Anno 12 – Numero 18 1° ottobre 2014 NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ D IRETTA DA O RESTE C AGNASSO C OORDINATA DA E M AURIZIO I RRERA G ILBERTO G ELOSA In questo numero: • Srl: assetti adeguati • Imprese ed etica • La capitalizzazione dei costi pluriennali ItaliaOggi DIREZIONE SCIENTIFICA Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera COORDINAMENTO SCIENTIFICO Gilberto Gelosa La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di: Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato, Crema, Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza, Verbania NDS collabora con: SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE a cura di Luciano Panzani SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO a cura di Gilberto Gelosa SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA a cura di Marco Casavecchia SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli COMITATO SCIENTIFICO DEI REFEREE Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra, Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, Paolo Efisio Corrias, Emanule Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Patrizia Grosso, Manlio Lubrano di Scorpaniello, Angelo Miglietta, Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele Rimini, Marcella Sarale, Giorgio Schiano di Pepe COMITATO DI INDIRIZZO Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario Tagliaferri, Maria Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer REDAZIONE Maria Di Sarli (coordinatore) Paola Balzarini, Alessandro Bollettinari, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio Catalano, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena Fregonara, Giulia Garesio, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Riccardo Russo, Cristina Saracino, Marina Spiotta, Andrea Sacco Ginevri, Maria Venturini HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Umberto Bocchino e Marina Spiotta I saggi costituenti “Studi e Opinioni” sono sottoposti a blind referees, scelti tra professori universitari universitaricompetenti appartenenti al settori. Comitato nei vari La scientifico valutazione dei deglireferee, atti di competenti nei vari settori della Rivista. convegni e degli scritti giàscientifici pubblicatioggetto o di prossima pubblicazione è riservata ai Direttori. Ognidegli scritto un scritti abstract italiano oe diinprossima inglese. La valutazione attièdipreceduto convegni edadegli giàinpubblicati Saranno pubblicati scritti,aioltre che in italiano, in inglese, francese, spagnolo e pubblicazione è riservata Direttori. portoghese. Ogni scritto è accompagnato da un abstract in italiano e in inglese. Vengono pubblicati scritti, oltre che in italiano, in inglese, francese, spagnolo e portoghese. INDICE Pag. EDITORIALE Il Centro Studi d’Impresa – RES (Regolazione, Etica e Società): una nuova collaborazione 1 STUDI E OPINIONI Gli assetti adeguati nella s.r.l. di Oreste Cagnasso 8 Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per uscire dalla crisi? di Marina S piotta 19 La capitalizzazione dei costi pluriennali e la sua logica di attivazione di Umberto Bocchino 42 SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE 56 SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 61 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 4 SOMMARIO STUDI E OPINIONI Gli assetti adeguati nella s.r.l. Lo scritto affronta il problema della obbligatorietà della predisposizione di assetti adeguati nell'ambito della s.r.l., pur nel silenzio del legislatore al proposito; risolto positivamente tale quesito, è poi oggetto di indagine l'estensibilità, ed i suoi limiti, della disciplina dettata per la s.p.a. di Oreste Cagnasso Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per uscire dalla crisi? In controtendenza rispetto al crescente interesse per il tema della “responsabilità sociale dell’impresa”, in questo lavoro s’intende rivalutare il dovere di osservare la legge e dimostrare che per conciliare la tutela degli stakeholders con la massimizzazione del profitto è necessario non dimenticare l’insegnamento di Calamandrei: «nell’incertezza su quali siano le regole dell’etica muovere dall’etica del rispetto delle regole (giuridiche) segnerebbe sicuramente un forte progresso». A questa conclusione si è arrivati alla luce di un raffronto con il diritto inglese (che prevede il dovere degli amministratori di perseguire the success of the company) e statunitense (che vorrebbe rivalutare il duty of obedience). di Marina Spiotta La capitalizzazione dei costi pluriennali e la sua logica di attivazione Lo scritto si sofferma sul tema della capitalizzazione dei costi pluriennali, individuandone le premesse dottrinali, l'ambito di applicazione, i presupposti, le modalità ed i riferimenti normativi. di Umberto Bocchino IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 5 INDEX-ABSTRACT Page STUDIES AND O PINIONS Appropriate organizational structures within the s.r.l. The paper addresses the problem of imperative nature of provision of appropriate structures within the s.r.l., even in the silence of the legislature in this regard; resolve this question positively, then under investigation extensibility, and its limits, the regulations established for the spa. by Oreste Cagnasso 8 Business and Ethics: an oxymoron or a combination essential to overcome the crisis? Reversing the trend of growing interest of “the social liability of corporation”, in this work we intend to reassess the duty to obey the law and show that in order to reconcile the protection of the stakeholders with the maximization of profit it is necessary not to forget the teaching Calamandrei: "uncertainty about what the rules of ethics move from ethics of compliance (legal) certainly would mark a dramatic improvement." We have gained this insight in the light of a comparison between the Italian law and both the English law (which implies the duty of the directors to pursue the success of the company) and the American law (which is trying to revive the duty of obedience). by Marina S piotta 19 The capitalization of deferred costs and its activation logic The paper focus es on the issue of capitalization of deferred costs, identifying the doctrinal premises, the scope, assumptions, methods and legal references. by Umberto Bocchino 42 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 6 EDITORIALE IL CENTRO STUDI D’IMPRESA – RES (REGOLAZIONE, ETICA E SOCIETÀ): UNA NUOVA COLLABORAZIONE A partire dal presente numero ha inizio la collaborazione scientifica tra NDS – “IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO” E IL CENTRO STUDI D’IMPRESA – RES (REGOLAZIONE, ETICA E SOCIETÀ). Il CENTRO RES (www.centrores.org) persegue l’obiettivo di promuovere lo studio e la cultura del diritto societario e d’impresa, nazionale e transnazionale, nelle sue interrelazioni con l’etica individuale e sociale, a partire dalla corporate governance e dalla responsabilità sociale d’impresa, nonché in rapporto con l’etica pubblica. La collaborazione tra NDS – “IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO” E IL CENTRO STUDI D’IMPRESA – RES (REGOLAZIONE, ETICA E SOCIETÀ) si svilupperà in entrambe le direzioni. La nostra Rivista darà notizia delle iniziative del CENTRO RES e quest’ultimo offrirà alla Rivista – per la pubblicazione - i contributi scientifici raccolti nell’ambito delle proprie iniziative. Già in questo numero viene pubblicato l’articolo di MARINA SPIOTTA dal titolo “Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per uscire dalla crisi?”. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 7 STUDI E OPINIONI GLI ASSETTI ADEGUATI NELLA S.R.L.* Lo scritto affronta il problema della obbligatorietà della predisposizione di assetti adeguati nell'ambito della s.r.l., pur nel silenzio del legislatore al proposito; risolto positivamente tale quesito, è poi oggetto di indagine l'estensibilità, ed i suoi limiti, della disciplina dettata per la s.p.a. di O RESTE CAGNASSO 1. I silenzi del legislatore in ordine alla disciplina della gestione della s.r.l.. Come è noto e come è stato ampiamente sottolineato dalla dottrina, il legislatore, nel disciplinare l’amministrazione nell’ambito della società a responsabilità limitata, ha previsto alcuni profili relativi alla struttura e al funzionamento con carattere fortemente innovativo rispetto a quelli paralleli concernenti la società per azioni: nel contempo sotto altri aspetti ha scelto di non prendere posizione. L’interprete deve quindi affrontare il delicato problema dell' individuazione dei criteri da utilizzare per colmare tali “silenzi”. Invero, è stato lucidamente sottolineato1, la realtà imprenditoriale conosce vari “modelli” di gestione: sul presupposto di una sostanziale compenetrazione tra soci e amministratori è configurabile e largamente diffusa la figura del manager socio; d’altra parte, laddove si verifichi una separazione tra soci e amministratori, viene in considerazione quella del manager professionale. Tendenzialmente la prima ipotesi è caratteristica delle piccole - medio imprese societarie, la seconda delle medio - grandi imprese. Il ruolo e la posizione degli amministratori nell’uno e nell’altro caso sono ovviamente differenti, dal momento che l’amministratore socio gestisce “affari” anche propri, mentre il manager professionale gestisce ovviamente “affari” altrui, con una 2 differente propensione al rischio . E’ quindi plausibile che la disciplina dell’una e dell’altra fattispecie sia differente. (*) Il saggio costituisce un capitolo dell'opera: "Gli assetti ed i modelli organizzativi delle società di capitali", diretta da M. IRRERA, in corso di pubblicazione presso Zanichelli Editore. 1 ANGELICI, Note sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, in, Riv. soc., 2007, 1217 ss.. 2 ANGELICI, op.cit., 1224 ss.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 8 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL Alla luce di tali considerazioni si può ritenere che il “silenzio” della normativa in tema di società a responsabilità limitata, dal momento che tale tipo societario è tendenzialmente applicabile alle minori imprese, debba essere “riempito” non utilizzando le regole proprie della società per azioni, ma semmai quelle dettate in tema 3 di società di persone . Fermo restando, tuttavia, il ricorso alla disciplina della società per azioni laddove la società a responsabilità limitata venga utilizzata da imprese di medio grandi dimensioni sul modello del “manager professionale”: in tal caso e solo in tal caso troverebbe applicazione la normativa costruita per la società per azioni4. In altre parole, il silenzio del legislatore consentirebbe, secondo questa prospettiva, l’utilizzo di norme differenti in relazione al modello in concreto assunto dalla società a responsabilità limitata. Tale soluzione presuppone, tuttavia, che la disciplina dettata per la società per azioni sia “correlata” al modello della impresa medio - grande caratterizzato dalla figura del “manager professionale”. Il che è indubbiamente vero per alcune norme, ma non sembra, a mio avviso, valere con riferimento ai principi fondamentali della governance propria della società per azioni. Invero, come la s.r.l. è utilizzabile con riferimento ad un ampio spettro di ipotesi concrete e quindi tanto dalla società di modeste dimensioni, quanto da quelle con caratteri della grande impresa (fermo restando il solo limite che deve trattarsi di società chiuse), così la società per azioni costituisce sì l’unico tipo fruibile dalla società aperta, ma può essere utilizzata anche da società medio - piccole. Quindi la disciplina della società per azioni, pur essendo tendenzialmente destinata ad imprese medio - grandi, vale anche nell’ipotesi di società per azioni medio - piccole. M a c’è di più: i principi fondamentali della governance della società per azioni hanno contenuto “aperto” e paiono adattabili in relazione ai vari contesti che siano destinati a disciplinare. Così la regola in tema di diligenza, ancorata al parametro della natura dell’incarico, e quindi del ruolo assunto dall’amministratore e dell’oggetto e delle dimensioni dell’impresa sociale, ancorata, altresì, alla competenza, intesa in senso soggettivo e quindi applicabile in ogni caso; così per i principi di corretta gestione sociale; così per il canone dell’agire in modo informato e non in conflitto di interessi. In particolare, e il profilo a mio avviso assume un carattere fondamentale ai fini del presente discorso, i principi di corretta gestione, come lo stesso legislatore si esprime nell’art. 2403 c.c., si sostanziano soprattutto nella creazione di assetti organizzativi adeguati alle dimensioni dell’impresa. Si tratta pertanto di un obbligo il 3 4 ANGELICI, op.cit., 1229. ANGELICI, op.cit., 1229. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 9 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL cui contenuto è rapportato alle singole situazioni: si tratta di un obbligo, inoltre, che pare connaturale con la gestione di qualsiasi impresa5. I principi fondamentali di governance sono poi strettamente correlati al regime di responsabilità limitata e costituiscono una sorta di “contraltare” dello stesso. Alla luce di queste considerazioni mi pare che il vuoto normativo proprio di alcuni aspetti della disciplina della governance della società a responsabilità limitata debba essere riempito applicandosi i principi propri della società per azioni, che, data la loro elasticità, consentono di adattarne il contenuto ai vari modelli in concreto assunti dalla società. Se si muove da tale presupposto il ruolo degli amministratori, anche in presenza di soci gestori, assume una posizione di assoluto rilievo. Alla luce della nuova disciplina dettata per gli amministratori di società per azioni ed estensibile alla società a responsabilità limitata e tenuto conto del carattere solidale della responsabilità degli amministratori rispetto a quella dei soci gestori, mi pare che possano individuarsi tre “tipi” di compiti affidati all’organo gestorio in presenza di competenze amministrative attribuite ai soci. In primo luogo, spetta agli amministratori svolgere l’attività “istruttoria” diretta a fornire ai soci gli elementi di informazione necessari affinché possano operare in modo consapevole le scelte gestorie ad essi affidate. In secondo luogo, hanno il dovere di dare esecuzione alle decisioni dei soci e, nel contempo, stante la loro responsabilità solidale, hanno quello di disattendere le decisioni che siano pregiudizievoli e siano per essi fonte di responsabilità. Infine compete agli organi delegati, ovviamente se presenti e competenti per l’esecuzione delle decisioni dei soci, fornire le informazioni previste dall’art. 2381 c.c., sia nei confronti degli amministratori, sia nei confronti del collegio sindacale. In assenza di organi delegati o comunque qualora l’esecuzione delle decisioni dei soci competa all’organo amministrativo, sarà quest’ultimo tenuto a fornire il flusso di informazioni “istituzionalizzato” al collegio sindacale. In presenza di competenze gestorie conferite ai soci o ai singoli soci spetta pertanto in ogni caso agli amministratori lo svolgimento di un’attività sia nella fase per così dire “preparatoria” delle scelte gestionali, sia in quella esecutiva delle medesime. Pertanto l’iter in qualche misura si spezza in vari momenti, quello preparatorio, quello decisionale e quello esecutivo. Naturalmente la complessità della procedura e l’eventuale netta separazione delle fasi saranno molto differenti da caso a caso, in funzione delle dimensioni e dei caratteri della società, nonché del rilievo dell’atto gestorio. 5 E v. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitale, Milano, 2005, 60 ss. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 10 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL In ogni modo, se si accolgono tali considerazioni, il ruolo degli amministratori risulterà comunque di notevole rilievo e sicuramente tale da giustificare la responsabilità degli stessi anche per le decisioni poste in essere dai soci. La qualificazione di questi ultimi, quando ad essi siano attribuite competenze gestorie, come soci “cogestori” appare pertanto quanto mai idonea ad individuare l’effettiva posizione degli stessi. 2. La delega di potere gestorio nell'ambito della s.r.l.. La delega di potere gestorio non è evidentemente compatibile con il regime di amministrazione disgiunta; forse potrebbe esserlo con quello di amministrazione congiunta; sicuramente lo è in caso di formazione del consiglio di amministrazione (qualunque siano poi le modalità adottate per il suo funzionamento). Si tratta di istituto, sia pure non previsto nell’ambito della società a responsabilità limitata, ammissibile anche con riferimento a tale tipo? L’amplissima autonomia concessa ai soci nel modellare la disciplina degli 6 amministratori induce a ritenere che il quesito debba avere una risposta positiva . In particolare la possibilità del ricorso al regime di amministrazione disgiunta comporta a maggior ragione l’ammissibilità della delega in caso di costituzione del consiglio di amministrazione (e forse in ipotesi di amministrazione congiunta). Occorre, tuttavia, esaminare se, anche con riferimento alla società a responsabilità limitata, valgano i limiti previsti per la società per azioni, tenuto conto 7 della sua maggior flessibilità . Nell’ambito della società a responsabilità limitata (e forse a maggiore ragione, data la posizione dei soci) pare necessaria, al fine di consentire la delega, l’autorizzazione contenuta nell’atto costitutivo o in una decisione dei soci. La delega non può avere ad oggetto le competenze inderogabilmente attribuite al consiglio di 6 L'opinione prevalente è nel senso dell'ammissibilità della delega gestoria anche nell'ambito della società a responsabilità limitata, pur nel silenzio del legislatore al proposito. T ale conclusione è avvalorata, oltre che dalla argomentazioni sistematiche illustrate nel testo, anche da concrete esigenze operative, come confermato dalla diffusione dell'istituto nella prassi. V., per tutti, di recente, ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, II, in Il codice civile. Commentario già diretto da P. Slechlesinger, continuato da F. Busnelli, Milano, 2010, 976 ss.; ABU AWWAD, La delega di funzioni nel consiglio di amministrazione, in S.r.l. / commentario. Dedicato a G. B. Portale, Milano, 2011, 568 ss.; CET RA, L'amministrazione delegata nella s.r.l., in Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, II, T orino, 2014, 1679 ss.. Mi sia consentito di richiamare anche CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, Padova, 2007, 227. 7 V. l'ampia e approfondita trattazione di CET RA, op. cit.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 11 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL amministrazione dall’ultimo comma dell’art. 2475 c.c. e può assumere le modalità fissate per la società per azioni8. 3. Gli assetti adeguati. Dopo aver constatato che il legislatore della riforma non ha dettato regole con riferimento a vari e rilevanti profili della governance della s.r.l. e dopo aver concluso nel senso che, nonostante ciò, la delega di potere gestorio trova applicazione anche con riferimento a tale tipo di società, sia pure in presenza di alcuni soltanto dei possibili modelli di amministrazione, pare possibile affrontare il tema relativo all’applicabilità della disciplina concernente gli assetti organizzativi adeguati prevista per la s.p.a. e, in caso affermativo, ai limiti ed alle modalità di estensione di essa. Al proposito pare opportuno prendere le mosse dal primo interrogativo, che rappresenta il punto di partenza dell’indagine, concernente l’obbligatorietà o meno della predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili nell’ambito delle s.r.l.. Come è noto, e come risulta chiaramente dal dettato dell’art. 2381 c.c., nonché dall’art. 2403 c.c., nell’ambito delle s.p.a. sussiste l’obbligo della creazione e dell’applicazione di tali assetti anzi è lo stesso legislatore a sottolinearne il rilievo, laddove impone al collegio sindacale la vigilanza sull’osservanza non solo della legge e dello statuto, ma anche sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, individuando tra di essi, in particolare, l’adeguatezza degli assetti (art. 2403, primo comma, c.c.). Pertanto gli amministratori di s.p.a. sono tenuti ad osservare legge e statuto ed a rispettare i principi di corretta amministrazione: in posizione preminente tra essi si collocano la creazione e l’applicazione di assetti adeguati. La stessa regola vale anche per gli amministratori di s.r.l.? Oppure, con riferimento a quest’ultima, la creazione degli assetti non risulta obbligatoria? Nell’uno e nell’altro caso (e quindi sia nell’ipotesi di obbligo di legge, come nel caso di previsione statutaria) è necessario poi individuare quali siano i soggetti tenuti alla predisposizione degli stessi. L’analisi deve essere condotta alla luce dei vari scenari ipotizzabili e che la flessibilità della disciplina delle s.r.l. consente di adottare: amministratore unico; consiglio di amministrazione con applicazione della regole della collegialità piena; consiglio di amministrazione con applicazione della tecnica della collegialità attenuata; consiglio di amministrazione che si avvale della delega di potere gestorio; amministrazione disgiunta o congiunta; competenze gestorie attribuite ai soci. Infine occorre esaminare i problemi relativi, sempre tenendo conto dei vari scenari possibili, all’attività di valutazione e di vigilanza, che, nel caso della s.p.a., sono, rispettivamente, compito del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale. 8 E v. ancora, con soluzioni difformi da quelle indicate nel testo, sui temi richiamati, da ultimo, CET RA, op. cit.