studi e opinioni - Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti

Anno 12 – Numero 18
1° ottobre 2014
NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI
IL NUOVO DIRITTO
DELLE SOCIETÀ
D IRETTA
DA
O RESTE C AGNASSO
C OORDINATA
DA
E
M AURIZIO I RRERA
G ILBERTO G ELOSA
In questo numero:
• Srl: assetti adeguati
• Imprese ed etica
• La capitalizzazione dei costi pluriennali
ItaliaOggi
DIREZIONE SCIENTIFICA
Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Gilberto Gelosa
La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori
commercialisti e degli Esperti contabili di:
Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato, Crema,
Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza, Verbania
NDS collabora con:
SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE
a cura di Luciano Panzani
SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE
a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro
SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO
a cura di Gilberto Gelosa
SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
a cura di Marco Casavecchia
SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI
a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli
COMITATO SCIENTIFICO DEI REFEREE
Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra,
Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, Paolo Efisio Corrias, Emanule
Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Patrizia Grosso, Manlio Lubrano di
Scorpaniello, Angelo Miglietta, Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele
Rimini, Marcella Sarale, Giorgio Schiano di Pepe
COMITATO DI INDIRIZZO
Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano Noro, Carlo
Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario Tagliaferri, Maria Rachele
Vigani, Ermanno Werthhammer
REDAZIONE
Maria Di Sarli (coordinatore)
Paola Balzarini, Alessandro Bollettinari, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena,
Marco Sergio Catalano, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena Fregonara, Giulia
Garesio, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Riccardo
Russo, Cristina Saracino, Marina Spiotta, Andrea Sacco Ginevri, Maria Venturini
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Umberto Bocchino e Marina Spiotta
I saggi costituenti “Studi e Opinioni” sono sottoposti a blind referees, scelti tra
professori universitari
universitaricompetenti
appartenenti
al settori.
Comitato
nei vari
La scientifico
valutazione dei
deglireferee,
atti di
competenti
nei vari
settori
della Rivista.
convegni e degli
scritti
giàscientifici
pubblicatioggetto
o di prossima
pubblicazione è riservata ai
Direttori.
Ognidegli
scritto
un scritti
abstract
italiano oe diinprossima
inglese.
La valutazione
attièdipreceduto
convegni edadegli
giàinpubblicati
Saranno pubblicati
scritti,aioltre
che in italiano, in inglese, francese, spagnolo e
pubblicazione
è riservata
Direttori.
portoghese.
Ogni scritto è accompagnato da un abstract in italiano e in inglese. Vengono
pubblicati scritti, oltre che in italiano, in inglese, francese, spagnolo e
portoghese.
INDICE
Pag.
EDITORIALE
Il Centro Studi d’Impresa – RES (Regolazione, Etica e Società): una nuova
collaborazione
1
STUDI E OPINIONI
Gli assetti adeguati nella s.r.l.
di Oreste Cagnasso
8
Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per uscire
dalla crisi?
di Marina S piotta
19
La capitalizzazione dei costi pluriennali e la sua logica di attivazione
di Umberto Bocchino
42
SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE
56
SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO
61
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
4
SOMMARIO
STUDI E OPINIONI
Gli assetti adeguati nella s.r.l.
Lo scritto affronta il problema della obbligatorietà della predisposizione di assetti
adeguati nell'ambito della s.r.l., pur nel silenzio del legislatore al proposito; risolto
positivamente tale quesito, è poi oggetto di indagine l'estensibilità, ed i suoi limiti,
della disciplina dettata per la s.p.a.
di Oreste Cagnasso
Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per uscire dalla
crisi?
In controtendenza rispetto al crescente interesse per il tema della “responsabilità
sociale dell’impresa”, in questo lavoro s’intende rivalutare il dovere di osservare la
legge e dimostrare che per conciliare la tutela degli stakeholders con la
massimizzazione del profitto è necessario non dimenticare l’insegnamento di
Calamandrei: «nell’incertezza su quali siano le regole dell’etica muovere dall’etica
del rispetto delle regole (giuridiche) segnerebbe sicuramente un forte progresso». A
questa conclusione si è arrivati alla luce di un raffronto con il diritto inglese (che
prevede il dovere degli amministratori di perseguire the success of the company) e
statunitense (che vorrebbe rivalutare il duty of obedience).
di Marina Spiotta
La capitalizzazione dei costi pluriennali e la sua logica di attivazione
Lo scritto si sofferma sul tema della capitalizzazione dei costi pluriennali,
individuandone le premesse dottrinali, l'ambito di applicazione, i presupposti, le
modalità ed i riferimenti normativi.
di Umberto Bocchino
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
5
INDEX-ABSTRACT
Page
STUDIES AND O PINIONS
Appropriate organizational structures within the s.r.l.
The paper addresses the problem of imperative nature of provision of
appropriate structures within the s.r.l., even in the silence of the legislature
in this regard; resolve this question positively, then under investigation
extensibility, and its limits, the regulations established for the spa.
by Oreste Cagnasso
8
Business and Ethics: an oxymoron or a combination essential to
overcome the crisis?
Reversing the trend of growing interest of “the social liability of
corporation”, in this work we intend to reassess the duty to obey the law
and show that in order to reconcile the protection of the stakeholders with
the maximization of profit it is necessary not to forget the teaching
Calamandrei: "uncertainty about what the rules of ethics move from ethics
of compliance (legal) certainly would mark a dramatic improvement." We
have gained this insight in the light of a comparison between the Italian law
and both the English law (which implies the duty of the directors to pursue
the success of the company) and the American law (which is trying to revive
the duty of obedience).
by Marina S piotta
19
The capitalization of deferred costs and its activation logic
The paper focus es on the issue of capitalization of deferred costs, identifying
the doctrinal premises, the scope, assumptions, methods and legal
references.
by Umberto Bocchino
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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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EDITORIALE
IL CENTRO STUDI D’IMPRESA – RES
(REGOLAZIONE, ETICA E SOCIETÀ):
UNA NUOVA COLLABORAZIONE
A partire dal presente numero ha inizio la collaborazione scientifica tra
NDS – “IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO” E IL CENTRO STUDI D’IMPRESA –
RES (REGOLAZIONE, ETICA E SOCIETÀ).
Il CENTRO RES (www.centrores.org) persegue l’obiettivo di promuovere lo
studio e la cultura del diritto societario e d’impresa, nazionale e
transnazionale, nelle sue interrelazioni con l’etica individuale e sociale, a
partire dalla corporate governance e dalla responsabilità sociale d’impresa,
nonché in rapporto con l’etica pubblica.
La collaborazione tra NDS – “IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO” E IL CENTRO
STUDI D’IMPRESA – RES (REGOLAZIONE, ETICA E SOCIETÀ) si svilupperà in
entrambe le direzioni. La nostra Rivista darà notizia delle iniziative del
CENTRO RES e quest’ultimo offrirà alla Rivista – per la pubblicazione - i
contributi scientifici raccolti nell’ambito delle proprie iniziative.
Già in questo numero viene pubblicato l’articolo di MARINA SPIOTTA dal
titolo “Impresa ed etica: un ossimoro o un connubio indispensabile per
uscire dalla crisi?”.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
GLI ASSETTI ADEGUATI NELLA S.R.L.*
Lo scritto affronta il problema della obbligatorietà della predisposizione di
assetti adeguati nell'ambito della s.r.l., pur nel silenzio del legislatore al proposito;
risolto positivamente tale quesito, è poi oggetto di indagine l'estensibilità, ed i suoi
limiti, della disciplina dettata per la s.p.a.
di O RESTE CAGNASSO
1. I silenzi del legislatore in ordine alla disciplina della gestione della s.r.l..
Come è noto e come è stato ampiamente sottolineato dalla dottrina, il legislatore,
nel disciplinare l’amministrazione nell’ambito della società a responsabilità limitata, ha
previsto alcuni profili relativi alla struttura e al funzionamento con carattere fortemente
innovativo rispetto a quelli paralleli concernenti la società per azioni: nel contempo
sotto altri aspetti ha scelto di non prendere posizione. L’interprete deve quindi
affrontare il delicato problema dell' individuazione dei criteri da utilizzare per colmare
tali “silenzi”.
Invero, è stato lucidamente sottolineato1, la realtà imprenditoriale conosce vari
“modelli” di gestione: sul presupposto di una sostanziale compenetrazione tra soci e
amministratori è configurabile e largamente diffusa la figura del manager socio; d’altra
parte, laddove si verifichi una separazione tra soci e amministratori, viene in
considerazione quella del manager professionale. Tendenzialmente la prima ipotesi è
caratteristica delle piccole - medio imprese societarie, la seconda delle medio - grandi
imprese.
Il ruolo e la posizione degli amministratori nell’uno e nell’altro caso sono
ovviamente differenti, dal momento che l’amministratore socio gestisce “affari” anche
propri, mentre il manager professionale gestisce ovviamente “affari” altrui, con una
2
differente propensione al rischio .
E’ quindi plausibile che la disciplina dell’una e dell’altra fattispecie sia
differente.
(*) Il saggio costituisce un capitolo dell'opera: "Gli assetti ed i modelli organizzativi delle
società di capitali", diretta da M. IRRERA, in corso di pubblicazione presso Zanichelli Editore.
1
ANGELICI, Note sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità
limitata, in, Riv. soc., 2007, 1217 ss..
2
ANGELICI, op.cit., 1224 ss..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
Alla luce di tali considerazioni si può ritenere che il “silenzio” della normativa
in tema di società a responsabilità limitata, dal momento che tale tipo societario è
tendenzialmente applicabile alle minori imprese, debba essere “riempito” non
utilizzando le regole proprie della società per azioni, ma semmai quelle dettate in tema
3
di società di persone . Fermo restando, tuttavia, il ricorso alla disciplina della società per
azioni laddove la società a responsabilità limitata venga utilizzata da imprese di medio grandi dimensioni sul modello del “manager professionale”: in tal caso e solo in tal caso
troverebbe applicazione la normativa costruita per la società per azioni4.
In altre parole, il silenzio del legislatore consentirebbe, secondo questa
prospettiva, l’utilizzo di norme differenti in relazione al modello in concreto assunto
dalla società a responsabilità limitata.
Tale soluzione presuppone, tuttavia, che la disciplina dettata per la società per
azioni sia “correlata” al modello della impresa medio - grande caratterizzato dalla figura
del “manager professionale”. Il che è indubbiamente vero per alcune norme, ma non
sembra, a mio avviso, valere con riferimento ai principi fondamentali della governance
propria della società per azioni.
Invero, come la s.r.l. è utilizzabile con riferimento ad un ampio spettro di ipotesi
concrete e quindi tanto dalla società di modeste dimensioni, quanto da quelle con
caratteri della grande impresa (fermo restando il solo limite che deve trattarsi di società
chiuse), così la società per azioni costituisce sì l’unico tipo fruibile dalla società aperta,
ma può essere utilizzata anche da società medio - piccole. Quindi la disciplina della
società per azioni, pur essendo tendenzialmente destinata ad imprese medio - grandi,
vale anche nell’ipotesi di società per azioni medio - piccole.
M a c’è di più: i principi fondamentali della governance della società per azioni
hanno contenuto “aperto” e paiono adattabili in relazione ai vari contesti che siano
destinati a disciplinare. Così la regola in tema di diligenza, ancorata al parametro della
natura dell’incarico, e quindi del ruolo assunto dall’amministratore e dell’oggetto e delle
dimensioni dell’impresa sociale, ancorata, altresì, alla competenza, intesa in senso
soggettivo e quindi applicabile in ogni caso; così per i principi di corretta gestione
sociale; così per il canone dell’agire in modo informato e non in conflitto di interessi.
In particolare, e il profilo a mio avviso assume un carattere fondamentale ai fini
del presente discorso, i principi di corretta gestione, come lo stesso legislatore si
esprime nell’art. 2403 c.c., si sostanziano soprattutto nella creazione di assetti
organizzativi adeguati alle dimensioni dell’impresa. Si tratta pertanto di un obbligo il
3
4
ANGELICI, op.cit., 1229.
ANGELICI, op.cit., 1229.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
cui contenuto è rapportato alle singole situazioni: si tratta di un obbligo, inoltre, che
pare connaturale con la gestione di qualsiasi impresa5.
I principi fondamentali di governance sono poi strettamente correlati al regime
di responsabilità limitata e costituiscono una sorta di “contraltare” dello stesso.
Alla luce di queste considerazioni mi pare che il vuoto normativo proprio di
alcuni aspetti della disciplina della governance della società a responsabilità limitata
debba essere riempito applicandosi i principi propri della società per azioni, che, data la
loro elasticità, consentono di adattarne il contenuto ai vari modelli in concreto assunti
dalla società.
Se si muove da tale presupposto il ruolo degli amministratori, anche in presenza
di soci gestori, assume una posizione di assoluto rilievo.
Alla luce della nuova disciplina dettata per gli amministratori di società per
azioni ed estensibile alla società a responsabilità limitata e tenuto conto del carattere
solidale della responsabilità degli amministratori rispetto a quella dei soci gestori, mi
pare che possano individuarsi tre “tipi” di compiti affidati all’organo gestorio in
presenza di competenze amministrative attribuite ai soci.
In primo luogo, spetta agli amministratori svolgere l’attività “istruttoria” diretta
a fornire ai soci gli elementi di informazione necessari affinché possano operare in
modo consapevole le scelte gestorie ad essi affidate.
In secondo luogo, hanno il dovere di dare esecuzione alle decisioni dei soci e,
nel contempo, stante la loro responsabilità solidale, hanno quello di disattendere le
decisioni che siano pregiudizievoli e siano per essi fonte di responsabilità.
Infine compete agli organi delegati, ovviamente se presenti e competenti per
l’esecuzione delle decisioni dei soci, fornire le informazioni previste dall’art. 2381 c.c.,
sia nei confronti degli amministratori, sia nei confronti del collegio sindacale. In assenza
di organi delegati o comunque qualora l’esecuzione delle decisioni dei soci competa
all’organo amministrativo, sarà quest’ultimo tenuto a fornire il flusso di informazioni
“istituzionalizzato” al collegio sindacale.
In presenza di competenze gestorie conferite ai soci o ai singoli soci spetta
pertanto in ogni caso agli amministratori lo svolgimento di un’attività sia nella fase per
così dire “preparatoria” delle scelte gestionali, sia in quella esecutiva delle medesime.
Pertanto l’iter in qualche misura si spezza in vari momenti, quello preparatorio,
quello decisionale e quello esecutivo. Naturalmente la complessità della procedura e
l’eventuale netta separazione delle fasi saranno molto differenti da caso a caso, in
funzione delle dimensioni e dei caratteri della società, nonché del rilievo dell’atto
gestorio.
5
E v. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitale, Milano, 2005,
60 ss.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
In ogni modo, se si accolgono tali considerazioni, il ruolo degli amministratori
risulterà comunque di notevole rilievo e sicuramente tale da giustificare la
responsabilità degli stessi anche per le decisioni poste in essere dai soci. La
qualificazione di questi ultimi, quando ad essi siano attribuite competenze gestorie,
come soci “cogestori” appare pertanto quanto mai idonea ad individuare l’effettiva
posizione degli stessi.
2. La delega di potere gestorio nell'ambito della s.r.l..
La delega di potere gestorio non è evidentemente compatibile con il regime di
amministrazione disgiunta; forse potrebbe esserlo con quello di amministrazione
congiunta; sicuramente lo è in caso di formazione del consiglio di amministrazione
(qualunque siano poi le modalità adottate per il suo funzionamento).
Si tratta di istituto, sia pure non previsto nell’ambito della società a
responsabilità limitata, ammissibile anche con riferimento a tale tipo?
L’amplissima autonomia concessa ai soci nel modellare la disciplina degli
6
amministratori induce a ritenere che il quesito debba avere una risposta positiva . In
particolare la possibilità del ricorso al regime di amministrazione disgiunta comporta a
maggior ragione l’ammissibilità della delega in caso di costituzione del consiglio di
amministrazione (e forse in ipotesi di amministrazione congiunta).
Occorre, tuttavia, esaminare se, anche con riferimento alla società a
responsabilità limitata, valgano i limiti previsti per la società per azioni, tenuto conto
7
della sua maggior flessibilità .
Nell’ambito della società a responsabilità limitata (e forse a maggiore ragione,
data la posizione dei soci) pare necessaria, al fine di consentire la delega,
l’autorizzazione contenuta nell’atto costitutivo o in una decisione dei soci. La delega
non può avere ad oggetto le competenze inderogabilmente attribuite al consiglio di
6
L'opinione prevalente è nel senso dell'ammissibilità della delega gestoria anche nell'ambito
della società a responsabilità limitata, pur nel silenzio del legislatore al proposito. T ale
conclusione è avvalorata, oltre che dalla argomentazioni sistematiche illustrate nel testo, anche
da concrete esigenze operative, come confermato dalla diffusione dell'istituto nella prassi. V.,
per tutti, di recente, ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, II, in Il codice civile.
Commentario già diretto da P. Slechlesinger, continuato da F. Busnelli, Milano, 2010, 976 ss.;
ABU AWWAD, La delega di funzioni nel consiglio di amministrazione, in S.r.l. / commentario.
Dedicato a G. B. Portale, Milano, 2011, 568 ss.; CET RA, L'amministrazione delegata nella
s.r.l., in Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, II, T orino, 2014,
1679 ss.. Mi sia consentito di richiamare anche CAGNASSO, La società a responsabilità
limitata, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, Padova, 2007, 227.
7
V. l'ampia e approfondita trattazione di CET RA, op. cit..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
amministrazione dall’ultimo comma dell’art. 2475 c.c. e può assumere le modalità
fissate per la società per azioni8.
3. Gli assetti adeguati.
Dopo aver constatato che il legislatore della riforma non ha dettato regole con
riferimento a vari e rilevanti profili della governance della s.r.l. e dopo aver concluso
nel senso che, nonostante ciò, la delega di potere gestorio trova applicazione anche con
riferimento a tale tipo di società, sia pure in presenza di alcuni soltanto dei possibili
modelli di amministrazione, pare possibile affrontare il tema relativo all’applicabilità
della disciplina concernente gli assetti organizzativi adeguati prevista per la s.p.a. e, in
caso affermativo, ai limiti ed alle modalità di estensione di essa.
Al proposito pare opportuno prendere le mosse dal primo interrogativo, che
rappresenta il punto di partenza dell’indagine, concernente l’obbligatorietà o meno della
predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili nell’ambito delle
s.r.l.. Come è noto, e come risulta chiaramente dal dettato dell’art. 2381 c.c., nonché
dall’art. 2403 c.c., nell’ambito delle s.p.a. sussiste l’obbligo della creazione e
dell’applicazione di tali assetti anzi è lo stesso legislatore a sottolinearne il rilievo,
laddove impone al collegio sindacale la vigilanza sull’osservanza non solo della legge e
dello statuto, ma anche sul rispetto dei principi di corretta amministrazione,
individuando tra di essi, in particolare, l’adeguatezza degli assetti (art. 2403, primo
comma, c.c.). Pertanto gli amministratori di s.p.a. sono tenuti ad osservare legge e
statuto ed a rispettare i principi di corretta amministrazione: in posizione preminente tra
essi si collocano la creazione e l’applicazione di assetti adeguati. La stessa regola vale
anche per gli amministratori di s.r.l.? Oppure, con riferimento a quest’ultima, la
creazione degli assetti non risulta obbligatoria?
Nell’uno e nell’altro caso (e quindi sia nell’ipotesi di obbligo di legge, come nel
caso di previsione statutaria) è necessario poi individuare quali siano i soggetti tenuti
alla predisposizione degli stessi. L’analisi deve essere condotta alla luce dei vari scenari
ipotizzabili e che la flessibilità della disciplina delle s.r.l. consente di adottare:
amministratore unico; consiglio di amministrazione con applicazione della regole della
collegialità piena; consiglio di amministrazione con applicazione della tecnica della
collegialità attenuata; consiglio di amministrazione che si avvale della delega di potere
gestorio; amministrazione disgiunta o congiunta; competenze gestorie attribuite ai soci.
Infine occorre esaminare i problemi relativi, sempre tenendo conto dei vari
scenari possibili, all’attività di valutazione e di vigilanza, che, nel caso della s.p.a., sono,
rispettivamente, compito del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale.
8
E v. ancora, con soluzioni difformi da quelle indicate nel testo, sui temi richiamati, da ultimo,
CET RA, op. cit..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
4. L’obbligatorietà della predisposizione di assetti adeguati nell’ambito
della s.r.l..
