DIFFERENZE TRA LINGUA SCRITTA E PARLATA

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La lingua parlata è una brutta copia
della lingua scritta?
Un luogo comune molto diffuso, con ampie ricadute
sull'insegnamento in generale e su quello delle lingue
straniere in particolare, è che la lingua parlata sia una
versione di lingua inferiore a quella scritta. Contemporaneamente, e contraddittoriamente – ma i pregiudizi, in
quanto sostanzialmente impliciti, non sembrano curarsi
troppo della coerenza – nella communis opinio la lingua
scritta è semplicemente la lingua parlata messa per iscritto.
La lingua parlata è inferiore
alla lingua scritta?
L'idea di base è che la lingua parlata sarebbe sgrammaticata, incoerente, difettosa, illogica e simili. Da un punto di vista linguistico, la tesi è
chiaramente indifendibile per almeno due ragioni. (1)
Tutte le lingue letterarie sono state parlate per almeno
decine di migliaia di anni prima che venissero scritte:
come è possibile allora che delle forme linguistiche presuntamente così grossolane abbiano dato origine, appena grafizzate, a lingue così "logiche", "grammaticali",
"coerenti", ecc.? (2) Se lingua parlata e lingua scritta
fossero veramente due lingue diverse, dovrebbero avere
grammatiche diverse; tuttavia, all'osservazione linguistica non si riscontra alcuna differenza nelle regole
grammaticali che esse seguono.
C'è allora da chiedersi come origini questo mito linguistico. La risposta diventa evidente quando si esaminano le differenze tra le due varietà di lingua, sia in relazione alla situazione comunicativa, sia riguardo al
medium utilizzato. Come ha esplicitato M.A.K. Halliday, mentre il parlato è un processo – avviene in tempo
reale, con programmazione limitata (dovuta ai limiti
della memoria a breve termine) e non è revisionabile:
per correggere si può aggiungere, ma non cancellare –
lo scritto è un prodotto: vediamo solo il risultato della
programmazione, elaborazione e revisione (molto maggiori che nel parlato), le quali, se ben eseguite, producono un testo molto elaborato, rifinito e senza ridondanze (la revisione permette non solo di aggiungere ma
anche di cancellare). Il risultato di queste differenze esecutive – non linguistiche, si noti bene – è l'illusione
cognitiva della superiorità dello scritto sul parlato. La
tabella seguente riassume le diverse caratteristiche tra il
parlato e lo scritto e il percorso logico che porta al pregiudizio ontologico sulla superiorità dello scritto sul
parlato:
PARLATO
SCRITTO
PROCESSO
PRODOTTO
non revisionabile
revisionabile
↓
↓
– rifinito, – elaborato + rifinito, + elaborato
↓
↓
illogico, scorretto
logico, corretto
La conclusione, pertanto, è che le differenze tra parlato
e scritto – che esistono, ovviamente – non sono dovute
a una superiorità intrinseca dello scritto (diverso non
equivale a migliore: a seconda dei casi può essere più
vantaggioso l'orale dello scritto), i.e. a una differenza di
competenza/grammatica, ma a differenze di esecuzione.
Competenza vs. esecuzione
Per capire meglio la differenza tra competenza ed esecuzione vale la pena di fare alcuni esempi. I lapsus linguistici (un classico esempio dei quali sono gli spoonerismi: p.e., 'Mi si è illinguata la broglia', per 'Mi si è
imbrogliata la lingua') non derivano da problemi di
competenza – il parlante che li commette sa benissimo
qual è la forma giusta e, in genere, si corregge immediatamente – ma di esecuzione: stanchezza, distrazione,
alterazione psichica dovuta a fattori emotivi o agenti esterni. Infatti, non diremmo di una persona che commette molti lapsus che 'non sa parlare l'italiano', mentre
potremmo dirlo di persone che commettono errori sistematici e che probabilmente non ne sono consapevoli
(come, tipicamente, chi parla l'italiano come lingua
straniera).
Un altro caso in questione sono i refusi di scrittura,
molto comuni per chiunque scriva, sia a mano sia, ancor di più se non si è degli abilissimi dattilografi, alla
tastiera. Anche qui si tratta di errori che nulla hanno a
che fare con la competenza dello scrivente, a differenza
degli errori ortografici, che tendono ad essere sistematici e molto selettivi e prevedibili (un insegnante sa in
genere distinguere perfettamente tra i due errori quando
corregge uno scritto). È significativo il fatto che i refusi
più ricorrenti cambiano a seconda del mezzo utilizzato.
