Matematica e Astronomia come fatto sociale

Approfondimento: La matematica e l’astronomia come fatto sociale
 La matematica come fatto sociale
[1] Per approfondire lo studio della scienza matematica ho letto il libro “La matematica delle civiltà
arcaiche. Egitto Mesopotamia, Grecia” scritto da Livia Giacardi e Livia Clara Roero [3].
Nell’introduzione di questo libro l’autore Tullio Viola precisa la distinzione esistente fra preistoria
e storia della matematica. In particolare per preistoria si intende solitamente la descrizione più o
meno incerta e approssimata, della matematica in popolazioni primitive od anche in civiltà d’un
certo livello, ma delle quali mancano documenti scritti decifrabili”. L’autore continua dicendo: “la
storia comincia là dove si possiedono documenti scritti decifrati. I confini fra preistoria e storia
sono sempre incerti e retrodatabili, perché è, in ogni caso, lecito attendersi di riuscire a decifrare,
in un avvenire vicino o lontano, documenti che oggi ancora non lo sono. È proprio con l’avvento
della scrittura che si colloca la protostoria, tra preistoria e storia. T. Viola scrive che non avrebbe
senso collocare età preistorica in un unico periodo. Tale periodo, infatti, varia da popolo in popolo.
Nel primo capitolo di questo libro viene trattata la preistoria della matematica facendola risalire a
quando l’uomo iniziò ad acquisire conoscere legate a relazioni numeriche e geometriche. Negli stadi
primitivi l’uomo sviluppa un linguaggio articolato in cui non compaiono né generalizzazioni né
astrazioni. In seguito compare la conoscenza di ordine e di forma costruendo attrezzi e iniziando
pian piano a sviluppare una forma di vita sociale. Fin dal Paleolitico l’uomo incomincia d acquisire
una prima conoscenza delle relazioni spaziali e numeriche. Un esempio di tali relazioni è fornito dal
linguaggio della tribù Kamilaroi in Australia: la loro parola per 1 è mal, per due è bulan, per 3 è
gubila, per quattro è bulan bulan, per cinque è bulan gubila, e così via. I numeri per i popoli antichi
hanno carattere quantitativo poiché manca un’astrazione numerica. Nel Paleolitico, i tempi di
sviluppo tecnico furono notevolmente accelerati sotto lo stimolo di necessità pratiche come il
commercio, il computo del gregge ecc. Il primo metodo usato per contare fu quello del
raggruppamento di ciottoli o conchiglie in gruppi di cinque nodi su di una corda o impressioni
dell’unghia su un asse. L’aritmetica vera e propria nasce con l’introduzione di simboli su cui operare
in maniera astratta, indipendente da oggetti: nasce così il bisogno di misurare lunghezze. Il passaggio
dal Paleolitico al Neolotico si ebbe quando l’uomo da semplice raccoglitore di cibo divenne
produttore. L’uomo Neolitico mostrò interresse per disegni geometrici talvolta anche complessi.
[3] [4] [5] La matematica egiziana Tra le civiltà del mondo antico, spicca quella egiziana per la sua
raffinatezza dell’arte e la ricchezza di conoscenze tecnico-pratiche, nell’astronomia e nella
matematica. La scienza degli antichi egizi era sperimentale e si basava sul più rigoroso pragmatismo:
serviva cioè soltanto a scopi pratici. Per fare un esempio, a un astronomo d'allora poco importava che
il cielo fosse il ventre di una mucca o di una dea, una lastra di metallo o un'altra cosa qualsiasi.
Occorreva studiarlo solo per poterne trarre qualche utilità, per orientarsi, per stabilire il corso dei mesi
o prevedere l'inizio dell'inondazione. Così nella matematica o nella geometria il calcolo astratto, il
teorema non applicabile tutti i giorni, la speculazione scientifica esulavano totalmente dalla loro
mentalità. Esulavano comunque, anche da quella di tutti gli altri popoli della terra e, per avere il
"pensiero", bisognerà attendere i presocratici. Entro questi limiti, le conoscenze degli egizi erano
senza dubbio all'avanguardia in tutti i campi dello scibile. Dal punto di vista della decifrazione dei
documenti è stata essenziale la scoperta della stele di Rosetta, avvenuta nel 1799, nel corso della
spedizione di Napoleone Bonaparte in Egitto. Le conoscenze degli Egiziani in campo scientifico non
sono molto numerose, ciò è dovuto principalmente al fatto che sono stati scritti su papiri, materiale
facilmente deteriorabile col tempo e con la variazione delle condizioni climatiche. [3] Il papiro di
Rhind che rappresenta una delle testimonianze più importanti per la conoscenza delle origini della
matematica nell'Antico Egitto. Il papiro di Rhind (o Ahmes) è largo circa 30 cm e lungo circa 5,46 m
e si trova attualmente al British Museum; era stato acquistato nel 1858 in una città balneare sul Nilo
da un antiquario scozzese, Henry Rhind. Il contenuto del papiro è tratto da un esemplare risalente al
Medio Regno tra il 2000 e il 1800 a.C. ed è scritto in ieratico, un linguaggio più agile rispetto al
geroglifico. Nel papiro di Rhind lo scriba Ahmes formulò che l'area di un campo circolare con un
diametro di 9 unità era uguale all'area di un quadrato con un lato di 8 unità:
Un campo rotondo di 9 khet di diametro. Qual è la sua area? Togli 1/9 dal diametro, 1;
il rimanente è 8. Moltiplica 8 per 8: fa 64. Quindi esso contiene 64 sesat.