All’interrogativo concernente l’obbligatorietà o meno della predisposizione di
assetti organizzativi adeguati nell’ambito della s.r.l., tenuto conto del silenzio al
proposito del legislatore, è possibile fornire una delle tre seguenti risposte.
Una prima soluzione potrebbe essere nel senso dell’assenza di un simile dovere
e ciò in particolare alla luce della mancanza di indicazioni espresse al proposito da parte
del legislatore.
Una seconda possibile risposta, esattamente opposta alla precedente, potrebbe
essere nel senso della sussistenza dell’obbligo, attraverso l’estensione, sia pure con i
necessari limiti e correttivi, delle norme dettate in tema di società per azioni.
M a sarebbe anche adottabile un’ulteriore soluzione, di carattere intermedio, che
limiti l’obbligo ai casi in cui risulta necessaria la presenza di un organo di controllo o
del revisore e quindi oggi all’ipotesi in cui la società sia tenuta alla redazione del
bilancio consolidato; controlli una società obbligata alla revisione legale dei conti; sia
tenuta alla redazione del bilancio di esercizio in forma ordinaria. Tale soluzione
potrebbe trovare un aggancio normativo nel quinto comma dell’art. 2477, in cui si
prevede che, nel caso di nomina di un organo di controllo, anche monocratico, si
applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni.
Tra esse, come si è già osservato, vi è l’art. 2403 c.c., che prevede appunto la
vigilanza sugli assetti organizzativi. Se si accogliesse tale tesi, sussisterebbe una sorta di
binomio: presenza necessaria dell’organo di controllo – obbligo di creazione di assetti
adeguati. Rimarrebbe il dubbio se tale obbligo sussista anche qualora venisse scelta
l’opzione di nominare un revisore (o una società di revisione).
La prima soluzione non pare accoglibile in quanto, almeno con riferimento
all’ipotesi della presenza obbligatoria dell’organo di controllo, il rinvio alla disciplina
della s.p.a., e quindi in particolare alla norma fondamentale che elenca le competenze
dei sindaci, esclude che vi sia un vero e proprio vuoto normativo e sembra per contro
chiaramente presupporre la sussistenza dell’obbligo di redigere gli assetti adeguati.
Anche la soluzione per così dire intermedia, pur avendo una certa sua
razionalità, crea una serie di problemi relativi alla precisa individuazione dell’area di
obbligatorietà della creazione degli assetti e soprattutto pare poco persuasiva, tenuto
conto della rilevanza di questi ultimi. In altre parole, se può essere comprensibile che il
controllo “esterno” sia necessario solo in presenza di s.r.l. “sopra soglia”, pare difficile
ipotizzare che la creazione di assetti adeguati costituisca un obbligo limitato a tale
ambito.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
Vari argomenti sembrano, per contro, giustificare la sussistenza dell’obbligo in
questione in ogni caso di s.r.l., così come tale obbligo sussiste in ogni caso di s.p.a9.
Si tratta invero, a mio avviso, di una regola non correlata ai caratteri tipologici
dell’uno e dell’altro modello societario, ma alla governance di una società caratterizzata
dal regime della responsabilità limitata.
Pare particolarmente significativa, come si è richiamato più volte, l’enfasi data
dal legislatore a tale regola nel contesto dei principi di corretta amministrazione. Ciò
posto, come sembra molto difficile ipotizzare che i principi in esame non valgano per i
gestori di s.r.l., così pare molto difficile ipotizzare che l’applicazione di tali principi non
comprenda la regola sugli assetti.
D’altra parte sia i principi di corretta amministrazione sia conseguentemente
l’obbligo di creare assetti adeguati rappresentano parametri di fondamentale rilievo al
fine di individuare i presupposti della responsabilità degli amministratori di s.p.a.:
tenuto conto della presenza dell’azione sociale di responsabilità anche nel contesto della
s.r.l., sembra arduo ipotizzare che valgano parametri differenti.
D’altra parte lo stesso legislatore stabilisce che gli assetti debbono essere
adeguati tenuto conto delle dimensioni dell’impresa e quindi si tratta di procedure
adattabili alle diverse realtà ed ai diversi contesti in cui la s.r.l. può essere chiamata ad
operare. Il loro contenuto quindi può ridursi a regole di carattere elementare in presenza
di micro imprese o assumere la portata e complessità rese necessarie dalla dimensione
medio-grande dell’impresa societaria.
In conclusione, anche nella s.r.l., a mio avviso sussiste l’obbligo della creazione
di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alle dimensioni ed alla natura
dell’impresa. Si tratta ancora, come si è già anticipato, di ricostruirne la disciplina e
quindi in particolare di verificare a chi competa predisporli, e controllarli.
5. La predisposizione di assetti adeguati.
Come si è già sottolineato, occorre, al fine di individuare i destinatari
dell’obbligo della predisposizione di assetti adeguati, tener distinti i vari possibili
scenari e quindi i modelli di governance adottati dai soci.
5.1. Amministratore unico e consiglio di amministrazione senza delega.
Nel caso in cui l'organo gestorio delle s.r.l. sia costituito dall'amministratore
unico o da un consiglio di amministrazione che non si avvalga della delega di potere
gestorio, così come per la s.p.a., sarà compito di questi ultimi predisporre gli assetti
organizzativi adeguati.
9
In questo senso, con ampia motivazione, IRRERA, op. cit., 299 ss.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
Problema peculiare che si pone nell'ambito delle s.r.l. è quello di verificare se
tale distribuzione di competenze sia di carattere inderogabile oppure se si tratti di
compiti attribuibili, in tutto o in parte, alle decisioni dei soci o a singoli soci, come
diritto particolare, attraverso una clausola ad hoc contenuta nell'atto costitutivo. O
ancora, in assenza di essa, se singoli amministratori o i soci che rappresentino almeno
un terzo del capitale sociale abbiano la facoltà di "ribaltare" tale compito affidandolo
alla decisione dei soci.
In altre parole, si tratta di verificare se l'elenco delle attribuzioni,
inderogabilmente affidate dall'ultimo comma dell'art. 2475 c.c. all'organo
amministrativo, possa essere ampliato, comprendendo, oltre la redazione dei progetti di
bilancio, di fusione e di scissione e l'aumento delegato del capitale sociale, anche
ulteriori competenze ed in particolare quella di predisporre gli assetti (ed i piani
strategici).
Come già osservato nelle pagine precedenti, mi era parso di dover dare risposta
positiva rispetto all'attività di tipo istruttorio e preparatorio degli atti di gestione
attribuiti alle decisioni dei soci o ai singoli soci. La stessa soluzione, a maggior ragione,
vuole per la creazione degli assetti, che in qualche modo si pongono "a monte" di tale
attività.
Tale conclusione è stata oggetto recentemente di una valutazione critica.
In un approfondito saggio dedicato all'amministrazione delegata nella s.r.l. si
osserva che "è ragionevole ritenere che le decisioni per le quali possa ravvisarsi un
interesse dei soci alla relativa assunzione o degli amministratori alla devoluzione ai
soci siano le decisioni diverse dalla gestione corrente e, esemplarmente, le decisioni
10
che attengono agli assetti organizzativi societari e alla gestione strategica" .
"Viceversa, è da ritenere remota l'eventualità che i soci e gli amministratori
abbiano il divisato interesse per le decisioni che attengono alla gestione corrente"11.
Pur affrontando un profilo di grande interesse e poco esplorato, non mi pare che
tali conclusioni possano essere condivise. In primo luogo, nel caso di società ove
sussista una differenziazione tra soci amministratori e soci non amministratori e quindi
tra soci che gestiscono la società e soci finanziatori, sembra ben difficile ipotizzare un
interesse di questi ultimi alla predisposizione degli assetti adeguati. Per contro, sempre
in presenza di una contrapposizione tra soci gestori e non, può esservi un preciso
interesse ad una decisione estesa a tutti i soci che abbia ad oggetto anche atti di gestione
ordinaria, laddove, ad esempio, il loro valore superi un certo ammontare. M a, al di là di
tali considerazioni effettuate sulla base della prassi societaria, sia i caratteri dell'attività
di predisposizione degli assetti organizzativi, sia l'elenco delle attribuzioni conferite in
10
11
CET RA, op. cit., 1689
CET RA, op. cit., loc. ult. cit..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
15
STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
via inderogabile agli amministratori inducono, a mio avviso, a ritenere che la
predisposizione degli assetti rappresenti un compito proprio esclusivamente dei gestori.
Infatti si tratta di una competenza di carattere tecnico e che pare connaturale alla
gestione della società. D'altra parte l'aver escluso la redazione dei progetti di bilancio, di
fusione e di scissione dall'attribuibilità alle decisioni dei soci sembra necessariamente
ricomprendere anche la predisposizione degli assetti, che in qualche misura si pongono
"a monte" di tali atti (si pensi in particolare alla predisposizione degli assetti adeguati in
materia contabile). M a soprattutto, se si condivide la tesi che ho cercato di illustrare
nella pagine precedenti in ordine alla competenza esclusiva degli amministratori nello
svolgimento dell'attività preparatoria ed istruttoria delle scelte gestionali affidate ai soci,
la stessa conclusione vale per la predisposizione degli assetti, che rappresentano i
procedimenti da utilizzare proprio per svolgere tale attività.
M i sembra, in conclusione, condivisibile l'osservazione, per cui occorre
"distinguere tra la cura degli assetti e la loro valutazione che comprende anche
l'approvazione. La cura degli assetti è un'attività di carattere tecnico che non può
essere assegnata ai soci. Diverso è il discorso con riferimento alla valutazione che può
12
essere attribuita ai soci" , "Utile, al riguardo, può essere il parallelo con il bilancio di
esercizio la cui redazione - implicando scelte di carattere tecnico ed operative - non
può che essere di appannaggio degli amministratori, mentre la sua approvazione comportando ciò espressione di un giudizio - è di competenza dei soci" 13.
Tale conclusione comporta evidentemente che, in ordine alla predisposizione
degli assetti, verrà in considerazione esclusivamente la responsabilità degli
amministratori, a cui si affiancherà quella dei soci solo nel caso di attribuzione agli
stessi del compito della loro valutazione.
5.2. Amministrazione disgiunta o congiunta.
Lo stesso ultimo comma dell'art. 2475 c.c., nell'attribuire all'esclusiva
competenza dell'organo amministrativo i compiti sopra delineati, esclude che per essi
possa valere il regime di amministrazione congiunta o disgiunta. E in effetti, come per i
vari progetti occorre l'adozione con decisione degli amministratori, lo stesso discorso si
estende alla predisposizione degli assetti. Come è stato esattamente osservato, "la
costruzione degli assetti, che costituiscono l'espressione di uno dei più rilevanti poteri
di carattere strutturale - organizzativo e che - nel contempo - rivestono un ruolo di
assoluto rilievo nell'adempimento dell'obbligo di amministrare correttamente la
società, deve essere collocata nel novero delle competenze spettanti collegialmente
12
13
IRRERA, op. cit., 307.
IRRERA, op. cit., loc. ult. cit..
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
16
STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
all'organo amministrativo, anche nel caso in cui i soci abbiano optato per i regimi
alternativi di amministrazione congiunta o disgiunta" 14.
5.3. Consiglio di amministrazione con delega di potere gestorio.
Un ulteriore rilevante interrogativo concerne la delegabilità della creazione degli
assetti nel caso di previsione del Consiglio di Amministrazione e di utilizzazione della
delega di potere gestorio.
Con riferimento alla disciplina della società per azioni, l'art. 2381 c.c. sembra
attribuire ex lege tale compito agli organi delegati. In dottrina sono state espresse
opinioni differenti in ordine alla derogabilità di tali norme. Più precisamente il
legislatore introduce una sorta di ripartizione verticale di competenze, conferendo ai
delegati il compito di redigere gli assetti ed al consiglio quello di valutarli. Dubbio,
come si diceva, è se tale ripartizione abbia carattere inderogabile oppure possa essere
15
modificata, escludendo dalla delega la predisposizione degli assetti .
Anche gli Autori che ritengono inderogabile nell'ambito della s.p.a. la
ripartizione verticale di competenza ammettono che tale conclusione non valga per la
s.r.l., tenuto conto sia della mancanza di una norma parallela all'art. 2381 c.c., sia
dell'ampia flessibilità della governance della stessa16. Pertanto la disciplina contenuta
nell'art. 2381 c.c., anche qualora fosse letta nel senso della sua inderogabilità, non è di
ostacolo ad una differente ripartizione dei compiti tra consiglio e delegati nell'ambito
della s.r.l..
Recentemente, nello studio che si è già avuto occasione di richiamare dedicato
alla delega gestoria nella s.r.l., si è affermato che la creazione degli assetti non può
essere oggetto di delega nell'ambito delle s.r.l. e ciò soprattutto tenuto conto della
circostanza che le decisioni relative alla creazione degli assetti possano essere attribuite
ai soci. In particolare "la circostanza che per queste ultime decisioni sussista una
condivisione (o compresenza) di competenza tra soci e amministratori induce ad
escludere che le stesse possano essere passibili di ulteriore ripartizione interna, in seno
17
all'organo amministrativo" .
A mio avviso, la tesi non può essere condivisa. In primo luogo, come si è cercato
di dimostrare, si tratta di una competenza inderogabilmente propria dell'organo
14
IRRERA, op. cit., 305.
Nel senso dell'inderogabilità v., per tutti, ampiamente IRRERA, op. cit., 216 ss.; nel senso
della derogabilità v., per tutti, ABBADESSA, Profili topoci della nuova disciplina della delega
amministrativa, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Campobasso, II, Torino, 2006,
493 ss.
16
IRRERA, op. cit., 303 s..
17
CET RA, 1689.
15
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
17
STUDI E OPINIONI
ASSETTI ADEGUATI NELLA SRL
amministrativo. Inoltre, anche qualora fosse conferibile alle decisioni dei soci o di
singoli soci, non si vede come ciò comporti l'inammissibilità della delega. In effetti, se
si tratta di attribuzione affidata dall' atto costitutivo delle decisioni dei soci o di singoli
soci, viene meno la competenza del consiglio di amministrazione al proposito (salvo
forse la delegabilità dell'attività istruttoria e di esecuzione in ordine a tale decisione).
In caso contrario, sempre sul presupposto che si tratti di competenza attribuibile
ai soci per decisione di singoli amministratori o di tanti quotisti che rappresentino un
terzo del capitale sociale, mi pare che tale meccanismo di "ribaltamento" di singoli atti
possa venire in considerazione sia in presenza di atti di competenza del consiglio, sia in
presenza di atti conferiti agli organi delegati. Nell'un caso e nell'altro singoli
amministratori o i soci che rappresentino la percentuale indicata potranno "bloccare"
l'attività del consiglio o dei delegati e attribuire la decisione dell'atto ai soci.
Infine, se la predisposizione degli assetti è delegabile dal consiglio nell'ambito
della società per azioni (e anzi, secondo alcuni Autori, la delega è addirittura imposta
dal legislatore) non si vede come tale regola non debba valere per la s.r.l.. In ogni caso,
mancando una disciplina ad hoc, l'eventuale delega avente per oggetto la creazione
degli assetti deve risultare da una deliberazione espressa del consiglio di
amministrazione.
6. La valutazione e la vigilanza.
Nel caso in cui la creazione degli assetti sia compito dei delegati, spetterà al
consiglio la loro valutazione, così come previsto per la società per azioni dall'art. 2381
c.c.. Si è già rilevato che tale competenza può essere attribuita alla decisione dei soci e
forse anche ad un singolo socio come diritto particolare, con conseguente responsabilità
di questi ultimi, unitamente sempre a quella degli amministratori.
Nel caso di s.r.l. che abbia nominato un sindaco unico o un collegio sindacale, in
quanto sussistono i presupposti che ne rendono obbligatoria la previsione, spetterà a
questi ultimi la vigilanza sugli assetti e sul loro adeguamento e ciò in ossequio all'art.
2403 c.c., applicabile alla s.r.l. in virtù del rinvio contenuto nell'art. 2477 c.c. alla
disciplina dei sindaci di società per azioni.
Più problematica è l'ipotesi in cui venga nominato un revisore. In tal caso non
sussiste una norma parallela e forse la vigilanza può essere ritenuta circoscritta agli
assetti contabili.
L'organo o il soggetto di controllo nominato facoltativamente ha, ai sensi
dell'art. 2477 c.c., i compiti attribuiti dall'atto costitutivo. Tra essi può essere compresa
anche la vigilanza sugli assetti.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
18
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA: UN OSSIMORO O UN
CONNUBIO INDISPENSABILE PER USCIRE
DALLA CRISI?
In controtendenza rispetto al crescente interesse per il tema della “responsabilità sociale
dell’impresa”, in questo lavoro s’intende rivalutare il dovere di osservare la legge e
dimostrare che per conciliare la tutela degli stakeholders con la massimizzazione del
profitto è necessario non dimenticare l’insegnamento di Calamandrei: «nell’incertezza
su quali siano le regole dell’etica muovere dall’etica del rispetto delle regole
(giuridiche) segnerebbe sicuramente un forte progresso». A questa conclusione si è
arrivati alla luce di un raffronto con il diritto inglese (che prevede il dovere degli
amministratori di perseguire the success of the company) e statunitense (che vorrebbe
rivalutare il duty of obedience).
di MARINA SPIOTTA
1.
Scelta dell'argomento.
Non è facile parlare di RSI (acronimo di “Responsabilità sociale d’impresa”) o,
per usare la terminologia anglosassone, di CSR (“Corporate Social Responsibility”)1.
La prima difficoltà è rappresentata da una certa promiscuità di linguaggio2.
1
Una nota su questo tema è improponibile. Per una ricognizione bibliografica si rinvia ai
seguenti volumi in lingua italiana che lo affrontano con maggior ampiezza di prospettive:
AA.VV., Guida critica alla responsabilità sociale e al governo dell'impresa, a cura di L.
Sacconi, Roma, 2005; AA.VV., La responsabilità dell'impresa - Per i trent'anni di
Giurisprudenza Commerciale, Milano, 2006; La responsabilità sociale dell'impresa, a cura di
G. Conte, Roma-Bari, 2008; E. BELLISARIO, La responsabilità sociale delle imprese fra
autonomia e autorità privata, Torino, 2012. Per la letteratura straniera v. G. SPINDLER,
Corporate Social Responsibility in der AG-Mythos oder Realität?, in Festschrift für Peter
Hommelhoff, Köln, 2012, pp. 1133 ss.; L. NURIT-PONTIER, L’inscription statutaire, vecteur
juridique de RSE?, in Rev. sociétés (Francia), 2013, p. 323; P. LE CANNU-B. DONDERO, Droit
des societés, Paris 2013, n. 1256, p. 798 ss.; M. RUIZ MUÑOS, Un apunte critico sobre la
Responsabilidad Social Corporativa, in Rds (Spagna), 2012, p. 155 ss.; P. FORSTMOSER,
Corporate Responsibility and Reputation — zwei Schlüsselbegriffe an der Schnittstelle von
Recht, Wirtschaft und Gesellschaft, in Unternehmen-Transaktion-Recht. Liber Amicorum für
Rolf Watter, Zurich, 2008, p. 197 ss.
2
Per molti Autori i termini “impresa”, “etica” e “impresa socialmente responsabile” sono
sinonimi; per altri "etica degli affari" non è sinonimo di "impresa etica" o “impresa socialmente
responsabile”. L’etica è accostata all’impresa e al diritto talora come sostantivo, talaltra come
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
19
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
La definizione che ha riscosso più consensi è quella proposta dalla
Commissione europea nel Libro Verde3 secondo la quale: «per RSI s'intende
l'integrazione su base volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle
imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate4. Le
imprese hanno un comportamento socialmente responsabile se decidono di andare oltre
le prescrizioni minime e gli obblighi giuridici derivanti dai contratti collettivi per
rispondere alle esigenze della società (…) Le pratiche che si ispirano al concetto di RSI
non si sostituiscono all'azione dei pubblici poteri, ma possono contribuire a realizzare
una serie di obiettivi che essi perseguono».
Si potrebbe sinteticamente dire che questa teoria cerca di conciliare tre P (Profit,
People, Planet) e di promuovere uno sviluppo sostenibile, che soddisfa i bisogni del
presente senza compromettere la possibilità, per le generazioni future, di fare altrettanto.
Le parole chiave5 sono “volontarietà” e “altruismo”: la prima allude al fatto che
l’impresa socialmente responsabile decide spontaneamente di andare oltre le
prescrizioni minime di legge e gli obblighi giuridici per contribuire al miglioramento
della società civile e dell’ambiente; la seconda implica attenzione ai «portatori di
interessi» (non di diritti).
