Università degli Studi di Perugia Facoltà di Medicina e Chirurgia Fisica (Corso di Recupero) Dott. Andrea Calandra Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso: D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises. Capitolo 1: INTRODUZIONE 1.1 - Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura 1 1.2 - Elementi di algebra vettoriale 1 Capitolo 2: MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI 2.1 - Cinematica del punto materiale 2 2.2 - Dinamica del punto materiale 3 2.3 - Lavoro ed energia 3 2.4 - Meccanica dei sistemi e leve 4 Capitolo 3: MECCANICA DEI FLUIDI 3.1 - Stati di aggregazione della materia. I fluidi 5 3.2 - Statica dei fluidi 5 3.3 - Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue 5/6 Capitolo 4: ONDE IN MEZZI ELASTICI 4.1 - Onde in mezzi elastici 7 4.2 - Il suono e l’orecchio umano 8 4.3 - Gli ultrasuoni in medicina 8 Capitolo 5: TERMOLOGIA 5.1 – Calorimetria 9 5.2 - Termoregolazione del corpo umano 9 5.3 – Termodinamica 10 Capitolo 6: ELERROMAGNETISMO 6.1 - Interazioni elettriche e magnetiche 11 6.2 - Onde elettromagnetiche 11 6.3 - Le radiazioni in medicina 12 Capitolo 1: INTRODUZIONE 1.1 - Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura 1.2 - Elementi di algebra vettoriale 1.1 Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura 1. Le origini della fisica Etimologia (greco) La parola Fisica deriva dal Greco physis – φύσις che appartiene alla radice phyo (φύω) (genero, cresco). Il termine physis indica dunque la totalità delle cose che nascono ed esistono nel loro divenire. Tale termine fu coniato da Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) per indicare un complesso di attività intellettuali che aveva il suo centro di interesse nell’osservazione, nello studio e nell’interpretazione dei fenomeni naturali (filosofia della natura). Traduzione latina da: Umberto Garimberti, “Il gioco delle opinioni” Feltrinelli Il latini tradussero la parola physis con “natura”, che deriva dalla radice latina gna (in greco gen), che significa “generazione”, da cui origina il verbo latino nasci (nascere, trarre origine), dove c’è il senso di ciò che genera e fa scaturire da sé. La natura è l’originario manifestarsi delle cose, il loro farsi luce. Etimologia (indoeuropeo) da: Emanuele Severino, La filosofia antica La parola greca physis è costruita sulla radice indoeuropea bhu, che significa essere, strettamente legata alla radice bha, che significa luce. La parola physis significa allora “essere” e ”luce”, cioè l’essere nel suo manifestarsi. Per i primi filosofi la physis è il Tutto, è l'essere che si mostra illuminato, dunque visibile e dunque comprensibile. Si pretende di spiegare tale realtà senza gli impacci, i fraintendimenti e i veli del mito, delle presenze determinanti degli dei e degli esseri sovrannaturali. Eliminata, nella ricerca dell'interpretazione razionale del Tutto, ogni sovrastruttura mitica, resta la physis, la natura. Origini La Fisica trae le sue origini dall’antica filosofia greca. Le intuizioni di Talete e Democrito sulla materia e sul cosmo, il libro di Aristotele “Physica” sul moto dei corpi, e le concezioni astronomiche di Tolomeo sono i primi esempi di teorie della natura. Ritratto di Aristotele, conservato a Palazzo Altaemps, Roma. Marmo, copia romana di un originale greco di Lisippo (330 a.C. ca.); il mantello in alabastro è un'aggiunta moderna. Dalla collezione Ludovisi. La prima pagina della Fisica di Aristotele tratta dall'edizione di Bekker (1837). 2. Il campo di indagine della Fisica Scopo La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che vi è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste leggi derivano. Il metodo scientifico ll metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso è stato applicato e codificato da Galileo Galilei nella prima metà del XVII secolo. Si basa sulle osservazioni sperimentali le quali, associate alla intuizione, servono a riconoscere gli elementi fondamentali e caratteristici di un fenomeno ed a formulare ipotesi sulla natura del processo (metodo induttivo) che devono essere sottoposte al vaglio della verifica sperimentale. L’attendibilità delle ipotesi e delle loro conseguenze logiche (teorie) dipende non solo dal successo che esse consentono di ottenere nella interpretazione del fenomeno in esame, ma anche, e specialmente, dalla conferma sperimentale di altre previsioni che si possono dedurre dallo schema teorico (metodo deduttivo). Il metodo scientifico consiste in un continuo alternarsi di osservazioni sperimentali e di attività speculativa dello scienziato (metodo induttivo e metodo deduttivo). Corso di Epistemologia Osservazione Individuazione della problematica Ipotesi Previsione da verificare Esperimenti per verificare la previsione Risultati Analisi e Interpretazione dei risultati L’ipotesi non è confermata L’ipotesi è confermata legge Unificazione di leggi simili in una teoria di validità generale Principi Previsione di nuovi fenomeni naturali Esperimenti ulteriori suggeriti dai risultati 3. Fisica Classica e Fisica Moderna La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali: Meccanica - Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto. - Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano. - Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali configurazioni si realizzano. Termodinamica Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi, costituiti da un grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i quali i metodi della meccanica risultano inefficaci. Elettromagnetismo Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni. *** La fisica moderna (sviluppata a partire dal XX secolo) studia tutti quei fenomeni che avvengono su scala atomica e subatomica, e tutti quei fenomeni che implicano velocità prossime a quelle della luce. Le teorie principali che la costituiscono sono: Meccanica quantistica Studio e interpretazione dei fenomeni che avvengono su scala atomica e subatomica. Relatività ristretta Studio e interpretazione di fenomeni che implicano velocità confrontabili con la velocità della luce. 4. Grandezze fisiche Definizione Grandezze che intervengono nelle relazioni e nelle leggi fisiche. Una grandezza fisica, per essere tale, deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le operazioni che conducono alla sua determinazione numerica. Una grandezza fisica è definita quando: - sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e differenza); - sia fissata una unità di misura. *** Grandezze Scalari Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta. Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura. Grandezze vettoriali Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della grandezza), una direzione ed un verso; ovvero grandezze determinate da un numero di parametri scalari (componenti del vettore) pari alla dimensionalità dello spazio (3). Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico. Grandezze tensoriali di ordine n: grandezze determinate da dn parametri scalari ove d è la dimensionalità dello spazio. Esempi: tensore degli sforzi, tensore di inerzia, polarizzazione elettrica. 5. Sistemi di unità di misura Grandezze fondamentali: grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un campione. Grandezze derivate: grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze alle grandezze fondamentali. Criteri di scelta delle grandezze fondamentali: • Grandezze scelte siano facilmente misurabili. • Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo. *** Sistema di unità di misura: Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni), in numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate) mediante le unità delle grandezze fondamentali. Sistemi di unità più diffusi: • Sistema Internazionale • Sistema c.g.s. • Sistema di Gauss • Sistema tecnico o degli ingegneri 6. Sistema Internazionale Grandezza fondamentale Unità SI Nome Simbolo Intervallo di tempo (Tempo) secondo s Lunghezza metro m Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo (1/ 299.792.458 )s. Massa kilogrammo kg Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e misure di Sevres . Temperatura termodinamica kelvin K Frazione 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua. A Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza. cd Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante. mol Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle Intensità di corrente elettrica Intensità luminosa Quantità di sostanza ampere candela mole Definizione Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133. Grandezze fondamentali supplementari Angolo piano radiante rad Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di lunghezza uguale a quella del raggio Angolo solido steradiante sr Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio 7. Il radiante Il radiante sR 1 rad s R Misura degli angoli in radianti (radianti ) s R angolo giro : 2R 2 R 2R / 2 angolo piatto : R 2R / 4 angolo retto : R 2 s R 8. Multipli e sottomultipli fattore di moltiplicazione Distanza che la radiazione cosmica ≈ 1026 m di fondo ha percorso dal Big Bang Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m Raggio classico del protone ≈ 10-15 m Dimensione di un quark ≈ 10-21 m prefisso Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg Massa del sole = 2 × 1030 kg 24 10 10 21 10 18 10 15 10 12 10 9 10 6 10 3 10 2 10 1 10 -1 10 -2 10 -3 10 -6 10 -9 10 -12 10 -15 10 -18 10 -21 10 -24 yotta zetta exa peta tera giga mega chilo etto deca deci centi milli micro nano pico femto atto zepto yocto Lunghezza di Planck = 1,616 252 × metri (la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico) 10-35 simbolo Y Z E P T G M k h da d c m µ n p f a z y Massa della terra = 6 × 1024 kg Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg 1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg (1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio) (≈ massa dell'atomo di idrogeno) Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg 9. Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali Equazione dimensionale Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A: [ A] [ F1n1 F2n2 F3n3 ] Esempi: velocità ed accelerazione [v] [ L1T 1 ] [a] [ L1T 2 ] Dimensioni fisiche I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , … Unità di misura delle grandezza derivate L’unità di misura delle grandezze derivate si ottiene immediatamente dall’equazione dimensionale: è il prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale. Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2. Prodotto di grandezze fisiche Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole dell’algebra. A mal t [ A] [ M ][ LT 2 ][ L][T 1 ] [ MLT 2 LT 1 ] [ ML2T 3 ] Unità : kg∙m2∙s-3 (watt) 10. Analisi dimensionale Analisi dimensionale I due membri di un’equazione fisica e tutti gli addendi che appaiono in ciascun membro di tale equazione devono avere le stesse dimensioni fisiche. L’analisi dimensionale è un supporto fondamentale per la verifica della correttezza di un’equazione o del risultato di un problema. ESERCIZIO Un punto materiale lanciato verso l’alto con velocità vo raggiunge la massima quota h data da (g = accelerazione di gravità): vo2 h 2g Verificare che questa equazione è dimensionalmente corretta. vo2 L / T 2 L2T 2 L 2 2 2 g L / T LT 1.2 Elementi di algebra vettoriale 1. Definizione di vettore e sua rappresentazione Definizione Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo) Rappresentazione Può essere rappresentato da un segmento orientato AB: direzione = quella della retta che congiunge A e B verso = quello che porta da A a B lungo tale retta modulo = lunghezza del segmento AB Denotazione Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta, o con una freccia al di sopra di una lettera, o con una lettera in grassetto: B AB v v v Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v AB v A 2. Componente di un vettore rispetto ad una retta orientata Definizione Dato un vettore v e una retta orientata x si definisce componente di v rispetto a x e si indica con vx la grandezza scalare vx A' B' v cos xB xA B v A A’ xA B’ xB x 1° caso v A A’ xA 0 B B’ xB x vx A' B' v cos xB xA A' B' è concorde all ' asse x 0 cos 1 xB xA vx vx max v B v 2° caso 0 90 A A’ xA B’ xB x vx A' B' v cos xB xA A' B' è concorde all'asse x 0 90 0 cos 1 x B xA vx 0 B 3° caso v 90 A A’=B’ xA xB x vx A' B' v cos xB xA A' B' 90 cos 0 xB xA vx 0 B v 4° caso 90 180 A B’ xB A’ xA x vx A' B' v cos xB xA A' B' ha verso opposto all ' asse x 90 180 1 cos 0 xB xA vx 0 v 180 B A B’ A’ xA xB 5° caso x vx A' B' v cos xB xA A' B' è discorde all ' asse x 180 cos 1 xB xA vx vx mni v vx A' B' v cos xB xA B B B A B A A A B A A ’ B’ A ’ B’ A’=B’ B’ B’ A ’ xA xB xA xB xA xB A ’ xB xA xB xA vx vx max v A' B' conc. x 0 cos 1 xB xA vx 0 A' B' conc. x 0 90 0 cos 1 xB xA vx 0 A' B' 90 cos 0 xB xA vx 0 A' B' disc. x 90 180 1 cos 0 xB xA vx vx min v A' B' disc. x 180 cos 1 xB xA x 3. Componenti di un vettore rispetto ad una coppia/terna cartesiana A ( xA , y A ) y B ( xB , y B ) B yB yA v A xA v (v x , v y ) vx xB xA v y yB yA xB x Un vettore si può anche rappresentare elencando le sue componenti cartesiane v AB ( xB xA ) 2 ( yB yA ) 2 vx2 v y2 Il modulo di un vettore è pari alla radice quadrata della somma dei quadrati delle componenti z A ( xA , y A , z A ) zB B ( xB , y B , z B ) B v x xB xA v y yB yA v z z B z A v zA A yA yB y xA xB x v (vx , v y , vz ) v AB ( xB x A ) 2 ( yB y A ) 2 ( z B z A ) 2 vx2 v y2 vz2 4. Somma di n vettori Definizione Dati n vettori si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi, il secondo nell’estremo del primo, il terzo nell’estremo del secondo e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo. Si definisce risultante o somma degli n vettori e si indica con il simbolo R v1 v2 vn il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore v2 v3 vn 1 v1 R vn Somma di due vettori: regola del parallelogramma v2 v1 v2 v1 v1 v2 Proprietà La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione. 5. Prodotto di un vettore per uno scalare Definizione Dato un vettore v ed uno scalare a si definisce prodotto di v per a e si indica con av il vettore con: direzione = quella del vettore v verso = il verso di v se a è positivo, quello opposto se a è negativo modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v Esempi v 2v 2v v 2 1v v 7. Differenza fra due vettori Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce differenza fra v2 e v1 e si indica con v2 – v1 il vettore v2 v1 v2 v1 v2 (1)v1 Proprietà Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2 v1 v2 v1 v2 v1 v2 v1 v2 6. Versore Definizione Dato un vettore v si dice versore di v e si indica con il simbolo vˆ oppure vers(v ) il vettore di lunghezza unitaria che ha la direzione ed il verso di v Proprietà Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore v vˆ v v vvˆ z k̂ Versori degli assi cartesiani iˆ versore asse x ˆj versore asse y kˆ versore asse z ĵ iˆ x y 7. Rappresentazione cartesiana di un vettore y A ( xA , y A , z A ) B ( xB , y B , z B ) B v yB yA v x iˆ v x xB xA v y yB yA v z z B z A v y ˆj A ĵ iˆ xB v vx iˆ v y ˆj vz kˆ xA x Un qualsiasi vettore può essere scritto come la somma dei prodotti delle sue componenti per i versori omonimi 8. Prodotto scalare fra 2 vettori Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto scalare fra v1 e v2 e si indica con il simbolo v1 v2 la grandezza scalare: v1 v2 v1v2 cos v1 v2 1° caso 0 v1 v2 v1 v2 v1v2 cos 0 cos 1 v1 v2 v1v2 2° caso v1 0 90 v2 v1 v2 v1v2 cos 0 90 0 cos 1 v1 v2 0 3° caso v1 90 v2 v1 v2 v1v2 cos 90 cos 0 v1 v2 0 Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo 4° caso 90 180 v1 v2 v1 v2 v1v2 cos 90 180 1 cos 0 v1 v2 0 5° caso 180 v1 v2 v1 v2 v1v2 cos 180 cos 1 v1 v2 v1v2 v1 v2 v1 v2 cos v2 v2 v1 v1 v2 v1v2 0 cos 1 v1 v1 v2 0 0 90 0 cos 1 v2 v1 v1 v2 0 90 cos 0 v2 v1 v1 v2 0 90 180 1 cos 0 v2 v1 v1 v2 v1v2 180 cos 1 Prodotto scalare, versore e componente B y v A iˆ xA xB Proprietà Moltiplicando scalarmente un vettore per il versore di un asse si ottiene la componente del vettore rispetto a quell’asse ˆ v i v cos vx x ˆ v i v x v ˆj v y ˆ v k v z 9. Prodotto vettoriale fra 2 vettori Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2 e si indica con il simbolo il vettore: v1 v2 v1 v2 v1v2 sin nˆ v1 v2 v2 n̂ v1 Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo Capitolo 2: MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI 2.1 - Cinematica del punto materiale 2.2 - Dinamica del punto materiale 2.3 - Lavoro ed energia 2.4 - Meccanica dei sistemi 2.1 Cinematica del punto materiale 1. Il punto materiale Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico dotato di massa pari a quella del sistema schematizzato (punto materiale) se: • le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico (es. distanze percorse) • non ha interesse studiare i cambiamenti di orientazione del sistema e le sue deformazioni *** Esempi: 1) La Terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione attorno al Sole. 2) La Terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del problema considerato. 