Ur gel aCa r i t à s ot t ol aCr oc e L’ uma ne s i moc r i s t i a nos f i da l er e l a z i onidi s uma ne de l l ’ i ndi f f e r e nz a Me s s a ggi ope rl aQua r e s i ma c ont e s t idime di t a z i onepe runaVi aCr uc i s Antonio Staglianò Vescovo di Noto Urge la Carità sotto la Croce L’umanesimo cristiano sfida le relazioni dis-umane dell’indifferenza Messaggio per la Quaresima con testi di meditazione per una Via Crucis Gli acquerelli della prima di copertina e quelli all’interno del volume sono stati realizzati da Padre Giuseppe Damigella. Messaggio per la Quaresima 3 Urge la Carità sotto la Croce L’umanesimo cristiano sfida le relazioni dis-umane dell’indifferenza (Messaggio del Vescovo per la Quaresima) Il viola è il colore di questo tempo. Sarebbe interessante scoprire perché si usa nei tempi forti, l’avvento e la Quaresima. Da ragazzo mi colpiva questo fatto: appariva il viola delle vesti sacre, e io capivo d’essere chiamato a un tempo di rigore, di sobrietà, di maggiore silenzio, persino di ascesi, con il digiuno. Crescendo, ho verificato nella mia personale esistenza come sia difficile convertire la mente e il cuore alla realtà vera della vita: non c’è infatti il paese dei balocchi, da nessuna parte della terra, nemmeno da noi. Eppure questo paese dei balocchi premeva con insistenza nella mia mente ed eccitava il mio desiderio. Tra l’altro era un sogno piuttosto diffuso in tutti, nei ragazzi, nei giovani e persino negli adulti: tutti in cerca del gusto della vita nel piacere della distrazione dalla realtà vera. Il divertimento – magari chiamato con altri nomi, solo apparentemente più nobili per mascherarlo, come “libertà dal lavoro” o “neutralizzazione dallo spirito di sacrificio” o “indipendenza dagli affetti dei pesanti legami” o, ancora, “autonomia nella realizzazione di sé” (e chi non ha detto almeno una volta “la vita è mia e me la gestisco io”) –, resta sempre il dogma di una vita vissuta all’insegna dell’illusione o della speranza aleatoria, del tipo, “questa volta gioco più denaro e sicuramente diventerò milionario”. Bravo: “gratta e … perdi”. Quanto è difficile ritornare alla realtà vera della vita, togliendosi le tante maschere, plurime, diversificate, tutte belle: Arlecchino, Pulcinella. Anche le più brutte. Non è un caso che, nella nostra tradizione, il Mercoledì delle Ceneri accada immediatamente dopo il carnevale: basta! è finita l’allegoria, il mascheramento. è ora di smettere di gozzovigliare: basta, ora è l’Ora, il tempo propizio per con- 4 Messaggio per la Quaresima vertirsi alla realtà vera di ciò che siamo, di ciò che viviamo, stando con i piedi per terra e guardando in faccia la realtà. Messaggio per Abbandonare la stupidità dell’illusione per entrare “dalla testa ai piedi” – la Quaresima inizia dall’imposizione delle ceneri sul capo e finisce con la lavanda dei piedi del giovedì santo –, nel cammino che questo tempo forte ci propone: pentimento e servizio. Non è cosa semplice. è necessario un tempo di quaranta giorni, opportuno e adeguato per “svegliarsi dal sonno” e attendere con vigilanza alla salvezza, cioè alla liberazione della nostra libertà da ogni forma di schiavitù, dentro e fuori di noi. Il peccato è il nemico principale della nostra libertà. La lotta contro il peccato – soprattutto durante la Quaresima – deve essere fatta in nome della nostra libertà. Siamo venuti al mondo per essere liberi e non dovremmo sopportare di svenderci per niente e a nessuno. Il peccato è svilimento, deriva, disumanizzazione, lontananza dalla bellezza che è in noi, anestesia corporale e spirituale che rende immobili, atrofizzati, freddi, insopportabilmente incapaci del calore dell’amore. Eppure, per coloro i quali vogliono prendere sul serio la propria libertà in tempo di Quaresima, il dramma non sarebbe poi tanto il peccato: alla fine, chi tra noi non è un peccatore? Il riconoscersi peccatori, questa è la tragedia. In una cultura che al limite può/vuole ammettere i propri errori – errare humanum est, sbagliare è umano –, anche il cristiano fa fatica a riconoscere il proprio peccato e a chiederne perdono. Il confessionale resta vuoto, non solo perché il prete non ci sta (e occorre invece, specie in Quaresima, dettarsi dei tempi per “stare” a disposizione per le confessioni, abitando il confessionale), ma soprattutto perché gli umani si sono convinti di non peccare, perché “i peccati