Ad esempio, un errore ricorrente nel mio scritto a mano
era *lugo per luogo, refuso che non ho mai notato
quando scrivo al computer; viceversa, un errore molto
frequente per me al computer è *lingusitica per linguistica. Il primo errore è una tipica aplografia – una semplificazione grafica di un gruppo di segni uguali o simili, errore commesso dai copisti ben noto in filologia – si
spiega col fatto che in luogo ricorrono due tratti uguali,
il cerchietto che identifica o e che è una parte di g. La
ragione per cui non è un refuso verosimile scrivendo al
computer è che la tastiera è formata da tasti tutti uguali;
quello che conta è la posizione del tasto, non il tratto:
con la tastiera o e g non sono in nulla simili (semmai,
un tipico errore da aplografia con la tastiera riguarda le
consonanti doppie). Il secondo errore è dovuto a un errore di sincronizzazione tra le dita della mano destra e
quelle della mano sinistra: l'anulare della mano sinistra
vien attivato prima del medio della mano destra. Evidentemente, è un errore che ha senso nella scrittura a
tastiera, dove si utilizzano tutte le dita e si richiede una
grande coordinazione, non nella scrittura a mano, in cui
la coordinazione non gioca alcun ruolo particolare. Il
punto è che per entrambi i refusi non è rilevante la
competenza dello scrivente, che sa perfettamente come
si scrivono quelle parole. Quelli che entrano in gioco
non sono fattori linguistici; piuttosto, memoria a breve
termine, coordinazione, ecc.
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
Un altro fatto che può aver contribuito alla nascita di
questo pregiudizio è la diglossia. Si ricordi che l'Italia è
stata una comunità linguistica (o meglio: insieme di
comunità) diglossica per molti secoli: prima, durante
tutto il Medioevo, col latino come lingua alta, poi, dopo
l'unificazione d'Italia, per diversi decenni col toscano.
Dato che lingua bassa in una comunità diglossica significa sostanzialmente lingua parlata, questo deve aver
contribuito alla formazione di un atteggiamento sfavorevole verso il parlato, veicolato prima dai 'volgari', poi
dai 'dialetti', varietà linguistiche di bassissimo prestigio.
La lingua scritta è la lingua
parlata messa per iscritto?
Verificato che la lingua parlata non è
inferiore alla lingua scritta, bisogna
prendere in considerazione il secondo pregiudizio: la lingua scritta è la lingua parlata messa per iscritto. Si noti che questo assunto ha conseguenze molto importanti per l'insegnamento della lingua
scritta, sia nel senso di alfabetizzazione primaria sia nel
senso di composizione scritta. La ragione è che se si assume che lingua scritta e lingua parlata siano la stessa
cosa, a parte la diversa modalità, ne deriva che la lingua
scritta non dovrebbe essere oggetto di insegnamento
specifico, a parte l'alfabetizzazione: una volta appreso
come scrivere i suoni (i fonemi) della propria lingua, il
resto verrà da sé.
Parlato vs scritto
In realtà, ci sono molte ragioni per affermare che parlato e scritto sono due forme di lingua molto diverse. Da
un punto di vista astratto si possono considerare alla pari, insieme ad altri sistemi di significazione, come il
linguaggio dei segni. Si tratterebbe solo di diverse modalità fisiche di espressione dei segni linguistici: onde
sonore, segni impressi su di una superficie o gesti del
corpo, ecc. Tuttavia, dal punto di vista biologico/cognitivo la situazione è molto diversa: per la nostra
specie il parlato non è ‘UN modo di espressione’, bensì
‘IL modo di espressione’ del significante, come il confronto tra le due modalità mostra:
1. Il parlato è universale, a differenza dello scritto.
Non si conoscono comunità umane che non parlino; invece, ancora oggi alcuni popoli non utilizzano la scrittura. Questo è tanto più evidente se si considera la situazione di solo un secolo fa, quando la gran parte della
popolazione mondiale non era alfabetizzata.
2. Filogeneticamente, il parlato precede lo scritto.
Da quando parla l’uomo? Sebbene nessuno sia (né,
molto probabilmente, sarà mai) in grado di rispondere a
questa domanda con certezza, si può dare la seguente
risposta su base deduttiva: almeno da quando esiste
l’Homo Sapiens Moderno, quindi da almeno 100.000
anni (secondo una stima ricorrente ma niente affatto
unanime; alcune stime arrivano fino a 200.000 anni fa).
La ragione è che dalla comparsa di questa nuova specie
umana il cervello non si è evoluto significativamente:
un neonato di 100.000 anni fa sarebbe in grado di impa-
rare perfettamente qualsiasi lingua contemporanea. Tutto ciò senza considerare le lingue delle specie precedenti – da cui la nostra deve avere ereditato molti meccanismi mentali – che è probabile fossero anch’esse foniche. Da quando scrive l’uomo? Da non più di 5.500 anni, come le più antiche testimonianze di scritture mesopotamiche attestano. La stima, però, è più teorica che
reale, in quanto le prime forme di scrittura erano più dei
promemoria per usi specifici che veri e propri sistemi di
scrittura. Inoltre, i tipi antichi di scrittura richiedevano
un tale livello di specializzazione che solo pochissimi
erano in grado di farne uso. Infine, solo pochissime culture antiche utilizzavano la scrittura. Ciò significa che,
nonostante la sua enorme importanza nelle società contemporanee, la scrittura ha giocato un ruolo trascurabile
nella storia della nostra specie.