2. Traiettoria ed equazione oraria Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea P(t) traiettoria (rettilinea) Posizione di P all’istante t Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x): 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza 3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno: valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x traiettoria (rettilinea) O x(t) P(t) Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di x (posizione di P sulla traiettoria) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria x x x(t ) Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria curvilinea. Stabiliamo sulla traiettoria un sistema di ascisse curvilinee: 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse curvilinee 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza 3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore reale s pari alla lunghezza dell’arco OP presa con segno: • s > 0 se il verso che porta da O a P è concorde con il verso convenzionalmente scelto sulla traiettoria • s < 0 se il verso che porta da O a P è discorde con il verso convenzionalmente scelto sulla traiettoria traiettoria (curvilinea) s(t) O P(t) Posizione di P all’istante t Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di s (posizione di P sulla traiettoria) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di s ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria. Il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza di: 1) Equazione della traiettoria 2) Equazione oraria s s(t ) 3. Equazioni parametriche del moto Se non è nota la traiettoria, l’equazione oraria non è sufficiente a descrivere il moto del punto. In questo caso, per descrivere il moto del punto, è necessario conoscere la posizione (cioè le coordinate) del punto materiale nello spazio ad ogni istante. Equazioni parametriche del moto Funzioni che descrivono la dipendenza dal tempo delle coordinate di P. z x x(t ) y y (t ) z z (t ) z (t ) P(t) y (t ) x(t ) x y Equazioni parametriche del moto 4. Vettore posizione Vettore posizione Posizione di P all’istante t P(t) Traiettoria r (t ) Componenti del vettore posizione k̂ ĵ O Individua la posizione di P all’istante t O 0,0,0 P(t ) x(t ), y(t ), z (t ) z iˆ OP(t ) r (t ) y rx xP xO x(t ) ry y P yO y (t ) rz z P zO z (t ) Rappresentazione cartesiana del vettore posizione x r (t ) x(t )iˆ y (t ) ˆj z (t )kˆ Le componenti del vettore posizione coincidono con le funzioni che definiscono le equazioni parametriche del moto. 5. Vettore spostamento P(t ) r P(t+t ) r (t ) r (t t ) Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +t ] r r (t t ) r (t ) Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ] 6. Vettore velocità media P(t ) r P(t +t ) vM r (t ) r (t t ) Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] r r (t t ) r (t ) vM t t direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+t) verso: quello che porta da P(t) a P(t+t) modulo: quello di P(t) P(t+t) diviso t Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto. 7. Vettore velocità istantanea v (t ) P(t ) vM P(t +t ) Vettore velocità istantanea all’istante t r r (t t ) r (t ) dr v (t ) lim lim t 0 t t 0 t dt direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t) verso: individua il verso del moto modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t 8. Vettore accelerazione media e istantanea v (t ) v (t t ) Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +t ] v v (t t ) v (t ) Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ] Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] aM v v (t t ) v (t ) t t Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta. Vettore accelerazione istantanea all’istante t v v (t t ) v (t ) dv a (t ) lim lim t 0 t t 0 t dt Caratterizza in modulo, direzione e verso la rapidità con cui cambia la velocità del punto all’istante t 9. Accelerazione tangenziale il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo) v (t t ) v (t ) v (t t ) v (t ) a (t ) v v v (t t ) v (t ) v a (t ) lim t 0 t Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale. 10. Accelerazione centripeta il vettore velocità varia in direzione, ma non in modulo (es. moto circolare uniforme) v (t ) v (t ) v (t t ) v (t t ) v (t t ) v (t t ) aM aM aM a (t ) aM aM aM a (t ) Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme), allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta. 11. Accelerazione tangenziale e centripeta il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme) aT P aC a a aC aT centro di curvatura in P cerchio osculatore in P Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo), allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla variazione della direzione della velocità 12. Moto rettilineo, moto uniforme Moto Moto rettilineo Velocità vettore velocità costante in direzione vˆ vers(v ) cost Moto uniforme vettore velocità costante in modulo v cost Moto rettilineo uniforme vettore velocità costante (in direzione e modulo) v cost Accelerazione accelerazione centripeta nulla aC 0; a aT accelerazione tangenziale nulla aT 0; a aC vettore accelerazione nullo (accelerazione tangenziale e centripeta nulle) aT aC 0; a 0 13. Rappresentazione cartesiana dei vettori velocità e accelerazione Vettore posizione rx x (t ) ry y (t ) rz z (t ) r (t ) rxiˆ ry ˆj rz kˆ Vettore velocità v (t ) vxiˆ v y ˆj vz kˆ Vettore accelerazione a (t ) axiˆ a y ˆj az kˆ dr v dt dv a dt dx v x dt dy v y dt dz v z dt dv x d 2x a x 2 dt dt dv y d2y a y dt dt 2 dv z d 2z a z dt dt 2 14. Equazione oraria del moto rettilineo uniforme dx ˆ ˆ v vxi i cost. dt vx cost vx (t 0) v0 x v v v P vx v dx vx dt dx v0 x dt x(t 0) x0 vx v dx v0 x dt x dx v dt 0x x v0 xt cost. cost x0 x(t ) v0 xt x0 v0 x v x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0 15. Equazione oraria del moto rettilineo uniformemente vario a axiˆ cost. P v0 a a v0 x v0 ax a a x a v0 v0 x v0 dvx ax a0 x dt ax cost ax (t 0) a0 x a dvx a0 x dt vx (t 0) v0 x dv cost v0 x vx (t ) a0 xt v0 x x a0 x dt vx a0 xt cost. vx a0 xt v0 x a0 x a v0 x v0 x dx vx dt dx a0 x t v0 x dt dx a0 x tdt v0 x dt x(t 0) x0 cost x0 1 x(t ) a0 x t 2 v0 x t x0 2 dx a0 x tdt v0 x dt x 1 a0 x t 2 v0 x t cost. 2 x0 x 1 a0 xt 2 v0 x t x 0 2 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0 v0 x v0 Velocità del punto all’istante iniziale t = 0 a0 x a Moto rettilineo uniforme ax 0 v x cost v0 x Moto rettilineo uniformemente vario a x cost a0 x v x a0 x t v0 x x v0 x t x0 x x0 x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0 v0 x v0 1 a0 x t 2 v0 x t x0 2 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0 v0 x v0 Velocità del punto all’istante iniziale t = 0 a0 x a ESERCIZIO Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 pari a 10 m/s. Ad un certo istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF). Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. Prendiamo l’asse x coincidente con la traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale. a t 0 x0 t tF v0 v0 dF x Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto: a x cost a0 x vx a0 xt v0 x x 1 a0 xt 2 v0 x t x 0 2 Nel nostro caso a0 x a v v 0 0x x0 0 a x a vx (t ) v0 at x v0 t 1 at 2 2 All’istante di arresto tarr la velocità vx si annulla: vx 0 atarr v0 0 tarr v0 a La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto : v0 1 2 1 v02 1 v02 v02 v02 xarr x(tarr ) atarr v0 t arr a 2 v0 2 2 a a 2 a a 2a Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare t F tarr t0 v0 v 0 0 a a tF v0 a La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0): d F xarr v02 v02 x0 0 2a 2a Sostituendo i valori numerici si trova: tF 5 s v02 dF 2a d F 25 m Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF v02 dF 2a v tF 0 a Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF . Note due di queste variabili si determinano le altre due Noto a e tF determino dF e v0 1 d F at F2 2 v0 at F Noto v0 e tF determino dF e a vt dF 0 F 2 v a 0 tF Noto dF e tF determino v0 e a 2d v0 F tF a 2d F t F2 Noto a e dF determino v0 e tF v0 2ad F tF 2d F a Noto v0 e dF determino a e tF v02 a 2d F tF 2d F v0 ESERCIZIO Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo in un pozzo. Determinare la profondità del pozzo cronometrando il tempo T fra l’inizio della caduta e il rumore dell’impatto con la superficie libera dell’acqua. Il moto del sasso è uniformemente accelerato verso il basso con accelerazione g x a x cost a0 x vx a0 x t v0 x x 1 a0 xt 2 v0 x t x 0 2 h 1 2 gtcaduta 2 tcaduta ax 0 v cost v 0x x x v0 xt x0 h ax g v x gt x 1 gt 2 2 a0 x g v0 x 0 x0 0 Il suono si muove verso l’alto di moto uniforme con velocità pari a VS = 343 m/s x0 0 2h g T tcaduta t salita ax 0 v x vS x vS t v0 x vS x h vS t salita T 2h h g vS t salita h vS 16. Velocità angolare Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ] P(t+t) (t t ) (t ) P(t) Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] M (t t ) (t ) t t Caratterizza in valore e segno lo spostamento angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto. Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t (t t ) (t ) d lim t 0 t t 0 t dt (t ) lim Caratterizza in valore e segno la rapidità con cui cambia la coordinata angolare del punto all’istante t 17. Accelerazione angolare Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ] (t+t) (t t ) (t ) (t) Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ] M (t t ) (t ) t t Caratterizza in valore e segno la variazione di velocità angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta. Accelerazione angolare istantanea all’istante t (t t ) (t ) d lim t 0 t t 0 t dt (t ) lim Caratterizza in valore e segno la rapidità con cui cambia la velocità angolare del punto all’istante t 18. Moto circolare uniforme: equazione oraria d d dt dt Nel moto circolare uniforme la velocità angolare è costante cost (t 0) 0 y v cost 0 t cost (t ) t 0 (t ) t 0 P(t) aC d dt Equazione oraria. Dalla definizione di radiante: s(t) s r s(t ) rt s0 (t) x Periodo T e frequenza : 2 T 1 T 2 Velocità e accelerazione: vr aC v2 v r2 r 19. Moto circolare uniforme: velocità v lim t 0 s r lim lim r r lim r t 0 t 0 t 0 t t t t P(t+t) r s = r r P(t) r 20. Moto circolare uniforme: accelerazione aC 2 v v lim lim v v lim v 2 r t 0 t t 0 t 0 t t r v P(t+t) v v v v P(t) v 21. Moto armonico Definizione Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P. y Equazione oraria x(t ) R cos(t ) R cos(t 0 ) P(t) Velocità vx (t ) (t) O x(t) Px x dx R sin(t 0 ) dt Accelerazione d 2x ax (t ) 2 2 R cos(t 0 ) dt d 2x a x (t ) 2 2 x dt 2.2 Dinamica del punto materiale 1. Primo principio della dinamica Principio di relatività galileiana (Galileo) I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Sistemi di riferimento inerziali Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo illimitato (in un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un punto libero). Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso inerziale. Principio di inerzia In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Il principio di inerzia è una conseguenza necessaria del principio di relatività. • Il riferimento inerziale B, solidale al vagone, si muove di moto traslatorio uniforme rispetto al sistema inerziale A. • Il punto libero A è in quiete nel sistema di riferimento A, il punto libero B è in quiete nel sistema di riferimento B. • Per l’osservatore inerziale A, il punto B è un punto libero che si muove con velocità costante, pari a quella del vagone. Sperimentatore B Sperimentatore A Punto libero B Punto libero A v Riferimento inerziale B Riferimento inerziale A Ammettiamo per assurdo che non valga il principio di inerzia: la velocità del punto B, rispetto all’osservatore A, comincia a variare. L’osservatore B noterebbe che il punto libero B, inizialmente in quiete, comincerebbe a muoversi spontaneamente. Ciò contraddice il principio di relatività: nel sistema B (in moto traslatorio rettilineo uniforme rispetto al sistema A), contrariamente a quanto accade nel sistema A, un punto libero inizialmente in quiete non rimarrebbe in quiete. 2. Il secondo principio della dinamica Forza Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme di un punto in un riferimento inerziale. La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro). Secondo principio della dinamica (Newton) L’applicazione di una forza ad un punto materiale produce un’accelerazione con direzione e verso coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza. F a m m = massa inerziale del punto F ma Dimensioni e unità di misura della forza. F Ma MLT 2 kg m s 2 newton ( N ) Principio di sovrapposizione Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto, l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze. F f1 f 2 f 3 f1 f2 F 3. Il terzo principio della dinamica Enunciato Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente ed aventi verso opposto. P1 F21 P1 F21 F12 P2 P2 F12 4. Le leggi delle forze: forza elastica Forza elastica di centro O Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto centro della forza elastica) in modulo proporzionale alla distanza di P da O OP r rrˆ r̂ O Fel r Fel kOP kr krrˆ P k = costante elastica Se scegliamo il centro O come origine del sistema di riferimento cartesiano, allora OP coincide con il vettore posizione e le componenti della forza diventano: Esempio: punto materiale attaccato all’estremità di una molla allungata o accorciata rispetto alla lunghezza di riposo Fel x k ( xP xO ) kx Fel y k ( y P yO ) ky Fel z k ( z P zO ) kz molla a riposo molla allungata O molla accorciata P O P 5. Forza di attrazione gravitazionale Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione gravitazionale data da: m1m2 F12 G 2 r̂12 r r m2 G = costante di gravitazione universale F12 m1 r̂12 G 6.67 1011 Nm2 kg 2 Teorema di Newton Una sfera omogenea di massa M esercita su un punto m (esterno alla sfera) la stessa forza che eserciterebbe se tutta la massa M della sfera fosse concentrata nel suo centro. Mm Fgr G 2 rˆ r M m Fgr r̂ r 6. Resistenze di mezzi fluidi Resistenze di mezzi fluidi Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo. F Af (v)vˆ f (v ) v 0 v 2 m/ s (regime viscoso) F Avvˆ Av bv = densità del fluido = coefficiente di forma f (v ) v 2 A = superficie investita 2 v 200 m / s (regime idraulico) fluido Esempio: I due corpi rappresentati hanno lo stesso valore di A ma differenti valori di . v v A 7. Reazioni vincolari Vincolo Un vincolo è un sistema o un insieme di sistemi materiali che impediscono al punto materiale di occupare un insieme di posizioni che sarebbero accessibili al punto in assenza del vincolo stesso. Reazioni vincolari Per impedire al punto di occupare determinate posizioni il vincolo esplica sul punto una forza che prende il nome di reazione vincolare. Esempio: vincolo di appartenenza ad una guida. Una locomotiva può muoversi solo lungo le rotaie. Per non far deragliare la locomotiva le rotaie esercitano sulle ruote del treno delle forze (reazioni vincolari). Esempio: vincolo di appoggio su un piano Un punto materiale può occupare soltanto le posizioni al di sopra del suolo. Se il punto si appoggia o cade al suolo, questo esercita sul punto delle forze (reazioni vincolari) che impediscono al punto di attraversarlo. 8. Vincolo di appoggio N A RNA Reazione vincolare Il componente della reazione perpendicolare al piano Il componente della reazione parallelo al piano (attrito) Legge dell’attrito statico 0 Ast Ast. max S N Legge dell’attrito dinamico Adin D N Ast.max N ( D S ) D coefficiente di attrito statico coefficiente di attrito dinamico N F v 0 N F a Ast. max N F v 0 Ast p Forza peso omessa per semplicità S v 0 v 0 Ast. max p N F v Adin p a 0 Forza peso omessa per semplicità 9.Forze apparenti: forza di trascinamento - moto traslatorio Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio accelerato rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie. Rispetto al sistema solidale alle rotaie il punto permane nel suo stato di moto con accelerazione nulla (quiete o in moto rettilineo uniforme). Rispetto al sistema solidale al vagone il punto si muove con accelerazione a a a Piano liscio Accelerazione del vagone In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio accelerato rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive o reali), il punto è soggetto ad una forza legata all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento: Ftr ma 10. Forze apparenti: Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme Il sistema mobile (vagone) si muove di moto rotatorio uniforme rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie. Accelerazione, rispetto al sistema fisso, del vagone nella posizione occupata da P a 2 PP * P* riferimento fisso inerziale P Riferimento mobile solidale al vagone a 2 P* P Accelerazione di P rispetto al sistema solidale al vagone In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive o reali), il punto è soggetto ad una forza apparente legata alla velocità angolare del sistema ed alla posizione del punto, detta forza centrifuga: Fcentrifuga m2 P * P P* = proiezione di P sull’asse di rotazione 11. Forza peso Forza peso Forza esercitata dalla Terra su un punto materiale che si trova nei pressi della sua superficie. Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. Mm P mg Fgr Fcentr. G 2 rˆ m2 P* P r rˆ vers(OP) Accelerazione di gravità P M g G 2 rˆ 2 P* P m r Verticale Direzione della forza peso. Passa per il centro della terra solo all’equatore e ai poli. m2 P* P P* mg Fgr Fgr mg m2OP Il peso e l’accelerazione di gravità: • aumentano con la latitudine: Fgr resta costante, Fcentr diminuisce • diminuiscono con la quota: Fgr diminuisce, Fcentr aumenta g = 9.81 m/s2 alle nostre latitudini g = 9.78 m/s2 all’equatore g = 9.83 m/s2 ai poli O Fgr mg ESERCIZIO Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo su un piano liscio, inclinato di un angolo rispetto ad un piano orizzontale. Determinare l’equazione oraria del punto. 