Si tratta di una formula approssimata per calcolare l’area di un cerchio di diametro x: (x - (1/9)x)²
Dal confronto di questa ipotesi con la formula moderna che permette di calcolare l'area di un cerchio,
risulta che la regola egiziana attribuisce a p un valore di circa 3 + 1/6. Tale approssimazione è
abbastanza vicina al valore esatto. Per molti anni si è supposto che i greci avessero appreso i rudimenti
della geometria dagli Egiziani; Aristotele spiegava che la geometria era nata nella Valle del Nilo,
anche se per trovare conquiste matematiche più avanzate è necessario volgere lo sguardo alla più
turbolenta vallata della Mesopotamia. Il sistema di numerazione egiziano era decimale ed additivo. Il
procedimento per calcolare sottrazioni ed addizioni erano come quelle che conosciamo oggi, mentre
le moltiplicazioni avvenivano per successive duplicazioni. Anche se gli egiziani non consideravano
il numero zero e non c'era nessun simbolo geroglifico che lo identificava, utilizzavano una
numerazione decimale basata sul numero 10. I geroglifici che identificavano tale numerazione sono
i seguenti:
1
10
100
1.000
10.000
100.000
1.000.000*
*
(spesso significa "più di quello che posso contare")
Generalmente i numeri venivano scritti da sinistra a destra iniziando con il denominatore più alto. Per
esempio il numero 2.525 (2.000 + 500 + 20 + 5) veniva scritto come segue:
Il sistema decimale utilizzato dagli egizi aveva come unità di misura il cubito (0,450 metri) o il cubito
reale (0,525 metri), divisi in sette palmi e ventiquattro dita.
Erano noti la radice quadrata, le frazioni, utilizzando particolari segni per indicare due terzi, tre quarti,
quattro quinti e cinque sesti, e alcuni problemi elementari di algebra e trigonometria. Dal papiro Rhind
risulta che gli egiziani avevano anche ottime conoscenze della geometria ed il papiro, che contiene
una serie di teoremi geometrici lo dimostra: l'area del parallelogramma regolare era precisa, un po’
meno quella del trapezio. In alcuni testi egizi è descritto un metodo di risoluzione puramente
aritmetico, detto regola di falsa posizione. Ad esempio, per risolvere l'equazione x + x/7 = 19 si
attribuisce dapprima alla variabile x il valore x = 7, che rende il secondo termine semplice da
calcolare; poiché sostituendo questo valore al posto di x, si ottiene come risultato 8, anziché 19, si
moltiplica la stima iniziale, 7, per un fattore di correzione determinato dividendo 19 per 8. Questa
operazione fornisce il risultato corretto dell'equazione 16 + 5/8. Gli egizi applicavano il metodo della
falsa posizione per trovare la soluzione di equazioni quadratiche semplici
Pesi e Misure Per la loro imponente e complessa organizzazione statale, per l'alto livello raggiunto
dall'architettura e le varie operazione burocratiche, gli Egiziani avevano bisogno di un preciso sistema
di misure e pesi che iniziarono a sviluppare sin dalle origini della storia faraonica. [4] [5]
Lunghezza
Per quanto riguarda la lunghezza la misura di base era il cubito che inizialmente era la misura
dell'avambraccio dal gomito alla punta del dito medio. Viste le ovvie difficoltà costituite dalle varie
differenze individuali vennero create due misure standard:
 il cubito reale (niswt) che veniva utilizzato nella vita quotidiana e probabilmente nacque durante
la II Dinastia. Era lungo 523 millimetri e suddiviso in 7 spanne e 28 pollici;
 il cubito piccolo che misurava 24 pollici (braccio, piede, palmo, mano e pugno).