3. Ontologicamente, il parlato precede lo scritto (se
appreso).
Nelle società grafizzate un bambino apprende sempre
prima il parlato dello scritto. Si può dare il caso che impari il parlato ma non lo scritto, ma non viceversa. Questa possibilità non sembra esistere in linea di principio,
dato che lo scritto è secondario rispetto al parlato, nel
senso che codifica i suoni linguistici.
4. Esistono meccanismi anatomici specializzati per il
parlato, non per lo scritto.
La fonicità del linguaggio umano è impressa nel nostro
corpo e nella nostra mente. Il cosiddetto ‘apparato fonatorio’ consiste in una sovrapposizione funzionale su organi con altre funzioni: la lingua non ha funzione primaria di articolazione del suono, bensì è un organo della degustazione, cioè legato all’alimentazione; il velo
palatino non si è sviluppato per articolare suoni nasali,
bensì per permettere il passaggio dell’aria attraverso la
cavità nasale; la laringe, l’organo primario della fonazione umana, ha la funzione primaria di protezione delle vie respiratorie (dall’ingresso di frammenti di cibo), e
si è evoluta (è scesa nella laringe e si è ristretta) per migliorare la sua efficienza articolatoria a spese della funzionalità respiratoria. Il cervello umano si è espanso in
modo abnorme, assorbendo energia a spese degli altri
organi del corpo: regna un buon accordo da parte degli
specialisti sul fatto che una parte determinante in questa
evoluzione l’abbia giocata lo sviluppo del linguaggio,
in particolare lo sviluppo dei meccanismi cerebrali che
rendono possibile la codifica e la decodifica dei segnali
sonori in tutti i loro aspetti e con la velocità e precisione
che conosciamo, (1) nella fonazione (coordinando i diversi articolatori e i diversi tipi di istruzione), (2)
nell’ascolto (segmentando e identificando le unità distintive da un flusso pressoché continuo e indistinto),
(3) nella memorizzazione della forma fonetica del lessico. Nemmeno i software più sofisticati si avvicinano
minimamente alle performance umane. Niente di tutto
ciò esiste per lo scritto.
5. Il parlato viene acquisito, lo scritto viene appreso.
Il parlato è una potenzialità innata che deve essere stimolata per attuarsi. Nessun bambino può imparare a
Marco Svolacchia
significato, i.e. si basano sulla scissione tra significante e significato, per nulla naturale. Nei sillabari un carattere codifica di regola una sillaba (spesso, una sillaba semplice: CONSONANTE-VOCALE); negli alfabeti, un fonema; i cosiddetti 'alfabeti consonantici', sebbene l'entità linguistica che le lettere
codificano è oggetto di discussione, non sono veri alfabeti
(nonostante che il nome di questo sistema di scrittura derivi
da loro), ma scritture semisillabiche, in cui la vocale di una
sillaba semplice viene sottintesa.
parlare se non viene esposto a una qualche forma di lingua, per quanto ristretta (pidgin). Tuttavia,
l’apprendimento procede in modo del tutto spontaneo,
senza un insegnamento esplicito. Questo deriva dalle
sue caratteristiche fondamentali: parte eredità biologica
(solo l'Homo Sapiens può apprendere una qualsiasi lingua umana), parte eredità culturale (le specifiche lingue
vengono tramandate di generazione in generazione;
quale specifica lingua un bambino impara dipende
dall'ambiente in cui cresce). Lo scritto deve essere invece appreso attraverso un insegnamento esplicito: non
si conoscono casi di apprendimento spontaneo di un sistema di scrittura, meno che mai paragonabile a quello
del parlato.
6. Le variazioni dello scritto sono molto più ampie e
profonde rispetto a quelle del parlato.
Le differenze fonologiche tra le diverse lingue del
mondo sono largamente circoscritte: tutte utilizzano lo
stesso “materiale” – apparato fonatorio, onde sonore, ecc.
