“Amalgama, Metalli e Radiazioni elettromagnetiche” Nicola Limardo Architetto; Esperto di Bioarchitettura; Esperto di Fisica Quantistica; già Docente c/o Università Jean Monnet di Bruxelles e c/o Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Siena L'amalgama metallica generalmente è costituita dalle seguenti componenti: 52% di Mercurio e 48% da una lega a base di Argento(16%), Stagno(26%), Rame(5%) e Zinco(1%) utilizzata dai dentisti per le otturazioni. Una dose di amalgama utilizzata nelle otturazioni contiene circa 440mg di Mercurio e 400mg di lega. L' otturazione con amalgama rilascia ogni giorno da 0.5 a 0.10mg di Mercurio per fenomeni vari tra i quali l'abrasione, corrosione, il calore quando, ad esempio, si assume una bevanda calda, la disgregazione elettrolitica, generata dai diversi metalli presenti nella cavità orale; c'è da dire che anche i sali dei cibi, le acque gassate, gli acidi alimentari, ecc. accentuano la naturale disgregazione delle amalgame metalliche. Gli operatori nel settore che evitano di utilizzare il mercurio e gli altri componenti metallici nelle amalgame ma utilizzano principalmente resine composite o altri componenti “free metal”, già sono ben al corrente di ciò che comporta al paziente avere in bocca un'amalgama con presenza di metalli: questi metalli e, in particolar modo, il mercurio, durante il rilascio in bocca, per una parte tendono a depositarsi nei tessuti cellulari e per l'altra vengono eliminati attraverso urina e feci andando così ad inquinare l'ambiente in cui viviamo (terreno, fiumi, ecc.); però non tutti gli operatori sanitari sono al corrente che i metalli presenti in bocca producono delle “correnti galvaniche” in quanto sono immessi in un ambiente sempre umido e molto spesso bagnato da liquido salino il quale è un ottimo conduttore delle micro correnti interne e quindi è come se vi fossero dei cortocircuiti fra le terminazioni nervose della mucosa, lingua, palato, gola, andando a modificare anche il pH della saliva. Quest'ultimo processo viene amplificato ulteriormente di notte se la persona riposa in vicinanza di campi elettromagnetici presenti vicino al letto come, ad esempio, la lampada o il cavo elettrico dell'impianto di rete passante dietro la testiera del letto: infatti, anche a luci spente, è presente comunque un elevato campo elettromagnetico che va non solo ad amplificare il problema all'interno della bocca, ma va a disturbare anche la ghiandola pineale che, a sua volta, riduce la produzione di melatonina con conseguenti disturbi di vario genere (disturbi del sonno, mal di testa, spossatezza, ecc.). Un altro problema è creato dall'utilizzo del telefono cellulare dato che il suo campo elettromagnetico va a surriscaldare la parte della testa a contatto e, di conseguenza, la mandibola: se in corrispondenza delle arcate dentarie in vicinanza del telefonino fosse presente un'amalgama metallica, ecco che vi è un incremento delle correnti elettromagnetiche presenti all'interno del cavo orale. In ultima analisi, il disturbo che il telefonino arreca a livello del cavo orale e, più in generale, in corrispondenza della testa a contatto, è facilmente dimostrabile attraverso una semplice dimostrazione pratica che viene effettuata utilizzando una strumentazione meccanica (cella di carico), la quale si applica alla mano di un volontario e poi questa apparecchiatura si collega ad un dinamometro elettronico che, a sua volta, viene collegato al computer per osservare il “tracciato” del tono muscolare, tono muscolare che avrà risultati differenti se poniamo a contatto della testa il telefonino oppure no proprio perché, anche in stand-by, vi è emissione di campo elettromagnetico e il nostro cervello, nello specifico caso, individua tale disturbo come un pericolo riducendo la quantità del neurotrasmettitore acetilcolina in corrispondenza dell'area in vicinanza dei polsi e non solo; tale riduzione è stata ampiamente studiata e pubblicata da ricercatori a livello mondiale come il dott. Y. Omura e il dott. M. Losco. Infine, verrà dimostrato come oggi vi sono accorgimenti in grado di evitare il problema, accorgimenti testati e dimostrati da Enti Universitari e, dopo la pubblicazione scientifica dei risultati, sono divenuti dispositivi medici.