La palude di Lubiana, un ambiente che

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sabato
15 giugno 2013
Reportage
UNA NATURALISTA
A PASSEGGIO
Alla scoperta del Parco
regionale del Ljubljansko
barje, un’area che trae
origine due milioni
di anni fa
|| Tartaruga dalle orecchie rosse
|| Capanno da birdwatching alla Koščeva učna pot
La palude di Lubiana, un am
di Chiara Veranić
|| Campi di fertilissima terra nera
I
l Ljubljansko Barje, ovvero la Palude
di Lubiana, della quale mi accingo
ad andare alla scoperta, è una
vasta superficie piana che si estende tra
la capitale della Slovenia e le località
di Vrhnika e Škofljica. Ha avuto origine
all’incirca due milioni d’anni or sono dallo
sprofondamento di un bacino in cui grosse
quantità di sedimenti portati dalle acque
locali finirono con lo sbarrare il corso del
fiume principale, provocando l’inondazione
dell’intera area. Circa 6.000 anni fa, il
verificarsi di un vasto prosciugamento fece
scomparire l’antico lago, lasciando il posto
a una pianura paludosa. Con l’andare dei
millenni, in essa si formarono spessi strati di
torba, un carbone particolare dalla struttura
feltrata, in cui si riescono a distinguere
facilmente i muschi e le piante acquatiche
che l’hanno generato.
Un fiume molto particolare
Le costanti alluvioni stagionali furono
il motivo principale che portò a vari
tentativi di prosciugamento e drenaggio,
iniziati già all’epoca degli antichi romani,
che per primi costruirono in loco una
strada e regolarono il corso del fiume
Lubljanica, allo scopo di trasportare il
marmo dalle vicine cave di Podpeč verso
l’appena fondata città di Emona. La vena
acquea principale del Barje era e continua
a esserlo un fiume molto particolare.
Esso nasce ai piedi dello Snežnik (Monte
Nevoso), s’inabissa e riemerge nel Carso
varie volte per scaturire finalmente a
Močilnik nei pressi di Vrhnika da tre
splendide sorgenti dall’acqua color verde
cupo. Per un lungo periodo, il fiume
rappresentò un’importante fonte di
vita e soprattutto un’indispensabile via
di comunicazione, ma le sue continue
esondazioni spinsero l’uomo a modificarne
l’imprevedibile corso.
L’estrazione della torba, pratica dannosa
Ulteriori grosse opere di prosciugamento
vennero perciò eseguite nel XVI e nel XVIII
secolo, ma l’estrazione della torba, che
rappresentava un’attività più redditizia
dell’agricoltura, peggiorò la situazione,
provocando nuove alluvioni in quanto
con la sua asportazione venne a mancare
il tampone naturale che essa costituiva.
Nel 1875, proprio nel corso dello scavo
di un canale di drenaggio nei pressi di Ig,
vennero alla luce i resti di palafitte, numerosi
oggetti in ceramica, utensili e scheletri che
il fango aveva celato e protetto per migliaia
d’anni. Erano le vestigia delle popolazioni
preistoriche che dal neolitico all’età del
bronzo avevano abitato le rive dell’antico
lago e le paludi.
Le antiche popolazioni
Dalle ricerche effettuate dagli studiosi si
è potuto appurare che appartenevano a
una civiltà diffusa anche in altre aree a
settentrione della penisola Appenninica e
nelle vallate umide delle Alpi. Queste antiche
popolazioni costruivano le loro capanne
sui tronchi infissi nel fango e si occupavano
di agricoltura, allevamento, raccolta e
caccia. Veneravano la Madre Terra e il Sole,
fabbricavano splendidi oggetti in ceramica e
conoscevano anche l’arte di fondere utensili
in bronzo, come dimostrato dagli stampi, dai
crogioli e dagli ugelli per i soffietti rinvenuti
in loco. Il suolo acquitrinoso dell’area e la
stabilità delle sue caratteristiche hanno fatto
in modo da conservare parecchi resti di
origine organica, tra i quali il più importante
è rappresentato da una ruota in legno di
un’età che supera i 5.000 anni.
Gli insediamenti palafitticoli
Dal 2011 gli insediamenti palafitticoli delle
Alpi sono entrati a far parte del patrimonio
mondiale patrocinato dall’UNESCO e
due di essi, opportunamente studiati, si
trovano proprio nel Barje, mentre i reperti
sono custoditi presso il Museo nazionale
di Lubiana. Purtroppo, il segno della loro
presenza è stato cancellato dalla bonifica,
poiché in ogni caso, una volta esposti all’aria,
i resti materiali sarebbero andati distrutti.
Non mi riesce però difficile, osservando il
paesaggio, d’immaginare decine di piroghe
sull’acqua, intorno alle capanne di legno sulle
palafitte, con gli abitanti intenti a svolgere i
loro lavori quotidiani.