– e la stessa forma: tutte le lingue hanno un inventario
di pochi fonemi (nell'ordine delle decine) a cui attingono per dare voce a tutte le parole del lessico, i quali
vengono organizzati in sillabe secondo dei principi universali, le quali vengono organizzate in unità ritmiche
sempre maggiori, le quali a loro volta ricevono
un’intonazione. Esistono delle differenze (inventario
dei fonemi, sillabe possibili, configurazioni ritmiche e
intonative), ma limitate. Le differenze tra i sistemi di
scrittura sono invece enormi. Varia moltissimo l’aspetto
materiale: su che cosa si scrive (carta, argilla, pergamena, pietra, papiro, legna, ecc.), con che cosa si scrive
(penna, bastoncino, scalpello, ecc.), con quali segni (essendo lo scritto un prodotto artificiale, si può creare
qualsiasi sistema di segni, senza restrizioni). Varia anche molto l’aspetto formale: quali unità linguistiche
rappresenta la scrittura (parole, sillabe, parti di sillaba,
fonemi). La tabella seguente è una tipologia dei principali sistemi di scrittura, con gli esempi di scrittura più
rappresentativi:
La trattazione schematica precedente nasconde la
complessità degli esperimenti scrittori che le diverse civiltà hanno attuato per arrivare a una codificazione soddisfacente della lingua. In realtà, nessun sistema di
scrittura semasiografico puro può codificare una lingua,
nemmeno una come il cinese, che ha solo parole invariabili (i.e. senza flessione). Tutti i sistemi semasiografici hanno sviluppato delle espansioni, come la tabella
seguente illustra ed esemplifica:
SEMASIOGRAFIE ESPANSE
IDEOGRAFIE
geroglifico, proto-cuneiforme,
proto-cinese
cuneiforme, ieratico e demotico
egiziano, cinese
"alfabeti" semitici
(ebraico, arabo, ecc.)
METONIMIA
lessemi semiconcreti
TRANSFER FONETICO
1. OMONIMIA SEMPLICE
2. OMONIMIA COMPOSTA
fonografia sillabica
lessemi astratti, parole
e morfemi funzionali
1. ESEMPI:
= 'porta', 3a s. pres. di portare, che ha in comune col nome porta solo la pronuncia (i.e. è omonimo).
= 'To be or not to be'
2. ESEMPI:
= 'amore';
= 'sciarpa'; Q8 =
'Kuwait' (L'omonimia composta è nota come tecnica del
'rebus' o della 'sciarada')
MONOCONSONANTISMO
1. MONOSILLABISMO
2. ACRONIMIA
fonografia
“alfabetica”
nomi propri stranieri
1. Consiste nell'utilizzazione di parole monosillabiche monoconsonantiche (p.e. RE) di cui si utilizza solo la consonante
(come nelle scritture consonantiche semitiche) per trascrivere
specialmente nomi propri stranieri, per cui le tecniche precedenti sono inefficaci. Un esempio di questa tecnica è il cosiddetto 'alfabeto egiziano', che è una denominazione impropria
in quanto l'egiziano non arrivò mai a un sistema coerentemente alfabetico: questi segni potenzialmente alfabetici (o,
meglio, quasi-alfabetici, perché ignoravano le vocali) non erano usati da soli, ma accompagnavano gli ideogrammi (e altri segni di supporto) per indicare la specifica lettura di scritture ambigue. La scrittura egiziana quanto a semplicità è
quanto di più lontano si possa immaginare da un vero alfabeto. ESEMPIO: RE TÈ = 'rete'
FONOGRAFIE
lineare B, etiopico,
cherokee
APPLICAZIONE
estensione
semantica
uomini'
ma per
'vedere', che è in rapporto metonimico con occhio, il mezzo
che permette l'attività di vedere, più facile da rappresentare
visivamente).
Una semasiografia è un sistema di scrittura in cui un carattere
rimanda al significato di una parola (i numeri arabi, p.e., sono
semasiografie: non codificano il suono delle parole numerali,
ma il loro significato; infatti, si leggono diversamente a seconda della lingua che li utilizza). La differenza tra pittografie e ideografie è secondaria: nelle pittografie il segno è iconico (= imita l'elemento che significa), nelle ideografie il legame (originario) tra segno ed elemento significato è assente
o (è diventato) opaco.
SILLABARI
FUNZIONE
ESEMPIO: DIO OCCHIO UOMO–UOMO = 'Dio vede gli
(in cui OCCHIO non sta in questa frase per 'occhio'
SEMASIOGRAFIE
PITTOGRAFIE
TECNICA
ALFABETI
greco, latino
Una fonografia è un sistema di scrittura in cui i caratteri stanno per il suono di una parola, senza alcun riferimento al loro
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Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
2. Consiste nell'utilizzazione dell'iniziale di alcune parole
prestabilite per codificare tutti i fonemi di una lingua. È probabilmente il principio che ha portato alla creazione degli alfabeti. ESEMPIO: OCA RETE ALBERO = 'ora'.
