Torino, Settembre 2011, Festival Torino Spiritualità MICHELE DI MAURO, ATTORE E REGISTA DELLA SCENA CONTEMPORANEA ITALIANA scrive Quando la piccola novizia dagli occhi inquieti (Erika) si toglie silenziosamente le mutandine per poi strozzarle in un nodo di castità al di sopra della testa reclina, tutti noi “pubblico” dimentichiamo l’ipotesi “santifica” della serata e ci abbandoniamo ad un latente erotismo in punta di piedi, figlio dell’insanità sociale frammista a quella mentale. Figlio legittimo, ci mancherebbe! Erika duetta con la creazione. Estetica. Sonora. Coreografica. Mette una se stessa spudorata al centro d’una leggiadria possibile, d’uno sberleffo accidentale, d’una gioia elastica. Canta e suona e danza come per caso, ma nello stesso tempo, ci fa capire che tutto è lì per sua volontà. Per una scelta virtuosa: c’è ironia e immediatezza, in quello che fa. C’è l’artigianato e il pop. La classicità dell’”adesso basta, si fa come piace a me!” E piace anche a noi, quello che succede. Ciò che vediamo e sentiamo. Ciò che intuiamo essere un modo di “tessere” lo stare in scena. E non ce ne importa niente di ciò che sta dietro tutto questo ( significati, storie, punti di partenze, residenze, studi, approfondimenti, impegno sociale o quant’altro), no! Ci importa solo di quell’ora e mezza al teatro Astra. 28 settembre 2011. E c’è musica dal vivo, in questo “studio sulla santità”. C’è un bravo pianista: Marco Cortinovis. Che segue le movenze e i respiri di Erika come se la vita in scena scrivesse in contemporanea una partitura inesistente. Coglie ritmi ed aritmie in maniera esemplare e li trasforma in dolcezze e macigni di note. Si presta persino ad un esilarante momento coreografico in cui la novizia (a quel punto agghindata con due alette di piume sulle scapole) muove il pianoforte a coda per tutta lo spazio scenico e lui, in piedi, continua a suonare inseguendo la tastiera, che lo precede, scalpitando su rotelle. Risate di gusto. E in 2 parti, ciò che vediamo. E a dirla tutta, la seconda è molto diversa, dalla prima. Meno congrua. Più scardinata. Scoordinata. Ma non siamo qui per giudicare o per fare le pulci. Siamo qui per prendere. E prendiamo, perché ce n’è: atmosfere surreali ma inebrianti (lei sotto il piano mugula come RECENSIONE di MICHELE DI MAURO una gatta in calore alle prese con un cilicio mentale, immaginiamo!)...mentre l’ombra gigante del pianista sul muro di fondo, sembra una corazzata piena di fantasmi. La novizia naufraga verso di essa, e a quel punto capiamo che basta poco, per renderci contenti. Le note del piano diventano più scure dell’ombra che le produce e l’andatura piccola, della suorina inconsolata, sembrano i fotogrammi d’uno struggente cortometraggio di Gianluigi Toccafondo prodotto da Fandango. Un bel po’ di roba, per uno studio! Grazie a Erika Di Crescenzo e ai suoi bravi collaboratori. MK. Di Mauro ____________________________________________ foto Marco Diavolio ERIKA DI CRESCENZO IN BILICO FRA SACRO E BLASFEMO scritto da Silvia Limone - Krapp's Last Post (www.klpteatro.it) Martedì 04 Ottobre 2011 ____________________________________________ Incanta il nuovo lavoro di Erika Di Crescenzo, vista di recente da Klp anche a Ravenna per Ammutinamenti con "La Bagarre". Incanta, in questo “Etude pour la Sainteté”, la capacità di portarci su quel limite sottile che separa follia e santità, con leggerezza e sorrisi, con intensità e forza. La scena è scarna. Un materasso, un velo di tulle appeso e il pianoforte a coda suonato da Marco Cortinovis: non solo colonna sonora ma anche parte della scena nella seconda parte dello spettacolo. La Di Crescenzo ci accompagna così in un mondo di solare pazzia, dove solo il corpo riesce ad esprimere il marasma interiore di paure e desideri. La parola non si trova, escono versi, suoni mozzati, rantoli e miagolii. “No! No! No!”