Non è filantropia o volontariato6 ma un modello di governance allargata a
interessi extrasociali (dei dipendenti, fornitori, consumatori, finanziatori, della
collettività in genere, dell’ambiente) che cerca di conciliare tra loro.
La RSI è potenzialmente in grado di innestare una concorrenza virtuosa tra
imprese ma anche una concorrenza sleale: si è infatti osservato7 che i codici etici,
aggettivo. La dottrina ha anche giocato sull’ordine delle parole proponendo titoli d’effetto,
originali e stimolanti: cfr. G. BOSI, Impresa etica, etica d’impresa e diritto societario, in Giur.
comm., 2011, I, p. 124. Rimane in ogni caso una netta differenza concettuale con l’impresa
“sociale” disciplinata dal d.lgs. n. 155 del 2006.
3
Libro Verde, «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese»,
Bruxelles, 18 luglio 2001, Com. (2001) 366, disponibile sul sito internet
http://ec.europa.eu/employment_social/socdial/csr/greenpaper_it.pdf.
4
Nel testo inglese: «a concept whereby companies integrate social and environmental concerns
in their business operations and in their interaction with their stakeholders on a voluntary
basis».
5
Individuate da C. ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina,
in Giur. comm., 2011, I, p. 159.
6
L'integrazione della CSR nel business model implica una coerenza complessiva di scelte
aziendali, anche non immediatamente percepibili dai consumatori (come l’impiego di tecniche
produttive di minore impatto ambientale o di maggiore conforto per i lavoratori, ecc.). Inoltre
mentre la logica della filantropia è quella della “concessione” o “compassione”, la RSI poggia
sul principio della “pari dignità” di tutti i soggetti coinvolti.
7
S. ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, in Riv. dir. soc., 2008, p. 27.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
20
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
almeno laddove “promettono l’impossibile” (ossia l’equo contemperamento tra opposti
interessi) andrebbero addirittura vietati perché idonei a trarre in inganno il pubblico e
si risolverebbero in operazioni di puro marketing (“comprami e farai del bene”).
Essa trova un «aggancio normativo»8 nell’art. 41 Cost. che contiene almeno due
di quei caratteri che oggi sembrano costituire i "pilastri" dell'impresa socialmente
responsabile, quando, dopo aver proclamato la libertà di iniziativa economica, precisa
che «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», in tal modo delineando un modello
d'impresa portatore di benessere per la comunità e rispettoso dei più elementari diritti
della persona umana9.
Ma l’utilità sociale è l’obiettivo o un limite10?
Anche se, come dice Umberto Veronesi ispirandosi ad Aristotele, «l'etica, è
meglio averla come guida che come freno», stando alla formulazione testuale dell’art.
41, la non contrarietà all'utilità sociale, alla dignità e alla sicurezza delle persone
sembrerebbe un limite e non la ragion d'essere dell’attività imprenditoriale.
2.
Segue: e del titolo.
Ho posto sul tappeto una domanda e vorrei provare a rispondere.
Prima facie, l’accostamento tra impresa ed etica (intesa come sinonimo di
“morale”) potrebbe sembrare un ossimoro: si è soliti dire che "gli affari sono affari" e
che nel mondo del commercio “tutto è lecito”.
Il premio Nobel per l’economia Friedman affermava nel 1970 che «vi è una sola
responsabilità sociale dell’impresa: aumentare i profitti»11. Ancora oggi i detrattori della
RSI12 condividono la visione di detto studioso, il quale rigettò con forza la stakeholder
8
L’espressione è mutuata da G. DE FERRA, La responsabilità sociale dell'impresa, in Riv. soc.,
2008, p. 355.
9
Il co. successivo dell’art. 41 rinvia ai programmi e ai controlli per indirizzare e coordinare a
fini sociali l’attività economica, pubblica e privata. Si ricorda anche l’art. 4, 2° co., Cost.: «Ogni
cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o
una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della Società».
10
Il dibattito è attuale, data la proposta (che deriva proprio da una lettura negativa, non da tutti
condivisa) di modificare l’art. 41 Cost.: cfr. L. DELLI PRISCOLI, Il limite dell’utilità sociale nelle
liberalizzazioni, in Giur. comm., 2014, I, pp. 352 ss.; A. SITZIA e D. SEGA, Le “dimensioni”
della responsabilità sociale dell’impresa e le fonti di regolazione: questioni in materia di
impresa, lavoro e sicurezza, in Dir. relaz. ind., 2011, pp. 673 ss.
11
M. FRIEDMAN, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, in New York
Times Magazine (September 13, 1970), p. 126.
12
V. in particolare G. ROSSI, L’etica degli affari, in Riv. soc., 1992, p. 542; ID., Crisi del
capitalismo e nuove regole, in Riv. soc., 2009, p. 929; ID., Il conflitto epidemico, Milano, 2003;
ID., Il gioco delle regole, Milano, 2006, p. 43. Sulla stessa linea di pensiero, ma con riferimento
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
21
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
view sostenendo che «i managers sono agenti per conto terzi e dipendenti dei
proprietari-azionisti, e che devono agire nell'interesse esclusivo di questi ultimi».
Utilizzare il denaro dei soci per risolvere problemi sociali significherebbe – secondo una
sua celebre e icastica affermazione - fare della beneficenza con i soldi degli altri, senza
averne il permesso e senza dare un corrispondente servizio, violando il principio del «no
taxation without representation».
Se ben si riflette, però, ci si rende conto che i due termini accostati nel titolo non
sono così antitetici e inconciliabili come potrebbe sembrare.
Innanzitutto, la fiducia è sempre stata la linfa vitale dei mercati13 (percezione già
chiara a Firenze nel 1200 con la rottura del banco del commerciante che la tradiva con
la sua insolvenza) e tra fiducia ed etica c’è un rapporto stretto14. Lo stesso Milton
Friedman, pur individuando la funzione dell'imprenditore in quella «to make as much
money as possible»15, precisava che ciò deve avvenire «while conforming to the basic
rules of the society, both those embodied in law and those embodied in ethical
custom»16.
A rigore, bisognerebbe altresì distinguere (rievocando il filosofo Hegel) tre
sfere: la moralità, il diritto e l’eticità.
La moralità ha come contenuto i valori personali, dettati dalla coscienza
individuale; il diritto è costituito dalle norme che, se non rispettate, lo Stato sanziona
con i propri tribunali; l’eticità è invece una fonte intermedia tra moralità e diritto: in
essa i diritti/doveri non sono né liberamente scelti (come nella morale), né imposti
(come nel diritto), ma condivisi in una relazione di intersoggettività. Spesso i valori etici
diventano la forza propulsiva che spinge a creare le leggi17.
ai mercati finanziari, v. S. SCOTTI CAMUZZI, Finanza etica ed etica della finanza. La
"Responsabilità sociale dell'impresa" nel settore della finanza, in Jus, 2005, pp. 103 ss.
Sottolineano l’insufficienza dell’approccio volontaristico anche L. GALLINO, L'impresa
irresponsabile, Torino, 2005 e, limitatamente ai profili di politica ambientale, M. LIBERTINI, La
responsabilità dell'impresa per l'ambiente, in La responsabilità dell'impresa - Per i trent'anni di
Giurisprudenza Commerciale, Milano, 2006, pp. 199 ss.
13
Si è soliti dire, per stigmatizzare la “caduta di valori”, che la stretta di mano di una volta
valeva più di un contratto di oggi.
14
Ben sottolineato da A. GAMBINO, Etica dell’impresa e codici di comportamento, in Riv. dir.
comm., 2005, I, p. 890, il quale aggiunge che «la fiducia è fede che vieta di andare contra
factum proprium, che corrisponde alle aspettative dell’altra parte e che si è tradotta, sul piano
giuridico, nella clausola generale di buona fede».
15
Viene spontaneo ripensare a quanto Henry Ford dichiarava in un’intervista del 1919:
«un’impresa che fa null’altro che soldi è un’impresa veramente modesta».
16
La citazione è tratta dall’intervento The Social Responsibility of Business is to Increase its
Profits, in The New York Times Magazine, 13 settembre 1970.
17
V. infra il § 3.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
22
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
Ma allora quello tra impresa ed etica è un connubio indispensabile per uscire
dalla crisi?
Certamente una concausa importante della crisi finanziaria di questi anni è stata
la mancanza di etica18 (che avrebbe caratterizzato il comportamento di molte imprese,
banche, intermediari finanziari19) ed è proprio per effetto della crisi che si è riacceso il
dibattito sull’etica (naturalmente, ça va sans dire, non basta parlarne per risolvere tutti i
problemi).
Ma l’interesse crescente per il tema della RSI si deve anche alla globalizzazione
e alla conseguente delocalizzazione dell’attività produttiva. Si è giustamente rilevato20
che quando l’impresa era ben radicata nel territorio, con il quale sviluppava relazioni di
natura non solo economica, ma anche sociale e culturale, l’imprenditore che si fosse
“comportato male” si trovava a dover rispondere alla sua gente, la quale rappresentava
anche il “mercato di sbocco” dei suoi prodotti (la RSI era in re ipsa).
Oggi non è più così21: può ed è capitato22 che una multinazionale, pur
rispettando la normativa di un paese in via di sviluppo dove ha delocalizzato la
produzione, si ponga in contrasto con i valori etici del paese di origine (per es. in tema
di lavoro minorile o inquinamento) e che, per mantenere il consenso dell’opinione
pubblica, decida di adottare volontariamente comportamenti più restrittivi.
L’input che spinge gli imprenditori a fare più di quello che “impone la legge” è
spesso di tipo economico.
Quello tra etica e impresa potrebbe allora essere metaforicamente descritto come
un “matrimonio d’interesse” (e non solo fondato su ragioni di cuore)23. Uno studio
18
L'avidità dell'uomo per il denaro ha sempre rappresentato una componente distorsiva, tanto
che gli stessi "padri del capitalismo", A. Smith e Keynes, erano consapevoli della necessità di
porre un "freno" a questa indole umana. Così, G. ROSSI, Il conflitto epidemico, cit., p. 13.
19
A ciò occorre aggiungere le colpevoli omissioni di chi doveva vigilare. Con riferimento ai
noti scandali Enron, Cirio, Parmalat, si è soliti dire che ben sette livelli di controllo non hanno
funzionato alludendo a quello degli amministratori, dei sindaci, dei revisori, dei certificatori,
delle banche, della Consob e della Banca d’Italia.
20
S. ZAMAGNI, La responsabilità sociale d’impresa come fenomeno emergente, in L’impresa di
fronte alla polis, L’emergenza della responsabilità sociale d’impresa, a cura di Zamagni, Roma,
2007, p. 1.
21
Per rendere l’idea è sufficiente ricordare la bella metafora di Peter Drucker secondo cui
mentre in passato le imprese erano assimilabili alle piramidi d’Egitto oggi sono come leggere
tende piantate nel deserto che possono essere agevolmente spostate altrove.
22
Paradigmatico il caso “Nike”, costretta ad adeguare la sua politica di outsourcing a causa delle
proteste delle associazioni dei consumatori per lo sfruttamento della manodopera minorile.
23
Parte della dottrina parla (usando un vero e proprio ossimoro) di «codici etici di
convenienza»: v. F. DI SABATO, Profili giuridici dell’etica negli affari, in Banca, borsa, tit.
cred., 2005, I, p. 391.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
23
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
empirico24 ha, infatti, dimostrato che le imprese più attente ai temi della sostenibilità
sono: premiate dalla Borsa con un valore di quotazione più alto; accrescono la loro
reputazione e ciò agevola l’accreditamento sociale, abbatte i c.d. costi di transazione,
rende più semplice il reclutamento di personale e ne migliora la redditività25. In sintesi,
si è dimostrato (visione di Freeman26) che nel lungo periodo sarebbe impossibile
raggiungere i profitti senza tener conto dei vari portatori di interesse27.
3.
Temi più ampi.
Prima di entrare in medias res, vorrei ancora precisare che non mi occuperò di
temi che stanno “a monte” e che influenzano l’approccio alla RSI, la meditazione sui
quali ci porterebbe troppo lontano. Li enuncio soltanto28: si pensi alla nota
contrapposizione tra teoria contrattualista e teoria istituzionalistica dell’interesse
sociale29; alla visione della società come “nexus of contracts”30 (o, volendo prediligere
24
Curato dall’Università Bocconi e reso noto all’inizio del 2005. Gli esiti di tale studio sono
riferiti anche da G. CONTE, Codici etici e attività d’impresa nel nuovo spazio globale del
mercato, in Contratto e impresa, 2006, pp. 138 ss.
25
Una società dotata di asilo nido, ne trarrà un vantaggio nel reclutamento di personale
femminile.
26
Cfr. R. E. FREEMAN, Strategic Management. A stakeholder Approach, Boston, 1984.
27
Si pensi, in Italia, alla Olivetti. Cfr. L. GALLINO, L'impresa responsabile. Un'intervista su
Adriano Olivetti, Torino, 2001.
28
Rinviando ai numerosi contributi pubblicati che hanno ormai assunto dimensioni tali da
rendere impossibile una ricognizione con qualche pretesa di completezza.
29
Vexata quaestio che autorevole dottrina ha cercato di ridimensionare: cfr. G. COTTINO,
Contrattualismo e istituzionalismo (Variazioni sul tema da uno spunto di Giorgio Oppo), in Riv.
soc., 2005, pp. 707 ss. e in Scritti in onore di V. Buonocore, III, 1, Milano, 2005, pp. 2225 ss.
Anche per P. MONTALENTI, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi
compensativi, in Giur. comm., 1995, I, p. 718, il dibattito «è stato storicamente viziato da un
eccesso di ideologismo che ha offuscato a lungo la limpidezza dell’occhio del giurista
preoccupato o di riaffermare l’istituzionalismo come supporto, a livello di teoria giuridica, di
dottrine corporative, cristiano-sociali o neocapitalistiche, o di propugnare il contrattualismo, in
dipendenza della propria adesione al pensiero o liberale o marxista». L’Autore è «convinto che
la contrapposizione tra istituzionalismo e contrattualismo debba ritenersi superata e che debba
oggi affermarsi una concezione dialettica — nel senso tecnico del termine — dell'interesse
sociale come composizione tra interessi degli azionisti e interessi degli stakeholders» (P.
MONTALENTI, Crisi finanziaria, struttura dell'impresa, corporate governance, ODC-Roma, 20
giugno 2009, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, 4. Sulla discussa nozione di interesse
sociale v. infra il § 4.2.
30
La nexus of contracts theory, sviluppatasi nell'ambito dell'analisi economica del diritto,
riconduce la società a una rete di accordi tra privati, il più importante dei quali sarebbe quello
tra amministratori e soci contenuto nello statuto. Questa teoria è stata elaborata a partire dagli
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una dizione più neutra, come “nexus for contracts”31) che ne mette in ombra la valenza
istituzionale; al rapporto economia/etica32 e alla contaminazione etica/diritto.
Su quest’ultimo aspetto, mi limito a richiamare l’attenzione sul conflitto che può
nascere tra la certezza del diritto (che riguarda il comportamento esterno) e la
mutevolezza dell'etica (che può essere laica, cattolica, protestante), tra la coercibilità del
primo e l’incoercibilità della seconda. Si è soliti dire che il diritto è hard (dura lex sed
lex) mentre l’etica è soft33.
Ma anche in questo caso non bisogna enfatizzare le differenze: se, da un lato,
non si può legiferare la morale34, dall’altro, non è detto che le istanze etiche non
recepite in norme imperative siano destinate a restare scritte nel «libro dei sogni»35.
Lo stesso diritto (e qui torniamo al pensiero di Hegel) dovrebbe aiutarci a
distinguere il “bene” dal “male”, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto ed esercitare una
sorta di “pressione psicologica” anche se «difficile da valutare, perché non ne siamo
consapevoli» come non lo siamo dell’aria che respiriamo36. Si parla di un’innata
moralità del diritto37, che deve codificare i valori socialmente condivisi38. Tanto è vero
anni settanta da autorevoli studiosi (Alchian, Demsetz, Michael Jensen, William Meckling,
Frank Easterbrook e Fisher), ma è contenuta in nuce già in uno scritto del 1937 di Ronald
Coase, uno dei padri della law and economics. Si è obiettato che non tutti i rapporti facenti capo
a una società sono riconducibili ad accordi (si pensi a quelli interni tra soci di maggioranza e di
minoranza) e che la teoria neocontrattualista su cui si fonda il nexus of contracts non
contribuisce a spiegare le cause dei frequenti fallimenti del mercato, il cui verificarsi dimostra
che l'autonomia privata non è sufficiente a garantire l'efficienza, ma è necessario un parallelo
intervento pubblico, fatto di norme imperative. Nella letteratura italiana v. MARCHETTI, La
nexus of contracts theory. Teorie e visioni del diritto societario, Milano, 2000. In argomento v.
anche G. ROSSI- A. STABILINI, Virtù del mercato e scetticismo delle regole: appunti a margine
della riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, pp. 1 ss.
31
Questo sintagma sottolinea che la società, pur essendo parte contrattuale comune ai vari
contratti (con i consumatori, i fornitori, i dipendenti, ecc.), è distinta rispetto alle persone
fisiche.
32
A. SEN, Etica ed economia (trad. it. a cura di Maddaloni), Bari, 2002 (tit. orig. On Ethics and
Economics, Oxford, Basil Blackwell, 1987).
33
V. ex multis F. BORGIA, La soft law come strumento di regolamentazione delle attività delle
imprese multinazionali, in Dir. comm. internaz., 2010, pp. 309 ss.
34
L’etica (non consentendo soluzioni univoche) non può rappresentare la morte del diritto: così
G. ROSSI, Nell’etica comode scappatoie, in Il Sole 24 Ore, 23 aprile 2005, p. 10.
35
L’espressione è di A. GAMBINO, op. cit., p. 887.
36
K. OLIVECRONA, Il diritto come fatto, (1939), trad. it., Milano, 1967, p. 68: cfr. anche G.
BENEDETTI, Ancora in tema di diritto e morale, in Riv. internaz. di filosofia del diritto, 2012, p.
138.
37
Il dovere di obbedire alla legge, come scriveva Agostino nel De libero arbitrio, deriva dal
«non esse lex quae iusta non fuerit».
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che qualora l’applicazione pedissequa di una norma di legge porti a risultati
inaccettabili (summum ius, summa inuria), lo stesso legislatore cerca di “correre ai
ripari” in sede di interpretazione autentica39.
Ovviamente, qualora la regola etica sia attratta e assorbita nel mondo del
giuridico, cessa di essere tale. Vi è quindi un’osmosi40, che riflette l’interdipendenza
pubblico/privato (art. 118, 4° co., Cost.)41.
4.
Delimitazione dell’oggetto dell’indagine.
Vorrei ora affrontare un discorso il più possibile tecnico-giuridico42, verificando,
attraverso un’attenta ricognizione dei dati normativi (in primis, del codice civile), se e in
che misura vi siano degli spazi per una gestione “eticamente orientata”.
Queste le domande che occorre porsi: pur se auspicabile, è realistico immaginare
che l'impresa si occupi di qualcosa di diverso dal suo core business?
Agli amministratori si può chiedere di tener contro di interessi diversi da quelli
dei soci che li hanno nominati (e che possono revocarli)?
I managers sono ancora fiduciari degli azionisti o sono diventati dei
“mediatori”? Devono perseguire l’interesse egoistico dei primi alla massimizzazione del
profitto43 o il “bene comune”?
L’«utilità sociale» (di cui parla l’art. 41 Cost.) ha sostituito «l’interesse unitario
dell'economia nazionale» e «l’interesse della produzione [nazionale]» cui facevano
38
Sul rapporto tra imperativo morale e precetto normativo, e sul ruolo preminente
dell’interpretazione nell’evitare incongruenze tra l’uno e l’altro, sono sempre attuali le pagine di
T. ASCARELLI, Antigone e Porzia, in Problemi giuridici, Milano, 1959, I, pp. 11 ss. Più di
recente V. SCALISI, Assiologia e teoria del diritto (Rileggendo Rodolfo De Stefano), in Riv. dir.
civ., 2010, pp. 1 ss.
39
È accaduto recentemente sulla scia del Caso Merloni: sia consentito rinviare a M. SPIOTTA,
L’incidenza del badwill nella determinazione del valore dell’azienda, in corso di pubblicazione
su Giur. comm., 2014.
40
Posta in rilievo da F. CAFAGGI, La complementarietà tra responsabilità sociale e
responsabilità giuridica d’impresa, in AA.VV., Guida critica alla responsabilità sociale e al
governo d’impresa. Problemi, teorie e applicazioni della CSR, a cura di Sacconi, Roma, 2005,
pp. 226 ss.
