Fisici versus Storici e Filosofi della Scienza

LA NATURA PROFONDA DELLA REALTA’ SFUGGE A OGNI LOGICA OPPOSITIVA
Fisici versus Storici e Filosofi della Scienza
di Cristiana Bullita
La presentazione che il saggista Paolo Pecere fa su “Internazionale” del 23 maggio scorso del recente best
seller del fisico Carlo Rovelli, “Sette brevi lezioni di fisica” (Adelphi), ci offre lo spunto per una riflessione
sul tema del rapporto, spesso conflittuale, tra le diverse branche del sapere. Nel saggio, lo scienziato illustra
in modo divulgativo alcune recenti teorie della fisica contemporanea e afferma l’importanza cruciale della
storia e della filosofia della scienza per l’avanzamento del sapere scientifico. Il valore della memoria è però
oggi messo in discussione da molti scienziati, che operano in un contesto deprivato di uno sfondo storicofilosofico.
I primi filosofi occidentali, circa duemilacinquecento anni fa, nel cosiddetto periodo cosmologico della
storia del pensiero, si posero questioni relative alle origini e alla costituzione del mondo e giunsero a
spiegazioni che mescolavano religione, magia e intuizione razionale. Per molti secoli, l’osservazione
sperimentale e la riflessione su di essa hanno coinciso con la “filosofia naturale” e sono state di competenza
del filosofo-scienziato. Con il progredire della ricerca, le diverse discipline scientifiche sono diventate saperi
autonomi sganciati dalla filosofia, che ha perso gli strumenti per esprimersi compiutamente sulla
costituzione del mondo fisico. Alla fine dell’Ottocento, sull’onda positivistica, la scienza si è proposta come
modello unico di conoscenza. Allora s’è evidenziata la necessità di ridefinire la funzione propria della
filosofia. A partire dalla prima metà del XX sec., essa si occupa prevalentemente di analisi del linguaggio; è
impegnata a chiarire gli enunciati della scienza e a distinguere le proposizioni scientifiche da quelle che non
lo sono, come pure gli enunciati dotati di significato da quelli che ne sono privi. In sostanza, si è chiesto alla
filosofia di disegnare il confine tra scienza e non scienza. Per Ludwig Wittgenstein, logico austriaco morto
nel 1951, il linguaggio che la scienza utilizza per rappresentare i fatti del mondo - che coglie gli oggetti, le
loro proprietà, le loro interconnessioni (cioè i ‘fatti atomici’) - deve essere attentamente analizzato dalla
filosofia. La quale annovera tra le sue possibili funzioni anche quella legata all’interpretazione e alla
comprensione di testi di ogni genere, poiché non esiste espressione linguistica dotata di significato che non
richieda un’interpretazione (ermeneutica). Pertanto, troviamo davvero azzardato sostenere che “la filosofia è
morta”, come fa Stephen Hawking, che dimostra d’ignorare gli sviluppi del pensiero filosofico novecentesco
e che manifesta una visione insolitamente angusta per un fisico teorico di tale fama.
“Come possiamo comprendere il mondo in cui ci troviamo? Come si comporta l’Universo? Qual è la natura
della realtà? Che origine ha tutto ciò?
L’Universo ha avuto bisogno di un creatore? [...] Per secoli questi interrogativi sono stati di pertinenza
della filosofia, ma la filosofia è morta, non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza, e
in particolare della fisica. Così sono stati gli scienziati a raccogliere la fiaccola nella nostra ricerca della
conoscenza”.
S. Hawking, L. Mlodinow, Il grande disegno
Altri autori, oltre a Hawking, parlano di scomparsa o di dissoluzione della filosofia, ma lo fanno pensando
non all’esito di un ipotetico scontro esiziale con la scienza, bensì alla tendenza propria del pensiero
filosofico contemporaneo di frantumarsi in filosofie particolari che inclinano alla confluenza e
all’identificazione con le relative scienze particolari (di questo abbiamo già trattato in “La scomparsa della
filosofia”).