. C’è frustrazione a volte nel non farsi comprendere. Ma il corpo, lui sì, sa cosa deve dire. Lo si offre a quel dio isolato nei cieli, a quel dio uomo, all’uomo. “AMAMI!”, amami tanto da urlare un orgasmo che arriva in alto. Quell’ orgasmo che le spose portate all’altare non conoscono. RECENSIONE di KRAPP’S LAST POST Oggetto del lavoro è sì il corpo, santificato e nudo allo stesso tempo. Ma anche il dubbio che la santità sia più carnale di quando siamo disposti a credere. “La fede. Io ho la fede”. Basta questo a salvarci? “Etude pour la Sainteté”, un lavoro "eretico ed erotico alla maniera di G. Bataille", si divide appunto in due parti. Allo scadere dei primi quaranta minuti siamo invitati ad uscire dalla sala, e l’attesa pare anch’essa una follia. Al ritorno il pianoforte non è più in proscenio ma a fondo palco; in un gioco che suscita risa verrà spostato dalla danzatrice, cui sono apparse sulla schiena due piccole ali di piume, mentre il pianista continuerà a suonare. La danza di Erika Di Crescenzo è diretta, senza mediazioni. Tanto da riportare a sensazioni dell’adolescenza, a quegli anni in cui si scopre il proprio corpo, quando pulsioni e desideri non trovano ancora parole ma solo movimento. Un movimento che racconta dolore e passione. Così in scena si ritrovano le contraddizioni di quell’universo femminile sconosciuto al mondo esterno. La ricerca d’amore e il desiderio di trovare il proprio spazio. Follia e santità. E inevitabilmente il pensiero corre anche a Giovanna d’Arco, alle sue visioni, al sospetto di epilessia. Labile il confine. Ed "Etude pour la Sainteté" lo conferma. ETUDE POUR LA SAINTETE di e con Erika Di Crescenzo pianoforte: Marco Cortinovis luci: Gianni Melis foto: Laurent Pailler, Angelo Bellotti produzione: Cie La Bagarre (Torino) - Centro Daiva Jyoti (Torino) - Fondation Royaumont (Parigi) - Tersicorea T.Off (Cagliari) centri di produzione che hanno accolto il progetto in residenza: Officine Caos (Torino) – Neopost Harrt (Ginevra) - Cie Gilles Jobin (Ginevra) - (Insoliti Torino) - Time in Jazz/Ex Caseificio La Berchiddese durata: 60' applausi del pubblico: 3' 15'' Visto a Torino, Teatro Astra, il 28 settembre 2011 CLAUDIA ALLASIA, CRITICO DI DANZA PER La Repubblica, SCRIVE: Erika Di Crescenzo è una giovane mattatrice naturale, debordante e atipica. E’ dotata di una voce in bilico tra la prosa attoriale e om mistico, corredata da una gestualità istintiva che rimanda alla danza libera ed è capace di suscitare epifanie erotiche e seduzioni giocose di grande efficacia scenica. La sua deflagrante potenza inventiva ha generato, sin dall’inizio, effetti sconcertanti già a partire dai soggetti socio-politici, tenuti insieme da filastrocche, non-sense, tableaux vivants erotici, finte interviste a icone pop, come in The Fish, ideato e intepretato da Erika ed altri due performers per ETI-Spazi per la Danza Contemporanea. In modo speciale è evidente nell’ultimo lavoro di cui è regista, coreografa ed interprete solista: Etude pour la Sainteté, uno spettacolo di perturbante corporeità costruito tra Torino e Parigi, avventurandosi nei canali sotteranei e misteriosi dove si incrociano e confondono sensualità ed estasi, isteria e santità, secondo le intuizioni di un mentore come Georges Bataille e, soprattutto, secondo la dolorosa casistica degli archivi sull’isteria dell’ospedale Salpétrière di Parigi. Credo sia interessante annotare come durante la genesi di The Fish, mi fosse capitato di vedere ad ogni prova uno spettacolo radicalmente diverso. Era il sintomo di una creatività incapace di lasciarsi imbrigliare o l'effetto di un lavoro progettuale incessante e senza fine? E' una fortuna che esistano dei giovani artisti tanto divergenti ed immaginifici, ed è una fortuna per loro e per noi che esistano Residenze Coreografiche capaci di palesarne pubblicamente il talento.” RECENSIONE di CLAUDIA ALLASIA Torino, Dicembre 2010, Festival insoliti ETUDE ____________________________________________ foto Ottavio Pinna Ravenna, Settembre 2010, Festival Ammutinamenti FABIANA CAMPANELLA critico della rivista online www.drammaturgia.it Suprema e blasfema, nella sua genialità sacra e profana, Erika Di Crescenzo è una pazza in giallo e testa bendata, bravissima nell’interpretare una santa che si fa stuprare da Dio, perfetta fino al dettaglio delle dita incrociate, dello sguardo al cielo, della voce inghiottita dallo stupore della disperazione. Etude pour la Sainteté è il lavoro più