Alfabetizzazione
Lo studio dell'apprendimento di un sistema di scrittura –
o "alfabetizzazione", come
viene normalmente chiamato, ma impropriamente,
quando si tratta di sistemi di
scrittura non alfabetici – è
rivelatore delle grandi differenze che sussistono tra lingua parlato e scritto. Nella communis opinio si ritiene
che gli alfabeti siano il sistema di scrittura di gran lunga
più semplice. Questo è senz'altro vero in una certa accezione della parola, i.e. 'formato da pochi elementi'; è
invece falso nel senso di 'facile'. I sistemi alfabetici,
specie quelli relativamente trasparenti come quello italiano (meno per quelli opachi come il francese o l'inglese) comportano scarso impiego della memoria di archivio: si tratta di imparare l'utilizzo di una trentina di segni, tra lettere, combinazioni di lettere e diacritici. I sillabari comportano l'apprendimento di molte decine di
segni; le ideografie richiedono l'apprendimento di migliaia di segni. Tuttavia, a livello della consapevolezza
linguistica richiesta, l'impegno è inverso: è molto facile
per un bambino capire l'uso di un ideogramma, meno
l'uso di un sillabogramma (perché è astratto: non significa nulla), ancora meno capire per quale elemento linguistico stia una lettera (o combinazione di lettere nei
poligrammi), perché, oltre a non avere un significato,
non è neanche pronunciabile in isolamento come la sillaba. Pertanto, le scritture alfabetiche comportano il
maggior grado di astrazione linguistica. Non può essere
un caso che mentre nella storia dell'umanità sono stati
inventati numerosi sistemi ideografici e numerosi sistemi sillabici, alcuni dei quali completamente indipendenti gli uni dagli altri, l'invenzione dell'alfabeto, da
parte dei greci, è stata un unicum; inoltre, l'invenzione
greca è stata tutt'altro che lineare: non è avvenuta di
punto in bianco, ma alla fine di una lunga trafila, la
maggior parte della quale avvenuta altrove, in Medio
Oriente. Infine, c'è motivo di ritenere che l'invenzione
greca dell'alfabeto sia stata più accidentale che consapevole.
Un'altra evidenza a favore della difficoltà
di apprendimento dei sistemi alfabetici
proviene dalla singolare esperienza di
Sequoyah – s-si-quo-ya in cherokee (=
ᏍᏏᏉᏯ) – il cherokee che inventò nel
1821 il sillabario che fu adottato da tutta la Nazione
Cherokee. Sebbene S. avesse familiarità col concetto di
scrittura, non imparò mai l'alfabeto inglese, ma era molto interessato alla scrittura (le 'foglie parlanti', come alcuni cherokee la chiamavano) e si dice che avesse sviluppato un'ossessione per la risoluzione di donare un sistema di scrittura ai suoi connazionali. Sulle prime lavorò a un sistema ideografico, ma dopo un intenso anno
di lavoro e aver creato, a quanto pare, un migliaio di
segni, cominciò a sentirsi frustrato e si risolse a creare
un sillabario, che ammontò alla fine a 85 segni (v. la tabella del sillabario con le corrispondenze nella scrittura
inglese). Dunque, il primo tentativo fu ideografico, sebbene non fosse mai stato esposto a un sistema di questo
tipo; il secondo e ultimo sillabico, anche qui senza alcuna influenza esterna. Si noti che non arrivò mai a sviluppare un sistema alfabetico, sebbene fosse paradossalmente l'unico sistema di scrittura a cui fosse stato esposto, come mostra la forma dei caratteri del suo sistema, palesemente ispirata all'alfabeto latino:
Le conclusioni riguardo alle differenze di apprendimento tra i vari sistemi di scrittura possono essere schematizzate attraverso la piramide della consapevolezza linguistica (più si va in alto, maggiore consapevolezza
linguistica è richiesta):
Sulla base di queste considerazioni, Gleitman e Rozin,
due psicologi americani, hanno proposto un metodo di
alfabetizzazione molto diverso da quello tradizionale, in
particolare per venire incontro alle difficoltà di apprendimento e utilizzo della scrittura nei Paesi di lingua inglese, dove l'incidenza presunta della dislessia (ma sicuramente delle difficoltà di apprendimento della lettura-scrittura) è altissima: circa il triplo di quella diagnosticata in Italia. La ragione è nel sistema di scrittura
dell'inglese, un sistema alfabetico estremamente opaco.
Il metodo si basa sulla correlazione tra evoluzione dei
sistemi di scrittura – che vanno dal concreto all'astratto
– ed evoluzione cognitiva del bambino, facendogli ripercorrere le stesse tappe evolutive nell'apprendimento
della scrittura. Ecco un'esemplificazione dei materiali
da loro proposti:
Marco Svolacchia
zione della scrittura, avallando l'ipotesi pedagogica di
Gleitman e Rozin.