Entrambi venivano standardizzati per mezzo di regoli in pietra o legno.
Per usi architettonici e urbanistici servivano naturalmente delle misure maggiori che erano poi i
multipli del cubito reale: il "khet" o canna era di 100 cubiti, l'"iteru" (fluviale) corrispondeva a
5000 cubiti (2,615 chilometri); per la cartografia e per l'esplorazione si utilizzava l'iteru da 20.000
cubiti mentre le superfici venivano calcolate in sethat, corrispondenti a un khet quadrato.
Volumi
In un paese dove la gran parte dei pagamenti e delle tassazioni venivano effettuate in cereali, la
misurazione del volume era indispensabile e quasi senz'altro un obbligo. La misura più utilizzata era
il barile (hekat) che corrispondeva a 4,54 litri suddivisi poi in frazioni minori. La misurazione di
enormi volumi per liquidi di largo consumo veniva effettuata in anfore che corrispondeva a 13 litri
mentre per misurazioni molto più piccole, come ad esempio i profumi, veniva utilizzato l'hin da 0,503
litri.
Peso
Per il peso l'unità di misura più diffusa era il deben che corrispondeva a 91 grammi che era a sua volta
suddivisibile in 10 parti dette kedet o kite. Oltre alle unità di misura "ufficiali" esistevano anche quelle
attribuite al valore di mercato e quello merceologico dei beni basate su unità standard che venivano
calcolate dai rapporti fra rame, argento e oro corrispondenti a 1:100:200. A causa di queste diverse
unità nacquero diversi sistemi valutari basati sul deben di bronzo, sul seniu d'argento, lo hin dei liquidi
ed il khar del volume per il grano. Su queste basi valutarie venne basato il complesso sistema
economico egiziano. In Egitto la moneta (hedh) era nota fin dal Nuovo Regno ma venne introdotta e
utilizzata soltanto durante la XXVI Dinastia con la fondazione delle colonie commerciali greche.
[3] [6] [7] La matematica mesopotamica Sulla matematica mesopotamica disponiamo di una
documentazione molto più vasta rispetto a quella egiziana, grazie ai diversi materiali usati per la
registrazione di leggi, tasse, leggende, lettere ed altri documenti: non più fragili papiri, ma solide
tavolette di argilla cotte al sole o in forni. Tuttavia, nonostante la grande quantità di materiale, fu la
scrittura geroglifica egiziana, e non quella cuneiforme babilonese, ad essere decifrata per prima dagli
studiosi moderni. Bisogna quindi aspettare la metà del XX secolo per riconoscere qualche progresso
nella lettura della scrittura babilonese, soprattutto nel campo della matematica. Centinaia di tavolette
di creta trovate a Uruk e risalenti a circa 5000 anni fa testimoniano della forma più antica di scrittura
usata in Mesopotamia. A tale data la scrittura ideografica aveva raggiunto lo stadio di forme stilizzate
convenzionali per indicare le cose, come delle onde per indicare l'acqua. Gradualmente il numero dei
segni andò riducendosi, cosicché dei circa 2000 segni sumerici originariamente usati ne erano rimasti
solo un terzo al tempo della conquista accadica. Disegni primitivi cedettero il posto a combinazioni
di segni cuneiformi. Non è un caso che la scrittura sillabica sia nata in Mesopotamia e non in Egitto:
i popoli mesopotamici stanziati tra il Tigri e l'Eufrate non godono di barriere naturali. La pianura
mesopotamica è il crocevia dei popoli da nord, da oriente e da occidente. Inoltre, la Mesopotamia è
caratterizzata dalla presenza di città-Stato perlopiù indipendenti tra loro e con fiorenti scambi
commerciali. Il contatto diretto con etnie diverse, altre città e altri popoli agevola la pratica del
commercio, di cui i mesopotamici sono veri e propri maestri. L'esigenza di contare le merci e di fare
affari spinge alla ricerca di una scrittura più semplificata rispetto a quella ideografica. Dalla stessa
necessità trovano linfa anche le scienze come la matematica e la geometria. In Mesopotamia si usa
indifferentemente il sistema matematico decimale e sessagesimale. Dagli strumenti matematici
beneficiano anche altre scienze come l'astronomia, l'idraulica e l'ingegneria. Le testimonianze giunte
sino a noi sono date da tavolette di argilla (incise con uno stilo con caratteri cuneiformi) che sono
resistite egregiamente al passare del tempo e ad incendi e cambiamenti climatici. La rappresentazione
dei numeri discende dai sumeri ed ha quindi un valore posizionale; con un simbolo simile ad una V
venivano indicate le unità e con un simbolo simile a < venivano rappresentate le decine:
Il tutto fino a 59; da 60 in poi i simboli si ripetevano e di conseguenza c'era una possibile ambiguità
che però è fugata da un'accentuata spaziatura nei diversi casi (i numeri venivano quasi raggruppati
come mostra il seguente esempio):
424000 = 1
603 + 57
602 + 46
60 + 40 = 1;57;46;40
Le operazioni venivano effettuate in modo molto simile al nostro eccetto per la divisione che era
considerata come una moltiplicazione per il reciproco del denominatore. A tale proposito sono note
alcune importanti tavole di rappresentazione di reciproci di interi e di scomposizione di frazioni in
somme di reciproci di interi. Tra le molte tavolette pervenuteci notiamo la presenza, in alcuni casi di
grandezze incognite all'interno di problemi (e anche la presenza di problemi di terzo grado); per
questo motivo, c'è chi parla di algebra babilonese, anche se bisogna ammettere che questa è un'algebra
molto diversa dall'algebra attuale. Si nota anche che l'intera matematica babilonese manca di
generalità in senso moderno, in quanto non presenta dimostrazioni, ma solo moltissimi casi
particolari. I matematici della Mesopotamia dimostrarono abilità nell'uso di procedimenti algoritmici:
estrazione della radice quadrata di un numero (attribuito ad Archita o ad Erone di Alessandria) ed
elaborarono tavole con i valori funzioni esponenziali ed utilizzandole interpolavano linearmente per
risolvere problemi legati al calcolo dell'interesse. I primi metodi di risoluzione per equazioni di
secondo grado complete, in cui cioè compare anche il termine lineare nella variabile x, come x2 - 5x
= 6, si trovano in testi matematici babilonesi risalenti al 2000 a.C. È degno di nota il fatto che, per
quanto i babilonesi scartassero l'esistenza di radici negative o complesse, il metodo che essi
utilizzavano per determinare le soluzioni reali e positive era esattamente quello tuttora applicato. In
alcuni testi babilonesi, s'incontrano problemi d'astronomia, di geometria o di natura commerciale che
conducono alla determinazione di radici quadrate, cubiche o d'ordine superiore. Per esempio un
problema chiede di trovare il lato di un quadrato se l'area meno il lato è uguale a 14,30. La risoluzione
viene descritta a parole ed equivale all’applicazione della formula per la risoluzione delle equazioni
di secondo grado. Le equazioni di secondo grado vengono anche risolte con il metodo del
completamento del quadrato. Addirittura si riscontrano esempi di risoluzione di equazioni cubiche
risolte consultando opportune tavole. Nella tavoletta babilonese della Plimpton Collection risalente
al 1900-1600 a.c. è riportata una serie di numeri corrispondenti ai valori della secante al quadrato di
angoli compresi fra 31° e 45°.
[2] [5] La matematica cinese Le civiltà fiorite lungo i fiumi Yangtze e Giallo sono paragonabili, per
la loro antichità, a quelle sviluppatesi lungo il Nilo o tra il Tigri e l'Eufrate; tuttavia, i dati cronologici
nel caso della Cina sono meno attendibili di quelli relativi all'Egitto e alla Babilonia. La datazione dei
documenti matematici cinesi è molto difficile; si pensi, ad esempio, che le valutazioni riguardanti il
Chou Pei Suan Ching, considerato il più antico testo di argomento matematico, differiscono tra loro
di quasi un millennio, dal 1200 a.C. al 300 a.C.. La numerazione cinese era essenzialmente decimale
e usava notazioni piuttosto diverse da quelle in uso in altre regioni. In Cina furono in uso fin dai primi
tempi due sistemi di notazione: in uno era predominante il principio moltiplicativo, nell'altro veniva
usata una forma di notazione posizionale. Nel primo schema vi erano simboli distinti per ogni cifra
da uno a dieci e altri simboli per le potenze di dieci: nella scrittura dei numeri le cifre in posizioni
dispari (da sinistra a destra o dal basso in alto) venivano moltiplicate per la cifra immediatamente
successiva. Così il numero 678 sarebbe stato scritto come un sei seguito dal simbolo di cento, poi un
sette seguito dal simbolo di dieci e infine il simbolo di otto. Nell'altro sistema di notazione numerica
a "bastoncini" le cifre da uno a nove e i primi nove multipli di dieci si presentavano così:
Usando questi simboli disposti alternativamente da destra verso sinistra, si potevano rappresentare
numeri grandi quanto si voleva. È impossibile determinare con precisione la data di nascita della
numerazione a bastoncini, ma essa era certamente in uso parecchi secoli prima dell'Era cristiana.