41
Per approfondimenti si rinvia a E. BELLISARIO, La responsabilità sociale delle imprese fra
autonomia e autorità privata, Torino, 2012, passim. Una sintesi degli esiti di tale ricerca è
pubblicata in Danno e responsab., 2013, pp. 809 ss.
42
Compito arduo, essendo «tutt’altro che agevole isolare gli aspetti tecnico-giuridici rispetto a
quelli socio-economici, in senso lato etici»: C. ANGELICI, La società per azioni. I. Principi e
problemi, in Tratt. Schlesinger, Milano, 2012, p. 434.
43
Spesso inteso come sinonimo di speculazione e quindi in un’accezione negativa.
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riferimento gli artt. 2085, 2089, 2091 e 2595 c.c. e al quale allude il vigente art. 2412,
6° co., c.c.?
Il criterio dello shareholder value deve essere abbandonato in toto? Bonus e
stock options sono da abolire, da imitare, o da affidare all'integrity dei managers?
Come si vede, le domande sono tante, mentre – lo dico subito a mo’ disclaimer –
le certezze sono poche.
4.1. Paragone con i doveri degli amministratori nel diritto inglese.
Può essere utile muovere da un raffronto con la Sec. 172 del Companies Act
200644.
La norma esordisce dicendo che l'amministratore «must act in a way that he
considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for
the benefit of its members as a whole», ma, nel farlo, deve avere riguardo: a) alle
ipotizzabili conseguenze di ogni decisione nel lungo termine; b) agli interessi dei
dipendenti; c) alla necessità di favorire le relazioni d'affari con fornitori, clienti e altri;
d) all'impatto delle operazioni della società sulla comunità e sull'ambiente; e) alla
“desiderabilità” della società di mantenere «a reputation for high standards of business
conduct»; f) alla necessità di agire correttamente nei confronti dei soci.
La successiva Sec. 175, nel sancire il dovere degli amministratori di evitare
conflitti di interessi con particolare riferimento «allo sfruttamento di ogni proprietà,
informazione o opportunità», specifica che «è irrilevante se la società possa trarne
vantaggio».
Il combinato disposto delle suddette norme attribuisce rilievo a interessi
extrasociali, ma non conferisce agli stakeholders45 eventualmente pregiudicati la
legittimazione ad agire in giudizio, né in via diretta né facendo ricorso alla derivative
action. Ne consegue che la violazione di tali doveri è destinata a rimanere priva di
sanzione, salvo ipotizzare un’eventuale coincidenza fra qualità di socio e titolare
44
Part 10, Chapter 2, Section 172. Su tale istruttivo raffronto v. anche V. CALANDRA
BUONAURA, Responsabilità sociale dell’impresa e doveri degli amministratori, in Giur. comm.,
2011, I, pp. 526 ss. e in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano 2011, pp. 257 ss.; G. DE
FERRA, op. cit., p. 352; G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello
svolgimento dell’attività d’impresa, in Contratto e impresa, 2009, pp. 718 ss.; M. L. VITALI, I
doveri degli amministratori e le protezioni degli azionisti alla luce del nuovo diritto societario
inglese, in Riv. soc., 2008, p. 210; S. BRUNO, Profili del diritto societario inglese alla luce della
riforma, in Riv. soc., 2004, pp. 898 ss.
45
Poiché i doveri previsti dalla Sec. 172 sono «enforceable in the same way as any other
fiduciary duty owed to a company by its directors», soltanto i soci sono legittimati a farne valere
il mancato rispetto.
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dell'interesse pregiudicato46 o un'improbabile47 iniziativa giudiziaria per contestare la
mancata valutazione delle conseguenze di una certa scelta gestionale nel lungo
termine.
Alla luce di queste considerazioni, l'effettiva valenza giuridica della Sec. 172
consiste, non tanto nella previsione di un dovere, quanto piuttosto nel riconoscimento
della legittimazione degli amministratori a farsi carico degli interessi degli stakeholders,
seppure in una prospettiva ancorata alla promozione del successo della società a
beneficio dei suoi membri.
Se la conclusione è corretta, la ricaduta non sarebbe un aggravamento della
responsabilità ma, al contrario, un’attenuazione della stessa, in quanto gli
amministratori, responsabili verso molte categorie di soggetti, finirebbero48 per non
dover rispondere ad alcuna di esse.
4.2. Ricognizione delle norme del diritto societario italiano.
Nel nostro ordinamento giuridico manca una norma corrispondente nel senso che
il codice civile sancisce doveri generici e specifici, ma non precisa quale interesse
debbano perseguire gli amministratori di società.
La lacuna è colmata dalla dottrina ponendo come obiettivo l'interesse sociale.
Sennonché in questo modo il problema non è risolto ma spostato: cos’è, e cosa
ricomprende, l’interesse sociale49?
46
Come nel caso in cui il socio sia anche componente della comunità che ha subito il danno
provocato dalla decisione degli amministratori: es. la chiusura di uno stabilimento con le
relative conseguenze occupazionali.
47
La difficoltà di assolvere l’onere probatorio è rimarcata da V. CALANDRA BUONAURA, op.
cit., pp. 542 ss.
48
Così come aveva intuito T. ASCARELLI, Tipologia delle società per azioni e disciplina
giuridica, in Problemi giuridici, Milano, 1959, II, 1012, riguardo alla pretesa necessità di
tutelare l’interesse dei soci futuri.
49
Il punto di intersezione della nozione di interesse sociale con la RSI è ben focalizzato da F.
BORDIGA, Partecipazione degli investitori istituzionali alla s.p.a. e doveri fiduciari, in Riv. soc.,
2013, p. 221, nota 44: «si tratta, (…), di ambiti autonomi anche se, in parte, intersecanti.
Autonomi perché l'indagine sull'interesse sociale riguarda la ricostruzione degli obiettivi che
devono essere perseguiti dagli organi della società affinché la loro attività possa ritenersi
legittima; mentre quella sulla responsabilità sociale dell'impresa riguarda le regole e i principi di
carattere etico-morale (…), il cui rispetto e la cui promozione, su base volontaria (…), è da
considerarsi socialmente positiva. Mentre la prima nozione costituisce il criterio di giudizio del
comportamento degli organi in sede di accertamento della loro responsabilità penale e civile (o
in sede di accertamento della validità degli atti della società), il secondo rileva a livello
reputazionale o ai fini dell'accesso a determinati benefici pubblici o a certificazioni di qualità
(come, ad es., ISO 26000). I temi, tuttavia, si intersecano perché si discute se e fino a che punto
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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La risposta è tutt’altro che agevole50 dato che i soci, oltre a dividersi in attuali e
futuri, non rappresentano più una categoria omogenea bensì disgregata essendo
possibile emettere categorie di azioni (anche correlate a un certo settore di attività) e, se
si tratta di start up, categorie di quote, nonché strumenti finanziari (che possono anche
documentare la partecipazione ad un patrimonio destinato).
Se dare una definizione univoca di “interesse sociale” è già difficile, conciliarlo
con quelli extrasociali e questi ultimi tra loro diventa addirittura proibitivo, dato che
spesso sono confliggenti (si pensi al caso ILVA di Taranto51). É ovvio che gli
amministratori devono tutelare gli interessi degli stakeholders ogni qualvolta ciò sia
utile per il perseguimento degli scopi, lucrativi o mutualistici, dei soci.
Simmetricamente, i gestori verrebbero meno al loro dovere di diligenza se, per il fatto di
trascurare interessi “diversi” da quelli degli shareholders, compromettessero ad esempio
la reputazione della società e, indirettamente, gli interessi dei soci. Ma, al di fuori delle
ipotesi appena descritte (che, a ben vedere, esulano dalla RSI, giacché la tutela degli
altri interessi deriva dalle norme del diritto societario), chi gestisce un’impresa, non
potendo accontentare tutti, sembrerebbe costretto a scegliere il “male minore”.
Per capire quale sia, è sufficiente ricordare, in rapida sintesi, alcuni capisaldi del
diritto societario italiano prendendo come riferimento le società di capitali.
In particolare è noto che gli amministratori:
a)
almeno nella s.p.a., sono gli unici responsabili della gestione (lo si evince
dal combinato disposto degli artt. 2380 bis e 2364, 1° co., n. 5 c.c.52): tale precisazione,
le regole e i principi della CSR (in quanto volti alla tutela del c.d. sviluppo sostenibile) possano
o (come sembra preferibile) debbano essere in qualche modo compresi nella nozione,
vincolante, di interesse sociale».
50
La letteratura è molto ampia e prende le mosse dalla nota contrapposizione tra A. ASQUINI, I
battelli del Reno, in Riv. soc., 1959, p. 618, a cui avviso l’interesse sociale dovrebbe tener conto
della variabilità degli azionisti nel tempo e P. G. JAEGER, L’interesse sociale, Milano, 1964, pp.
92 ss. secondo il quale non vi può essere salvaguardia di un interesse autonomo dei soci futuri
quando gli attuali hanno il potere assoluto di decidere “se” ve ne saranno (argomento in parte
superato, per es. dall’art. 2443 c.c.). Più di recente v. P.G. JAEGER, L’interesse sociale rivisitato
(quarant’anni dopo), in Giur. comm., 2000, I, pp. 795 ss.; AA.VV., L’interesse sociale tra
valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Pier Giusto Jaeger,
Milano 2010; C. ANGELICI, L’interesse sociale tra contrattualismo e istituzionalismo, ODCRoma, 21-22 febbraio 2014, in www.orizzontideldirittocommerciale.it.
51
L’impresa può essere socialmente utile per i livelli occupazionali e lo sviluppo economico
dell'area in cui opera e socialmente dannosa per la salute o per l'ambiente.
52
Per Cass., 24 maggio 2012, n. 8221, in Società, 2012, p. 835, costituisce giusta causa di
revoca dell'amministratore di una s.p.a., agli effetti dell'art. 2383, 3° co., c.c., la sua adesione ad
un patto parasociale che rimetta le scelte gestorie alla volontà maggioritaria dei relativi
contraenti (c.d. sindacato di gestione).
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se, da un lato, potrebbe anche essere letta come «un’attenuazione dei diritti proprietari
dei soci», dall’altro, «non è idonea a legittimare il perseguimento di interessi diversi da
quelli degli azionisti»53;
b)
godono di ampia autonomia ma hanno come limite l’oggetto sociale (tale
riferimento non compare più nell’art. 2384, ma continua a figurare nell’art. 2380 bis 1°
co., c.c. e pur essendo discussa la sua configurabilità come limite legale o statutario e il
regime di opponibilità ai terzi54, è pacifico che la sua eventuale inosservanza espone gli
amministratori a revoca e ad azioni risarcitorie) nel senso che devono fare tutto ciò che,
direttamente o indirettamente55, ne consente il conseguimento, strumentale alla
realizzazione del profitto, scopo-fine del contratto di società. La situazione, volendo
continuare il raffronto comparatistico iniziato nel § 4.1, è molto diversa nella
legislazione societaria britannica, giacché la Sec. 31.1 del Companies Act 2006 consente
la costituzione di società con oggetto sociale “unrestricted”, cioè illimitato: “un esempio
che”, rispondendo (con esclusivo riferimento al tema in esame) all’interrogativo posto
in dottrina56, “non pare da imitare” dato che ha contribuito al tramonto della c.d. ultra
vires doctrine e, in ultima analisi, alla sottovalutazione del duty of obedience, inteso
come l’obbligo degli amministratori di una corporation for profit di rispettare le norme
di legge e statutarie nello svolgimento dei propri compiti (v. infra il § 5);
c)
sono nominati dai soci, che possono anche revocarli ad nutum (art. 2383
c.c.) e quindi agiscono a proprio rischio se decidono di trascurare le richieste dei loro
“elettori”;
d)
il loro compenso può essere incentivante, ossia parametrato agli utili
della società (art. 2389 c.c.) e sono noti i pericoli di questa forma di retribuzione e delle
stock options57 che potrebbero aumentare il c.d. moral hazard e favorire una short-term
business. Viceversa, l’ordinamento tedesco sancisce il principio della correlazione della
politica di remunerazione del Vorstand a una durevole crescita di valore dell'impresa nel
lungo termine58;
53
V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 531.
Per brevità sia consentito rinviare a M. SPIOTTA, Amministratori, in G. CAVALLI (a cura di),
Assemblea e amministratori, in Nuova giurisprudenza di diritto civile e commerciale. Collana
fondata da W. Bigiavi, Torino, 2013, pp. 634 ss.
55
V. infra il § 4.3.
56
Da M. BIANCA, La società con oggetto sociale “unrestricted”: un esempio da imitare?, in
Giur. comm., 2009, I, pp. 293 ss. V. inoltre P. MONTALENTI, Oggetto sociale e giurisprudenza
comunitaria, in Riv. dir. comm., 2008, pp. 1 ss.
57
Nelle società con azioni quotate v. l’art. 114 bis t.u.f.
58
V. il § 87 AktG (Aktiengesetz). Sull’argomento si rinvia a G. B. PORTALE, Un nuovo capitolo
del governo societario tedesco: l’adeguatezza del compenso dei Vorstandsmitglieder, in Riv.
società, 2010, pp. 1 ss. e in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber
Amicorum A. Piras, Torino, 2010, pp. 91 ss.
54
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STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
e)
sono responsabili all’esterno solo se abbiano reso il patrimonio sociale
insufficiente a pagare i creditori sociali (art. 2394 c.c.) o se con dolo o colpa abbiano
direttamente danneggiato singoli soci/terzi (art. 2395 c.c.)59, mentre all’interno può
essere loro contestata qualsiasi violazione degli obblighi legali e statutari;
f)
devono motivare la «convenienza per la società dell’operazione»
eventualmente deliberata dal plenum con il voto determinante dell’amministratore
portatore di un interesse (art. 2391 c.c.) e attestare che l’operazione (di assistenza
finanziaria ai sensi dell’art. 2358, 5° co., c.c.) realizzi al meglio l’interesse della società.
g)
Last but not least, occorre considerare l’art. 2497 c.c. che attribuisce
rilevanza all'interesse del socio «alla redditività e al valore della partecipazione sociale».
Peraltro, la norma prevede la responsabilità della holding (e, in solido, di chi abbia
preso parte al fatto lesivo o ne abbia tratto beneficio) solo quando il pregiudizio di tale
interesse sia il risultato della «violazione di principi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale», il che «potrebbe comportare la rilevanza di interessi ulteriori a quelli
rilevabili all'interno della società e quindi, in definitiva, a valori ed interessi che si
pongono al suo esterno»60.
Dalla rapida carrellata che precede, emerge un quadro normativo che «pone gli
amministratori in una posizione in cui la piena soddisfazione degli interessi dei soci li
mette al riparo sia dalla perdita dell'incarico, sia dalla responsabilità legale, mentre la
soddisfazione dell'interesse di altri stakeholders, se entra in conflitto con la
soddisfazione di quello dei soci, li espone, nella migliore delle ipotesi, a rischi e, nella
peggiore, alla certezza di conseguenze negative». «In questa situazione» - si è
cinicamente (rectius, realisticamente) osservato - «neppure a un Santo si può chiedere
di tenere l'imparziale comportamento del puro mediatore»61.
4.3. Quali spazi per una gestione “eticamente orientata”?
Dobbiamo allora rassegnarci a una “gestione machiavellica”?
A mio modesto avviso, la risposta non dovrebbe essere così tranchante. Infatti,
senza etica (e, prima ancora, senza il rispetto della legge: v. infra il § 5) tutto si
ridurrebbe a un’analisi costi-benefici. L’impresa non può comportarsi come
un’irriducibile “sociopatica”, sopra la legge e i valori socialmente condivisi perché,
rievocando la risposta data dall'economista e imprenditore tedesco Walther Rathenau
agli azionisti della Norddeutscher Lloyd, «non esiste per “distribuire dividendi, ma per
far andare i battelli sul Reno”».
59
Non constano precedenti in cui tale azione sia stata esperita ad es. dai lavoratori direttamente
danneggiati da dissennate politiche imprenditoriali.
60
C. ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, cit., p. 175.
61
F. DENOZZA, L’interesse della società e la responsabilità sociale dell’impresa, in Bancaria,
2005, p. 23.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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In una nota emblematicamente intitolata «Note minime divaganti e irriverenti
su amministratori, “perizia”, tangenti e responsabilità» autorevole dottrina62 non ha
potuto fare a meno di rimarcare come lo stesso tribunale di Milano, pur avendo emesso
una sentenza di condanna, non sia rimasto insensibile alle argomentazioni della difesa,
laddove, tra le righe della motivazione, addebita all’amministratore che aveva pagato
tangenti il fatto di non aver offerto, a fronte del danno, la prova di eventuali “utilità
riparatrici”.
Siffatto modo di ragionare costituirebbe un’applicazione “distorta” della teoria
dei vantaggi compensativi (art. 2497, 1° co., ultima parte, c.c.). “Distorta” perché (oltre
a non tener conto dei valori reputazionali63 e delle asimmetrie informative64) svilisce il
“principio di legalità”.
Con maggior fermezza, nel risalente caso Roth v. Robertson del 1909 i dirigenti
del parco di divertimenti di Coney Island furono considerati personalmente responsabili
per aver comprato il silenzio onde evitare la condanna della società per aver violato le
blue laws che proibivano lo svolgimento di attività commerciale di domenica. Il
tribunale evidenziò senza esitazioni che il pagamento era illegale, immorale e arbitrario,
a nulla rilevando che la violazione potesse aver consentito alla società di raggiungere un
maggior profitto.
Da allora, però, i tempi sono cambiati e anche negli Stati Uniti il duty of
obedience, cioè il dovere di rispettare le norme di legge, è andato scemando tanto che la
dottrina si sta adoperando perché non sia dimenticato (v. infra il § 5).
Non solo.
Mi pare che un’analisi più approfondita e “rimeditata” delle norme codicistiche
consenta di ritagliare alcuni spazi per una gestione improntata all’etica, anche se
bisognerà valutare i risvolti processuali di tale esegesi, ossia verificare in concreto se la
62
G. COTTINO, Nota a Trib. Milano, 29 maggio 2004, in Giur. it., 2004, p. 2338.
Sull’argomento v. anche M. DE GIORGI, Se l’amministratore paga tangenti deve almeno
spiegare a chi e perché. Altrimenti l’azione di mala gestio è inevitabile, Nota a Trib. Milano, 21
aprile 2005, in www.dirittoegiustizia.it del 28 maggio 2005.
63
Per utili spunti di riflessione v. G. ROMAGNOLI, Corporate governance, shareholders e
stakeholders; interessi e valori reputazionali, in Giur. comm., 2002, I, pp. 351 ss.
64
Gli amministratori sanno prima dei soci se per es. uno stabilimento inquina l’ambiente o un
macchinario è pericoloso per i dipendenti. Sarebbe quindi importante intervenire sul processo
decisionale imponendo agli amministratori di rendere trasparenti le motivazioni assunte, sotto il
profilo della considerazione prestata agli interessi degli stakeholders e della salvaguardia
dell'interesse dei soci ad una crescita sostenibile del valore della società. Negli Stati Uniti parte
della dottrina (HILL-MCDONNEL, Stone v. Ritter and the Expanding Duty of Loyalty, 76
Fordham I Rev., 2007, pp. 1769) ha cercato di spiegare il dovere degli amministratori di
osservare la legge sul presupposto che molti azionisti, se debitamente informati, sceglierebbero
la legalità anche a scapito del profitto della società.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
32
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
c.d. business judgment rule (id est, l’insindacabilità nel merito ma non del metodo
delle scelte gestorie) possa valere anche per la “business ethics”. Il rischio da evitare è
che il giudice imponga la sua morale ai soci, ossia dia libero ingresso a propri principi
etici e morali65.
Prescindo dal rispetto dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del
rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), che valgono per tutti i contratti66 (compresi quelli
associativi) e che, essendo specificazioni degli inderogabili doveri di solidarietà sociale
imposti dall’art. 2 Cost. e assimilabili ai principi generali dell’ordinamento di cui all’art.
12 preleggi, si applicano anche quando la società ha genesi unilaterale67. Qui, infatti,
siamo nella sfera del diritto cogente e non dell’etica (o della soft law).
Neppure mi soffermo sul recentemente rivalutato principio di ragionevolezza68,
la cui osservanza dovrebbe includere il corretto apprezzamento e contemperamento dei
vari interessi coinvolti.