sorprendente di tutta la Vetrina, completo di una sottolineatura sonora che ha tutte le potenzialità per crescere, ed esplorare la forma del teatro-danza-concerto, un’opera totale contemporanea sulla figura marginale e potente di una mendicante scalza lungo le mura di una chiesa. RECENSIONE di FABIANA CAMPANELLA POUR LA SAINTETE, IL PURGATORIO E IL FEMMINILE. Scritto da Salvatore Smedile – Urzene (www.nulladiessinelinea.wordpress.com) scrittore e drammaturgo, autore di numerose raccolte di poesie e riviste online. Il titolo è tutt’uno con quello che rappresenta. Oltre tutti i messaggi che giungono dall’apparato comunicativo il cui obbligo è di esplicitare quello che si vedrà in scena. L’arte di Erika ruota intorno all’ossessione del corpo e alle sue fantasmagorie ma questa volta ha osato un di più. La cornice dell’azione sembra tagliata col rasoio. Assoluta essenzialità: il suono di un sax baritono alle spalle del pubblico, magnificamente interpretato da John Menoud; luci di Gianni Melis al servizio dell’ombra, quasi che il loro scopo sia quello di non svelare troppo. Un monologo corporale e verbale costantemente aperto all’inventiva. Tutto scorre appoggiato sui cardini del momento. Non c’è fretta. La godibilità è fruibile, palpabile nello spazio collettivo dove si dona l’inconfessato. Il contemporaneo ha fatto il giro su sé stesso e torna a rivolgersi all’antico: il piacere di andare a teatro, di ascoltare un corpo fisico e immateriale che offre tutto quello che ha dentro, che non si risparmia, che non rinuncia. Quel corpo in azione si muove su un palco che non è soltanto suo. Chi lo comanda, chi lo aziona sta esercitando il diritto e il dovere di cercarsi. Non è la mente della danzatrice ma una sostanza pensante più generale e consistente sospesa tra il cielo e la terra a ordinare i gesti che noi vediamo. Giravolte e armonie sul filo del baratro, slanci improvvisi di un corpo che ha sentito il vuoto, chiusure di un infinito dirompente che bussa alla porta dell’anima e vuole essere riconosciuto, cadute libere che cercano la morte per sopravvivere, discese negli inferi del femminile, nello spasimo del piacere e del dolore. Il tutto condito dall’unione degli opposti perché, per afferrare la danza di Erika Di Crescenzo, bisogna utilizzare categorie spurie, doppie, apparentemente antitetiche: sacro-profano, liturgico- blasfemo, santitàoscenità. Chi pensa che l’esistenza umana abbia un’unica faccia non tollera una verità altra e più profonda. È intrigante per me sentirmi parte del discorso che si dipana sulla scena. Quella lotta senza soluzione tra il soggetto dormiente nella brace dell’identità transitoria e la vetta a cui aspira ardentemente, è anche la mia lotta. Quella RECENSIONE di SALVATORE SMEDILE battaglia è anche mia, quel desiderio di spuntarla è dentro me. Io spettatore faccio parte di un’intimità più generale che si corporalizza nello spazio pubblico del palco. Noi siamo quel corpo; quel corpo è noi. La rappresentazione esiste solo se la scena è condivisa e compartecipata. Nel gesto di Erika il passaggio di una verità da soggettiva a oggettiva è spontanea, zampilla come sangue da un cuore ferito. La femminilità, quel luogo storicamente e culturalmente dominato dagli imperativi del maschile, è in opposizione con sé stessa e con la sua altra metà che la brama e l’aspetta al varco. Con il suo Dio che la contempla solo se sottomessa. E che dire dell’espressione dell’eros nella sue valenze eretiche? Sulle locandine di Etude compare il nome di George Bataille. Considero questo pescare nelle citazioni qualcosa di molto vicino alla timidezza. È più facile guardare fuori che dentro di noi. Utilizzare discorsi altrui spesso tradisce il naturale timore di rivolgersi al proprio oracolo interiore, di osare. Erika cerca di farlo anche per tutte le donne che hanno combattuto quello che non volevano essere. Il femminile, nel suo mostrarsi nitido e mai osceno seppur svelato, si dichiara in perenne conflitto tra istanze personali, sociali e religiose. Mi sembra superato anche un certo femminismo. Le verità che qui si vanno cercando non sono di genere. Sono le verità di noi tutti, uomini