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Antonio Staglianò
Vescovo di Noto
Urge la Carità
sotto la Croce
L’umanesimo cristiano sfida
le relazioni dis-umane dell’indifferenza
Messaggio per la Quaresima
con testi di meditazione per una Via Crucis
Gli acquerelli della prima di copertina e quelli all’interno del volume
sono stati realizzati da Padre Giuseppe Damigella.
Messaggio per la Quaresima
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Urge la Carità sotto la Croce
L’umanesimo cristiano sfida
le relazioni dis-umane dell’indifferenza
(Messaggio del Vescovo per la Quaresima)
Il viola è il colore di questo tempo. Sarebbe interessante
scoprire perché si usa nei tempi forti, l’avvento e la Quaresima.
Da ragazzo mi colpiva questo fatto: appariva il viola delle vesti
sacre, e io capivo d’essere chiamato a un tempo di rigore, di
sobrietà, di maggiore silenzio, persino di ascesi, con il digiuno.
Crescendo, ho verificato nella mia personale esistenza come sia
difficile convertire la mente e il cuore alla realtà vera della vita:
non c’è infatti il paese dei balocchi, da nessuna parte della terra,
nemmeno da noi. Eppure questo paese dei balocchi premeva
con insistenza nella mia mente ed eccitava il mio desiderio. Tra
l’altro era un sogno piuttosto diffuso in tutti, nei ragazzi, nei
giovani e persino negli adulti: tutti in cerca del gusto della vita
nel piacere della distrazione dalla realtà vera. Il divertimento –
magari chiamato con altri nomi, solo apparentemente più nobili
per mascherarlo, come “libertà dal lavoro” o “neutralizzazione
dallo spirito di sacrificio” o “indipendenza dagli affetti dei pesanti legami” o, ancora, “autonomia nella realizzazione di sé” (e
chi non ha detto almeno una volta “la vita è mia e me la gestisco
io”) –, resta sempre il dogma di una vita vissuta all’insegna
dell’illusione o della speranza aleatoria, del tipo, “questa volta
gioco più denaro e sicuramente diventerò milionario”. Bravo:
“gratta e … perdi”. Quanto è difficile ritornare alla realtà vera
della vita, togliendosi le tante maschere, plurime, diversificate,
tutte belle: Arlecchino, Pulcinella. Anche le più brutte.
Non è un caso che, nella nostra tradizione, il Mercoledì
delle Ceneri accada immediatamente dopo il carnevale: basta!
è finita l’allegoria, il mascheramento. è ora di smettere di
gozzovigliare: basta, ora è l’Ora, il tempo propizio per con-
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Messaggio per la Quaresima
vertirsi alla realtà vera di ciò che siamo, di ciò che
viviamo, stando con i piedi per terra e guardando in
faccia la realtà.
Messaggio per
Abbandonare la stupidità dell’illusione per entrare “dalla testa ai piedi” – la Quaresima inizia dall’imposizione delle ceneri
sul capo e finisce con la lavanda dei piedi del giovedì santo –,
nel cammino che questo tempo forte ci propone: pentimento e
servizio. Non è cosa semplice. è necessario un tempo di quaranta giorni, opportuno e adeguato per “svegliarsi dal sonno” e
attendere con vigilanza alla salvezza, cioè alla liberazione della
nostra libertà da ogni forma di schiavitù, dentro e fuori di noi.
Il peccato è il nemico principale della nostra libertà. La
lotta contro il peccato – soprattutto durante la Quaresima – deve
essere fatta in nome della nostra libertà. Siamo venuti al mondo
per essere liberi e non dovremmo sopportare di svenderci per
niente e a nessuno. Il peccato è svilimento, deriva, disumanizzazione, lontananza dalla bellezza che è in noi, anestesia
corporale e spirituale che rende immobili, atrofizzati, freddi,
insopportabilmente incapaci del calore dell’amore. Eppure, per
coloro i quali vogliono prendere sul serio la propria libertà in
tempo di Quaresima, il dramma non sarebbe poi tanto il peccato:
alla fine, chi tra noi non è un peccatore?
Il riconoscersi peccatori, questa è la tragedia. In una cultura che al limite può/vuole ammettere i propri errori – errare
humanum est, sbagliare è umano –, anche il cristiano fa fatica
a riconoscere il proprio peccato e a chiederne perdono. Il
confessionale resta vuoto, non solo perché il prete non ci sta
(e occorre invece, specie in Quaresima, dettarsi dei tempi per
“stare” a disposizione per le confessioni, abitando il confessionale), ma soprattutto perché gli umani si sono convinti di non
peccare, perché “i peccati tradizionali” sono diventati costume
diffuso, quando non addirittura motivo di orgoglio: tradire il
legame sacro dell’amore coniugale, rubare, bestemmiare, deturpare l’ambiente, sfruttare il lavoratore, calunniare, ingiuriare,
smentire l’alfabeto di base dell’affetto vero etc. etc. (si potrebbe
Messaggio per la Quaresima
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continuare in una lista infinita) non sono più identificati come “peccati” da confessare. Intanto cosa va in
rovina? La qualità della nostra relazione umana e del
nostro legame sociale: gli affetti più sacri sono puntualmente
offesi e calpestati, i legami più veri sono di continuo infranti e
disattesi, non solo tra i giovani, ma anche e soprattutto tra gli
adulti (i quali per lo più vivono nell’idolatria della loro interminabile giovinezza e nella morsa della sindrome di Peter Pan:
hanno paura di crescere e di invecchiare).
Allo specchio di questa condizione post-umana della nostra
cultura narcisistica dell’amore di sé in faccia alla sofferenza
dell’altro e degli altri (fossero anche mogli e mariti o figli abbandonati per l’esigenza di “rifarsi una vita” secondo l’etica
“della vita è mia e me la gestisco io”), la Quaresima resta il
tempo propizio per ritornare in se stessi, cioè nella verità di
sé, scoprendo le radici sostanziose e belle del proprio sé in
verità: siamo dono, apertura, dedizione, cura, capacità fraterna,
relazione amativa, comunione fino al sacrificio, amore. Si “noi
siamo amore”. Ed è bello scoprire che è questa la rivelazione
del Dio dei cristiani: “Dio è amore”. Un’affermazione su Dio
che immediatamente si ripercuote nello svelamento di quello
che sono io: “io sono amore”. Di meno, c’è il peccato che mi
schiavizza e deturpa, di più c’è la bellezza cui sono destinato, a
vantaggio di tutti e per la mia salvezza, per la mia liberazione,
per l’affermazione della mia libertà.
