la
fic
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MC17
Silvia Leonzi
la fiction
manuali di comunicazione
serie/i sistemi
collana diretta da
Marialuisa Stazio
ellissi
Estratto della pubblicazione
ellissi
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
serie: i sistemi
ellissi
Estratto della pubblicazione
Silvia Leonzi
la fiction
ic
fi
manuali di comunicazione
serie/i sistemi
collana diretta da
Marialuisa Stazio
ellissi
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Vietata la riproduzione anche parziale
Impostazione, impianto e struttura dei volumi di questa collana
sono una responsabilità di Marialuisa Stazio, che ha inoltre supervisionato il lavoro.
La parte Al cinema e in televisione è stata scritta da Giovanni Ciofalo.
Alla redazione del capitolo Il teatro ha collaborato Gianfranco Tomei.
Altri brani di autore diverso da quello segnalato in copertina sono siglati come segue:
gt (Gianfranco Tomei), (am) Alessandro Mancini.
Si ringrazia Giovanni Prattichizzo per aver collaborato alla stesura del Glossario.
Il catalogo è consultabile al sito Internet:
www.ellissi.it
Progetto grafico e copertina a cura di
Gianfranco De Angelis
Finito di stampare nel mese di dicembre 2004
dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano - Casandrino, VII Trav., n. 24 - Arzano - (NA)
per conto della ESSELIBRI S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli
©
ellissi
è un marchio della ESSELIBRI S.p.A.
Estratto della pubblicazione
indice
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione
indice
LA FICTION
il genere fictional
Pag.
11
Pag.
21
Pag.
26
Pag.
48
tra grande e piccolo schermo
Pag.
63
la fiction negli Stati Uniti
Pag.
64
Pag.
85
Realtà e finzione, pag. 15; BOX La forza del finto, pag. 17
UN GENERE NELLA STORIA
il teatro
La tragedia, pag. 21; La commedia, pag. 23; Il teatro nel Novecento, pag. 25
le origini letterarie
Il romanzo storico, pag. 27; BOX Cambiare per non cambiare: Il Gattopardo, pag. 29; Il romanzo sociale, pag. 31; Il racconto gotico, pag. 34; BOX
Intervista col vampiro, pag. 34; Il romanzo poliziesco, pag. 36; BOX Elementare, Sir Arthur, pag. 40; Il racconto di fantascienza, pag. 41; BOX La
guerra dei mondi, da Wells a Welles, pag. 44; Il romanzo d’appendice, pag.
46; BOX I Beati Paoli, pag. 48
fiction e paraletteratura
La letteratura rosa, pag. 48; Il fotoromanzo, pag. 50; Il fumetto, pag. 52;
BOX Lupin III & Co., pag. 57
AL CINEMA E IN TELEVISIONE
di Giovanni Ciofalo
Origini ed evoluzione, pag. 65; Il telefilm americano, pag. 66; BOX Friends,
una sit-com tra amici, pag. 69; I telefilm polizieschi, pag. 71; BOX Devo dirlo
a mia moglie… il Tenente Colombo, pag. 73; La soap opera, pag. 74; BOX La
soap più antica del mondo, pag. 78; Science fiction in tv, pag. 79; BOX La
‘serie’ nella serie, pag. 84
le fiction altrove
Le telenovelas brasiliane, pag. 86; BOX Terra Italia, Made in Brazil, pag. 88
7
indice
LA VIA ITALIANA
televisione e cinema in Italia
Pag.
91
Pag.
98
Fiction e società, pag. 94; Il registro stilistico, pag. 96
i generi
Il teatro sul piccolo schermo, pag. 99; BOX La tv di Eduardo, pag. 100; Lo
sceneggiato, pag. 101; BOX Nel segno del mistero, pag. 104; Spaghetti soap,
pag. 105; BOX Un posto al sole, pag. 107; Dalla miniserie alla serie all’italiana, pag. 109; BOX Distretto di Polizia, pag. 110; Sit-com ‘Made in Italy’,
pag. 111; BOX Camera Cafe’, pag. 112
L’INDUSTRIA
il processo produttivo
Pag. 117
Il soggetto e la sceneggiatura, pag. 117; BOX Il venditore di idee: lo sceneggiatore, pag. 119; La pre-produzione, pag. 120; BOX Per un pugno di
dollari: il produttore, pag. 122; La produzione, pag. 123; BOX Standardizzazione dell’autorialità: registi e registri, pag. 125; La post-produzione, pag.