L’origine della nebbia lubianese
Nonostante le opere massicce che hanno
trasformato gran parte della palude in
terreno coltivabile, la coabitazione tra
l’uomo e la natura ha creato un ambiente
assolutamente particolare, dalla grande
biodiversità, nel quale i campi di fertilissima
terra nera si alternano a pascoli, prati
umidi, boschetti alluvionali, saliceti, fossati
e siepi che osservo con attenzione durante
il mio percorso. Si è giunti però a un punto
cruciale, poiché la palude, che un tempo
costituiva l’abitat prevalente, di anno in anno
si riduce e sta praticamente scomparendo,
nonostante gli sforzi di chi combatte per
salvare il salvabile. Molti infatti considerano
il Barje la causa della famosa nebbia
lubianese, reputandolo inoltre un ambiente
Reportage
|| Una delle sorgenti della Ljubljanica
|| Carici ai bordi del lago di Podpeč
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|| Un bosco alluvionale
mbiente che sta scomparendo
|| Reperti in ceramica dei palafitticoli
|| Resti delle fondamenta di un antico abitato
|| La fritillaria, regina dei prati umidi
insalubre con nugoli d’insetti. Eppure, in
questo biotopo multiforme, vivono ancora
numerosissime specie di piante e animali
acquatici e, soprattutto, vi nidifica un
centinaio di specie d’uccelli, mentre parecchie
vi svernano o sostano per rifocillarsi durante
le migrazioni. Anche se il Barje copre soltanto
l’un per cento del territorio sloveno, ospita
volatili rari come il re di quaglie (Crex
crex) il cui nome latino deriva proprio dal
caratteristico verso dell’animale, che gli
sloveni chiamano kosec (il falciatore) poiché
il suono da esso prodotto è simile al rumore
della cote sulla falce.
giallo, rane comuni e varie specie di pesci
(trote californiane, carpe erbivore, persici
sole, salmerini di fonte, pesci gatto nebulosi),
mentre le testuggini palustri europee stanno
diventando sempre più rare, soppiantate
dalle tartarughe a orecchie rosse originarie
del Centro e Sud America, che i proprietari
degli acquari casalinghi scaricano nell’area
allorché gli animali raggiungono dimensioni
troppo grandi. Ecco che allora quest’ultime
entrano in competizione con le autoctone per
il cibo e per la conquista dei cespi d’erba dove
ambedue le specie amano crogiolarsi al sole.
Tartarughe in competizione
Negli acquitrini, che si fanno sempre
più rari, e soprattutto ai bordi dei corsi
d’acqua, vivono altre specie invasive come
le nutrie, che amano scavare gallerie negli
argini aumentando seriamente l’erosione.
Nutrendosi quasi esclusivamente di vegetali
producono danni ingenti anche all’agricoltura.
Un altro ospite non gradito è rappresentato
dall’ondatra o topo muschiato, un animale
semiacquatico originario del Nordamerica
e introdotto in Europa il secolo scorso.
Voracissimo, si nutre di radici, foglie, piante
acquatiche, corteccia d’albero, molluschi e
insetti, minacciando seriamente un ambiente
in cui non esiste un suo nemico naturale.
Nei punti in cui la vegetazione è più folta
i richiami degli uccelli non cessano un
momento. Ne vedo un paio lungo la Koščeva
učna pot (Sentiero didattico del re di
quaglie) ma, soprattutto, riesco ad osservarne
alcuni dal capanno da birdwatching posto
in mezzo ai prati umidi. Nel Barje vivono
infatti il chiurlo grande, la quaglia comune, la
pavoncella, l’allodola e l’assiolo, il più piccolo
strigide europeo dopo la civetta nana, dalle
dimensioni di un merlo. Fino a una decina
d’anni fa, vi nidificava anche il falco grillaio,
che purtroppo ha abbandonato il territorio.
Nelle acque abbondano ululoni dal ventre
Gli ospiti non graditi
|| Il trifoglio d’acqua
L’invasione delle piante alloctone
I vasti prati umidi sono popolati da ben 89
specie di variopinte farfalle, alcune delle
quali, dipendendo totalmente dalle piante
di cui si nutrono i loro bruchi (pimpinella
maggiore, genziana mettinborsa),
risultano particolarmente rare e quindi
estremamente minacciate. Tra le piante
di questi prati spicca la fritillaria, dai
caratteristici fiori a quadretti, comune in
alcune parti d’Europa, ma abbastanza rara
in Slovenia e Croazia, e quindi protetta.
Anche tra le piante si notano un paio di
specie estranee, introdotte dall’uomo. Tra
le principali, il poligono del Giappone e
soprattutto la verga d’oro del Canada,
che con la loro rapida diffusione, creano
delle monocolture, eliminando dagli areali
conquistati le piante autoctone. L’ambrosia,
che purtroppo anche qui è estremamente
diffusa, è invece la più nociva per la salute
dell’uomo, in quanto, com’è noto, il suo
polline rappresenta un fortissimo allergene
che provoca potenti riniti nelle persone
sensibili.
Le sorgenti della Ljubljanica
Tra le numerose attrattive del Barje, oltre
alle sorgenti del fiume Ljubljanica, c’è
anche il lago di Podpeč, accanto all’abitato
|| Ranuncoli d’acqua sulla torba
di Jezero, dove mi fermo un po’ più a
lungo perché ferve di vita. Questo bacino
carsico possiede un particolare regime
idrico, poiché è nutrito da sette minuscole
sorgenti; le sue acque defluiscono nel
sottosuolo, inghiottite da un imbuto alla
profondità di 51 metri, che ne fa quindi
uno degli specchi d’acqua più singolari
della Slovenia. Al Mali Blatec si trova
invece ciò che rimane dell’antica torbiera, il
che dà l’idea di come fosse il Barje migliaia
d’anni fa, prima che l’uomo ne modificasse
l’aspetto.
Speriamo che prevalga la ragione...
In barba a tutti gli interventi antropogeni,
esso resta un’area umida e, oltretutto,
rappresenta il serbatoio che disseta la
capitale. Ha inoltre un’importante azione
protettiva, poiché accoglie il surplus nei
periodi delle piene stagionali, per non parlare
della sua vegetazione rigogliosa che produce
ingenti quantità d’ossigeno. Mi auguro che
in un prossimo futuro, la ragione prevalga
sugli interessi economici di chi vorrebbe
trasformarlo in un’immensa area agricola
e che si riesca a conservare almeno ciò che
resta di quell’antico ambiente naturale che
per l’intervento umano è andato in gran parte
perduto.