinetica, ottenuto per esempio accelerandolo per mezzo di una elevata d.d.p.,
viene fatto urtare su una lastra di un materiale metallico (bersaglio).
• Se l’elettrone interagisce con il nucleo di un atomo del bersaglio subisce una forte decelerazione.
• Quando una carica è soggetta ad una forte accelerazione irraggia energia sotto forma di radiazione
elettromagnetica di elevata frequenza (fotoni X), a spese della sua energia cinetica.
• Questo processo si può ripetere più volte fino all’esaurimento dell’energia dell’elettrone incidente, con
conseguente emissione di un certo numero di fotoni, con frequenze variabili.
• Quindi lo spettro dei fotoni X emessi per
frenamento è continuo, con una frequenza
massima corrispondente al processo in cui
tutta l’energia cinetica dell’elettrone
incidente viene trasformata in un unico
fotone nel primo processo d’urto che esso
subisce.
10 Raggi X caratteristici
• Se l’elettrone energetico incidente interagisce con un elettrone di un orbitale interno di un atomo del bersaglio può
avere sufficiente energia da espellerlo per urto.
• L’orbitale lasciato libero dall’elettrone interno viene subito riempito da un elettrone di un orbitale più esterno se il
salto energetico è permesso.
• In tale transizione viene quindi emesso un fotone X di ben definita energia hn uguale alla differenza di energia tra i
due livelli (orbitali) coinvolti.
• Allo spettro continuo di frenamento si
sovrappone quindi una emissione di fotoni X
ad energie ben definite, cioè uno spettro a
picchi molto stretti (righe). Le corrispondenti
lunghezze d’onda sono determinate dalle
energie dei livelli atomi coinvolti e quindi dal
tipo di materiale usato come bersaglio
(raggi X caratteristici).
17 I raggi X in diagnostica medica
L’immagine radiologica
• La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica:
un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano
viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un
massimo (minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo).
• L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile:
Radioscopia
Si intercetta il fascio di raggi X emergente dal corpo mediante uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione
all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più
opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione).
Radiografia
Il fascio di raggi X emergente impressiona una pellicola fotografica “sensibile ai raggi X”. Si produce un’immagine
negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare
rappresentano le ombre di oggetti più opachi.
18 Raggi 

 (Hz)
E
< 1 pm
> 3 · 1020 Hz
> 1.24 MeV
Produzione
• Decadimento di nuclei radioattivi.
• Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie
superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori.
Interazione con la materia
A causa della loro elevata energia, i fotoni  provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale
attraversato mediante gli stessi meccanismi validi nel caso dei raggi X, cui si aggiunge l’effetto cumulativo
determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno
sciame elettromagnetico di fotoni e particelle.
Effetti sui sistemi biologici
• La produzione di ioni nei sistemi biologici consiste nella formazione di radicali liberi dall’acqua e da molecole
organiche.
• Il danno biologico da radiazione ionizzanti si esplica proprio tramite l’azione chimica dei radicali liberi, i quali
rilasciano la loro energia rompendo i legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in particolare quelli
del DNA.
• Il danno può causare la disfunzione di cellule con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare anche
alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione).
• I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro
discendenti (danni genetici ereditari).
• Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici
(organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolati del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il
cristallino e la pelle.
19 Utilizzo della radiazione  a scopo diagnostico
I radionuclidi sono utilizzati come segnalatori della distribuzione topografica di particolari atomi, molecole, cellule
all’interno dell’organismo: quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e
partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo. La sua maggiore concentrazione in
determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo
interessato, da cui trarre una diagnosi. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la
sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi.
• Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide.
La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la
tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto
con la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità
di iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I. La misura può essere
effettuata :
− contando il numero di emissioni b- e  per un tempo prefissato (misura integrale di radioattività)
− misurando la distribuzione geometrica della radioattività, ottenendo un’immagine dell’organo interessato
(scintigrafia).
• Sostituzione di un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: assorbimento idrico di una pianta.
Si utilizza l’acqua marcata con trizio, cioè acqua in cui alcune molecole hanno un atomo di H sostituito con il suo
isotopo radioattivo trizio (3H). Quando la pianta ha le radici immerse in acqua marcata, la misura della radioattività
nelle foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico.
• Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina.
Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si
impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello
della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio:
si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad
essa molto simile nel comportamento biologico.
• Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue
In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg
20 Utilizzo della radiazione  a scopo terapeutico
numero di cellule sopravissute
Utilizzo a scopo terapeutico
Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti
malati (cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le
cellule normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento
radiante, per dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni
ai tessuti sani.
L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi:
• Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati
nella zona del tumore per periodi di tempo programmati (brachiterapia)
• I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla
zona da trattare (cobaltoterapia).