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 12 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL 4. L’obbligatorietà della predisposizione di assetti adeguati nell’ambito della s.r.l.. All’interrogativo concernente l’obbligatorietà o meno della predisposizione di assetti organizzativi adeguati nell’ambito della s.r.l., tenuto conto del silenzio al proposito del legislatore, è possibile fornire una delle tre seguenti risposte. Una prima soluzione potrebbe essere nel senso dell’assenza di un simile dovere e ciò in particolare alla luce della mancanza di indicazioni espresse al proposito da parte del legislatore. Una seconda possibile risposta, esattamente opposta alla precedente, potrebbe essere nel senso della sussistenza dell’obbligo, attraverso l’estensione, sia pure con i necessari limiti e correttivi, delle norme dettate in tema di società per azioni. M a sarebbe anche adottabile un’ulteriore soluzione, di carattere intermedio, che limiti l’obbligo ai casi in cui risulta necessaria la presenza di un organo di controllo o del revisore e quindi oggi all’ipotesi in cui la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato; controlli una società obbligata alla revisione legale dei conti; sia tenuta alla redazione del bilancio di esercizio in forma ordinaria. Tale soluzione potrebbe trovare un aggancio normativo nel quinto comma dell’art. 2477, in cui si prevede che, nel caso di nomina di un organo di controllo, anche monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni. Tra esse, come si è già osservato, vi è l’art. 2403 c.c., che prevede appunto la vigilanza sugli assetti organizzativi. Se si accogliesse tale tesi, sussisterebbe una sorta di binomio: presenza necessaria dell’organo di controllo – obbligo di creazione di assetti adeguati. Rimarrebbe il dubbio se tale obbligo sussista anche qualora venisse scelta l’opzione di nominare un revisore (o una società di revisione). La prima soluzione non pare accoglibile in quanto, almeno con riferimento all’ipotesi della presenza obbligatoria dell’organo di controllo, il rinvio alla disciplina della s.p.a., e quindi in particolare alla norma fondamentale che elenca le competenze dei sindaci, esclude che vi sia un vero e proprio vuoto normativo e sembra per contro chiaramente presupporre la sussistenza dell’obbligo di redigere gli assetti adeguati. Anche la soluzione per così dire intermedia, pur avendo una certa sua razionalità, crea una serie di problemi relativi alla precisa individuazione dell’area di obbligatorietà della creazione degli assetti e soprattutto pare poco persuasiva, tenuto conto della rilevanza di questi ultimi. In altre parole, se può essere comprensibile che il controllo “esterno” sia necessario solo in presenza di s.r.l. “sopra soglia”, pare difficile ipotizzare che la creazione di assetti adeguati costituisca un obbligo limitato a tale ambito. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 13 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL Vari argomenti sembrano, per contro, giustificare la sussistenza dell’obbligo in questione in ogni caso di s.r.l., così come tale obbligo sussiste in ogni caso di s.p.a9. Si tratta invero, a mio avviso, di una regola non correlata ai caratteri tipologici dell’uno e dell’altro modello societario, ma alla governance di una società caratterizzata dal regime della responsabilità limitata. Pare particolarmente significativa, come si è richiamato più volte, l’enfasi data dal legislatore a tale regola nel contesto dei principi di corretta amministrazione. Ciò posto, come sembra molto difficile ipotizzare che i principi in esame non valgano per i gestori di s.r.l., così pare molto difficile ipotizzare che l’applicazione di tali principi non comprenda la regola sugli assetti. D’altra parte sia i principi di corretta amministrazione sia conseguentemente l’obbligo di creare assetti adeguati rappresentano parametri di fondamentale rilievo al fine di individuare i presupposti della responsabilità degli amministratori di s.p.a.: tenuto conto della presenza dell’azione sociale di responsabilità anche nel contesto della s.r.l., sembra arduo ipotizzare che valgano parametri differenti. D’altra parte lo stesso legislatore stabilisce che gli assetti debbono essere adeguati tenuto conto delle dimensioni dell’impresa e quindi si tratta di procedure adattabili alle diverse realtà ed ai diversi contesti in cui la s.r.l. può essere chiamata ad operare. Il loro contenuto quindi può ridursi a regole di carattere elementare in presenza di micro imprese o assumere la portata e complessità rese necessarie dalla dimensione medio-grande dell’impresa societaria. In conclusione, anche nella s.r.l., a mio avviso sussiste l’obbligo della creazione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alle dimensioni ed alla natura dell’impresa. Si tratta ancora, come si è già anticipato, di ricostruirne la disciplina e quindi in particolare di verificare a chi competa predisporli, e controllarli. 5. La predisposizione di assetti adeguati. Come si è già sottolineato, occorre, al fine di individuare i destinatari dell’obbligo della predisposizione di assetti adeguati, tener distinti i vari possibili scenari e quindi i modelli di governance adottati dai soci. 5.1. Amministratore unico e consiglio di amministrazione senza delega. Nel caso in cui l'organo gestorio delle s.r.l. sia costituito dall'amministratore unico o da un consiglio di amministrazione che non si avvalga della delega di potere gestorio, così come per la s.p.a., sarà compito di questi ultimi predisporre gli assetti organizzativi adeguati. 9 In questo senso, con ampia motivazione, IRRERA, op. cit., 299 ss. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 14 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL Problema peculiare che si pone nell'ambito delle s.r.l. è quello di verificare se tale distribuzione di competenze sia di carattere inderogabile oppure se si tratti di compiti attribuibili, in tutto o in parte, alle decisioni dei soci o a singoli soci, come diritto particolare, attraverso una clausola ad hoc contenuta nell'atto costitutivo. O ancora, in assenza di essa, se singoli amministratori o i soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale abbiano la facoltà di "ribaltare" tale compito affidandolo alla decisione dei soci. In altre parole, si tratta di verificare se l'elenco delle attribuzioni, inderogabilmente affidate dall'ultimo comma dell'art. 2475 c.c. all'organo amministrativo, possa essere ampliato, comprendendo, oltre la redazione dei progetti di bilancio, di fusione e di scissione e l'aumento delegato del capitale sociale, anche ulteriori competenze ed in particolare quella di predisporre gli assetti (ed i piani strategici). Come già osservato nelle pagine precedenti, mi era parso di dover dare risposta positiva rispetto all'attività di tipo istruttorio e preparatorio degli atti di gestione attribuiti alle decisioni dei soci o ai singoli soci. La stessa soluzione, a maggior ragione, vuole per la creazione degli assetti, che in qualche modo si pongono "a monte" di tale attività. Tale conclusione è stata oggetto recentemente di una valutazione critica. In un approfondito saggio dedicato all'amministrazione delegata nella s.r.l. si osserva che "è ragionevole ritenere che le decisioni per le quali possa ravvisarsi un interesse dei soci alla relativa assunzione o degli amministratori alla devoluzione ai soci siano le decisioni diverse dalla gestione corrente e, esemplarmente, le decisioni 10 che attengono agli assetti organizzativi societari e alla gestione strategica" . "Viceversa, è da ritenere remota l'eventualità che i soci e gli amministratori abbiano il divisato interesse per le decisioni che attengono alla gestione corrente"11. Pur affrontando un profilo di grande interesse e poco esplorato, non mi pare che tali conclusioni possano essere condivise. In primo luogo, nel caso di società ove sussista una differenziazione tra soci amministratori e soci non amministratori e quindi tra soci che gestiscono la società e soci finanziatori, sembra ben difficile ipotizzare un interesse di questi ultimi alla predisposizione degli assetti adeguati. Per contro, sempre in presenza di una contrapposizione tra soci gestori e non, può esservi un preciso interesse ad una decisione estesa a tutti i soci che abbia ad oggetto anche atti di gestione ordinaria, laddove, ad esempio, il loro valore superi un certo ammontare. M a, al di là di tali considerazioni effettuate sulla base della prassi societaria, sia i caratteri dell'attività di predisposizione degli assetti organizzativi, sia l'elenco delle attribuzioni conferite in 10 11 CET RA, op. cit., 1689 CET RA, op. cit., loc. ult. cit.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 15 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL via inderogabile agli amministratori inducono, a mio avviso, a ritenere che la predisposizione degli assetti rappresenti un compito proprio esclusivamente dei gestori. Infatti si tratta di una competenza di carattere tecnico e che pare connaturale alla gestione della società. D'altra parte l'aver escluso la redazione dei progetti di bilancio, di fusione e di scissione dall'attribuibilità alle decisioni dei soci sembra necessariamente ricomprendere anche la predisposizione degli assetti, che in qualche misura si pongono "a monte" di tali atti (si pensi in particolare alla predisposizione degli assetti adeguati in materia contabile). M a soprattutto, se si condivide la tesi che ho cercato di illustrare nella pagine precedenti in ordine alla competenza esclusiva degli amministratori nello svolgimento dell'attività preparatoria ed istruttoria delle scelte gestionali affidate ai soci, la stessa conclusione vale per la predisposizione degli assetti, che rappresentano i procedimenti da utilizzare proprio per svolgere tale attività. M i sembra, in conclusione, condivisibile l'osservazione, per cui occorre "distinguere tra la cura degli assetti e la loro valutazione che comprende anche l'approvazione. La cura degli assetti è un'attività di carattere tecnico che non può essere assegnata ai soci. Diverso è il discorso con riferimento alla valutazione che può 12 essere attribuita ai soci" , "Utile, al riguardo, può essere il parallelo con il bilancio di esercizio la cui redazione - implicando scelte di carattere tecnico ed operative - non può che essere di appannaggio degli amministratori, mentre la sua approvazione comportando ciò espressione di un giudizio - è di competenza dei soci" 13. Tale conclusione comporta evidentemente che, in ordine alla predisposizione degli assetti, verrà in considerazione esclusivamente la responsabilità degli amministratori, a cui si affiancherà quella dei soci solo nel caso di attribuzione agli stessi del compito della loro valutazione. 5.2. Amministrazione disgiunta o congiunta. Lo stesso ultimo comma dell'art. 2475 c.c., nell'attribuire all'esclusiva competenza dell'organo amministrativo i compiti sopra delineati, esclude che per essi possa valere il regime di amministrazione congiunta o disgiunta. E in effetti, come per i vari progetti occorre l'adozione con decisione degli amministratori, lo stesso discorso si estende alla predisposizione degli assetti. Come è stato esattamente osservato, "la costruzione degli assetti, che costituiscono l'espressione di uno dei più rilevanti poteri di carattere strutturale - organizzativo e che - nel contempo - rivestono un ruolo di assoluto rilievo nell'adempimento dell'obbligo di amministrare correttamente la società, deve essere collocata nel novero delle competenze spettanti collegialmente 12 13 IRRERA, op. cit., 307. IRRERA, op. cit., loc. ult. cit.. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 16 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL all'organo amministrativo, anche nel caso in cui i soci abbiano optato per i regimi alternativi di amministrazione congiunta o disgiunta" 14. 5.3. Consiglio di amministrazione con delega di potere gestorio. Un ulteriore rilevante interrogativo concerne la delegabilità della creazione degli assetti nel caso di previsione del Consiglio di Amministrazione e di utilizzazione della delega di potere gestorio. Con riferimento alla disciplina della società per azioni, l'art. 2381 c.c. sembra attribuire ex lege tale compito agli organi delegati. In dottrina sono state espresse opinioni differenti in ordine alla derogabilità di tali norme. Più precisamente il legislatore introduce una sorta di ripartizione verticale di competenze, conferendo ai delegati il compito di redigere gli assetti ed al consiglio quello di valutarli. Dubbio, come si diceva, è se tale ripartizione abbia carattere inderogabile oppure possa essere 15 modificata, escludendo dalla delega la predisposizione degli assetti . Anche gli Autori che ritengono inderogabile nell'ambito della s.p.a. la ripartizione verticale di competenza ammettono che tale conclusione non valga per la s.r.l., tenuto conto sia della mancanza di una norma parallela all'art. 2381 c.c., sia dell'ampia flessibilità della governance della stessa16. Pertanto la disciplina contenuta nell'art. 2381 c.c., anche qualora fosse letta nel senso della sua inderogabilità, non è di ostacolo ad una differente ripartizione dei compiti tra consiglio e delegati nell'ambito della s.r.l.. Recentemente, nello studio che si è già avuto occasione di richiamare dedicato alla delega gestoria nella s.r.l., si è affermato che la creazione degli assetti non può essere oggetto di delega nell'ambito delle s.r.l. e ciò soprattutto tenuto conto della circostanza che le decisioni relative alla creazione degli assetti possano essere attribuite ai soci. In particolare "la circostanza che per queste ultime decisioni sussista una condivisione (o compresenza) di competenza tra soci e amministratori induce ad escludere che le stesse possano essere passibili di ulteriore ripartizione interna, in seno 17 all'organo amministrativo" . A mio avviso, la tesi non può essere condivisa. In primo luogo, come si è cercato di dimostrare, si tratta di una competenza inderogabilmente propria dell'organo 14 IRRERA, op. cit., 305. Nel senso dell'inderogabilità v., per tutti, ampiamente IRRERA, op. cit., 216 ss.; nel senso della derogabilità v., per tutti, ABBADESSA, Profili topoci della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Campobasso, II, Torino, 2006, 493 ss. 16 IRRERA, op. cit., 303 s.. 17 CET RA, 1689. 15 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 17 STUDI E OPINIONI ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL amministrativo. Inoltre, anche qualora fosse conferibile alle decisioni dei soci o di singoli soci, non si vede come ciò comporti l'inammissibilità della delega. In effetti, se si tratta di attribuzione affidata dall' atto costitutivo delle decisioni dei soci o di singoli soci, viene meno la competenza del consiglio di amministrazione al proposito (salvo forse la delegabilità dell'attività istruttoria e di esecuzione in ordine a tale decisione). In caso contrario, sempre sul presupposto che si tratti di competenza attribuibile ai soci per decisione di singoli amministratori o di tanti quotisti che rappresentino un terzo del capitale sociale, mi pare che tale meccanismo di "ribaltamento" di singoli atti possa venire in considerazione sia in presenza di atti di competenza del consiglio, sia in presenza di atti conferiti agli organi delegati. Nell'un caso e nell'altro singoli amministratori o i soci che rappresentino la percentuale indicata potranno "bloccare" l'attività del consiglio o dei delegati e attribuire la decisione dell'atto ai soci. Infine, se la predisposizione degli assetti è delegabile dal consiglio nell'ambito della società per azioni (e anzi, secondo alcuni Autori, la delega è addirittura imposta dal legislatore) non si vede come tale regola non debba valere per la s.r.l.. In ogni caso, mancando una disciplina ad hoc, l'eventuale delega avente per oggetto la creazione degli assetti deve risultare da una deliberazione espressa del consiglio di amministrazione. 6. La valutazione e la vigilanza. Nel caso in cui la creazione degli assetti sia compito dei delegati, spetterà al consiglio la loro valutazione, così come previsto per la società per azioni dall'art. 2381 c.c.. Si è già rilevato che tale competenza può essere attribuita alla decisione dei soci e forse anche ad un singolo socio come diritto particolare, con conseguente responsabilità di questi ultimi, unitamente sempre a quella degli amministratori. Nel caso di s.r.l. che abbia nominato un sindaco unico o un collegio sindacale, in quanto sussistono i presupposti che ne rendono obbligatoria la previsione, spetterà a questi ultimi la vigilanza sugli assetti e sul loro adeguamento e ciò in ossequio all'art. 2403 c.c., applicabile alla s.r.l. in virtù del rinvio contenuto nell'art. 2477 c.c. alla disciplina dei sindaci di società per azioni. Più problematica è l'ipotesi in cui venga nominato un revisore. In tal caso non sussiste una norma parallela e forse la vigilanza può essere ritenuta circoscritta agli assetti contabili. L'organo o il soggetto di controllo nominato facoltativamente ha, ai sensi dell'art. 2477 c.c., i compiti attribuiti dall'atto costitutivo. Tra essi può essere compresa anche la vigilanza sugli assetti. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 18 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA: UN OSSIMORO O UN CONNUBIO INDISPENSABILE PER USCIRE DALLA CRISI? In controtendenza rispetto al crescente interesse per il tema della “responsabilità sociale dell’impresa”, in questo lavoro s’intende rivalutare il dovere di osservare la legge e dimostrare che per conciliare la tutela degli stakeholders con la massimizzazione del profitto è necessario non dimenticare l’insegnamento di Calamandrei: «nell’incertezza su quali siano le regole dell’etica muovere dall’etica del rispetto delle regole (giuridiche) segnerebbe sicuramente un forte progresso». A questa conclusione si è arrivati alla luce di un raffronto con il diritto inglese (che prevede il dovere degli amministratori di perseguire the success of the company) e statunitense (che vorrebbe rivalutare il duty of obedience). di MARINA SPIOTTA 1. Scelta dell'argomento. Non è facile parlare di RSI (acronimo di “Responsabilità sociale d’impresa”) o, per usare la terminologia anglosassone, di CSR (“Corporate Social Responsibility”)1. La prima difficoltà è rappresentata da una certa promiscuità di linguaggio2. 1 Una nota su questo tema è improponibile. Per una ricognizione bibliografica si rinvia ai seguenti volumi in lingua italiana che lo affrontano con maggior ampiezza di prospettive: AA.VV., Guida critica alla responsabilità sociale e al governo dell'impresa, a cura di L. Sacconi, Roma, 2005; AA.VV., La responsabilità dell'impresa - Per i trent'anni di Giurisprudenza Commerciale, Milano, 2006; La responsabilità sociale dell'impresa, a cura di G. Conte, Roma-Bari, 2008; E. BELLISARIO, La responsabilità sociale delle imprese fra autonomia e autorità privata, Torino, 2012. Per la letteratura straniera v. G. SPINDLER, Corporate Social Responsibility in der AG-Mythos oder Realität?, in Festschrift für Peter Hommelhoff, Köln, 2012, pp. 1133 ss.; L. NURIT-PONTIER, L’inscription statutaire, vecteur juridique de RSE?, in Rev. sociétés (Francia), 2013, p. 323; P. LE CANNU-B. DONDERO, Droit des societés, Paris 2013, n. 1256, p. 798 ss.; M. RUIZ MUÑOS, Un apunte critico sobre la Responsabilidad Social Corporativa, in Rds (Spagna), 2012, p. 155 ss.; P. FORSTMOSER, Corporate Responsibility and Reputation — zwei Schlüsselbegriffe an der Schnittstelle von Recht, Wirtschaft und Gesellschaft, in Unternehmen-Transaktion-Recht. Liber Amicorum für Rolf Watter, Zurich, 2008, p. 197 ss. 2 Per molti Autori i termini “impresa”, “etica” e “impresa socialmente responsabile” sono sinonimi; per altri "etica degli affari" non è sinonimo di "impresa etica" o “impresa socialmente responsabile”. L’etica è accostata all’impresa e al diritto talora come sostantivo, talaltra come IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 19 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA La definizione che ha riscosso più consensi è quella proposta dalla Commissione europea nel Libro Verde3 secondo la quale: «per RSI s'intende l'integrazione su base volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate4. Le imprese hanno un comportamento socialmente responsabile se decidono di andare oltre le prescrizioni minime e gli obblighi giuridici derivanti dai contratti collettivi per rispondere alle esigenze della società (…) Le pratiche che si ispirano al concetto di RSI non si sostituiscono all'azione dei pubblici poteri, ma possono contribuire a realizzare una serie di obiettivi che essi perseguono». Si potrebbe sinteticamente dire che questa teoria cerca di conciliare tre P (Profit, People, Planet) e di promuovere uno sviluppo sostenibile, che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità, per le generazioni future, di fare altrettanto. Le parole chiave5 sono “volontarietà” e “altruismo”: la prima allude al fatto che l’impresa socialmente responsabile decide spontaneamente di andare oltre le prescrizioni minime di legge e gli obblighi giuridici per contribuire al miglioramento della società civile e dell’ambiente; la seconda implica attenzione ai «portatori di interessi» (non di diritti). Non è filantropia o volontariato6 ma un modello di governance allargata a interessi extrasociali (dei dipendenti, fornitori, consumatori, finanziatori, della collettività in genere, dell’ambiente) che cerca di conciliare tra loro. La RSI è potenzialmente in grado di innestare una concorrenza virtuosa tra imprese ma anche una concorrenza sleale: si è infatti osservato7 che i codici etici, aggettivo. La dottrina ha anche giocato sull’ordine delle parole proponendo titoli d’effetto, originali e stimolanti: cfr. G. BOSI, Impresa etica, etica d’impresa e diritto societario, in Giur. comm., 2011, I, p. 124. Rimane in ogni caso una netta differenza concettuale con l’impresa “sociale” disciplinata dal d.lgs. n. 155 del 2006. 