La conclusione generale è che, contrariamente alla
communis opinio, il parlato è primario rispetto allo
scritto da un punto di vista biologico-cognitivo. Di conseguenza, un insegnamento (p.e. delle lingue straniere)
che non tiene conto di questo aspetto fondamentale è
innaturale e probabilmente destinato all'insuccesso. La
tabella seguente riassume le differenze di apprendimento tra lingua parlata e scritta:
APPRENDIMENTO
PARLATO
SCRITTO
NATURALE: BIOLOGIA
PRIMARIO
UNIFORME
FACILE
Lingua parlata vs. lingua scritta
Le differenze tra lingua parlata e scritta vanno ben oltre
la varietà dei sistema di scrittura rispetto all'uniformità
dei sistemi fonologici. Non basta imparare a parlare per
“saper scrivere”: scritto e parlato non sono soggetti esattamente alle stesse norme. Anche un parlante molto
istruito produce enunciati che ‘non suonano bene’ scritti (le forme evidenziate risultano strane nello scritto):
L'intuizione di Gleitman e Rozin trova conferma in alcuni studi sulla scrittura spontanea, che è un settore
molto interessante per capire attraverso quali tappe avvenga l'apprendimento della letto-scrittura da parte dei
bambini. Con scrittura spontanea si intendono quei tentativi di imitazione della scrittura, a cui nelle società
avanzate attuali i bambini sono esposti fin dai primi
mesi di vita, e che consistono nella costruzione di ipotesi su come la scrittura dei "grandi" funzioni, che vengono perfezionate via-via che le loro conoscenze aumentano, prima di arrivare alla forma adulta in seguito a insegnamento formale. Sulla base di uno studio empirico
di E. Ferreiro e A. Teberosky, le tappe dell'apprendimento sarebbero le seguenti:
"Mah, a me non mi è piaciuto il film, cioè no, non è che
non mi è piaciuto proprio, (…) mi aspettavo, che ne so,
qualcosa di più interessante; ma comunque."
Perché non basta imparare a parlare per “saper scrivere”?
1. La lingua scritta è più normativizzata di quella orale: piccole deviazioni dallo standard che passano inosservate quando si parla sono stigmatizzate quando si
scrive:
a)
oggi.’
b)
c)
d)
e)
LIVELLO PRESILLABICO
C A x D I L o = rondini
L E ε = sole
(1) C’è corrispondenza tra un nome e un segno (m per ‘mela’); (2)
sono rispettati i criteri di quantità minima (3/4 segni); (3) sono rispettati i criteri di varietà interna dei segni (loa-ola); (4) viene stabilita una relazione iconica tra parola scritta e referente: treno, per la
sua dimensione, ha più caratteri di formichina.
B L N = balena
I segni rappresentano sillabe.
LIVELLO SILLABICO-ALFABETICO
I S L A = isola
I D O = nido
È intermedio tra quello sillabico e quello alfabetico: il valore assegnato a ciascun segno non è ancora stabile, ma si comincia ad intravedere una migliore corrispondenza tra segno e suono.
‘Se ero (> fossi) ricco come dici, starei qui?’
‘Quei bambini che non (li) conosci bene.’
‘Hai fatto (> presentato) la domanda di assunzione?’
‘Quando si fa/c’è (> si tiene) il ricevimento studenti?
a) ‘Carlo a acceso la radio’
b) /karlo a acceso a: radio/
LIVELLO ALFABETICO
MANO
‘Mi sembra che Noemi non è (> sia) andata a scuola
2. Un problema inerente in molti sistemi di scrittura
sono gli errori ortografici, estremamente stigmatizzati,
tanto che tendono ad essere l’errore per eccellenza
(‘grammaticale’ < grafein ‘scrivere’). Non si ha per la
pronuncia un atteggiamento ugualmente intollerante. Si
confrontino i due errori seguenti, uno ortografico, l'altro
di pronuncia (un dialettalismo romano); mentre il secondo tenderà quasi a passare inosservato (specie a
Roma), il primo provocherà verso lo scrivente un atteggiamento molto negativo:
LIVELLO SILLABICO
A B R = albero
ARTIFICIALE: CULTURA
SECONDARIO
DIFFORME
DIFFICILE
TELEFNO
Si stabilisce una corrispondenza biunivoca tra i suoni della lingua
parlata e le lettere; la scrittura, pur non essendo ortografica, è comprensibile.
3. Una parte importante dell’“imparare a scrivere” riguarda l’apprendimento di una nomenclatura specializzata: il progresso nella lettura/scrittura implica
l’espansione lessicale, che è il parallelo linguistico
dell’apprendimento delle “cose” (‘Parole e Cose’).
Come si vede, le tappe dell'apprendimento (o, meglio,
dell'autoapprendimento) della scrittura da parte dei
bambini riecheggiano strettamente le tappe dell'evolu5
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
4. Scrivere (e, in misura minore, leggere) implica anche produrre (e decodificare) testi anche molto complessi ed elaborati (p.e. un libro): si rende necessaria la
conoscenza di tecniche dell’organizzazione delle informazioni di livello molto superiore a quello necessario per il parlato. L'esempio seguente, per quanto semplice e poco naturale, serve a rendere l'idea:
Cara Marta,
sono tornata ieri dal mare e volevo raccontarti come è andata. Appena arrivata a Palinuro ho parcheggiato l’auto
nel garage dell’albergo, ho aperto lo sportello, sono scesa,
ho aperto il bagagliaio e ho tirato fuori le valigie. Poi sono
andata alla reception, ho chiesto quale camera mi avessero riservato, sono arrivata davanti alla porta, l’ho aperta
con la chiave e sono entrata. La vacanza è andata bene, MA
ORA CHE SONO TORNATA DEVO FARMI UN VESTITO NUOVO.