tradizionali” sono diventati costume diffuso, quando non addirittura motivo di orgoglio: tradire il legame sacro dell’amore coniugale, rubare, bestemmiare, deturpare l’ambiente, sfruttare il lavoratore, calunniare, ingiuriare, smentire l’alfabeto di base dell’affetto vero etc. etc. (si potrebbe Messaggio per la Quaresima 5 continuare in una lista infinita) non sono più identificati come “peccati” da confessare. Intanto cosa va in rovina? La qualità della nostra relazione umana e del nostro legame sociale: gli affetti più sacri sono puntualmente offesi e calpestati, i legami più veri sono di continuo infranti e disattesi, non solo tra i giovani, ma anche e soprattutto tra gli adulti (i quali per lo più vivono nell’idolatria della loro interminabile giovinezza e nella morsa della sindrome di Peter Pan: hanno paura di crescere e di invecchiare). Allo specchio di questa condizione post-umana della nostra cultura narcisistica dell’amore di sé in faccia alla sofferenza dell’altro e degli altri (fossero anche mogli e mariti o figli abbandonati per l’esigenza di “rifarsi una vita” secondo l’etica “della vita è mia e me la gestisco io”), la Quaresima resta il tempo propizio per ritornare in se stessi, cioè nella verità di sé, scoprendo le radici sostanziose e belle del proprio sé in verità: siamo dono, apertura, dedizione, cura, capacità fraterna, relazione amativa, comunione fino al sacrificio, amore. Si “noi siamo amore”. Ed è bello scoprire che è questa la rivelazione del Dio dei cristiani: “Dio è amore”. Un’affermazione su Dio che immediatamente si ripercuote nello svelamento di quello che sono io: “io sono amore”. Di meno, c’è il peccato che mi schiavizza e deturpa, di più c’è la bellezza cui sono destinato, a vantaggio di tutti e per la mia salvezza, per la mia liberazione, per l’affermazione della mia libertà. In Gesù, Dio mi è diventato prossimo, vicino, compagno di strada. La prima conseguenza di questa scoperta di fede è che nessuno è così solo da non essere guardato da Dio con uno sguardo di misericordia. Questa vicinanza di Dio getta luce sulla mia vera identità: “io sono fatto come Lui, prossimo, vicino, fratello per tutti, figlio suo”. Lo sguardo di Dio scopre la mia dignità, la mia bellezza. Niente e nessuno può togliere questa dignità e bellezza, perché nessuna potenza mondana potrà distogliere Dio dal guardarmi così, come un Padre vero guarda suo figlio. Lo sguardo di Gesù è il modo in cui Dio con- 6 Messaggio per la Quaresima tinuamente mi guarda ed è una visione di grandezza che nemmeno la morte – da cui sono stato riscattato con la sua risurrezione –, mi renderà opaca. Anche le tenebre del peccato sono vinte dalla misericordia di Dio: in Gesù, Dio resta sempre fedele al suo sguardo, continua sempre ad amare. Riconosci nel pianto di Pietro la potenza di un Dio che ama anche in faccia al tradimento più grande, perché guarda in te la bellezza e la dignità che resta nonostante ogni peccato. Da qui comincia la conversione vera: sapere che Dio è sempre disponibile al perdono e attende che un sussulto della libertà del figlio umilmente lo chieda. Non rinfacciargli questo fatto: che Dio esiga da te che tu gli chieda perdono. Non ribellarti alla necessità che sia tu stesso a “ritornare da Lui”: è una necessità dell’amore. Dio infatti ama in libertà e urge la libertà del tuo amore e non vuole essere subito, perciò non ti impone il suo amore. Te-lo-pone dinanzi, incoraggiando la tua libertà ad accoglierlo nell’assoluta gratuità del solo donarsi, senza misura, senza baratto, senz’altra intenzione se non quella di svelare la dignità e la bellezza del tuo essere figlio. Figlio o libero? L’essere figli in casa del proprio padre, quando è Dio ad essere Padre – secondo la rivelazione di Gesù e la predicazione del cristianesimo –, allora si è veramente liberi. Per tutti lo ha saputo e scoperto il “figliol prodigo”, per ciascuno di noi lo ha mostrato e predicato a Nazareth proprio Gesù. è poi straordinario il fatto che nella lingua latina “liber” significhi “figlio”. La lotta per la nostra libertà è la possibilità della conquista della verità del nostro essere figli, generati nel Figlio di Dio, “figlio nel Figlio”. Ecco l’avventura della fede a sevizio della libertà. Non è questa una chiacchiera o una teoria interessanti, è invece una forma pratica della vita, una rivoluzione sociale, un esercizio della politica. La