1) Forze agenti: y mg , R R 2) Equazione della dinamica ma F ma mg R 3) Proiezione sugli assi x e y max mg sin 0 mg cos R a x g sin R mg cos mg 4) Equazione oraria a x cost a0 x vx a0 x t v0 x x 1 a0 xt 2 v0 x t x 0 2 a0 x g sin v 0 0x x0 0 a x g sin vx g sin t x 1 g sin t 2 2 x 12. Oscillazioni libere R y P O x kOP mg Equazione della dinamica 1) Forze agenti: mg , kOP, R 2) Equazione della dinamica ma F ma mg kOP R 3) Proiezione sugli assi x e y max kx 0 mg R k a x x m R mg d 2x 2 2 0 x dt R mg dove 0 k m pulsazione delle oscillazioni libere Equazione oraria Equazione oraria, velocità, accelerazione d 2x 2 x 0 2 dt x(t ) A cos(0t 0 ) vx (t ) Equazione del moto armonico dx 0 A sin(t 0 ) dt d 2x ax (t ) 2 02 A cos(t 0 ) dt x A x0 xA a v a v x Rappresentazione grafica t x / xmax x / xmax vx / (vx)max ax / (ax)max t 13. Oscillazioni smorzate R O P bv x kOP mg Equazione della dinamica 1) Forze agenti: mg , kOP, R, bv 2) Equazione della dinamica 3) Proiezione sugli assi x e y ma F max kx bvx 0 mg R ma mg kOP bv R d 2x dx m 2 b kx 0 dt dt R mg Equazione oraria • le componenti inerziale ed elastica prevalgono su quella viscosa: oscillazioni smorzate 4km b 2 x(t ) Ae t cos(S t 0 ) S 02 2 • la componente viscosa prevale su quelle inerziale ed elastica: smorzamento aperiodico 4km b 2 x(t ) c1e 2 2 t 0 c2e 2 2 t 0 • smorzamento critico 4km b 2 x(t ) et (c1 c2t ) x t b 2m 13. Oscillazioni forzate R O P kOP F cos(F t )iˆ bv x mg Equazione della dinamica 1) Forze agenti: mg , kOP, R, bv , F cos(F t )iˆ 2) Equazione della dinamica ma F ma mg kOP bv R F cosF t iˆ 3) Proiezione sugli assi x e y max kx bvx F cos F t 0 mg R d 2x dx m 2 b kx F cos F t dt dt R mg Equazione oraria 0 x(t ) B cos(F t ) F B 2 0 k m pulsazione (frequenza) delle oscillazioni libere Pulsazione (frequenza) imposta dall’esterno F /m 2F 2 4 2 2F B F 2 m 0 Il punto si muove di moto armonico con la pulsazione (frequenza) della forza esterna ed ampiezza che dipende dalla differenza fra 0 e F Per piccoli smorzamenti γ ω0 / 2 l’ampiezza cresce quanto più la frequenza della forza esterna F si avvicina alla frequenza delle oscillazioni libere 0 (frequenza propria), e quanto più piccolo è =b/2m. 0 0.1 0 b 2m 0.15 0 0.2 0 0.3 0 0.5 0 1.5 0 0 / 2 5 0 F / 0 2.3 Lavoro ed Energia 1. Lavoro elementare Definizione Sia F la forza agente su un punto P all’istante t e dl lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli stanti t e t+dt. Si definisce lavoro elementare compiuto dalla forza F su P nell’intervallo [t, t+dt], e si indica con dL, grandezza scalare: dL F dl F dl cos F F dl dl F dl Fdl 0 cos 1 F dl 0 0 90 0 cos 1 F Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in relazione allo spostamento subito dal punto stesso dl F dl 0 90 cos 0 F dl F dl 0 90 180 1 cos 0 F dl F dl Fdl 180 cos 1 Dimensioni ed unità L FL MLT 2 L ML2T 2 Nm kg m2 s 2 joule ( J ) 2. Lavoro in un intervallo di tempo finito In un intervallo di tempo finito [t1,t2] in cui il punto compie uno spostamento da P1 a P2 lungo l’arco di traiettoria F3 F2 F1 l1 P1 l2 F4 l3 l4 l P2 LP1P2 , lim F1 l1 F2 l2 F3 l3 li 0 P1 , Se la forza F agente su P è costante P2 P2 P1 , P1 , L F dl F F dl P2 dl F P1P2 F l Se la forza F agente su P è costante e parallela a l L Fl dove vale il segno più se i due vettori sono concordi, il segno meno se sono discordi 3. Energia Definizione Capacità di compiere lavoro. Tipi di energia in meccanica • Energia cinetica: Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto 1 EC mv2 2 • Energia potenziale Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) . EP ( peso) mgh EP ( gravitazionale ) G Mm r E P (elastica ) h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale • Energia meccanica Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale EM EC EP 1 2 kr 2 4. Energia Cinetica F m vo v0 Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0. a F /m d arr v02 2a v02 1 2 L d arr F F mv0 2a 2 Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica), e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a: L 1 2 mv0 2 Un punto, solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v, è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a: EC 1 mv 2 2 Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica. 5. Teorema del lavoro e dell’energia cinetica Enunciato La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo. Ec (t2 ) Ec (t1 ) Lt1t 2 In termini differenziali Dimostrazione dEc dL dv a dt dv adt dr v dt dr v dt 1 2 1 1 dEc d mv m d v v mdv v v dv mdv v ma v dt F dr dL 2 2 2 v v v 2 dv v v dv ma F 6. Forze conservative, energia potenziale Definizione Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale che si sposta da un punto P1 a un punto P2 dipende soltanto dalla posizione di questi punti e non dal percorso seguito per andare dal primo al secondo. 1 P1 2 P2 Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione generalmente regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep P2 LP1 P2 F dl E P ( P1 ) E P ( P2 ) Per qualsiasi percorso che congiunge P1 e P2 P1 , In termini differenziali dL F dl LP1P2 p2 P1 P1 P2 dL dEP risulta infatti P2 P1 dE P EP ( P2 ) EP ( P1 ) ESERCIZIO Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo P1 P1 P1 mg mg mg h P2 LP1P2 mgh EP mgh P2 mg LP1P2 0 mgh 0 mgh risulta infatti mg h P2 l mg LP1P2 0 mgl cos mgh LP1P2 EP ( P1 ) EP ( P2 ) mgh 0 mgh 7. Determinazione dell’energia potenziale 1) Dimostrare che la forza è conservativa, cioè che il lavoro F dl P2 LP1P2 P1 , non dipende dal percorso ma solo dalla posizione iniziale P1 e finale P2 2) Determinare l’energia potenziale in un punto generico P(x,y,z) sfruttando la definizione di energia potenziale: F dl E p ( P1 ) EP ( P2 ) P2 LP1P2 P1 , EP ( P2 ) F dl E p ( P1 ) P2 P1 , EP ( x, y, z ) F dl EP ( x0 , y0 , z0 ) P P0 • P2 → generico punto P=(x,y,z) • P1 → punto di riferimento P0(x0,y0,z0) arbitrariamente scelto nel campo di definizione della forza • EP(x0,y0,z0) è il valore che viene arbitrariamente assegnato a EP nel punto P0(x0,y0,z0). 11. Principio di conservazione dell’energia meccanica Enunciato Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative, allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo Dimostrazione in termini infinitesimi in termini finiti LP1P2 EC (2) EC (1) LP1P2 EP (1) EP (2) Teorema del lavoro Definizione di forza conservativa dL dEC dL dEP EP (1) EP (2) EC (2) EC (1) dE P dEC EC (1) EP (1) EC (2) EP (2) dEP dEC 0 EM (1) EM (2) EM cost. d ( EP EC ) dEM 0 EM cost. 12. Potenza Definizione Sia dL il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo infinitesimo dt fra gli istanti t e t+dt. Si definisce potenza erogata dalla forza F all’istante t, la grandezza scalare: dL W dt La potenza caratterizza il lavoro compiuto della forza e la rapidità con cui tale lavoro è compiuto Proprietà Dalla definizione di lavoro elementare risulta: F dl W F v dt Dimensioni ed unità W FLT 1 MLT 2 LT 1 ML T 2 3 kg m 2 s 3 J watt (W ) s ESERCIZIO: la caduta di un grave Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo, nell’ipotesi di poter trascurare la resistenza dell’aria. v0 L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica. h EC (iniziale) E p (iniziale) EC (impatto) EP (impatto) 0 mgh 1 2 mvimp 0 2 vimp 2 gh vimp ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la massima quota raggiunta h, nell’ipotesi di poter trascurare la resistenza dell’aria. v0 Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica. EC (iniziale) E p (iniziale) EC (h) EP (h) 1 2 mv0 0 0 mgh 2 v02 h 2g h v0 2.4 Meccanica dei sistemi 1. Centro di massa di un sistema materiale Definizione Centro della distribuzione della massa del sistema Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m m m C m C 2m Centro di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN. m2 m1 r1 r2 C O mi ri m r m2 r2 mN rN 1 OC 1 1 m1 m2 mN M mN rN m r ii N i 1 M OC mi ri N i 1 ESERCIZIO Applichiamo la formula m1r1 m2 r2 mN rN OC m1 m2 mN • 2 punti di uguale massa m C O→ r m • m m1r1 m2 r2 m 0 mr r OC m1 m2 mm 2 due punti di massa m e 2m m O→ C r 2m m1r1 m2 r2 m 0 2mr 2 OC r m1 m2 m 2m 3 Coordinate del centro di massa 1 OC M 1 xC M 1 yC M 1 zC M mi ri N i 1 N i i N m y i 1 i N m z i 1 i i i 1 N m x i 1 M OC mi ri N MxC mi xi i 1 N i MyC mi yi i 1 N MzC mi zi i 1 2. Quantità di moto di un sistema materiale Definizione Somma dei prodotti delle masse dei punti per le rispettive velocità N Q mi vi i 1 Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava M OC mi ri N i 1 N M vC mi vi i 1 N M aC mi ai i 1 Teorema La quantità di moto di un qualsiasi sistema materiale si può sempre esprimere come il prodotto della massa del sistema per la velocità del centro di massa Q MvC Derivando questa relazione rispetto al tempo N dQ mi ai MaC dt i 1 3. Forze interne e forze esterne al sistema Definizione Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente fra i vari punti del sistema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi materiali che non fanno parte del sistema. Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla. (int) R 0 sistema Punto appartenete al sistema Punto non appartenete al sistema forza interna forza esterna La somma delle forze interne agenti su un punto del sistema non è in generale nulla. Al contrario, la somma delle forze interne agenti su tutti i punti del sistema (risultante delle forze interne) è sempre nulla. 4. Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi (int) ( est ) m1a1 f1 f1 (int) (est ) m2 a2 f 2 f 2 (int) (est ) mN aN f N f N (int) ( est ) mi ai R R N Seconda equazione della dinamica scritta per ciascun punto del sistema (int) fi Somma delle forze interne agenti sull’i-esimo punto (est ) fi Somma delle forze esterne agenti sull’i-esimo punto (int) fi mi (est ) fi La somma dei primi membri di queste equazioni deve essere uguale alla somma dei secondi membri i 1 Dalle relazioni N mi ai MaC i 1 R (int) 0 segue (est ) MaC R Teorema del moto del centro di massa Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi (est ) MaC R ma F 5. Principio di conservazione della quantità di moto Utilizzando al relazione dQ MaC dt la prima eq. cardinale (est ) MaC R dQ (est ) R dt Teorema della quantità di moto La derivata rispetto al tempo della quantità di moto di un sistema è uguale alla risultante delle forze esterne agenti sul sistema. Se ( est ) R 0 allora Q cost. vC cos t Principio di conservazione della quantità di moto Se la risultante delle forze esterne agenti su un sistema è nulla, allora la quantità di moto del sistema si conserva costante nel tempo. si può scrive nella forma 6. Momento di una forza rispetto ad un asse Definizione Dato un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso, e una forza agente sul corpo e appartenente a un piano perpendicolare a tale asse, si definisce momento della forza rispetto all’asse il prodotto del modulo della forza per il suo braccio. Il braccio è la minima distanza fra asse e retta di applicazione della forza. M a Fb asse di rotazione corpo rigido F Dimensioni ed unità di misura M a FL MLT 2 L ML2T 2 Nm kg m2 s 2 C corpo rigido F C corpo rigido F Il braccio della forza (ed il momento) aumenta all’aumentare della distanza fra punto di applicazione della forza e centro di rotazione Il braccio della forza (ed il momento) aumenta quanto più la forza è perpendicolare alla retta fra il punto di applicazione della forza e il centro di rotazione Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C 7. Momento di inerzia Definizione Dato un asse a, si definisce momento di inerzia di un sistema rispetto all’asse a, e si indica con il simbolo Ia , la somma dei prodotti delle masse dei punti del sistema per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse. Sistema particellare I a m1d12 m2 d 22 mN d N2 Sistema continuo I a lim m1r12 m2 r22 mN rN2 mi 0 r 2 dm M d1 m1 d2 di m2 ri mi dN mN mi 8. Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi Grandezze traslazionali massa Accelerazione del centro di massa Risultante delle forze esterne Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi Grandezze rotazionali m aC ( est ) R Ia M a( est ) Momento di inerzia Accelerazione angolare Momento assiale delle forze esterne Seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi (est ) MaC R I a M a(est ) Quantità di moto Momento assiale della quantità di moto Q MvC Teorema della quantità di moto dQ (est ) R dt La I aa Teorema del momento della quantità di moto dLa M a(est ) dt 9. Principio di conservazione del momento angolare Dalla seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi segue dLa M a(est ) dt M est a dLa 0 0 La cost. dt Principio di conservazione del momento assiale della quantità di moto Se il momento assiale delle forze esterne agenti su un sistema è nullo, allora il momento assiale della quantità di moto del sistema si conserva costante nel tempo. * ** Nel caso di un corpo rigido vincolato ad asse fisso La =Ia a : I aa cost. Un aumento di Ia genera una diminuzione di a e viceversa. 10. Equazioni cardinali della statica dei sistemi In condizioni statiche le accelerazioni che compaiono nelle equazioni cardinali della dinamica si annullano ( est ) MaC R ( est ) I M a a aC 0 0 Si ottengono 2 equazioni vettoriali che prendono il nome di equazioni cardinali della statica: ( est ) R 0 ( est ) M a 0 11. Le leve Leve Corpo rigido vincolato ad asse fisso (fulcro) sollecitato da due forze (dette “forza” F e “resistenza” R) che producono momenti assiali di segno opposto (rotazioni di verso opposto). Braccio della resistenza, bR F R mg retta di applicazione della resistenza Regola d’equilibrio M a(est ) 0 Se bF 10bR bF F bR R 0 F 1 R 10 bF F bR R F bR R bF (per equilibrare la resistenza basta una forza 10 volte più piccola). E’possibile equilibrare/spostare un carico elevato con una forza minima F bF bR R 12. Leve vantaggiose e leve svantaggiose Leve vantaggiose Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza bF F bR R vantaggiose bF bR FR F bF bR R Leve svantaggiose Braccio della forza è minore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza bF F bR R svantaggiose bF bR FR bF F bR R 13. Leve di primo, secondo e terzo tipo Leve di primo tipo Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose 1° tipo R Esempio di leva anatomica di primo tipo Estensione dell’articolazione atlanto-occipitale F Leve di secondo tipo Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose F 2° tipo Esempio di leva anatomica di secondo tipo Estensione della caviglia nel sollevamento del peso del corpo R Leve di terzo tipo Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose F 3° tipo Esempio di leva anatomica di terzo tipo Flessione dell’articolazione del gomito R 14. Leve di forza e leve di velocità Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò appare un controsenso. In realtà una leva svantaggiosa dal punto di vista dinamico (delle forze) è vantaggiosa dal punto di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e viceversa. R sR bR nbF F e sR nsF n FsF RsR LF LR R Il lavoro compiuto dalla forza e dalla resistenza è lo stesso (in valore assoluto) sF E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola resistenza, ma lo spostamento della resistenza è grande rispetto a quello del punto di applicazione della forza e il punto di applicazione della resistenza si sposta ad una velocità più elevata di quello della forza F 15. Calcolo della forza agente sul fulcro (reazione vincolare) Braccio della resistenza, bR F R mg F retta di applicazione della resistenza Regola d’equilibrio (est) R 0 F R0 ( F R) R 16. Dinamica delle leve F Braccio della resistenza, bR R mg retta di applicazione della resistenza M a( est ) I a bF F bR R I a F bR R I a bF = accelerazione angolare a = velocità angolare bF F bR R 0 a aumenta bF F bR R 0 a costante In particolare: bF F bR R 0 a diminuisce a =0: equilibrio statico a =cost: movimento isocinetico Capitolo 3: MECCANICA DEI FLUIDI 3.1 - I fluidi 3.1 - Statica dei fluidi 3.2 - Dinamica dei fluidi 3.1 I fluidi 2. Fluidi Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche Isolidi hanno forma e volume propri. I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore. I gas non hanno forma e volume propri, ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene. Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari: Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a posizioni fisse nello spazio. Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con le pareti del recipiente. Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato, tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle. Fluidi Si definisce fluido una sostanza che si deforma illimitatamente (fluisce) se sottoposta a uno sforzo di taglio, indipendentemente dall'entità di quest'ultimo; è un particolare stato della materia che comprende i liquidi e i gas. Fluidi ideali Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se è • Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione), • Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo). 3.2 Statica dei fluidi 1. Pressione La forze esplicate dalle particelle di fluido su una superficie S del recipiente o all’interno del fluido • sono forze a corto raggio; • non sono applicate ad un punto, ma distribuite su tutta la superficie; • sono forze di spinta e di taglio, mai di trazione; Per lo studio di queste forze è utile introdurre il concetto di pressione. Forza che le particelle che si trovano dalla parte 1 di S esercitano sulle particelle che si trovano dalla parte 2 di S attraverso S F12 FN FT FN n12 2 b S 1 F12 (b 90) Per fluidi in equilibrio o privi di viscosità FT 0 (b 0) Si definisce pressione media su un elemento di superficie S P FT pS FN S Pressione in un punto P del fluido FN S 0 S ( PS ) p lim 2. Unità di misura della pressione Unità del SI: il pascal 1 pascal (Pa) 1 N/m2 L’ atmosfera 1 atmosfera = 1.013·105 Pa Il kgpeso/cm2 kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa Il torr (mmHg) 760 torr = 1 atm; 1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa I multipli del Pascal 1 bar 105 Pa 1 mbar 10-3 bar =102 Pa 1 atm = 1.013 bar 1 torr = 1.333 mbar kgpeso/cm2 = 0.981 bar Tabella di conversione delle unità di pressione. atm. Torr kgpeso/cm2 bar mbar Pascal 1 atmosfera 1 Torr 1 kgpeso/cm2 = = = 1 1 / 760 10-3 0.968 760 1 736 1.033 1.32·10-3 1 1.013 1.333x10-3 0.981 1.013·103 1.333 0.981·103 1.013·105 1.333·102 0.981·103 1 bar 1 mbar 1 Pascal = = = 0.987 0.987·10-3 0.987·10-5 750 0.750 0.750·10-2 1.019 1.019·10-3 1.019·10-5 1 10-3 10-5 103 1 10-2 105 102 1 3. Legge di Stevino Enunciato La differenza di pressione fra due punti in un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio, è pari al peso di una colonna di fluido di sezione unitaria ed altezza pari alla differenza di quota (distanza verticale) fra i due punti p ( z0 ) S z0 Dimostrazione: Condizione di equilibrio di una porzione cilindrica di fluido di densità , massa M, volume V, base S e altezza h (proiezione della prima equazione cardinale della statica sull’asse z): p( z)S p( z0 )S Mg 0 Mg p( z)S p( z0 )S Mg S ( z z0 ) g p( z ) p( z0 ) g ( z z0 ) gh p( z ) p( z0 ) g ( z z0 ) p( z0 ) gh z p( z ) S La pressione aumenta linearmente con la profondità Recipiente aperto (h = profondità rispetto alla superficie libera): M V S ( z z0 ) p(h) patm gh 4. Principio di Pascal Enunciato Un aumento di pressione in un punto di un fluido incomprimibile, omogeneo, pesante e in equilibrio, si trasmette istantaneamente in tutti gli altri punti del fluido. Giustificazione Consideriamo 2 punti all’interno del fluido, la differenza di pressione è data dalla legge di Stevino: p( z2 ) p( z1 ) g ( z2 z1 ) gh • Se si produce dall’esterno un aumento di pressione p in uno dei due punti, ciò non provoca variazioni nelle grandezze (il fluido è incomprimibile), g e h. • Non cambia quindi la differenza p(z1)-p(z2) • Lo stesso aumento si deve avere nella pressione del secondo punto, dovendo la differenza rimanere costante. P1 P2 5. Pressa idraulica F F F1 P1 1 P2 2 F2 S 2 P2 S1 S2 Il volume di fluido (incomprimibile) resta costante: S1d1 S2 d 2 Per il principio di Pascal P1 P2 Lo spostamento dei pistoni è inversamente proporzionale alle rispettive sezioni e quindi alle relative forze: S1 d 2 S 2 d1 F1 F2 S1 S 2 Il lavoro compiuto dalle due forze è lo stesso F1d1 F2 d 2 F1 d2 d1 S1 S2 F2 Se S2 è 10 volte più grande di S1, la forza applicata in S1 produce su S2 una forza 10 volte più grande (ma uno spostamento 10 volte più piccolo). 