126; BOX All’assemblaggio: il montatore, pag. 129; La promozione e la
distribuzione, pag. 130; BOX Dalla Grecia a Hollywood: l’attore, pag. 131;
Le tecniche di ripresa, pag. 133; BOX Altri tipi di inquadrature, pag. 135
approfondimenti
Pag. 137
Pubblicità narrativa: da Carosello agli spot della Tim, pag. 137; Realtà e finzione: dal Grande Fratello all’Isola dei famosi, pag. 141; I videogiochi, fiction
interattiva, pag. 144; BOX La mafia a dispense, pag. 146
STRUMENTI
glossario
Pag. 151
bibliografia
Pag. 163
Bibliografia estesa, pag. 165; Bibliografia ragionata, pag. 166
8
la fiction
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione
il genere fictional
il genere fictional
Definire in maniera chiara e univoca quali siano le caratteristiche dei prodotti
culturali appartenenti al genere fictional non è affatto semplice. Occuparsi di
fiction, in effetti, vuol dire inoltrarsi, per citare Marc Augé, in un non-luogo
della produzione culturale, in un vasto territorio che si estende trasversalmente, in cui dimensioni e confini risultano di difficile individuazione.
Sostanzialmente, il concetto di genere «indica dei modi culturalmente stabili e riconoscibili di comunicazione, funzionanti all’interno di determinati
gruppi sociali o comunità linguistiche» (Wolf, p. 124, in Barlozzetti, 1986,
pp. 169-175), fondando un sistema condiviso di regole su cui si basa il
patto comunicativo tra pubblico ed emittenti. Detto questo, non si può fare
a meno di rilevare che, a partire dagli anni Ottanta, l’avvento della neotelevisione (Eco, 1983) ha profondamente inciso sulla classica divisione per
generi. In realtà, questa trasformazione non ha prodotto un depotenziamento della classificazione per generi; «si può dire anzi che la proliferazione di
nuovi generi misti finisce per enfatizzare la centralità dei generi nella comunicazione televisiva, rendendoli più difficili da riconoscere e da classificare» (Wolf, cit., p. 126).
Il regista francese Jean-Luc Godard si chiedeva il perché di una così rigida
e insuperabile distinzione come quella tra fiction e non-fiction, applicata
esclusivamente al medium televisivo e non agli altri. In effetti «la distinzione fra realtà e fantasia dipende dalla fonte del materiale con cui vengono
realizzate le immagini e i suoni per la narrazione. Se si tratta di realtà, si
presume che essa provenga dal mondo esterno alla tv e all’abitazione del
telespettatore. Se si tratta invece di fantasia, è la visione immaginata e creata da una o più determinate persone» (Ellis, 1988, p. 106). La natura ambigua e incerta dell’oggetto di analisi di questo volume richiede una buona
dose di cautela nella scelta delle categorie d’osservazione, dei temi e degli
argomenti. Ciò nonostante, è proprio attraverso la consapevolezza di percorrere un terreno scosceso che possiamo tentare di rintracciare alcuni tratti distintivi del genere fictional.
Precisate alcune difficoltà di definizione del nostro discorso, si può senz’altro
affermare che l’elemento portante della fiction è la struttura escatologica
11
la fiction
della narrazione. Questo termine, che deriva dalla lingua latina, trae la sua
origine dalla concezione progressiva del tempo, tipicamente cristiana, che
colloca la storia dell’umanità all’interno di un percorso lineare articolato in
un inizio, uno svolgimento e una fine, o meglio un fine. Questi mattoni,
indispensabili all’edificazione di qualunque storia, si ritrovano anche nella
classica struttura dei racconti fiabeschi, oggetto di analisi di Vladimir Propp.
Il ricercatore russo, in Morfologia della fiaba, si è dedicato appunto a ricercare gli elementi costanti e le regole uniformi che sono alla radice delle
cosiddette fiabe ‘di magia’.