Quaresima è tempo propizio per dire a noi stessi e a tutti che non vogliamo rassegnarci a un cristianesimo “che applaude Messaggio per la Quaresima 7 senza convinzione e bacia senza amore”. Così non vorremo rassegnarci ad una religione che sfiocca – esibendola nei rotocalchi e nelle televisioni, come anche nelle nostre celebrazioni liturgiche – certa banale elemosina (non importa quanto sia la quantità del capitale investito) chiamandola con il nome solenne di “carità”. Charitas Christi urget nos (2 Cor 5,14), urge la carità di Cristo in noi, per noi, attraverso di noi. Solo la carità è il linguaggio del cristiano: la carità svela il figlio in noi e la nostra vera libertà. Questa carità è però coinvolgente. Esige l’immersione della vita nel gesto caritatevole, richiede di onorare la giustizia della relazione umana e si fa nella verità di sé e dell’altro. Non è poi così difficile, perché è gesto impossibile nell’autonomia delle proprie forze, ma facilissimo nel ritmo della potenza dello Spirito di Dio che ci in-abita e si rende liberi e veri. Lo ha promesso Gesù: lo Spirito ci porterà alla verità tutta intera che ci renderà liberi e allora saremo veramente liberi. Da qui sorge un umanesimo cristiano capace di sfidare le relazioni dis-umane dell’indifferenza del tempo presente. Come è potuto accadere che l’egoismo della nostra doverosa privacy ci inoltrasse negli abissi disumani del disinteresse per l’altro (anche quando l’altro portasse il volto del proprio padre o madre, o fratello e sorella, parente amico, vicino di casa)? Come è stato possibile che la sovrabbondanza materiale, la ricchezza della nostra sazietà ci ha fatto smarrire il senso del volersi bene, dell’aprire gli occhi sui bisogni dei fratelli, rendendoci avidi e insensibili nei confronti del bene degli altri e del bene comune? Ecco la sfida della Quaresima: Dio in Gesù scommette ancora su di noi. Azzarda l’ipotesi (ma, per Lui è una visione chiarissima) che la bellezza e la dignità del nostro essere figli suoi è potenziale sufficiente per ridare un’anima alla nostra vita reale e alle nostre società intristite dall’individualismo narcisistico e dalle chiusure egoistiche di chi pensa solo ai propri interessi. In questa direzione va quanto ho appena ascoltato da un 8 Messaggio per la Quaresima grande teologo italiano – don Pierangelo Sequeri: è indispensabile oggi “creare una nuova comunità, raccolta intorno a Gesù capace di mostrare visibilmente che l’agape di Dio vuole agire tra gli uomini e abitare il mondo e di fatto lo abita”. Questo comporta l’avventura storica dei figli di Dio (la manifestazione della libertà dei figli di Dio in gestazione in questa creazione) di “togliere l’ossigeno possibile – a cominciare dal pensiero – al monoteismo libidico del Sé e all’irreligione dispotica dell’Io”: vera e propria odierna religione del vitello d’oro che produce il disumanesimo della distanza e dell’indifferenza dall’altro, dell’immunizzazione rispetto ai suoi bisogni, nel tradimento concreto della prossimità di Dio all’uomo, inaugurata da Gesù. Insomma, di amore per se stessi si può solo morire e far morire gli altri. Solo la Carità (la pro-esistenza, la pro-affezione) ama e porta l’amore a dilatarsi, facendo vivere tutti nella gioia e nella felicità desiderata da ogni cuore. Allora, la Carità urge: ne va della vita, della nostra reale vita umana. Si, è una questione di vita o di morte. Tanto importante è la Quaresima nella vita delle persone e in particolare per i cristiani. Stando così le cose, la Quaresima non è questione di “anime belle” e di “pie devozioni”, è piuttosto profezia di una vita che si converte e cambia, che si decide una volta per tutte per il Signore, per la sua umanità, per la bellezza e dignità del proprio essere umano, figlio, libero. Le profondità di questa conversione sono misurabili dall’amore sconfinato del Crocifisso, il quale non solo soffre e muore per solidarizzare con gli innocenti, ma anche e soprattutto soffre e muore per espiare per i colpevoli. A questa libertà straordinaria (l’unica “vera”) sospinge l’amore, urge la Carità. Non si può estetizzare il simbolo singolare del cristianesimo – la croce del Crocifisso –, per ridurne la “sua” verità, la “sua” bellezza a emozionalismo sentimentale o, peggio, a pietismo consolatorio. C’è là dentro una emozione infinita e soprattutto una pietà immensa, ma sono di tutt’altra