In Gesù, Dio mi è diventato prossimo, vicino, compagno
di strada. La prima conseguenza di questa scoperta di fede è
che nessuno è così solo da non essere guardato da Dio con uno
sguardo di misericordia. Questa vicinanza di Dio getta luce
sulla mia vera identità: “io sono fatto come Lui, prossimo,
vicino, fratello per tutti, figlio suo”. Lo sguardo di Dio scopre
la mia dignità, la mia bellezza. Niente e nessuno può togliere
questa dignità e bellezza, perché nessuna potenza mondana
potrà distogliere Dio dal guardarmi così, come un Padre vero
guarda suo figlio. Lo sguardo di Gesù è il modo in cui Dio con-
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Messaggio per la Quaresima
tinuamente mi guarda ed è una visione di grandezza
che nemmeno la morte – da cui sono stato riscattato
con la sua risurrezione –, mi renderà opaca. Anche
le tenebre del peccato sono vinte dalla misericordia di Dio: in
Gesù, Dio resta sempre fedele al suo sguardo, continua sempre
ad amare. Riconosci nel pianto di Pietro la potenza di un Dio
che ama anche in faccia al tradimento più grande, perché guarda
in te la bellezza e la dignità che resta nonostante ogni peccato.
Da qui comincia la conversione vera: sapere che Dio è
sempre disponibile al perdono e attende che un sussulto della
libertà del figlio umilmente lo chieda. Non rinfacciargli questo
fatto: che Dio esiga da te che tu gli chieda perdono. Non ribellarti alla necessità che sia tu stesso a “ritornare da Lui”: è una
necessità dell’amore. Dio infatti ama in libertà e urge la libertà
del tuo amore e non vuole essere subito, perciò non ti impone il
suo amore. Te-lo-pone dinanzi, incoraggiando la tua libertà ad
accoglierlo nell’assoluta gratuità del solo donarsi, senza misura,
senza baratto, senz’altra intenzione se non quella di svelare la
dignità e la bellezza del tuo essere figlio.
Figlio o libero? L’essere figli in casa del proprio padre,
quando è Dio ad essere Padre – secondo la rivelazione di Gesù
e la predicazione del cristianesimo –, allora si è veramente
liberi. Per tutti lo ha saputo e scoperto il “figliol prodigo”, per
ciascuno di noi lo ha mostrato e predicato a Nazareth proprio
Gesù. è poi straordinario il fatto che nella lingua latina “liber”
significhi “figlio”. La lotta per la nostra libertà è la possibilità
della conquista della verità del nostro essere figli, generati nel
Figlio di Dio, “figlio nel Figlio”. Ecco l’avventura della fede a
sevizio della libertà. Non è questa una chiacchiera o una teoria
interessanti, è invece una forma pratica della vita, una rivoluzione sociale, un esercizio della politica.
La Quaresima è tempo propizio per dire a noi stessi e a tutti
che non vogliamo rassegnarci a un cristianesimo “che applaude
Messaggio per la Quaresima
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senza convinzione e bacia senza amore”. Così non
vorremo rassegnarci ad una religione che sfiocca –
esibendola nei rotocalchi e nelle televisioni, come
anche nelle nostre celebrazioni liturgiche – certa banale elemosina (non importa quanto sia la quantità del capitale investito)
chiamandola con il nome solenne di “carità”. Charitas Christi
urget nos (2 Cor 5,14), urge la carità di Cristo in noi, per noi,
attraverso di noi. Solo la carità è il linguaggio del cristiano: la
carità svela il figlio in noi e la nostra vera libertà. Questa carità
è però coinvolgente. Esige l’immersione della vita nel gesto caritatevole, richiede di onorare la giustizia della relazione umana
e si fa nella verità di sé e dell’altro. Non è poi così difficile,
perché è gesto impossibile nell’autonomia delle proprie forze,
ma facilissimo nel ritmo della potenza dello Spirito di Dio che
ci in-abita e si rende liberi e veri. Lo ha promesso Gesù: lo
Spirito ci porterà alla verità tutta intera che ci renderà liberi e
allora saremo veramente liberi.
Da qui sorge un umanesimo cristiano capace di sfidare le
relazioni dis-umane dell’indifferenza del tempo presente. Come
è potuto accadere che l’egoismo della nostra doverosa privacy
ci inoltrasse negli abissi disumani del disinteresse per l’altro
(anche quando l’altro portasse il volto del proprio padre o madre, o fratello e sorella, parente amico, vicino di casa)? Come
è stato possibile che la sovrabbondanza materiale, la ricchezza
della nostra sazietà ci ha fatto smarrire il senso del volersi bene,
dell’aprire gli occhi sui bisogni dei fratelli, rendendoci avidi e
insensibili nei confronti del bene degli altri e del bene comune?
Ecco la sfida della Quaresima: Dio in Gesù scommette
ancora su di noi. Azzarda l’ipotesi (ma, per Lui è una visione
chiarissima) che la bellezza e la dignità del nostro essere figli
suoi è potenziale sufficiente per ridare un’anima alla nostra
vita reale e alle nostre società intristite dall’individualismo
narcisistico e dalle chiusure egoistiche di chi pensa solo ai
propri interessi.
In questa direzione va quanto ho appena ascoltato da un
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Messaggio per la Quaresima
grande teologo italiano – don Pierangelo Sequeri:
è indispensabile oggi “creare una nuova comunità,
raccolta intorno a Gesù capace di mostrare visibilmente che l’agape di Dio vuole agire tra gli uomini e abitare
il mondo e di fatto lo abita”. Questo comporta l’avventura
storica dei figli di Dio (la manifestazione della libertà dei figli
di Dio in gestazione in questa creazione) di “togliere l’ossigeno
possibile – a cominciare dal pensiero – al monoteismo libidico
del Sé e all’irreligione dispotica dell’Io”: vera e propria odierna
religione del vitello d’oro che produce il disumanesimo della
distanza e dell’indifferenza dall’altro, dell’immunizzazione
rispetto ai suoi bisogni, nel tradimento concreto della prossimità
di Dio all’uomo, inaugurata da Gesù. Insomma, di amore per
se stessi si può solo morire e far morire gli altri. Solo la Carità
(la pro-esistenza, la pro-affezione) ama e porta l’amore a dilatarsi, facendo vivere tutti nella gioia e nella felicità desiderata
da ogni cuore. Allora, la Carità urge: ne va della vita, della
nostra reale vita umana. Si, è una questione di vita o di morte.
Tanto importante è la Quaresima nella vita delle persone e in
particolare per i cristiani. Stando così le cose, la Quaresima non
è questione di “anime belle” e di “pie devozioni”, è piuttosto
profezia di una vita che si converte e cambia, che si decide una
volta per tutte per il Signore, per la sua umanità, per la bellezza
e dignità del proprio essere umano, figlio, libero.
Le profondità di questa conversione sono misurabili dall’amore sconfinato del Crocifisso, il quale non solo soffre e muore
per solidarizzare con gli innocenti, ma anche e soprattutto
soffre e muore per espiare per i colpevoli. A questa libertà
straordinaria (l’unica “vera”) sospinge l’amore, urge la Carità.
