Inps, oltre 12 miliardi di buco nel bilancio dopo l

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a cura dello Spi nazionale in collaborazione con Spi Marche
1° ottobre 2013
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i due lampi di oggi
1 - Inps, oltre 12 miliardi di buco nel bilancio dopo l’incorporazione dell’Inpdap
2 - Pubblicità sessiste, servono le norme
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Inps, oltre 12 miliardi di buco nel bilancio dopo
l’incorporazione dell’Inpdap
Il Consiglio di vigilanza: "L’Istituto ha già contribuito al risanamento dei conti pubblici e non può più
subire ulteriori tagli alle proprie spese di funzionamento senza compromettere la propria funzionalità e
la qualità dei servizi resi".
da: ilfattoquotidiano.it Un bilancio in rosso di quasi 10 miliardi di euro: è questo il risultato dell’incorporazione dell’Inpdap,
soppressa a gennaio, nell’Inps. Nel 2012, l’istituto di previdenza ha
registrato un disavanzo economico di 12,216 miliardi di euro, con
«L'anno nero dell'economia
un incremento di 9,955 miliardi rispetto al 2011. Per effetto del
italiana»
risultato economico di esercizio, il patrimonio netto dell’Inps al 31
dicembre 2012 risulta pari a 21,875 miliardi. E’ quanto emerge
dalla nota che annuncia l’approvazione del bilancio da parte del
Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps.
Contro l’approvazione del bilancio hanno votato i rappresentanti
della Uil nel Consiglio di indirizzo e vigilanza, che hanno voluto
ancora una volta criticare l’incorporazione dell’Inpdap nell’Inps:
“La confusione tra due sistemi pensionistici eterogenei con
l’accollo, da parte del privato, dell’enorme situazione debitoria del
pubblico, ha influenzato la gestione finanziaria ed economica,
determinando un dimezzamento dalla situazione patrimoniale
dell’Inps, con una riduzione di quasi 20 miliardi di euro. Bisogna,
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dunque, evitare che si confondano i patrimoni dell’Inps, gestore
della previdenza privata, con quello dell’Inpdap, gestore della
previdenza pubblica: il grosso deficit di quest’ultimo deve essere
coperto con interventi legislativi statali“.
“Il patrimonio si è dimezzato. Di questo passo il patrimonio netto dell’Inps si azzererà in un anno e
mezzo”, è stato invece l’allarme del rappresentante della Cgil, Gianpaolo Patta. Grazie alla fusione,
intanto, aumentano seppure in proporzione modestamente, le entrate contributive, che si sono attestate a
quota 208 miliardi di euro, con un incremento di 57 miliardi (+38%) rispetto al 2011. Sono invece
risultate pari a 295 miliardi di euro le prestazioni istituzionali, che hanno registrato un incremento di 76
miliardi (+34,7%) a fronte dei 219 miliardi del consuntivo dell’anno precedente che riguardava la sola
Inps. In particolare, la spesa per prestazioni pensionistiche è risultata pari a 261 miliardi di euro (194
miliardi nel 2011), con un incremento di 67 miliardi di euro (+34,4%).
“In fase di approvazione del bilancio – spiega la nota Inps – il Civ ha ribadito la necessità di effettuare
una verifica della sostenibilità del sistema previdenziale e della tutela degli equilibri di bilancio, da
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Pubblicità sessiste, servono le norme
La questione del sessismo nelle pubblicità è entrata nel dibattito pubblico, ma la regolamentazione dei
messaggi è vaga e non vincolante. Tra richiami da parte dei politici e autority delle comunicazioni, a che
punto siamo in Italia e in Europa. Una ricerca della Fondazione Brodolini
di Elisa Giomi
Da schermi o cartelloni, ovunque ci si trovi, si affacciano mamme sorridenti che servono a tavola, lavano
pavimenti, cercano strategie per combattere cuscinetti adiposi o rughe o cattivi odori, oppure modelle
super sexy come oggetti del desiderio ammiccanti per un pubblico maschile.