In estrema sintesi, richiamandoci proprio a questo tipo di analisi, possiamo
osservare che ogni storia è caratterizzata dall’esistenza di uno o più protagonisti, distinti in categorie definite e tra loro antitetiche: ad esempio, buoni e
cattivi, ricchi e poveri, fortunati e sfortunati. Tutti i personaggi agiscono all’interno di un’unità compositiva costituita da diverse parti: l’intreccio narrativo della fiaba, sempre basato su difficoltà iniziali e prove da superare; nemici che si oppongono alla conquista di mete e obiettivi, creando ostacoli; aiutanti miracolosi che, al momento opportuno, offrono risorse e strumenti mediante cui l’eroe riesce ad avere la meglio; infine, la risoluzione della vicenda. In generale, possiamo dire che il racconto rappresenta un dispositivo universalmente utilizzato dagli esseri umani nell’ambito delle loro attività discorsive: attraverso il resoconto di fatti reali o di vicende immaginarie gli
individui selezionano e strutturano la loro conoscenza, costruiscono la realtà
e tramandano la loro esperienza e i loro mondi di fantasia.
Nel corso del tempo, l’accumulazione di eventi quotidiani, di azioni abitudinarie e di atti creativi ha sedimentato e portato alla creazione di un bacino
di memoria collettiva. In tal senso, lo scopo implicito di ogni forma di narrazione — che avvenisse sia attraverso la comunicazione orale sia, successivamente, scritta — consisteva, e consiste tuttora, nell’assolvere alla funzione del mito: ordinare e spiegare il caotico disordine delle esperienze
umane. La fiction, dunque, ordina la realtà, operandone una selezione: a
questo proposito, si può parlare di fiction come di una costante ermeneutica, che esercita una funzione modellizzante (Buonanno, 1991), poiché essa,
rappresentando il mondo che ci circonda e proponendo modelli e valori,
offre, inevitabilmente, chiavi di lettura della realtà.
12
il genere fictional
Adottando un approccio genealogico di lungo periodo, possiamo, inoltre,
affermare che la maggior parte dei prodotti appartenenti alla sfera estetica
della creazione umana rientra nel genere fictional. A partire dai graffiti scoperti nelle grotte di Altamura, solo per citare alcune tra le prime raffigurazioni artistiche, il desiderio di ‘replicare la vita’ ha sempre accompagnato
l’uomo. L’arte, nelle sue più diverse espressioni, dalla poesia alla prosa,
dalla pittura alla scultura, ha seguito l’evoluzione sociale e antropologica
dell’essere umano, da un lato, raccontandola e riproducendola, dall’altro,
sforzandosi di immaginare una possibile alterità, non soggetta alle rigide
regole poste in atto dal concreto esistere.
Attraverso la produzione di un immenso patrimonio di storie, miti, leggende, gli uomini hanno quindi fornito le loro interpretazioni del mondo e
hanno dato un senso alla realtà, con modalità strettamente collegate alle
diverse epoche storiche. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra narrazione e comunicazione: il raccontare e l’entrare in relazione rappresentano
azioni fondative della socialità che attraversano differenti culture, epoche e
luoghi.
Nelle culture orali, tipiche delle società premoderne, il racconto rappresentava un mezzo essenziale per mantenere la coesione del gruppo: mediante
l’uso di formule recitative e rituali, gli individui costruivano la propria identità e tramandavano la memoria del loro passaggio sulla terra. Nello stadio
successivo, la cultura alfabetica ha semplicemente tradotto le narrazioni
ereditate dal passato in forma scritta. Lyotard, a questo proposito, in La
condizione postmoderna afferma che, soprattutto nelle civiltà più evolute,
la forma narrativa è stata fondamentale nella costruzione del sapere. Un
tratto che accomuna la cultura orale a quella scritta è il fatto che colui che
racconta sa di rivolgersi a un pubblico, con l’unica differenza che nella
comunicazione orale l’uditorio è più ristretto e visibile, mentre in quella
scritta viene proiettato e riprodotto un simulacro testuale, vicendevolmente
rappresentante sia l’autore sia il target, tendenzialmente più ampio.
Partendo da queste considerazioni introduttive, inevitabilmente limitate rispetto all’ampiezza concettuale di un dibattito che ha inciso profondamente
sull’assetto epistemologico e scientifico dell’intero Novecento, approdiamo
all’ambito che più di ogni altro ha sottolineato e sfruttato la contrapposizione
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Estratto della pubblicazione
la fiction
tra realtà e finzione: la comunicazione di massa. In generale, la comunicazione rappresenta un concetto di difficile definizione: un’esigenza innata nell’uomo, un oggetto di studio sfuggente e conteso da più settori disciplinari,
ma anche l’aspetto attualmente più significativo per interpretare la società
contemporanea. La progressiva affermazione della comunicazione nelle società moderne è andata di pari passo con un’evoluzione tecnologica fortemente intrecciata anche ad altre dimensioni del mutamento sociale. Il telefono, il cinema, il fumetto, la radio e poi la televisione, hanno gradualmente
completato l’edificazione di un ‘cosmo parallelo al reale’, già intrapresa dalla mitologia, dall’arte, dalla poesia, dalla letteratura.