Non si può estetizzare il simbolo singolare del cristianesimo –
la croce del Crocifisso –, per ridurne la “sua” verità, la “sua”
bellezza a emozionalismo sentimentale o, peggio, a pietismo
consolatorio. C’è là dentro una emozione infinita e soprattutto
una pietà immensa, ma sono di tutt’altra natura, quella dell’amore che accoglie tutto il dolore del mondo per trasformarlo
Messaggio per la Quaresima
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e redimerlo, cambiarlo dal di dentro, promuovendo
liberazione e salvezza. Nell’inaudita bruttezza
di una condizione di condanna (e religiosamente
parlando, di maledizione), causata dalla violenza dispotica del
sacro, appare tutta la bellezza della “santità ospitale” di Gesù
che include, nella sua richiesta di perdono rivolta al Padre, i
suoi stessi carnefici – «Padre perdona loro, perché non sanno
quello che fanno» (Lc 23,34) –, mentre Lui stesso concede il
perdono all’uomo malvagio pentito all’ultimo istante – «oggi
sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Lo scandalo cristiano
della misericordia ha qui le sue radici. Qui dove splende lo
sconfinamento dei limiti del sacro e delle sue leggi ferree e si
manifesta la bellezza umana del “santo”: la libertà dell’uomo
deve giungere fin qui, se vuole guadagnare se stessa, parola di
Gesù, la Parola del Dio vivente.
Qui è la verifica più grande, rispetto alla quale – forse per
tutti e certo per molti – il tempo di Quaresima non potrebbe
bastare: dovremmo convertirci tutti dal sacro al santo, per
scrutare e godere della bellezza di Dio, là dove si trova, senza
edulcorazioni, senza ammiccamenti, ma nella “sua” verità.
Nel mio messaggio di Avvento ho chiesto a tutte le comunità
cristiane di trascrivere “insieme”, in una lista, quelle opere di
misericordia corporale e spirituale che possono essere realizzate
“insieme” dopo la celebrazione domenicale dell’eucarestia, per
mostrare lo stretto legame esistente tra celebrazione rituale nella
liturgia e vissuto di carità. Immagino quanto sia lunga questa
lista, frutto della vostra fantasiosa creatività nella carità. Ora,
la Quaresima è tempo propizio per realizzare con coraggio
quel proposito. Urge la Carità come creazione (generazione,
per l’appunto, siamo figli, cioè liberi) di una nuova fratellanza.
Il Papa Benedetto XVI nel suo messaggio per la Quaresima di
quest’anno ci ha detto che «oggi il mondo soffre soprattutto di
una mancanza di fraternità» e di fronte a una cultura che «sembra aver smarrito il senso del bene e del male, occorre ribadire
con forza che il bene esiste e vince […] il bene suscita, protegge
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Messaggio per la Quaresima
e promuove la vita, la fraternità e la comunione».
Occorre allora una rinnovata testimonianza cristiana
che sappia accogliere l’invito a «gareggiare in carità,
servizio e opere buone», poiché «il tempo che ci è dato nella
nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere del bene,
nell’amore di Dio». Forza e coraggio, dunque. Il Papa ce lo ha
detto con insistenza: la carità è «il cuore della vita cristiana» e
la Quaresima è una opportunità per tutti e non solo per i cristiani
per riflettere e meditare e neutralizzare «il pericolo di avere il
cuore indurito da una sorta di “anestesia spirituale” che rende
ciechi alle sofferenze altrui».
Il Santo Padre ci incoraggia con le sue catechesi e il suo
illuminato Magistero a non indietreggiare nella manifestazione
dell’amore, attraverso le opere di misericordia corporale. Un
legame più stretto e un impegno più constante con il Papa –
proprio nella direzione dell’esercizio della carità –, derivano alla
Chiesa di Noto dall’avvenuta elevazione della nostra Chiesa
Cattedrale a Basilica minore. Questa designazione non è (e
non sarà mai) un orpello, ma piuttosto un appello alla nostra
libertà a tradurre fattivamente quanto il Magistero universale
della Chiesa ci insegna.
Muoversi nella carità con nuova fantasia e creatività è lavoro di tutti, come singoli e come comunità. Ognuno di noi può
sempre “dare di più”: è uno spettacolo straordinario constatare
che proprio in tempi di ristrettezza aumenti la solidarietà tra
le persone e ci si riscopre fratelli nella comune dignità umana.
La raccolta di generi alimentari per sopperire ai bisogni dei
più poveri cresce, a testimonianza della larghezza del vostro
animo. Con gioia grande constato che la festa di San Corrado
si caratterizzerà quest’anno per una maggiore visibilità della
carità, attraverso il gesto nobile dell’apertura della “mensa di
accoglienza” per i più poveri: luogo di solidarietà e di volontariato, questa mensa potrà diventare una fucina e un laboratorio
per cuori che si lascino sciogliere dall’amore-agape.
La carità però ha tante forme. Essa impegna anche a cercare, insieme a gli uomini di buona volontà (specialmente quelli
deputati a servire il bene comune) tutti i luoghi abitabili e gli
Messaggio per la Quaresima
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strumenti utili per attivare processi di sviluppo reale del nostro territorio, allo scopo di risollevare il
disagio economico e sociale nel quale tante nostre
famiglie sono cadute. La firma del Protocollo d’intesa contro la crisi tra il vostro Vescovo e i sindaci dei nostri
comuni sta già donando buoni frutti in diverse città ed è il
contenitore giusto per realizzare un nuovo progetto globale e
integrato con l’aiuto della Provvidenza. Ne abbiamo parlato il
14 Febbraio 2012 nella Sala degli Specchi del Comune di Noto
e abbiamo aggiornato il nostro incontro al 14 Marzo prossimo.
Ho molta speranza in quanto si sta facendo, mentre assicuro che
la presenza del Vescovo su questi terreni (solo apparentemente
estranei alla sua missione) è motivata soltanto dal servizio: è
per altro un servizio di unità e di collante (amerei dire, di comunione) che esprime anche nel campo dello sviluppo sociale
ed economico il sacramentum dell’unità nella Chiesa, espresso
dal ministero episcopale.
A tutto questo vorrei aggiungere però una verifica interiore,
per tutti quelli che intendono vivere un cristianesimo più generoso e vitale e non semplicemente anagrafico e superficiale.
Mentre ci battiamo culturalmente (e lo faremmo fino all’effusione del sangue) – insieme a tanti uomini di buona volontà
– perché il Crocifisso non venga tolto dalle scuole o da altri
edifici pubblici, vogliamo verificare se proprio noi cristiani non
abbiamo già tolto il Crocifisso dalla Chiese cattoliche? Come
potrebbe accadere questa circostanza così irreligiosa proprio
nel bel mezzo della nostra religione? Molto semplice, tanto è un
rischio di una ovvietà inaudita in certo cristianesimo da parata,
senza impegno serio nella vita quotidiana. Lo avremmo fatto
ogni volta che la mentalità giustizialista di oggi ha impedito ai
cristiani di percepire la bellezza del Crocifisso nel perdono ai
propri nemici, secondo la parola di Gesù: «a voi che ascoltate,
io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi
odiano» (Lc 6,27).