3 Libro Verde, «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese», Bruxelles, 18 luglio 2001, Com. (2001) 366, disponibile sul sito internet http://ec.europa.eu/employment_social/socdial/csr/greenpaper_it.pdf. 4 Nel testo inglese: «a concept whereby companies integrate social and environmental concerns in their business operations and in their interaction with their stakeholders on a voluntary basis». 5 Individuate da C. ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, in Giur. comm., 2011, I, p. 159. 6 L'integrazione della CSR nel business model implica una coerenza complessiva di scelte aziendali, anche non immediatamente percepibili dai consumatori (come l’impiego di tecniche produttive di minore impatto ambientale o di maggiore conforto per i lavoratori, ecc.). Inoltre mentre la logica della filantropia è quella della “concessione” o “compassione”, la RSI poggia sul principio della “pari dignità” di tutti i soggetti coinvolti. 7 S. ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, in Riv. dir. soc., 2008, p. 27. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 20 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA almeno laddove “promettono l’impossibile” (ossia l’equo contemperamento tra opposti interessi) andrebbero addirittura vietati perché idonei a trarre in inganno il pubblico e si risolverebbero in operazioni di puro marketing (“comprami e farai del bene”). Essa trova un «aggancio normativo»8 nell’art. 41 Cost. che contiene almeno due di quei caratteri che oggi sembrano costituire i "pilastri" dell'impresa socialmente responsabile, quando, dopo aver proclamato la libertà di iniziativa economica, precisa che «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», in tal modo delineando un modello d'impresa portatore di benessere per la comunità e rispettoso dei più elementari diritti della persona umana9. Ma l’utilità sociale è l’obiettivo o un limite10? Anche se, come dice Umberto Veronesi ispirandosi ad Aristotele, «l'etica, è meglio averla come guida che come freno», stando alla formulazione testuale dell’art. 41, la non contrarietà all'utilità sociale, alla dignità e alla sicurezza delle persone sembrerebbe un limite e non la ragion d'essere dell’attività imprenditoriale. 2. Segue: e del titolo. Ho posto sul tappeto una domanda e vorrei provare a rispondere. Prima facie, l’accostamento tra impresa ed etica (intesa come sinonimo di “morale”) potrebbe sembrare un ossimoro: si è soliti dire che "gli affari sono affari" e che nel mondo del commercio “tutto è lecito”. Il premio Nobel per l’economia Friedman affermava nel 1970 che «vi è una sola responsabilità sociale dell’impresa: aumentare i profitti»11. Ancora oggi i detrattori della RSI12 condividono la visione di detto studioso, il quale rigettò con forza la stakeholder 8 L’espressione è mutuata da G. DE FERRA, La responsabilità sociale dell'impresa, in Riv. soc., 2008, p. 355. 9 Il co. successivo dell’art. 41 rinvia ai programmi e ai controlli per indirizzare e coordinare a fini sociali l’attività economica, pubblica e privata. Si ricorda anche l’art. 4, 2° co., Cost.: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della Società». 10 Il dibattito è attuale, data la proposta (che deriva proprio da una lettura negativa, non da tutti condivisa) di modificare l’art. 41 Cost.: cfr. L. DELLI PRISCOLI, Il limite dell’utilità sociale nelle liberalizzazioni, in Giur. comm., 2014, I, pp. 352 ss.; A. SITZIA e D. SEGA, Le “dimensioni” della responsabilità sociale dell’impresa e le fonti di regolazione: questioni in materia di impresa, lavoro e sicurezza, in Dir. relaz. ind., 2011, pp. 673 ss. 11 M. FRIEDMAN, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, in New York Times Magazine (September 13, 1970), p. 126. 12 V. in particolare G. ROSSI, L’etica degli affari, in Riv. soc., 1992, p. 542; ID., Crisi del capitalismo e nuove regole, in Riv. soc., 2009, p. 929; ID., Il conflitto epidemico, Milano, 2003; ID., Il gioco delle regole, Milano, 2006, p. 43. Sulla stessa linea di pensiero, ma con riferimento IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 21 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA view sostenendo che «i managers sono agenti per conto terzi e dipendenti dei proprietari-azionisti, e che devono agire nell'interesse esclusivo di questi ultimi». Utilizzare il denaro dei soci per risolvere problemi sociali significherebbe – secondo una sua celebre e icastica affermazione - fare della beneficenza con i soldi degli altri, senza averne il permesso e senza dare un corrispondente servizio, violando il principio del «no taxation without representation». Se ben si riflette, però, ci si rende conto che i due termini accostati nel titolo non sono così antitetici e inconciliabili come potrebbe sembrare. Innanzitutto, la fiducia è sempre stata la linfa vitale dei mercati13 (percezione già chiara a Firenze nel 1200 con la rottura del banco del commerciante che la tradiva con la sua insolvenza) e tra fiducia ed etica c’è un rapporto stretto14. Lo stesso Milton Friedman, pur individuando la funzione dell'imprenditore in quella «to make as much money as possible»15, precisava che ciò deve avvenire «while conforming to the basic rules of the society, both those embodied in law and those embodied in ethical custom»16. A rigore, bisognerebbe altresì distinguere (rievocando il filosofo Hegel) tre sfere: la moralità, il diritto e l’eticità. La moralità ha come contenuto i valori personali, dettati dalla coscienza individuale; il diritto è costituito dalle norme che, se non rispettate, lo Stato sanziona con i propri tribunali; l’eticità è invece una fonte intermedia tra moralità e diritto: in essa i diritti/doveri non sono né liberamente scelti (come nella morale), né imposti (come nel diritto), ma condivisi in una relazione di intersoggettività. Spesso i valori etici diventano la forza propulsiva che spinge a creare le leggi17. ai mercati finanziari, v. S. SCOTTI CAMUZZI, Finanza etica ed etica della finanza. La "Responsabilità sociale dell'impresa" nel settore della finanza, in Jus, 2005, pp. 103 ss. Sottolineano l’insufficienza dell’approccio volontaristico anche L. GALLINO, L'impresa irresponsabile, Torino, 2005 e, limitatamente ai profili di politica ambientale, M. LIBERTINI, La responsabilità dell'impresa per l'ambiente, in La responsabilità dell'impresa - Per i trent'anni di Giurisprudenza Commerciale, Milano, 2006, pp. 199 ss. 13 Si è soliti dire, per stigmatizzare la “caduta di valori”, che la stretta di mano di una volta valeva più di un contratto di oggi. 14 Ben sottolineato da A. GAMBINO, Etica dell’impresa e codici di comportamento, in Riv. dir. comm., 2005, I, p. 890, il quale aggiunge che «la fiducia è fede che vieta di andare contra factum proprium, che corrisponde alle aspettative dell’altra parte e che si è tradotta, sul piano giuridico, nella clausola generale di buona fede». 15 Viene spontaneo ripensare a quanto Henry Ford dichiarava in un’intervista del 1919: «un’impresa che fa null’altro che soldi è un’impresa veramente modesta». 16 La citazione è tratta dall’intervento The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, in The New York Times Magazine, 13 settembre 1970. 17 V. infra il § 3. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 22 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA Ma allora quello tra impresa ed etica è un connubio indispensabile per uscire dalla crisi? Certamente una concausa importante della crisi finanziaria di questi anni è stata la mancanza di etica18 (che avrebbe caratterizzato il comportamento di molte imprese, banche, intermediari finanziari19) ed è proprio per effetto della crisi che si è riacceso il dibattito sull’etica (naturalmente, ça va sans dire, non basta parlarne per risolvere tutti i problemi). Ma l’interesse crescente per il tema della RSI si deve anche alla globalizzazione e alla conseguente delocalizzazione dell’attività produttiva. Si è giustamente rilevato20 che quando l’impresa era ben radicata nel territorio, con il quale sviluppava relazioni di natura non solo economica, ma anche sociale e culturale, l’imprenditore che si fosse “comportato male” si trovava a dover rispondere alla sua gente, la quale rappresentava anche il “mercato di sbocco” dei suoi prodotti (la RSI era in re ipsa). Oggi non è più così21: può ed è capitato22 che una multinazionale, pur rispettando la normativa di un paese in via di sviluppo dove ha delocalizzato la produzione, si ponga in contrasto con i valori etici del paese di origine (per es. in tema di lavoro minorile o inquinamento) e che, per mantenere il consenso dell’opinione pubblica, decida di adottare volontariamente comportamenti più restrittivi. L’input che spinge gli imprenditori a fare più di quello che “impone la legge” è spesso di tipo economico. Quello tra etica e impresa potrebbe allora essere metaforicamente descritto come un “matrimonio d’interesse” (e non solo fondato su ragioni di cuore)23. Uno studio 18 L'avidità dell'uomo per il denaro ha sempre rappresentato una componente distorsiva, tanto che gli stessi "padri del capitalismo", A. Smith e Keynes, erano consapevoli della necessità di porre un "freno" a questa indole umana. Così, G. ROSSI, Il conflitto epidemico, cit., p. 13. 19 A ciò occorre aggiungere le colpevoli omissioni di chi doveva vigilare. Con riferimento ai noti scandali Enron, Cirio, Parmalat, si è soliti dire che ben sette livelli di controllo non hanno funzionato alludendo a quello degli amministratori, dei sindaci, dei revisori, dei certificatori, delle banche, della Consob e della Banca d’Italia. 20 S. ZAMAGNI, La responsabilità sociale d’impresa come fenomeno emergente, in L’impresa di fronte alla polis, L’emergenza della responsabilità sociale d’impresa, a cura di Zamagni, Roma, 2007, p. 1. 21 Per rendere l’idea è sufficiente ricordare la bella metafora di Peter Drucker secondo cui mentre in passato le imprese erano assimilabili alle piramidi d’Egitto oggi sono come leggere tende piantate nel deserto che possono essere agevolmente spostate altrove. 22 Paradigmatico il caso “Nike”, costretta ad adeguare la sua politica di outsourcing a causa delle proteste delle associazioni dei consumatori per lo sfruttamento della manodopera minorile. 23 Parte della dottrina parla (usando un vero e proprio ossimoro) di «codici etici di convenienza»: v. F. DI SABATO, Profili giuridici dell’etica negli affari, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, p. 391. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 23 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA empirico24 ha, infatti, dimostrato che le imprese più attente ai temi della sostenibilità sono: premiate dalla Borsa con un valore di quotazione più alto; accrescono la loro reputazione e ciò agevola l’accreditamento sociale, abbatte i c.d. costi di transazione, rende più semplice il reclutamento di personale e ne migliora la redditività25. In sintesi, si è dimostrato (visione di Freeman26) che nel lungo periodo sarebbe impossibile raggiungere i profitti senza tener conto dei vari portatori di interesse27. 3. Temi più ampi. Prima di entrare in medias res, vorrei ancora precisare che non mi occuperò di temi che stanno “a monte” e che influenzano l’approccio alla RSI, la meditazione sui quali ci porterebbe troppo lontano. Li enuncio soltanto28: si pensi alla nota contrapposizione tra teoria contrattualista e teoria istituzionalistica dell’interesse sociale29; alla visione della società come “nexus of contracts”30 (o, volendo prediligere 24 Curato dall’Università Bocconi e reso noto all’inizio del 2005. Gli esiti di tale studio sono riferiti anche da G. CONTE, Codici etici e attività d’impresa nel nuovo spazio globale del mercato, in Contratto e impresa, 2006, pp. 138 ss. 25 Una società dotata di asilo nido, ne trarrà un vantaggio nel reclutamento di personale femminile. 26 Cfr. R. E. FREEMAN, Strategic Management. A stakeholder Approach, Boston, 1984. 27 Si pensi, in Italia, alla Olivetti. Cfr. L. GALLINO, L'impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti, Torino, 2001. 28 Rinviando ai numerosi contributi pubblicati che hanno ormai assunto dimensioni tali da rendere impossibile una ricognizione con qualche pretesa di completezza. 29 Vexata quaestio che autorevole dottrina ha cercato di ridimensionare: cfr. G. COTTINO, Contrattualismo e istituzionalismo (Variazioni sul tema da uno spunto di Giorgio Oppo), in Riv. soc., 2005, pp. 707 ss. e in Scritti in onore di V. Buonocore, III, 1, Milano, 2005, pp. 2225 ss. Anche per P. MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, I, p. 718, il dibattito «è stato storicamente viziato da un eccesso di ideologismo che ha offuscato a lungo la limpidezza dell’occhio del giurista preoccupato o di riaffermare l’istituzionalismo come supporto, a livello di teoria giuridica, di dottrine corporative, cristiano-sociali o neocapitalistiche, o di propugnare il contrattualismo, in dipendenza della propria adesione al pensiero o liberale o marxista». L’Autore è «convinto che la contrapposizione tra istituzionalismo e contrattualismo debba ritenersi superata e che debba oggi affermarsi una concezione dialettica — nel senso tecnico del termine — dell'interesse sociale come composizione tra interessi degli azionisti e interessi degli stakeholders» (P. MONTALENTI, Crisi finanziaria, struttura dell'impresa, corporate governance, ODC-Roma, 20 giugno 2009, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, 4. Sulla discussa nozione di interesse sociale v. infra il § 4.2. 30 La nexus of contracts theory, sviluppatasi nell'ambito dell'analisi economica del diritto, riconduce la società a una rete di accordi tra privati, il più importante dei quali sarebbe quello tra amministratori e soci contenuto nello statuto. Questa teoria è stata elaborata a partire dagli IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 24 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA una dizione più neutra, come “nexus for contracts”31) che ne mette in ombra la valenza istituzionale; al rapporto economia/etica32 e alla contaminazione etica/diritto. Su quest’ultimo aspetto, mi limito a richiamare l’attenzione sul conflitto che può nascere tra la certezza del diritto (che riguarda il comportamento esterno) e la mutevolezza dell'etica (che può essere laica, cattolica, protestante), tra la coercibilità del primo e l’incoercibilità della seconda. Si è soliti dire che il diritto è hard (dura lex sed lex) mentre l’etica è soft33. Ma anche in questo caso non bisogna enfatizzare le differenze: se, da un lato, non si può legiferare la morale34, dall’altro, non è detto che le istanze etiche non recepite in norme imperative siano destinate a restare scritte nel «libro dei sogni»35. Lo stesso diritto (e qui torniamo al pensiero di Hegel) dovrebbe aiutarci a distinguere il “bene” dal “male”, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto ed esercitare una sorta di “pressione psicologica” anche se «difficile da valutare, perché non ne siamo consapevoli» come non lo siamo dell’aria che respiriamo36. Si parla di un’innata moralità del diritto37, che deve codificare i valori socialmente condivisi38. Tanto è vero anni settanta da autorevoli studiosi (Alchian, Demsetz, Michael Jensen, William Meckling, Frank Easterbrook e Fisher), ma è contenuta in nuce già in uno scritto del 1937 di Ronald Coase, uno dei padri della law and economics. Si è obiettato che non tutti i rapporti facenti capo a una società sono riconducibili ad accordi (si pensi a quelli interni tra soci di maggioranza e di minoranza) e che la teoria neocontrattualista su cui si fonda il nexus of contracts non contribuisce a spiegare le cause dei frequenti fallimenti del mercato, il cui verificarsi dimostra che l'autonomia privata non è sufficiente a garantire l'efficienza, ma è necessario un parallelo intervento pubblico, fatto di norme imperative. Nella letteratura italiana v. MARCHETTI, La nexus of contracts theory. Teorie e visioni del diritto societario, Milano, 2000. In argomento v. anche G. ROSSI- A. STABILINI, Virtù del mercato e scetticismo delle regole: appunti a margine della riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, pp. 1 ss. 31 Questo sintagma sottolinea che la società, pur essendo parte contrattuale comune ai vari contratti (con i consumatori, i fornitori, i dipendenti, ecc.), è distinta rispetto alle persone fisiche. 32 A. SEN, Etica ed economia (trad. it. a cura di Maddaloni), Bari, 2002 (tit. orig. On Ethics and Economics, Oxford, Basil Blackwell, 1987). 33 V. ex multis F. BORGIA, La soft law come strumento di regolamentazione delle attività delle imprese multinazionali, in Dir. comm. internaz., 2010, pp. 309 ss. 34 L’etica (non consentendo soluzioni univoche) non può rappresentare la morte del diritto: così G. ROSSI, Nell’etica comode scappatoie, in Il Sole 24 Ore, 23 aprile 2005, p. 10. 35 L’espressione è di A. GAMBINO, op. cit., p. 887. 36 K. OLIVECRONA, Il diritto come fatto, (1939), trad. it., Milano, 1967, p. 68: cfr. anche G. BENEDETTI, Ancora in tema di diritto e morale, in Riv. internaz. di filosofia del diritto, 2012, p. 138. 37 Il dovere di obbedire alla legge, come scriveva Agostino nel De libero arbitrio, deriva dal «non esse lex quae iusta non fuerit». IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 25 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA che qualora l’applicazione pedissequa di una norma di legge porti a risultati inaccettabili (summum ius, summa inuria), lo stesso legislatore cerca di “correre ai ripari” in sede di interpretazione autentica39. Ovviamente, qualora la regola etica sia attratta e assorbita nel mondo del giuridico, cessa di essere tale. Vi è quindi un’osmosi40, che riflette l’interdipendenza pubblico/privato (art. 118, 4° co., Cost.)41. 4. Delimitazione dell’oggetto dell’indagine. Vorrei ora affrontare un discorso il più possibile tecnico-giuridico42, verificando, attraverso un’attenta ricognizione dei dati normativi (in primis, del codice civile), se e in che misura vi siano degli spazi per una gestione “eticamente orientata”. Queste le domande che occorre porsi: pur se auspicabile, è realistico immaginare che l'impresa si occupi di qualcosa di diverso dal suo core business? Agli amministratori si può chiedere di tener contro di interessi diversi da quelli dei soci che li hanno nominati (e che possono revocarli)? I managers sono ancora fiduciari degli azionisti o sono diventati dei “mediatori”? Devono perseguire l’interesse egoistico dei primi alla massimizzazione del profitto43 o il “bene comune”? L’«utilità sociale» (di cui parla l’art. 41 Cost.) ha sostituito «l’interesse unitario dell'economia nazionale» e «l’interesse della produzione [nazionale]» cui facevano 38 Sul rapporto tra imperativo morale e precetto normativo, e sul ruolo preminente dell’interpretazione nell’evitare incongruenze tra l’uno e l’altro, sono sempre attuali le pagine di T. ASCARELLI, Antigone e Porzia, in Problemi giuridici, Milano, 1959, I, pp. 11 ss. Più di recente V. SCALISI, Assiologia e teoria del diritto (Rileggendo Rodolfo De Stefano), in Riv. dir. civ., 2010, pp. 1 ss. 39 È accaduto recentemente sulla scia del Caso Merloni: sia consentito rinviare a M. SPIOTTA, L’incidenza del badwill nella determinazione del valore dell’azienda, in corso di pubblicazione su Giur. comm., 2014. 40 Posta in rilievo da F. CAFAGGI, La complementarietà tra responsabilità sociale e responsabilità giuridica d’impresa, in AA.VV., Guida critica alla responsabilità sociale e al governo d’impresa. Problemi, teorie e applicazioni della CSR, a cura di Sacconi, Roma, 2005, pp. 226 ss. 41 Per approfondimenti si rinvia a E. BELLISARIO, La responsabilità sociale delle imprese fra autonomia e autorità privata, Torino, 2012, passim. Una sintesi degli esiti di tale ricerca è pubblicata in Danno e responsab., 2013, pp. 809 ss. 42 Compito arduo, essendo «tutt’altro che agevole isolare gli aspetti tecnico-giuridici rispetto a quelli socio-economici, in senso lato etici»: C. ANGELICI, La società per azioni. I. Principi e problemi, in Tratt. Schlesinger, Milano, 2012, p. 434. 