6. Principio di Archimede Enunciato Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di Archimede) diretta verticalmente dal basso verso l’alto, in modulo pari al peso del fluido spostato, ed applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S). FA M fl .sp. g V fl .sp. fl . g fluido spostato S p fl .sp. S 7. Misura della densità S h H H H Fpeso Farch Fpeso Farch Fpeso Farch R VS g V fl .sp. fl . g VS g V fl .sp. fl . g VS g V fl .sp. fl . g R SHS g Sh fl . g SHS g SH fl . g SHS g SH fl. g R S h fl . fl . H S fl . S fl . R fl . SHg 8. Equilibrio del corpo umano in acqua Farch P 3.3 Dinamica dei fluidi e Circolazione del sangue 1. Moto stazionario Moto Stazionario Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità del fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel tempo. Tutte le particelle di fluido (P1, P2, P3) che in istanti successivi transitano per la posizione A, hanno la stessa velocità vA. Tutte le particelle di fluido che in istanti successivi transitano per la posizione B, hanno la stessa velocità vB, che può essere differente da vA. A t P1 vA B vB P2 P3 A t+t vA B vB P3 P1 P2 2. Linee di flusso Linea di corrente di una particella Traiettoria descritta dalla particella. Linea di flusso all’istante t Linee tangenti in ogni loro punto alla velocità delle particelle del fluido che all’istante t si trovano in quel punto. t t P2 t P1 t P3 P4 linea di flusso all’istante t Proprietà In condizioni di moto stazionario, le linee di flusso • non cambiano nel tempo • coincidono con le linee di corrente 3. Tubo di flusso Tubo di flusso Insieme di linee di flusso che passano per i punti di una linea chiusa. Proprietà In condizioni di moto stazionario • ogni tubo di flusso è fermo; • nessuna particella può attraversare la superficie del tubo di flusso. E’ come se il tubo di flusso fosse materializzato da una superficie solida (tubo solido). 4. Equazione di continuità S1 S2 v1dt v2dt v2dt v1dt Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa di fluido fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo. La massa di fluido che attraversa le sezioni S1 e S2 nel tempo dt deve essere la stessa: dm1 dm2 S1v1dt S2v2 dt S1v1 S2v2 (Equazione di continuità) Se la sezione del tubo diminuisce, allora la velocità del fluido aumenta. Portata Il prodotto Sv prende il nome di portata e rappresenta il volume di fluido che attraversa una sezione del tubo nell’unità di tempo. Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la portata è la stessa in tutte le sezioni del tubo. 5. Velocità del sangue I capillari sono i vasi sanguigni di sezione minore, posti tra l'estremo terminale di un'arteria e quello distale di una vena. A livello dei capillari avviene lo scambio di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e molti altri nutrienti chimici e sostanze di scarto tra sangue e tessuti limitrofi; la marcata diminuzione della velocità del sangue nei capillari dovuta all’eq. di continuità facilita grandemente tale compito . Peraltro, il capillare è capace di nutrire tessuto per un raggio di 1mm. Quindi, il numero di capillari in un tessuto dipende dalla massa del tessuto stesso. È questo particolare che impedisce o permette lo sviluppo di un tumore. Se il tumore ha capacità angiogeniche (di sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti) avrà quindi possibilità di aumentare di volume. 8. Teorema di Bernoulli Ipotesi: Fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso. Applichiamo il teorema del lavoro e dell’energia cinetica alla massa di fluido che all’istante t è compresa fra le sezioni S1 e S2. Dopo un tempo dt la stessa massa di fluido sarà compresa fra le sezioni S’1 e S’2 v1 dt dm1 S1v1dt dm2 S2v2 dt dm dm p1 S1 v2 dt S’1 S1 dm p2 S2 h1 S2 dLpeso dm g h1 h 2 dL pressione p1S1v1dt p2 S 2v2 dt 1 dEC dm v22 v12 2 Teorema del lavoro: dm p1 p2 h2 S’2 dLpeso dLpressione dEC 1 1 p1 gh 1 v12 p2 gh 2 v22 2 2 10. Effetto Venturi placca S1 v1 S2 arteria v2 p1 = pest p2 < pest pest pest equazione di continuità S1v1 S2v2 teorema di Bernoulli 1 1 p1 gh 1 v12 p2 gh 2 v22 2 2 v1 v2 p1 p2 In corrispondenza della strozzatura la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi). 11. Stenosi di un arteria A livello della strozzatura, la pressione esterna non è più equilibrata dalla pressione interna e la sezione S2 tende a restringersi ancora, deformando la parete dell’arteria. placca arteria v1 v2 S1 S2 p2 < pest p1 = pest Fel. pest pest Ciò provoca un ulteriore aumento di v2 e un’ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore restringimento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa maggiore di p1 e l’arteria si riapre. placca S1 p2 > pest v1 S2 = 0 v2 = 0 p1 = pest Fel. pest pest 1 2 1 2 p1 gh 1 v1 p2 gh 2 v2 2 2 p2 p1 Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria). Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente. placca 12. Aneurisma pest pest Fel. p2 > pest p1 = pest S1 arteria S2 v1 v2 In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi). A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e la sezione S2 tende a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria. Ciò provoca un’ulteriore diminuzione di v2 e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore allargamento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo ed il processo diventa inarrestabile, fino alla rottura della parete dell’arteria. 13. Portanza S2 p2 S1 p1 La pressione al di sopra dell’ala è minore di quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso si restringe). S1 S2 p1 p1= pimp p1 pimpert p2 La pressione al di sotto dell’ala coincide circa con quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione circa uguale). Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superiore dell’ala genera una forza diretta verso l’alto nota col nome di portanza. 15. Moto laminare di fluidi viscosi Fluidi ideali in moto stazionario Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare) r R dLpeso dLpres dEC dLpeso dLpres dLdiss dEC 1 1 p1 gh 1 v12 p2 gh 2 v22 2 2 dL 1 1 p1 gh 1 v12 p2 gh 2 v22 diss 2 2 dV dL p diss ediss dV p 0 Il moto del fluido si mantiene anche senza una differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del condotto. v(r ) cost. Q vS vR R P 0 Q Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare agli estremi del condotto una differenza di pressione, che serve per vincere il lavoro delle forze di attrito. Profilo delle velocità 2 portata resistenza al flusso v(r ) P 2 2 (R r ) 8l R 4 Q P 8l R P 8l Q R 4 Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico Sezione del condotto cilindrico ortogonale al suo asse Sezione condotto cilindrico contenente il suo asse 16. Moto turbolento Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata , aumentando la differenza di pressione agli estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento Moto laminare vmax vcrit (d / 2) silenzioso Q P Moto turbolento vmax vcrit rumoroso Q P Caratteristiche del moto turbolento Numero di Reynolds • Aumento della resistenza del condotto e della dissipazione di energia per attrito. • Un volumetto di fluido catturato in un vortice, pur avendo una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme al vortice, che si muove in modo relativamente lento. • Vale circa 1200 per condotti rettilinei • In corrispondenza di strozzature o gomiti diminuisce (in corrispondenza di irregolarità il moto diventa più facilmente turbolento). 19. Effetto della distensibilità dei vasi Aorta Se i vasi fossero rigidi la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua). A causa della distensibilità delle arterie, durante la sistole la parete dell’aorta si dilata. Quando la valvola aortica si chiude, inizia la fase diastolica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di partenza. La distensibilità delle arterie, in altre parole, permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia cinetica del sangue sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti dell’arteria, che si riconverte in energia cinetica del sangue durante la fase di diastole. Si ottiene così un andamento della pressione che varia da un valore massimo, o sistolico, ad un valore minimo, o diastolico. Arterie La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via via lungo le arterie: la pressione sistolica produce, quindi, una deformazione elastica che si propaga lungo le pareti delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti ed è superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca. L’aumento della rigidità delle pareti arteriose (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatilità della parete fornisce un minor aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato da un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione). 20. Effetto della pressione idrostatica In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica. La pressione nei vasi degli arti inferiori viene incrementata in maniera importante. Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi Le pareti dei vasi arteriosi sono costituite da tessuto elastico e tessuto muscolare in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg → Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze. Per quanto riguarda i territori arteriosi sopra il livello del cuore, il sangue a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi. → Il cuore deve quindi esercitare una pressione supplementare per fare equilibrio al peso del sangue sovrastante, e svolgere un maggior lavoro per far salire il sangue fino al cervello → Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello. 760 mmHg → colonna di 10 m di acqua 100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di oltre un metro (la distanza cuore - cervello non supera mezzo metro) In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può arrestare Valori della pressione media venosa e arteriosa in un soggetto in posizione eretta Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi Le pareti dei vasi venosi, a differenza di quelli arteriosi, sono sottili e contengono poco tessuto elastico. → La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far dilatare le vene. Questo inconveniente è in parte ovviato: • dalla presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la pressione sulla parete venosa • dalla contrazione dei muscoli, intorno alla vena, che aiuta il ritorno del sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle vene Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la deformazione della parete venosa (vene varicose). Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica aumenta bruscamente 21. Misura della pressione del sangue Lo sfigmomanometro Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un palloncino munito di una valvola. Misura della pressione del sangue 1. La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato sull’articolazione interna dell’avambraccio dove l’arteria scorre superficialmente. 2. A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano: Pressione sistolica (ps) o pressione massima: pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente. Pressione diastolica (pd) o pressione minima: pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd → p4) da rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) a silenzio in regime laminare (arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente. Dal momento che il braccio è allo stesso livello del cuore, le misure di pressione del sangue al braccio forniscono valori prossimi a quelli vicino al cuore (nelle grandi arterie la dissipazione di energia per attrito e la corrispondente diminuzione di pressione è modesta anche per percorsi di alcune decine di cm). Pressione in una grossa arteria Pressione nella fascia elastica Capitolo 4: ONDE IN MEZZI ELASTICI 4.1 - Onde meccaniche in mezzi elastici 4.2 - Il suono e l’orecchio umano 4.3 - Gli ultrasuoni in medicina 4.1 Onde meccaniche in mezzi elastici 1. Onde elastiche Onde elastiche • Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella posizione di equilibrio. • Le particelle del mezzo, essendo sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico attorno alla posizione di equilibrio. • A causa dell’interazione a corto raggio esistente tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo, dalla direzione di propagazione (se il mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione. Esempio Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove è caduto il sasso. L’arrivo dell’onda, in questo caso, produce nelle particelle di liquido via via interessate dal fenomeno un moto oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa posizione di equilibrio che occupavano prima dell’arrivo dell’onda. Propagazione di energia Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale). 2. Onde longitudinali e onde trasversali Onde trasversali Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda (es. onda in una corda o in una fascia in tensione) direzione di propagazione dell’onda Onde longitudinali Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda (es. onda di densità in un gas contenuto in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto armonico) 3. Forma matematica delle onde elastiche y t 0 t vt y f (x) se y=f(x) rappresenta la perturbazione all’istante iniziale t=0, allora y all’istante t assume in un punto x1 il valore della funzione f nel punto x1vt y f ( x vt) vt x1-vt x2-vt x1 x2 x - individua un punto del mezzo t - un istante y - la deformazione del punto x del mezzo all’istante t Una perturbazione che si propaga con velocità v e forma invariata nel verso positivo dell’asse delle x è rappresentata da una funzione in cui x e t compaiono nella combinazione x-vt y( x, t ) f ( x vt) x Si vuole determinare la deformazione del mezzo in ogni punto ad ogni istante: y(x,t) Una perturbazione che si propaga con velocità v e forma invariata nel verso negativo dell’asse delle x è rappresentata da una funzione in cui x e t compaiono nella combinazione x+vt y( x, t ) f ( x vt) 4. Onde sinusoidali: lunghezza d’onda y Onda sinusoidale A t t + t 2 y ( x, t ) A sin ( x vt) x -A Lunghezza d’onda 2 2 2 y( x n, t ) A sin ( x n vt) A sin ( x vt) 2n A sin ( x vt) y ( x, t ) dy dy ( x n, t ) ( x, t ) dx dx y lunghezza d’onda: minima distanza fra due punti del mezzo che vibrano in fase x 5. Onde sinusoidali: periodo e frequenza Periodo 2v x 2 x y ( x, t ) A sin t A sin t v T v T v Periodo: tempo necessario ad un punto P del mezzo per compiere un’oscillazione completa 2 x 2 x 2 x y ( x, t nT ) A sin t nT A sin t 2n A sin t y ( x, t ) T v T v T v dy dy ( x, t nT ) ( x, t ) dt dt t t T y P P Frequenza x y ( x, t ) A sin 2f t v f 1 T Frequenza: numero di oscillazioni che un punto del mezzo compie al secondo 6. Onde sinusoidali: pulsazione e numero d’onda Numero d’onda e pulsazione x vt x t y( x, t ) A sin 2 A sin 2 A sin(kx t ) T k 2 (numero d’onda) 2 T (pulsazione) Fase iniziale In tutte le rappresentazioni utilizzate sinora per un’onda sinusoidale risulta y(x=0,t=0)=0, cioè il mezzo è imperturbato all’istante iniziale, nel punto in cui l’ascissa x è nulla. Per eliminare questa limitazione si introduce la fase iniziale , in modo che y(0,0)=Asin : y( x, t ) A sinkx t Moto delle particelle del mezzo Da questa rappresentazione risulta evidente come ogni particella del mezzo si muove di moto armonico, nel caso di onda sinusoidale: y ( x , t ) A sinkx t A cos( / 2 kx t ) y( x , t ) A cos(t 0 ) sin cos ( / 2 ) 0 kx 2 x 7. Velocità di propagazione La velocità di propagazione può dipendere: • dalle caratteristiche del mezzo, ed in particolare dalla sua densità e dalla natura delle forze di interazione delle particelle. • dalla forma della perturbazione e da alcuni suoi parametri, ad esempio dalla frequenza (fenomeno della dispersione). Onde trasversali in un corda tesa v = forza di tensione della corda = densità lineare del mezzo (massa per unità di lunghezza) Onde longitudinali in una sbarra di materiale omogeneo v Onde longitudinali in un gas v E K p Onde di superficie in un liquido v g 2 E = modulo di Young = densità del mezzo K= modulo di compressione di volume p = pressione = densità del mezzo = cP/cV g = accelerazione di gravità = lunghezza d’onda 8. Superfici d’onda e raggi di propagazione L’equazione di propagazione è stata da noi ricavata per un’onda che si propaga in una sola dimensione (es. Onda in una corda). Più comunemente le onde si propagano nello spazio, cioè in tre dimensioni. In questo caso è utile introdurre il concetto di superficie d’onda e di raggio di propagazione: Superficie d’onda Luogo geometrico dei punti che, ad un certo istante, si trovano nello stesso stato di vibrazione, cioè che vibrano in concordanza di fase, come ad esempio tutti i punti che si trovano ad avere ad un certo istante la massima ampiezza di vibrazione (cresta). Raggio di propagazione Linea perpendicolare a tutte le superfici d’onda che essa interseca. superficie d’onda raggio Una sorgente puntiforme immersa in un mezzo tridimensionale isotropo dà origine a superfici d’onda sferiche: per questo l’onda viene detta onda sferica. I raggi di propagazione sono diretti radialmente. A grande distanza dalla sorgente, in una regione limitata dello spazio i fronti d’onda sono approssimabili con porzioni di piano. Si parla in questo caso di onde piane. I raggi di propagazione sono perpendicolari a tali piani. 9. Intensità di un’onda Intensità di un’onda L’intensità I di un’onda è l’energia che essa trasporta nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie posta normalmente alla sua direzione di propagazione. Nel S.I. l’intensità si misura in watt/m2. Per onda piana, I si ricava facilmente, nota l’energia meccanica e di una particella del mezzo di massa m che si muove di moto armonico, essendo soggetta ad una forza elastica di richiamo: S m vt 1 1 1 1 1 e kel x 2 mv2 kel A2 cos 2 (t 0 ) m2 A2 sin 2 (t 0 ) m2 A2 2 2 2 2 2 ( kel / m ) Un’onda elastica che si propaga attraverso una superficie S con velocità v percorre nell’intervallo di tempo t un tratto (vt). Il volume V attraversato è Svt, contiene un numero n di oscillatori, ed ha massa M=V pari a nm. L’energia E che attraversa S nel tempo t è pari a quella degli n oscillatori contenuti in V: 1 1 1 1 E 1 E ne nm2 A2 M2 A2 V2 A2 Svt 2 A2 I v2 A2 2 2 2 2 St 2 Intensità di un’onda sferica L’energia trasportata da un’onda sferica, all’aumentare della distanza r dalla sorgente, si distribuisce su una superficie la cui area aumenta con r2. Per la conservazione dell’energia, l’intensità dell’onda deve diminuire come r-2. Affinché ciò accada l’ampiezza dell’onda deve diminuire come r-1. I0 I ( r ) sf r2 A (r ) A0 sf r 10. Principi che regolano la propagazione dei fenomeni ondulatori Principio di Malus I raggi di propagazione rappresentano il cammino rettilineo lungo il quale si propaga l’energia trasportata dalle onde. Non c’è quindi trasporto di energia nelle direzioni tangenti alle superfici d’onda. Principio di sovrapposizione delle onde La propagazione simultanea di due o più onde nello stesso mezzo avviene, per ciascuna di esse, come se le altre non fossero presenti, e la stato di vibrazione in un punto del mezzo è dato, in ogni istante, dalla somma vettoriale degli stati vibrazionali associati alle diverse onde presenti in quel punto del mezzo. Principio di Huygens Tutti i punti di una superficie d’onda possono essere considerati come sorgenti (“secondarie”) puntiformi di vibrazioni con la stessa fase. Il principio, nota la superficie d’onda (S1) ad un istante (t), consente di costruire la superficie d’onda (S2) ad un istante successivo (t’=t+t). Si considera ciascun punto di S1 come sorgente di una superficie d’onda elementare sferica di raggio vt (v = velocità di propagazione): S2 è la superficie tangente a tutte queste onde elementari (il cosiddetto inviluppo). 