Ascoltiamo in merito un profeta dei nostri tempi, don Toni-
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Messaggio per la Quaresima
no Bello, defunto vescovo di Molfetta, e lasciamoci
verificare interiormente dalle sue parole illuminate e
sapienti, frutto del suo amore per la Chiesa e per un
cristianesimo evangelico, capace di comunicare la prossimità
di Gesù Cristo agli uomini di oggi, specie ai poveri, agli afflitti,
ai sofferenti: «come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo
“inquadrata” nella cornice della sapienza umana e nel telaio
della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza
alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore.
Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le
rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo
agli antipodi della sua logica».
I nostri denigratori incoraggiano un cristianesimo senza
mordente, abbassato alle logiche mondane del loro perbenismo
e non vogliono accettare lo scandalo della bruttezza della croce,
nel quale può splendere la bellezza solo di Dio. La bellezza è
quella dell’agape di Dio che splende nella misericordia confermata come possibile a tutti i colpevoli e i peccatori, splende nel
dono del suo amore, del suo dono-per, cioè del suo per-dono,
mentre la croce è brutta in ogni senso, senza la sua Carità.
In questo modo, la Croce si collega al Natale, chiedendoci
di avere occhi di fede, per scrutare la bellezza di Dio nei luoghi
della più cruda bruttezza: infatti, nella bruttezza amara di una
grotta senza niente (“al freddo e al gelo”, nella mancanza totale
di ogni compassione umana per una donna che deve partorire
il figlio) si potrà notare la bellezza di un nascituro – il Figlio
eterno di Dio –, il quale ci comunica la nostra vera dignità di
essere umani, a prescindere dalla nobiltà del nostro nascere e
del nostro possedere. Nascessimo senza niente, come Lui a
Betlemme, saremmo lo stesso degni di amore, perché esseri
umani, e saremmo lo stesso “amore”, capaci di dono, di amicizia, di fraternità.
Attenzione: quando nell’estetismo religioso si pretende
“velare la bruttezza della croce”, perché se ne afferma superficialmente la bellezza, a prescindere dalla sua verità di perdono
Messaggio per la Quaresima
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misericordioso e di riscatto salvifico dalla colpa (=
unica bellezza esistente in questo segno), allora
ordinariamente su quella croce vengono inchiodati
– proprio dal nostro devozionismo religioso – i nostri nemici
(quando non anche i nostri stessi amici). Allora, il Crocifisso
non ci parla più della “bellezza scandalosa” di un Dio che muore
per tutti, anche per i colpevoli, per i quali invoca il perdono, ma
diventa solo un “idolo-insegna” dei nostri desideri di vendetta.
E però, in questa esperienza religiosa impazzita, il cristianesimo non c’è più e, ovviamente, non c’è la croce di Cristo che
invece si identifica e si riconosce in ogni gesto umano, capace
di dono vero, quello che spinge il dono della vita fino a morire
per amore.
La bellezza dell’amore ha già salvato il mondo: nessuno
infatti ci può separare da questo amore in Cristo Gesù, risorto
dai morti.
Croce
Tu reggi il mondo
Sospiro ultimo
Ultimo e muto
Capirti Croce
Non dominarci
servici
Stabat mater dolorosa, sotto la croce sta Maria, là dove urge
la carità di un dono smisurato e di un abbandono pieno di fiducia
nel Dio che salva oltre ogni apparenza oscura. Come Maria,
apprezziamo la “bellezza misteriosa” della croce di Cristo che
urge in noi la carità.
Nella preghiera a Maria SS. Scala del Paradiso e a San Corrado Confalonieri, vi auguro di cuore una buona Quaresima e
una santa Pasqua.
+Antonio, vescovo
Noto, 22 Febbraio 2012
(Mercoledì delle Ceneri)
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Messaggio per la Quaresima
Via Crucis
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Via Crucis
I.
Nell’Orto degli Ulivi:
lotta, agonia, abbandono
Agonia, lotta, abbandono: è indicibile la solitudine in questo dramma. Il Figlio dell’uomo l’affronta, umanamente, non
senza paura: interprete d’ogni uomo davanti al dolore, mentre
incalza la morte. “Passerà questo calice, Padre?”. Si, passa solo
se bevuto fino all’ultima goccia di sangue. Nell’orto degli ulivi,
di sangue si suda, un corpo sangue trasuda: è però il sangue
di un patto nuovo, nell’amore che si dona fino alla sua totale
effusione. Quest’amore è olio d’olivo, balsamo per ogni ferita,
unzione per ogni vero potere. Nessuno dorma in quest’ora: nel
Getsemani la liberazione è vicina, benché la tenebra della notte
avanzi. La morte ostile si appresta: la sua inimicizia contro l’uomo si vince solo col “farsi dono”. Due alberi d’olivo come due
mani elevate in preghiera: l’aiuto viene dall’alto, Dio ascolta
e perdona. Perciò “come vuoi tu, Padre”, perché avvenga il
riscatto e anche la sconfitta risulti vittoriosa, alla fine.
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Via Crucis
II.
Il bacio di Giuda:
il tradimento che non sa
quanto Dio è perdono
La notte è fitta nella coscienza dell’uomo che non crede
all’amore: niente ha senso, nulla ha verità. Il bacio, “metafora
viva” di un grande affetto, ora è un segno ferito, scavato dal
vuoto: il tradimento si annuncia con un bacio. è il bacio di chi
è amico, degno di fiducia, del fratello che mangia dell’unico
pane, nutrimento della speranza di una nuova libertà. Tutto è
equivoco, dopo quel bacio: con quali segni ci si potrà comunicare l’amore, senza sospetti? La solitudine umana è immensa
da questo momento: è bagliore che acceca, mentre tutto è più
buio. Il traditore non ha creduto all’amore, perciò consegna col
bacio il suo Maestro, in quella notte, gravida di una tenebra
“altra”. Tradire non fu il suo più grande peccato: quello vero,
fu disperare che Dio è perdono. Il Figlio dell’uomo accoglie
quel bacio e bacia anche lui, ma il suo volto sovrasta, nell’altezza della Menorah – il candelabro a sette braccia, dei sette
spiriti di Dio –, evocata dall’albero dai sette rami. Il suo bacio
è abbraccio di misericordia, perché Dio resta amore anche nel
tradimento che del perdono purtroppo più non sa.
Via Crucis
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III.