Intendo invece riferirmi all’art. 2387 c.c.69 che consente allo statuto di
«subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti
di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al
riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da
società di gestione di mercati regolamentati», allo scopo - sottinteso - di affidare
l'impresa a “persone eticamente corrette”, che abbiano un elevato senso del dovere e che
non si facciano influenzare dal loro “tornaconto”. Se i soci decidono di muoversi in
questa direzione, probabilmente, desiderano che l’impresa venga gestita in modo
socialmente responsabile.
Ragionando sul combinato disposto degli artt. 2387 e 2392 c.c. (ove si precisa
che la soglia di diligenza esigibile dagli amministratori è quella professionale ed è
commisurata al curriculum vitae) ci si potrebbe chiedere se da un manager scelto per la
sua spiccata onorabilità sia lecito attendersi un comportamento irreprensibile e quindi
se una gestione immorale possa giustificarne la revoca per giusta causa.
65
Per scongiurare questo pericolo bisognerebbe introdurre un sistema di disclosure sul processo
decisionale in modo che il giudice possa verificare se gli amministratori abbiano attentamente
soppesato tutti gli interessi in gioco.
66
Cfr. gli artt. 1337, 1338, 1366 e 1375 c.c.
67
F. DI SABATO, Il principio di correttezza nei rapporti societari, in ABBADESSA-PORTALE
(diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G. F. Campobasso, I, Torino, 2006,
pp. 133 ss. aveva proposto di aggiungere un apposito comma all’art. 2247 o un art. 2247 bis c.c.
volto a precisare che «nei rapporti relativi alla società devono essere osservate le regole della
correttezza».
68
A. NIGRO, Principio di ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli
amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2013, I, pp. 465 ss.
69
E, mutatis mutandis, all’art. 2409 duodecies, 6° co., c.c. nel sistema dualistico e all’art. 2409
octiesdecies, 2° co., c.c., nel sistema monistico.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
33
STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
Si potrebbe altresì sostenere che il rispetto dei principi di «corretta
amministrazione»70 (cfr. artt. 2381, 3° co., 2391 bis e 2403, 1° co., c.c.) presuppone
scelte che si rivelino oculate nel lungo termine. Uno spunto in tal senso potrebbe essere
offerto dall’art. 2381, 5° co., c.c. laddove pone a carico degli amministratori delegati
l’obbligo di riferire al plenum «sul generale andamento della gestione e sulla sua
prevedibile evoluzione» e dall’art. 149, lett. c-bis), t.u.f. che demanda al collegio
sindacale il compito di vigilare anche «sulle modalità di concreta attuazione delle regole
di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione
di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante
informativa al pubblico, dichiara di attenersi»71.
Ulteriori tracce della RSI potrebbero essere ravvisate nell’art. 2428, 2° co., c.c.
ai sensi del quale gli amministratori di una s.p.a. – nella relazione che accompagna il
progetto di bilancio – devono informare i soci sull'andamento e sul risultato della
gestione, se necessario anche fornendo le «informazioni attinenti all'ambiente e al
personale e nell’art. 2497 ter c.c., norma indicativa della volontà del legislatore di
introdurre, nei processi decisionali di società appartenenti ad un gruppo, specifici
adempimenti procedurali volti ad assicurare l’emersione di una pluralità di interessi.
Vi sono poi numerosi articoli, dentro e fuori il codice civile, che rinviano ai
principi della correttezza professionale o a regole contenute in codici etici (si pensi
all’art. 2598, n. 372 e all’art. 6, 3° co., d.lgs. 231/200173). Ma anche a questo proposito
non si possono fare di “tutte le erbe un fascio” occorrendo distinguere – anche al fine di
poter avanzare una pretesa risarcitoria fondata sulla responsabilità da falso affidamento
creata dai codici di best practice - in base al grado di dettaglio degli articoli74 e alla
previsione di sanzioni e strumenti (come il bilancio sociale75) per verificare se “alle
parole seguano i fatti”. Bisognerebbe altresì approfondire a chi (tra l’organo gestorio o
l’assemblea) spetti la competenza circa l’adozione del codice etico e se la decisione
70
V. l’approfondito studio di M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società
di capitali, Milano, 2005.
71
V. tra gli altri D. CATERINO, Autodisciplina societaria e doveri del collegio sindacale nella
legge sul risparmio, in Banca borsa, 2008, I, pp. 473 ss.; R. ROSAPEPE, Corretta
amministrazione, codici di comportamento ed informazione, in Riv. soc., 2008, p. 181.
72
Cfr. F. PHILIPP, I codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali sleali, in
Giur. Comm., 2008, I, pp. 706 ss.
73
Tra i molti contributi v. S. LUCHENA, Codice etico e modelli organizzativo-sanzionatori nel
d.lgs. 231/01: legittimità ed efficacia, in Giur. comm., 2011, I, pp. 245 ss.
74
Un conto sono affermazioni “che fanno fine ma non impegnano”; ben altro rilievo hanno
vincoli precisi come la promessa di non sfruttare il lavoro minorile neppure dove è consentito
dalla legge.
75
Integrazione del tradizionale bilancio di esercizio nel quale sono appostate voci particolari
relative agli obiettivi etici.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
debba essere assunta all’unanimità o a maggioranza e, in quest’ultimo caso, quale sia
l’incidenza sulla causa del contratto (prevista dall’art. 2247 c.c.) e sulla configurabilità
di una atipica causa di recesso.
Nuove interessanti prospettive potrebbero essere aperte, nella s.r.l., anche
dall’art. 2468, 3° co., c.c. attribuendo come «particolare diritto riguardante
l’amministrazione della società» quello di opporre un “veto” a scelte gestorie
eticamente opinabili e potenzialmente pregiudizievoli per il perseguimento dell’oggetto
sociale e, nella s.p.a., dai patrimoni/finanziamenti destinati «ad uno specifico affare»,
concetto che pare sufficientemente elastico da poter abbracciare anche un'iniziativa
imprenditoriale «di particolare rilievo sociale»76. La tutela dei soci dovrebbe essere
garantita dalla previsione, in deroga all’art. 2447 ter, 2° co., della competenza
dell’assemblea straordinaria e dal diritto di recesso dei soci dissenzienti (art. 2437, 1°
co., lett. a, c.c.), mentre quella dei creditori sociali sembra sufficientemente assicurata
dal diritto di opposizione (art. 2447 quater, 2° co., c.c.).
Per consentire a soggetti diversi dai soci di influire sull’assetto (e indirettamente
sul modus operandi e sulle “priorità”) dell’organo gestorio si potrebbe riservare ai
portatori di strumenti finanziari partecipativi (tra i quali si possono annoverare anche i
dipendenti della società ai sensi dell’art. 2349, 2° co., c.c.) la nomina di un componente
indipendente dell’organo di gestione (art. 2351, 5° co., c.c.) o prevedere particolari
clausole statutarie che introducano meccanismi di nomina extrassembleare (art. 2368, 1°
co., seconda parte, c.c.).
Nella stessa ottica si potrebbe valorizzare l’art. 2449 c.c. che consente allo
statuto di una s.p.a. chiusa di riservare allo Stato-socio la facoltà di nominare un numero
di amministratori proporzionale alla partecipazione posseduta77 e il d.l. 21 del 2012, che
gli riserva (anche quando non sia socio) poteri speciali nei settori di pubblica utilità78.
Ulteriori spazi per favorire le “esternalità positive” (ma qui ritorniamo nella
sfera del diritto e dell’osservanza degli obblighi legali, derivanti, oltre che dalla legge in
senso formale, dallo statuto) potrebbero essere ricavati sfruttando l’autonomia statutaria
e/o la libertà di contrattazione.
Sotto il primo profilo, si potrebbero inserire nello statuto vincoli come la
destinazione di una parte degli utili a scopi di pubblica utilità. La giurisprudenza, nei
76
Per uno spunto in tal senso v. G.C.M. RIVOLTA, Profili giuridici dell’impresa sociale, in
Giur. comm., 2004, I, pp. 1161 ss.
77
V. ex multis C. PECORARO, Privatizzazione dei diritti speciali di controllo dello Stato e
dell’Ente pubblico nelle s.p.a.: il nuovo art. 2449 c.c., in Riv. soc., 2009, p. 947.
78
Si rinvia a L. ARDIZZONE-M. VITALI, I poteri speciali dello Stato nei settori di pubblica
utilità: il paradosso del socio senza azioni, in Giur. comm., 2013, I, p. 919.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
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pochi precedenti editi79, sembrerebbe orientata ad ammettere tali clausole purché non
siano incompatibili con lo scopo di lucro, desumibile dallo statuto nel suo complesso, e
la prevista eterodestinazione degli utili sia funzionale a promuovere, anche
indirettamente, l'immagine della società80. Siffatta esegesi, se, da un lato, potrebbe
essere avallata dalla riduzione delle cause di nullità della società iscritta nel registro
delle imprese (v. art. 2332, 1° co., c.c.) e dall’ampliamento dello spettro di applicazione
dell’istituto della trasformazione (che ha reso meno netti i confini tra le società lucrative
e il mondo del “no profit”), dall’altro, pare non perfettamente allineata con il più
restrittivo orientamento in tema di compatibilità con l’oggetto sociale degli atti a titolo
gratuito81 e solleva il delicato (e inesplorato) problema della tutela dei diritti della
personalità all’interno dello schema azionario poiché «ci si potrebbe domandare se la
maggioranza possa imporre le proprie preferenze, confessionali, politiche, culturali,
sportive, ecc. ai consoci»82. E se la risposta dovesse essere negativa bisognerebbe
almeno prevedere una causa di recesso statutaria che abbia come causale il “conflitto di
coscienza” e – giova ricordarlo - recesso è non solo exit ma anche voice e quindi
indirettamente uno strumento per influire sull’operato degli amministratori.
79
Sulla clausola di parziale eterodestinazione degli utili v. Trib. Perugia, 26 aprile 1993, in
Giur. comm., 1995, II, p. 109, con nota di richiami e commento di L. STANGHELLINI. La
sentenza è stata poi confermata da Cass., 11 dicembre 2000, n. 15599, in Giur. it., 2001, p.
1188, con nota di R. WEIGMANN; in Società, 2001, p. 675, con commento di G. CABRAS; in
Foro it., 2001, I, p. 1932, con nota di L. NAZZICONE; in Vita not., 2001, p. 841, ove si afferma
che la clausola di parziale destinazione degli utili in beneficienza «non incide sulla comunione
di interessi creata dal contratto sociale e non è in contrasto, in linea di principio, con lo scopo
lucrativo della società». In dottrina v. per tutti D. PREITE, La destinazione dei risultati nei
contratti associativi, Milano, 1988, pp. 209 ss. Sul contiguo problema della compatibilità fra
forma societaria e causa, totalmente o parzialmente, non lucrativa v. App. Milano, 21 settembre
1982, in Giur. comm., 1984, II, p. 94, con nota di G. MARASÀ, Causa lucrativa e clausole non
lucrative.
80
Nella motivazione della sentenza n. 15599 del 2000 si legge che l’art. 2328, 1° co., n. 7, c.c.
comprende «la possibilità di prevedere che parte degli utili sia destinata a scopi diversi, purché
tale destinazione – per la sua entità o per altre ragioni – non venga a pregiudicare lo scopo
lucrativo perseguito»; d’altro canto, se l’assemblea, decidendo in ordine alla distribuzione degli
utili ex art. 2433 c.c., dovesse «arrecare sostanziale pregiudizio alla finalità lucrativa potrebbe
profilarsi un vizio invalidante (abuso della maggioranza), relativo però non già alla clausola
statutaria bensì alla specifica delibera che avesse disposto quello stanziamento».
81
Cfr. Cass., 21 luglio 2000, n. 9571, in Dir. fall., 2000, II, p. 1090.
82
Così R. WEIGMANN, Nota a Cass., 11 dicembre 2000, n. 15599, cit., p. 1189, Il tema è
approfondito da G. VOLPE PUTZOLU, La tutela dell’associato in un sistema pluralistico, Milano,
1977. Sulla trasposizione dei diritti della personalità in capo ad enti collettivi si rinvia a A.
ZOPPINI, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv.
dir. civ., 2002, I, pp. 874 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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Ulteriori vincoli potrebbero essere pattuiti contrattualmente83 e rafforzati dalla
previsione di rimedi giudiziari collettivi (art. 140 bis cod. cons.: c.d. class action).
In ogni caso, come correttamente posto in rilievo da Angelici84, «o si nega ogni
reale portata normativa di» testi legislativi come la Sec. 172 Companies Act 2006,
«intendendoli allora come mera espressione di un'ipocrisia del legislatore, oppure si
riconosce che la funzione della legge può essere anche diversa da quella di fondare
pretese giudizialmente azionabili». Qui si torna al rapporto tra etica e diritto cui si è
fatto un cenno nel § 3.
5. Conclusioni de iure condito…
Senza sottovalutare l’importanza di questi temi e pur esprimendo il massimo
apprezzamento per le imprese “socialmente responsabili”, ritengo, parafrasando
Calamandrei, che «nell’incertezza su quali siano le regole dell’etica muovere dall’etica
del rispetto delle regole (giuridiche) segnerebbe sicuramente un forte progresso»85.
Bisogna però distinguere tra comportamento scorretto e astuzia/abilità negoziale,
che è, e probabilmente sarà sempre, l’anima del commercio86.
«Se le parti non fissano alcun correttivo, è perché si fidano l'una dell'altra e il
giudice non può alterare l'equilibrio negoziale se non quando la fiducia riposta è violata
in mala fede. (…) Ma se invece di una frode, le circostanze di fatto meramente
83
Tramite la contrattazione collettiva (facendo per es. in modo che all’imprenditore “convenga”
destinare le arance in eccesso al terzo mondo, anziché smaltirle come rifiuti) o individuale (in
caso di compravendita del pacchetto azionario di controllo si potrebbe vincolare l’acquirente a
proseguire certi impegni socialmente rilevanti). Uno spunto in tal senso potrebbe essere offerto
dall’art. 103, co. 3 bis., t.u.f., che disciplina gli obblighi di informazione sui riflessi
dell’occupazione in caso di offerta pubblica di acquisto.
84
C. ANGELICI, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, cit., p. 169.
85
Nello stesso senso v. P. MONTALENTI, La responsabilità degli amministratori nell’impresa
globalizzata, in Giur. comm., 2005, I, p. 436; ID., Il diritto commerciale dalla separazione dei
codici alla globalizzazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, p. 379. Propende per una
conclusione da lui stesso definita «minimalista» anche V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p.
548. V. anche V. BUONOCORE, Etica dell'imprenditore e abuso del diritto: a proposito
dell'attualità di un libro edito sessant'anni fa, in Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998,
IV, pp. 19 ss.; ID., La responsabilità dell’impresa tra libertà e vincoli, in AA.VV., La
responsabilità dell’impresa, Milano, 2006; ID., Etica degli affari e impresa etica, in Giur.
comm., 2004, I, pp. 181 ss.
86
Si ricorda, a dimostrazione che il problema in esame è risalente, il caso prospettato da
Cicerone (e riferito da P. GALLO, Buona fede contrattuale e trasformazioni del contratto, in Riv.
dir. civ., 2002, I, p. 243) di un mercante di grano giunto a Rodi dopo lunga carestia e al corrente
che molte altre navi cariche di grano stavano per arrivare: è legittimo tacere al fine di ottenere
un corrispettivo maggiore?
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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manifestano "abilità negoziale" di una parte, allora è da escludersi che il giudice possa
prestare soccorso alla parte più sciatta nelle trattative»87.
Lo stesso legislatore lascia spazio all’astuzia e a operazioni difficilmente
conciliabili con una “concezione etica degli affari”88 e a volte sembra “tendere dei
tranelli” laddove ammette il meccanismo della pubblicità sanante, del silenzio-assenso,
la sanatoria della nullità (vizio che, di regola, non è più imprescrittibile)89, l’estinzione
della società per effetto della semplice cancellazione dal registro delle imprese, la
clausola simul stabunt simul cadent spesso utilizzata per liberarsi di un consigliere
scomodo. Inoltre, certe novità introdotte dalla riforma societaria paiono aver
(inconsapevolmente) stimolato comportamenti alquanto discutibili come la
trasformazione “difensiva” della s.p.a. in s.r.l. per paralizzare la denuncia ex art. 2409
c.c.90 o l’operazione inversa per vanificare l’ampio e apparentemente illimitato diritto di
informazione e controllo riconosciuto dall’art. 2476, 2° co., c.c. al socio-non
amministratore di s.r.l.91.
87
N. DE LUCA, Validità delle clausole di trascinamento (“Drag-along”), in Banca, borsa, tit.
cred., 2009, I, pp. 183-185.
88
Si pensi alla traslazione del costo dell'acquisizione sul patrimonio della società acquisita (in
argomento C. CINCOTTI, Merger leveraged buy-out, sostenibilità dell’indebitamento e interessi
tutelati dall’ordinamento, in Riv. soc., 2011, pp. 634 ss.) e soprattutto alla recente legittimazione
delle società costituite con un solo euro di capitale, scelta legislativa «che si pone (…) in
stridente contrasto con la massiva predicazione che della "responsabilità sociale dell'impresa"
fanno le stesse imprese, ammantandosi di prestare alta considerazione agli interessi esterni,
promuovendo, a ogni piè sospinto, la tutela degli sbandierati stakeholders, al punto da generare
il sospetto che il rilevato contrasto sia solo apparente, tali "litanie" caratterizzandosi,
evidentemente, per il medesimo tasso di sincerità che ha guidato il legislatore italiano
nell'architettura di un modello di società che di capitalistico porterà soltanto il nome» (così C.
AMATUCCI, Ancora un capitale per la s.r.l.? Sincerità del legislatore tra tutela dei creditori e
“rarefazione” dei conferimenti, in Riv. soc., 2004, p. 1481).
89
Come posto in rilievo da E. GLIOZZI, Le condonabili deroghe a norme inderogabili nel nuovo
diritto societario, in Giur. comm., 2004, I, pp. 16 ss. un’eventuale deliberazione assembleare di
esonero dei gestori da ogni responsabilità civile per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale sarebbe certamente nulla per illiceità
dell’oggetto ma, verosimilmente, potrebbe essere sanata per decorso del termine triennale (arg.
desunto dagli artt. 2379 e 2479 ter c.c.). Le uniche delibere che possono essere impugnate sine
die sono quelle che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.
90
Trib. Ascoli Piceno, 1° marzo 2013, in Giur. it., 2013, p. 1568, con nota di M. SPIOTTA,
“Ravvedimento operoso” o trasformazione “con destrezza”?.
91
Trib. Venezia, 15 settembre 2012 e Trib. Catanzaro, 26 febbraio 2014, entrambe in
www.ilcaso.it.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
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Ma per evitare simili “manovre”, ai limiti della frode alla legge, e garantire in
primis il rispetto delle minoranze, sarebbe sufficiente osservare la legge “nella lettera e
nello spirito”, senza cercare modi e strumenti per eluderla impunemente92.
È alquanto istruttivo, e deve farci riflettere, la circostanza che nell’ordinamento
statunitense i giuristi stiano rivalutando, nel campo delle business corporation for profit,
accanto agli obblighi, di origine morale e sociale, di diligenza (duty of care) e di
fedeltà/lealtà (duty of loyalty), il duty of obedience (oggi implicitamente contenuto nel
dovere di buona fede93), ossia il dovere degli amministratori di osservare la legge, quasi
a voler porre un argine all’ “ossessione” per la massimizzazione del profitto. Si
sottolinea che un siffatto dovere di obbedienza alla legge offrirebbe alla giurisprudenza
del Delaware94 un parametro oggettivo di giudizio. In un suo recente lavoro Palmiter95
auspica il superamento della regola secondo la quale non comporta responsabilità degli
amministratori verso la società l’aver agito in violazione del principio di legalità,
sempreché il comportamento sia stato tenuto in good faith e per realizzare l’interesse
della società.