43 Spesso inteso come sinonimo di speculazione e quindi in un’accezione negativa. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 26 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA riferimento gli artt. 2085, 2089, 2091 e 2595 c.c. e al quale allude il vigente art. 2412, 6° co., c.c.? Il criterio dello shareholder value deve essere abbandonato in toto? Bonus e stock options sono da abolire, da imitare, o da affidare all'integrity dei managers? Come si vede, le domande sono tante, mentre – lo dico subito a mo’ disclaimer – le certezze sono poche. 4.1. Paragone con i doveri degli amministratori nel diritto inglese. Può essere utile muovere da un raffronto con la Sec. 172 del Companies Act 200644. La norma esordisce dicendo che l'amministratore «must act in a way that he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole», ma, nel farlo, deve avere riguardo: a) alle ipotizzabili conseguenze di ogni decisione nel lungo termine; b) agli interessi dei dipendenti; c) alla necessità di favorire le relazioni d'affari con fornitori, clienti e altri; d) all'impatto delle operazioni della società sulla comunità e sull'ambiente; e) alla “desiderabilità” della società di mantenere «a reputation for high standards of business conduct»; f) alla necessità di agire correttamente nei confronti dei soci. La successiva Sec. 175, nel sancire il dovere degli amministratori di evitare conflitti di interessi con particolare riferimento «allo sfruttamento di ogni proprietà, informazione o opportunità», specifica che «è irrilevante se la società possa trarne vantaggio». Il combinato disposto delle suddette norme attribuisce rilievo a interessi extrasociali, ma non conferisce agli stakeholders45 eventualmente pregiudicati la legittimazione ad agire in giudizio, né in via diretta né facendo ricorso alla derivative action. Ne consegue che la violazione di tali doveri è destinata a rimanere priva di sanzione, salvo ipotizzare un’eventuale coincidenza fra qualità di socio e titolare 44 Part 10, Chapter 2, Section 172. Su tale istruttivo raffronto v. anche V. CALANDRA BUONAURA, Responsabilità sociale dell’impresa e doveri degli amministratori, in Giur. comm., 2011, I, pp. 526 ss. e in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano 2011, pp. 257 ss.; G. DE FERRA, op. cit., p. 352; G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento dell’attività d’impresa, in Contratto e impresa, 2009, pp. 718 ss.; M. L. VITALI, I doveri degli amministratori e le protezioni degli azionisti alla luce del nuovo diritto societario inglese, in Riv. soc., 2008, p. 210; S. BRUNO, Profili del diritto societario inglese alla luce della riforma, in Riv. soc., 2004, pp. 898 ss. 45 Poiché i doveri previsti dalla Sec. 172 sono «enforceable in the same way as any other fiduciary duty owed to a company by its directors», soltanto i soci sono legittimati a farne valere il mancato rispetto. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 27 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA dell'interesse pregiudicato46 o un'improbabile47 iniziativa giudiziaria per contestare la mancata valutazione delle conseguenze di una certa scelta gestionale nel lungo termine. Alla luce di queste considerazioni, l'effettiva valenza giuridica della Sec. 172 consiste, non tanto nella previsione di un dovere, quanto piuttosto nel riconoscimento della legittimazione degli amministratori a farsi carico degli interessi degli stakeholders, seppure in una prospettiva ancorata alla promozione del successo della società a beneficio dei suoi membri. Se la conclusione è corretta, la ricaduta non sarebbe un aggravamento della responsabilità ma, al contrario, un’attenuazione della stessa, in quanto gli amministratori, responsabili verso molte categorie di soggetti, finirebbero48 per non dover rispondere ad alcuna di esse. 4.2. Ricognizione delle norme del diritto societario italiano. Nel nostro ordinamento giuridico manca una norma corrispondente nel senso che il codice civile sancisce doveri generici e specifici, ma non precisa quale interesse debbano perseguire gli amministratori di società. La lacuna è colmata dalla dottrina ponendo come obiettivo l'interesse sociale. Sennonché in questo modo il problema non è risolto ma spostato: cos’è, e cosa ricomprende, l’interesse sociale49? 46 Come nel caso in cui il socio sia anche componente della comunità che ha subito il danno provocato dalla decisione degli amministratori: es. la chiusura di uno stabilimento con le relative conseguenze occupazionali. 47 La difficoltà di assolvere l’onere probatorio è rimarcata da V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., pp. 542 ss. 48 Così come aveva intuito T. ASCARELLI, Tipologia delle società per azioni e disciplina giuridica, in Problemi giuridici, Milano, 1959, II, 1012, riguardo alla pretesa necessità di tutelare l’interesse dei soci futuri. 49 Il punto di intersezione della nozione di interesse sociale con la RSI è ben focalizzato da F. BORDIGA, Partecipazione degli investitori istituzionali alla s.p.a. e doveri fiduciari, in Riv. soc., 2013, p. 221, nota 44: «si tratta, (…), di ambiti autonomi anche se, in parte, intersecanti. Autonomi perché l'indagine sull'interesse sociale riguarda la ricostruzione degli obiettivi che devono essere perseguiti dagli organi della società affinché la loro attività possa ritenersi legittima; mentre quella sulla responsabilità sociale dell'impresa riguarda le regole e i principi di carattere etico-morale (…), il cui rispetto e la cui promozione, su base volontaria (…), è da considerarsi socialmente positiva. Mentre la prima nozione costituisce il criterio di giudizio del comportamento degli organi in sede di accertamento della loro responsabilità penale e civile (o in sede di accertamento della validità degli atti della società), il secondo rileva a livello reputazionale o ai fini dell'accesso a determinati benefici pubblici o a certificazioni di qualità (come, ad es., ISO 26000). I temi, tuttavia, si intersecano perché si discute se e fino a che punto IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 28 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA La risposta è tutt’altro che agevole50 dato che i soci, oltre a dividersi in attuali e futuri, non rappresentano più una categoria omogenea bensì disgregata essendo possibile emettere categorie di azioni (anche correlate a un certo settore di attività) e, se si tratta di start up, categorie di quote, nonché strumenti finanziari (che possono anche documentare la partecipazione ad un patrimonio destinato). Se dare una definizione univoca di “interesse sociale” è già difficile, conciliarlo con quelli extrasociali e questi ultimi tra loro diventa addirittura proibitivo, dato che spesso sono confliggenti (si pensi al caso ILVA di Taranto51). É ovvio che gli amministratori devono tutelare gli interessi degli stakeholders ogni qualvolta ciò sia utile per il perseguimento degli scopi, lucrativi o mutualistici, dei soci. Simmetricamente, i gestori verrebbero meno al loro dovere di diligenza se, per il fatto di trascurare interessi “diversi” da quelli degli shareholders, compromettessero ad esempio la reputazione della società e, indirettamente, gli interessi dei soci. Ma, al di fuori delle ipotesi appena descritte (che, a ben vedere, esulano dalla RSI, giacché la tutela degli altri interessi deriva dalle norme del diritto societario), chi gestisce un’impresa, non potendo accontentare tutti, sembrerebbe costretto a scegliere il “male minore”. Per capire quale sia, è sufficiente ricordare, in rapida sintesi, alcuni capisaldi del diritto societario italiano prendendo come riferimento le società di capitali. In particolare è noto che gli amministratori: a) almeno nella s.p.a., sono gli unici responsabili della gestione (lo si evince dal combinato disposto degli artt. 2380 bis e 2364, 1° co., n. 5 c.c.52): tale precisazione, le regole e i principi della CSR (in quanto volti alla tutela del c.d. sviluppo sostenibile) possano o (come sembra preferibile) debbano essere in qualche modo compresi nella nozione, vincolante, di interesse sociale». 50 La letteratura è molto ampia e prende le mosse dalla nota contrapposizione tra A. ASQUINI, I battelli del Reno, in Riv. soc., 1959, p. 618, a cui avviso l’interesse sociale dovrebbe tener conto della variabilità degli azionisti nel tempo e P. G. JAEGER, L’interesse sociale, Milano, 1964, pp. 92 ss. secondo il quale non vi può essere salvaguardia di un interesse autonomo dei soci futuri quando gli attuali hanno il potere assoluto di decidere “se” ve ne saranno (argomento in parte superato, per es. dall’art. 2443 c.c.). Più di recente v. P.G. JAEGER, L’interesse sociale rivisitato (quarant’anni dopo), in Giur. comm., 2000, I, pp. 795 ss.; AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano 2010; C. ANGELICI, L’interesse sociale tra contrattualismo e istituzionalismo, ODCRoma, 21-22 febbraio 2014, in www.orizzontideldirittocommerciale.it. 51 L’impresa può essere socialmente utile per i livelli occupazionali e lo sviluppo economico dell'area in cui opera e socialmente dannosa per la salute o per l'ambiente. 52 Per Cass., 24 maggio 2012, n. 8221, in Società, 2012, p. 835, costituisce giusta causa di revoca dell'amministratore di una s.p.a., agli effetti dell'art. 2383, 3° co., c.c., la sua adesione ad un patto parasociale che rimetta le scelte gestorie alla volontà maggioritaria dei relativi contraenti (c.d. sindacato di gestione). IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 29 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA se, da un lato, potrebbe anche essere letta come «un’attenuazione dei diritti proprietari dei soci», dall’altro, «non è idonea a legittimare il perseguimento di interessi diversi da quelli degli azionisti»53; b) godono di ampia autonomia ma hanno come limite l’oggetto sociale (tale riferimento non compare più nell’art. 2384, ma continua a figurare nell’art. 2380 bis 1° co., c.c. e pur essendo discussa la sua configurabilità come limite legale o statutario e il regime di opponibilità ai terzi54, è pacifico che la sua eventuale inosservanza espone gli amministratori a revoca e ad azioni risarcitorie) nel senso che devono fare tutto ciò che, direttamente o indirettamente55, ne consente il conseguimento, strumentale alla realizzazione del profitto, scopo-fine del contratto di società. La situazione, volendo continuare il raffronto comparatistico iniziato nel § 4.1, è molto diversa nella legislazione societaria britannica, giacché la Sec. 31.1 del Companies Act 2006 consente la costituzione di società con oggetto sociale “unrestricted”, cioè illimitato: “un esempio che”, rispondendo (con esclusivo riferimento al tema in esame) all’interrogativo posto in dottrina56, “non pare da imitare” dato che ha contribuito al tramonto della c.d. ultra vires doctrine e, in ultima analisi, alla sottovalutazione del duty of obedience, inteso come l’obbligo degli amministratori di una corporation for profit di rispettare le norme di legge e statutarie nello svolgimento dei propri compiti (v. infra il § 5); c) sono nominati dai soci, che possono anche revocarli ad nutum (art. 2383 c.c.) e quindi agiscono a proprio rischio se decidono di trascurare le richieste dei loro “elettori”; d) il loro compenso può essere incentivante, ossia parametrato agli utili della società (art. 2389 c.c.) e sono noti i pericoli di questa forma di retribuzione e delle stock options57 che potrebbero aumentare il c.d. moral hazard e favorire una short-term business. Viceversa, l’ordinamento tedesco sancisce il principio della correlazione della politica di remunerazione del Vorstand a una durevole crescita di valore dell'impresa nel lungo termine58; 53 V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 531. Per brevità sia consentito rinviare a M. SPIOTTA, Amministratori, in G. CAVALLI (a cura di), Assemblea e amministratori, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale. Collana fondata da W. Bigiavi, Torino, 2013, pp. 634 ss. 55 V. infra il § 4.3. 56 Da M. BIANCA, La società con oggetto sociale “unrestricted”: un esempio da imitare?, in Giur. comm., 2009, I, pp. 293 ss. V. inoltre P. MONTALENTI, Oggetto sociale e giurisprudenza comunitaria, in Riv. dir. comm., 2008, pp. 1 ss. 57 Nelle società con azioni quotate v. l’art. 114 bis t.u.f. 58 V. il § 87 AktG (Aktiengesetz). Sull’argomento si rinvia a G. B. PORTALE, Un nuovo capitolo del governo societario tedesco: l’adeguatezza del compenso dei Vorstandsmitglieder, in Riv. società, 2010, pp. 1 ss. e in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber Amicorum A. Piras, Torino, 2010, pp. 91 ss. 54 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 30 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA e) sono responsabili all’esterno solo se abbiano reso il patrimonio sociale insufficiente a pagare i creditori sociali (art. 2394 c.c.) o se con dolo o colpa abbiano direttamente danneggiato singoli soci/terzi (art. 2395 c.c.)59, mentre all’interno può essere loro contestata qualsiasi violazione degli obblighi legali e statutari; f) devono motivare la «convenienza per la società dell’operazione» eventualmente deliberata dal plenum con il voto determinante dell’amministratore portatore di un interesse (art. 2391 c.c.) e attestare che l’operazione (di assistenza finanziaria ai sensi dell’art. 2358, 5° co., c.c.) realizzi al meglio l’interesse della società. g) Last but not least, occorre considerare l’art. 2497 c.c. che attribuisce rilevanza all'interesse del socio «alla redditività e al valore della partecipazione sociale». Peraltro, la norma prevede la responsabilità della holding (e, in solido, di chi abbia preso parte al fatto lesivo o ne abbia tratto beneficio) solo quando il pregiudizio di tale interesse sia il risultato della «violazione di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale», il che «potrebbe comportare la rilevanza di interessi ulteriori a quelli rilevabili all'interno della società e quindi, in definitiva, a valori ed interessi che si pongono al suo esterno»60. Dalla rapida carrellata che precede, emerge un quadro normativo che «pone gli amministratori in una posizione in cui la piena soddisfazione degli interessi dei soci li mette al riparo sia dalla perdita dell'incarico, sia dalla responsabilità legale, mentre la soddisfazione dell'interesse di altri stakeholders, se entra in conflitto con la soddisfazione di quello dei soci, li espone, nella migliore delle ipotesi, a rischi e, nella peggiore, alla certezza di conseguenze negative». «In questa situazione» - si è cinicamente (rectius, realisticamente) osservato - «neppure a un Santo si può chiedere di tenere l'imparziale comportamento del puro mediatore»61. 4.3. Quali spazi per una gestione “eticamente orientata”? Dobbiamo allora rassegnarci a una “gestione machiavellica”? A mio modesto avviso, la risposta non dovrebbe essere così tranchante. Infatti, senza etica (e, prima ancora, senza il rispetto della legge: v. infra il § 5) tutto si ridurrebbe a un’analisi costi-benefici. L’impresa non può comportarsi come un’irriducibile “sociopatica”, sopra la legge e i valori socialmente condivisi perché, rievocando la risposta data dall'economista e imprenditore tedesco Walther Rathenau agli azionisti della Norddeutscher Lloyd, «non esiste per “distribuire dividendi, ma per far andare i battelli sul Reno”». 59 Non constano precedenti in cui tale azione sia stata esperita ad es. dai lavoratori direttamente danneggiati da dissennate politiche imprenditoriali. 60 C. ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, cit., p. 175. 61 F. DENOZZA, L’interesse della società e la responsabilità sociale dell’impresa, in Bancaria, 2005, p. 23. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 31 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA In una nota emblematicamente intitolata «Note minime divaganti e irriverenti su amministratori, “perizia”, tangenti e responsabilità» autorevole dottrina62 non ha potuto fare a meno di rimarcare come lo stesso tribunale di Milano, pur avendo emesso una sentenza di condanna, non sia rimasto insensibile alle argomentazioni della difesa, laddove, tra le righe della motivazione, addebita all’amministratore che aveva pagato tangenti il fatto di non aver offerto, a fronte del danno, la prova di eventuali “utilità riparatrici”. Siffatto modo di ragionare costituirebbe un’applicazione “distorta” della teoria dei vantaggi compensativi (art. 2497, 1° co., ultima parte, c.c.). “Distorta” perché (oltre a non tener conto dei valori reputazionali63 e delle asimmetrie informative64) svilisce il “principio di legalità”. Con maggior fermezza, nel risalente caso Roth v. Robertson del 1909 i dirigenti del parco di divertimenti di Coney Island furono considerati personalmente responsabili per aver comprato il silenzio onde evitare la condanna della società per aver violato le blue laws che proibivano lo svolgimento di attività commerciale di domenica. Il tribunale evidenziò senza esitazioni che il pagamento era illegale, immorale e arbitrario, a nulla rilevando che la violazione potesse aver consentito alla società di raggiungere un maggior profitto. Da allora, però, i tempi sono cambiati e anche negli Stati Uniti il duty of obedience, cioè il dovere di rispettare le norme di legge, è andato scemando tanto che la dottrina si sta adoperando perché non sia dimenticato (v. infra il § 5). Non solo. Mi pare che un’analisi più approfondita e “rimeditata” delle norme codicistiche consenta di ritagliare alcuni spazi per una gestione improntata all’etica, anche se bisognerà valutare i risvolti processuali di tale esegesi, ossia verificare in concreto se la 62 G. COTTINO, Nota a Trib. Milano, 29 maggio 2004, in Giur. it., 2004, p. 2338. Sull’argomento v. anche M. DE GIORGI, Se l’amministratore paga tangenti deve almeno spiegare a chi e perché. Altrimenti l’azione di mala gestio è inevitabile, Nota a Trib. Milano, 21 aprile 2005, in www.dirittoegiustizia.it del 28 maggio 2005. 63 Per utili spunti di riflessione v. G. ROMAGNOLI, Corporate governance, shareholders e stakeholders; interessi e valori reputazionali, in Giur. comm., 2002, I, pp. 351 ss. 64 Gli amministratori sanno prima dei soci se per es. uno stabilimento inquina l’ambiente o un macchinario è pericoloso per i dipendenti. Sarebbe quindi importante intervenire sul processo decisionale imponendo agli amministratori di rendere trasparenti le motivazioni assunte, sotto il profilo della considerazione prestata agli interessi degli stakeholders e della salvaguardia dell'interesse dei soci ad una crescita sostenibile del valore della società. Negli Stati Uniti parte della dottrina (HILL-MCDONNEL, Stone v. Ritter and the Expanding Duty of Loyalty, 76 Fordham I Rev., 2007, pp. 1769) ha cercato di spiegare il dovere degli amministratori di osservare la legge sul presupposto che molti azionisti, se debitamente informati, sceglierebbero la legalità anche a scapito del profitto della società. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 32 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA c.d. business judgment rule (id est, l’insindacabilità nel merito ma non del metodo delle scelte gestorie) possa valere anche per la “business ethics”. Il rischio da evitare è che il giudice imponga la sua morale ai soci, ossia dia libero ingresso a propri principi etici e morali65. Prescindo dal rispetto dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), che valgono per tutti i contratti66 (compresi quelli associativi) e che, essendo specificazioni degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 Cost. e assimilabili ai principi generali dell’ordinamento di cui all’art. 12 preleggi, si applicano anche quando la società ha genesi unilaterale67. Qui, infatti, siamo nella sfera del diritto cogente e non dell’etica (o della soft law). Neppure mi soffermo sul recentemente rivalutato principio di ragionevolezza68, la cui osservanza dovrebbe includere il corretto apprezzamento e contemperamento dei vari interessi coinvolti. Intendo invece riferirmi all’art. 2387 c.c.69 che consente allo statuto di «subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati», allo scopo - sottinteso - di affidare l'impresa a “persone eticamente corrette”, che abbiano un elevato senso del dovere e che non si facciano influenzare dal loro “tornaconto”. Se i soci decidono di muoversi in questa direzione, probabilmente, desiderano che l’impresa venga gestita in modo socialmente responsabile. Ragionando sul combinato disposto degli artt. 2387 e 2392 c.c. (ove si precisa che la soglia di diligenza esigibile dagli amministratori è quella professionale ed è commisurata al curriculum vitae) ci si potrebbe chiedere se da un manager scelto per la sua spiccata onorabilità sia lecito attendersi un comportamento irreprensibile e quindi se una gestione immorale possa giustificarne la revoca per giusta causa. 