Seguendo un processo di continua innovazione, in cui tecnologia, società e
immaginazione si sono costantemente intrecciate e fecondate a vicenda, il
vero si è costantemente riflesso e riprodotto in una dimensione altra, che
non poteva semplicisticamente coincidere con la sua negazione, mentre il
non vero, a sua volta, si è progressivamente attestato come requisito ascrivibile all’immaginario, più che al meramente falso. Nel corso dei secoli, le
voci degli aedi e dei cantastorie hanno riecheggiato per le piazze dei paesi,
per le fiere o al chiuso delle corti fino alle soglie della modernità, quando il
romanzo ottocentesco ha raccolto e fissato nelle sue pagine immagini e
parole di una società che diventava sempre più complessa e non poteva più
tenersi insieme facendo affidamento soltanto su forme di comunicazione
diretta tra i suoi membri. Esiste, innegabilmente, un profondo legame tra
l’essenza specifica del genere fictional e la diffusione della comunicazione
di massa nelle società industriali dell’Occidente. È soprattutto in conseguenza dello sviluppo dei linguaggi di massa, infatti, che le attività di costruzione sociale della realtà assumono un carattere di crescente visibilità.
A partire dal 1895, grazie ai fratelli Lumière, il raddoppiamento del mondo
o l’immaginazione di altri mondi possibili, hanno trovato piena cittadinanza in una nuova arte: il cinematografo. Per quanto bidimensionale, riprodotta in bianco e nero e priva di sonoro, l’immagine in movimento ha fatto
sì che il pubblico delle prime grandi metropoli europee potesse osservare la
realtà attraverso il filtro dell’immaginazione. Dopo il cinema, sono molti i
mezzi di comunicazione di massa ad arricchire, a loro volta, l’immaginario
collettivo attraverso il ricorso a opere di fantasia, nel senso più ampio del
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Estratto della pubblicazione
il genere fictional
termine: tra questi, la televisione rappresenta, ancor oggi, il più grande collettore di storie e racconti nelle società tardo moderne.
Realtà e finzione
Letteralmente, fiction significa finzione, simulazione e, almeno da un punto di vista etimologico, il termine sembra inequivocabilmente contrapporsi
al concetto di realtà, quindi a ciò che è vero, a ciò che appartiene alla verità
della vita. Milly Buonanno sottolinea che con questo termine «nella lingua
inglese si definiscono tutte le opere di immaginazione e di fantasia» e che
esso «deriva dal verbo latino fingere, che può rivestire il triplice significato
di modellare, immaginare e simulare» (Buonanno, 2002). Assistendo a programmi di fantasia o finzione, infatti, lo spettatore tende ad attuare «quella
che è stata chiamata la sospensione dell’incredulità, e accetta per gioco di
prendere per vero e come detto sul serio ciò che risaputamente è invece
effetto di costruzione fantastica» (Eco, 1991).
Il desiderio di uscire dal mondo dei fatti, superando i limiti imposti dalla
realtà quotidiana, è alla base della costruzione di universi paralleli in cui,
partendo da spunti che provengono da situazioni reali, possono svilupparsi
intrecci fantastici. Nei mondi possibili della fiction, i racconti di storie e la
costruzione di spazi immaginari, dove tutto è possibile, sono il risultato di
attività estetiche e creative il cui unico scopo è l’imitazione della realtà.