Il Sinedrio:
nell’abisso dell’ingiustizia
risplende la suprema giustizia
“A ciascuno il suo”, perché giustizia si faccia. Ma chi stabilisce il “suo” di ciascuno? Il Sinedrio è riunito per giudicare e
rispondere alla domanda sulla giustizia per l’uomo. Il “dovuto
a ognuno” è solo l’amore che spinge il dono della vita fino a
morire. Perciò l’atto della più grande ingiustizia – mettere a
morte l’innocente – propizia lo svelamento della verità sull’umanità sofferente. Ecco il luogo della rivelazione della somma
giustizia: la croce vissuta per amore. Il Figlio dell’uomo è “servo
giusto che giustificherà molti”. La croce, ritta al centro, è la
misura vera di questo giudizio sull’uomo, l’unica misura della
giustizia di Dio: il Messia che l’accoglie, non la evade, la porta
per tutti. Controfigura della trasfigurazione sul Tabor – dove
Mosè ed Elia, rappresentano la Legge e la Profezia – qui nel
Sinedrio il Figlio dell’uomo è affiancato dall’individualismo
– la ricerca dell’utile proprio, diversamente dalla Legge che
regola il bene comune –, e dalla cecità – l’incapacità di leggere negli eventi della storia l’azione di Dio contro la Profezia.
Qui c’è solo sordità, non ci sono orecchie disponibili alla voce
dell’Altro, segno della chiusura del cuore che non vuol sentire
ragioni e rigetta l’unica Ragione (il Logos in persona) che pur
viene a illuminare ogni uomo nel mondo e scaldare i cuori con
la sua voce. Ecco la somma giustizia di Dio: alla sordità dei morenti è dovuta la Parola (il Verbum) che sola li salva e guarisce.
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Via Crucis
IV.
Pietro:
alla luce dell’alba il Suo sguardo
ridà vigore alla roccia fragile
che lo ha rinnegato tre volte
Si dilatano a macchia d’olio gli spazi dell’infedeltà e del
tradimento. A modo proprio sono in tanti a rinnegare il proprio
Maestro in quest’ora che più di tutte svela fragilità e debolezze,
le vere intenzioni dei cuori. Giuda tradisce e Pietro anche tradisce, di più, in pienezza, per tre volte. Il tradimento è comunque
una esperienza menzognera e alienante per chiunque lo vive. La
differenza tra i due sta altrove. Giuda con un bacio consegna il
suo Signore e Maestro: un bacio che inganna anzitutto se stesso,
e rendendolo incredulo all’amore lo spinge ad impiccarsi, a
rinunciare al bene prezioso della vita. Diversamente da Giuda, sulla via della croce, Pietro incrocia lo sguardo del Figlio
dell’uomo. L’evento è intensamente drammatico: Pietro ha
appena rinnegato Colui che aveva riconosciuto come “il Figlio
del Dio vivente”. Quel pescatore rinato per la fede nel Messia,
ora è “fuori di sé”, lontano dalla sua verità, senza fiducia. è
pietra rocciosa indebolita e fragile, esposta allo sgretolamento
totale, pronta a sbriciolarsi del tutto. Lo sguardo del Figlio
dell’uomo distrugge ogni sua incertezza: Dio resta l’amore, il
Padre ricco di misericordia lo ama anche così e gli conferma
fiducia. Quello sguardo sa del perdono, nuovo grembo da cui
ricomincia una nuova vita, nel dono. Pietro saprà ripetere il
gesto dell’amore, salirà sulla croce, capovolta.
Via Crucis
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V.
Pilato:
lo stupore per l’uomo mite,
povero e innocente
Un lungo discorso quello di Pilato, proclama parole che non
lo toccano nella sua carne. Il Figlio dell’uomo è invece tutto se
stesso nelle parole che dice: è trasparenza di mitezza e umiltà,
di autorevolezza e dignità umana, di compassione e giustizia,
perché la sua persona è “parola”. Questa presenza suscita la
domanda dello scettico: quid est veritas? Cosa è la verità?
L’interrogativo decisivo per la vita umana. L’uomo ha sete di
verità, la cerca, perché senza verità si inabissa nell’inconsistenza, nel vuoto vertiginoso del nulla. Non ci sono però più
parole, per chi ha paura di perdere potere e deve risolvere “un”
caso imbarazzante, consegnando alla morte di croce Colui che
pur aveva giudicato innocente. Il menzognero si lava le mani,
entrando nel tunnel dell’omertà, dell’incapacità di scommettersi
in prima persona per la difesa della verità, cerca una risposta
teorica alla questione del senso della vita. L’assenza di volti
è mancanza di cuore e di ragione, ripone in altri il responso e
decide contro la giustizia. Nessuna parola gli può essere data,
se non quella del silenzio della Sua presenza. Quid est veritas?
La risposta è già in questa domanda, come in molti notarono.
Anagrammando viene “est vir qui adest”, cioè è l’uomo che ti
sta davanti. La verità è presenza della persona, Lui è la verità
in persona.
20
Via Crucis
VI.
Ecce Homo:
incoronato dal dolore dell’umanità,
sferzato dai peccati del mondo
Il velo usato dalla Veronica, il mandylion, asterge il volto
di Gesù durante l’ascesa al Calvario. L’immagine grida tutta la
potenza della parola usata dal procuratore romano per presentare il condannato: Ecco l’Uomo! Inconsapevolmente profeta,
addita il modello vero dell’umanità. Al tribunale della barbarie
umana il delitto quasi sempre trionfa sulla virtù, la calunnia
sull’innocenza. Perciò vale per tutti la sentenza sapiente: «non
cercare di diventare giudice, se non hai forza di sradicare le
ingiustizie» (Sir 7,6). In questo dramma però tutto si trasfigura.
A poco a poco si compie il giusto giudizio sull’uomo: dov’è
l’umano nell’uomo? Eccolo è là, nell’uomo vero, capace di
dono, epifania dell’amore solidale, roveto ardente della condivisione compassionevole, coronato delle spine d’ogni ferita:
là nella libertà che assume i pesi degli altri e al posto di altri sa
affrontare la sofferenza e la morte, “uomo dei dolori che ben
conosce il patire”. Ecce homo, agnello di Dio che si addossa i
peccati del mondo, si carica delle brutture dei disumani dentro
le tragedie del dominio e della sopraffazione, dell’odio e delle
vendette, dell’abuso e di ogni iniquità. “Quello che ho scritto,
ho scritto!”, si, il Figlio dell’uomo è il Re, ma il suo Regno non
è di questo mondo di tenebra, essendo solo di luce e di pace.
Eppure il suo Regno, vivibile su questa terra, è l’unica condizione degna degli uomini che vogliano essere umani.
Via Crucis
21
VII.