L'uso in Cina di un sistema posizionale centesimale, invece che decimale, era particolarmente adatto
ai calcoli effettuati coi bastoncini disposti su una tavoletta. Notazioni distinte per potenze contigue di
dieci permettevano ai cinesi di usare una tavoletta con colonne verticali non specificate. Prima
dell'VIII secolo la posizione in cui si richiedeva uno zero veniva semplicemente lasciata vuota.
Sebbene in testi anteriori al 300 d.C. i numeri e le tavole di moltiplicazione compaiano in forma
scritta, di fatto i calcoli venivano effettuati con trattini o bastoncini rappresentanti i numeri e disposti
su una tavoletta. Come era avvenuto in Babilonia, solo più tardi comparve un simbolo per indicare
una posizione vuota: un simbolo rotondo O. È impossibile determinare con precisione la data di
nascita della numerazione a bastoncini, ma essa era certamente in uso molti secoli prima che venisse
adottata in India la notazione posizionale. L'esposizione del sistema di numerazione cinese non
sarebbe completa senza un accenno all'uso delle frazioni. Ai cinesi erano note le operazioni effettuate
sulle frazioni comuni, in relazione alle quali essi erano in grado di trovare i minimi comuni
denominatori. Come in altri campi, anche qui vedevano analogie con le differenze tra i sessi:
indicavano il numeratore come "figlio" e il denominatore come "madre". Più importante di questi
orientamenti, però, era la tendenza in Cina verso l'applicazione del sistema decimale alle frazioni.
L'idea di numeri negativi non sembra aver suscitato grandi difficoltà per i cinesi, poiché erano abituati
a calcolare con due gruppi di bastoncini: un gruppo di bastoncini rossi per indicare numeri positivi e
un gruppo di bastoncini neri per numeri negativi.
[8] La matematica indiana Lo sviluppo della matematica in India è compreso fra il 1200 e il 200 a.C.
In questo periodo, l'India fu invasa inizialmente da popolazioni ariane e in seguito dai persiani,
Alessandro Magno, poi seguì il regno della dinastia Maurya e raggiunse il massimo splendore con
Asoka. La geometria degli Indiani era mutuata da quella Greca, mentre l'algebra è stata influenzata
da Alessandria e Babilonia. In India i primi studi matematici sono stati compiuti intorno al 1000 a.C.
Si deve agli indiani la scoperta del sistema di numerazione posizionale, fondato sull'uso di nove cifre
e dello zero (sistema decimale). La prima comparsa dello zero in India, si trova in un'iscrizione del
876 a.C., in altre parole due secoli dopo il primo riferimento alle altre nove cifre. È probabile che lo
zero, abbia avuto origine nel mondo greco, sia stato trasmesso all'India dopo che vi si era consolidato
il sistema posizionale decimale. Con l'introduzione di un segno rotondo per indicare lo zero, era
completato il moderno sistema di numerazione per gli interi. Lo zero era trattato come tutti gli altri
numeri e non come un numero che rappresentava "assenza di quantità". Con l'introduzione, nella
notazione indiana, di un segno rotondo a forma di uovo per indicare lo zero, veniva completato il
moderno sistema di numerazione per gli interi. Anche se l'aspetto delle dieci cifre era molto diverso
da quello attuale, i princìpi di base (base decimale, notazione posizionale e simboli diversi per le dieci
cifre) erano comunque acquisiti. Conoscevano le regole di calcolo: "a + 0 = 0", "a - 0 = 0" e "a * 0 =
0". Per rappresentare i debiti furono introdotti numeri negativi ed erano indicati con la
sovrapposizione di un punto o di una stella. Formularono le regole per le quattro operazioni; le radici
negative e le soluzioni negative di un problema, erano accettate come debito, soprattutto quando non
era possibile interpretarle. Brahmagupta risolse alcune equazioni di terzo grado completando
rispettivamente il cubo e il quadrato del binomio.