Ogni storia si configura come un momento di sospensione del reale, che,
però, può proiettarci nel passato, mitico o reale, nel futuro o in una dimensione della non-realtà. Comprendere la genesi e ripercorrere l’evoluzione
della dicotomia finzione-realtà è indispensabile per non accontentarsi di
questa elementare opposizione. In effetti, si tratta di un contrasto solo apparente, se consideriamo il costante processo di contaminazione tra immaginario e vita quotidiana, correlato allo sviluppo dei moderni mezzi comunicazione e amplificato dalle innovazioni prodotte dalle tecnologie dell’informazione. In linea generale, la categoria del reale fa riferimento alla statuto ontologico di ciò che esiste in natura ed è pertanto osservabile: paradossalmente però, anche questa interpretazione non è più del tutto accettabile. Il progresso, i mutamenti sociali, l’affermazione e la crisi della modernità hanno messo pesantemente in discussione la distinzione tra ciò che è
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Estratto della pubblicazione
la fiction
reale e ciò che non lo è, soprattutto alla luce del ripensamento della classica
dicotomia natura – cultura. In ambito scientifico, tanto le scienze naturali,
grazie all’affermazione di un approccio più relativistico alla conoscenza,
quanto le scienze sociali più recenti — come la sociologia, l’antropologia,
la psicologia — hanno progressivamente preso le distanze da una impostazione positivistica, e quindi fondata sull’esistenza di dati oggettivi, per approdare a concezioni incentrate sull’importanza dei processi di costruzione
sociale della realtà (Berger - Luckmann, 1969).
Implicitamente, la paura di possibili contaminazioni tra reale e non reale,
ambiti che nelle culture preindustriali erano distinti e riconoscibili, rappresenta, al contempo, uno dei principali fattori di perplessità degli studiosi di
fronte al costante diffondersi dei media di massa e al loro radicamento nella società moderna. Il potere di ricreare situazioni che possano sostituirsi
agli avvenimenti reali, infatti, suscita rilevanti preoccupazioni sulle infinite
possibilità di distorsione e mistificazione da parte delle agenzie comunicative.
Lo studio sugli effetti sociali dei media, che negli anni Trenta aveva prodotto un approccio sostanzialmente apocalittico, ha affinato nel corso dei decenni i suoi strumenti metodologici e concettuali, approdando ad uno scenario molto più articolato e ricco di sfumature. In estrema sintesi, sebbene
l’idea dei media potenti si sia alternata con approcci molto più critici, col
passare del tempo sembra essersi affermata l’opinione che i media non
manipolano né distorcono una realtà oggettiva, ma, piuttosto, contribuiscono a costruirla.
In tal senso, la dissoluzione dell’antico confine tra realtà e rappresentazione è esplicitato con grande efficacia nel genere fictional, dai feuilletons di
fine Ottocento sino ad approdare alle odierne produzioni televisive. A questo proposito, in Sociologia del rito, Cazeneuve parla di funzione rituale: la
fiction, in effetti, presenta il carattere di una forte ritualità, riuscendo a far
dialogare luoghi e figure dell’immaginazione con luoghi e figure concrete.
Attraverso questo varco posto tra realtà e fantasia, possiamo, dunque, entrare in un mondo altro.
In tal senso, l’evoluzione delle nuove tecnologie della comunicazione e lo
sviluppo di dimensioni cognitive legate alla virtualità hanno certamente
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il genere fictional
contribuito ad accelerare ulteriormente questo processo. Nonostante la portata innovativa di simili scenari, tuttavia, non dobbiamo dimenticare che da
sempre la cultura umana si fonda su una mescolanza di verità e simulazione. Una concezione di finzione semplicisticamente fondata sull’idea di menzogna, inganno, falsità, infatti, è piuttosto ingenua: l’essere umano è un
insieme di natura e cultura, che agisce nel proprio ambiente attraverso una
mediazione simbolica. I simboli, appunto, hanno il compito di operare forme di sostituzione, per rappresentare aspetti della realtà: dal linguaggio
all’immaginario, dunque, l’idea di un originario stato di natura, in cui realtà e finzione siano irrimediabilmente distinte e distinguibili, non corrisponde all’esperienza storica dell’umanità.