L’incontro con la croce:
cacciato fuori dalla vigna,
va verso il Golgota caricato di salvezza
Questa croce è la sua, perciò il Figlio dell’uomo l’abbraccia,
perché diventi un tutt’uno con il suo corpo, così da esserne
come una spontanea espansione. Accade una simbiosi perfetta, identica a quella tra la volontà misericordiosa del Padre
che vuole salvare tutti gli uomini e la libertà del Figlio che si
dispone al più grande gesto d’amore, spingere il dono di sé
fino all’estremo, alla morte di croce, per la liberazione, per il
riscatto, per l’affrancamento di tutti. L’abbraccio è coinvolgente
e interrogante: capiranno gli uomini la “scienza della croce”? La
croce è scandalo per ogni sapienza, è follia e stoltezza, persino
maledizione. Eppure, nella condizione umana ferita dal peccato
e dalla morte, non c’è altra via di redenzione e di vittoria per
dare speranza agli innocenti che soffrono ingiustamente e anche
ai colpevoli perché si ravvedano. La croce è per tutti il nuovo
albero della “conoscenza del bene e del male”, giudizio su tutte
le forme di iniquità, misura di ogni giustizia, albero della vita
nuova. è soprattutto una via crucis, una “via” obbligata per la
religione che deve imparare quanto l’adorazione del Dio vivente, del Dio amore, comporti l’impegno a non evadere le croci
quotidiane, ma assumerle, abbracciarle: «un corpo mi hai dato,
allora ho detto: “Ecco io vengo per fare o Dio la tua volontà”».
22
Via Crucis
VIII.
Verso il Calvario:
croce che coglie improvvisamente
La croce coglie all’improvviso, e la si deve comunque portare, prima o poi, come Simone di Cirene, costretto a prestare
le spalle al condannato che segue da vicino. Il Figlio dell’uomo
incede per tutti verso il Golgota, il “luogo del cranio”, uno spazio che evoca morte. La sua croce lo schiaccia, lo fa cadere più
volte. è sopraffatto dalla stanchezza per quella croce che ha un
“peso specifico”: pesa l’odio dei tanti in guerre fratricide, pesa
il disprezzo dei deboli, pesa la doppiezza dell’ingiusto e pesa
soprattutto il vociare immane della sofferenza dei poveri, degli
immiseriti della terra, di quanti non hanno nessuna centralità
in questa storia. Per tutti loro la croce è speranza, solo se la
compassione sviluppa azione, compartecipazione, sacrificio
di sé. Suo malgrado, forse, il Cireneo diviene simbolo di una
verità che la via crucis fa splendere: non tutto è tenebra in questo
mondo, la luce qualcuno ce l’ha nell’abisso del cuore, perciò
può condividere, donare l’aiuto per continuare il cammino di
tutti. C’è forza nel corpo di questo uomo: si carica veramente di una croce non sua? La violenza gli impone una croce
“dall’esterno”, ma riceve un dono “nell’interno” dell’anima,
l’immedesimazione alla fatica del Figlio dell’uomo per tutti.
Quando – sfiancato dal peso – non riuscirà più a portarla, sarà
quella croce a portare lui.
Via Crucis
23
IX.
Le donne:
legno verde che brucia d’amore
per Gerusalemme
Straordinaria accondiscendenza dell’amore di Dio: permette
che il legno verde del Figlio prediletto venga bruciato al posto
del legno secco di uomini senza orientamento, perduti nell’afflizione del loro egoismo e della spasmodica ricerca del proprio
piacere, del proprio utile in faccia alla sofferenza dei deboli. Lo
sappiano allora le donne: questo legno verde brucia per amore,
perciò è come il roveto ardente, “brucia ma non si consuma”.
Piangono per compassione un condannato, ma le loro lacrime
dovrebbero essere piuttosto per i loro figli, per Gerusalemme
che non si è convertita all’amore e “non ha saputo riconoscere
il tempo in cui è stata visitata”. Il destino dell’uomo è da piangere, se segue i sentieri interrotti del dominio, della violenza,
del terrore, mentre muore l’umano nell’uomo sulle vie della
indifferenza, della freddezza d’animo, delle mancanze di solidarietà. “Secco” è il legno degli uomini senza spirito, senz’anima, attaccati alle condizioni materiali della propria esistenza,
senza respiro per l’oltre, senza ansia di dono, di condivisione.
Piangono dunque le donne sull’uomo, nel vederlo così mal ridotto, a una sola dimensione, a una macchina da rottamare e da
vendere a pezzi, a un corpo mercificato sui mercati del ludibrio
senza pudore. Piangano sui propri figli, piangano sull’uomo:
se saranno capaci di lacrime vere, sarà lo sguardo del Figlio
dell’uomo ad asciugarle per sempre, facendole evaporare nel
calore di un affetto nuovo, l’amore che crea una nuova figliolanza, una più grande fraternità.
24
Via Crucis
X.
Il Crocifisso:
l’Incarnato tra cielo e terra è crocifisso
Crocifisso, è un condizione impossibile per Colui che è
venuto solo a fare il bene, a praticare il diritto e la giustizia,
a offrire libertà. L’assurdo – ciò che il pensiero non riesce a
concettualizzare –, nei fatti accade di continuo: è assolutamente
assurdo che penda dal legno della croce proprio Lui, Colui che
camminando per le strade della Palestina ha guarito i lebbrosi,
ha ridato la vista ai ciechi, ha fatto parlare i muti e camminare
gli storpi, ha consolato i cuori affranti e donato la speranza di
un nuovo volto di Dio, solo Padre nell’amore, a tutti i poveri
afflitti del mondo. Quest’uomo – mirabile fusione di “cielo e
terra” –, è ora crocifisso, soffre tutto il male dell’ingratitudine
infinita di cui solo gli uomini sono capaci. Questa assurda
situazione realizza però un innesto pieno del Figlio dell’uomo
nell’albero della croce. Nella croce c’è Lui, nella libertà del
suo dono. Ora è il crocifisso il cuore della croce: la croce non
dovrà mai più diventare lo spazio vuoto su cui appendere altri
indifesi, deboli, poveri, oppressi. è Lui crocifisso per tutti. La
croce non sarà mai più una “bella teoria” della possibilità del
soffrire dell’uomo come salvezza, perché è il vissuto umano del
Figlio dell’uomo, è esperienza che si fa carico di ogni peccato e
di ogni dolore, di ogni infamia, di tutte le iniquità. “Il più bello
dei figli dell’uomo” vive la condizione disumana “più brutta”:
nella crocifissione, il benedetto, atteso dai secoli, appare come
il maledetto da Dio. Ma, “per questo Dio l’ha esaltato e gli ha
dato un nome al di sopra di ogni altro nome”. A lui tutti volgeranno lo sguardo per cercare e trovare salvezza, liberazione.
Via Crucis
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XI.
I due ladri:
del pentimento possibile
e del perdono che non si lascia pregare
Scendere dalla croce e salvarsi, avendone il potere, è senz’altro una via di uscita intelligente. Stare sulla croce e morire, se
è una libera scelta, non può che essere orribilmente insensata.