e donne. Due cose non tornano: la voce tradisce quello che il corpo della danzatrice nasconde. Nelle corde della vocalità c’è ancora della strada da compiere ma lei è determinata e l’attende una lotta sovrumana che sembra non spaventarla. Infine una domanda a cui solo Erika può rispondere: perché nel suo teatro-danza non si lascia cogliere e guidare da un altro sguardo? Perché persiste questa sfiducia verso una regia esterna che potrebbe condurla per geografie inimmaginabili? Ciò, tuttavia, nulla toglie alla ricerca in cui si dà tutta, anima e corpo, animale pensante proteso verso il purgatorio, tra l’inferno e il paradiso che costituiscono i due poli della contesa. Comunque sia, vederla in azione è un’esperienza unica, quasi mistica. Ci si pone delle domande. Il suo corpo martoriato vuole indicarci una via di conoscenza non cerebrale ma intuitiva ed emotiva, che parte dal sentire. Mai, proprio mai, la sua danza è muscolare come tanta se ne vede in giro. È un viaggio nel femminile che attraversa la nostra storia senza indugi. Cagliari, Giugno 2011, Festival Opere Sommerse ETUDE POUR LA SAINTETE Ottavio Pinna fotografo e critico per la rivista online www.mediterraneaonline. Con scarni elementi scenografici ecco delinearsi lo spazio dello psicodramma di Erika di Crescenzo: un giaciglio-altare, protetto dalla calata di un antependium imparentato con un velo da sposa, una parrucca-gatto e in ultimo la fondamentale “Mano” : reliquia mummificata che evoca l’Assente, la mano trafitta del Cristo che diviene il tramite della Sua reificazione in un rapporto, non solo mistico ma più tattilmente profondo. Un ruolo essenziale nel creare il clima propizio allo svolgersi della scena, lo hanno le luci - ben orientate- di Gianni Melis. I “parafernalia” di Erika, non si esauriscono certo in questi -sia pur sofisticati- oggetti, ma comprendono principalmente l’attitudine corpo-mente che viene messa in campo, sin dal primo istante della rappresentazione, con il progressivo e intenso disvelamento degli intrecci confliggenti della scrittura drammaturgica. È dalla paura del vivere in un mondo ordinario che nasce la vocazione mistica volta alla passione, all’amore per il divino che la Novizia (Novia, sposa novella col suo abito eroticamente scomposto), ben rappresenta nella sua dualità di casta vittima sacrificale e di appassionata, quanto sottomessa, sposa. In tale commistione di sentimenti e di passioni emerge potente l’eros dell’io desiderante, conchiuso nel senso di colpa della consapevolezza del piacere fisico dirompente che - pur sublimato dalla fede e dalla passione mistica- si traduce nello stato di grazia di un agonico orgasmo, molto prossimo all’atassia e alla morte. Che dire del palesamento della follia attuato negli exempla clamorosi della diversità, nei comportamenti “non consoni” alle cosiddette “norme sociali” tese all’occultamento reclusionale del deviante, del folle? Ci sarebbe da meditare molto sul tema della salute mentale, ed Erika ce ne offre magistralmente l’opportunità. Nel succedersi dell’azione coreutica, dal corpo di Erika affiorano -emergenti- i segni, vibranti come germogli rivolti alla luce, di una vera epifania dell’essere. Straordinaria, in questo senso, la grande mobilità ed espressività del volto che, seppur fasciato da claustrofobiche bende evocanti iniziatiche umilianti tonsure, riesce a comunicare in stretto dialogo anche con l’agilità ‘flamboyant’ delle dita dei piedi, a RECENSIONE di OTTAVIO PINNA loro volta in dialogo -a distanza- con quelle delle mani, che paiono evocare magiche quanto misteriose numerologie che finiscono per dis-locare il già complesso codice linguistico, proiettandolo in altre dimensioni. La voce, nelle più varie modulazioni, accompagna l’azione-affabulazione-delirio, come del resto anche il suono della fisarmonica -da lei stessa manovrata-giocata in una gestualità ampia e spettacolare danzata-, si producono in un respiro umorale che sostiene il ritmo delle vicende emozionali della psicosi, amplificandone, o allentandone -di volta in volta- la tensione. La parola narrante, dirottata da una fantasia del pensiero, si chiede come mai il cacciatore