In Italia, dove il dovere di rispettare la legge è già codificato (v. gli artt. 2260, 2°
co., 2392 e 2476 c.c.) e il solo parlarne potrebbe sembrare la scoperta “dell’acqua
calda”, bisognerebbe forse non darlo troppo per scontato. I precetti “legali” sono
tendenzialmente attenti a tutti gli interessi delle diverse categorie di stakeholders, ragion
per cui il loro rispetto dovrebbe già consentire di accrescere il “welfare aggregato” di
coloro a vario titolo coinvolti nell’attività d’impresa (soci, lavoratori, fornitori, clienti,
ecc.) e, in ultima analisi, di accreditare la società commerciale come “istituzione
sociale”. Il rispetto della legge non può essere sacrificato sull’altare del perseguimento
della massimizzazione del profitto. Finché non ci sarà questo “cambiamento di
mentalità” degli operatori del settore (al quale può senza dubbio contribuire la
giurisprudenza attraverso un accorto uso di formule come “frode alla legge”, “eccesso
92
V. BUONOCORE, Postfazione sull'etica degli affari e sull'impresa etica a L'impresa, nel
Trattato Buonocore, I, 2.1, Torino, 2002, pp. 597 ss., rileva come nel nostro ordinamento «gli
abusi nel mondo societario sono privi il più delle volte di rilevanza (...) e sono compiuti
attraverso comportamenti formalmente ossequiosi della norma giuridica ma sostanzialmente
lesivi degli interessi di coloro che sono fuori dal governo dell'impresa». Del resto, nessuna legge
può essere tanto perfetta da prevenire comportamenti elusivi che soltanto l’etica professionale
sembra in grado di scongiurare in via definitiva.
93
A. MORINI, «Good Faith», buona fede: verso “nuovi doveri” degli amministratori di s.p.a.?,
in RDS, 2011, pp. 1048 ss., ove ulteriori riferimenti
94
Che costituisce in materia societaria il benchmark di riferimento del complesso degli
ordinamenti statali americani.
95
PALMITER, Duty of obedience: the forgotten duty of U.S. Corporate Law, in RDS, 2013, pp.
436 ss. L’articolo è preceduto da A. MAZZONI, Introduzione a Alan R. Palmiter, Duty of
obedience: the forgotten duty of U.S. Corporate Law, in RDS, 2013, pp. 434 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
di potere”, “abuso del diritto”, “difetto di causa in concreto”) parlare di un “andare
oltre le prescrizioni minime e gli obblighi giuridici” potrebbe sembrare “prematuro” e
frutto di un approccio “moralistico”.
5.1. Segue: …e prospettive de iure condendo.
De iure condendo, gli incentivi spontanei del mercato96 (che presuppongono
l’impegno di tutti noi “consumatori-cittadini”) dovrebbero essere rafforzati da incentivi
legali (es. premi fiscali alle imprese che presentino i migliori bilanci sociali97) e magari
anche dall’introduzione di un divieto generalizzato di approfittare, in danno degli
stakeholders, di situazioni riconducibili a fenomeni classificati come fallimenti del
mercato98. Si otterrebbe così la “quadratura del cerchio”, giacché, senza incidere sul
carattere volontario della RSI, si recupererebbe la funzione dello Stato99 e
l’interrelazione etica-diritto100.
Nel frattempo, non resta che raccogliere l’invito di Friedrich Dürrenmatt101 a cui
avviso in un contesto in cui non occorre che un giudice sia giusto, così come non
occorre che un papa sia credente, compito del giurista pare essere diventato quello di
ristabilire quanto meno un’idea plausibile di Giustizia, affinché non diventi una farsa
totale.
96
Basti pensare che il c.d. boicottaggio dei consumatori presuppone la disponibilità di costoro
ad attribuire maggiore importanza a come quel bene sia stato prodotto che non al suo costo.
97
M. LIBERTINI, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale
dell’impresa, in Riv. soc., 2009, pp. 1 ss.; ID., La comunicazione pubblicitaria e l’azione delle
imprese per il miglioramento ambientale, in Giur. comm., 2012, I, pp. 331 ss.; ID., Economia
sociale di mercato e responsabilità sociale dell’impresa, in La responsabilità sociale
dell’impresa – In ricordo di Giuseppe Auletta, a cura di Di Cataldo e Sanfilippo, Torino, 2013,
pp. 26 ss.
98
Questa la proposta di F. DENOZZA, Responsabilità dell'impresa e “contratto sociale”: una
critica, in Diritto, mercato ed etica dopo la crisi. Omaggio a Piergaetano Marchetti, a cura di
Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2010, p. 287.
99
Tutti concordano sulle imperfezioni del mercato e sul fatto che da un'azione unicamente
ispirata alla massimizzazione del profitto possano derivare inefficienze e ingiustizie, ma alcuni
ritengono che l’intervento correttivo sia prerogativa dello Stato e che sarebbe arbitrario affidare
tale compito ai managers dell'impresa. Ma questa è una questione di “politica legislativa”, che
meriterebbe una trattazione a parte.
100
Se è vero che le leggi non possono cambiare immediatamente i sentimenti, è altrettanto vero
che i cambiamenti di condotta (imposti dalle leggi) sono i più efficaci induttori di cambiamenti
nei sentimenti e nei pensieri. Cfr. H. BALL, G. SIMPSON, K. IKEDA, Law and Social Change:
Sumner Reconsidered, in American Journal of Socilology, 67 (1962), p. 532.
101
Formulato nel romanzo Giustizia, trad. it. di G. Agabio, Milano, 2005.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
IMPRESA ED ETICA
Anche lo studioso del diritto commerciale102 può diventare un interlocutore nel
dibattito sulla RSI e dare (come si è cercato di fare in questo lavoro) il suo piccolo
contributo, anche se è inevitabilmente portato a ragionare “in termini giuspositivistici”.
102
E di altre discipline: v. ad es. M. FERRARESI, La responsabilità sociale delle imprese: il
ruolo del diritto del lavoro, in Dir. relaz. industriali, 2004, pp. 391 ss.
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI
PLURIENNALI
E LA SUA LOGICA DI ATTIVAZIONE
Lo scritto si sofferma sul tema della capitalizzazione dei costi pluriennali,
individuandone le premesse dottrinali, l'ambito di applicazione, i presupposti, le
modalità ed i riferimenti normativi.
di UMBERTO BOCCHINO
1. Premessa
Prima di sviluppare il concetto di capitalizzazione occorre precedere qualsiasi
riflessione con alcuni presupposti sui quali il processo di capitalizzazione si fonda.
a)
Continuità della gestione: la gestione d’impresa identifica un continuo di
processi aziendali che non s’interrompono mai nel corso della vita d’impresa, né nei
momenti di salute dell’impresa né in quelli di criticità. Il concetto di continuità
d’impresa non può essere riferito ad aspetti meramente giuridici, bensì ad aspetti
economico aziendali di sussistenza dei requisiti minimi di vitalità d’impresa: prodotti
realizzabili e vendibili, fornitori che mantengono i loro rapporti, clienti che permangono
1
sono le prove dell’esistenza dei requisiti di continuità ; condizione che può venire meno
se contestualmente alla presenza di tali presupposti vi è illiquidità o incapacità di
1
Peraltro troppo spesso si fa risalire la presenza della continuità di gestione ad aspetti
quantitativi riferiti al capitale. Questa logica è scientificamente errata in quanto si basa su un
fraintendimento di fondo, ovvero la complementarietà tra gestione e capitale condizione che
tuttavia non avvalora la relazione che il secondo giustifica la presenza della prima, seppure
entrambi mostrano una diversa rappresentazione del divenire aziendale. La gestione, infatti,
esprime l’azienda nel suo aspetto dinamico con riferimento al divenire delle variegate
operazioni che lo compongono. Il capitale espone la medesima combinazione con riferimento ad
un istante ben individuato del suo divenire: non per nulla lo Stato Patrimoniale è redatto al
“ ……” e non è lo Stato Patrimoniale del “ ……”. Il capitale identifica lo stato quali-quantitativo
complessivo degli elementi attivi e passivi disponibili ma soprattutto funzionali alla gestione
futura. Il reddito, che è sempre un valore astratto, dimostra il divenire del capitale in un dato
intervallo di tempo a causa delle scelte della gestione.
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LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
adempiere alle proprie obbligazioni. In presenza dunque dei suaccennati requisiti vi è
continuità d’impresa.
Continuità d’impresa significa anche presenza della vita aziendale, rilevabile con
la contabilità che riassume il susseguirsi dei processi aziendali. Se la vita dell’impresa è
un continuo significa che la rilevazione ed il Bilancio di Esercizio, quale momento di
valutazione di sintesi dei momenti di vita dell’impresa, identifica un’azione forzata di
interruzione di questa continuità. E’ pertanto in nome della nostra esigenza di
conoscenza, di apprendere risultati parziali, che si limita (questo sì) artificiosamente il
fenomeno aziendale, riconducendolo ad innaturali segmentazioni temporali che, in
realtà, sono estranee ad esso e che sono comunque da ritenersi corrette sempre, quanto
meno nei casi estimativi non vietati dalla legge. In questo ambito si riscontra il valore
ed il ruolo prospettico del Bilancio, rispetto all’unica mansione (da troppi riconosciuta)
di rendiconto consuntivo.
In altre parole il bilancio rende intermittente una gestione continua, senza
interrompere però il legame con il passato ed il futuro.
Questo legame tra passato, presente e futuro è garantito dallo Stato Patrimoniale,
componente del Bilancio che viene riaperta nei suoi conti, proprio per consentire il
legame con la gestione che continua dal 31 dicembre al 1 gennaio dell’anno successivo.
M entre il Conto Economico esaurisce la sua funzione con la chiusura dei conti,
quale momento che “tira le somme” sulla bontà economica della gestione: ovvero
temporanea capacità di produrre reddito positivo (utile) o temporanea capacità di
produrre reddito negativo (perdite).
Tutti i fattori produttivi che possono avere una qualche utilità o legame con il
futuro trovano allocazione nello Stato Patrimoniale, gli altri si collocano nel Conto
Economico.
Per questa ragione si suole anche dire che il capitale (quale espressione di
“essenza” dello Stato Patrimoniale) concorre a delineare, in maniera sintetica,
l’attitudine dei valori dell’investimento aziendale a concorrere in un qualche modo alla
generazione dei potenziali redditi futuri quali conseguenza dei flussi di ricavo futuro.
b)
Natura dei componenti positivi e negativi di reddito: La scarsa
conoscenza dei fondamentali della Dottrina Economico Aziendale Italiana (molto più
severa di quella riferibile ai principi contabili internazionali) fa si che si sia creato, ed
ormai da tempo, un profondo fraintendimento circa la natura dei conti e quindi della
loro allocazione a bilancio.
Per fare chiarezza occorre dunque precisare quanto segue: i conti che
rappresentano fatti amministrativi osservati dal punto di vista monetario finanziario,
quindi gli incassi, i pagamenti, il sorgere o estinzione di debiti e di crediti, non possono
che essere allocati nello Stato Patrimoniale.
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LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
Al contrario, invece, tutti i conti che rappresentano fatti amministrativi osservati
dal punto di vista economico, quindi i costi (pluriennali e non) ed i ricavi, hanno
potenzialmente la condizione di essere iscritti nello Stato Patrimoniale, seppure la loro
natura li fa iscrivere in prima battuta nel Conto Economico.
La riflessione è facilmente dimostrabile, soprattutto ponendo l’attenzione sui
componenti negativi di reddito, ovvero sui costi. Nell’immaginario collettivo, di chi ha
poca dimestichezza dei “fondamentali” sopra richiamati, prevale infatti il
convincimento che (per fare alcuni esempi) materie prime, energia elettrica, costo del
personale, riscaldamento, spese telefoniche, compensi, spese di consulenza ed altri
ancora, siano sintesi di fatti amministrativi ascrivibili solo al Conto Economico, quando
tutto ciò non è assolutamente vero. Le materie prime, così come le merci, transitano
infatti dal Conto Economico, ma possono andare a Stato Patrimoniale senza inficiare la
bontà del Bilancio. Tutto ciò avviene ogni qualvolta le materie prime, o le merci - non
utilizzate completamente nell’esercizio (che si ricorda è una parte ideale di una gestione
continua) perché non hanno generato ricavi, o possono generare ricavi nel futuro, o sono
correlabili a sperati ricavi futuri - sono rinviate al futuro grazie al processo di
valutazione del magazzino, processo inventariale, ma soprattutto contabile, che storna
dal Conto Economico questi componenti negativi di reddito per rinviarli al futuro
appunto “accendendo” il conto del magazzino.
Il Conto M agazzino, una volta riaperto nell’esercizio successivo, farà confluire
nell’esercizio successivo ciò che è di competenza del medesimo, e così via seguendo nei
successivi. L’energia elettrica, le spese di riscaldamento, il costo del personale, le spese
di consulenza e tanto altro ancora, se considerabili quali fattori produttivi utilizzati in
parte per generare ricavi nell’esercizio ed in parte nell’esercizio successivo, perché a
cavallo dei due (o di più esercizi) confluiscono nello Stato Patrimoniale grazie ai
processi di rinvio al futuro “accendendo” il conto dei Risconti Attivi (vale anche per i
Ricavi, con la voce Risconti Passivi) che si trova proprio nello Stato Patrimoniale;
riaprendo il conto Risconti Attivi si farà confluire quanto relativo all’esercizio
successivo, o ai successivi, nel Conto Economico: non per nulla esistono i Risconti
Attivi pluriennali; un tipico esempio sono gli interessi passivi rilevati nell’esercizio di
acquisizione di un cespite con il patto di riservato dominio, come nel caso dei
finanziamenti da Legge Sabatini.
Un bene strumentale come un macchinario o un impianto identifica un
componente negativo di reddito, ovvero un fattore produttivo che sì, per sua natura
immodificabile (concetto che vale solo per i cespiti materiali), può solo essere iscritto
nello Stato Patrimoniale, seppure la sua presenza a Conto Economico permane. Infatti
grazie al processo di ammortamento vi è l’iscrizione di una quota di costo a Conto
Economico e al contempo una riduzione di valore all’attivo, così confermando il legame
che il Bilancio non nega, tra un esercizio e l’altro quale componenti inscindibili di una
gestione continua. Da ultimo l’energia elettrica, le spese di riscaldamento, il costo del
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LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
personale, le spese di consulenza e tanti altri ancora (ovvero tutti quei conti che
parrebbero ad una prima lettura iscrivibili solo a Conto Economico), qualora siano
impiegati nell’esercizio per generare utilità future, sono assolutamente iscrivibili,
seppure rilevati in prima battuta dalla contabilità nei conti di Conto Economico, nello
Stato Patrimoniale grazie al processo di capitalizzazione dei costi.
Come si può dunque evincere esistono molteplici tipologie di processi contabili
che consentono di allocare qualsiasi tipo di componente di reddito (negativo soprattutto,
ma anche positivo) nello Stato Patrimoniale; mentre ciò non può mai accadere per le
poste numerarie-monetarie.
Questi processi sono:
a)
Storno distinto ed indistinto di costi e di ricavi;
b)
Rinvio ad esercizi futuri attraverso la tecnica dei risconti (in verità vi è
anche il processo di imputazione dal futuro all’esercizio precedente tramite il processo
di accensione dei ratei);
c)
Il processo di ammortamento adottato per le immobilizzazioni materiali e
quelle immateriali (immobilizzazioni che si ricorda identificano comunque componenti
negativi di reddito);
d)
Il processo di capitalizzazione.
Tutti questi processi, seppure diversi tra loro, hanno in comune un aspetto:
quello del rinvio al futuro di uno o più componenti negativi di reddito, ossia di costi.
Ciò non accade per caso, ed i motivi sono quelli qui di seguito descritti e che
hanno conferma nella consolidata e condivisa Dottrina Economico Aziendale.
Se è vero, e vero è, che capitale e gestione hanno la natura in precedenza
illustrata è perché nella massa dei costi e dei ricavi di un’impresa è indispensabile
individuare quelli che in via soggettiva sono reputabili pertinenti, perché competenti, al
periodo di gestione osservato solitamente coincidente con l’esercizio, anche
corrispondente all’anno solare. Ciò che l’estensore del Bilancio deve porre in essere, in
una sorta di “confezione sartoriale” è riflettere sulla natura ma soprattutto sulla funzione
di tali componenti economici, in particolare su quelli di costo; in quanto più complessi e
variegati rispetto ai ricavi. Questo processo di valutazione è fondamentale per arrivare a
individuare un criterio soddisfacente a cui riferirsi, per la realtà effettuale di quella
particolare impresa, nel porre in essere la citata discriminazione spazio-temporale.
La “logica funzionale”, più di ogni altra, può fornire validi e condivisibili spunti
di riflessione in particolare proprio con riferimento alle componenti economico
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LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
negative, cioè ai costi2. Questo perché i costi nascono tutti come operazione di
investimento e come tali essi rappresentano il valore, nel caso di specie la potenzialità
economica, dei vari fattori produttivi; valore che è misurato dal sacrificio monetario che
un’impresa sopporta per garantirne i servizi e le utilità future. Questo aspetto
funzionale, che emerge in alcune condizioni, nei costi appare ancor più quando “si cessa
di considerare i costi come cifre aritmetiche che esprimono un valore e si dirige invece
gli sforzi alla scoperta di ciò che è realmente dietro a queste cifre e che partecipa al
3
processo produttivo”; in altre parole occorre andare oltre le apparenze .
Sulla base di questa corretta logica di pensiero si sposta dunque l’attenzione dal
profilo formale a quello più direttamente funzionale (che è poi anche il dettato logico di
tutta la nuova normativa bilancistica nazionale ed internazionale basata sulla prevalenza
della sostanza sulla forma), così fondando il consenso (o meno) sul motivo sostanziale
che spinge un’azienda a sostenere dei costi (anche nella forma di costi aggiuntivi o di
rinuncia di ricavi).
Ciò che dovrebbe interessare a chi valuta la bontà dei bilanci non è tanto la
disponibilità dei fattori produttivi, cioè dei costi, quanto il flusso potenziale (e poi
effettivo) di benefici che tali fattori sono in grado di rilasciare in futuro: in questo
algoritmo estimativo stanno le ragioni del rinvio al futuro dei costi e quindi anche del
processo di capitalizzazione.
Ciò significa anche asserire che il momento di reale manifestazione economica
non si ha all’atto del sorgere del costo, bensì con l’impiego ma soprattutto con le utilità
future.
2. I costi sospesi.
Esistono dunque componenti negativi di reddito (quindi costi) che, sebbene
abbiano avuto manifestazione nel corso dell’esercizio, non sarebbe corretto considerarli
nel computo del calcolo dell’economicità della gestione in quell’intervallo: avranno
cioè incidenza economica postergata nel futuro.
Sono cioè costi da sospendersi, ovvero il cui peso economico sarà “funzionale”
alla definizione del reddito di uno o più periodi successivi a quello della manifestazione
numeraria o monetaria, in quanto “agente generatore o sostenitore” dei flussi di ricavo
futuri.
I costi per i quali è possibile riscontrare tale ruolo devono essere sospesi – e non
possono essere lasciati nell’esercizio di manifestazione – tramite la tecnica del rinvio
pro quota, identificabile nei risconti attivi, o appunto attraverso la capitalizzazione.
2
La teoria funzionale è piuttosto antica in quanto riferibile a I. FISCHER, The Nature of capital
and income, , London, 1906; oltre che a J.B. CANNING, The economics of accountancy, New
York, 1932.
3
A.J. CHURCH, Overhead Expense, MISC New York.
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
Tale accezione è un po’ come se distinguesse il costo in due diverse sue anime:
il costo di acquisizione e il costo di utilizzazione, quest’ultimo cioè riferito allo
sprigionarsi degli effetti positivi.
In altre parole questo obiettivo è conseguibile calcolando in via soggettiva
l’entità delle energie economiche cedute al futuro dai fattori produttivi odierni. Ecco
dunque ritornare la logica funzionale.
Le energie economiche disponibili per il futuro devono, per la normativa
civilistica possono, essere considerate nella definizione del patrimonio aziendale. Solo
in questo modo si può intuire correttamente il senso dell’espressione capitalizzazione
che, meglio, sarebbe utile definire patrimonializzazione. E’ in questo ambito che
occorre indagare la genetica che giustifica la capitalizzazione di un costo e quindi la
sospensione dal conto economico e l’iscrizione a Stato Patrimoniale.
La loro iscrizione nel perimetro delle attività del capitale ha la sua ragion
d’essere se si pensa a tali elementi dell’attivo come a una sorta di accumulatori di
potenziale di energia economica funzionale ad essere rilasciata nel futuro. Senza questi
costi sospesi i flussi di ricavo futuri potrebbero anche non manifestarsi più. Proprio da
tale prerogativa deriva la legittimazione scientifica a ritenerli componenti del capitale
investito, quindi come corretti costi capitalizzati.
Da ultimo, il processo di sospensione dei valori economici (negativi, ma anche
positivi) è indifferente alle caratteristiche di materialità e intangibilità del suo oggetto di
riferimento. Ciò che rileva è il grado di funzionalità e utilità potenzialmente disponibile
per il futuro e non tanto la loro rappresentazione esteriore a cui, invece, si assegna
troppo spesso un valore più che altro strumentale e finalizzato al sostenimento di
proprie personali opinioni. Nella prospettiva, dunque, di una funzionalità potenziale a
futuri contributi economici il processo di sospensione e, quindi, di capitalizzazione dei
costi è ammissibile.
