LIRICA SUCCESSO VIVI SSIMO AL TEATRO CO MUNALE «PAVAROTII». REPLICHE OGGI E DOM ENICA Don Carlo, la versione di Modena Uoperaverdiana riproposta alla maniera del 1886, col ripristino del quinto atto Direzione consapevole di Fabrizio Ventura sul podio dell'Orero Bene il cast Gian Paolo Minardi «lo sono stato, è vero, occupato, ed ho affaticato più di quello che credevo. il D.Carlos è ora ridotto in quattro atti e sarà più comodo, e credo anche migliore, artisticamente parlando. Più concisione e più nerbo». Quanto Verdi fosse convinto di questa risposta all'amico Arrivabene che rimpiangeva l'opera com'era nata a Parigi, cinque atti più il balletto d'obbligo, lo si può misurare dalla constatazione che nel 1886, pur senza rirnettervi le mani, già coinvolto com'era nella vicenda di «Otello», approvò una nuova versione, rappresentata a Modena il 29 dicembre di quello stesso anno, che prevedeva il ripristino dell'atto iniziale ambientato a Fontainebleau Ce quindi il ritra~ . sferimento in esso della romanza di Carlo). Non vi sono purtroppo docu- Don carlo. Versione di Modena, 1886 In scena ancora oggi e domenica menti che consentano di seguire la nascita di questa nuova versione, descritta dalla «Gazzetta Musicale di Milano» come «permessa e approvata dall'illustre autore» e apparsa in edizione a stampa nel 1887, ma nessun dubbio può essere accampato su questa ultima tappa di un cammino oltremodo travagliato qual è stato quello di «Don Carlos - Don Carlo». Ora con giusta detenninaziQne il Teatro Comunale, affiancandosi al Festival Verdi in corso, ha voluto ridar vita alla versione propostaaModenaCdirettore era Guglielmo Zuelli, che nel 1911 avrebbe diretto il nostro Conservatorio), affrontando l'impegno eccezionale imposto da quest'opera, probabilmente la più complessa di Ve:rdi, non solo per l'ampiezza ma ancor più per la ricchezza della struttura dram- .o c: o -t C > z o q Z "TI o::o s:: l> N Ci Z m "TI O Z O l> O Z m ,.... -t III ......... U1 Don Carlo, la versione di Modena maturgica che vede diramarsi dal nucleo centrale -la ribellione di Carlo contro il padre, Filippo II, repressa con l'appoggio della Chiesa - una varietà di digressioni, a loro volta intrecciate tra loro in una specie di labirinto psicologico: l'amore illegittimo tra Carlo e Elisabetta, l'amicizia del giovaite con Posa, la trama oscura tra Filippo e l'Inquisitore, l'angoscia e la solitudine del Re, la vendetta e il pentimento di Eboli. Un'opera senza un vero protagonista, è stato detto, nonostante l'incombenza regale di Filippo secondo, proprio per questa circolarità che si muove tra i sei personaggi principali: già questo numero una ragione di azzardo al giorno d'oggi non poco trascurabile per un teatro; senza dire poi della difficoltà di imprimere un afflato unitario al grande raccon. to il cui tessuto è tramato di materiali assai diversi, alcuni appartenenti alla vecchia maniera, altri più sperimentali, il tutto però avvolto da quella «tinta» così singolare che possiamo cogliere nella irrisolutezza che contrassegna . tutti i personaggi (tranne il Grande Inquisitore, irremovibile tutore della fede); come una «perenne inquietudine» che Gavazzeni individuò acutamente quale segnale di un decadentismo sottile, premonitore, a dire di un Verdi le cui antenne andavano percependo i nuovi fermenti, i mutamenti intervenuti nella società e quindi nella sensibilità. Un Verdi che non rinnega quella sua visione drammaturgica che aveva forgiato traendo legittimazione da Shakespeare,daHugo,daSchiller,mala riplasma in rapporto a nuove istanze. Problematiche complesse che nella proposta del teatro modenese sono·state condivise con evidente consapevolezza da Fabrizio Ventura, un direttore la cui visio- ne si avvertiva come fosse sorretta da una vasta esperienza internazionale, teatrale quanto sinfonica, aspetto quest'ultimo fondamentaleperunapartituracomequella di «Don Carlo» dove la vocalità, innervata di «parola scenica», vive entro un contesto strumentale di penetrante sigrrificazione. Una guida quella di Ventura ben assimilata dall'Orchestra Regionale dell'Emilia-Romagnae sicuro punto di riferimento per gli interpreti: Giacomo Prestia, rassicurante Filippo per dignità e intensa caratterizzazione, nel rovello che avvelena la sua regalità; antagonista non meno efficace, benché meno 'tenebroso' rispet·t o a quanto si è soliti ascoltare, l'Inquisitore di Luciano Montanaro. Mario Malagnini ha ricreato con sicura partecipazione il personaggio ·del giovane Carlo cogliendone liricamente gli strazi segreti. Cellia Costea è parsa un'Elisabetta più determinata che ripiegata nella sua melanconica condizione, come ha mostrato nel magnifico sfoggio di «Tu che le vanità» e così pure l'Eboli diAlIaPozniak è sembrata privilegiare con decisa efficacia il lato drammatico rispetto a quello più insinuante e mondano. Rodrigo eloquente, benché un po'opaco nel timbro, Simone Piazzola Joseph Franconi Lee, che in molte occasioni ha ripreso la storica messa in scena di Visconti, contrassegnata dal contrasto tra <<una Spagna fastosa, assolata, estroversa.. solo alla musica il compito di dirci l'intimo degli animi» (D'Amico), è parso inparte distaccarsi dal modello con scelte meno contrastate, evocative e narrative insieme, con l'ottimo supporto scenico delle creazioni di Alessandro Ciammarughi. Successo vivissimo . .. I f. I " oc ~ o ~ z o "1 ..,Z o '" , ;:: ' > l! " z o ~ Z m ,...