Le intuizioni del passato sono fondamentali per lo sviluppo della scienza contemporanea. La rivalutazione
della dimensione storica della ricerca scientifica è un’impostazione epistemologica comune a pensatori come
Bachelard, Popper, Kuhn, Lakatos, Feyerabend, che concordano nel ritenere la storia della scienza un
prezioso deposito di teorie che, per quanto in parte o totalmente errate, sono essenziali al progresso
scientifico.
Molte tesi della fisica contemporanea, infatti, sono frutto del ripensamento e della rielaborazione di dottrine
metafisiche e di miti.
“Mi resi conto […] che da un punto di vista storico , le teorie scientifiche derivano dai miti, e che un mito
può contenere importanti anticipazioni delle teorie scientifiche”
K. Popper, Congetture e confutazioni
L’astrologia, oggi considerata pseudoscienza, ha sempre asserito che i pianeti esercitano una certa
“influenza” sugli eventi terrestri, e per questo fu attaccata dai razionalisti. Ma la teoria gravitazionale di
Newton e la teoria delle maree dimostrano la veridicità di quell’asserzione, ed esse sono state senz’altro
ispirate dalla tradizione astrologica.
A partire dal XIX sec., John Dalton ed altri hanno ripreso la teoria prescientifica dell’atomismo di Leucippo,
Democrito ed Epicuro, consentendone il felice transito dalla metafisica alla fisica, la quale si è giovata
senz’altro di quelle felici e nude intuizioni .
Spesso dal passato giungono ricordi e fantasticherie (rêveries bachelardiane) che, traducendosi in
immaginazione poetica, si costituiscono come forma di conoscenza che non si contrappone a quella
intellettiva e che influenza le nostre teorie, anche quelle scientifiche, poiché è implicata nella nostra
percezione del mondo.
Al tentativo di sminuire l’importanza della storia e della filosofia non è estranea la questione dei
finanziamenti per la ricerca. La tendenza che si manifesta a seguito dell’affermazione che la fisica è viva e la
filosofia è morta è quella di escludere dalle sovvenzioni quei progetti dei quali non si possa presupporre
un’utilità pratica e immediata. Certo, conveniamo con Max Weber, sociologo e filosofo tedesco morto nel
1920, che una relazione ai valori del proprio tempo sia necessaria per decidere su quali problemi investire
risorse comunque limitate. Ma il criterio dell’utile immediato non può essere il solo. Se così fosse, osserva
Donald Gillies, epistemologo britannico, studiosi come Copernico e Frege non sarebbero mai stati finanziati
e non avrebbero potuto portare avanti i propri studi.
In una lettera del 1944, Albert Einstein scriveva:
“Io concordo pienamente con te sull’importanza ed il valore educativo della metodologia, della storia e
della filosofia della scienza. Oggi molta gente, tra cui scienziati di professione, mi sembrano come chi ha
visto migliaia di alberi, ma non ha mai visto una foresta. La conoscenza dei fondamenti storici e filosofici
fornisce quel genere di indipendenza dai pregiudizi di cui soffre la maggior parte degli scienziati di oggi.
Questa indipendenza creata dall’intuizione filosofica è, a mio parere, il segno distintivo tra un puro
artigiano o specialista ed un vero ricercatore della verità”
(Lettera a R.A. Thornton, Einstein Archive, Hebrew University in Jerusalem, EA 6-574).
È evidente che un “vero ricercatore della verità” non può prescindere dalla conoscenza della storia e della
filosofia; ed è altrettanto evidente che uno “specialista”, preoccupato unicamente di restare rinchiuso nel
proprio ambito, all’interno del quale soltanto formula i problemi e ricerca le soluzioni, non avrà mai accesso
a una visione più ampia che possa consentirgli quello che Thomas Kuhn chiama ‘cambiamento di
paradigma’. L’uscita dal modello concettuale consolidato e condiviso, necessaria al progresso della scienza,
richiede infatti che si abbandoni il settore disciplinare di competenza e che ci si apra a una nuova visione del
mondo. Per giungere ad essa, non si può prescindere dalla conoscenza di quei “fondamenti storici e
filosofici” che costituiscono il vero antidoto ai pregiudizi scientistici che frenano l’acquisizione di un sapere
autentico.