La logica del ladro istruisce sempre sulla via più comoda e
interessata, mentre il ladro resta un ripiegato, ha occhi solo per
sé, si impegna come può a cavarsela, totalmente insensibile alla
sofferenza innocente dell’Altro. La potenza del Crocifisso non
è però superficiale: non si tratta di combattere magisticamente
con “potenze celesti superiori”, ma di restare “al chiodo” della
libertà dell’amore nella quale soltanto splende la vera onnipotenza di Dio. Per quell’ora il Figlio dell’uomo è venuto, perché
la rivoluzione di Dio tocchi anzitutto Dio stesso e il pensiero
che gli uomini hanno di Lui. Il “potere tutto” non è nel fuggire.
La fuga mundi è debolezza, a volte vigliaccheria. L’onnipotenza
invece è forte e si manifesta nello stare sulla croce e dalla croce
non scendere, perché solo così può dimostrare che “nulla nella
storia è un reale contropotere per Dio”. Niente e nessuno lo può
bloccare nella sua volontà di continuare ad amare l’umanità:
nemmeno la morte della maledizione cui gli uomini condannano il Figlio. Nessuna potenza può separare l’uomo dall’amore
di Dio: questa certezza apre al pentimento, inesorabilmente,
e attiva il perdono, immediato e totale. Anche per un ladro,
purché lasci sprigionare da sé un po’ di compassione per chi
soffre senza colpa e così si accompagni a Colui che già lo eleva,
conducendolo nella sua gloria in paradiso.
26
Via Crucis
XII.
Sotto la Croce:
la madre dell’accoglienza,
il cammino della fede
Sotto la croce qualcosa di nuovo sta accadendo. è il novum di
una creazione rinnovata. Il dolore è immane, straziante: del tutto
innaturale, per la madre che sa della sorte umiliante del Figlio e
lo guarda con occhi di fede, sperando contro ogni speranza. è
sofferenza infinita, quanto è infinito l’ultimo istante di vita che
sopravviene con il primo istante della morte. Tutto sarà presto
compiuto, perciò occorre concentrarsi ora sull’essenziale della
vita: l’affidamento dello spirito a Dio che resta sempre Padre
anche nel mistero dell’esperienza dell’abbandono. è tempo di
consegna, per l’ultima consegna di sé, perché il tutto (ta panta =
la realtà tutta), possa essere ricapitolato nell’amore e innestato
nel cuore di Dio da cui dall’eterno proviene. La via stabilita è
quella della croce, del dono totale di sé all’altro: questa morte
riconcilia tutte le cose, abbatte il muro di separazione dell’indifferenza e della disaffezione. Una nuova relazione amativa è
creata per sempre, un nuovo affetto, come un’alleanza nuova
nel sangue: accoglienza e dono. Perciò Maria è consegnata e
affidata a Giovanni, perché sia – come è nella verità del mistero
– la donna, nuova Eva, madre di tutti i viventi, e anche “sua”
madre, la madre dei discepoli, epifania della nuova umanità generata non da carne e sangue, ma dallo Spirito di Dio attraverso
la fede. Il primo frutto dell’affidamento è l’accoglienza, nella
quale soltanto si specchia l’umano dell’uomo, la sua pietas:
accogliere il dono è, a sua volta, dono che genera accoglienza
e perpetua il dono. La croce è l’inizio di questo nuovo umanizzante cammino: strada ripida e in salita, come scalare una
montagna, ma resa possibile dal sangue del Figlio dell’uomo
che rende i piedi degli uomini – divenuti fratelli – come quelli
delle cerve, per poter camminare sulle altezze di una nuova
umanità, capace di fondare la civiltà dell’amore.
Via Crucis
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XIII.
Morte di Gesù:
lutto è compiuto
Davvero tutto è compiuto. Nel Crocifisso morto sulla croce
Dio ha raggiunto l’uomo anche laddove era religiosamente
impossibile farlo. Quella è la morte del maledetto e dunque
dell’assenza totale di Dio: il grido dell’Abbandonato mostra
tutta l’assurda crudezza della morte di croce. Il Figlio dell’uomo
ha sempre parlato con Dio chiamandolo Abbà/papà. In quell’ora però Dio non sembra essere più il Padre suo, ma soltanto
“Dio”. Non è dunque una morte apparente: è vera morte di Dio
nell’uomo. La morte aggredisce così quell’uomo, nel nucleo
incandescente della sua vita di Figlio eterno, la sua relazione
filiale col Padre. Il duello della morte si infittisce e arriva a
queste profondità eterne. Muore realmente la Vita, ma in questa
morte muore definitivamente la morte. La sconfitta è vittoriosa,
perché contro la morte duella la Vita di Colui che ha il potere di
donarla e di riprenderla di nuovo, la Vita eterna di Dio-Figlio
nel Dio-amore, Dio comunione, Dio Trinità. Tutto è veramente
compiuto ora: il volto vero e ultimo di Dio si manifesta nella
libertà dell’amore di gesto che solo oramai lo identifica sulla
terra: l’essere Dio-amore, pane spezzato e sangue sparso per la
salvezza di tutti. è un Dio condividente, pro-esistente, un Dio
per gli uomini. Ora, il Figlio dell’uomo può riposare: i segni
delle atrocità umane sono scomparsi dal volto. è tempo di silenzio e di attesa. Tutto è però compiuto per il bene dell’uomo
che non potrà più gridare la sua solitudine a Dio perché Dio si
è fatto abissalmente vicino: è presenza di misericordia dentro
ogni angoscia. Anche sulla soglia della morte, dove si giunge
veramente da soli, là Dio è accoglienza e perdono, Dio-amore.
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Via Crucis
XIV:
la pietà popolare che conduce alla Pasqua,
il silenzio di Dio
Il silenzio di Dio è forma inedita di una nuova parola d’amore tra le braccia della madre che accoglie suo Figlio senza
vita, deposto dalla croce. è la pietà di una carezza sul volto:
è la pietà interrogante con trepidazione il mondo, perché è il
dolore di una madre che spera nel Dio dei vivi e non dei morti.
Lei, la madre, qui – nel momento in cui tutto tace e Dio stesso
appare impotente e muto – diventa “figlia di suo figlio”, la prima
credente, che nella sequela della croce lascia risuonare la parola
del Maestro: “se il chicco caduto in terra non muore non porta
frutto”. Il Figlio dell’uomo è nuovamente accolto dal grembo
che lo ha generato: quel grembo è il seno della terra nel quale
Egli scende per ricapitolare, facendo nuove tutte le cose, per
una nuova seminagione. è nell’anima del mondo, nell’intimo
più profondo dell’umanità che il seme dell’amore attiva un
nuovo passaggio, dalla vita corruttibile alla Vita eterna, incorruttibile, immarcescibile. La pietà è speranza, quel silenzio di
Dio è parola eloquente: la morte è l’ultimo nemico da vincere,
non è l’ultimo istante della vita, la quale continua nell’Eterno.