11. Interferenza Onde componenti Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e frequenza, ma con fasi differenti (più in generale differenza di fase definita e costante). y1 A sin(kx t 1 ) y2 A sin(kx t 2 ) Onda risultante ampiezza y y1 y2 A sin(kx t 1 ) A sin(kx t 2 ) 2 A cos 1 2 sin kx t 2 1 2 2 Caratteristiche Onda di frequenza pari a quella delle onde componenti, fase iniziale (12/2, ed ampiezza 2Acos [(12/2]: Rappresentazione grafica in fase • Se 12 0 (onde componenti in fase) l’onda risultante ha ampiezza massima 2A. • Se 12 (onde componenti in opposizione di fase) l’onda risultante ha ampiezza nulla (mezzo imperturbato). • Se 12 /2 (onde componenti in quadratura di fase) l’onda risultante ha ampiezza A per radice di 2. b b sin sin b 2 sin cos Formula di prostaferesi 2 2 in opposizione in quadratura 12. Battimenti Onde componenti Due onde sinusoidali che si propagano nella stessa direzione e verso, con uguale ampiezza e fase, ma frequenze di poco differenti: x y1 A sin 2f1 t v x y2 A sin 2f 2 t v Onda risultante ampiezza f f x f f x x x y y1 y2 A sin 2f1 t A sin 2f 2 t 2 A cos 2 1 2 t sin 2 1 2 t v v 2 v 2 v Caratteristiche Onda di frequenza pari alla media delle frequenze delle onde componenti, ampiezza che varia secondo un’onda, di ampiezza 2A e frequenza pari alla semidifferenza delle frequenze delle onde componenti. Rappresentazione grafica 2A ampiezza x -2A onda risultante Rappresentazione grafica della perturbazione ad un istante t 13. Onde stazionarie Onde componenti Due onde sinusoidali di uguale ampiezza, frequenza e fase, che si propagano nella stessa direzione ma in versi opposti. y1 A sin(kx t ) y2 A sin(kx t ) Onda risultante y y1 y2 A sin(kx t ) A sin(kx t ) 2 A sin kx cos(t ) non è un’onda ampiezza del moto armonico Caratteristiche I punti del mezzo compiono oscillazioni armoniche in fase tra loro, con la frequenza delle onde componenti, ed ampiezza dipendente dalla posizione del punto : • L’ampiezza è nulla nei punti (nodi) per cui kx n x n( / 2) • L’ampiezza è massima e pari a 2A nei punti (ventri) per cui kx (2n 1) / 2 x n( / 2) / 4 • Un nodo ed un ventre successivo sono separati da una distanza pari a /4. Due nodi (e due ventri) successivi sono separati da una distanza pari a /2 Nelle onde stazionarie non si ha propagazione di energia (l’energia non può transitare attraverso i nodi). Rappresentazione grafica 1 2 3 4 5 ventre nodo Onde stazionarie su una corda di lunghezza L fissata alle estremità Nei punti estremi della corda si devono avere 2 nodi (essendo punti bloccati, l’ampiezza di oscillazione deve essere nulla). Dunque, la lunghezza della corda deve essere uguale ad un numero intero di semi-lunghezze d’onda: Fondamentale o 1a armonica (n=1) Ln 2a armonica (n=2) 2L λ 2 n f v v 1 n n nf1 2L 2L f1 1 2L 3a armonica (n=3) 4a armonica (n=4) frequenza fondamentale Modi di vibrazione In generale, quando una corda vibra, il modo di vibrazione dominante è rappresentato dall’ armonica fondamentale, con un contributo minore di armoniche superiori. Regolazione della frequenza fondamentale La frequenza fondamentale (e le armoniche superiori) può essere regolata variando: • la densità (lineare) della corda • la tensione della corda • la lunghezza del tratto L di corda interessato alla oscillazione stazionaria (ad esempio intervenendo con le dita) Onde stazionarie su una membrana fissata nel suo bordo Onde stazionarie su un tubo di lunghezza L, chiuso ad un’estremità All’estremità chiusa • non c’è spostamento d’aria (nodo di spostamento) ; • la variazione di pressione è massima (ventre di variazione di pressione). All’estremità aperta • la pressione p è costante e coincide con la pressione all’esterno del tubo (nodo di variazione di pressione) ; • le particelle d’aria sono libere di muoversi avanti e indietro e subiscono il massimo spostamento (ventre di spostamento). • Una diminuzione di p richiama particelle dall’esterno del tubo in modo da mantenere p costante e viceversa. La canna chiusa ad una estremità può contenere un numero dispari di quarti di lunghezze d’onda: L (2n 1) λ 4L 4 (2n 1) Onda di spostamento f v v (2n 1) (2n 1) f1 4L f1 v 4L frequenza fondamentale Onda di pressione 14. Effetto Doppler L’effetto Doppler L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro: • se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS • se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS Analisi quantitativa Se S e R si muovono lungo la medesima retta, di moto uniforme, si trova che: fR vR vS c vRx fS c vSx x c = velocità di propagazione dell’onda Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione vSx 0 c vRx fR fS c vRx 0 vRx 0 fR fS fR fS vSx 0 vSx 0 fR fS fR fS (R si allontana da S) (R si avvicina a S) Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione vRx 0 c fR fS c vSx (S si avvicina a R) (S si allontana da R) Dimostrazione 1) all’istante t0 = 0, quando S e R sono separati da una distanza d, S emette un’onda t0 0 xS (0) 0 xR (0) d 2) l’onda raggiunge R all’istante t nella posizione xR (t ) vRx t d 3) L’onda percorre una distanza ct data da ct xR (t ) xS (0) vRx t d t0 0 t ct xS (0) xR (t ) t x d c vRx 1) S emette il fronte d’onda successivo dopo un periodo, all’istante TS, quando si trova nella posizione xR (t ' ) vRx t 'd 2) Il fronte d’onda raggiunge R all’istante t’ nella posizione ct 'TS xR (t ' ) xS (TS ) vRx t 'd vSx TS 3) L’onda ha percorso una distanza c(t’-TS) data da TS ct 'TS xS (TS ) Il periodo e la frequenza percepiti da R sono: xS (TS ) vSx TS t' xR (t ' ) TR t 't t' x c vSx TS c vRx fR c vRx fS c vSx d c vSx TS c vRx 15. Riflessione e rifrazione Riflessione e rifrazione Quando un’onda giunge sulla superficie di separazione fra il mezzo in cui si propaga ed un mezzo diverso può: • Essere parzialmente restituita al primo mezzo (riflessione), e passare parzialmente nel secondo mezzo (rifrazione), rispettando il principio di conservazione dell’energia. • Essere completamente restituita al primo mezzo (riflessione totale). Le leggi della riflessone e della rifrazione • Il raggio riflesso e il raggio rifratto appartengono al piano contenente il raggio incidente e la normale alla superficie di separazione nel punto di incidenza • l’angolo di riflessione r (angolo fra il raggio riflesso e la normale alla superficie di separazione) è uguale all’angolo di incidenza i (angolo fra il raggio incidente e la normale alla superficie di separazione) normale raggio incidente raggio riflesso i r ir mezzo 1 • Il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza i e il seno dell’angolo di rifrazione t è uguale al rapporto fra le velocità di propagazione nel primo e nel secondo mezzo (fra gli indici di rifrazione nel secondo e nel primo mezzo ): sin i v1 n2 sin t v 2 n1 (n cost. / v) Superficie di separazione mezzo 2 t raggio rifratto 16. Impedenza acustica • Quando un’onda elastica incide sull’interfaccia fra due mezzi diversi, essa in parte viene riflessa e in parte viene trasmessa, o completamente riflessa. L’intensità dell’onda incidente è pari alla somma dell’intensità dell’onda riflessa e dell’intensità dell’onda trasmessa (per incidenza normale). • Si definisce impedenza acustica Z di un mezzo materiale il prodotto della densità del mezzo e della velocità di propagazione dell’onda elastica nel mezzo Ii I r It Z v • I rapporti Ir /Ii (coefficiente di riflettività) e It /Ii (coefficiente di trasmissibilità) sono dati dalle relazioni: I r Z 2 cos i Z1 cos t I i Z 2 cos i Z1 cos t It 4Z1Z 2 cos i cos t I i Z 2 cos i Z1 cos i 2 2 I r Z 2 Z1 I i Z 2 Z1 It 4Z1Z 2 I i Z 2 Z1 2 e nel caso di incidenza normale (i = 0°) dipendono solo dalle impedenze acustiche dei due mezzi • Per Z1>>Z2 e per Z2>>Z1 si ha Ir ≈ Ii cioè It ≈ 0 – La trasmissibilità fra aria e pelle, o fra aria e tessuto biologico è praticamente nulla. – La trasmissibilità fra tessuto molle e tessuto osseo è molto bassa – La trasmissibilità fra acqua, sangue, grasso muscolo e pelle è elevata. 2 tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ∙106 ( kg m-2 s-1) osso 1.990 3760 7.48 pelle 1.100 1537 1.69 sangue 1.060 1584 1.68 muscolo 1.041 1580 1.64 acqua 0.993 1527 1.52 grasso 0.928 1476 1.36 aria 0.0012 340 0.0004 4.2 Il suono e l’orecchio umano 15. Il suono Il suono L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz. In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni. Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori (inferiori) a 20 kHz (20 Hz) prendono il nome di ultrasuoni (infrasuoni). Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione atmosferica), la lunghezza d’onda del suono in aria ( = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m. Pressione sonora Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a zone di compressione e di rarefazione delle particelle costituenti il gas, e determina una variazione di pressione istantanea che per onde piane sinusoidali (suoni semplici) segue una legge del tipo p p0 sin(kx t ) dove p=p-p0 (pressione sonora istantanea) è la variazione istantanea della pressione p rispetto alla pressione p0 del gas imperturbato (es. pressione atmosferica) e p0 è l’ampiezza della perturbazione pressoria (massima variazione di p rispetto a p0). La variazione sinusoidale di p, con successive compressioni e rarefazioni, è in grado di porre in vibrazione una membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio umano. Si può dimostrare che sussiste la seguente relazione fra ampiezza di variazione di pressione e ampiezza A del moto oscillatorio delle particelle del mezzo: p0 vA Confrontando questa espressione con quella dell’intensità I=1/2v2A2 di un’onda si ottiene la seguente relazione che lega l’ampiezza della perturbazione pressoria e l’intensità sonora: 1 p0 I 2 v 2 p0 2Iv 16. Livelli di sensazione sonora Livello di sensazione sonora e scala decibel Il livello di sensazione sonora avvertita dall’organo uditivo può essere utilmente caratterizzato mediante la scala decibel (dB): 0 10Log10 I I0 I0 = 10-12 W/m2 = minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano 0 = valore della sensazione sonora corrispondente a I = I0 Vantaggi della scala decibel • La minima intensità sonora apprezzabile dall’orecchio umano 0 è di 0 dB. • Il rapporto fra l’intensità di due suoni, la cui differenza è appena percettibile, è dell’ordine del dB. • Una conversazione media corrisponde a circa 60 dB, la soglia del dolore è di circa 120 dB. Curve di sensibilità Dipendenza della sensazione sonora dalla frequenza di vibrazione La sensibilità dell’udito è massima fra 3000 e 4000 Hz. 17. L’orecchio umano L’orecchio è il dispositivo di trasduzione che permette di trasformare le onde sonore in segnali di eccitazione nervosa (potenziali di azione), che sono poi elaborati dal cervello in modo da fornire le sensazioni sonore. Dal punto di vista funzionale l’orecchio può essere considerato diviso in tre parti: esterno, medio e interno. L’orecchio esterno Costituito dal padiglione auricolare e dal canale auricolare. Il padiglione auricolare ha la funzione di concentrare la perturbazione sonora verso il timpano. Il canale auricolare è in pratica un risuonatore, schematizzabile come un tubo sonoro, di lunghezza L=2.5 cm, chiuso ad un’estremità dalla membrana timpanica. Esso è perciò sede di onde stazionarie con frequenza fondamentale f1 v 340 m/s 3400 Hz 4 L 4 0.025 m • Proprio alla frequenza di circa 3400 Hz la sensibilità dell’orecchio è massima. • Nei bambini, la lunghezza del canale è minore e f1 assume valori più elevati. Essi sono quindi più sensibili alle frequenze elevate: riescono a dormire in presenza di conversazioni fra adulti, mentre sono bruscamente svegliati da un tintinnio di posate o di un mazzo di chiavi. • Se la membrana timpanica fosse rigida il canale auricolare risuonerebbe solo alla frequenza di 3400 Hz o multipli dispari di questo valore, e l’orecchio percepirebbe solo suoni ad alcune determinate frequenze. In realtà la membrana timpanica è abbastanza elastica da causare risonanze anche a frequenze inferiori o superiori. L’orecchio medio La funzione dei tre ossicini (martello, incudine e staffa) è di trasmettere la vibrazione sonora alla finestra ovale amplificandola. Questa catena di ossicini si comporta come una leva di primo tipo in cui la distanza dt fra timpano e fulcro è circa 3 volte la distanza df della finestra ovale dal fulcro. Si ottiene un fattore di amplificazione della forza sulla finestra ovale pari a 3: Ft d t F f d f Ff Ft dt 3 df L’area del timpano St è circa 20 volte maggiore di quella Sf della finestra ovale. Si ottiene un fattore di amplificazione della pressione sulla finestra ovale pari a 60: p f F f St F f St 3 20 60 pt S f Ft Ft S f Questo fattore di amplificazione è necessario per poter compensare la perdita di intensità sonora che altrimenti si avrebbe al passaggio dall’aria al liquido dell’orecchio interno. L’orecchio interno • E’ costituito da una struttura canaliforme lunga circa 3.5 cm, avvolta a spirale (coclea), e riempita di liquido (perilinfa ed endolinfa) che si può ritenere incomprimibile. • Quando una vibrazione meccanica è trasmessa alla finestra ovale, da questa si propaga un’onda meccanica nel liquido, che origina un’onda di deformazione del canale cocleare. Quest’onda si propaga eccitando le cellule ciliate cocleari che inducono i potenziali di azione lungo il nervo acustico verso il cervello. • Per avere la miglior efficienza di trasmissione dall’orecchio medio a quello interno, è necessario che l’energia sonora non venga dispersa e quindi che l’intensità sonora in aria sia uguale a quella nel liquido dell’orecchio interno. Nei due mezzi è costante la frequenza, ma sono diverse la densità, la velocità di propagazione e l’ampiezza dell’oscillazione. Le intensità sono uguali se le ampiezze nei due mezzi sono in un preciso rapporto: I1 I 2 1 1 1v1 A122 2 v 2 A222 2 2 A1 v 2 2 A2 1v1 Inserendo i valori numerici si ricava che tale rapporto è circa 60: affinché l’intensità dell’onda sonora sia la stessa nei due mezzi è necessario che quella in aria venga amplificata di circa 60 volte, ciò che effettivamente avviene. 4.3 Gli ultrasuoni in medicina 19. Gli ultrasuoni Ultrasuoni Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz. Produzione e rilevazione • Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata una differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella delle oscillazioni elettriche che li sollecitano. • L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con opportuni dispositivi elettronici. • In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda in aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1500 m/s) di 1.5 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quella della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale. • I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2. Interazione con la materia • Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti situati a mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 m nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di pressione istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del mezzo, sottoposte ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 g. • Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di calore nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei liquidi, e aumentare la velocità di reazioni chimiche. • L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di tipo esponenziale I0= intensità incidente; I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato) I ( x) I 0ex Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz, è proporzionale a f. 20. Gli ultrasuoni nella diagnostica medica Flussimetria Doppler Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando, l’effetto Doppler con onde ultrasonore. (Approssimazione di piccolo) Sonda (sorgente in quiete) globuli rossi fascio ultrasonoro (ricevitore mobile) emesso dalla sonda trasmittente c vB f fS ricevitore B vB c Sonda (ricevitore in quiete) (B = blood) fascio ultrasonoro riflesso dal sangue trasmittente ricevitore fR c vB fS c vB fS fR globuli rossi (sorgente mobile) c c fS fR vB 2vB 2v fS B fS c vB c 2vB cos 2v cos fS B fS c vB cos c Nel caso in cui il vaso forma un angolo col fascio non trascurabile Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB fR c fB c vB Ecografia L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro. • Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel, che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a frequenze da 1 a 15 MHz). • Il fascio ultrasonoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici diversi (grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione del fascio. • Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi), prodotti dalle superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio, in tempi diversi a seconda della distanza complessiva percorsa dal fascio. • Il tempo che intercorre tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse e quindi anche quelle tra le interfacce. • I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per fornire una immagine della anatomia della zona esplorata. Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°. tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ∙106 ( kg m-2 s-1) osso 1.990 3760 7.48 pelle 1.100 1537 1.69 sangue 1.060 1584 1.68 muscolo 1.041 1580 1.64 acqua 0.993 1527 1.52 grasso 0.928 1476 1.36 aria 0.0012 340 0.0004 21. Gli ultrasuoni nella terapia medica Terapia fisica Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi. Nel caso in cui si richieda un effetto termico localizzato, il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione prolungata per più di qualche secondo, per evitare danni cellulari. Terapia dei calcoli I calcoli vengono frantumanti da onde meccaniche ultrasoniche impulsate ad alta intensità (litotrizione). Odontoiatria L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti). Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari. Oculistica Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i residui. Urologia Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica. Chirurgia vascolare Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica e causarne la frantumazione, disostruendo le arterie. Capitolo 5: TERMOLOGIA 5.1 - Calorimetria 5.2 - Termoregolazione del corpo umano 5.3 - Termodinamica 5.1 Calorimetria 1. Stato termico di un corpo, termoscopio La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un corpo. La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che si provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può apparire più caldo di un altro. Osservazioni sperimentali • Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’altro, vengono lasciati a contatto per un tempo sufficientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico. • Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc. Termoscopio Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento (termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi. Esempio di termoscopio Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si osserva l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica). Utilizzo del termoscopio Disponendo il termoscopio successivamente a contatto con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio termico, la proprietà termometrica assume valori che possono essere usati per il confronto dello stato termico dei corpi stessi. corpo 1 corpo 2 2. Temperatura centigrada Celsius (°C) Scale termometriche Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati termici che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o ebollizione di sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori convenzionali di T. Scala centigrada Celsius Punto fisso di riferimento Temperatura in gradi Celsius (°C) Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale 0 °C Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale 100 °C Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n., l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso in 100 parti uguali. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto, usando una legge lineare. Termometro a gas perfetto • Problema: i valori di T che si ottengono nel suddetto modo dipendono dal particolare termoscopio (sostanza e proprietà termometrica) utilizzato. Tuttavia si ottengono identici valori di temperatura utilizzando Sostanza termometrica Proprietà termometrica un gas rarefatto la pressione (p) a volume (V) costante o il volume (V) a pressione (p) costante • Ciò significa che nel caso dei gas rarefatti le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.) sono dello stesso tipo, sono particolarmente semplici, corrispondono a proprietà generali dei gas rarefatti. • Per la misura di T in °C si adotta quindi un termometro a gas molto rarefatto, ponendo lineari le relazioni fra V e T (a p = cost.) e fra p e T (a V = cost.). • Altri termometri possono essere usati dopo taratura per confronto con quello a gas. 3. Scala delle temperature assolute, scala Kelvin (K) Scala delle temperature assolute Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica basandosi sulle proprietà dei gas perfetti. Con la scala delle temperature assolute Tass Tcent 273.15 • le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici, • lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non può essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica). Lo zero assoluto Con la scala delle temperature assolute non si può dare un significato alla temperatura dello zero assoluto: • prima che si raggiunga questa temperatura i gas diventano liquidi, il termometro a gas non è più utilizzabile • con termometri a elio a bassa pressione si può raggiungere una temperatura minima di 1 grado assoluto. Scala termodinamica delle temperature (scala Kelvin) Si può dare un significato allo zero assoluto definendo una nuova scala delle temperature, che si introduce in termodinamica (scala termodinamica delle temperature o scala Kelvin): • non dipende dalle proprietà della particolare sostanza impiegata nel termometro • coincide numericamente con la scala delle temperature assolute (nel campo in cui il termometro a gas può essere usato). Per questo motivo i gradi della scala assoluta si indicano con K (gradi kelvin). La temperatura nel S.I. Nel S.I. si adotta come grandezza fondamentale la temperatura termodinamica. L’unità di misura è il (grado) kelvin (K) definito come la frazione (1/273.16) della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua. 4. Quantità di calore Interpretazione microscopica Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi posseggono in virtù dello stato di moto individuale e disordinato delle particelle che li costituiscono (moto di agitazione termica). Calore e temperatura Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior energia all’aumentare della temperatura. Equipartizione dell’energia Il raggiungimento dell’equilibrio termico fra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema. Questo trasferimento di energia, dovuto alla differenza di temperatura, corrisponde a quantità di calore che dal corpo più caldo passano a quello più freddo. Definizione di calore La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non è altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato. Calorico e caloria Tuttavia, anticamente il calore era considerato come un fluido (calorico) che poteva passare da un corpo ad un altro, e che deve essere somministrato o sottratto ad un corpo per far variare la sua temperatura. Ciò è alla base dell’introduzione di alcune grandezze (es. la caloria), ancora in uso. Calorimetro La quantità di calore che un corpo scambia con l’ambiente può essere misurata con uno strumento chiamato calorimetro. 5. Caloria, calori specifici Calore specifico La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è: 1) proporzionale a (T2 -T1); 2) proporzionale alla massa del corpo ; 3) dipende dalla natura del corpo Q cm(T2 T1 ) c = calore specifico. Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità di calore richiesta per variare la sua temperatura (c∙m = capacità termica del corpo). Per variazioni infinitesime di T: dQ c m dT T2 Per ampie variazioni di T: Q m c(T )dT T1 Caloria: La scelta di una unità di misura per le quantità di calore richiede la scelta di: 1) un intervallo di temperatura; 2) una massa; 3) una sostanza. caloria = Quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C. → Unità del calore specifico: cal· g-1 · °C-1 → Calore specifico dell’acqua: cacqua = 1 cal· g-1 · °C-1 Calore specifico a volume costante ( cV ) e a pressione costante ( cP ) Il calore specifico dipende anche dalla modalità con cui viene somministrato il calore: a V o p costante. • In generale cP > cV : a pressione costante si permette alla sostanza di dilatarsi compiendo lavoro esterno, e parte del calore somministrato viene utilizzato per compiere lavoro di espansione. • La differenza è importante solo per i gas: nei solidi e nei liquidi il coefficiente di espansione termica è molto piccolo e cP ≈ cV 6. Trasmissione del calore: convezione Trasmissione del calore La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e irraggiamento. Convezione La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità con la temperatura. Descrizione quantitativa della convezione Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo, attraverso la superficie S: Q K conv S T t Meccanismo della convezione Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento della temperatura produce una diminuzione della densità (aumenta il volume a parità di massa). Per il principio di Archimede le particelle calde tendono a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e quelle più fredde nella parte inferiore. Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una parte all’altra del fluido. Esempi • Liquido in una pentola scaldata sul fondo • Impianti a termosifone • Correnti oceaniche • Impianti di ventilazione • Formazione dei venti • Brezza di terra e brezza di mare 7. Trasmissione del calore: conduzione Conduzione La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso corpo si trovano a temperature diverse. Descrizione quantitativa Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di lunghezza l le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier): Q T K cond S t l T2 S Conducibilità termica di alcune sostanze a T ambiente T1 l Meccanismo microscopico Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione termica, oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio con ampiezza proporzionale alla loro energia. La trasmissione di calore per conduzione corrisponde al trasferimento di energia dalle molecole più calde alle molecole più fredde per interazione fra molecole adiacenti. sostanza Kcond (J m-1 s-1 °C-1) rame ferro e acciaio ghiaccio vetro acqua pelle secca neve legno sughero polistirolo lana di vetro aria 3.85·102 4.60 2.17 0.84 0.585 0.251 0.210 0.125 0.042 0.040 0.0389 0.0230 8. Trasmissione del calore: irraggiamento L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche (radiazione). Elettromagnetismo 5.2 Termoregolazione del corpo umano 9. Termoregolazione La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C), indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. • La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una temperatura quasi uniforme fra le sue parti. • Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea. quantità di calore prodotto nel corpo = quantità di calore eliminato (dissipato) dal corpo attraverso la superficie cutanea La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi: Dissipazione di calore per conduzione – Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria. – Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier). Dissipazione di calore per irraggiamento – A 37 °C il corpo umano emette nello spazio circostante radiazioni principalmente nel campo dell’ infrarosso. – Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita. – Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è approssimativamente proporzione a (Tcorpo - Tambiente) Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione – In entrambi i casi si ha evaporazione di acqua dalla superficie del corpo. – Il calore necessario per l’evaporazione del sudore (o dell’acqua all’interno dei polmoni) viene sottratto dal corpo. – Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente. – Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore. 10. Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il 70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione. A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il 45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione. Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore. Termoregolazione del corpo umano in presenza di condizioni ambientali estreme Effetti sul corpo e reazioni del corpo Effetto sui meccanismi di trasmissione del calore Condizioni ambientali Ambiente freddo (temperatura esterna bassa) Ambiente secco (umidità relativa bassa) Ambiente umido (umidità relativa elevata) la quantità di calore dissipata dal corpo verso l’esterno per conduzione ed irraggiamento tende ad aumentare. Per mantenere la T cost. bisogna aumentare la produzione di calore nel corpo e diminuire la dissipazione verso l’esterno. la quantità di calore dissipata dal l’evaporazione di acqua dalla corpo verso l’esterno per superficie del corpo è conduzione ed irraggiamento tende fortemente favorita a diminuire. Per mantenere la T cost. bisogna diminuire la produzione di calore nel corpo e aumentare la dissipazione verso l’esterno. l’elevato grado di umidità ostacola l’evaporazione del sudore e rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore Per diminuire la dissipazione il corpo reagisce con una vasocostrizione che ha l’effetto di ridurre il trasferimento di calore dall’interno alla superficie del corpo (ridurre la differenza di temperatura fra superficie del corpo e l’aria circostante) e quindi di ridurre la sua dissipazione per conduzione. Per aumentare la dissipazione di calore il corpo reagisce con la sudorazione e con una vasodilatazione che ha l’effetto di aumentare il trasferimento di calore dall’interno alla superficie del corpo (aumentare la differenza di temperatura fra la superficie del corpo e l’aria circostante) e quindi di aumentare la sua dissipazione per conduzione. Aumentare la dissipazione di calore: vestiti leggeri e larghi, ventilazione, ombra. L’eccessiva siccità può provocare disturbi dell’apparato respiratorio, poiché la notevole evaporazione all’interno delle vie respiratorie produce una pericolosa disidratazione di queste vie. in presenza di un ambiente esterno molto caldo sarebbe necessario poter sudare abbondantemente, ma l’elevato grado di umidità ostacola l’evaporazione del sudore, provocando una sensazione di caldo soffocante E’importante mantenere il giusto grado di umidità relativa (50-69%) nelle abitazioni In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi dagli eccessi di temperatura. Ridurre la dissipazione di calore: vestiti basso coeff. cond. termica. Precauzioni e Commenti Ambiente caldo (temperatura esterna elevata) Aumentare la produzione di calore: esercizio fisico, cibo elevato contenuto calorico. Ridurre la produzione di calore: riposo, cibi ridotto contenuto calorico. Se l’ambiente esterno è freddo, anche se è umido, l’ambiente interno delle abitazioni riscaldate può essere pericolosamente secco (l’umidità relativa, a parità di umidità assoluta, diminuisce all’aumentare della temperatura) se l’ambiente esterno è molto freddo, sarebbe necessario poter isolare il corpo dall’ambiente esterno, mentre invece l’elevata umidità rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore e quindi ostacola la difesa dal freddo. Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di sopportare temperature estreme molto meglio che non in climi umidi 5.3 Termodinamica 1. Sistemi termodinamici Sistema termodinamico Sistema costituito da un gran numero di particelle (atomi o molecole), ovvero, da un gran numero di gradi di libertà. • Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema (microstato del sistema), applicando i metodi della meccanica. • Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze globali (grandezze o variabili di stato), fra le quali è compresa la temperatura. Termodinamica Lo studio del comportamento di tali sistemi in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o variazioni di temperatura è compito della termodinamica. Classificazione dei sistemi termodinamici Un sistema termodinamico si dice: • aperto se consente uno scambio con l'ambiente esterno sia di massa sia di energia (tramite calore e/o lavoro e/o altre forme di energia); • chiuso se consente uno scambio di energia con l'ambiente esterno (tramite calore e/o lavoro e/o altre forme di energia), ma non di massa; • adiabatico quando non scambia calore con l'ambiente esterno; • isolato se non permette uno scambio né di energia né di massa con l'ambiente esterno. 2. Equilibrio termodinamico Stato di equilibrio termodinamico Un sistema termodinamico si trova in equilibrio (o in uno stato di equilibrio termodinamico) quando: 1. Le forze meccaniche che si esercitano sulle varie parti del sistema sono in equilibrio (equilibrio dinamico); 2. non c’è moto macroscopico osservabile fra le varie parti: le singole particelle del sistema si trovano sempre in moto, ma tali moti non sono percettibili su scala macroscopica (equilibrio cinematico); 3. tutte le parti del sistema sono alla medesima temperatura (equilibrio termico); 4. eventuali reazioni chimiche hanno raggiunto l’equilibrio, nel senso che non c’è ulteriore variazione di composizione (equilibrio chimico); 5. processi di cambiamento di stato (solidificazione, evaporazione, ecc.) hanno anche essi raggiunto l’equilibrio (equilibrio fisico). Sperimentalmente si osserva che un sistema termodinamico lasciato a se stesso (per esempio isolato dall’ambiente esterno), dopo un tempo più o meno lungo raggiunge uno stato di equilibrio. Microstato Configurazione microscopica del sistema a cui corrisponde un particolare insieme di valori per le posizioni, le velocità e gli stati quantici delle singole particelle. Natura dinamica dell’equilibrio termodinamico In condizioni di equilibrio termodinamico, da un istante all’altro, il sistema passa da un microstato ad un altro al quale corrispondono gli stessi valori delle grandezze globali che descrivono lo stato di equilibrio termodinamico (macrostato di equilibrio). 3. Variabili di stato, equazioni di stato Variabili di stato Lo stato di equilibrio termodinamico è descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze o parametri che prendono il nome di variabili di stato (temperatura, volume, etc.): i valori che esse assumono per un certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non dipendono dal modo in cui lo stato è raggiunto. • Si ha una coppia di tali variabili (una intensiva, una estensiva) per ciascuna maniera con cui il sistema può scambiare energia (meccanica, elettrica, termica, magnetica, etc.) con l’ambiente esterno, ad es.: - Energia meccanica legata a forze di pressione: pressione (P), volume (V) - Scambio di calore: temperatura (T), entropia (S) - Scambio di materia: potenziale chimico (), numero di moli (n) Equazioni di stato Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti. La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse. • Si ha una di tali relazioni per ciascuna maniera con cui il sistema può scambiare energia con l’ambiente esterno (per ciascun contatto energetico). • Il numero di grandezze di stato indipendenti (numero di grandezze meno numero di relazioni) è pari al numero di contatti energetici. • Lo stato del sistema può essere rappresento da un punto in uno spazio con dimensionalità pari al numero di variabili indipendenti (numero di contatti energetici). 