L’astronomia come fatto sociale
"Nella storia della cultura la concezione di un ordine cosmico sembra sia nata per la prima volta in
Babilonia. Ma volgendosi alla contemplazione dei fenomeni celesti l'uomo non poteva dimenticare
i suoi bisogni e i suoi interessi. Quando egli diresse per la prima volta i suoi occhi verso il cielo,
non lo fece per soddisfare una curiosità veramente intellettuale. Ciò che cercava nel cielo era il
riflesso di se stesso e del suo universo umano. Sentiva che il suo mondo era avvinto da innumerevoli
legami visibili e invisibili all'ordine generale dell'universo, e si provava a penetrare in questo
misteriosa connessione. I fenomeni celesti non potevano perciò essere studiati con lo spirito
distaccato della meditazione astratta e dalla scienza pura, ma erano considerati solo in funzione
della loro influenza sulla vita dell'uomo. Il cielo era dunque pieno di poteri magici, divini,
demoniaci. Il primo e essenziale compito dell'astronomia era quello di comprendere la natura e
l'attività di questa forza, per prevenire ed evitare i loro pericolosi influssi. L'astronomia non poteva
sorgere che sotto questa forma mitica e magica, cioè sotto forma di astrologia, e conservò questo
carattere per migliaia d'anni fino a Keplero, il vero fondatore della nostra astronomia scientifica."
E. Cassirer, Saggio sull'uomo, Longanesi, Milano, 1948
[2] I popoli antichi notarono che l'aspetto del cielo mutava con regolarità. Il Sole, che divide il giorno
dalla notte, sorge ogni mattina in una certa direzione, l'oriente, si muove nel cielo nel corso della
giornata e tramonta nella direzione opposta, l'occidente. Di notte sono visibili migliaia di stelle che
seguono un percorso simile, spostandosi in gruppi numerosi attorno a un punto fisso, noto come polo
celeste. Anche la diversa durata del dì e della notte venne notata già nell'antichità. Nel corso delle
giornate più lunghe, il Sole, visto dall'emisfero boreale, sorge spostato verso nord rispetto all'est e
raggiunge la sua massima altezza in cielo a mezzogiorno; nel periodo delle giornate corte, invece,
sorge spostato verso sud e rimane più basso sull'orizzonte. L'osservazione delle stelle che appaiono
a occidente dopo il tramonto, o a oriente prima dell'alba, mostra che la posizione del Sole rispetto
alle stelle cambia gradualmente. Furono forse gli egizi i primi a scoprire che esso si muove
attraversando tutta la sfera delle stelle fisse in circa 365 giorni.
[2] [3] Astronomia egizia Fin dai tempi predinastici gli egiziani avevano un'ottima conoscenza del
cielo e si ebbero precise mappe celesti. Conoscevano le stelle fisse ed i pianeti (fino a Saturno). Ad
Eliopoli sorsero veri e propri osservatori per rilevare con esattezza il passaggio degli astri e già
durante la IV dinastia vennero apportate le esatte correzioni. Le costellazioni raffiguravano dei ed
animali (l'unica affine alle nostre era il Leone). Era noto il calendario di 365 giorni ed un quarto, i
mesi erano dodici e le stagioni tre: Akhet (Inondazione, Peret (Emersione), Chemu (Aridità). Il
calendario egizio, perfezionato nel 238 a.C. dove viene introdotto l'anno bisestile, fu adottato tale e
quale da Giulio Cesare e perfezionato ancora da Gregorio XIII è quello in uso oggi. Per essere più
precisi gli antichi egizi usavano tre tipi diversi di calendario e cioè: un calendario "agricolo" per l'uso
di tutti i giorni, un calendario astronomico, un calendario lunare utilizzato per certi rituali o eventi.
Con il calendario "agricolo" l'anno era diviso in tre stagioni di quattro mesi ciascuna; ogni mese era
composto da trenta giorni il che significa che un anno era composto da 360 giorni. A questi venivano
sommati 5 giorni chiamati "epagenomeni" ed erano considerati come i compleanni di Osiride, Horo,
Seth, Iside e Neftis. I mesi, delle tre stagioni nominate precedentemente erano suddivisi come segue:
Akhet I = Thot
Akhet II = Paopi
Peret I = Tobi
Peret II = Mekhir
Chemu I = Pakhons
Chemu II = Paoni
Akhet III = Athor
Peret III = Pnamenoth
Chemu III = Epep
Akhet IV = Khoiak
Peret IV = Pharmuthi
Chemu IV = Mesore
Molti templi tenevano un calendario con l'elenco di tutti i rituali e di tutte le feste che dovevano cadere
in date specifiche. Nel tempio di Esna, per esempio, questo elenco è stato scritto su alcune delle
colonne. Nel tempio di Horo a Edfu, il mese di Khoiak era particolarmente ricco di feste. Come ben
sappiamo calcolando solamente i 365 giorni per ogni anno, il calendario sarebbe lentamente
cambiato: ogni 4 anni il calendario "agricolo" sarebbe aumentato di un giorno. Il nostro sistema
attuale di datazione prevede l'anno bisestile mentre gli antichi egiziani, per sopperire a tale
discrepanza utilizzarono la strada astronomica per misurare il tempo: hanno osservato il sorgere della
stella Sirio insieme con il sole che coincideva sempre con l'inizio dell'inondazione. Alcuni rituali,
specialmente quelli che coinvolgevano Osiride e la divinità lunare Khonsu, dovevano essere compiuti
durante specifiche fasi lunari. Per calcolare quando era possibile effettuare tali rituali, gli antichi
egiziani tenevano un calendario delle fasi lunari, secondo il quale un mese coincideva con un ciclo
lunare.