Terreno fertile, quel grembo ritorna a dare il suo frutto più bello,
la speranza della vita risorta.
«Di buon mattino andremo alle vigne;
vedremo se mette gemma la vite
se sbocciano i fiori
se fioriscono i melograni».
Messaggio per la Quaresima
29
30
Messaggio per la Quaresima
Con Maria sulla via del dolore
31
Con Maria sulla via del dolore
I.
Via crucis
condannato
beffeggiato
schiaffeggiato
flagellato
Ecce homo
tunica scarlatta
già segno del sangue
la violenza s’abbatte
senza pudore
offende e disprezza
l’agnello è condotto al macello
in silenzio
non apre la bocca
eppure la parola è diffusa
Ricade su lui
l’iniquità di tutti
ecco una nuova misura
un nuovo giudizio
perdona l’amore
è paziente la carità
tutto copre e comprende
la croce
un patibolo avrà altro senso
il segno è contraddetto
ha un altro sapore
che sapienza poterla portare
saperla amare
Signore pietà
II.
Afflitta all’estremo
la madre segue impotente
trafitta nel cuore
la spada apre varchi al dolore
caricata della sofferenza del
Figlio
Gravata dai pesi dell’uomo
prepotenze
sopraffazioni
orgoglio
bestemmie
mancanze d’amore
la madre lo incontra
non c’è un dolore simile al suo
la pena è più acuta
Sorregge solo la fede
tutto è dono
tutto grazia sarà
l’incomprensibile è crudo
Non dura però
questa condanna non è per la
morte
ma per la gloria
Partecipare
condividere
Cirenei d’ogni tempo
chi può alleviare tanto patire
eppure insieme si può soffrire
per sostenere la croce
che tutti porta e sostiene
il sudore asciugato
lascia una traccia
un volto su un panno
l’affetto consuma
un ultimo gemito
in un punto tutto il degrado
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Con Maria sulla via del dolore
Ora capisco perché
vasto è l’odio nel mondo
esorbitante
contamina
inquina
Gesù cade tante volte
E riprende il cammino
Parola consolante
non stare a terra
ma in piedi
il problema non è cadere
piuttosto è il rialzarsi
cadere sette volte
alzarsi otto
III.
Piangere
fare lamenti
battersi il petto
diverso è amare l’Amore
da donna io dico:
«donne capite il dolore
condividete col cuore
più non serve
un culto esteriore»
Quando l’acqua giunge alla gola
si sprofonda nel fango
chi avrà compassione
chi potrà compatire
chi avrà pietà
se le piaghe
oscurano l’animo
impresse per sempre
là dove il cuore indurisce
e il corpo è perduto
privo d’ogni sensibilità
Spogliato
nudo
derelitto
così si presenta
il più bello dei figli
carico d’ogni bruttezza
fino all’estremo
la maledizione del legno
oltre l’estremo
spirò
in fiduciosa consegna
Chi sentì l’abbandono per tutti
Maria
Dio mio Dio mio
dimmi se questo è un uomo
dicci se può essere un Dio
impotente libera
muto parla
ucciso vivifica
sepolto risuscita
nel giardino un sepolcro nuovo
nuovo come il tempo
nuovo come il cielo e la terra
nuovo come la vita che ora
comincia.
Dove tu sei
il deserto fiorisce
Dove tu sei
la vita rinasce
Dove tu sei
il cielo schiarisce
Con Maria sulla via del dolore
IV.
Mi incanti oh! roccia
del sudore di Cristo nell’orto
prostrato il Signore posò il suo
corpo
ti bagnò col suo sangue
e sentisti l’angoscia del Figlio
dimmi del suo abbandono
nelle ore tristi
io possa gridare con lui
sia fatta la tua volontà
Fitte fredde nell’intimo
vibrano in tutti i sensi del corpo
elargendo uno strano tepore
una pietra ghiacciata
affligge pesante l’attesa
ed è l’Ora
Dio sei Padre nel mio dolore?
quando e perchè
grido anelante fino all’aurora
Un bacio è segno d’affetto
ma tutto cambia in questa ora
il tradimento si compie
il maledetto pende dalla croce
straziato è il volto di Lei
la madre
una lancia squarcia il suo petto
la spada trafigge il suo animo
Dimmi se c’è un Dio
se c’è
33
dimmi se è Padre
– Dio mio Dio mio perché mi
hai abbandonato – ora
qui
il Padre è solo dio
la notte è arrivata
vuole regnare
e si perde per sempre
nel sentimento di un Figlio
nell’impenetrabile gemito
Dio resta Padre nel sempre
– Padre nelle tue mani affido il
mio spirito –
sotto la croce
l’abbraccia la madre
quanta pietà
ecco tuo figlio
il grembo è ancora fecondo
s’apre a nuova maternità
Maria, madre amabile
Maria madre affidabile
Maria madre ammirabile
Muore la morte
la croce è gloriosa
Cristo è risorto
alleluia alleluia
il suo morire l’annuncia
è certezza d’Eterno
l’Eterno ora innerva la vita.
Indice
Urge la Carità sotto la Croce
L’umanesimo cristiano sfida le relazioni dis-umane
dell’indifferenza (Messaggio del Vescovo per la Quaresima) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pag.
3
I. Nell’Orto degli Ulivi: lotta, agonia, abbandono
II. Il bacio di Giuda: il tradimento che non sa
quanto Dio è perdono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
III. Il Sinedrio: nell’abisso dell’ingiustizia risplende la suprema giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . .
IV. Pietro: alla luce dell’alba il Suo sguardo ridà
vigore alla roccia fragile che lo ha rinnegato
tre volte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
V. Pilato: Lo stupore per l’uomo mite, povero e
innocente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VI. Ecce Homo: incoronato dal dolore dell’umanità, sferzato dai peccati del mondo . . . . . . . . . .
VII. L’incontro con la croce: cacciato fuori dalla
vigna, va verso il Golgota caricato di salvezza . .
VIII. Verso il Calvario: croce che coglie improvvisamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
IX. Le donne: legno verde che brucia d’amore
per Gerusalemme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
X. Il Crocifisso: l’Incarnato tra cielo e terra è
crocifisso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XI. I due ladri: del pentimento possibile e del perdono che non si lascia pregare . . . . . . . . . . . . . . . . .
XII. Sotto la Croce: la madre dell’accoglienza, il
cammino della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
XIII. Morte di Gesù: tutto è compiuto . . . . . . . . . . . .
XIV: la pietà popolare che conduce alla Pasqua,
il silenzio di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Con Maria sulla via del dolore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Via Crucis
© Edizioni Santocono
Finito di stampare nel mese di febbraio 2012
presso Grafiche Santocono - Rosolini (SR)
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