natura, quella dell’amore che accoglie tutto il dolore del mondo per trasformarlo Messaggio per la Quaresima 9 e redimerlo, cambiarlo dal di dentro, promuovendo liberazione e salvezza. Nell’inaudita bruttezza di una condizione di condanna (e religiosamente parlando, di maledizione), causata dalla violenza dispotica del sacro, appare tutta la bellezza della “santità ospitale” di Gesù che include, nella sua richiesta di perdono rivolta al Padre, i suoi stessi carnefici – «Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34) –, mentre Lui stesso concede il perdono all’uomo malvagio pentito all’ultimo istante – «oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Lo scandalo cristiano della misericordia ha qui le sue radici. Qui dove splende lo sconfinamento dei limiti del sacro e delle sue leggi ferree e si manifesta la bellezza umana del “santo”: la libertà dell’uomo deve giungere fin qui, se vuole guadagnare se stessa, parola di Gesù, la Parola del Dio vivente. Qui è la verifica più grande, rispetto alla quale – forse per tutti e certo per molti – il tempo di Quaresima non potrebbe bastare: dovremmo convertirci tutti dal sacro al santo, per scrutare e godere della bellezza di Dio, là dove si trova, senza edulcorazioni, senza ammiccamenti, ma nella “sua” verità. Nel mio messaggio di Avvento ho chiesto a tutte le comunità cristiane di trascrivere “insieme”, in una lista, quelle opere di misericordia corporale e spirituale che possono essere realizzate “insieme” dopo la celebrazione domenicale dell’eucarestia, per mostrare lo stretto legame esistente tra celebrazione rituale nella liturgia e vissuto di carità. Immagino quanto sia lunga questa lista, frutto della vostra fantasiosa creatività nella carità. Ora, la Quaresima è tempo propizio per realizzare con coraggio quel proposito. Urge la Carità come creazione (generazione, per l’appunto, siamo figli, cioè liberi) di una nuova fratellanza. Il Papa Benedetto XVI nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno ci ha detto che «oggi il mondo soffre soprattutto di una mancanza di fraternità» e di fronte a una cultura che «sembra aver smarrito il senso del bene e del male, occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince […] il bene suscita, protegge 10 Messaggio per la Quaresima e promuove la vita, la fraternità e la comunione». Occorre allora una rinnovata testimonianza cristiana che sappia accogliere l’invito a «gareggiare in carità, servizio e opere buone», poiché «il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere del bene, nell’amore di Dio». Forza e coraggio, dunque. Il Papa ce lo ha detto con insistenza: la carità è «il cuore della vita cristiana» e la Quaresima è una opportunità per tutti e non solo per i cristiani per riflettere e meditare e neutralizzare «il pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di “anestesia spirituale” che rende ciechi alle sofferenze altrui». Il Santo Padre ci incoraggia con le sue catechesi e il suo illuminato Magistero a non indietreggiare nella manifestazione dell’amore, attraverso le opere di misericordia corporale. Un legame più stretto e un impegno più constante con il Papa – proprio nella direzione dell’esercizio della carità –, derivano alla Chiesa di Noto dall’avvenuta elevazione della nostra Chiesa Cattedrale a Basilica minore. Questa designazione non è (e non sarà mai) un orpello, ma piuttosto un appello alla nostra libertà a tradurre fattivamente quanto il Magistero universale della Chiesa ci insegna. Muoversi nella carità con nuova fantasia e creatività è lavoro di tutti, come singoli e come comunità. Ognuno di noi può sempre “dare di più”: è uno spettacolo straordinario constatare che proprio in tempi di ristrettezza aumenti la solidarietà tra le persone e ci si riscopre fratelli nella comune dignità umana. La raccolta di generi alimentari per sopperire ai bisogni dei più poveri cresce, a testimonianza della larghezza del vostro animo. Con gioia grande constato che la festa di San Corrado si caratterizzerà quest’anno per una maggiore visibilità della carità, attraverso il gesto nobile dell’apertura della “mensa di accoglienza” per i più poveri: luogo di solidarietà e di volontariato, questa mensa potrà diventare una fucina e un laboratorio per cuori che si lascino sciogliere dall’amore-agape. La carità però ha tante forme. Essa impegna anche a cercare, insieme a gli uomini