Luna La luna era connessa agli dei Thot, Khonsu e Osiride e in epoca ellenistica, con Iside che i Greci
vedevano come Selene. La luna era anche connessa con il mito di Osiride, dato che i 14 giorni della
luna calante erano simbolizzati nel mito dai 14 pezzi del dio smembrato. La luna era considerata un
sole che brilla di notte e dunque aveva le prerogative dell'astro diurno, come quella di essere adorata
da babbuini, mentre la notte possono essere gli sciacalli che, con i loro ululati, adorano il satellite.
Normalmente era raffigurata come un disco che stava su una falce.
Occhi del cielo Per gli antichi egiziani il cielo aveva due occhi: il sole era quello di destra e la luna il
sinistro. Nelle multiforme sfumature della mitologia egizia il sole fu l'occhio destro di Horo e poi
l'occhio di Ra, tuttavia in alcuni miti l'occhio è indipendente e lascia Ra o per distruggere i nemici o
per rivoltarsi contro di lui. Questo caso si verificò quando l'occhio, distrutti i nemici, tornò da Ra e vi
trovò un altro occhio cresciuto al suo posto. Ra calmò l'occhio in collera trasformandolo in "ureo",
posto sulla sua fronte (l'occhio poteva essere anche Mut). Anche il ciclo lunare entrò nel mito e il
satellite, occhio sinistro del cielo e di Horo, diede origine al mito della battaglia fra questo dio e Seth
(la luce e il buio); Seth strappa l'occhio e lo divora (fase di luna nuova), ma Horo sconfigge Seth ed
è guarito (luna piena).
Disco solare alato Un'antica concezione del cielo sostiene che esso era dato dalle ali di un falco
spiegate sul mondo. Un disegno su un pettine mostra una barca solare, assieme al falco di Horo, su
un paio d'ali che simbolizzava (tutto) il cielo. A partire dalla V Dinastia il disco solare fu posto fra
due ali così l'immagine del cielo divenne un simbolo solare. Dopo il Nuovo Regno il disco solare
apparve come simbolo di protezione sulle porte dei templi e sulla parte alta delle stele.
[2] [8] Astronomia indiana è la tradizione astrologica dell'Induismo una delle sei discipline del
Vedanga ed è chiamata Jyotish. La parola sanscrita deriva da jyòtis (che letteralmente significa
fiamma), termine formato da "Ja" + "Ya" + "O" + "T" + "ish", cioè "acqua della nascita" + "in
aggiunta a" + "terra e stelle" + "ben informato", con il significato di qualcuno ben informato o
illuminato dalla conoscenza della nascita, del destino e del rapporto con l'acqua, la terra e le stelle;
può quindi significare sinteticamente "luce, intelligenza", ma al plurale anche "scienza dei corpi
celesti". Nonostante l'obiettivo del Jyotish sia quello di dissipare le tenebre dell'ignoranza (come si
deduce dal significato della forma singolare), esso viene più comunemente definito "scienza della
luce". Infatti il Jyotish ha fatto storicamente parte di un continuo approccio "olistico" alla vita ed alle
pratiche spirituali degli induisti, la cui religione è la predominante in India.
 L’arte come fatto sociale
[2] Con gli inizi del Paleolitico superiore, intorno a circa 35.000 anni a. C., si attua una delle più
grandiose innovazioni culturali nella storia dell'uomo, consistente nell'origine e nell'evoluzione
dell'arte. Questa appare legata a un complesso mondo simbolico e a concezioni metafisiche che, pur
non essendo distintive di Homo sapiens sapiens (sono note infatti manifestazioni rituali legate
soprattutto al culto dei morti già in Homo sapiens neandertalensis), contribuiscono fortemente a
caratterizzare l'uomo moderno. Espressa mediante pittura, incisione e scultura sulle pareti delle
cavità, spesso nelle gallerie più profonde e meno in vista (l'arte parietale), o attraverso la decorazione
e la scultura di oggetti, strumenti, ciottoli, ecc. (l'arte cosiddetta mobiliare), l'arte paleolitica è legata,
nei suoi contenuti, soprattutto alla raffigurazione di animali e, in misura minore, dell'uomo; non
mancano, fin dall'inizio, segni geometrici o astratti, che si associano spesso ai motivi figurativi. Se
le prime vere e proprie manifestazioni artistiche sono riferite all'Aurignaziano (33.000-26.000 a. C.