Il testo sopra è perfettamente corretto in senso strettamente linguistico: non ci sono errori ortografici, morfologici, sintattici, lessicali o testuali. Tuttavia, è evidente
che abbia poco senso. La ragione è che è errato dal punto di vista informazionale: le parti evidenziate in corsivo veicolano delle informazioni che, alla fine della lettura, si dimostrano non rilevanti, creando nel lettore
delle false aspettative (i nostri meccanismi inferenziali
innati ci portano ad assumere, tra l'altro, che ogni informazione che ci viene data sia rilevante) che ci lasciano delusi e confusi. La parte sottolineata, invece, ci
delude per la ragione opposta: è troppo poco informativa alla luce della dichiarazione di intenti iniziale ("volevo raccontarti come è andata"). Infine, della parte evidenziata in maiuscoletto non si capisce in quale relazione stia col resto del testo. Nella scrittura, specie di
testi molto complessi, è facile cadere in errori di questa
categoria, producendo testi incoerenti, disordinati e slegati.
5. Lo scritto è debolmente contestuale, se non acontestuale: la comunicazione non avviene in modo naturale come nella conversazione, in cui è chiaro chi parla a
chi, dove e quando. La situazione comunicativa nello
scritto è pochissimo specificata. La deissi (il riferimento
tramite gesti o pro-forme, p.e. i pronomi, a elementi
presenti nel contesto) è quasi assente.
6. Il codice scritto presenta delle differenze rispetto a
quello parlato per la sua natura intrinseca. Alcuni tipi
di informazioni tipiche del parlato non hanno un equivalente immediato nello scritto:
PROSODIA (intonazione, ritmo, intensità)
TIMBRO DI VOCE (età, sesso…)
PRONUNCIA FINE (informazione sociolinguistiche)
LINGUAGGIO NON VERBALE (gestualità…)
Si confrontino le due versioni seguenti di un enunciato equivalente per contenuto, la prima in stile parlato, la seconda in
stile scritto:
(VOCE ROCA, INTENSITÀ AL- Un giovanotto/tizio lo apostrofò
TA, MASCHIO, ADULTO, TONO con voce roca ma alta, con un tono
AGGRESSIVO–SARCASTICO)
aggressivo e sarcastico insieme,
‘Ma che c’avresti quar- tradendo un forte accento romanecosa da di’?’
sco.
La conseguenza di queste differenze intrinseche rispetto
alla lingua parlata – che, non si scordi, è la nostra vera
lingua madre – è che scrivere è in una certa misura
un’operazione di traduzione. La manifestazione più eclatante della divergenza tra lingua parlata e scritta è la
diglossia, che, come si ricorderà, è un tipo di repertorio
che comporta la presenza, in una stessa comunità linguistica, di due lingue diverse, di cui una è utilizzata
fondamentalmente nella scrittura, l'altra nel parlato. Si
noti, però, che anche nelle altre comunità linguistiche,
senza arrivare a questi estremi, non si può parlare come
si scrive e non si può scrivere come si parla. Di qui nasce l'esigenza che la Scuola insegni sistematicamente la
lingua scritta (non solo l'alfabetizzazione primaria), invece di relegarla a una sorta di 'fai da te', come spesso
avviene. Nelle parole di don Milani (1967):
“C’è una materia che non avete nemmeno nel programma:
arte dello scrivere. Basta vedere i giudizi che scrivete sui
temi. [...] Non gliel’avete mai insegnato, non credete nemmeno che si possa insegnare, non accettate regole oggettive
dell’arte. [...] L’arte dello scrivere s’insegna come ogni
altr’arte. Noi dunque si fa così...”
Conseguenze del prestigio della lingua scritta
L'immenso prestigio di cui in molte comunità linguistiche gode la lingua scritta comporta delle conseguenze
che vanno a discapito della lingua parlata; di seguito
vengono prese in rassegna le principali:
1. Norma: la lingua scritta viene presa a norma tout
court, ignorando che molte delle sue caratteristiche derivano dalle sue peculiarità intrinseche. Di conseguenza, tutte le proprietà tipiche della lingua parlata che non
hanno una corrispondenza immediata con la lingua
scritta diventano sospette, se non considerate scorrette,
sgrammaticate. Un buon esempio è offerto da quella
parte della grammatica delle lingue umane che ha a che
fare col flusso informativo tra interlocultori (l'articolazione informativa): un messaggio, per essere efficace,
non deve essere solo grammaticale, coeso e coerente,
deve anche essere cooperativo, i.e. deve essere conforme alle aspettative dell'interlocutore (p.e., non si può rispondere 'Mi chiamo Sara' se ci viene chiesta l'età).
