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Venerdì 21 Giugno 2013
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Nel giro di soli due anni, questo brutale rallentamento ha provocato le rivolte di piazza
Brasile, crescita dal 7 allo 0,9%
Si è affermato un ceto medio che non s’accontenta più
DI
L
ELISA MAIUCCI
e proteste sotto al Cristo
Redentore? Basta qualche numero per spiegarne il perché. La crescita
del Brasile è stata del 7,5% nel
2010, del 2,7% nel 2011 e dello
0,9% nel 2012. L’associazione
mentale è palese per il politologo presidente di Eurasia
Group, Ian Bremmer.
L’ascesa della classe media. Le proteste che animano
oggi le strade del Brasile, evidenzia il Financial Times, rappresentano solo una versione
nazionale delle insurrezioni
che stanno infuocando tutta
l’America latina, nonostante un
decennio di forte crescita economica e di una disoccupazione
in calo. Secondo gli analisti, il
movimento riflette l’ascesa di
una classe media sofisticata,
più grande e forte, che può ora
permettersi di chiedere servizi pubblici migliori, prezzi più
bassi e una classe politica meno
corrotta. «Gli ultimi dieci anni
sono stati segnati da una forte
crescita della classe media, e i
sondaggi mostrano come questi
segmenti della popolazione
vogliano ora servizi pubblici
migliori», ha spiegato Chris
Garman di Eurasia Group.
Il crollo di Rio. D’altra
parte, sottolinea l’Economist,
Rio de Janeiro è la prova che
anche le benedizioni della
natura non garantiscono il
successo. Rio ha perso il suo
status di capitale politica nel
1960, quando è stata spostata a Brasilia, e quello di capitale economica-finanziaria,
primato rubatole da San
Paolo. Le guerre di clan e le
scarse infrastrutture hanno
ostacolato l’ascesa della sua
industria turistica. Le Olimpiadi del 2016 rappresentano
l’occasione d’oro per rimettere
la città in prima linea. Ma Rio
riuscirà a sfruttarla a pieno?
Crescita a due cifre? Ricordo del passato. Nonostante tutto, il Brasile ha vissuto un
ultimo biennio di crisi rispetto
alla foga economica che ha sostenuto la sua crescita fino al
2010. La reazione del governo?
Un aumento sostanzioso della
spesa sociale, che il giornale
della City non esita a bollare
La presidente
del Brasile Dilma Rousseff
come fallimentare, dettando
così la strada anche ai paesi
avanzati in cui le teorie keynesiane sul moltiplicatore
della spesa pubblica animano
il dibattito politico-economico
e continuano a rappresentare
l’alternativa all’austerity che
ha strozzato, e strozza ancora,
l’Europa.
I piani assistenziali del
governo. Annunciato in pompa magna dalla presidente
Rousseff, il piano governativo «My better home» è
considerato dagli economisti come l’ultimo degli stimoli fiscali a un’economia
che lotta per mantenere
tassi di crescita elevati. Il
piano consiste in una linea di agevolazioni creditizie per i cittadini per un
totale di oltre 2.300 dollari
(5.000 real brasiliani) per
l’acquisto di nuovi elettrodomestici.
La sostenibilità economica dei programmi
governativi. Quello che
preoccupa è che il programma arriva dopo due
anni di provvedimenti
simili, che sono costati finora
allo stato circa 300 miliardi di
real, senza riuscire a stimolare
in modo consistente la ripresa
economica. Quanti altri piani
simili potrà ancora permettersi
Brasilia?
Surplus in calo, debito
in aumento. Questi piani
stanno erodendo il surplus fiscale primario brasiliano (cioè
il surplus di bilancio a netto
dei pagamenti per interessi),
in calo, scatenando i timori
degli economisti. È per questo
motivo che Standard & Poor’s
ha deciso di rivedere al ribasso
l’outlook del rating per il paese.
«Il trend è molto chiaro, c’è un
calo dell’avanzo primario», ha
spiegato al Financial Times Alberto Ramos, economista di
Goldman Sachs. «La domanda
ora è: è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci?». Secondo
Ramos sì, i rischi ci sono. Il pil
brasiliano è cresciuto del 7,5%
nel 2010, ma nel 2012 la crescita è stata solo dello 0,9%, il
peggior risultato dal 2009.
Le previsioni. Il surplus
primario nel 2012 è stato del
2,4% e si stima un calo all’1,5%
nel 2013, secondo Itaú Unibanco. Con le presidenziali nel
2014 si prevede un aumento
di spesa pubblica quest’anno, il che potrebbe far calare
l’avanzo primario allo 0,9% nel
2014. Secondo gli economisti,
un avanzo primario inferiore
all’1,5% significa che il Brasile ricomincerà ad accumulare
nuovo debito pubblico, che è
oggi il 35,2% del pil.