4. Il sistema gas perfetto Gas I gas sono sistemi termodinamici che tipicamente possono scambiare con l’esterno energia termica tramite calore ed energia meccanica mediante il lavoro delle forze di pressione. Per i gas si hanno quindi: 2 contatti energetici : lavoro meccanico delle forze di pressione, scambio di calore 4 variabili di stato: pressione (p), volume (V), temperatura (T), entropia (S); 2 equazioni di stato 2 variabili di stato indipendenti: lo stato del sistema viene tipicamente rappresentato da un punto nel piano p-V (piano di Clapeyron). p pA A VA V Gas perfetti Le equazioni di stato dipendono dal gas considerato, tuttavia, tutti i gas ad elevate rarefazioni ed alte temperature mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale (gas perfetto) che ne riproduce il comportamento limite. Il gas perfetto si ritiene formato da un gran numero di molecole che: • si muovono con uguale probabilità in tutte le direzioni obbedendo alle leggi della meccanica classica; • occupano un volume trascurabile rispetto al volume totale occupato dal gas (particelle puntiformi); • non scambiano forze tranne che durante gli urti con le altre molecole o con le pareti del recipiente, e tali urti sono perfettamente elastici (non vi sono cioè perdite di energia cinetica). Equazione di stato dei gas perfetti Per i gas perfetti l’equazione di stato che lega le variabili p e V è nota come equazione di stato dei gas perfetti e può essere ricavata sperimentalmente: pV nRT R 8.314 J K mol Costante universale dei gas perfetti 5. Trasformazioni termodinamiche Trasformazioni termodinamiche Cambiamenti di stato di un sistema, ovvero, passaggio da uno stato iniziale di equilibrio ad uno stato finale anch’esso di equilibrio. Trasformazioni quasi-statiche Trasformazione costituita da una successione di stati intermedi di equilibrio (per ciascuno dei quali sono definiti i valori delle grandezze di stato). • Il passaggio da uno stato intermedio contiguo al successivo deve avvenire in un tempo sufficientemente lungo. • Possono essere rappresentate graficamente mediante una linea continua. Trasformazioni reversibili Una trasformazione si dice reversibile se oltre ad essere quasi-statica, non è accompagnata da processi dissipativi (attriti, etc), ed eventuali scambi di calore con l’esterno avvengono con corpi (sorgenti) alla stessa temperatura del sistema (al momento dello scambio). • Una trasformazione reversibile può essere descritta in senso contrario, invertendo la sequenza temporale degli stati di equilibrio. Trasformazioni irreversibili Trasformazioni che non sono quasi-statiche, o trasformazioni quasi-statiche, non reversibili. Trasformazioni cicliche Una trasformazione che riporta il sistema nello stato iniziale si dice ciclica. 6. Lavoro nelle trasformazioni reversibili Lavoro e variabili di stato Durante le trasformazioni di un sistema, questo compie frequentemente lavoro. Nelle trasformazioni quasi-statiche o in quelle reversibili tale lavoro può essere calcolato mediante le grandezze di stato. Per una massa gassosa contenuta in recipiente cilindrico chiuso da un pistone mobile di superficie S: trasformazione elementare: dL Fdl pSdl pdV trasformazione finita: S p dl B B A A L dL pdV A F pS B L V Nel caso di più contatti energetici, per ciascuno di questi il lavoro elementare è dato dal prodotto della relativa variabile intensiva per il differenziale della variabile estensiva Contatto energetico Variabili di stato Lavoro elementare Energia meccanica legata a forze di pressione p, V pdV Scambio di materia , n dn dL pdV dn 7. Esperienza di Joule Premessa Alcune esperienze (es. quelle in cui è coinvolto l’attrito) suggeriscono l’idea che il calore prodotto in un trasformazione corrisponda ad una trasformazione di energia meccanica (o di altra specie) che sembra scomparire. Verifica Ogni volta che una data quantità di energia meccanica (o di altra specie) scompare mentre viene prodotto calore (senza che contemporaneamente appaiano altre forme di energia), la quantità di calore prodotta è sempre la stessa. Apparato • Un sistema di pale montate su un asse può ruotare in un cilindro pieno d’acqua nel quale sono disposti alcuni diaframmi fissi. • La rotazione dell’asse è determinata dalla caduta di pesi noti e l’energia meccanica è dissipata in calore per attrito nel liquido. • Il calore prodotto può essere misurato e rimosso, in modo da riportare il liquido nelle condizioni iniziali. Trasformazione Il sistema liquido ha subito una trasformazione ciclica durante la quale un lavoro L è stato compiuto dall’esterno sul sistema, e una quantità di calore Q rimossa. Risultato Il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L (massa dei pesi). 8. Calore ed energia Generalizzazione dell’esperienza di Joule Lo stesso risultato si ottiene in qualunque esperienza analoga, nella quale un sistema descrive una trasformazione ciclica in cui lavoro viene compiuto sul sistema e calore prodotto: il rapporto L/Q resta costante qualunque sia L . Equivalente meccanico della caloria Si può quindi parlare di un equivalente meccanico della caloria, indicato con J, e si può scrivere fra lavoro speso e quantità di calore prodotta in una trasformazione ciclica la relazione : L JQ J 4.1868 joule cal Dimensioni fisiche e unità di misura del calore Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il joule. Convenzione sul segno del calore scambiato dal sistema Q0 Q0 se assorbito dal sistema se ceduto dal sistema all’ambiente esterno 9. Primo principio della termodinamica Un sistema termodinamico compie diverse trasformazioni (reversibili o non) dallo stesso stato iniziale A allo stesso stato finale B. Sperimentalmente si trova che: Il lavoro L compiuto dal sistema e il calore Q scambiato dal sistema con l’esterno dipendono dalla trasformazione seguita L’energia totale scambiata con l’esterno (Q – L) non dipende dalla trasformazione, ma solo dallo stato iniziale A e da quello finale B della trasformazione Lavoro e calore non sono funzioni di stato Si può introdurre una funzione di stato U, detta energia interna U, tale che UB – UA = Q – L Non si può parlare di lavoro e di calore contenuti in un corpo in un certo stato, ma solo di calore scambiato e di lavoro compiuto dal sistema durante una trasformazione Si può parlare di una energia totale (energia interna) del sistema in un determinato stato termodinamico. Enunciato Per un sistema termodinamico esiste una funzione di stato, energia interna, la cui variazione quando il sistema passa da uno stato A ad uno stato B dipende solo dagli stati iniziale e finale e non dalla trasformazione seguita: tale variazione è pari all’energia scambiata con l’esterno tramite il flusso di calore ed il lavoro. Espressione analitica trasformazione finita: U B U A Q L trasformazione elementare: dU dQ dL p A B V 10. Il significato del primo principio della termodinamica Quando un sistema termodinamico compie una trasformazione da uno stato A a uno stato B, il bilancio (Q – L) dell’energia (termica e meccanica) che esso scambia con l’ambiente non va in generale in pareggio (Q - L ≠ 0). Lo sbilanciamento (Q – L) viene tuttavia compensato da una variazione dell’energia (interna) accumulata dal sistema Se l’energia complessivamente ricevuta dal sistema è maggiore di quella ceduta (Q - L > 0) l’energia interna aumenta di una quantità pari proprio a Q - L. Se l’energia estratta dal sistema è maggiore di quella che esso ha ricevuto (Q - L < 0), la differenza è stata fornita dal sistema, la cui energia interna è diminuita di una pari quantità. In definitiva il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza di scambi di quantità di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa. Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante. 11. Espansione libera di un gas perfetto A B C gas vuoto Esperienza di Joule Un gas perfetto, inizialmente contenuto nel recipiente A, può espandersi liberamente nel recipiente B (inizialmente vuoto) aprendo il rubinetto C. Tutto il sistema è posto in un bagno termometrico, termicamente isolato dall’esterno. Risultato sperimentale Nell’espansione libera di un gas perfetto la temperatura resta costante bagno termometrico Applicazione del primo principio L0 Il gas si espande liberamente Q0 Il sistema è adiabatico U Q L 0 U cost. T cost. Conseguenze • Per i gas si hanno due variabili di stato indipendenti ad es. T, V. Quindi tutte le grandezze si posso esprimere mediante queste variabili, in particolare U(T,V). • Nell’espansione libera U resta costante, mentre V varia e T resta costante. Legge di Joule L’energia interna di un gas perfetto è indipendente dal suo volume, ed è funzione esclusivamente della temperatura. U U (T ) 20. Secondo principio della termodinamica Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non avvengono mai nella realtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica. Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra. Enunciato di Kelvin E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di trasformare in lavoro il calore estratto da una sorgente termica. Enunciato di Clausius E’ impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia soltanto quello di trasferire una quantità di calore da un corpo ad un altro a temperatura maggiore. 21. Il significato del 2° principio Il 2° principio riconosce il fatto che molti processi avvengono spontaneamente in un verso ben preciso e che in tal caso essi sono intrinsecamente irreversibili, nel senso che non è possibile realizzare una combinazione di processi naturali che ripristini esattamente lo stato iniziale del sistema. Esempio 1 Il passaggio di quantità di calore da un corpo caldo a un corpo freddo avviene spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo ed il II principio afferma l’impossibilità di invertire il processo. T1 T2 Esempio 2 In un pendolo portato fuori dalla posizione di equilibrio e lasciato a se stesso, il processo naturale è quello delle oscillazioni smorzate fino al ritorno all’equilibrio (quiete), con produzione di calore per attrito e resistenze passive. Il processo non può avvenire in verso opposto: esso richiederebbe un lavoro ottenuto per trasformazione di quantità di calore prelevate dall’ambiente (sorgente a T cost.) e ciò è vietato dal II principio. Trasformazioni reali In una qualsiasi trasformazione reale c’è sempre trasformazione di una quantità di energia di altra specie in calore: esse risultano irreversibili giacché, per il II principio, la trasformazione inversa non può essere realizzata. Le limitazioni espresse dal II principio sono legate alle cause che rendono i processi reali irreversibili e che di conseguenza fissano il verso delle trasformazioni spontanee dei sistemi. 22. Trasformazioni reversibili Caratteristica delle trasformazioni reversibili elementari 1. La quantità di calore elementare dQ che il sistema riceve è pari a quella fornita dalle sorgente esterna, non c’è produzione di calore nel sistema per fenomeni dissipativi di attrito (non c’è trasformazione di energia di altro genere in calore). 2. La temperatura del sistema in questo processo coincide con quella della sorgente esterna (uno scambio di calore con differenza di temperatura fra sorgente e sistema genera fenomeni irreversibili, ad es. differenze di temperatura fra le parti del sistema). T T sorgente dQ dQ sistema Trasformazioni reversibili (finite) Una trasformazione reversibile da uno stato A ad uno B può essere considerata come la somma di tante trasformazioni reversibili elementari in cui il sistema, alla stessa temperatura T della sorgente esterna, scambia con questa una quantità di calore dQ . La temperatura e la quantità di calore possono variare da trasformazione elementare a trasformazione elementare, ma in ogni trasformazione elementare la temperatura della sorgente e del sistema è la stessa e la quantità di calore assorbita dal sistema è uguale a quella ceduta dalla sorgente. dQ1 A Ti Ti dQ2 T1 sorgente dQi T2 Ti B dQi dQi sistema 23. Entropia Entropia Il calore Q non è una funzione di stato: fissati gli stati iniziale e finale del sistema il calore scambiato dal sistema con l’ambiente esterno dipende dalla particolare trasformazione fra questi stati. La somma delle quantità dQ/T, lungo tutta una trasformazione reversibile, è invece indipendente dalla trasformazione e dipende solo dallo stato iniziale e dallo stato finale. E’ possibile allora introdurre una funzione di stato, l’entropia S, definita in modo che la sua variazione fra due stati sia uguale a quella sommatoria: dQ SB S A T rev A dQ dS T rev B In termini differenziali A dQi Ti dQ1 T1 dQ2 T2 dQn Tn dQ3 T3 B B dQi dQ lim n T rev i 1 Ti A n 24. Trasformazioni irreversibili e Disequazione di Clausius Caratteristica delle trasformazioni irreversibili elementari 1. Esistenza di processi dissipativi, come l’attrito, che provocano trasformazioni di energia meccanica, elettrica, ecc., in energia termica (calore). La quantità di calore totale dQtot ricevuta dal sistema è pari alla somma di quella ricevuta dalla sorgente esterna (dQest) e quella prodotta (dQdiss > 0) nel suo interno per trasformazioni di altri tipi di energia. 2. Esistenza di una differenza di temperatura fra sorgente e sistema. La temperatura della sorgente (Tsorg) è maggiore di quella del sistema (Tsist), se le quantità di calore sono cedute al sistema, è invece minore, se le quantità di calore sono cedute dal sistema. Disequazione di Clausius dQ SB S A T irr A B T+T T dQest dQest sorgente sistema dQdiss dQ dS T irr 26. Entropia nei sistemi isolati Nelle trasformazioni reversibili l’entropia di un sistema isolato (dQ=0) resta costante: dQ SB S A T rev A B dQ 0 S B S A 0 S B S A Nelle trasformazioni irreversibili l’entropia di un sistema isolato (dQ=0) aumenta: dQ SB S A T irr A B dQ 0 S B S A 0 S B S A Il sistema e l’ambiente esterno (universo) costituiscono un sistema isolato. Siccome le trasformazioni reali sono tutte irreversibili si può dire che “le trasformazioni avvengono spontaneamente nel verso per cui l’entropia dell’universo aumenta, e non possono avvenire mai spontaneamente nel verso opposto provocando una diminuzione di entropia dell’universo”. Se per il primo principio della termodinamica, l’energia dell’universo è costante, il secondo principio della termodinamica equivale ad affermare che l’entropia dell’universo cresce continuamente (o al massimo resta costante per trasformazioni reversibili). 27. Integrale di Clausius ed Entropia B S B S A rev B S B S A irr A dQ T rev A dQ T irr A irrev. rev. rev. B 29. Potenziali termodinamici 2 principio 1 principio dU dQ dL dQ pdV dn dS dQ / T dU TdS pdV dn dU TdS pdV dn 0 S, p, n costanti dQ TdS espressione combinata del 1° e 2° principio H = entalpia (T,S; p,V; ,n) dU pdV 0 d (U pV ) 0 H U pV dH 0 a S, p, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua entalpia H sia minima T, p, n costanti (T,S; p,V; ,n) dU PdV TdS 0 d (U PV TS ) 0 G = energia libera di Gibbs G U PV TS a T, p, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia libera G sia minima dG 0 espressione combinata del 1° e 2° principio dU TdS pdV dn dU TdS pdV dn 0 T, V, n costanti A = energia libera di Helmoltz (T,S; p,V; ,n) dU TdS 0 d (U TS ) 0 A U TS dA 0 a T, V, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia libera A sia minima S, V, n costanti (T,S; p,V; ,n) U = energia interna dU 0 a S, V, n costanti, la condizione di equilibrio di un sistema è che la sua energia interna U sia minima Capitolo 6: Elementi di ELETTROMAGNETISMO 6.1 - Campo elettrico e campo magnetico 6.2 - Onde elettromagnetiche 6.3 - Le radiazioni in medicina 6.1 Campo elettrico e campo magnetico 1. Carica elettrica, legge di Coulomb Particelle elementari Particella Protone Neutrone Elettrone Massa (kg) mp = 1.6725210- 27 mn = 1.6748210- 27 me = 0.9109110- 30 Dimensioni (m) 10- 15 10- 15 < 10- 16 Carica elettrica (coulomb, C) e = 1.610-19 0 -e = -1.610-19 Interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (legge di Coulomb): el qq 1 q1q2 f12 K 1 2 2 rˆ12 rˆ12 r 4 0 r 2 (K = 9109 Nm2C-2) q1 r12 r r̂12 q2 0 = costante dielettrica del vuoto Legge di Newton gr mm f12 G 1 2 2 r̂12 r (G = 6.710-11 Nm2kg-2) m1 r12 r r̂12 m2 Confronto: atomo di idrogeno el 12 gr 12 f f 19 2 K e 9 10 (1.6 10 ) 1039 11 27 30 G m p me 6.7 10 1.67 10 0.91 10 2 9 r 0.5 1010 m prot. elettr. 2. Campo elettrico Una carica puntiforme Q (ferma in un sistema inerziale) esercita su una carica q0 molto piccola posta nelle sue vicinanze (carica di prova) una forza proporzionale alla carica elettrica di prova q0 : 1 Qq0 F rˆ 2 4 0 r Q r r rˆ q0 Il rapporto fra questa forza e il valore della carica di prova è allora indipendente dalla carica di prova, e dipende solo dalla carica Q e dalla posizione occupata dalla carica di prova. Questo rapporto definisce il vettore campo elettrico generato dalla carica Q (detta sorgente del campo) nella posizione considerata: F 1 Q ˆ r E0 (r ) q0 4π 0 r 2 Nel caso in cui la sorgente del campo non sia una carica puntiforme, ma un insieme discreto o una distribuzione continua di cariche (ferme in un sistema inerziale), il campo si definisce allo stesso modo, considerando la somma vettoriale dei vettori forza generati da ciascuna carica e utilizzando, però, una carica di prova molto piccola (infinitesima), in modo da produrre una perturbazione trascurabile nella configurazione delle cariche circostanti: F E lim q 0 q La carica di prova può infatti provocare spostamenti macroscopici delle cariche presenti su un conduttore (fenomeno dell’induzione elettrostatica) o modificazioni localizzate nelle distribuzioni di cariche negli isolanti (fenomeno della polarizzazione). 