Altrettanto sono capitalizzabili i costi che hanno queste caratteristiche
indipendentemente dal fatto che questi oneri siano regolati da durate contrattuali.
La capitalizzazione non dipende quindi dalla durata del contratto bensì dalla
durata dell’utilità dei fattori produttivi acquisiti.
Infatti uno, ed uno soltanto, è
l’elemento che incide sulla possibilità di capitalizzazione: il fatto che il fattore per cui si
è sostenuto il costo abbia una utilità pluriennale.
In altre parole, potrebbe quindi esservi il caso di un costo che ha come
"sottostante" un contratto annuale, ma la cui natura è capitalizzabile, come nel caso, per
esempio, di contratti di fornitura annuali alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO)
che manifestano costi per contributi promozionali e di inserimento nel lay-out
distributivo dei punti vendita forniti, i quali, proprio per creare quella condizione di
fidelizzazione maggiore verso i clienti della GDO, consentirà di favorire le vendite
future.
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
Appare utile proporre ancora due altri esempi idonei a chiarire che possono
essere capitalizzati costi sostenuti sulla base di contratti con durata indeterminata o
inferiore all’anno. Per questa via, quindi, si può sgombrare ulteriormente il campo
dall’equivoco in cui, spesso, molti Curatori incorrono nel momento in cui ritengono che
solo un contratto di durata pluriennale può giustificare la capitalizzazione di un costo.
Il primo riferimento va necessariamente agli oneri per la costituzione di una
nuova società (spese notarili, tasse di registrazione, diritti camerali d’iscrizione) i quali addirittura sulla base dei principi contabili nazionali e delle disposizioni che
regolamentano la redazione del bilancio di esercizio - possono essere iscritti nella voce
“B.I. 1) Costi di impianto e di ampliamento” e partecipano alla determinazione del
reddito per quote annuali di ammortamento.
Nessuno penserebbe mai di contestare questo comportamento contabileestimativo perché non si è in presenza di contratti con durata pluriennale; e del resto è
evidente che le spese notarili, le tasse di registrazione, la parcella del commercialista per
la redazione dello Statuto o di quant’altro, sono tutt’altro che costi con un sottostante
contratto pluriennale. In questo caso è noto, infatti, che nell’impostazione contabile
nazionale è ammessa la capitalizzazione degli oneri di costituzione; ed è altresì noto che
tale possibilità è connessa al fatto che prestazioni acquisite (rogito notarile) e gli altri
oneri sostenuti (tasse, diritti, ecc.) forniscono all’impresa un’utilità che supera i “confini
dell’esercizio”, perché non si esaurisce in un solo periodo, ma perdura lungo un arco
temporale più ampio: così confermando il concetto di funzionalità futura.
Altro esempio è quello dell’impresa che sostiene un costo per la realizzazione di
una campagna pubblicitaria della durata di sei mesi, avente per oggetto il lancio di un
nuovo prodotto; per tale ragione si stipula un contratto di prestazioni inferiore all’anno
con società di comunicazione e con palinsesto televisivo. Nonostante tali profili
contrattuali di durata, l’impresa ha la possibilità di iscriverlo nella voce “B.I. 2)
Immobilizzazioni immateriali: costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità”, facendolo
partecipare alla determinazione del reddito per quote annuali mediante la procedura di
ammortamento. Non si può ritenere di contestare questo comportamento contabile solo
per il motivo che l’importo è stato determinato nell’esercizio e che il contratto ha la
durata di sei mesi. Anche in questo caso, secondo i principi contabili nazionali, è
ammessa la capitalizzazione dei costi di pubblicità per lancio di nuovi prodotti; ed è
noto che tale possibilità è connessa all’utilità pluriennale del fattore. Per questo motivo
il costo può essere capitalizzato e concorrere alla determinazione del risultato
economico attraverso l’ammortamento. Ed è questa la sola ragione per cui la
capitalizzazione è ammessa.
3. Significato e validabilita’ del processo di capitalizzazione.
Il processo di capitalizzazione è un percorso soggettivo in base al quale un
componente negativo di reddito, originariamente rilevato dalla contabilità in quelle voci
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
di conto che confluiscono nel Conto Economico, viene spostato in una voce apposita
dello Stato Patrimoniale.
La voce apposita è individuabile tra quelle contenute nella categoria delle
Immobilizzazioni Immateriali.
Il processo di capitalizzazione, così come sancito anche dal Codice Civile, ma
anche dal Principio Contabile N. 24, può essere attivato a condizione che siano in
qualche modo rilevabili benefici futuri, o correlazioni con i ricavi futuri.
E’ chiaro che questa valutazione è di tipo soggettivo, e può essere suffragata dal
sostegno dei supporti documentali, identificabili con contratti o consuetudini di settori,
o comportamenti comunque validati da soggetti istituzionali o comunque da scelte che
non sono contrarie alle normative vigenti.
Il problema principale nel riconoscimento ex post di questo processo, che
consente di rinviare al futuro costi che per loro denominazione o natura fisica originaria
possono parere non ascrivibili a Stato Patrimoniale, è l’essere facoltativo e non
obbligatorio.
Ciò fa sì che nelle ipotesi in cui nel tempo l’impresa sia oggetto di procedure
concorsuali la capitalizzazione viene spesso intesa - per definizione e preconcetti - quale
strumento per dilatare o rinviare lo stato di insolvenza, e non invece quale strumento per
rappresentare correttamente i fatti gestionali.
M entre è proprio il processo di capitalizzazione che identifica la natura
"sartoriale" del bilancio che viene confuso quale strumento rigido per fare i conti. Ogni
bilancio è un unico, seppure risponde a regole standard che però perimetrano, fino ad un
certo punto, la redazione del bilancio stesso.
Infatti, tra gli altri, è proprio il processo di capitalizzazione che consente di
esprimere, per esempio, le specificità dei settori d’impresa, o particolari accadimenti che
individuano la vita specifica di quell’impresa e non di un’altra.
L’esempio che segue conferma questa tesi sia per il riferimento ai settori che
all’identità d’impresa. Si pensi ad un’impresa che nel settore delle fonti energetiche
operi quale fornitore di servizi sulla rete commerciale distributiva di primari operatori
nazionali di settore come Eni, Enel, Terna e così via. Si supponga che uno di questi
grandi operatori del settore energetico chieda, nel rivedere il proprio business
distributivo per meglio competere con gli altri operatori, che il proprio fornitore in
questione riveda le sue logiche ed i suoi processi aziendali, riadatti le proprie strutture
commerciali al nuovo modello di business (per esempio distributivo) e così via. E’
evidente che in quest’opera - che non comporta generazione di ricavi presenti, seppure
questi si realizzino comunque sulla base del business esistente - saranno utilizzati tanti
fattori produttivi diversi tra loro: ci saranno persone che sono dedicate in parte o
totalmente a questi lavori, e lo faranno usando l’energia elettrica per i loro computer, le
luci dei loro uffici, il riscaldamento comune delle loro stanze, la cancelleria, supporti di
consulenze esterne e quant’altro. Questi costi, che per loro natura sono rilevati dalla
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
contabilità come costi dell’esercizio, è più corretto che vengano allocati a Conto
Economico oppure che vengano rinviati al futuro?, visto che sono la condizione sine
qua non affinchè quei ricavi futuri si manifestino? Certamente è corretto che questi
costi, non avendo alcuna correlazione con la generazione dei ricavi correnti, siano
rinviati al futuro tramite la capitalizzazione perché diversamente il risultato economico
sarebbe depresso di componenti negative di reddito funzionali a flussi di ricavo futuri.
Si supponga dunque che si scelga la strada più corretta in quel momento, dunque
quella di adottare la capitalizzazione; ma dopo alcuni anni, tre o quattro, per altri motivi
come crisi generalizzate o congiunturali (fattori che per loro stessa natura possono
smentire ex post la correttezza della capitalizzazione) l’impresa fallisca. Nulla di più
facile per un soggetto esterno che vede la situazione ex post ritenere che la
capitalizzazione sia stata adottata per occultare perdite, usando l’esito fallimentare come
prova dell’errore estimativo, e paradossalmente anche perché la normativa –
prevedendo la facoltà e non l’obbligo – non impone la capitalizzazione che quindi,
come tale, si ritiene non dovesse essere adottata. Tutto ciò accade quando invece, pur
facoltativo, quello era il percorso corretto per rappresentare la situazione patrimoniale
finanziaria ed il risultato economico dell’esercizio, proprio per la diversa funzionalità
economica futura dei fattori produttivi utilizzati in quel determinato contesto.
Le disposizioni generali del Codice Civile, in particolare l’art. 2423, impongono
di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria ed
il risultato economico dell’esercizio. “Il bilancio d’esercizio […] è dunque un modello
di rappresentazione degli esiti economico-patrimoniali e finanziari della gestione.
M ediante la sua lettura è possibile giungere alla misurazione della “ricchezza
prodotta”(o la ricchezza erosa) e, di conseguenza, il reddito di periodo(positivo o
negativo) indicato nel bilancio rappresenta la base di riferimento per effettuare la sua
distribuzione (solo nel caso di risultato positivo o comunque di riserve disponibili e
distribuibili seppure in presenza di perdite) tra coloro che hanno partecipato
all’impresa”.
Peraltro, già nel termine “rappresentare” è insito il concetto di soggettiva
interpretazione di un eventuale vero, verificabile solo a consuntivo, cioè “a cose fatte”;
infatti qualsiasi rappresentazione è il risultato di una individuale, personale e soggettiva
interpretazione di fatti esistenti, ma incompiuti in parte o in toto.
Il bilancio d’esercizio, in una accezione più ristretta, può però anche essere
inteso come la periodica sintesi delle rilevazioni della contabilità generale al fine di
rappresentare le risultanze dei singoli periodi amministrativi. In questo senso va da sé
che in tale sintesi vi siano tutti gli elementi di un’interpretazione soggettiva.
Nel censurare questo comportamento valutativo estimativo di capitalizzazione
avvenuta non viene però mai tenuto in conto la diversità temporale delle valutazioni, a
cose cioè ancora da accadere o a cose già accadute; quando cioè è facile sostenere che
certe scelte non dovessero essere fatte (in quanto se ne conosce già l’esito) e magari
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
senza considerare aspetti esogeni e decisamente incidenti sull’esito delle scelte
gestionali. A tale proposito si richiama in tale sede come la crisi congiunturale
pluriennale tutt’ora in corso abbia inciso profondamente sulle stime di esito poste in
essere in moltissime imprese. E lo dimostra un fatto oggettivo, ovvero la Relazione
UnionCamere che presenta (Repubblica del 26 aprile 2014) il conto di sei anni di crisi:
ovvero l’incremento esponenziale dei fallimenti: più di 3.600 fallimenti negli ultimi tre
mesi e la maglia nera assegnata al Piemonte.
Come ricorrentemente affermato dalla giurisprudenza, il sindacato del Tribunale
non può investire il merito delle scelte imprenditoriali degli amministratori, ma solo
appuntarsi sul grado di diligenza con la quale esse sono state assunte. Ne consegue che
persino “il successivo, imprevedibile esito negativo dell’affare non comporta il loro
obbligo di risarcimento dei danni nei confronti della società amministrata” (così, ex
aliis, Trib. M ilano, 3 settembre 2003, in Società, 2004, p. 890).
4. La misurabilita’ della capitalizzazione.
E’ assodato che la capitalizzazione è un processo soggettivo e, come già indicato
e più avanti ribadito, non vietato dalla Legge.
Dando dunque per scontata l’ammissibilità, un problema potrebbe sussistere
nella misurabilità della sospensione o capitalizzazione.
L’attenzione del valutatore deve volgersi al passato ma soprattutto al futuro con
il proposito di stimare la funzionalità a venire. Il compito è difficile e rischioso per
l’assenza di riferimenti oggettivi. L’unico soccorso proviene dai peculiari connotati del
fattore oggetto di sospensione e dalla combinazione produttiva riferibile al business ed
agli interlocutori del business con relativi vincoli futuri desumibili.
Tuttavia la disamina del singolo fattore non può essere avulsa da una
valutazione di sistema, espressione del divenire di quel momento con le capacità
prospettiche dipendenti dalle condizioni endogene ed esogene all’impresa, non
replicabili nel futuro realizzato in quanto nel futuro l’esito è certo, mentre nel momento
della stima l’esito futuro è incerto.
Le condizioni estimative non sono tra loro comparabili. Lo sarebbero solo
simulando ex post le condizioni ex ante.
Nel processo di capitalizzazione si traspone l’attesa di una utilità futura che non
dipende unicamente dalle peculiari attitudini del fattore, ma anche da condizionamenti
spazio tempo spesso non prevedibili neppure con la buona volontà: il riferimento al
perdurante periodo congiunturale è inequivocabile.
Qualsiasi proiezione di carattere prospettico sconta le inevitabili incertezze che
contraddistinguono qualunque operazione (estimativa e non) di ingerenza futura. Quanti
business plan, seppure ben fatti, per esempio, sono stati smentiti dai fatti contingenti
attuali?! Eppure a cose fatte tutti sono censori ed arbitri, bravi a dire “ non si doveva
fare così!”.
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
La funzionalità, il sostegno, il contributo, la condizione commerciale alla
formazione dei flussi di ricavi futuri e ai potenziali (mai certi) redditi positivi futuri
sono gli elementi di verifica della funzionalità, ossia per la destinazione a capitale
(capitalizzazione) e quindi alla successiva ripartizione su più esercizi. Qualora al
contrario si dovesse verificare che la futura possibilità di impiego economico venga a
cessare, non si manifesteranno più i flussi di ricavo, con il che il costo capitalizzato
diviene interamente consumo; così contribuendo integralmente (attraverso la sua
imputazione totale a Conto Economico) alla formazione del reddito di quel periodo in
cui le attese future sono venute meno.
E’ chiaro che questo può significare errori di stima, ma nulla di più purché non
vi sia prova di alterazioni oggettive o di riferimenti falsi od inesistenti.
Qualunque quantificazione di valori congetturali – come nel caso della
capitalizzazione dei costi, così come nella specie della determinazione di semilavorati e
prodotti in corso di lavorazione a magazzino – presenta il rischio di erronee valutazioni.
Peraltro gli effetti quantitativi sulla rappresentazione economico finanziaria sul
bilancio, in presenza di tali errori naturali, hanno riflessi immediati ed al contempo
ritardati.
Nel breve termine l’eventuale errore di stima determina un riflesso diretto
perché si producono effetti su reddito e capitale.
Negli esercizi successivi l’effetto tende ad essere riassorbito tramite il
meccanismo indiretto dell’ammortamento che produce effetti opposti alla distorsione
estimativa iniziale. Gli eccessi delle stime (sovra o sottostime) sono comunque sempre
neutralizzate indirettamente da successive (maggiori o minori) quote di ammortamento
che consentono di recuperare ciò che in un certo momento si è ritenuto giusto stimare.
Questi sono peraltro problematiche quantitative che non scalfiscono
l’ammissibilità del processo di sospensione o capitalizzazione dei costi.
Le difficoltà e le incertezze che caratterizzano le decisioni di capitalizzazione
non derivano, come molti o troppi sembrano pensare, dal carattere di immaterialità che
se ne desume dalla denominazione; bensì riguardano la struttura concettuale
dell’operazione la quale, non vietata, presenta profili evidenti di soggettività e
opinabilità che, neppure nel parere contrario, possono evidenziare convincimenti
oggettivi. Altrettanto questi non possono essere suffragati da eventi che, a consuntivo, si
sono manifestati in maniera diversa rispetto a quanto previsto. La certezza dell’esito
finale non può mai essere ritenuto il motivo di inammissibilità delle stime originarie:
sarebbe negare il significato etimologico della parola “stima”.
5. Il dato normativo.
Il Codice Civile non tratta in maniera specifica ed esplicita della capitalizzazione
dei costi, come neppure dei costi pluriennali da ammortizzare; se non ammettendoli
come categoria implicita all’art. 2424 – Contenuto dello Stato Patrimoniale, laddove li
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
configura alla lettera B) I) Immobilizzazioni Immateriali, punto 7) denominandole
“altre”.
Il Codice disciplina invece i criteri di valutazione di alcune delle voci
appartenenti alla categoria delle Immobilizzazioni Immateriali, criteri dedotti anche per
le voci non considerate, seppure non è trattato il processo di formazione e di valutazione
estimativa in senso stretto di come si debba fare la capitalizzazione e quali siano i criteri
da adottarsi, limitandosi il legislatore a dichiarare che i costi ad utilità pluriennale
possono (e di qui il concetto di facoltà e non di obbligo) essere iscritti nell’attivo, quindi
stornati dal Conto Economico, con il consenso del Collegio Sindacale qualora esista.
In realtà, e a ben vedere, il legislatore ammette il concetto di capitalizzazione
allorquando al comma 1, punto 1) dell’art. 2426 afferma che “nel costo di acquisto o di
produzione si computano (non precisando se obbligo o facoltà peraltro) anche i costi
accessori, quelli direttamente imputabili ma anche altri costi (generali) per la quota
ragionevolmente imputabile”, arrivando addirittura a ricomprendere gli oneri finanziari;
sancendo pertanto la possibilità di considerare anche i cosiddetti costi indiretti.
Qualche maggiore indicazione si ricava dalla disamina del Principio Contabile
N. 24 dell’Organismo Italiano di Contabilità, che è stato riscritto nel febbraio 2013 ed è
in corso di adozione e approvazione nel 2014; tuttavia nuova o vecchia formulazione
sono molto simili, seppure la nuova colma alcuni vuoti della precedente che, peraltro,
non presentava (né l’attuale presenta) profili di censura circa la capitalizzazione dei
costi.
Il Principio in questione è infatti dedicato alle Immobilizzazioni Immateriali,
quindi anche ai costi capitalizzati che rientrano dunque al numero 7) della lettera B-I.
Innanzitutto si precisa che le immobilizzazioni immateriali sono caratterizzate dalla
mancanza di tangibilità e manifestano benefici economici lungo un arco temporale di
più esercizi; la puntualizzazione più forte è che viene dichiarato che sono anche
costituiti da oneri pluriennali.
Questi oneri pluriennali sono dichiarati diversi dai beni immateriali e
dall’avviamento.
M a la peculiarità del Principio in oggetto è che “ gli oneri pluriennali hanno
caratteristiche più difficilmente determinabili con riferimento alla loro utilità
pluriennale, rispetto ai beni immateriali veri e propri”.
Tale accezione non è di poco conto in quanto l’OIC dichiara e accetta
l’opinabilità estimativa dei redattori del Bilancio, la soggettività nell’individuazione
dell’utilità pluriennale, non sentendosi di disciplinare in modo marcato le modalità e le
motivazioni dell’utilità pluriennale, come a volere riferire questi aspetti ai casi specifici
cui il Bilancio si deve riferire.
Neppure il Principio Contabile N. 24 fissa obblighi sui contenuti delle
richiamate 7 voci dell’articolo 2424 che formano le Immobilizzazioni Immateriali,
limitandosi a dire che ognuna di loro “può comprendere”.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014
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STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
In particolare si afferma che “Nella voce altre immobilizzazioni immateriali
(voce B.I.7) si possono iscrivere eventuali costi capitalizzabili (senza individuarli) che,
per la loro differente natura, non trovano collocazione nella altre voci della classe B.I”.
Il profilo di soggettività nell’individuazione dei costi capitalizzabili è poi
ulteriormente confermato dal seguito: “A titolo esemplificativo (il che non significa
limitarsi a queste) possono essere ricompresi i seguenti costi: il costo corrisposto per
acquisire l’usufrutto su azioni, gli oneri accessori su finanziamenti, i costi sostenuti per
migliorie e spese incrementative su beni presi in locazione dalla società (anche in
leasing) o su beni di terzi…”, ed altro ancora.
Sugli aspetti di valutazione il principio in oggetto pone in evidenza per gli oneri
(costi) pluriennali che i medesimi “possono essere iscritti (non è un obbligo) nell’attivo
dello Stato Patrimoniale solo se: è dimostrabile la loro utilità futura, oppure esiste una
correlazione oggettiva (che significa riferibile a un qualcosa di identificabile) con i
benefici futuri di cui l’azienda potrà godere, oppure è stimabile la loro recuperabilità”.