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Sono mobilitate le grandi banche del paese del Dragone Gli ordini fioccano da ogni parte
Alluvione di capitali cinesi Un anno d’oro
a favore dei paesi africani per gli Airbus
DI
L
ANDREA PIRA
a Cina è pronta a un nuovo tipo di relazione strategica con l’Africa, ha spiegato il portavoce del ministero degli esteri
di Pechino, rispondendo ai giornalisti
che chiedevano un commento sul recente vertice dell’Unione africana. Ciò
che non ha ricordato sui rapporti passati e futuri del paese
di mezzo con il continente è il
ruolo ombra delle banche nello
sviluppo della Chinafrique. A
farlo è il magazine Jeune Afrique, che ha passato in rassegna
il ruolo sia politico sia economico
degli istituti cinesi. A rimarcare
l’importanza degli interessi africani del Dragone erano state le
tappe del primo viaggio ufficiale
del presidente Xi Jinping dalla
nomina ufficiale lo scorso maggio. Il capo di stato cinese era dapprima stato in
Russia per poi dirigersi alla volta della Tanzania
e, da lì, in Sudafrica per il vertice annuale dei
Brics. Una visita, quella in Tanzania, durante la
quale il leader cinese si è impegnato a versare
in tre anni 20 miliardi di dollari (15 miliardi di
euro) destinati alle infrastrutture, alle imprese
e all’agricoltura.
Tra il 2001 e il 2011 la Repubblica popolare
ha investito 75 miliardi di dollari (circa 57 miliardi di euro) nel Continente nero. Cifra, ricorda
Deborah Brautigam, curatrice del blog China
in Africa: The real story, in cui spesso si perde
la distinzione tra aiuti, prestiti, crediti all’esportazione. Secondo quanto scrive il settimanale,
appena 1,1 miliardi sono costituiti da aiuti allo
sviluppo. Per il restante si tratta di altre linee di
credito che consentono alle imprese di investire
nel continente. D’altronde è sempre Brautigam
a sottolineare come ormai sia comune riferirsi
ai 75 miliardi come ad aiuti senza ulteriori precisazioni. Lo scriveva di recente anche il China
Daily, ha ricordato, favorendo la confusione e
senza che qualcuno si chieda come sia possibile che al 2009 gli aiuti globali
stanziati dalla Cina fossero 37
miliardi, poco meno della metà
di quelli stanziati per la sola
Africa nell’ultimo decennio.
Merito di istituti come la
China Exim Bank, cui spettano
i progetti politici e che, secondo un rapporto dell’agenzia di
rating Fitch, ha stanziato 67,2
miliardi di dollari nel primo decennio degli anni Duemila. Altra banca politica è la China DeXi Jinping
velopment Bank che attraverso
il Fondo di sviluppo Cina-Africa
ha dato vita a 60 progetti in 30 paesi. Nell’azione
degli istituti c’è spazio anche per le banche commerciali. «Quando le aziende escono dal paese,
si rivolgono innanzitutto alla Bank of China»,
ha detto Qiu Zhikun, direttore generale della
filiale di Johannesburg dell’istituto che si sta
espandendo in tutto il continente con l’obiettivo di offrire servizi finanziari alle società cinesi.
Prestiti per 7 miliardi di dollari sono stati invece
forniti dalla Industrial and Commercial Bank of
China (Icbc), prima banca al mondo per capitalizzazione di borsa. Infine ci sono i partenariati
come quello della Bank of China con la tanzaniana Ecobank con cui si è arrivati a un’intesa
per commerciare in yuan. Un altro passo per
l’internazionalizzazione della moneta cinese.
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L’Airbus A380
I
l 2013 sarà probabilmente ricordato come un anno
d’oro per Airbus.
Al Salone dell’aeronautica e dello spazio in corso a
Bourget (Parigi) fino a domenica prossima, il costruttore
europeo ha annunciato una
nuova grossa commessa per il
suo super jumbo A380. Il gruppo irlandese Doric ha sborsato
8 miliardi di dollari (6 miliardi
di euro) per acquistare in un
colpo solo venti esemplari del
velivolo. Grazie al mega ordine, Airbus raddoppia il totale
di A380 venduti nel 2012 (solo
nove).
Non solo. Ad arricchire il
carnet di ordini si è aggiunta
anche la commessa di Lufthansa, che ha confermato l’acquisto
di un centinaio di apparecchi
della famiglia A320. Con que-
sto contratto del valore di 10
miliardi di euro, la compagnia
di bandiera tedesca si conferma come il principale acquirente europeo dell’aereo best seller
di Airbus.
Al Salone di Bourget il costruttore si è portato a casa, tra
l’altro, un ordine di cinquanta
A320 da parte della società
americana Ilfc e una grossa
commessa di altri 135 A320 da
parte della compagnia low cost
britannica easyJet, per un totale di 13,2 miliardi di dollari.
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Le due pagine di «Estero
- Le notizie mai lette in
Italia» sono a cura di
Sabina Rodi