BOX La forza del finto
In una prolusione, formulata in occasione dell’apertura dell’anno accademico 1994-95 presso l’Università di Bologna e intitolata La forza
del falso, Umberto Eco ha sottolineato in termini magistrali la profonda incidenza del falso, «non necessariamente sotto forma di menzogna, ma certamente sotto forma di errore» (Eco, 2002), tanto nel guidare le azioni umane quanto nell’istituzionalizzazione della storia. La
tesi sostenuta, con abbondanza di citazioni teoriche e attraverso l’illustrazione di casi specifici, da parte del più importante semiotico italiano, è che verità temporanee, forzate falsità o credenze semplicemente
errate hanno mostrato un potere di attrazione tale da determinare eventi
e caratterizzare intere epoche. Dall’ipotesi tolemaica al mito del Prete
Gianni, dalla confraternita dei Rosa-Croce alla teoria della Terra vuota
di Bender e Neupert fino alla donazione di Costantino, tutti falsi oggi
storicamente confutati, simili credenze hanno avuto il merito di proporre formulazioni teoriche narrativamente verosimili «più della realtà quotidiana o storica, che è ben più complessa ed incredibile» (Eco,
cit.). La conclusione sta, in effetti, in quello che sottolinea ancora una
volta l’autore, e cioè che l’influenza di ciò che, in maniera estremamente relativistica, può apparire vero ad alcuni e falso ad altri, ha
comunque condizionato notevolmente l’evoluzione storica dell’uomo, e ha portato come risultato più immediato a considerare la storia
stessa come un perenne teatro dell’illusione. Partendo da queste stesse
17
Estratto della pubblicazione
la fiction
premesse e citando una delle più recenti trattazioni di un altro studioso, Roger Silverstone, è probabilmente possibile rovesciare il precedente assunto e parlare dell’illusione come teatro della storia. In Perché studiare i media?, un volume interamente basato sulla centralità
dei media nei processi di costruzione della realtà individuale e sociale, Silverstone parla del rapporto profondo che esiste tra media e memoria. A suo avviso le produzioni mediali, dai film ai romanzi, e in
particolare le ricostruzioni storiche, hanno l’indubbia capacità di arricchire l’immaginario culturale collettivo, riuscendo ad abbinare ad
avvenimenti storici le immagini realizzate nell’ambito della produzione industriale culturale. Il limite, o il merito, sta nel fatto che la forza
rappresentativa e iconica dei prodotti fictional spesso comporta una
combinazione tra ricordi reali e ricordi acquisiti attraverso i media. In
tal senso, la realtà dell’Olocausto, ad esempio, acquisisce maggiore
minuziosità, appare più vivida nel ricordo collettivo, attraverso film
come Schindler’s List di Steven Spielberg, anche se rimane il problema etico, di difficile risoluzione, sulla legittimità dell’industria culturale, e quindi anche della fiction, di appropriarsi di tutti i territori dell’esperienza umana. Sullo sfondo, il quesito riguarda anche il rapporto sofferto, spesso dicotomico, tra storia e memoria, e, contestualmente, la validità dei documenti audiovisivi come testimonianze o riproduzioni storiche. Certamente, non si può negare che la continua spettacolarizzazione del quotidiano nasconda in sé i germi di una perdita
di capacità critica e di riconoscimento del reale. Allo stesso modo, è
ugualmente importante sottolineare il ruolo dei prodotti mediali, e
quindi la forza del fictional, nei processi di ricostruzione del nostro
passato.
18
Estratto della pubblicazione
un genere nella storia
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione
il teatro
il teatro
Il termine ‘teatro’ deriva dal greco théatron e più specificatamente dal verbo théasthai, che significa ‘guardare’: gli antichi greci usavano questa espressione per indicare il luogo destinato agli spettacoli pubblici e nell’antichità
ogni città possedeva un suo teatro.
Gli spettacoli erano rappresentati normalmente di giorno, ad eccezione delle
grandi feste, durante le quali proseguivano fino alla sera. In realtà, i primi
teatri erano edificati sul fianco concavo di una collina, da cui venivano
ricavati gradini per gli spettatori, prima erbosi, poi di pietra o di marmo: si
trattava della càvea. In basso si apriva uno spiazzo rotondo o semicircolare,
l’orchestra, dove sorgeva l’altare a Dioniso e dove agiva il coro. Dietro
l’orchestra era situato un palco, la scena, dove agivano gli attori. Questi
ultimi indossavano alti calzari, i coturni, e sul volto delle maschere, atteggiate al pianto o al riso, a seconda che lo spettacolo fosse tragico o comico.
I latini chiamavano queste maschere personae, dal verbo personare, letteralmente ‘risuonare più forte’: da qui il termine ‘personaggio’.