di buona volontà (specialmente quelli deputati a servire il bene comune) tutti i luoghi abitabili e gli Messaggio per la Quaresima 11 strumenti utili per attivare processi di sviluppo reale del nostro territorio, allo scopo di risollevare il disagio economico e sociale nel quale tante nostre famiglie sono cadute. La firma del Protocollo d’intesa contro la crisi tra il vostro Vescovo e i sindaci dei nostri comuni sta già donando buoni frutti in diverse città ed è il contenitore giusto per realizzare un nuovo progetto globale e integrato con l’aiuto della Provvidenza. Ne abbiamo parlato il 14 Febbraio 2012 nella Sala degli Specchi del Comune di Noto e abbiamo aggiornato il nostro incontro al 14 Marzo prossimo. Ho molta speranza in quanto si sta facendo, mentre assicuro che la presenza del Vescovo su questi terreni (solo apparentemente estranei alla sua missione) è motivata soltanto dal servizio: è per altro un servizio di unità e di collante (amerei dire, di comunione) che esprime anche nel campo dello sviluppo sociale ed economico il sacramentum dell’unità nella Chiesa, espresso dal ministero episcopale. A tutto questo vorrei aggiungere però una verifica interiore, per tutti quelli che intendono vivere un cristianesimo più generoso e vitale e non semplicemente anagrafico e superficiale. Mentre ci battiamo culturalmente (e lo faremmo fino all’effusione del sangue) – insieme a tanti uomini di buona volontà – perché il Crocifisso non venga tolto dalle scuole o da altri edifici pubblici, vogliamo verificare se proprio noi cristiani non abbiamo già tolto il Crocifisso dalla Chiese cattoliche? Come potrebbe accadere questa circostanza così irreligiosa proprio nel bel mezzo della nostra religione? Molto semplice, tanto è un rischio di una ovvietà inaudita in certo cristianesimo da parata, senza impegno serio nella vita quotidiana. Lo avremmo fatto ogni volta che la mentalità giustizialista di oggi ha impedito ai cristiani di percepire la bellezza del Crocifisso nel perdono ai propri nemici, secondo la parola di Gesù: «a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27). Ascoltiamo in merito un profeta dei nostri tempi, don Toni- 12 Messaggio per la Quaresima no Bello, defunto vescovo di Molfetta, e lasciamoci verificare interiormente dalle sue parole illuminate e sapienti, frutto del suo amore per la Chiesa e per un cristianesimo evangelico, capace di comunicare la prossimità di Gesù Cristo agli uomini di oggi, specie ai poveri, agli afflitti, ai sofferenti: «come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo “inquadrata” nella cornice della sapienza umana e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica». I nostri denigratori incoraggiano un cristianesimo senza mordente, abbassato alle logiche mondane del loro perbenismo e non vogliono accettare lo scandalo della bruttezza della croce, nel quale può splendere la bellezza solo di Dio. La bellezza è quella dell’agape di Dio che splende nella misericordia confermata come possibile a tutti i colpevoli e i peccatori, splende nel dono del suo amore, del suo dono-per, cioè del suo per-dono, mentre la croce è brutta in ogni senso, senza la sua Carità. In questo modo, la Croce si collega al Natale, chiedendoci di avere occhi di fede, per scrutare la bellezza di Dio nei luoghi della più cruda bruttezza: infatti, nella bruttezza amara di una grotta senza niente (“al freddo e al gelo”, nella mancanza totale di ogni compassione umana per una donna che deve partorire il figlio) si potrà notare la bellezza di un nascituro – il Figlio eterno di Dio –, il quale ci comunica la nostra vera dignità di essere umani, a prescindere dalla nobiltà del nostro nascere e del nostro possedere. Nascessimo senza niente, come Lui a Betlemme, saremmo lo stesso degni di amore, perché esseri umani, e saremmo lo stesso “amore”, capaci di dono, di amicizia, di fraternità. Attenzione: quando nell’estetismo religioso si pretende “velare la bruttezza della croce”, perché se ne afferma superficialmente la bellezza, a prescindere dalla sua verità di perdono Messaggio per la Quaresima 13 misericordioso e di riscatto salvifico dalla colpa (= unica bellezza esistente in questo segno), allora ordinariamente su quella croce vengono inchiodati – proprio dal nostro devozionismo religioso – i nostri nemici (quando non anche i nostri stessi amici). Allora, il Crocifisso non ci parla più della “bellezza scandalosa” di un Dio che muore per tutti, anche per i colpevoli, per i quali invoca il perdono, ma diventa solo un “idolo-insegna” dei nostri desideri di vendetta. E però, in questa esperienza religiosa impazzita, il cristianesimo non c’è più e, ovviamente, non c’è la croce di Cristo che invece si identifica e si riconosce in ogni gesto umano, capace di dono vero, quello che spinge il dono della vita fino a morire per amore. La bellezza dell’amore ha già salvato il mondo: nessuno infatti ci può separare da questo amore in Cristo Gesù, risorto dai morti. Croce Tu reggi il mondo Sospiro ultimo Ultimo e muto Capirti Croce Non dominarci servici Stabat mater dolorosa, sotto la croce sta Maria, là dove urge la carità di un dono smisurato e di un abbandono pieno di fiducia nel Dio che salva oltre ogni apparenza oscura. Come Maria, apprezziamo la “bellezza misteriosa” della croce di Cristo che urge in noi la carità. Nella preghiera a Maria SS. Scala del Paradiso e a San Corrado Confalonieri, vi auguro di cuore una buona Quaresima e una santa Pasqua. +Antonio, vescovo Noto, 22 Febbraio 2012 (Mercoledì delle Ceneri) 14 Messaggio per la Quaresima Via Crucis 15 Via Crucis I. Nell’Orto degli Ulivi: lotta, agonia, abbandono Agonia, lotta, abbandono: è indicibile la solitudine in questo dramma. Il Figlio dell’uomo l’affronta, umanamente, non senza paura: interprete d’ogni uomo davanti al dolore, mentre incalza la morte. “Passerà questo calice, Padre?”. Si, passa solo se bevuto fino all’ultima goccia di sangue. Nell’orto degli ulivi, di sangue si suda, un corpo sangue trasuda: è però il sangue di un patto nuovo, nell’amore che si dona fino alla sua totale effusione. Quest’amore è olio d’olivo, balsamo per ogni ferita, unzione per ogni vero potere. Nessuno dorma in quest’ora: nel Getsemani la liberazione è vicina, benché la tenebra della notte avanzi. La morte ostile si appresta: la sua inimicizia contro l’uomo si vince solo col “farsi dono”. Due alberi d’olivo come due mani elevate in preghiera: l’aiuto viene dall’alto, Dio ascolta e perdona. Perciò “come vuoi tu, Padre”, perché avvenga il riscatto e anche la sconfitta risulti vittoriosa, alla fine. 16 Via Crucis II. Il bacio di Giuda: il tradimento che non sa quanto Dio è perdono La notte è fitta nella coscienza dell’uomo che non crede all’amore: niente ha senso, nulla ha verità. Il bacio, “metafora viva” di un grande affetto, ora è un segno ferito, scavato dal vuoto: il tradimento si annuncia con un bacio. è il bacio di chi è amico, degno di fiducia, del fratello che mangia dell’unico pane, nutrimento della speranza di una nuova libertà. Tutto è equivoco, dopo quel bacio: con quali segni ci si potrà comunicare l’amore, senza sospetti? La solitudine umana è immensa da questo momento: è bagliore che acceca, mentre tutto è più buio. Il traditore non ha creduto all’amore, perciò consegna col bacio il suo Maestro, in quella notte, gravida di una tenebra “altra”. Tradire non fu il suo più grande peccato: quello vero, fu disperare che Dio è perdono. Il Figlio dell’uomo accoglie quel bacio e bacia anche lui, ma il suo volto sovrasta, nell’altezza della Menorah – il candelabro a sette braccia, dei sette spiriti di Dio –, evocata dall’albero dai sette rami. Il suo bacio è abbraccio di misericordia, perché Dio resta amore anche nel tradimento che del perdono purtroppo più non sa. Via Crucis 17 III. Il Sinedrio: nell’abisso dell’ingiustizia risplende la suprema giustizia “A ciascuno il suo”, perché giustizia si faccia. Ma chi stabilisce il “suo” di ciascuno? Il Sinedrio è riunito per giudicare e rispondere alla domanda sulla giustizia per l’uomo. Il “dovuto a ognuno” è solo l’amore che spinge il dono della vita fino a morire. Perciò l’atto della più grande ingiustizia – mettere a morte l’innocente – propizia lo svelamento della verità sull’umanità sofferente. Ecco il luogo della rivelazione della somma giustizia: la croce vissuta per amore. Il Figlio dell’uomo è “servo giusto che giustificherà molti”. La croce, ritta al centro, è la misura vera di questo giudizio sull’uomo, l’unica misura della giustizia di Dio: il Messia che l’accoglie, non la evade, la porta per tutti. Controfigura della trasfigurazione sul Tabor – dove Mosè ed Elia, rappresentano la Legge e la Profezia – qui nel Sinedrio il Figlio dell’uomo è affiancato dall’individualismo – la ricerca dell’utile proprio, diversamente dalla Legge che regola il bene comune –, e dalla cecità – l’incapacità di leggere negli eventi della storia l’azione di Dio contro la Profezia. Qui c’è solo sordità, non ci sono orecchie disponibili alla voce dell’Altro, segno della chiusura del cuore che non vuol sentire ragioni e rigetta l’unica Ragione (il Logos in persona) che pur viene a illuminare ogni uomo nel mondo e scaldare i cuori con la sua voce. Ecco la somma giustizia di Dio: alla sordità dei morenti è dovuta la Parola (il Verbum) che sola li salva e guarisce. 