È una tematica entrata nel dibattito pubblico, anche se ancora langue nell’agenda politica. Un decisivo
contributo nella messa a tema di questo fenomeno è provenuto dal video di Lorella Zanardo,”Il corpo
delle donne” (2009), che ha reso mainstreram contenuti, rivendicazioni e denunce portate avanti
storicamente da collettivi femminili e femministi. Se è vero che rappresentazioni stereotipate e sessiste
permeano formati e generi mediali diversi, come mostra Zanardo, certo è che la pubblicità si distingue per
una singolare “coazione a ripetere”: per fare solo un esempio, durante le ricerche per la realizzazione del
video alla cui produzione la sottoscritta ha partecipato, "Se questa è una donna. Il corpo femminile nei
messaggi pubblicitari" (2010), ci siamo imbattute in ben 10 annunci – su canali diversi - che negli ultimi
tre anni hanno scelto l’headline ‘Te la diamo gratis’ per pubblicizzare macchinette da caffè, assistenza
tecnica per pc, camere matrimoniali, corsi di inglese estivi, ecc. (con ampio ricorso, in tutti i casi, a
ragazze svestite e provocanti).
Recentemente la presidente della camera Laura Boldrini ha cercato di sollevare il problema della
limitazione dell’uso del corpo delle donne nella comunicazione pubblicitaria e ha ricordato quanto possa
essere breve il passaggio da quel tipo di uso all’istigazione alla violenza contro le donne. A dire il vero,
una frangia dell’industria pubblicitaria - l’Art Directors Club Italiano, il club dei creativi pubblicitari – si
era già mobilitata nella direzione auspicata da Boldrini, pubblicando, nel 2011, un Manifesto
Deontologico in cui si giudicava "profondamente scorretto ridurre i corpi umani a oggetto sessuale da
abbinare a un prodotto in modo incongruo e pretestuoso". Nel 2013, lo stesso ADCI ha lanciato una
petizione pubblica, dai toni meno generici (vedi immagini qui sotto), in cui chiede che le indicazioni
europee siano recepite e tradotte in norme semplici e vincolanti "tali da permettere di scoraggiare e
sanzionare con maggior incisività la pubblicità sessista”.
Ma l’ADCI, dicevamo, rappresenta solo una parte dell’industria pubblicitaria, e certo non ha potere di
veto. Quali sono, in Italia, dunque gli strumenti legislativi e le autorità cui rivolgersi? Il riferimento
principale è un organo di autoregolamentazione, lo IAP, Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, cui
aderiscono aziende e associazioni di settore, agenzie e concessionarie di pubblicità, per capirci anche
Mediaset, Rai o Sky. Al Giurì, l’autorità giudicante, possono rivolgersi anche i comuni cittadini per
denunciare contenuti pubblicitari a vario titolo inappropriati o offensivi verso specifiche categorie o
gruppi sociali. Basandosi su un Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, il Giurì può
bloccare e far ritirare queste campagne.
Nel gennaio 2011, il ministero per le Pari Opportunità e lo IAP hanno siglato un protocollo di intesa che
mira a rendere più efficace la collaborazione tra le due Istituzioni. Rinnovato nel 2013, esso si basa sul
riconoscimento, da parte del ministero, che ‘le norme del Codice di Autodisciplina hanno consentito e
permette di attivare un controllo efficace della comunicazione commerciale, in particolare gli articoli 9 e
10 sono specificatamente preordinati ad impedire che venga offesa la dignità delle donne’ (così si legge
sul sito dello IAP). In realtà, questi articoli non specificano in alcun modo quali siano i contenuti da
ritenersi discriminatori e offensivi verso le donne, limitandosi a una formulazione molto generica.
Non si pensi, però, che all’estero - ormai indistintamente sinonimo di ‘luogo più civile e evoluto
dell’Italia’ - le cose vadano molto diversamente. Prendiamo ad esempio quei paesi noti per la ‘salute’
delle loro istituzioni, l’efficienza dei servizi, il grado di democrazia e la presenza di politiche di
promozione dell’uguaglianza di genere. In Danimarca, nel 2004, la rivista ‘Svineproducenten’ si trovò al
centro di uno scandalo a causa di un annuncio che reclamizzava prodotti suini attraverso l’immagine di
una donna anziana, accanto a cui campeggiava la scritta “stanco della vecchia scrofa? È tempo di
cambiarla con una nuova”. Il Consumer Ombudsperson, difensore civico dei consumatori, sulla base della
Legge danese sul Marketing, la fece ritirare. In Finlandia, ad essere giudicati degradanti dell’immagine
femminile sono stati, nel corso del tempo, spot e inserzioni dedicati alle categorie merceologiche più
diverse (dai deodoranti ai jeans, passando per i club di bourlesque): in tutti i casi il Consumer
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