1770-1830 RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONE / SCHEDA 6 Napoleone e l'eredità della rivoluzione Nelle memorie dettate al conte Las Cases durante l'esilio di Sant'Elena, Napoleone sostenne di essere stato un fedele erede della rivoluzione. Questa pretesa ha scarse probabilità di essere presa sul serio se la compariamo con atti concreti come la soppressione di ogni opposizione, la riammissione degli emigrati, l'abrogazione della costituzione civile del clero, la creazione di una nobiltà imperiale, il tentativo di creare attraverso il matrimonio con Maria Luisa d'Asburgo una dinastia riconosciuta dalle monarchie assolutiste d'Europa. Ma anche la lettura dell'opera di Napoleone unicamente in termini di cosciente controrivoluzione va troppo spesso contro l'evidenza dei fatti. Prendiamo il caso del codice civile. Con una buona dose di vanità, l'imperatore volle identificarlo con il proprio nome, ma quello che venne chiamato ovunque "codice Napoleone" era stato in realtà redatto da una commissione di giuristi che proseguiva un lavoro già cominciato nel 1791. I princìpi fondamentali dell'uguaglianza di fronte alla legge (la nuova nobiltà imperiale non godeva di alcun privilegio giuridico) e dell'intangibilità della proprietà privata passarono indenni attraverso cinque regimi diversi (la monarchia costituzionale, la repubblica giacobina, il regime termidoriano, il consolato, l'impero) e lo stesso vale per il matrimonio civile e per il divorzio, per la libertà religiosa dei protestanti o per l'emancipazione degli ebrei. Un elemento è tuttavia sufficiente per cogliere la differenza tra la Francia rivoluzionaria e quella imperiale: in quest'ultima il principio della sovranità nazionale si conservò in maniera puramente teorica e passiva. In questo senso Napoleone può essere considerato l'erede dell'assolutismo illuminato del XVIII secolo, avendo egli badato più all'efficienza degli apparati statali che alla partecipazione dei cittadini alla vita politica. Ma vi è un altro punto per il quale si deve piuttosto affermare la continuità fra Napoleone e la Rivoluzione francese: l'uso e la concezione della guerra. Per i sovrani illuminati la guerra era collegata con la politica internazionale dell'equilibrio e andava condotta in maniera professionale, coinvolgendo la popolazione civile il meno possibile ma anche escludendola da una partecipazione attiva e consapevole. Napoleone ereditò invece in pieno l'idea girondina e giacobina della guerra politica e rivoluzionaria: le sue campagne militari non produssero soltanto cambiamenti nella carta geopolitica dell'Europa e un allargamento dell'area di influenza francese, ma provocarono anche profonde trasformazioni giuridiche, sociali ed economiche. La Francia imperiale e i nazionalismi europei Nella buona accoglienza riservata nel 1793 e nel 1794 dai belgi ai francesi (e mal ripagata da questi ultimi con una dura occupazione militare fatta di requisizioni e saccheggi) vi è qualcosa di emblematico e paradossale. Cacciando gli Asburgo nel 1790, i Paesi Bassi meridionali avevano provveduto a proclamare la Confederazione degli Stati Uniti del Belgio, che doveva consentire la sopravvivenza delle tradizioni di autonomia delle singole città e province. Dalle armate della repubblica francese i belgi si aspettarono poi di essere liberati dalla minaccia dell'assolutismo centralizzatore asburgico, ma questa liberazione si trasformò rapidamente nell'inserimento del paese nel sistema dei dipartimenti francesi. Ai tempi dell'ordine napoleonico, l'annessione non fu per il Belgio priva di concreti vantaggi economici: nel quindicennio 1800-1814 lo sviluppo dell'economia belga, fondato sull'attivazione dei bacini carbosiderurgici, subì una straordinaria accelerazione. Ma al di là dell'avvio del processo di industrializzazione del paese, ancora più importante fu il fatto che dagli anni della dominazione francese derivò un ancor più rapido sviluppo della coscienza nazionale, che nel 1830 consentì al Belgio di rivendicare l'indipendenza dall'Olanda, e ne fece ciò che in tutta la sua lunga storia esso non aveva mai voluto essere, uno stato unitario. Ciò che vale per il Belgio, vale in diversa misura anche per la Germania, l'Italia centro-settentrionale e la Polonia. Se è eccessivo dire che il dominio napoleonico creò la borghesia tedesca e italiana, è vero invece che esso contribuì in maniera determinante a farla crescere e divenire consapevole di sé. I vantaggi economici e politici di un'unione territoriale che superava i tradizionali piccoli o piccolissimi stati furono immediatamente percepiti, venendo collegati con le idee nazionaliste che erano state elaborate da pochi scrittori, letterati e filosofi. La stessa oppressione francese divenne, certamente senza volerlo, un motivo di ulteriore accelerazione del processo avviato dalla creazione del regno d'Italia e della Confederazione del Reno. Anche il tributo di sangue richiesto dalla Francia attraverso l'inserimento nella "grande armata" di truppe italiane e tedesche concorse allo stesso esito: come era accaduto nella Francia giacobina, la partecipazione a un esercito nazionale, seppure politicamente subordinato alle scelte dell'imperatore, ebbe l'effetto di accrescere lo spirito patriottico, sebbene nel 1814 gli allievi fossero ancora molto indietro rispetto ai loro maestri. L'improvviso mutamento di fronte compiuto durante la battaglia di Lipsia dai sassoni, che rivolsero le loro armi contro gli alleati del giorno prima, mostrava come l'imperialismo francese, così diverso da quello dei vecchi monarchi assoluti, era andato al di là dei propri intenti, dando un primo, fondamentale contributo alla costruzione delle unificazioni nazionali degli stati europei assoggettati. (De Bernardi Guarracino, La conoscenza storica, vol. 2, manuale)