18 Via Crucis IV. Pietro: alla luce dell’alba il Suo sguardo ridà vigore alla roccia fragile che lo ha rinnegato tre volte Si dilatano a macchia d’olio gli spazi dell’infedeltà e del tradimento. A modo proprio sono in tanti a rinnegare il proprio Maestro in quest’ora che più di tutte svela fragilità e debolezze, le vere intenzioni dei cuori. Giuda tradisce e Pietro anche tradisce, di più, in pienezza, per tre volte. Il tradimento è comunque una esperienza menzognera e alienante per chiunque lo vive. La differenza tra i due sta altrove. Giuda con un bacio consegna il suo Signore e Maestro: un bacio che inganna anzitutto se stesso, e rendendolo incredulo all’amore lo spinge ad impiccarsi, a rinunciare al bene prezioso della vita. Diversamente da Giuda, sulla via della croce, Pietro incrocia lo sguardo del Figlio dell’uomo. L’evento è intensamente drammatico: Pietro ha appena rinnegato Colui che aveva riconosciuto come “il Figlio del Dio vivente”. Quel pescatore rinato per la fede nel Messia, ora è “fuori di sé”, lontano dalla sua verità, senza fiducia. è pietra rocciosa indebolita e fragile, esposta allo sgretolamento totale, pronta a sbriciolarsi del tutto. Lo sguardo del Figlio dell’uomo distrugge ogni sua incertezza: Dio resta l’amore, il Padre ricco di misericordia lo ama anche così e gli conferma fiducia. Quello sguardo sa del perdono, nuovo grembo da cui ricomincia una nuova vita, nel dono. Pietro saprà ripetere il gesto dell’amore, salirà sulla croce, capovolta. Via Crucis 19 V. Pilato: lo stupore per l’uomo mite, povero e innocente Un lungo discorso quello di Pilato, proclama parole che non lo toccano nella sua carne. Il Figlio dell’uomo è invece tutto se stesso nelle parole che dice: è trasparenza di mitezza e umiltà, di autorevolezza e dignità umana, di compassione e giustizia, perché la sua persona è “parola”. Questa presenza suscita la domanda dello scettico: quid est veritas? Cosa è la verità? L’interrogativo decisivo per la vita umana. L’uomo ha sete di verità, la cerca, perché senza verità si inabissa nell’inconsistenza, nel vuoto vertiginoso del nulla. Non ci sono però più parole, per chi ha paura di perdere potere e deve risolvere “un” caso imbarazzante, consegnando alla morte di croce Colui che pur aveva giudicato innocente. Il menzognero si lava le mani, entrando nel tunnel dell’omertà, dell’incapacità di scommettersi in prima persona per la difesa della verità, cerca una risposta teorica alla questione del senso della vita. L’assenza di volti è mancanza di cuore e di ragione, ripone in altri il responso e decide contro la giustizia. Nessuna parola gli può essere data, se non quella del silenzio della Sua presenza. Quid est veritas? La risposta è già in questa domanda, come in molti notarono. Anagrammando viene “est vir qui adest”, cioè è l’uomo che ti sta davanti. La verità è presenza della persona, Lui è la verità in persona. 20 Via Crucis VI. Ecce Homo: incoronato dal dolore dell’umanità, sferzato dai peccati del mondo Il velo usato dalla Veronica, il mandylion, asterge il volto di Gesù durante l’ascesa al Calvario. L’immagine grida tutta la potenza della parola usata dal procuratore romano per presentare il condannato: Ecco l’Uomo! Inconsapevolmente profeta, addita il modello vero dell’umanità. Al tribunale della barbarie umana il delitto quasi sempre trionfa sulla virtù, la calunnia sull’innocenza. Perciò vale per tutti la sentenza sapiente: «non cercare di diventare giudice, se non hai forza di sradicare le ingiustizie» (Sir 7,6). In questo dramma però tutto si trasfigura. A poco a poco si compie il giusto giudizio sull’uomo: dov’è l’umano nell’uomo? Eccolo è là, nell’uomo vero, capace di dono, epifania dell’amore solidale, roveto ardente della condivisione compassionevole, coronato delle spine d’ogni ferita: là nella libertà che assume i pesi degli