L’utilità pluriennale è poi ritenuta “giustificabile solo in seguito al verificarsi di
determinate condizioni gestionali, oppure produttive, oppure di mercato che al momento
della rilevazione iniziale dei costi devono risultare da un piano dell’azienda”; in questo
modo viene posta evidenza su condizione di settore quando si fa riferimento alle
condizioni produttive, così come al mercato anche inteso quale settore di riferimento.
Il piano dell’azienda non è peraltro il business plan in sé e per sé, bensì il piano
di azione che identifica il fare d’impresa riferito a quelle condizioni gestionali, di
prodotto o di mercato.
Il Principio Contabile N. 24 precisa - da ultimo - che l’unico obbligo per gli
amministratori è quello di dare chiara evidenza quali-quantitativa nella Nota Integrativa
delle voci capitalizzate, quindi degli Altri Oneri Pluriennali, oltre che delle motivazioni
della loro iscrizione all’attivo.
Se il comportamento assunto è di questo genere non sussistono motivi di
censura.
Ad ogni modo la formulazione degli articoli del Codice Civile così come del
Principio OIC in questione non forniscono un perimetro preciso del comportamento
estimativo, seppure occorre dire che quest’ultimo (come peraltro il Codice Civile) non
vieta nella sua struttura di fondo la capitalizzazione, anzi! Proprio il Documento N. 24
fornisce numerosi esempi di costi capitalizzabili purchè sia fondatamente presumibile
(di presunzion non v’è certezza, mutando altro dire celebre) che ci potranno essere in
seguito, cioè negli esercizi succesivi, flussi di ricavi futuri proprio grazie ai fattori
produttivi capitalizzati.
Per i fautori del “Principio della Prudenza”, unilateralmente inteso, occorre
inoltre precisare che nel Documento N. 11 si richiama appunto tale principio della
prudenza connotandone caratteristiche per cui questa non va intesa in via limitativa,
cioè come principio secondo il quale determinate decisioni estimative di bilancio non si
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014
54
STUDI E OPINIONI
LA CAPITALIZZAZIONE DEI COSTI PLURIENNALE
possono adottare, bensì interpretata (non si dimentichi che il Bilancio è una
rappresentazione soggettiva) in un approccio di coerenza nelle valutazioni.
Essere prudente, pure per la Dottrina Economico Aziendale Italiana, significa
anche fare con realismo le valutazioni di Bilancio in modo che rappresentino in maniera
adeguata e corrispondente la realtà effettuale oggetto di stima: questa realtà effettuale
non può che fare riferimento a quell’azienda e non ad un’altra, e al settore di operatività
e non ad un altro.
Anche il principio di competenza, sempre richiamato dal Documento N. 11,
individua un approccio di elaborazione del Bilancio che identifica una correlazione
costi-ricavi che consenta di ripartire non solo l’utilità, ma anche la funzionalità,
pluriennale del costo su base razionale e sistemica (principio di competenza anche
indicato dalla normativa fiscale del Paese all’art. 75 del Testo Unico).
Leggendo in maniera sistemica le varie normative, civilistica, fiscale, principi
OIC, se ne desume con chiarezza inconfutabile che il "segreto" del criterio che
individua la funzionalità pluriennale dei costi capitalizzabili è individuabile nel fatto che
un costo sostenuto “oggi” (che per di più può rientrare in un piano cui seguiranno altri
identici od ulteriori costi) sia in grado di favorire - od essere il presupposto per generare
– ricavi futuri, e quindi creare la base prodromica per potenziali e probabili frutti futuri;
un costo che presenta tali caratteristiche funzionali non può che essere dunque che
capitalizzabile, qualora l’organo gestorio lo ritenga tale e l’organo di controlla lo
condivida.
Una scelta diversa penalizzerebbe la correlazione logica, più che quantitativa,
costi-ricavi, con un unico risultato: quello di deprimere la redditività dell’esercizio
corrente e alterando la rappresentazione (sempre soggettiva) della situazione
patrimoniale-finanziaria e del risultato economico dell’esercizio con evidenti riflessi
futuri.
Infatti i costi sostenuti nel presente, indipendentemente dalla loro natura fisica,
se funzionali – non importa in quale modo - alla produzione di un flusso di ricavi futuri
(ancor più ciò vale se sussistono accordi contrattuali in tal senso) e quindi di un reddito
(non importa se positivo o negativo) che non è solo del presente (perché si forma
continuamente…) devono necessariamente mantenere una correlazione temporale con il
futuro: ciò può avvenire solo attraverso il processo di capitalizzazione.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N.18/2014
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
SEGNALAZIONI DI
DIRITTO COMMERCIALE
NO RMATIVA
D.L. 12 settembre 2014, n. 132 – Il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, recante “Misure
urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato
in materia di processo civile”, è stato pubblicato su Gazzetta Ufficiale, 12 settembre
2014, n. 212, con entrata in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione.
I NDICAZIO NI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Iscrizione nel Registro delle imprese – Con la Circolare n. 3673/C del 19 settembre
2014, il M inistero per lo Sviluppo economico ha fornito alcuni chiarimenti ed indicazioni sull’attuazione delle procedure di iscrizione degli atti nel Registro delle imprese,
modificate dall’art. 20, comma 7 bis, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con la
L. 11 agosto 2014, n. 116 (vds. segnalazioni di diritto commerciale pubblicate sul n.
17/2014 di questa Rivista).
In particolare, tra le diverse questioni affrontate, si precisa la data di entrata in vigore
delle novelle disposizioni e si propone un’interpretazione dell’espressione “immediata
iscrizione” riferita ai documenti presentati in forma di atto pubblico o di scrittura privata
autenticata: oltre agli atti notarili, si legge, dovrebbero essere inclusi “tutti gli atti provenienti da un’autorità pubblica, ad esempio le sentenze”.
Infine, le previsioni del summenzionato comma 7 bis non sarebbero applicabili alle istanze che pervengono “all’ufficio del Registro delle imprese da parte dell’impresa che
non ha provveduto alla comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata a
norma di legge”.
La Circolare è reperibile sul sito www.sviluppoeconomico.gov.it.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
BANCA D’ITALIA
Arbitro Bancario Finanziario – La Banca d’Italia ha diffuso la Relazione sull’attività
dell’Arbitro Bancario Finanziario riferita al 2013, nella quale sono presentati i dati statistici relativi ai ricorsi, all’esito delle decisioni ed all’attività svolta dai Collegi, nonché
sono illustrate le principali tematiche oggetto dei contenziosi.
Il documento, pubblicato il 22 settembre 2014, è consultabile sul sito
www.bancaditalia.it.
COMITATO TRIVENETO DEI NOTAI
Orientamenti societari – Il Comitato Triveneto dei Notai ha divulgato gli Orientamenti
societari 2014, concernenti:
• il trasferimento in Italia della sede legale di una società costituita in uno Stato estero (massime E.C.1. “Legittimità del trasferimento in Italia della sede di società estera con mutamento della lex societatis”; E.C.2. “Controllo del notaio depositario
di atto estero ai fini dell’iscrizione nel Registro delle imprese di una società proveniente da un ordinamento straniero”; E.C.3. “Controllo dell’effettività del capitale
sociale della società estera che si trasferisce in Italia”);
• le modifiche dell’atto costitutivo di società di capitali conseguenti ad operazioni sul
capitale sociale o di ripianamento perdite (massime H.G.33. per le s.p.a. e I.G.48.
per le s.r.l., entrambe titolate “Riserve sopravvenute utilizzabili per l’aumento gratuito del capitale e situazione patrimoniale aggiornata”);
• i conferimenti nelle società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 2464, 4° co.,
c.c. (massima I.A.14. “Modalità del versamento dei conferimenti in denaro
nell’ipotesi in cui non intervengano gli amministratori nell’atto di costituzione”);
• il recesso nelle s.r.l. (massime I.H.17. “Sorte degli eventuali diritti dei terzi sulle
partecipazioni sociali all’esito della liquidazione del socio receduto mediante
l’utilizzo di riserve disponibili”; I.H.18. “Non applicabilità dell’art. 2474 c.c. alla
liquidazione delle partecipazioni in caso di recesso od esclusione”);
• la costituzione della riserva legale nelle s.r.l. semplificate (massima R.A.6. “Riserva legale nelle s.r.l. semplificate”);
• alcuni profili della disciplina delle società di persone (massime O.A.8. “Fatti e atti
modificativi della compagine sociale e loro iscrizione nel Registro delle imprese”;
O.A.9. “Insussistenza dell’obbligo di adeguare le clausole degli originari patti sociali alle modifiche intercorse”; O.A.10. “Legittimità della nomina dei liquidatori a
tempo determinato”);
• alcune ipotesi di trasformazioni “atipiche” (massime K.A.37. “Trasformazione di
società con unico socio in titolarità individuale d’azienda da parte di persona fisica e viceversa”; K.A.38. “Maggioranze richieste per la trasformazione eterogenea
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
atipica di associazione non riconosciuta in società di persone o di capitali”;
K.A.39. “Trasformazione eterogenea atipica di associazioni tra professionisti in
s.t.p.”).
Le massime sono integralmente pubblicate sul sito www.notaitriveneto.it.
CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
Osservazioni sulla Circolare n. 3673/C del Ministero dello S viluppo economico – Il
Consiglio Nazionale del Notariato ha redatto alcune Prime note sulla Circolare ministeriale n. 3673/C avente ad oggetto l’attuazione delle procedure di iscrizione degli atti
presso il Registro delle imprese, così come innovate dall’art. 20, comma 7 bis, del D.L.
24 giugno 2014, n. 91, convertito con la L. 11 agosto 2014, n. 116.
Il documento, diffuso il 25 settembre 2014, è reperibile sul sito www.notariato.it.
GIURISPRUDENZA
Nullità delibera assembleare di s.r.l. – Il Tribunale di M ilano ha ribadito che la delibera assembleare viziata da assenza assoluta di informazione – la cui impugnazione è
sottoposta al termine di decadenza triennale previsto dall’art. 2479 ter, 3° co., c.c. – “va
riferita al procedimento di convocazione in senso proprio e si risolve nel medesimo vizio di nullità previsto per le s.p.a., inerente alla completa mancanza di convocazione”.
Ogni altro vizio concernente “carenze informative” rientra nel novero dei vizi di annullabilità, per i quali il termine di impugnazione è ridotto a novanta giorni, decorrenti
“dalla data di iscrizione della delibera nel libro delle decisioni dei soci”, (ex art. 2479
ter, 1° co., c.c.).
La sentenza del Tribunale di M ilano dell’8 agosto 2014 è disponibile sul sito
www.giurisprudenzadelleimprese.it.
Revoca della dichiarazione di fallimento – La Corte di Appello di Bologna ha stabilito che “la desistenza dell’unico socio creditore istante e la rinuncia all’istanza dallo
stesso in precedenza proposta” – per l’intervenuto pagamento da parte della società debitrice – “importano la revoca della dichiarazione di fallimento”, ancorché si verifichino “solo in sede di reclamo avverso quest’ultima”. Nella vicenda posta al vaglio dei
Giudici bolognesi, inoltre, “la presentazione di fidejussione bancaria a garanzia dei
crediti insinuati al passivo del fallimento rende evidente la volontà della società di far
fronte alle proprie obbligazioni e di avere capacità di ottenere credito e le risorse necessarie per la prosecuzione dell’attività”: elementi, questi, che ne escludono lo stato di
insolvenza.
La sentenza della Corte di Appello di Bologna del 1° settembre 2014 è consultabile sul
sito www.ilcaso.it.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
Concordato pre ventivo e percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari – Per il Tribunale di M odena, “la misura al disotto della quale la consistenza
dell’entità del soddisfacimento” dei creditori chirografari “non è più minimale ma diviene inconsistente e quindi non apprezzabile come «pagamento» (inteso in senso lato) sia
pure parziale del debito deve essere individuata in una misura costante, almeno nei casi
in cui lo stesso avvenga in denaro”; e ciò in quanto trattasi “di un presupposto di ammissibilità che deve essere caratterizzato dall’oggettività, pena una totale incertezza e
quindi imprevedibilità della decisione” di ammissibilità del concordato. Il Tribunale ha
quantificato “tale misura nel 5%, apparendo una percentuale inferiore non già minimale ma sostanzialmente irrisoria e tale da non poter giustificare l’accesso ad un istituto
alternativo alla procedura fallimentare e che deve essere necessariamente caratterizzato da limitazioni in tema di modalità satisfattive idonee a garantire un minimo di tutela
alla minoranza dissenziente”.
Il decreto del Tribunale di M odena del 3 settembre 2014 è reperibile sul sito
www.ilcaso.it.
Beneficium excussionis – Il Tribunale di Reggio Emilia, uniformandosi ad un insegnamento risalente della Corte di Cassazione, ha affermato che “la preventiva escussione del patrimonio sociale, richiesta dall’art. 2304 c.c. perché il creditore di una società
in nome collettivo possa pretendere il pagamento dai singoli soci illimitatamente responsabili, non comporta la necessità per il creditore di sperimentare in ogni caso
l’azione esecutiva sul patrimonio della società”: la suddetta necessità viene meno
“quando risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza di quel patrimonio per
la realizzazione del credito”, financo in misura parziale.
L’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia del 10 settembre 2014 è disponibile sul sito
www.ilcaso.it.
Responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001 – Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione
sono intervenute su diversi profili riguardanti l’applicazione della disciplina prevista dal
D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, tra cui l’individuazione del profitto confiscabile e le caratteristiche dell’Organismo di Vigilanza; inoltre, particolare rilievo è dato alla distinzione tra colpa cosciente e dolo eventuale, con l’identificazione di alcuni elementi che
differenziano i due profili soggettivi.
La pronuncia n. 38343 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale, depositata
in data 18 settembre 2014, è integralmente consultabile sul sito
www.penalecontemporaneo.it.
Bancarotta fraudolenta da operazioni dolose – La Suprema Corte, richiamando un
precedente arresto del 2010 (Cass. pen., 18 febbraio 2010, n. 17690), ha precisato che la
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
condotta punita dall’art. 223, 2° co., n. 2 L.F., si caratterizza per il riferimento “alla nozione di operazione (connotato prescrittivo ignoto alla generale previsione della bancarotta fraudolenta) la quale richiama necessariamente un quid pluris rispetto ad ogni
singola azione (o singoli atti di una medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di
maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati
all’esito divisato”. Inoltre, per i Giudici di legittimità, il rapporto che lega l’operazione
dolosa al fallimento non implica la “necessaria rappresentazione dell’esito concorsuale
(né, tantomeno, la volontà di siffatto evento)”, in quanto il reato di cui all’art. 223, 2°
co., n. 2, L.F., si configura come “un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale e per essa esaurisce l’onere probatorio dell’accusa la dimostrazione della
consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’azione, costitutiva dell’operazione, a
cui segue il dissesto, in uno con l’astratta prevedibilità dell’evento scaturito per effetto
dell’azione antidoverosa”.
Cassazione penale, 19 settembre 2014, n. 38587.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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SEGNALAZIONI
SEGNALAZIONI DI DIRITTO
TRIBUTARIO
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
Modalità di presentazione delle deleghe di pagamento F24 a decorrere dal 1°
ottobre 2014
Con la presente circolare sono forniti alcuni chiarimenti, con la precisazione che le
disposizioni in esame non si applicano ai pagamenti effettuati con strumenti diversi dal
modello F24 (ad esempio bonifici e versamenti diretti in tesoreria).
(Agenzia delle entrate, circolare 19 settembre 2014, n. 27/E)
Visto di conformità per l’utilizzo dei crediti superiori a 15.000 euro
Analogamente a quanto già previsto in materia di compensazione dei crediti IVA, la
norma prevede altresì che, in alternativa, la dichiarazione può essere sottoscritta da parte
dei soggetti che esercitano il controllo contabile per i contribuenti di cui all’articolo
2409-bis del codice civile al fine di attestare l’esecuzione dei controlli previsti
dall’articolo 2, comma 2, del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164. Con la
presente circolare si forniscono chiarimenti in ordine agli adempimenti che i
professionisti devono porre in essere al fine di comunicare all’Agenzia delle entrate che
intendono apporre il visto di conformità.
(Agenzia delle entrate, circolare 25 settembre 2014, n. 28/E)
S trumenti di finanziamento per le imprese. Deducibilità delle spese di emissione
delle obbligazioni
L’art. 32, comma 13, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (cd. “Decreto Crescita”)
ha sensibilmente modificato il regime civilistico e fiscale degli interessi degli strumenti
finanziari che possono emettere le imprese domestiche di piccole e medie dimensioni,
quali le obbligazioni e le cambiali finanziarie, allo scopo di dotarle di strumenti di
raccolta di capitali di debito, utilizzabili in alternativa alla raccolta presso i soci e al
credito bancario oppure in sostituzione di precedenti debiti. La norma non intende
superare in modo assoluto il criterio generale di deducibilità per competenza delle
suddette spese di emissione, seguendo la ripartizione contabile effettuata in più esercizi
e lungo la durata dell’operazione di finanziamento. La deducibilità per cassa delle spese
di emissione dei titoli obbligazionari, titoli similari e delle cambiali finanziarie, va
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
infatti considerata una facoltà e non un obbligo, in linea con la ratio di natura
agevolativa che caratterizza l’intero Decreto crescita.
(Agenzia delle entrate, circolare 26 settembre 2014, n. 29/E)
Apposizione del visto di conformità
Con l'apposizione del visto previsto dal comma 1 dell’art. 35 del D.lgs. n. 241 del 1997
viene attestata l'esecuzione dei controlli volti a verificare la regolare tenuta e
conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e
dell'imposta sul valore aggiunto, la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione
alle risultanze delle scritture contabili, la corrispondenza dei dati esposti nelle scritture
contabili alla relativa documentazione. I professionisti, in possesso dei requisiti previsti
dalla suddetta norma, che intendono utilizzare in compensazione orizzontale i crediti
relativi alle imposte sui redditi e alle relative addizionali, all’IRAP e alle ritenute alla
fonte, emergenti dalla propria dichiarazione, possono autonomamente apporre il visto di
conformità sulla stessa, senza essere obbligati a rivolgersi a terzi. Ciò anche in
conformità ai chiarimenti forniti con circ. n. 54/E del 2001 con riferimento
all’asseverazione degli elementi contabili ed extra contabili rilevanti ai fini degli studi
di settore.
(Agenzia delle entrate, risoluzione 2 settembre 2014, n. 82/E)
G IURISPRUDENZA
Sequestro preventivo - Persone giuridiche
Il sequestro per equivalente è precluso nei confronti delle persone giuridiche dal D.Lgs.
n. 231 del 2001 in ipotesi di contestazione dei reati tributari. I reati per i quali il citato
provvedimento consente, in applicazione dell'art. 321 c.p.p., il sequestro predetto sono,
invero, numerus clausus ed i reati tributari non sono tra questi ricompresi.
(Sent./Ord. n. 39177 del 24 settembre 2014della Cassazione Penale, Sez. III)
Redditi d'impresa
In presenza di un accertamento di maggiori ricavi risultante da una contestata
valutazione del valore normale dei beni ceduti dal contribuente, di cui agli artt. 76,
comma 5, e 9, D.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo ante riforma del 2004), la eventuale
inidoneità di taluni criteri adottati dall'Ufficio per la determinazione del valore normale
comporta l'obbligo per il Giudice tributario, quale giudice di merito, di rideterminare
nuovamente tale valore secondo il criterio ritenuto legittimo, non potendo egli annullare
in toto la rettifica operata dall'Ufficio. Il processo tributario, invero, non è diretto alla
mera eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito,
sostitutiva sua della dichiarazione resa dal contribuente, che dell'accertamento
dell'Ufficio.
(Sent./Ord. n. 19750 del 19 settembre 2014 della Cassazione Civile, Sez. V)
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
Reati tributari
La previsione normativa di cui all'art. 10-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, nel sanzionare
l'omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro,
quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non
impone che la prova di quanto precede deve ricavarsi solo dalle certificazioni, senza
possibilità di ricorrere ad equipollenti. Il riferimento, contenuto nella citata norma, alle
ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti di imposta, altro significato
non ha se non quello di indicare, quale condizione per la configurabilità del reato,
l'effettivo versamento delle retribuzioni ai dipendenti. Ne consegue che la sussistenza
della certificazione rilasciata ai sostituiti di imposta non è essenziale sul piano
probatorio, potendo desumersi aliunde la prova dell'effettivo versamento delle
retribuzioni (quale nella specie dal modello 770).
(Sent./Ord. n. 37730 del 15 settembre 2014 della Cassazione Penale, Sez. III)
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 18/2014
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