Questo significa che si deve assumere anche i valori informativi dell'interlocutore (p.e. non si può rispondere
'È il treno che parte tra dieci minuti' alla domanda 'A
che ora parte il treno?). Dato che lo scritto è fondamentalmente tutto meno che dialogico, frasi come quelle
nella colonna sinistra della tabella seguente, che riflettono diversi tipi di articolazione informativa tra interlocutori, sono spesso considerate inaccettabili in forma
scritta e sostituite con quelle nella colonna a destra, informativamente piatte e innaturali nel parlato:
Carlo non lo frequento da un
sacco di tempo.
CARLO non frequento da un
sacco di tempo (non Pietro)!
Non frequento Carlo da
un sacco di tempo.
Non frequento da un sacco di tempo Carlo, non
Pietro.
2. Conservatorismo: la lingua scritta, essendo la norma
linguistica per eccellenza, tende a rifiutare il mutamento
Marco Svolacchia
linguistico. Di conseguenza, tende ad assumere caratteristiche conservative. Ad esempio, nello scritto ricorrono elementi ormai scomparsi nel parlato; p.e., pronomi
come 'egli' e, ancor di più, 'ella' non si usano mai nel
parlato, ma possono incontrarsi nello scritto (più il primo del secondo), in virtù del fatto che si pensa che siano le uniche forme accettabili. L'esempio più eclatante
di conservatorismo è, ancora una volta, la lingua scritta
nelle comunità diglossiche, una lingua antica tenuta artificialmente in vita nella versione scritta in virtù del
suo prestigio. Un esempio apparentemente meno estremo ma analogo è rappresentato dalle scritture etimologiche, ortografie che non corrispondono alla lingua contemporanea ma a uno stato di lingua precedente. Gli esempi più tipici sono l'ortografia del francese (che riproduce uno stato di lingua antica di secoli, in cui c'era
molta più flessione verbale e nominale, e che ha lasciato cumuli di lettere mute, specialmente in fine di parola,
e di varianti grafiche) e l'ortografia dell'inglese (uno dei
sistemi grafici più opachi esistenti, con lettere mute,
numerose varianti grafiche, specialmente per il vocalismo, e frotte di eccezioni).
ciata in modo molto diverso): country, iron, talk, walk,
sword, introduction, bipàrtisan, ecc. Ne può risultare in
molti casi una pronuncia irriconoscibile da parte di un
parlante nativo (spesso anche da parte di uno non nativo) e viceversa (se un apprendista di inglese ha appreso
una pronuncia ortografica, p.e. iron pronunciato /airon/, è molto probabile che non riconoscerà la stessa
quando ascolta la sua pronuncia normale (/ai-n/). Le
implicazioni per l'insegnamento delle lingue straniere
sono evidenti.
3. Artificiosità: L'intersezione tra normatività aggressiva e maggiore programmazione, entrambe tipiche nella
lingua scritta, si manifesta a volte in forma di produzioni artificiali, che possiamo categorizzare come segue:
 LOGICISMO: 'Non ho sentito alcuna protesta', invece del normale 'Non ho sentito nessuna protesta' (si ricordi che in italiano, a differenza che in lingue come
l'inglese, la doppia negazione è perfettamente grammaticale).
 MECCANICISMO: 'il cane ed il gatto', 'tu od io', invece del normale ''il cane e il gatto', 'tu o io' (d eufonica
– che spezza lo iato, i.e. due vocali di apertura simile
seguenti – non ha qui ragione di essere, perché le vocali
adiacenti non hanno lo stesso grado di apertura; infatti,
non verrebbero mai pronunciate in quel modo nel parlato spontaneo. Perché mai, allora, dovrebbero esserlo
nello scritto, visto che d eufonica è un fenomeno fonologico e non ortografico? Esiste uno iato ortografico?)
 PRONUNCE ORTOGRAFICHE: Un'altra manifestazione eclatante della prepotenza dello scritto sul parlato è
rappresentato dal fenomeno delle pronunce ortografiche
(spelling pronunciations), che si riscontra in molte lingue, ma con maggiore incidenza in lingue che utilizzano un alto grado di ortografie etimologiche, come inglese e francese. L'inglese di molti italiani, in particolare, è condito di pronunce ortografiche (diverse, si noti,
dagli errori di pronuncia, che appartengono a un altro
livello, di difetto di imitazione), che derivano dal fatto
che spesso la pronuncia di una parola non è appresa per
via orale, ma per via scritta. Il risultato in lingue con sistemi di scrittura opachi è la pronuncia di fonemi inesistenti nella pronuncia di un parlante nativo e di accentazioni di fantasia. Alcuni esempi noti dall'inglese degli
italiani sono i seguenti (in cui la lettera evidenziata è
inesistente nel parlato o, nel caso delle vocali, pronun7
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