ca.), è con il Gravettiano (27.000-19.000 a. C.) che si assiste al primo grande sviluppo dell'arte
preistorica e alla sua diffusione su gran parte dell'Europa occidentale e centro-orientale. Numerose
figure femminili stilizzate, note come «Veneri», scolpite su osso, corno, avorio e diversi tipi di pietra,
rinvenute in Francia (Lespugue, Brassempouy), Austria (Willendorf), Germania (Gonnersdorf),
Italia (Grotta del Principe a Grimaldi, Savignano, anche se di discussa attribuzione cronologica),
Russia, Malta, Rep. Ceca (Dolní Vestonice), ecc., o figurine di animali modellate in argilla
successivamente cotta (Dolní Vestonice), documentano una diffusione geografica dall'Atlantico alla
Siberia e una sorta di tradizione unitaria nell'ambito delle diverse facies gravettiane. A questo
periodo, o all'Epigravettiano antico (18.500-17.300 a. C. ca.) risalgono anche, con ogni probabilità,
le pitture di grotta Paglicci (Rignano Garganico, Puglia), geograficamente isolate dalla grande area
franco-cantabrica di massima concentrazione di espressioni artistiche. Durante la successiva cultura
solutreana (19.000-16.000 a. C. ca.), localizzata nella Francia centrale e sud-occidentale e nell'area
cantabrica della Penisola Iberica, si sviluppa in particolare la scultura in bassorilievo di fregi, spesso
di notevoli dimensioni, come p. es. quelli di Roc-de-Sers (Charente) e di Fourneau-du-Diable
(Dordogna). Verso la fine del Paleolitico superiore, durante le diverse facies del Magdaleniano
(16.000-10.000 a. C.), l'arte paleolitica raggiunge il culmine del suo sviluppo con veri e propri
capolavori come quelli dipinti nelle grotte di Lascaux, di Font-de-Gaume, di Rouffignac (Dordogna),
di Altamira (Santander, Spagna), di Niaux (Ariège), o come i famosi bisonti scolpiti al Tuc
d'Audoubert (Ariège), per citare solo alcuni esempi tra i più noti. Al di là della componente estetica,
le motivazioni che stanno all'origine dell'arte parietale sono difficilmente valutabili. Per diversi
motivi sembra evidente, attualmente, l'impossibilità di insistere sul carattere puramente magicopropiziatorio delle raffigurazioni di animali e di vedervi un riflesso diretto di attività venatorie; è
stato messo in rilievo come queste manifestazioni artistiche siano talvolta il risultato di
sovrapposizioni di segni che periodicamente modificano l'immagine; sono state studiate le ricorrenze
nella collocazione spaziale delle figure e le associazioni tra gruppi di animali che raffigurerebbero
simbolicamente l'opposizione maschio/femmina. É stato anche sottolineato il concetto di «santuari»
per le grandi rappresentazioni figurative presenti in grotte tipo Lascaux, Altamira, ecc., mentre
d'altro canto non sembra vi siano evidenze di riti di gruppo né di utilizzazione di questi luoghi, spesso
reconditi (strette gallerie, diverticoli, pozzi), da parte di gruppi quantitativamente numerosi.
Bibliografia
[1] “Guida alla Storia della Scienza” Pierluigi Pizzamiglio, casa editrice Morcellina, Brescia, 2001
[2] Enciclopedia Universale, De Agostini, 1992
[3] “La matematica delle civiltà arcaiche. Egitto Mesopotamia, Grecia” scritto da L. Giacardi e L.
C.Roero, Stampatori didattica, 1980
Sitografia
[4] http://www.egypt.splinder.com
[5] http://www.dti.unimi.it/~citrini/MD/equazioni/egizi.html
[5] http://www.parodos.it/storiamatematica.htm
[6] http://digidownload.libero.it/fortina.marco/StoriaDellaMatematica/Mesopotamia.pdf.
[7]http://www.itivolta.pa.it/mambo/sitoMatematica/I%20Sumerie%20i%20popoli%20mesopotanici
%20in%20genere%20web.htm
[8] http://www.bassilo.it/area_alunni/Matematica/indiana/india.htm
Redatto da
Prof.ssa Sabina Minniti