finisca col dormire tutto solo con le sue scarpe… , senza la sua donna. È un dramma che si sviluppa per quadri compostamente iconici, ma talvolta incorniciati dall’elemento grottesco di una richiesta amorosa senza risposta, come da una fresca e spontanea comicità che coinvolge gli spettatori: la parrucca-gatto vola inopinatamente tra gli astanti, così come lo slip -del quale si libera-, alleggerendo così l’azione dall’eccesso di carico tensivo che andava assumendo. In tal modo il pubblico finisce per condividere l’evento teatrale in modo più partecipato e meno teso. Un lavoro interessantissimo, quello di Erika, che affronta le problematiche difficili e profonde della sfera delle psicosi latenti e delle schizofrenie indotte anche dalla condizione claustrale dello specifico femminile, dove la passione, l’amore per il divino, il martirio, l’eros e l’agonia nel delirio, costituiscono l'intreccio psichiatrico di un disturbo -spesso iatrogeno- che trova un pabulum fecondissimo nelle paure insite del vivere una vita ordinaria, causa vera della 'vocazione' che ne diviene perciò rifugio, fuga dal reale, cura (anche farmacologica?). La fresca attitudine comunicativa e la presenza scenica di Erika le consentono di affrontare e condurre, con misurata sapienza registica e coreografica, con leggerezza e raffinata sobrietà, un tema difficile e inquietante che troverebbe in molti, per lo spessore della sua problematicità, naturali resistenze e chiusure. Invece queste resistenze, nel dipanarsi dei significati, cedono magicamente il passo ad una intima condivisione del pathos, superando lo iato resistenziale sempre frapposto alla diversità della follia, dalle ipocrite convenzioni sociali. Torino, Dicembre 2010, Festival Insoliti FERNANDO MASTROPASQUA Professore d'antropologia teatrale dell’Università di Torino. E’ Amleto che ci ricorda che quando il mondo va fuori dei cardini è il teatro che ha il compito di dare forma alla vita sconquassata. Nel Novecento è la sperimentazione che ha cercato di farsi carico di questo compito e di dare risposte non asservite. E i luoghi della ricerca sono stati i più vari, dall’indagine psicoanalitica nell’inconscio dell’attore al viaggio etnologico, dalla negazione del palcoscenico al rifiuto di ogni forma di rappresentazione. Lo studio di Erika Di Crescenzo, Étude pour la Sainteté, presentato recentemente a Torino, si pone in questa scia di ricerca, affondando lo sguardo e la materialità del corpo dell’attrice in quell’inferno terreno che fu l’Ospedale della Salpêtrière, dove furono ammassate dal XVII secolo, gli scarti del femminile, un orrendo mondo alla rovescia che gridava carnevalescamente vendetta. Con i corpi veniva violentato il linguaggio, ogni possibilità di linguaggio. Da questo annientamento, da questa desertificazione dell’umano affiorava la potenza dello scarto, una rinascita di tutto ciò che era stato represso e si facevano strada suoni, gesti, ribelli fremiti del corpo, diaboliche convulsioni, sguardi pieni di un nuovo incanto. Lo scarto, il rifiuto, come in tanti rituali arcaici, prometteva una nuova origine. Nel magma di questa materia, da cui sono stati raschiati leggi, divieti, ordinamenti, strappate le catene della morale, aspra e intollerante come la moderna guerra umanitaria, osceno e innocenza si intrecciano al punto che le peccatrici condannate all’inferno conquistano una più pura santità. Di Crescenzo, sprofondando in questo abisso RECENSIONE di FERNANDO MASTROPASQUA di teatralità, sperimenta la fusione di tutti i linguaggi del teatro, dal suono strumentale a quello del corpo e della voce (canto, vocalizzi, borborigmi), dal delicato ricamo di piccoli gesti alla esplosione tumultuosa delle pulsioni dell’intero corpo, dalle sonorità del buio e del silenzio ai bagliori espressivi dei disegni di luce. Costruisce così forme che hanno la veste dell’inaudito e la potenza del rigenerante. Ritengo pertanto importante che ella possa continuare la propria ricerca e raggiungere esiti ancora più alti. Mi auguro – e caldamente appoggio – che il suo progetto venga accolto e sostenuto. ____________________________________________ foto Angelo Bellotti