65 Per scongiurare questo pericolo bisognerebbe introdurre un sistema di disclosure sul processo decisionale in modo che il giudice possa verificare se gli amministratori abbiano attentamente soppesato tutti gli interessi in gioco. 66 Cfr. gli artt. 1337, 1338, 1366 e 1375 c.c. 67 F. DI SABATO, Il principio di correttezza nei rapporti societari, in ABBADESSA-PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G. F. Campobasso, I, Torino, 2006, pp. 133 ss. aveva proposto di aggiungere un apposito comma all’art. 2247 o un art. 2247 bis c.c. volto a precisare che «nei rapporti relativi alla società devono essere osservate le regole della correttezza». 68 A. NIGRO, Principio di ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2013, I, pp. 465 ss. 69 E, mutatis mutandis, all’art. 2409 duodecies, 6° co., c.c. nel sistema dualistico e all’art. 2409 octiesdecies, 2° co., c.c., nel sistema monistico. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 33 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA Si potrebbe altresì sostenere che il rispetto dei principi di «corretta amministrazione»70 (cfr. artt. 2381, 3° co., 2391 bis e 2403, 1° co., c.c.) presuppone scelte che si rivelino oculate nel lungo termine. Uno spunto in tal senso potrebbe essere offerto dall’art. 2381, 5° co., c.c. laddove pone a carico degli amministratori delegati l’obbligo di riferire al plenum «sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione» e dall’art. 149, lett. c-bis), t.u.f. che demanda al collegio sindacale il compito di vigilare anche «sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi»71. Ulteriori tracce della RSI potrebbero essere ravvisate nell’art. 2428, 2° co., c.c. ai sensi del quale gli amministratori di una s.p.a. – nella relazione che accompagna il progetto di bilancio – devono informare i soci sull'andamento e sul risultato della gestione, se necessario anche fornendo le «informazioni attinenti all'ambiente e al personale e nell’art. 2497 ter c.c., norma indicativa della volontà del legislatore di introdurre, nei processi decisionali di società appartenenti ad un gruppo, specifici adempimenti procedurali volti ad assicurare l’emersione di una pluralità di interessi. Vi sono poi numerosi articoli, dentro e fuori il codice civile, che rinviano ai principi della correttezza professionale o a regole contenute in codici etici (si pensi all’art. 2598, n. 372 e all’art. 6, 3° co., d.lgs. 231/200173). Ma anche a questo proposito non si possono fare di “tutte le erbe un fascio” occorrendo distinguere – anche al fine di poter avanzare una pretesa risarcitoria fondata sulla responsabilità da falso affidamento creata dai codici di best practice - in base al grado di dettaglio degli articoli74 e alla previsione di sanzioni e strumenti (come il bilancio sociale75) per verificare se “alle parole seguano i fatti”. Bisognerebbe altresì approfondire a chi (tra l’organo gestorio o l’assemblea) spetti la competenza circa l’adozione del codice etico e se la decisione 70 V. l’approfondito studio di M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005. 71 V. tra gli altri D. CATERINO, Autodisciplina societaria e doveri del collegio sindacale nella legge sul risparmio, in Banca borsa, 2008, I, pp. 473 ss.; R. ROSAPEPE, Corretta amministrazione, codici di comportamento ed informazione, in Riv. soc., 2008, p. 181. 72 Cfr. F. PHILIPP, I codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali sleali, in Giur. Comm., 2008, I, pp. 706 ss. 73 Tra i molti contributi v. S. LUCHENA, Codice etico e modelli organizzativo-sanzionatori nel d.lgs. 231/01: legittimità ed efficacia, in Giur. comm., 2011, I, pp. 245 ss. 74 Un conto sono affermazioni “che fanno fine ma non impegnano”; ben altro rilievo hanno vincoli precisi come la promessa di non sfruttare il lavoro minorile neppure dove è consentito dalla legge. 75 Integrazione del tradizionale bilancio di esercizio nel quale sono appostate voci particolari relative agli obiettivi etici. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 34 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA debba essere assunta all’unanimità o a maggioranza e, in quest’ultimo caso, quale sia l’incidenza sulla causa del contratto (prevista dall’art. 2247 c.c.) e sulla configurabilità di una atipica causa di recesso. Nuove interessanti prospettive potrebbero essere aperte, nella s.r.l., anche dall’art. 2468, 3° co., c.c. attribuendo come «particolare diritto riguardante l’amministrazione della società» quello di opporre un “veto” a scelte gestorie eticamente opinabili e potenzialmente pregiudizievoli per il perseguimento dell’oggetto sociale e, nella s.p.a., dai patrimoni/finanziamenti destinati «ad uno specifico affare», concetto che pare sufficientemente elastico da poter abbracciare anche un'iniziativa imprenditoriale «di particolare rilievo sociale»76. La tutela dei soci dovrebbe essere garantita dalla previsione, in deroga all’art. 2447 ter, 2° co., della competenza dell’assemblea straordinaria e dal diritto di recesso dei soci dissenzienti (art. 2437, 1° co., lett. a, c.c.), mentre quella dei creditori sociali sembra sufficientemente assicurata dal diritto di opposizione (art. 2447 quater, 2° co., c.c.). Per consentire a soggetti diversi dai soci di influire sull’assetto (e indirettamente sul modus operandi e sulle “priorità”) dell’organo gestorio si potrebbe riservare ai portatori di strumenti finanziari partecipativi (tra i quali si possono annoverare anche i dipendenti della società ai sensi dell’art. 2349, 2° co., c.c.) la nomina di un componente indipendente dell’organo di gestione (art. 2351, 5° co., c.c.) o prevedere particolari clausole statutarie che introducano meccanismi di nomina extrassembleare (art. 2368, 1° co., seconda parte, c.c.). Nella stessa ottica si potrebbe valorizzare l’art. 2449 c.c. che consente allo statuto di una s.p.a. chiusa di riservare allo Stato-socio la facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla partecipazione posseduta77 e il d.l. 21 del 2012, che gli riserva (anche quando non sia socio) poteri speciali nei settori di pubblica utilità78. Ulteriori spazi per favorire le “esternalità positive” (ma qui ritorniamo nella sfera del diritto e dell’osservanza degli obblighi legali, derivanti, oltre che dalla legge in senso formale, dallo statuto) potrebbero essere ricavati sfruttando l’autonomia statutaria e/o la libertà di contrattazione. Sotto il primo profilo, si potrebbero inserire nello statuto vincoli come la destinazione di una parte degli utili a scopi di pubblica utilità. La giurisprudenza, nei 76 Per uno spunto in tal senso v. G.C.M. RIVOLTA, Profili giuridici dell’impresa sociale, in Giur. comm., 2004, I, pp. 1161 ss. 77 V. ex multis C. PECORARO, Privatizzazione dei diritti speciali di controllo dello Stato e dell’Ente pubblico nelle s.p.a.: il nuovo art. 2449 c.c., in Riv. soc., 2009, p. 947. 78 Si rinvia a L. ARDIZZONE-M. VITALI, I poteri speciali dello Stato nei settori di pubblica utilità: il paradosso del socio senza azioni, in Giur. comm., 2013, I, p. 919. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 35 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA pochi precedenti editi79, sembrerebbe orientata ad ammettere tali clausole purché non siano incompatibili con lo scopo di lucro, desumibile dallo statuto nel suo complesso, e la prevista eterodestinazione degli utili sia funzionale a promuovere, anche indirettamente, l'immagine della società80. Siffatta esegesi, se, da un lato, potrebbe essere avallata dalla riduzione delle cause di nullità della società iscritta nel registro delle imprese (v. art. 2332, 1° co., c.c.) e dall’ampliamento dello spettro di applicazione dell’istituto della trasformazione (che ha reso meno netti i confini tra le società lucrative e il mondo del “no profit”), dall’altro, pare non perfettamente allineata con il più restrittivo orientamento in tema di compatibilità con l’oggetto sociale degli atti a titolo gratuito81 e solleva il delicato (e inesplorato) problema della tutela dei diritti della personalità all’interno dello schema azionario poiché «ci si potrebbe domandare se la maggioranza possa imporre le proprie preferenze, confessionali, politiche, culturali, sportive, ecc. ai consoci»82. E se la risposta dovesse essere negativa bisognerebbe almeno prevedere una causa di recesso statutaria che abbia come causale il “conflitto di coscienza” e – giova ricordarlo - recesso è non solo exit ma anche voice e quindi indirettamente uno strumento per influire sull’operato degli amministratori. 79 Sulla clausola di parziale eterodestinazione degli utili v. Trib. Perugia, 26 aprile 1993, in Giur. comm., 1995, II, p. 109, con nota di richiami e commento di L. STANGHELLINI. La sentenza è stata poi confermata da Cass., 11 dicembre 2000, n. 15599, in Giur. it., 2001, p. 1188, con nota di R. WEIGMANN; in Società, 2001, p. 675, con commento di G. CABRAS; in Foro it., 2001, I, p. 1932, con nota di L. NAZZICONE; in Vita not., 2001, p. 841, ove si afferma che la clausola di parziale destinazione degli utili in beneficienza «non incide sulla comunione di interessi creata dal contratto sociale e non è in contrasto, in linea di principio, con lo scopo lucrativo della società». In dottrina v. per tutti D. PREITE, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano, 1988, pp. 209 ss. Sul contiguo problema della compatibilità fra forma societaria e causa, totalmente o parzialmente, non lucrativa v. App. Milano, 21 settembre 1982, in Giur. comm., 1984, II, p. 94, con nota di G. MARASÀ, Causa lucrativa e clausole non lucrative. 80 Nella motivazione della sentenza n. 15599 del 2000 si legge che l’art. 2328, 1° co., n. 7, c.c. comprende «la possibilità di prevedere che parte degli utili sia destinata a scopi diversi, purché tale destinazione – per la sua entità o per altre ragioni – non venga a pregiudicare lo scopo lucrativo perseguito»; d’altro canto, se l’assemblea, decidendo in ordine alla distribuzione degli utili ex art. 2433 c.c., dovesse «arrecare sostanziale pregiudizio alla finalità lucrativa potrebbe profilarsi un vizio invalidante (abuso della maggioranza), relativo però non già alla clausola statutaria bensì alla specifica delibera che avesse disposto quello stanziamento». 81 Cfr. Cass., 21 luglio 2000, n. 9571, in Dir. fall., 2000, II, p. 1090. 82 Così R. WEIGMANN, Nota a Cass., 11 dicembre 2000, n. 15599, cit., p. 1189, Il tema è approfondito da G. VOLPE PUTZOLU, La tutela dell’associato in un sistema pluralistico, Milano, 1977. Sulla trasposizione dei diritti della personalità in capo ad enti collettivi si rinvia a A. ZOPPINI, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, I, pp. 874 ss. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 36 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA Ulteriori vincoli potrebbero essere pattuiti contrattualmente83 e rafforzati dalla previsione di rimedi giudiziari collettivi (art. 140 bis cod. cons.: c.d. class action). In ogni caso, come correttamente posto in rilievo da Angelici84, «o si nega ogni reale portata normativa di» testi legislativi come la Sec. 172 Companies Act 2006, «intendendoli allora come mera espressione di un'ipocrisia del legislatore, oppure si riconosce che la funzione della legge può essere anche diversa da quella di fondare pretese giudizialmente azionabili». Qui si torna al rapporto tra etica e diritto cui si è fatto un cenno nel § 3. 5. Conclusioni de iure condito… Senza sottovalutare l’importanza di questi temi e pur esprimendo il massimo apprezzamento per le imprese “socialmente responsabili”, ritengo, parafrasando Calamandrei, che «nell’incertezza su quali siano le regole dell’etica muovere dall’etica del rispetto delle regole (giuridiche) segnerebbe sicuramente un forte progresso»85. Bisogna però distinguere tra comportamento scorretto e astuzia/abilità negoziale, che è, e probabilmente sarà sempre, l’anima del commercio86. «Se le parti non fissano alcun correttivo, è perché si fidano l'una dell'altra e il giudice non può alterare l'equilibrio negoziale se non quando la fiducia riposta è violata in mala fede. (…) Ma se invece di una frode, le circostanze di fatto meramente 83 Tramite la contrattazione collettiva (facendo per es. in modo che all’imprenditore “convenga” destinare le arance in eccesso al terzo mondo, anziché smaltirle come rifiuti) o individuale (in caso di compravendita del pacchetto azionario di controllo si potrebbe vincolare l’acquirente a proseguire certi impegni socialmente rilevanti). Uno spunto in tal senso potrebbe essere offerto dall’art. 103, co. 3 bis., t.u.f., che disciplina gli obblighi di informazione sui riflessi dell’occupazione in caso di offerta pubblica di acquisto. 84 C. ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, cit., p. 169. 85 Nello stesso senso v. P. MONTALENTI, La responsabilità degli amministratori nell’impresa globalizzata, in Giur. comm., 2005, I, p. 436; ID., Il diritto commerciale dalla separazione dei codici alla globalizzazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, p. 379. Propende per una conclusione da lui stesso definita «minimalista» anche V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 548. V. anche V. BUONOCORE, Etica dell'imprenditore e abuso del diritto: a proposito dell'attualità di un libro edito sessant'anni fa, in Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, IV, pp. 19 ss.; ID., La responsabilità dell’impresa tra libertà e vincoli, in AA.VV., La responsabilità dell’impresa, Milano, 2006; ID., Etica degli affari e impresa etica, in Giur. comm., 2004, I, pp. 181 ss. 86 Si ricorda, a dimostrazione che il problema in esame è risalente, il caso prospettato da Cicerone (e riferito da P. GALLO, Buona fede contrattuale e trasformazioni del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 243) di un mercante di grano giunto a Rodi dopo lunga carestia e al corrente che molte altre navi cariche di grano stavano per arrivare: è legittimo tacere al fine di ottenere un corrispettivo maggiore? IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 37 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA manifestano "abilità negoziale" di una parte, allora è da escludersi che il giudice possa prestare soccorso alla parte più sciatta nelle trattative»87. Lo stesso legislatore lascia spazio all’astuzia e a operazioni difficilmente conciliabili con una “concezione etica degli affari”88 e a volte sembra “tendere dei tranelli” laddove ammette il meccanismo della pubblicità sanante, del silenzio-assenso, la sanatoria della nullità (vizio che, di regola, non è più imprescrittibile)89, l’estinzione della società per effetto della semplice cancellazione dal registro delle imprese, la clausola simul stabunt simul cadent spesso utilizzata per liberarsi di un consigliere scomodo. Inoltre, certe novità introdotte dalla riforma societaria paiono aver (inconsapevolmente) stimolato comportamenti alquanto discutibili come la trasformazione “difensiva” della s.p.a. in s.r.l. per paralizzare la denuncia ex art. 2409 c.c.90 o l’operazione inversa per vanificare l’ampio e apparentemente illimitato diritto di informazione e controllo riconosciuto dall’art. 2476, 2° co., c.c. al socio-non amministratore di s.r.l.91. 87 N. DE LUCA, Validità delle clausole di trascinamento (“Drag-along”), in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, pp. 183-185. 88 Si pensi alla traslazione del costo dell'acquisizione sul patrimonio della società acquisita (in argomento C. CINCOTTI, Merger leveraged buy-out, sostenibilità dell’indebitamento e interessi tutelati dall’ordinamento, in Riv. soc., 2011, pp. 634 ss.) e soprattutto alla recente legittimazione delle società costituite con un solo euro di capitale, scelta legislativa «che si pone (…) in stridente contrasto con la massiva predicazione che della "responsabilità sociale dell'impresa" fanno le stesse imprese, ammantandosi di prestare alta considerazione agli interessi esterni, promuovendo, a ogni piè sospinto, la tutela degli sbandierati stakeholders, al punto da generare il sospetto che il rilevato contrasto sia solo apparente, tali "litanie" caratterizzandosi, evidentemente, per il medesimo tasso di sincerità che ha guidato il legislatore italiano nell'architettura di un modello di società che di capitalistico porterà soltanto il nome» (così C. AMATUCCI, Ancora un capitale per la s.r.l.? Sincerità del legislatore tra tutela dei creditori e “rarefazione” dei conferimenti, in Riv. soc., 2004, p. 1481). 89 Come posto in rilievo da E. GLIOZZI, Le condonabili deroghe a norme inderogabili nel nuovo diritto societario, in Giur. comm., 2004, I, pp. 16 ss. un’eventuale deliberazione assembleare di esonero dei gestori da ogni responsabilità civile per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale sarebbe certamente nulla per illiceità dell’oggetto ma, verosimilmente, potrebbe essere sanata per decorso del termine triennale (arg. desunto dagli artt. 2379 e 2479 ter c.c.). Le uniche delibere che possono essere impugnate sine die sono quelle che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. 90 Trib. Ascoli Piceno, 1° marzo 2013, in Giur. it., 2013, p. 1568, con nota di M. SPIOTTA, “Ravvedimento operoso” o trasformazione “con destrezza”?. 91 Trib. Venezia, 15 settembre 2012 e Trib. Catanzaro, 26 febbraio 2014, entrambe in www.ilcaso.it. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 38 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA Ma per evitare simili “manovre”, ai limiti della frode alla legge, e garantire in primis il rispetto delle minoranze, sarebbe sufficiente osservare la legge “nella lettera e nello spirito”, senza cercare modi e strumenti per eluderla impunemente92. È alquanto istruttivo, e deve farci riflettere, la circostanza che nell’ordinamento statunitense i giuristi stiano rivalutando, nel campo delle business corporation for profit, accanto agli obblighi, di origine morale e sociale, di diligenza (duty of care) e di fedeltà/lealtà (duty of loyalty), il duty of obedience (oggi implicitamente contenuto nel dovere di buona fede93), ossia il dovere degli amministratori di osservare la legge, quasi a voler porre un argine all’ “ossessione” per la massimizzazione del profitto. Si sottolinea che un siffatto dovere di obbedienza alla legge offrirebbe alla giurisprudenza del Delaware94 un parametro oggettivo di giudizio. In un suo recente lavoro Palmiter95 auspica il superamento della regola secondo la quale non comporta responsabilità degli amministratori verso la società l’aver agito in violazione del principio di legalità, sempreché il comportamento sia stato tenuto in good faith e per realizzare l’interesse della società. In Italia, dove il dovere di rispettare la legge è già codificato (v. gli artt. 2260, 2° co., 2392 e 2476 c.c.) e il solo parlarne potrebbe sembrare la scoperta “dell’acqua calda”, bisognerebbe forse non darlo troppo per scontato. I precetti “legali” sono tendenzialmente attenti a tutti gli interessi delle diverse categorie di stakeholders, ragion per cui il loro rispetto dovrebbe già consentire di accrescere il “welfare aggregato” di coloro a vario titolo coinvolti nell’attività d’impresa (soci, lavoratori, fornitori, clienti, ecc.) e, in ultima analisi, di accreditare la società commerciale come “istituzione sociale”. Il rispetto della legge non può essere sacrificato sull’altare del perseguimento della massimizzazione del profitto. Finché non ci sarà questo “cambiamento di mentalità” degli operatori del settore (al quale può senza dubbio contribuire la giurisprudenza attraverso un accorto uso di formule come “frode alla legge”, “eccesso 92 V. BUONOCORE, Postfazione sull'etica degli affari e sull'impresa etica a L'impresa, nel Trattato Buonocore, I, 2.1, Torino, 2002, pp. 597 ss., rileva come nel nostro ordinamento «gli abusi nel mondo societario sono privi il più delle volte di rilevanza (...) e sono compiuti attraverso comportamenti formalmente ossequiosi della norma giuridica ma sostanzialmente lesivi degli interessi di coloro che sono fuori dal governo dell'impresa». Del resto, nessuna legge può essere tanto perfetta da prevenire comportamenti elusivi che soltanto l’etica professionale sembra in grado di scongiurare in via definitiva. 93 A. MORINI, «Good Faith», buona fede: verso “nuovi doveri” degli amministratori di s.p.a.?, in RDS, 2011, pp. 1048 ss., ove ulteriori riferimenti 94 Che costituisce in materia societaria il benchmark di riferimento del complesso degli ordinamenti statali americani. 95 PALMITER, Duty of obedience: the forgotten duty of U.S. Corporate Law, in RDS, 2013, pp. 436 ss. L’articolo è preceduto da A. MAZZONI, Introduzione a Alan R. Palmiter, Duty of obedience: the forgotten duty of U.S. Corporate Law, in RDS, 2013, pp. 434 ss. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 39 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA di potere”, “abuso del diritto”, “difetto di causa in concreto”) parlare di un “andare oltre le prescrizioni minime e gli obblighi giuridici” potrebbe sembrare “prematuro” e frutto di un approccio “moralistico”. 