La tragedia
La tragedia è una delle più alte creazioni del genio greco. La sua struttura si
deve al primo dei grandi poeti tragici, Eschilo, vissuto tra il 525 e il 445
a.C., del quale rimangono sette tragedie. Egli inserì sulla scena un secondo
attore, riuscendo in tal modo ad arricchire la rappresentazione della trama,
che, tuttavia, manteneva nel Coro il suo elemento fondamentale. Sofocle
(497-406 a.C.), grande drammaturgo, introdusse, a sua volta, un terzo attore: delle sue centotrenta tragedie soltanto sette sono giunte ai giorni nostri.
Euripide (485-406 a.C.), infine, l’ultimo dei grandi poeti tragici ateniesi,
ridusse l’importanza del Coro a puro intermezzo dell’azione, dando grande
rilievo ai protagonisti.
La struttura della tragedia classica, rimasta fondamentalmente invariata, si
deve a Eschilo, il quale fissò alcuni elementi essenziali. Il prologo, un monologo che introduce l’argomento della rappresentazione e ne illustra i
momenti precedenti; la pàrodos, che coincide con l’ingresso del Coro; gli
episodi, due o tre, al cui interno si sviluppa l’azione, intervallati dai brani
21
un genere nella storia
cantati dal Coro, gli stasimi, fino alla catastrofe. In ultimo l’esodo, letteralmente ‘l’uscita’, che pone fine alla tragedia.
Questa struttura, pur soggetta a numerosi cambiamenti nel corso del tempo, rappresenta comunque l’origine, non solo ideale, da cui sono scaturiti
gli ‘atti’ delle opere teatrali moderne. Un’importante differenza che, però,
distingue il teatro greco da quello sviluppatosi a posteriori, è costituita dalla catastrofe: il momento culminante dell’azione. Pur centrale nello svolgimento della rappresentazione, essa non avveniva normalmente sulla scena:
un attore apposito ne narrava, con accenti commossi, le diverse fasi, risparmiando al pubblico i momenti più cruenti e scioccanti. La solenne religiosità della tragedia, infatti, non doveva essere turbata da scene eccessivamente violente o angoscianti.
I romani ebbero anch’essi una loro tragedia, mutuata da quella greca, con
temi rivolti al mito o alle leggende eroiche dei primi tempi della Repubblica: purtroppo la loro produzione è andata interamente perduta. All’epoca di
Nerone, scrisse tragedie il filosofo Seneca, destinandole più alla lettura che
alla rappresentazione. Caratterizzate da un morboso senso dell’orrido e del
violento, la loro influenza fu grandissima nel teatro rinascimentale e in
quello inglese dell’età elisabettiana.
Tra la tragedia antica e quella moderna si può collocare un genere teatrale
del tutto a sé stante, sviluppatosi in Italia nei secoli XIV e XV: la sacra
rappresentazione. Diffusa soprattutto in Toscana e in Umbria, ad opera di
autori spesso anonimi, essa proponeva a un pubblico di fedeli, durante le
feste religiose, specialmente in occasione della Pasqua, la rappresentazione
di fatti dell’Antico e del Nuovo Testamento. Svolta all’aperto, su un palco
eretto davanti alla chiesa, con attori improvvisati, la sacra rappresentazione
costituiva sia la celebrazione di un rito religioso, sia uno spettacolo vero e
proprio. Il pubblico era estremamente coinvolto e partecipava direttamente
alla rappresentazione con preghiere e canti. Il genere ebbe diffusione anche
in Francia, dove fiorì contemporaneamente al mistero medievale, in Inghilterra e soprattutto in Spagna. Il cosiddetto auto-sacramental, un dramma
impostato sul tema del sacramento dell’Eucarestia, poté vantare artisti di
grande statura, tra i quali Lope de Vega, Tirso da Molina, Calderòn della
Barca. Il profondo senso religioso che animava tanto gli autori di questi
22
il teatro
testi, quanto gli attori e gli spettatori, tutti uniti dallo spirito di chi partecipa
a una cerimonia religiosa, rendono lecito l’accostamento con gli stessi intendimenti che avevano fatto sorgere il teatro presso gli antichi greci. L’anelito dei fedeli verso la divinità, il bisogno di accostarsi ad essa in pura fede.
La tragedia vera e propria rifiorì nell’Italia del Rinascimento, modellandosi sulle forme greche, attraverso cui riconosceva come fondamentali le unità aristoteliche. Unità di tempo, per cui l’azione doveva svolgersi nell’arco
di una stessa giornata; unità di luogo, vale a dire senza mutamenti di scena;
unità di azione, che si concentrava in un unico avvenimento. Solo dall’età
romantica in poi, in Francia e in Italia, il teatro si sarebbe liberato da questi
vincoli.