4. Potenziale elettrico Potenziale elettrico generato da una carica puntiforme Q In ogni punto dello spazio possiamo definire una energia potenziale per unità di carica, indicata con V(x,y,z,) e detta potenziale elettrico, utilizzando la relazione: P E0 dl V ( P0 ) V ( P) V ( P) E0 dl V ( P0 ) P P0 P0 Scegliamo P0 infinitamente lontano dalla carica sorgente Q, dove la forza elettrostatica ed il campo elettrico si annullano, e poniamo nulla l’energia potenziale in questo punto: P0 P ; r0 V ( P0 ) V () 0 Risulta: Q 1 Q 1 1 Q V () V ( P) E0 dl V ( P0 ) 4 0 r 4 0 r0 4 0 r P0 P Unità di misura joule volt (V ) coulomb Q r P 7. Corrente elettrica Corrente elettrica Se un conduttore metallico è immerso in un campo elettrico si stabilisce ai sui capi una differenza di potenziale V=VA-VB e le cariche libere (di conduzione) presenti nel conduttore sono soggette ad una forza qE. Si stabilisce allora un moto ordinato di cariche nella direzione del campo che prende il nome di corrente elettrica. Intensità di corrente elettrica Si definisce intensità di corrente il rapporto fra la carica dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel tempo dt, e l’intervallo dt stesso: dQ I dt Generatori Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenere costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore. In questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel tempo (corrente stazionaria I ). E + + + + + + + F qE VA VB VA VB I Unità di misura coulomb ampere (A) s - A + - B 8. Legge di Ohm R Legge di Ohm In condizioni stazionarie, per una vasta varietà di conduttori (conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità fra V e I: I V RI Schema di un semplice circuito costituito da un conduttore di resistenza R e da un generatore di forza elettromotrice La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza elettrica del conduttore. Resistenze in serie R R1 VA VB VA VC VC VB R1 R2 I I I I C A I1 Resistenze in parallelo 1 I I I I1 I2 1 1 1 2 R VA VB VA VB VA VB VA VB R1 R2 - + R2 B R1 I A B I2 R2 9. Campo magnetico Osservazioni sperimentali In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti fermi e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità v. Si osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza: • • • • • dipendente dalla posizione perpendicolare alla velocità modulo proporzionale alla carca q modulo proporzionale al modulo v della velocità in ogni posizione, il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è sempre una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la forza è massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla q v I + - Forza di Lorentz e campo magnetico Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B0 (detto campo magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F (detta forza di Lorentz) data dalla legge: F qv B0 ( x, y, z ) Unità di misura del campo magnetico NC 1m1s tesla (T ) 13. Campi elettrici e magnetici variabili nel tempo Fenomeno dell’induzione elettromagnetica Una spira conduttrice (non alimentata) immersa in un campo magnetico viene percorsa da corrente elettrica quando: - è ferma in un campo magnetico variabile nel tempo - è in moto in un campo magnetico costante nel tempo e non uniforme nello spazio - è in moto non traslatorio in un campo magnetico costante e uniforme Legge di Faraday (terza equazione di Maxwell) Un campo magnetico B0 variabile nel tempo genera un campo elettrico (campo elettromotore indotto Ei), tale che “la circuitazione di Ei lungo una linea chiusa orientata l è pari alla derivata rispetto al tempo, cambiata di segno, del flusso del campo magnetico B0 attraverso una qualsiasi superficie S che ammette l come contorno”. d l E dl - dt SB d S E B S E Quarta equazione di Maxwell Un campo elettrico E0 variabile nel tempo genera un campo magnetico B0 tale che “la circuitazione di B0 lungo una qualsiasi linea chiusa orientata l è pari al prodotto di 0 per la somma algebrica delle intensità delle correnti concatenate con la linea, inclusa la corrente di spostamento data dal flusso della derivata temporale di 0E0 attraverso una qualsiasi superficie S che ammette l come contorno”. E0 l B dl 0 I 0 S t dS 6.2 Onde elettromagnetiche 1. Onde elettromagnetiche Onde elettromagnetiche Il campo elettromagnetico può propagarsi nel vuoto sotto forma di onde trasversali (onde elettromagnetiche): il campo elettrico e magnetico oscillano mantenendosi perpendicolari fra loro e alla direzione di propagazione dell’onda. T c 1 c T Velocità della luce La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale: c 3 108 m / s Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla Terra alla Luna, 384400 km, la luce impiega circa 1,2808886126 secondi considerando la distanza media centro Terra/centro Luna. Indice di rifrazione di un mezzo In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il nome di indice di rifrazione del mezzo: n c v 2. Il fotone Il fotone L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella elementare, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica e il mediatore dell’interazione elettromagnetica. • L’energia E trasportata da un’onda elettromagnetica monocromatica di frequenza può assumere solo valori discreti, multipli interi di un valore elementare , l’energia del fotone, proporzionale alla frequenza dell’onda: E n h h 6.62 1034 J s (h = costante di Planck) • Quando interagisce con un altro sistema, un’onda elettromagnetica di frequenza può soltanto cedere o ricevere una quantità di energia che sia un multiplo intero dell’energia h del fotone. Le onde elettromagnetiche vengono quindi emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni: – L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (energia En), cedendogli tutta la propria energia: En E1 h – Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La diseccitazione può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi a livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati i e j (di energia Ei ed Ej, con Ei > Ej) corrisponde l’emissione di un fotone la cui energia è pari alla differenza di energia dei livelli fra cui avviene la transizione: h Ei E j 3. Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone Lunghezza d’onda La lunghezza d’onda si esprime tipicamente in metri. Frequenza 1 c T 108 ( Hz) 3 (m) L’elettronvolt 1 eV 1.6 1019 coulomb 1volt 1.6 1019 J 6.62 1034 15 h eV s 4.14 10 eV s 19 1.6 10 Energia E h hc E h E (eV ) 4.14 1015 ( Hz) 3 108 m / s 4.14 1015 eV s E (eV ) (m) 106 E (eV ) 1.24 (m) 4. Lo spettro delle onde elettromagnetiche 6.3 Le radiazioni in Medicina (da Scannicchio, Fisica Medica, Edises ) 1 Le microonde (Hz) E 1 m - 1 mm 300 MHz - 300 GHz ≈ 1 eV - 1 meV Produzione Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici (klystron, magnetron) Interazione con la materia Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa, per attrito, il riscaldamento del materiale stesso. Assorbimento nei tessuti L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale: I ( x) I 0 e x / D I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo I0 = intensità incidente sulla superficie D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente è determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde con il momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo riorienamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in tessuti con differente contenuto di acqua. 2 Effetti biologici ed applicazioni delle microonde Effetti biologici L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia). Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti, borsiti e lesioni muscolari. Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con pari a circa 2450 MHz) che sono indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle. Danno biologico La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2). Altre applicazioni • Comunicazioni satellitari • Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi • Radar • Forno a microonde 3 La radiazione infrarossa (Hz) E 1 mm – 0.7 m 3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz 1.24 · meV – 1.77 eV Produzione: Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura. Emissione termica Nella materia il moto di agitazione termica genera: • un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde elettromagnetiche. • transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di diseccitazione vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici. Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien: Legge di Stefan L’energia radiante emessa in un secondo da un elemento di area unitaria della superficie di un corpo è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta ( = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4): I T 4 Legge di Wien La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge il massimo d’intensità è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K): max kT 1 • La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per 1 pm ≤ ≤ 1 nm si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle (sorgenti X stellari). • Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25 ∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1 • Quando un metallo viene riscaldato diventa luminoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio e al bianco, man mano che si aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze d’onda minori all’aumentare di T. • Il Sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa T=5800 K, a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile (più esattamente nel giallo). sole lampadina lampada da infrarosso 4 Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa Effetti biologici Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma di calore. L’effetto della radiazione sul corpo umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso. • per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm • il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari. • Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta temperatura (3000 K). • Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi per conduzione. Utilizzo per scopo diagnostico Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile: • Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue. • Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo scheletrico) o un tumore (della pelle, della mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a quella del tessuto sano circostante. Altre applicazioni • Visione notturna 5 La radiazione visibile (Hz) E 0.7 m – 0.4 m 4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz 1.77 eV – 3.1 eV La luce Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d'onda. I colori Le differenti lunghezze d'onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori (frequenze più basse), al violetto delle lunghezze d'onda minori (frequenze più alte). Ottica 6 La radiazione ultravioletta (UV) E 0.4 m - 10 nm 7.5 · 1014 - 3 · 1016 Hz 3.1 eV - 124 eV Sottoclassificazione regione UVA UVB UVC 400-315 nm 315-280 nm 280-100 nm Produzione • Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura. • Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne). • Lampade a fluorescenza, lampade UVA. • Radiazione solare. Lampade a fluorescenza. In medicina si usano lampade contenenti un tubo di quarzo (che, contrariamente al vetro, è trasparente agli UV), contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da scariche elettriche, emette diseccitandosi una serie di righe nella regione spettrale del violetto e dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da opportuni fosfori che si eccitano proprio per una di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno spettro continuo con 270 ≤ ≤ 400 nm. Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm. 7 Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta Interazione con la materia L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o addirittura la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia, questa radiazione è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici. Effetti biologici sulla pelle L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette (in prevalenza UVB) produce un eritema (dilatazione dei vasi sanguigni dovuta a sostanze prodotte dalla radiazione), seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento che si deposita nei tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti). Per inferiori a 320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle. Effetti biologici sugli occhi Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea. Attivazione della sintesi della vitamina D Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm. Azione battericida Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per ≈ 260 nm e si estende fino a circa 360 nm), conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche. Trattamento dell’epidermide in dermatologia Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta assorbite dall’ozono stesso. 8 Raggi X (Hz) E 10 nm - 1 pm 3 · 1016 - 3 · 1020 Hz 124 · eV - 1.24 MeV Produzione • Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore. • Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono presenti al massimo raggi UV. Questo perché la differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli elettroni di valenza e gli stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X. 1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni. 2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi ad alta energia possono generare raggi X se vengono bruscamente frenati. 9 La radiazione di frenamento • Un elettrone di elevata energia cinetica, ottenuto per esempio accelerandolo per mezzo di una elevata d.d.p., viene fatto urtare su una lastra di un materiale metallico (bersaglio). • Se l’elettrone interagisce con il nucleo di un atomo del bersaglio subisce una forte decelerazione. • Quando una carica è soggetta ad una forte accelerazione irraggia energia sotto forma di radiazione elettromagnetica di elevata frequenza (fotoni X), a spese della sua energia cinetica. • Questo processo si può ripetere più volte fino all’esaurimento dell’energia dell’elettrone incidente, con conseguente emissione di un certo numero di fotoni, con frequenze variabili. • Quindi lo spettro dei fotoni X emessi per frenamento è continuo, con una frequenza massima corrispondente al processo in cui tutta l’energia cinetica dell’elettrone incidente viene trasformata in un unico fotone nel primo processo d’urto che esso subisce. 10 Raggi X caratteristici • Se l’elettrone energetico incidente interagisce con un elettrone di un orbitale interno di un atomo del bersaglio può avere sufficiente energia da espellerlo per urto. • L’orbitale lasciato libero dall’elettrone interno viene subito riempito da un elettrone di un orbitale più esterno se il salto energetico è permesso. • In tale transizione viene quindi emesso un fotone X di ben definita energia hn uguale alla differenza di energia tra i due livelli (orbitali) coinvolti. • Allo spettro continuo di frenamento si sovrappone quindi una emissione di fotoni X ad energie ben definite, cioè uno spettro a picchi molto stretti (righe). Le corrispondenti lunghezze d’onda sono determinate dalle energie dei livelli atomi coinvolti e quindi dal tipo di materiale usato come bersaglio (raggi X caratteristici). 17 I raggi X in diagnostica medica L’immagine radiologica • La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica: un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un massimo (minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo). • L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile: Radioscopia Si intercetta il fascio di raggi X emergente dal corpo mediante uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione). Radiografia Il fascio di raggi X emergente impressiona una pellicola fotografica “sensibile ai raggi X”. Si produce un’immagine negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare rappresentano le ombre di oggetti più opachi. 18 Raggi (Hz) E < 1 pm > 3 · 1020 Hz > 1.24 MeV Produzione • Decadimento di nuclei radioattivi. • Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori. Interazione con la materia A causa della loro elevata energia, i fotoni provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale attraversato mediante gli stessi meccanismi validi nel caso dei raggi X, cui si aggiunge l’effetto cumulativo determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno sciame elettromagnetico di fotoni e particelle. Effetti sui sistemi biologici • La produzione di ioni nei sistemi biologici consiste nella formazione di radicali liberi dall’acqua e da molecole organiche. • Il danno biologico da radiazione ionizzanti si esplica proprio tramite l’azione chimica dei radicali liberi, i quali rilasciano la loro energia rompendo i legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in particolare quelli del DNA. • Il danno può causare la disfunzione di cellule con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare anche alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione). • I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro discendenti (danni genetici ereditari). • Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici (organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolati del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il cristallino e la pelle. 19 Utilizzo della radiazione a scopo diagnostico I radionuclidi sono utilizzati come segnalatori della distribuzione topografica di particolari atomi, molecole, cellule all’interno dell’organismo: quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo. La sua maggiore concentrazione in determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo interessato, da cui trarre una diagnosi. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi. • Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide. La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto con la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità di iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I. La misura può essere effettuata : − contando il numero di emissioni b- e per un tempo prefissato (misura integrale di radioattività) − misurando la distribuzione geometrica della radioattività, ottenendo un’immagine dell’organo interessato (scintigrafia). • Sostituzione di un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: assorbimento idrico di una pianta. Si utilizza l’acqua marcata con trizio, cioè acqua in cui alcune molecole hanno un atomo di H sostituito con il suo isotopo radioattivo trizio (3H). Quando la pianta ha le radici immerse in acqua marcata, la misura della radioattività nelle foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico. • Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina. Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio: si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad essa molto simile nel comportamento biologico. • Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg 20 Utilizzo della radiazione a scopo terapeutico numero di cellule sopravissute Utilizzo a scopo terapeutico Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti malati (cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le cellule normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento radiante, per dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni ai tessuti sani. L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi: • Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati nella zona del tumore per periodi di tempo programmati (brachiterapia) • I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla zona da trattare (cobaltoterapia).