5.1. Segue: …e prospettive de iure condendo. De iure condendo, gli incentivi spontanei del mercato96 (che presuppongono l’impegno di tutti noi “consumatori-cittadini”) dovrebbero essere rafforzati da incentivi legali (es. premi fiscali alle imprese che presentino i migliori bilanci sociali97) e magari anche dall’introduzione di un divieto generalizzato di approfittare, in danno degli stakeholders, di situazioni riconducibili a fenomeni classificati come fallimenti del mercato98. Si otterrebbe così la “quadratura del cerchio”, giacché, senza incidere sul carattere volontario della RSI, si recupererebbe la funzione dello Stato99 e l’interrelazione etica-diritto100. Nel frattempo, non resta che raccogliere l’invito di Friedrich Dürrenmatt101 a cui avviso in un contesto in cui non occorre che un giudice sia giusto, così come non occorre che un papa sia credente, compito del giurista pare essere diventato quello di ristabilire quanto meno un’idea plausibile di Giustizia, affinché non diventi una farsa totale. 96 Basti pensare che il c.d. boicottaggio dei consumatori presuppone la disponibilità di costoro ad attribuire maggiore importanza a come quel bene sia stato prodotto che non al suo costo. 97 M. LIBERTINI, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa, in Riv. soc., 2009, pp. 1 ss.; ID., La comunicazione pubblicitaria e l’azione delle imprese per il miglioramento ambientale, in Giur. comm., 2012, I, pp. 331 ss.; ID., Economia sociale di mercato e responsabilità sociale dell’impresa, in La responsabilità sociale dell’impresa – In ricordo di Giuseppe Auletta, a cura di Di Cataldo e Sanfilippo, Torino, 2013, pp. 26 ss. 98 Questa la proposta di F. DENOZZA, Responsabilità dell'impresa e “contratto sociale”: una critica, in Diritto, mercato ed etica dopo la crisi. Omaggio a Piergaetano Marchetti, a cura di Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2010, p. 287. 99 Tutti concordano sulle imperfezioni del mercato e sul fatto che da un'azione unicamente ispirata alla massimizzazione del profitto possano derivare inefficienze e ingiustizie, ma alcuni ritengono che l’intervento correttivo sia prerogativa dello Stato e che sarebbe arbitrario affidare tale compito ai managers dell'impresa. Ma questa è una questione di “politica legislativa”, che meriterebbe una trattazione a parte. 100 Se è vero che le leggi non possono cambiare immediatamente i sentimenti, è altrettanto vero che i cambiamenti di condotta (imposti dalle leggi) sono i più efficaci induttori di cambiamenti nei sentimenti e nei pensieri. Cfr. H. BALL, G. SIMPSON, K. IKEDA, Law and Social Change: Sumner Reconsidered, in American Journal of Socilology, 67 (1962), p. 532. 101 Formulato nel romanzo Giustizia, trad. it. di G. Agabio, Milano, 2005. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 40 STUDI E OPINIONI IMPRESA ED ETICA Anche lo studioso del diritto commerciale102 può diventare un interlocutore nel dibattito sulla RSI e dare (come si è cercato di fare in questo lavoro) il suo piccolo contributo, anche se è inevitabilmente portato a ragionare “in termini giuspositivistici”. 102 E di altre discipline: v. ad es. M. FERRARESI, La responsabilità sociale delle imprese: il ruolo del diritto del lavoro, in Dir. relaz. industriali, 2004, pp. 391 ss. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 41 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALI E LA SUA LOGICA DI ATTIVAZIONE Lo scritto si sofferma sul tema della capitalizzazione dei costi pluriennali, individuandone le premesse dottrinali, l'ambito di applicazione, i presupposti, le modalità ed i riferimenti normativi. di UMBERTO BOCCHINO 1. Premessa Prima di sviluppare il concetto di capitalizzazione occorre precedere qualsiasi riflessione con alcuni presupposti sui quali il processo di capitalizzazione si fonda. a) Continuità della gestione: la gestione d’impresa identifica un continuo di processi aziendali che non s’interrompono mai nel corso della vita d’impresa, né nei momenti di salute dell’impresa né in quelli di criticità. Il concetto di continuità d’impresa non può essere riferito ad aspetti meramente giuridici, bensì ad aspetti economico aziendali di sussistenza dei requisiti minimi di vitalità d’impresa: prodotti realizzabili e vendibili, fornitori che mantengono i loro rapporti, clienti che permangono 1 sono le prove dell’esistenza dei requisiti di continuità ; condizione che può venire meno se contestualmente alla presenza di tali presupposti vi è illiquidità o incapacità di 1 Peraltro troppo spesso si fa risalire la presenza della continuità di gestione ad aspetti quantitativi riferiti al capitale. Questa logica è scientificamente errata in quanto si basa su un fraintendimento di fondo, ovvero la complementarietà tra gestione e capitale condizione che tuttavia non avvalora la relazione che il secondo giustifica la presenza della prima, seppure entrambi mostrano una diversa rappresentazione del divenire aziendale. La gestione, infatti, esprime l’azienda nel suo aspetto dinamico con riferimento al divenire delle variegate operazioni che lo compongono. Il capitale espone la medesima combinazione con riferimento ad un istante ben individuato del suo divenire: non per nulla lo Stato Patrimoniale è redatto al “ ……” e non è lo Stato Patrimoniale del “ ……”. Il capitale identifica lo stato quali-quantitativo complessivo degli elementi attivi e passivi disponibili ma soprattutto funzionali alla gestione futura. Il reddito, che è sempre un valore astratto, dimostra il divenire del capitale in un dato intervallo di tempo a causa delle scelte della gestione. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 42 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE adempiere alle proprie obbligazioni. In presenza dunque dei suaccennati requisiti vi è continuità d’impresa. Continuità d’impresa significa anche presenza della vita aziendale, rilevabile con la contabilità che riassume il susseguirsi dei processi aziendali. Se la vita dell’impresa è un continuo significa che la rilevazione ed il Bilancio di Esercizio, quale momento di valutazione di sintesi dei momenti di vita dell’impresa, identifica un’azione forzata di interruzione di questa continuità. E’ pertanto in nome della nostra esigenza di conoscenza, di apprendere risultati parziali, che si limita (questo sì) artificiosamente il fenomeno aziendale, riconducendolo ad innaturali segmentazioni temporali che, in realtà, sono estranee ad esso e che sono comunque da ritenersi corrette sempre, quanto meno nei casi estimativi non vietati dalla legge. In questo ambito si riscontra il valore ed il ruolo prospettico del Bilancio, rispetto all’unica mansione (da troppi riconosciuta) di rendiconto consuntivo. In altre parole il bilancio rende intermittente una gestione continua, senza interrompere però il legame con il passato ed il futuro. Questo legame tra passato, presente e futuro è garantito dallo Stato Patrimoniale, componente del Bilancio che viene riaperta nei suoi conti, proprio per consentire il legame con la gestione che continua dal 31 dicembre al 1 gennaio dell’anno successivo. M entre il Conto Economico esaurisce la sua funzione con la chiusura dei conti, quale momento che “tira le somme” sulla bontà economica della gestione: ovvero temporanea capacità di produrre reddito positivo (utile) o temporanea capacità di produrre reddito negativo (perdite). Tutti i fattori produttivi che possono avere una qualche utilità o legame con il futuro trovano allocazione nello Stato Patrimoniale, gli altri si collocano nel Conto Economico. Per questa ragione si suole anche dire che il capitale (quale espressione di “essenza” dello Stato Patrimoniale) concorre a delineare, in maniera sintetica, l’attitudine dei valori dell’investimento aziendale a concorrere in un qualche modo alla generazione dei potenziali redditi futuri quali conseguenza dei flussi di ricavo futuro. b) Natura dei componenti positivi e negativi di reddito: La scarsa conoscenza dei fondamentali della Dottrina Economico Aziendale Italiana (molto più severa di quella riferibile ai principi contabili internazionali) fa si che si sia creato, ed ormai da tempo, un profondo fraintendimento circa la natura dei conti e quindi della loro allocazione a bilancio. Per fare chiarezza occorre dunque precisare quanto segue: i conti che rappresentano fatti amministrativi osservati dal punto di vista monetario finanziario, quindi gli incassi, i pagamenti, il sorgere o estinzione di debiti e di crediti, non possono che essere allocati nello Stato Patrimoniale. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 43 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE Al contrario, invece, tutti i conti che rappresentano fatti amministrativi osservati dal punto di vista economico, quindi i costi (pluriennali e non) ed i ricavi, hanno potenzialmente la condizione di essere iscritti nello Stato Patrimoniale, seppure la loro natura li fa iscrivere in prima battuta nel Conto Economico. La riflessione è facilmente dimostrabile, soprattutto ponendo l’attenzione sui componenti negativi di reddito, ovvero sui costi. Nell’immaginario collettivo, di chi ha poca dimestichezza dei “fondamentali” sopra richiamati, prevale infatti il convincimento che (per fare alcuni esempi) materie prime, energia elettrica, costo del personale, riscaldamento, spese telefoniche, compensi, spese di consulenza ed altri ancora, siano sintesi di fatti amministrativi ascrivibili solo al Conto Economico, quando tutto ciò non è assolutamente vero. Le materie prime, così come le merci, transitano infatti dal Conto Economico, ma possono andare a Stato Patrimoniale senza inficiare la bontà del Bilancio. Tutto ciò avviene ogni qualvolta le materie prime, o le merci - non utilizzate completamente nell’esercizio (che si ricorda è una parte ideale di una gestione continua) perché non hanno generato ricavi, o possono generare ricavi nel futuro, o sono correlabili a sperati ricavi futuri - sono rinviate al futuro grazie al processo di valutazione del magazzino, processo inventariale, ma soprattutto contabile, che storna dal Conto Economico questi componenti negativi di reddito per rinviarli al futuro appunto “accendendo” il conto del magazzino. Il Conto M agazzino, una volta riaperto nell’esercizio successivo, farà confluire nell’esercizio successivo ciò che è di competenza del medesimo, e così via seguendo nei successivi. L’energia elettrica, le spese di riscaldamento, il costo del personale, le spese di consulenza e tanto altro ancora, se considerabili quali fattori produttivi utilizzati in parte per generare ricavi nell’esercizio ed in parte nell’esercizio successivo, perché a cavallo dei due (o di più esercizi) confluiscono nello Stato Patrimoniale grazie ai processi di rinvio al futuro “accendendo” il conto dei Risconti Attivi (vale anche per i Ricavi, con la voce Risconti Passivi) che si trova proprio nello Stato Patrimoniale; riaprendo il conto Risconti Attivi si farà confluire quanto relativo all’esercizio successivo, o ai successivi, nel Conto Economico: non per nulla esistono i Risconti Attivi pluriennali; un tipico esempio sono gli interessi passivi rilevati nell’esercizio di acquisizione di un cespite con il patto di riservato dominio, come nel caso dei finanziamenti da Legge Sabatini. Un bene strumentale come un macchinario o un impianto identifica un componente negativo di reddito, ovvero un fattore produttivo che sì, per sua natura immodificabile (concetto che vale solo per i cespiti materiali), può solo essere iscritto nello Stato Patrimoniale, seppure la sua presenza a Conto Economico permane. Infatti grazie al processo di ammortamento vi è l’iscrizione di una quota di costo a Conto Economico e al contempo una riduzione di valore all’attivo, così confermando il legame che il Bilancio non nega, tra un esercizio e l’altro quale componenti inscindibili di una gestione continua. Da ultimo l’energia elettrica, le spese di riscaldamento, il costo del IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 44 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE personale, le spese di consulenza e tanti altri ancora (ovvero tutti quei conti che parrebbero ad una prima lettura iscrivibili solo a Conto Economico), qualora siano impiegati nell’esercizio per generare utilità future, sono assolutamente iscrivibili, seppure rilevati in prima battuta dalla contabilità nei conti di Conto Economico, nello Stato Patrimoniale grazie al processo di capitalizzazione dei costi. Come si può dunque evincere esistono molteplici tipologie di processi contabili che consentono di allocare qualsiasi tipo di componente di reddito (negativo soprattutto, ma anche positivo) nello Stato Patrimoniale; mentre ciò non può mai accadere per le poste numerarie-monetarie. Questi processi sono: a) Storno distinto ed indistinto di costi e di ricavi; b) Rinvio ad esercizi futuri attraverso la tecnica dei risconti (in verità vi è anche il processo di imputazione dal futuro all’esercizio precedente tramite il processo di accensione dei ratei); c) Il processo di ammortamento adottato per le immobilizzazioni materiali e quelle immateriali (immobilizzazioni che si ricorda identificano comunque componenti negativi di reddito); d) Il processo di capitalizzazione. Tutti questi processi, seppure diversi tra loro, hanno in comune un aspetto: quello del rinvio al futuro di uno o più componenti negativi di reddito, ossia di costi. Ciò non accade per caso, ed i motivi sono quelli qui di seguito descritti e che hanno conferma nella consolidata e condivisa Dottrina Economico Aziendale. Se è vero, e vero è, che capitale e gestione hanno la natura in precedenza illustrata è perché nella massa dei costi e dei ricavi di un’impresa è indispensabile individuare quelli che in via soggettiva sono reputabili pertinenti, perché competenti, al periodo di gestione osservato solitamente coincidente con l’esercizio, anche corrispondente all’anno solare. Ciò che l’estensore del Bilancio deve porre in essere, in una sorta di “confezione sartoriale” è riflettere sulla natura ma soprattutto sulla funzione di tali componenti economici, in particolare su quelli di costo; in quanto più complessi e variegati rispetto ai ricavi. Questo processo di valutazione è fondamentale per arrivare a individuare un criterio soddisfacente a cui riferirsi, per la realtà effettuale di quella particolare impresa, nel porre in essere la citata discriminazione spazio-temporale. La “logica funzionale”, più di ogni altra, può fornire validi e condivisibili spunti di riflessione in particolare proprio con riferimento alle componenti economico IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 45 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE negative, cioè ai costi2. Questo perché i costi nascono tutti come operazione di investimento e come tali essi rappresentano il valore, nel caso di specie la potenzialità economica, dei vari fattori produttivi; valore che è misurato dal sacrificio monetario che un’impresa sopporta per garantirne i servizi e le utilità future. Questo aspetto funzionale, che emerge in alcune condizioni, nei costi appare ancor più quando “si cessa di considerare i costi come cifre aritmetiche che esprimono un valore e si dirige invece gli sforzi alla scoperta di ciò che è realmente dietro a queste cifre e che partecipa al 3 processo produttivo”; in altre parole occorre andare oltre le apparenze . Sulla base di questa corretta logica di pensiero si sposta dunque l’attenzione dal profilo formale a quello più direttamente funzionale (che è poi anche il dettato logico di tutta la nuova normativa bilancistica nazionale ed internazionale basata sulla prevalenza della sostanza sulla forma), così fondando il consenso (o meno) sul motivo sostanziale che spinge un’azienda a sostenere dei costi (anche nella forma di costi aggiuntivi o di rinuncia di ricavi). Ciò che dovrebbe interessare a chi valuta la bontà dei bilanci non è tanto la disponibilità dei fattori produttivi, cioè dei costi, quanto il flusso potenziale (e poi effettivo) di benefici che tali fattori sono in grado di rilasciare in futuro: in questo algoritmo estimativo stanno le ragioni del rinvio al futuro dei costi e quindi anche del processo di capitalizzazione. Ciò significa anche asserire che il momento di reale manifestazione economica non si ha all’atto del sorgere del costo, bensì con l’impiego ma soprattutto con le utilità future. 2. I costi sospesi. Esistono dunque componenti negativi di reddito (quindi costi) che, sebbene abbiano avuto manifestazione nel corso dell’esercizio, non sarebbe corretto considerarli nel computo del calcolo dell’economicità della gestione in quell’intervallo: avranno cioè incidenza economica postergata nel futuro. Sono cioè costi da sospendersi, ovvero il cui peso economico sarà “funzionale” alla definizione del reddito di uno o più periodi successivi a quello della manifestazione numeraria o monetaria, in quanto “agente generatore o sostenitore” dei flussi di ricavo futuri. I costi per i quali è possibile riscontrare tale ruolo devono essere sospesi – e non possono essere lasciati nell’esercizio di manifestazione – tramite la tecnica del rinvio pro quota, identificabile nei risconti attivi, o appunto attraverso la capitalizzazione. 2 La teoria funzionale è piuttosto antica in quanto riferibile a I. FISCHER, The Nature of capital and income, , London, 1906; oltre che a J.B. CANNING, The economics of accountancy, New York, 1932. 3 A.J. CHURCH, Overhead Expense, MISC New York. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 46 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE Tale accezione è un po’ come se distinguesse il costo in due diverse sue anime: il costo di acquisizione e il costo di utilizzazione, quest’ultimo cioè riferito allo sprigionarsi degli effetti positivi. In altre parole questo obiettivo è conseguibile calcolando in via soggettiva l’entità delle energie economiche cedute al futuro dai fattori produttivi odierni. Ecco dunque ritornare la logica funzionale. Le energie economiche disponibili per il futuro devono, per la normativa civilistica possono, essere considerate nella definizione del patrimonio aziendale. Solo in questo modo si può intuire correttamente il senso dell’espressione capitalizzazione che, meglio, sarebbe utile definire patrimonializzazione. E’ in questo ambito che occorre indagare la genetica che giustifica la capitalizzazione di un costo e quindi la sospensione dal conto economico e l’iscrizione a Stato Patrimoniale. La loro iscrizione nel perimetro delle attività del capitale ha la sua ragion d’essere se si pensa a tali elementi dell’attivo come a una sorta di accumulatori di potenziale di energia economica funzionale ad essere rilasciata nel futuro. Senza questi costi sospesi i flussi di ricavo futuri potrebbero anche non manifestarsi più. Proprio da tale prerogativa deriva la legittimazione scientifica a ritenerli componenti del capitale investito, quindi come corretti costi capitalizzati. Da ultimo, il processo di sospensione dei valori economici (negativi, ma anche positivi) è indifferente alle caratteristiche di materialità e intangibilità del suo oggetto di riferimento. Ciò che rileva è il grado di funzionalità e utilità potenzialmente disponibile per il futuro e non tanto la loro rappresentazione esteriore a cui, invece, si assegna troppo spesso un valore più che altro strumentale e finalizzato al sostenimento di proprie personali opinioni. Nella prospettiva, dunque, di una funzionalità potenziale a futuri contributi economici il processo di sospensione e, quindi, di capitalizzazione dei costi è ammissibile. Altrettanto sono capitalizzabili i costi che hanno queste caratteristiche indipendentemente dal fatto che questi oneri siano regolati da durate contrattuali. La capitalizzazione non dipende quindi dalla durata del contratto bensì dalla durata dell’utilità dei fattori produttivi acquisiti. Infatti uno, ed uno soltanto, è l’elemento che incide sulla possibilità di capitalizzazione: il fatto che il fattore per cui si è sostenuto il costo abbia una utilità pluriennale. In altre parole, potrebbe quindi esservi il caso di un costo che ha come "sottostante" un contratto annuale, ma la cui natura è capitalizzabile, come nel caso, per esempio, di contratti di fornitura annuali alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che manifestano costi per contributi promozionali e di inserimento nel lay-out distributivo dei punti vendita forniti, i quali, proprio per creare quella condizione di fidelizzazione maggiore verso i clienti della GDO, consentirà di favorire le vendite future. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 47 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE Appare utile proporre ancora due altri esempi idonei a chiarire che possono essere capitalizzati costi sostenuti sulla base di contratti con durata indeterminata o inferiore all’anno. Per questa via, quindi, si può sgombrare ulteriormente il campo dall’equivoco in cui, spesso, molti Curatori incorrono nel momento in cui ritengono che solo un contratto di durata pluriennale può giustificare la capitalizzazione di un costo. Il primo riferimento va necessariamente agli oneri per la costituzione di una nuova società (spese notarili, tasse di registrazione, diritti camerali d’iscrizione) i quali addirittura sulla base dei principi contabili nazionali e delle disposizioni che regolamentano la redazione del bilancio di esercizio - possono essere iscritti nella voce “B.I. 1) Costi di impianto e di ampliamento” e partecipano alla determinazione del reddito per quote annuali di ammortamento. Nessuno penserebbe mai di contestare questo comportamento contabileestimativo perché non si è in presenza di contratti con durata pluriennale; e del resto è evidente che le spese notarili, le tasse di registrazione, la parcella del commercialista per la redazione dello Statuto o di quant’altro, sono tutt’altro che costi con un sottostante contratto pluriennale. In questo caso è noto, infatti, che nell’impostazione contabile nazionale è ammessa la capitalizzazione degli oneri di costituzione; ed è altresì noto che tale possibilità è connessa al fatto che prestazioni acquisite (rogito notarile) e gli altri oneri sostenuti (tasse, diritti, ecc.) forniscono all’impresa un’utilità che supera i “confini dell’esercizio”, perché non si esaurisce in un solo periodo, ma perdura lungo un arco temporale più ampio: così confermando il concetto di funzionalità futura. Altro esempio è quello dell’impresa che sostiene un costo per la realizzazione di una campagna pubblicitaria della durata di sei mesi, avente per oggetto il lancio di un nuovo prodotto; per tale ragione si stipula un contratto di prestazioni inferiore all’anno con società di comunicazione e con palinsesto televisivo. Nonostante tali profili contrattuali di durata, l’impresa ha la possibilità di iscriverlo nella voce “B.I. 2) Immobilizzazioni immateriali: costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità”, facendolo partecipare alla determinazione del reddito per quote annuali mediante la procedura di ammortamento. Non si può ritenere di contestare questo comportamento contabile solo per il motivo che l’importo è stato determinato nell’esercizio e che il contratto ha la durata di sei mesi. Anche in questo caso, secondo i principi contabili nazionali, è ammessa la capitalizzazione dei costi di pubblicità per lancio di nuovi prodotti; ed è noto che tale possibilità è connessa all’utilità pluriennale del fattore. Per questo motivo il costo può essere capitalizzato e concorrere alla determinazione del risultato economico attraverso l’ammortamento. Ed è questa la sola ragione per cui la capitalizzazione è ammessa. 3. Significato e validabilita’ del processo di capitalizzazione. Il processo di capitalizzazione è un percorso soggettivo in base al quale un componente negativo di reddito, originariamente rilevato dalla contabilità in quelle voci IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 48 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE di conto che confluiscono nel Conto Economico, viene spostato in una voce apposita dello Stato Patrimoniale. La voce apposita è individuabile tra quelle contenute nella categoria delle Immobilizzazioni Immateriali. Il processo di capitalizzazione, così come sancito anche dal Codice Civile, ma anche dal Principio Contabile N. 24, può essere attivato a condizione che siano in qualche modo rilevabili benefici futuri, o correlazioni con i ricavi futuri. E’ chiaro che questa valutazione è di tipo soggettivo, e può essere suffragata dal sostegno dei supporti documentali, identificabili con contratti o consuetudini di settori, o comportamenti comunque validati da soggetti istituzionali o comunque da scelte che non sono contrarie alle normative vigenti. Il problema principale nel riconoscimento ex post di questo processo, che consente di rinviare al futuro costi che per loro denominazione o natura fisica originaria possono parere non ascrivibili a Stato Patrimoniale, è l’essere facoltativo e non obbligatorio. Ciò fa sì che nelle ipotesi in cui nel tempo l’impresa sia oggetto di procedure concorsuali la capitalizzazione viene spesso intesa - per definizione e preconcetti - quale strumento per dilatare o rinviare lo stato di insolvenza, e non invece quale strumento per rappresentare correttamente i fatti gestionali. M entre è proprio il processo di capitalizzazione che identifica la natura "sartoriale" del bilancio che viene confuso quale strumento rigido per fare i conti. Ogni bilancio è un unico, seppure risponde a regole standard che però perimetrano, fino ad un certo punto, la redazione del bilancio stesso. Infatti, tra gli altri, è proprio il processo di capitalizzazione che consente di esprimere, per esempio, le specificità dei settori d’impresa, o particolari accadimenti che individuano la vita specifica di quell’impresa e non di un’altra. L’esempio che segue conferma questa tesi sia per il riferimento ai settori che all’identità d’impresa. Si pensi ad un’impresa che nel settore delle fonti energetiche operi quale fornitore di servizi sulla rete commerciale distributiva di primari operatori nazionali di settore come Eni, Enel, Terna e così via. Si supponga che uno di questi grandi operatori del settore energetico chieda, nel rivedere il proprio business distributivo per meglio competere con gli altri operatori, che il proprio fornitore in questione riveda le sue logiche ed i suoi processi aziendali, riadatti le proprie strutture commerciali al nuovo modello di business (per esempio distributivo) e così via. E’ evidente che in quest’opera - che non comporta generazione di ricavi presenti, seppure questi si realizzino comunque sulla base del business esistente - saranno utilizzati tanti fattori produttivi diversi tra loro: ci saranno persone che sono dedicate in parte o totalmente a questi lavori, e lo faranno usando l’energia elettrica per i loro computer, le luci dei loro uffici, il riscaldamento comune delle loro stanze, la cancelleria, supporti di consulenze esterne e quant’altro. Questi costi, che per loro natura sono rilevati dalla IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 49 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE contabilità come costi dell’esercizio, è più corretto che vengano allocati a Conto Economico oppure che vengano rinviati al futuro?, visto che sono la condizione sine qua non affinchè quei ricavi futuri si manifestino? Certamente è corretto che questi costi, non avendo alcuna correlazione con la generazione dei ricavi correnti, siano rinviati al futuro tramite la capitalizzazione perché diversamente il risultato economico sarebbe depresso di componenti negative di reddito funzionali a flussi di ricavo futuri. Si supponga dunque che si scelga la strada più corretta in quel momento, dunque quella di adottare la capitalizzazione; ma dopo alcuni anni, tre o quattro, per altri motivi come crisi generalizzate o congiunturali (fattori che per loro stessa natura possono smentire ex post la correttezza della capitalizzazione) l’impresa fallisca. Nulla di più facile per un soggetto esterno che vede la situazione ex post ritenere che la capitalizzazione sia stata adottata per occultare perdite, usando l’esito fallimentare come prova dell’errore estimativo, e paradossalmente anche perché la normativa – prevedendo la facoltà e non l’obbligo – non impone la capitalizzazione che quindi, come tale, si ritiene non dovesse essere adottata. Tutto ciò accade quando invece, pur facoltativo, quello era il percorso corretto per rappresentare la situazione patrimoniale finanziaria ed il risultato economico dell’esercizio, proprio per la diversa funzionalità economica futura dei fattori produttivi utilizzati in quel determinato contesto. Le disposizioni generali del Codice Civile, in particolare l’art. 2423, impongono di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico dell’esercizio. “Il bilancio d’esercizio […] è dunque un modello di rappresentazione degli esiti economico-patrimoniali e finanziari della gestione. M ediante la sua lettura è possibile giungere alla misurazione della “ricchezza prodotta”(o la ricchezza erosa) e, di conseguenza, il reddito di periodo(positivo o negativo) indicato nel bilancio rappresenta la base di riferimento per effettuare la sua distribuzione (solo nel caso di risultato positivo o comunque di riserve disponibili e distribuibili seppure in presenza di perdite) tra coloro che hanno partecipato all’impresa”. Peraltro, già nel termine “rappresentare” è insito il concetto di soggettiva interpretazione di un eventuale vero, verificabile solo a consuntivo, cioè “a cose fatte”; infatti qualsiasi rappresentazione è il risultato di una individuale, personale e soggettiva interpretazione di fatti esistenti, ma incompiuti in parte o in toto. Il bilancio d’esercizio, in una accezione più ristretta, può però anche essere inteso come la periodica sintesi delle rilevazioni della contabilità generale al fine di rappresentare le risultanze dei singoli periodi amministrativi. In questo senso va da sé che in tale sintesi vi siano tutti gli elementi di un’interpretazione soggettiva. Nel censurare questo comportamento valutativo estimativo di capitalizzazione avvenuta non viene però mai tenuto in conto la diversità temporale delle valutazioni, a cose cioè ancora da accadere o a cose già accadute; quando cioè è facile sostenere che certe scelte non dovessero essere fatte (in quanto se ne conosce già l’esito) e magari IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 50 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE senza considerare aspetti esogeni e decisamente incidenti sull’esito delle scelte gestionali. A tale proposito si richiama in tale sede come la crisi congiunturale pluriennale tutt’ora in corso abbia inciso profondamente sulle stime di esito poste in essere in moltissime imprese. E lo dimostra un fatto oggettivo, ovvero la Relazione UnionCamere che presenta (Repubblica del 26 aprile 2014) il conto di sei anni di crisi: ovvero l’incremento esponenziale dei fallimenti: più di 3.600 fallimenti negli ultimi tre mesi e la maglia nera assegnata al Piemonte. Come ricorrentemente affermato dalla giurisprudenza, il sindacato del Tribunale non può investire il merito delle scelte imprenditoriali degli amministratori, ma solo appuntarsi sul grado di diligenza con la quale esse sono state assunte. Ne consegue che persino “il successivo, imprevedibile esito negativo dell’affare non comporta il loro obbligo di risarcimento dei danni nei confronti della società amministrata” (così, ex aliis, Trib. M ilano, 3 settembre 2003, in Società, 2004, p. 890). 4. La misurabilita’ della capitalizzazione. E’ assodato che la capitalizzazione è un processo soggettivo e, come già indicato e più avanti ribadito, non vietato dalla Legge. Dando dunque per scontata l’ammissibilità, un problema potrebbe sussistere nella misurabilità della sospensione o capitalizzazione. L’attenzione del valutatore deve volgersi al passato ma soprattutto al futuro con il proposito di stimare la funzionalità a venire. Il compito è difficile e rischioso per l’assenza di riferimenti oggettivi. L’unico soccorso proviene dai peculiari connotati del fattore oggetto di sospensione e dalla combinazione produttiva riferibile al business ed agli interlocutori del business con relativi vincoli futuri desumibili. Tuttavia la disamina del singolo fattore non può essere avulsa da una valutazione di sistema, espressione del divenire di quel momento con le capacità prospettiche dipendenti dalle condizioni endogene ed esogene all’impresa, non replicabili nel futuro realizzato in quanto nel futuro l’esito è certo, mentre nel momento della stima l’esito futuro è incerto. Le condizioni estimative non sono tra loro comparabili. Lo sarebbero solo simulando ex post le condizioni ex ante. Nel processo di capitalizzazione si traspone l’attesa di una utilità futura che non dipende unicamente dalle peculiari attitudini del fattore, ma anche da condizionamenti spazio tempo spesso non prevedibili neppure con la buona volontà: il riferimento al perdurante periodo congiunturale è inequivocabile. Qualsiasi proiezione di carattere prospettico sconta le inevitabili incertezze che contraddistinguono qualunque operazione (estimativa e non) di ingerenza futura. Quanti business plan, seppure ben fatti, per esempio, sono stati smentiti dai fatti contingenti attuali?! Eppure a cose fatte tutti sono censori ed arbitri, bravi a dire “ non si doveva fare così!”. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 51 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE La funzionalità, il sostegno, il contributo, la condizione commerciale alla formazione dei flussi di ricavi futuri e ai potenziali (mai certi) redditi positivi futuri sono gli elementi di verifica della funzionalità, ossia per la destinazione a capitale (capitalizzazione) e quindi alla successiva ripartizione su più esercizi. Qualora al contrario si dovesse verificare che la futura possibilità di impiego economico venga a cessare, non si manifesteranno più i flussi di ricavo, con il che il costo capitalizzato diviene interamente consumo; così contribuendo integralmente (attraverso la sua imputazione totale a Conto Economico) alla formazione del reddito di quel periodo in cui le attese future sono venute meno. E’ chiaro che questo può significare errori di stima, ma nulla di più purché non vi sia prova di alterazioni oggettive o di riferimenti falsi od inesistenti. Qualunque quantificazione di valori congetturali – come nel caso della capitalizzazione dei costi, così come nella specie della determinazione di semilavorati e prodotti in corso di lavorazione a magazzino – presenta il rischio di erronee valutazioni. Peraltro gli effetti quantitativi sulla rappresentazione economico finanziaria sul bilancio, in presenza di tali errori naturali, hanno riflessi immediati ed al contempo ritardati. Nel breve termine l’eventuale errore di stima determina un riflesso diretto perché si producono effetti su reddito e capitale. Negli esercizi successivi l’effetto tende ad essere riassorbito tramite il meccanismo indiretto dell’ammortamento che produce effetti opposti alla distorsione estimativa iniziale. Gli eccessi delle stime (sovra o sottostime) sono comunque sempre neutralizzate indirettamente da successive (maggiori o minori) quote di ammortamento che consentono di recuperare ciò che in un certo momento si è ritenuto giusto stimare. Questi sono peraltro problematiche quantitative che non scalfiscono l’ammissibilità del processo di sospensione o capitalizzazione dei costi. Le difficoltà e le incertezze che caratterizzano le decisioni di capitalizzazione non derivano, come molti o troppi sembrano pensare, dal carattere di immaterialità che se ne desume dalla denominazione; bensì riguardano la struttura concettuale dell’operazione la quale, non vietata, presenta profili evidenti di soggettività e opinabilità che, neppure nel parere contrario, possono evidenziare convincimenti oggettivi. Altrettanto questi non possono essere suffragati da eventi che, a consuntivo, si sono manifestati in maniera diversa rispetto a quanto previsto. La certezza dell’esito finale non può mai essere ritenuto il motivo di inammissibilità delle stime originarie: sarebbe negare il significato etimologico della parola “stima”. 5. Il dato normativo. Il Codice Civile non tratta in maniera specifica ed esplicita della capitalizzazione dei costi, come neppure dei costi pluriennali da ammortizzare; se non ammettendoli come categoria implicita all’art. 2424 – Contenuto dello Stato Patrimoniale, laddove li IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 52 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE configura alla lettera B) I) Immobilizzazioni Immateriali, punto 7) denominandole “altre”. Il Codice disciplina invece i criteri di valutazione di alcune delle voci appartenenti alla categoria delle Immobilizzazioni Immateriali, criteri dedotti anche per le voci non considerate, seppure non è trattato il processo di formazione e di valutazione estimativa in senso stretto di come si debba fare la capitalizzazione e quali siano i criteri da adottarsi, limitandosi il legislatore a dichiarare che i costi ad utilità pluriennale possono (e di qui il concetto di facoltà e non di obbligo) essere iscritti nell’attivo, quindi stornati dal Conto Economico, con il consenso del Collegio Sindacale qualora esista. In realtà, e a ben vedere, il legislatore ammette il concetto di capitalizzazione allorquando al comma 1, punto 1) dell’art. 2426 afferma che “nel costo di acquisto o di produzione si computano (non precisando se obbligo o facoltà peraltro) anche i costi accessori, quelli direttamente imputabili ma anche altri costi (generali) per la quota ragionevolmente imputabile”, arrivando addirittura a ricomprendere gli oneri finanziari; sancendo pertanto la possibilità di considerare anche i cosiddetti costi indiretti. Qualche maggiore indicazione si ricava dalla disamina del Principio Contabile N. 24 dell’Organismo Italiano di Contabilità, che è stato riscritto nel febbraio 2013 ed è in corso di adozione e approvazione nel 2014; tuttavia nuova o vecchia formulazione sono molto simili, seppure la nuova colma alcuni vuoti della precedente che, peraltro, non presentava (né l’attuale presenta) profili di censura circa la capitalizzazione dei costi. Il Principio in questione è infatti dedicato alle Immobilizzazioni Immateriali, quindi anche ai costi capitalizzati che rientrano dunque al numero 7) della lettera B-I. Innanzitutto si precisa che le immobilizzazioni immateriali sono caratterizzate dalla mancanza di tangibilità e manifestano benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi; la puntualizzazione più forte è che viene dichiarato che sono anche costituiti da oneri pluriennali. Questi oneri pluriennali sono dichiarati diversi dai beni immateriali e dall’avviamento. M a la peculiarità del Principio in oggetto è che “ gli oneri pluriennali hanno caratteristiche più difficilmente determinabili con riferimento alla loro utilità pluriennale, rispetto ai beni immateriali veri e propri”. Tale accezione non è di poco conto in quanto l’OIC dichiara e accetta l’opinabilità estimativa dei redattori del Bilancio, la soggettività nell’individuazione dell’utilità pluriennale, non sentendosi di disciplinare in modo marcato le modalità e le motivazioni dell’utilità pluriennale, come a volere riferire questi aspetti ai casi specifici cui il Bilancio si deve riferire. Neppure il Principio Contabile N. 24 fissa obblighi sui contenuti delle richiamate 7 voci dell’articolo 2424 che formano le Immobilizzazioni Immateriali, limitandosi a dire che ognuna di loro “può comprendere”. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 53 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE In particolare si afferma che “Nella voce altre immobilizzazioni immateriali (voce B.I.7) si possono iscrivere eventuali costi capitalizzabili (senza individuarli) che, per la loro differente natura, non trovano collocazione nella altre voci della classe B.I”. Il profilo di soggettività nell’individuazione dei costi capitalizzabili è poi ulteriormente confermato dal seguito: “A titolo esemplificativo (il che non significa limitarsi a queste) possono essere ricompresi i seguenti costi: il costo corrisposto per acquisire l’usufrutto su azioni, gli oneri accessori su finanziamenti, i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni presi in locazione dalla società (anche in leasing) o su beni di terzi…”, ed altro ancora. Sugli aspetti di valutazione il principio in oggetto pone in evidenza per gli oneri (costi) pluriennali che i medesimi “possono essere iscritti (non è un obbligo) nell’attivo dello Stato Patrimoniale solo se: è dimostrabile la loro utilità futura, oppure esiste una correlazione oggettiva (che significa riferibile a un qualcosa di identificabile) con i benefici futuri di cui l’azienda potrà godere, oppure è stimabile la loro recuperabilità”. L’utilità pluriennale è poi ritenuta “giustificabile solo in seguito al verificarsi di determinate condizioni gestionali, oppure produttive, oppure di mercato che al momento della rilevazione iniziale dei costi devono risultare da un piano dell’azienda”; in questo modo viene posta evidenza su condizione di settore quando si fa riferimento alle condizioni produttive, così come al mercato anche inteso quale settore di riferimento. Il piano dell’azienda non è peraltro il business plan in sé e per sé, bensì il piano di azione che identifica il fare d’impresa riferito a quelle condizioni gestionali, di prodotto o di mercato. Il Principio Contabile N. 24 precisa - da ultimo - che l’unico obbligo per gli amministratori è quello di dare chiara evidenza quali-quantitativa nella Nota Integrativa delle voci capitalizzate, quindi degli Altri Oneri Pluriennali, oltre che delle motivazioni della loro iscrizione all’attivo. Se il comportamento assunto è di questo genere non sussistono motivi di censura. Ad ogni modo la formulazione degli articoli del Codice Civile così come del Principio OIC in questione non forniscono un perimetro preciso del comportamento estimativo, seppure occorre dire che quest’ultimo (come peraltro il Codice Civile) non vieta nella sua struttura di fondo la capitalizzazione, anzi! Proprio il Documento N. 24 fornisce numerosi esempi di costi capitalizzabili purchè sia fondatamente presumibile (di presunzion non v’è certezza, mutando altro dire celebre) che ci potranno essere in seguito, cioè negli esercizi succesivi, flussi di ricavi futuri proprio grazie ai fattori produttivi capitalizzati. Per i fautori del “Principio della Prudenza”, unilateralmente inteso, occorre inoltre precisare che nel Documento N. 11 si richiama appunto tale principio della prudenza connotandone caratteristiche per cui questa non va intesa in via limitativa, cioè come principio secondo il quale determinate decisioni estimative di bilancio non si IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 54 STUDI E OPINIONI LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE possono adottare, bensì interpretata (non si dimentichi che il Bilancio è una rappresentazione soggettiva) in un approccio di coerenza nelle valutazioni. Essere prudente, pure per la Dottrina Economico Aziendale Italiana, significa anche fare con realismo le valutazioni di Bilancio in modo che rappresentino in maniera adeguata e corrispondente la realtà effettuale oggetto di stima: questa realtà effettuale non può che fare riferimento a quell’azienda e non ad un’altra, e al settore di operatività e non ad un altro. Anche il principio di competenza, sempre richiamato dal Documento N. 11, individua un approccio di elaborazione del Bilancio che identifica una correlazione costi-ricavi che consenta di ripartire non solo l’utilità, ma anche la funzionalità, pluriennale del costo su base razionale e sistemica (principio di competenza anche indicato dalla normativa fiscale del Paese all’art. 75 del Testo Unico). Leggendo in maniera sistemica le varie normative, civilistica, fiscale, principi OIC, se ne desume con chiarezza inconfutabile che il "segreto" del criterio che individua la funzionalità pluriennale dei costi capitalizzabili è individuabile nel fatto che un costo sostenuto “oggi” (che per di più può rientrare in un piano cui seguiranno altri identici od ulteriori costi) sia in grado di favorire - od essere il presupposto per generare – ricavi futuri, e quindi creare la base prodromica per potenziali e probabili frutti futuri; un costo che presenta tali caratteristiche funzionali non può che essere dunque che capitalizzabile, qualora l’organo gestorio lo ritenga tale e l’organo di controlla lo condivida. Una scelta diversa penalizzerebbe la correlazione logica, più che quantitativa, costi-ricavi, con un unico risultato: quello di deprimere la redditività dell’esercizio corrente e alterando la rappresentazione (sempre soggettiva) della situazione patrimoniale-finanziaria e del risultato economico dell’esercizio con evidenti riflessi futuri. Infatti i costi sostenuti nel presente, indipendentemente dalla loro natura fisica, se funzionali – non importa in quale modo - alla produzione di un flusso di ricavi futuri (ancor più ciò vale se sussistono accordi contrattuali in tal senso) e quindi di un reddito (non importa se positivo o negativo) che non è solo del presente (perché si forma continuamente…) devono necessariamente mantenere una correlazione temporale con il futuro: ciò può avvenire solo attraverso il processo di capitalizzazione. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014 55 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE NO RMATIVA D.L. 12 settembre 2014, n. 132 – Il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”, è stato pubblicato su Gazzetta Ufficiale, 12 settembre 2014, n. 212, con entrata in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione. I NDICAZIO NI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Iscrizione nel Registro delle imprese – Con la Circolare n. 3673/C del 19 settembre 2014, il M inistero per lo Sviluppo economico ha fornito alcuni chiarimenti ed indicazioni sull’attuazione delle procedure di iscrizione degli atti nel Registro delle imprese, modificate dall’art. 20, comma 7 bis, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con la L. 11 agosto 2014, n. 116 (vds. segnalazioni di diritto commerciale pubblicate sul n. 17/2014 di questa Rivista). In particolare, tra le diverse questioni affrontate, si precisa la data di entrata in vigore delle novelle disposizioni e si propone un’interpretazione dell’espressione “immediata iscrizione” riferita ai documenti presentati in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata: oltre agli atti notarili, si legge, dovrebbero essere inclusi “tutti gli atti provenienti da un’autorità pubblica, ad esempio le sentenze”. Infine, le previsioni del summenzionato comma 7 bis non sarebbero applicabili alle istanze che pervengono “all’ufficio del Registro delle imprese da parte dell’impresa che non ha provveduto alla comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata a norma di legge”. La Circolare è reperibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 56 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE BANCA D’ITALIA Arbitro Bancario Finanziario – La Banca d’Italia ha diffuso la Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario riferita al 2013, nella quale sono presentati i dati statistici relativi ai ricorsi, all’esito delle decisioni ed all’attività svolta dai Collegi, nonché sono illustrate le principali tematiche oggetto dei contenziosi. Il documento, pubblicato il 22 settembre 2014, è consultabile sul sito www.bancaditalia.it. COMITATO TRIVENETO DEI NOTAI Orientamenti societari – Il Comitato Triveneto dei Notai ha divulgato gli Orientamenti societari 2014, concernenti: • il trasferimento in Italia della sede legale di una società costituita in uno Stato estero (massime E.C.1. “Legittimità del trasferimento in Italia della sede di società estera con mutamento della lex societatis”; E.C.2. “Controllo del notaio depositario di atto estero ai fini dell’iscrizione nel Registro delle imprese di una società proveniente da un ordinamento straniero”; E.C.3. “Controllo dell’effettività del capitale sociale della società estera che si trasferisce in Italia”); • le modifiche dell’atto costitutivo di società di capitali conseguenti ad operazioni sul capitale sociale o di ripianamento perdite (massime H.G.33. per le s.p.a. e I.G.48. per le s.r.l., entrambe titolate “Riserve sopravvenute utilizzabili per l’aumento gratuito del capitale e situazione patrimoniale aggiornata”); • i conferimenti nelle società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 2464, 4° co., c.c. (massima I.A.14. “Modalità del versamento dei conferimenti in denaro nell’ipotesi in cui non intervengano gli amministratori nell’atto di costituzione”); • il recesso nelle s.r.l. (massime I.H.17. “Sorte degli eventuali diritti dei terzi sulle partecipazioni sociali all’esito della liquidazione del socio receduto mediante l’utilizzo di riserve disponibili”; I.H.18. “Non applicabilità dell’art. 2474 c.c. alla liquidazione delle partecipazioni in caso di recesso od esclusione”); • la costituzione della riserva legale nelle s.r.l. semplificate (massima R.A.6. “Riserva legale nelle s.r.l. semplificate”); • alcuni profili della disciplina delle società di persone (massime O.A.8. “Fatti e atti modificativi della compagine sociale e loro iscrizione nel Registro delle imprese”; O.A.9. “Insussistenza dell’obbligo di adeguare le clausole degli originari patti sociali alle modifiche intercorse”; O.A.10. “Legittimità della nomina dei liquidatori a tempo determinato”); • alcune ipotesi di trasformazioni “atipiche” (massime K.A.37. “Trasformazione di società con unico socio in titolarità individuale d’azienda da parte di persona fisica e viceversa”; K.A.38. “Maggioranze richieste per la trasformazione eterogenea IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 57 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE atipica di associazione non riconosciuta in società di persone o di capitali”; K.A.39. “Trasformazione eterogenea atipica di associazioni tra professionisti in s.t.p.”). Le massime sono integralmente pubblicate sul sito www.notaitriveneto.it. CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO Osservazioni sulla Circolare n. 3673/C del Ministero dello S viluppo economico – Il Consiglio Nazionale del Notariato ha redatto alcune Prime note sulla Circolare ministeriale n. 3673/C avente ad oggetto l’attuazione delle procedure di iscrizione degli atti presso il Registro delle imprese, così come innovate dall’art. 20, comma 7 bis, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con la L. 11 agosto 2014, n. 116. Il documento, diffuso il 25 settembre 2014, è reperibile sul sito www.notariato.it. GIURISPRUDENZA Nullità delibera assembleare di s.r.l. – Il Tribunale di M ilano ha ribadito che la delibera assembleare viziata da assenza assoluta di informazione – la cui impugnazione è sottoposta al termine di decadenza triennale previsto dall’art. 2479 ter, 3° co., c.c. – “va riferita al procedimento di convocazione in senso proprio e si risolve nel medesimo vizio di nullità previsto per le s.p.a., inerente alla completa mancanza di convocazione”. Ogni altro vizio concernente “carenze informative” rientra nel novero dei vizi di annullabilità, per i quali il termine di impugnazione è ridotto a novanta giorni, decorrenti “dalla data di iscrizione della delibera nel libro delle decisioni dei soci”, (ex art. 2479 ter, 1° co., c.c.). La sentenza del Tribunale di M ilano dell’8 agosto 2014 è disponibile sul sito www.giurisprudenzadelleimprese.it. Revoca della dichiarazione di fallimento – La Corte di Appello di Bologna ha stabilito che “la desistenza dell’unico socio creditore istante e la rinuncia all’istanza dallo stesso in precedenza proposta” – per l’intervenuto pagamento da parte della società debitrice – “importano la revoca della dichiarazione di fallimento”, ancorché si verifichino “solo in sede di reclamo avverso quest’ultima”. Nella vicenda posta al vaglio dei Giudici bolognesi, inoltre, “la presentazione di fidejussione bancaria a garanzia dei crediti insinuati al passivo del fallimento rende evidente la volontà della società di far fronte alle proprie obbligazioni e di avere capacità di ottenere credito e le risorse necessarie per la prosecuzione dell’attività”: elementi, questi, che ne escludono lo stato di insolvenza. La sentenza della Corte di Appello di Bologna del 1° settembre 2014 è consultabile sul sito www.ilcaso.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 58 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE Concordato pre ventivo e percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari – Per il Tribunale di M odena, “la misura al disotto della quale la consistenza dell’entità del soddisfacimento” dei creditori chirografari “non è più minimale ma diviene inconsistente e quindi non apprezzabile come «pagamento» (inteso in senso lato) sia pure parziale del debito deve essere individuata in una misura costante, almeno nei casi in cui lo stesso avvenga in denaro”; e ciò in quanto trattasi “di un presupposto di ammissibilità che deve essere caratterizzato dall’oggettività, pena una totale incertezza e quindi imprevedibilità della decisione” di ammissibilità del concordato. Il Tribunale ha quantificato “tale misura nel 5%, apparendo una percentuale inferiore non già minimale ma sostanzialmente irrisoria e tale da non poter giustificare l’accesso ad un istituto alternativo alla procedura fallimentare e che deve essere necessariamente caratterizzato da limitazioni in tema di modalità satisfattive idonee a garantire un minimo di tutela alla minoranza dissenziente”. Il decreto del Tribunale di M odena del 3 settembre 2014 è reperibile sul sito www.ilcaso.it. Beneficium excussionis – Il Tribunale di Reggio Emilia, uniformandosi ad un insegnamento risalente della Corte di Cassazione, ha affermato che “la preventiva escussione del patrimonio sociale, richiesta dall’art. 2304 c.c. perché il creditore di una società in nome collettivo possa pretendere il pagamento dai singoli soci illimitatamente responsabili, non comporta la necessità per il creditore di sperimentare in ogni caso l’azione esecutiva sul patrimonio della società”: la suddetta necessità viene meno “quando risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza di quel patrimonio per la realizzazione del credito”, financo in misura parziale. L’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia del 10 settembre 2014 è disponibile sul sito www.ilcaso.it. Responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute su diversi profili riguardanti l’applicazione della disciplina prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, tra cui l’individuazione del profitto confiscabile e le caratteristiche dell’Organismo di Vigilanza; inoltre, particolare rilievo è dato alla distinzione tra colpa cosciente e dolo eventuale, con l’identificazione di alcuni elementi che differenziano i due profili soggettivi. La pronuncia n. 38343 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale, depositata in data 18 settembre 2014, è integralmente consultabile sul sito www.penalecontemporaneo.it. Bancarotta fraudolenta da operazioni dolose – La Suprema Corte, richiamando un precedente arresto del 2010 (Cass. pen., 18 febbraio 2010, n. 17690), ha precisato che la IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 59 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE condotta punita dall’art. 223, 2° co., n. 2 L.F., si caratterizza per il riferimento “alla nozione di operazione (connotato prescrittivo ignoto alla generale previsione della bancarotta fraudolenta) la quale richiama necessariamente un quid pluris rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato”. Inoltre, per i Giudici di legittimità, il rapporto che lega l’operazione dolosa al fallimento non implica la “necessaria rappresentazione dell’esito concorsuale (né, tantomeno, la volontà di siffatto evento)”, in quanto il reato di cui all’art. 223, 2° co., n. 2, L.F., si configura come “un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale e per essa esaurisce l’onere probatorio dell’accusa la dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’azione, costitutiva dell’operazione, a cui segue il dissesto, in uno con l’astratta prevedibilità dell’evento scaturito per effetto dell’azione antidoverosa”. Cassazione penale, 19 settembre 2014, n. 38587. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 60 SEGNALAZIONI SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE Modalità di presentazione delle deleghe di pagamento F24 a decorrere dal 1° ottobre 2014 Con la presente circolare sono forniti alcuni chiarimenti, con la precisazione che le disposizioni in esame non si applicano ai pagamenti effettuati con strumenti diversi dal modello F24 (ad esempio bonifici e versamenti diretti in tesoreria). (Agenzia delle entrate, circolare 19 settembre 2014, n. 27/E) Visto di conformità per l’utilizzo dei crediti superiori a 15.000 euro Analogamente a quanto già previsto in materia di compensazione dei crediti IVA, la norma prevede altresì che, in alternativa, la dichiarazione può essere sottoscritta da parte dei soggetti che esercitano il controllo contabile per i contribuenti di cui all’articolo 2409-bis del codice civile al fine di attestare l’esecuzione dei controlli previsti dall’articolo 2, comma 2, del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164. Con la presente circolare si forniscono chiarimenti in ordine agli adempimenti che i professionisti devono porre in essere al fine di comunicare all’Agenzia delle entrate che intendono apporre il visto di conformità. (Agenzia delle entrate, circolare 25 settembre 2014, n. 28/E) S trumenti di finanziamento per le imprese. Deducibilità delle spese di emissione delle obbligazioni L’art. 32, comma 13, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (cd. “Decreto Crescita”) ha sensibilmente modificato il regime civilistico e fiscale degli interessi degli strumenti finanziari che possono emettere le imprese domestiche di piccole e medie dimensioni, quali le obbligazioni e le cambiali finanziarie, allo scopo di dotarle di strumenti di raccolta di capitali di debito, utilizzabili in alternativa alla raccolta presso i soci e al credito bancario oppure in sostituzione di precedenti debiti. La norma non intende superare in modo assoluto il criterio generale di deducibilità per competenza delle suddette spese di emissione, seguendo la ripartizione contabile effettuata in più esercizi e lungo la durata dell’operazione di finanziamento. La deducibilità per cassa delle spese di emissione dei titoli obbligazionari, titoli similari e delle cambiali finanziarie, va IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 61 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO infatti considerata una facoltà e non un obbligo, in linea con la ratio di natura agevolativa che caratterizza l’intero Decreto crescita. (Agenzia delle entrate, circolare 26 settembre 2014, n. 29/E) Apposizione del visto di conformità Con l'apposizione del visto previsto dal comma 1 dell’art. 35 del D.lgs. n. 241 del 1997 viene attestata l'esecuzione dei controlli volti a verificare la regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili, la corrispondenza dei dati esposti nelle scritture contabili alla relativa documentazione. I professionisti, in possesso dei requisiti previsti dalla suddetta norma, che intendono utilizzare in compensazione orizzontale i crediti relativi alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, all’IRAP e alle ritenute alla fonte, emergenti dalla propria dichiarazione, possono autonomamente apporre il visto di conformità sulla stessa, senza essere obbligati a rivolgersi a terzi. Ciò anche in conformità ai chiarimenti forniti con circ. n. 54/E del 2001 con riferimento all’asseverazione degli elementi contabili ed extra contabili rilevanti ai fini degli studi di settore. (Agenzia delle entrate, risoluzione 2 settembre 2014, n. 82/E) G IURISPRUDENZA Sequestro preventivo - Persone giuridiche Il sequestro per equivalente è precluso nei confronti delle persone giuridiche dal D.Lgs. n. 231 del 2001 in ipotesi di contestazione dei reati tributari. I reati per i quali il citato provvedimento consente, in applicazione dell'art. 321 c.p.p., il sequestro predetto sono, invero, numerus clausus ed i reati tributari non sono tra questi ricompresi. (Sent./Ord. n. 39177 del 24 settembre 2014della Cassazione Penale, Sez. III) Redditi d'impresa In presenza di un accertamento di maggiori ricavi risultante da una contestata valutazione del valore normale dei beni ceduti dal contribuente, di cui agli artt. 76, comma 5, e 9, D.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo ante riforma del 2004), la eventuale inidoneità di taluni criteri adottati dall'Ufficio per la determinazione del valore normale comporta l'obbligo per il Giudice tributario, quale giudice di merito, di rideterminare nuovamente tale valore secondo il criterio ritenuto legittimo, non potendo egli annullare in toto la rettifica operata dall'Ufficio. Il processo tributario, invero, non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sua della dichiarazione resa dal contribuente, che dell'accertamento dell'Ufficio. (Sent./Ord. n. 19750 del 19 settembre 2014 della Cassazione Civile, Sez. V) IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 62 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO Reati tributari La previsione normativa di cui all'art. 10-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, nel sanzionare l'omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non impone che la prova di quanto precede deve ricavarsi solo dalle certificazioni, senza possibilità di ricorrere ad equipollenti. Il riferimento, contenuto nella citata norma, alle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti di imposta, altro significato non ha se non quello di indicare, quale condizione per la configurabilità del reato, l'effettivo versamento delle retribuzioni ai dipendenti. Ne consegue che la sussistenza della certificazione rilasciata ai sostituiti di imposta non è essenziale sul piano probatorio, potendo desumersi aliunde la prova dell'effettivo versamento delle retribuzioni (quale nella specie dal modello 770). (Sent./Ord. n. 37730 del 15 settembre 2014 della Cassazione Penale, Sez. III) IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014 63 MODALITÀ DI ABBONAMENTO La rivista Il Nuovo Diritto delle Società viene distrubuita previa sottoscrizione di un abbonamento annuale, che comprende 24 numeri al costo di 120,00 euro. 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Per informazioni e/o segnalazioni contattare il Servizio Clienti al numero verde 800822195 oppure inviare un fax al numero verde 800-822196. NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ ItaliaOggi ItaliaOggi Editori - Erinne srl – Via Marco Burigozzo 5 – 20122 Milano Telefono 02/58219.1 – Telefax 02/58317598 – email: [email protected] Direttore responsabile ed editore Paolo Panerai (02/58219209) Tariffe abbonamenti: euro 120,00 (abbonamento annuale 24 numeri) Per la sottoscrizione di nuovi abbonamenti telefonare al numero verde 800-822195 oppure inviare un fax al numero verde 800822196 allegando, oltre alla richiesta di abbonamento con i propri dati anagrafici, fotocopia dell’assegno non trasferibile intestato a: ItaliaOggi Editori - Erinne srl – via Marco Burigozzo 5 - 20122 Milano, oppure fotocopia del bonifico bancario intestato a Banca Popolare di Milano, agenzia 500, via Mazzini 9/11 Milano – IBAN IT58N0558401700000000047380 Distribuzione: ItaliaOggi Editori - Erinne srl – via Marco Burigozzo 5 – 20122 Milano, numero verde 800-822195. Vendita esclusiva per abbonamento. 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