I maggiori scrittori di tragedia, nell’Italia del Cinquecento, furono Giangiorgio Trissino, Giovanni Rucellai, Pietro Aretino. In Francia, nel secolo
successivo, Pierre Corneille e Jean Racine portarono questo genere ad altissimi livelli poetici; mentre in Inghilterra fioriva il teatro tragico dell’età
elisabettiana, caratterizzato da libere forme strutturali e da un notevole approfondimento psicologico.
Il Settecento vide nascere l’opera dell’italiano Vittorio Alfieri e dei grandi
poeti tedeschi Wolfgang Goethe e Friedrich Schiller. Con l’avvento del
Romanticismo, nei primi decenni dell’Ottocento, la tragedia lasciò sempre
di più il campo al dramma borghese: in esso il mito classico e la storia non
avevano più luogo. Predominavano, infatti, i conflitti contemporanei di una
società uscita vittoriosa dalla rivoluzione francese e già assillata da contraddizioni e problemi, oggetto di un teatro divenuto specchio del proprio
tempo.
La commedia
Anche la commedia classica ebbe origine in Grecia e si affiancò alla tragedia per tutto il V secolo a.C., con una straordinaria produzione di opere.
Originariamente sviluppata come una sorta di rito religioso che celebrava il
culto fallico e la forza feconda della Natura, la commedia riadattò alcuni
degli elementi strutturali della tragedia: il prologo e la pàrodos, nonché il
Coro, che ebbe grande importanza soprattutto in una prima fase. Gli elementi che, invece, la differenziarono erano costituiti da un linguaggio più
23
Estratto della pubblicazione
un genere nella storia
popolare e meno solenne, dalla presenza del lieto fine, da una satira spesso
violenta nei confronti dei rappresentanti delle sfere politiche e sociali più
elevate. Il massimo rappresentante di questa particolare forma di commedia — la commedia attica antica —, il solo, fra l’altro di cui siano state
tramandate, sia pur parzialmente, le opere, è Aristofane.
Notevolmente diversa si presenta, invece, la commedia attica nuova: fiorita
in Atene durante il dominio macedone, che, oltre a porre fine alla libertà del
popolo ateniese, coincise anche con la cessazione della satira politica. La
nuova commedia, creando un genere che avrebbe avuto grande fortuna nei
secoli successivi, s’indirizzò, quindi, all’analisi dei costumi e alla creazione di tipi ideali: l’avaro, il babbeo, il servo furbo e altri ancora. Menandro
può essere considerato il più importante commediografo di questo periodo.
A Roma, la commedia, modellata sui testi greci, ebbe parecchi cultori, tra i
quali spiccano Plauto e Terenzio: del loro genio rimangono meno di una
trentina di opere, modelli fondamentali del teatro comico dal Rinascimento
in poi.
Dopo un lungo periodo di stasi nel Medioevo, la commedia rinacque nel
Cinquecento in Italia: l’Ariosto, il Machiavelli, l’Aretino, per citare solo i
più famosi, ripresero l’antico genere teatrale destinandolo quasi sempre a
un pubblico colto. A rendere nuovamente popolare e diffuso il genere comico fu, invece, la Commedia dell’Arte, una singolarissima forma di rappresentazione teatrale, che portò il gusto della messa in scena nelle piazze
e nelle strade. Se da un punto di vista autoriale la Commedia dell’Arte non
raggiunge vette significative — perlopiù, infatti, si trattava di rappresentazioni improvvisate su un canovaccio, uno schema di trama intorno al quale
gli attori imbastivano i loro dialoghi —, dal punto di vista dell’evoluzione
del teatro l’importanza di questo genere è fondamentale. Con gli attori del
teatro dell’arte nascono i primi attori professionisti, ricompaiono le maschere, da Arlecchino a Pantalone a Brighella, ciascuna specializzata in un
ruolo caratteristico. Si sviluppano, inoltre, la mimica e la gestualità teatrale, il colpo di scena e il dialogo col pubblico: elementi determinanti nella
successiva evoluzione dell’arte scenica.
Dal teatro dell’arte, che trionfò per quasi due secoli su tutte le platee d’Europa, ebbe origine il grande teatro comico moderno. In Francia con Mo24
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