altri e al posto di altri sa affrontare la sofferenza e la morte, “uomo dei dolori che ben conosce il patire”. Ecce homo, agnello di Dio che si addossa i peccati del mondo, si carica delle brutture dei disumani dentro le tragedie del dominio e della sopraffazione, dell’odio e delle vendette, dell’abuso e di ogni iniquità. “Quello che ho scritto, ho scritto!”, si, il Figlio dell’uomo è il Re, ma il suo Regno non è di questo mondo di tenebra, essendo solo di luce e di pace. Eppure il suo Regno, vivibile su questa terra, è l’unica condizione degna degli uomini che vogliano essere umani. Via Crucis 21 VII. L’incontro con la croce: cacciato fuori dalla vigna, va verso il Golgota caricato di salvezza Questa croce è la sua, perciò il Figlio dell’uomo l’abbraccia, perché diventi un tutt’uno con il suo corpo, così da esserne come una spontanea espansione. Accade una simbiosi perfetta, identica a quella tra la volontà misericordiosa del Padre che vuole salvare tutti gli uomini e la libertà del Figlio che si dispone al più grande gesto d’amore, spingere il dono di sé fino all’estremo, alla morte di croce, per la liberazione, per il riscatto, per l’affrancamento di tutti. L’abbraccio è coinvolgente e interrogante: capiranno gli uomini la “scienza della croce”? La croce è scandalo per ogni sapienza, è follia e stoltezza, persino maledizione. Eppure, nella condizione umana ferita dal peccato e dalla morte, non c’è altra via di redenzione e di vittoria per dare speranza agli innocenti che soffrono ingiustamente e anche ai colpevoli perché si ravvedano. La croce è per tutti il nuovo albero della “conoscenza del bene e del male”, giudizio su tutte le forme di iniquità, misura di ogni giustizia, albero della vita nuova. è soprattutto una via crucis, una “via” obbligata per la religione che deve imparare quanto l’adorazione del Dio vivente, del Dio amore, comporti l’impegno a non evadere le croci quotidiane, ma assumerle, abbracciarle: «un corpo mi hai dato, allora ho detto: “Ecco io vengo per fare o Dio la tua volontà”». 22 Via Crucis VIII. Verso il Calvario: croce che coglie improvvisamente La croce coglie all’improvviso, e la si deve comunque portare, prima o poi, come Simone di Cirene, costretto a prestare le spalle al condannato che segue da vicino. Il Figlio dell’uomo incede per tutti verso il Golgota, il “luogo del cranio”, uno spazio che evoca morte. La sua croce lo schiaccia, lo fa cadere più volte. è sopraffatto dalla stanchezza per quella croce che ha un “peso specifico”: pesa l’odio dei tanti in guerre fratricide, pesa il disprezzo dei deboli, pesa la doppiezza dell’ingiusto e pesa soprattutto il vociare immane della sofferenza dei poveri, degli immiseriti della terra, di quanti non hanno nessuna centralità in questa storia. Per tutti loro la croce è speranza, solo se la compassione sviluppa azione, compartecipazione, sacrificio di sé. Suo malgrado, forse, il Cireneo diviene simbolo di una verità che la via crucis fa splendere: non tutto è tenebra in questo mondo, la luce qualcuno ce l’ha nell’abisso del cuore, perciò può condividere, donare l’aiuto per continuare il cammino di tutti. C’è forza nel corpo di questo uomo: si carica veramente di una croce non sua? La violenza gli impone una croce “dall’esterno”, ma riceve un dono “nell’interno” dell’anima, l’immedesimazione alla fatica del Figlio dell’uomo per tutti. Quando – sfiancato dal peso – non riuscirà più a portarla, sarà quella croce a portare lui. Via Crucis 23 IX. Le donne: legno verde che brucia d’amore per Gerusalemme Straordinaria accondiscendenza dell’amore di Dio: permette che il legno verde del Figlio prediletto venga bruciato al posto del legno secco di uomini senza orientamento, perduti nell’afflizione del loro egoismo e della spasmodica ricerca del proprio piacere, del proprio utile in faccia alla sofferenza dei deboli. Lo sappiano allora le donne: questo legno verde brucia per amore, perciò è come il roveto ardente, “brucia ma non si consuma”. Piangono per compassione un condannato, ma le loro lacrime dovrebbero essere piuttosto per i loro figli, per Gerusalemme che non si è convertita all’amore e “non ha saputo riconoscere il tempo in cui è stata visitata”. Il destino dell’uomo è da piangere, se segue i sentieri interrotti del dominio, della violenza, del terrore, mentre muore l’umano nell’uomo sulle vie della indifferenza, della freddezza d’animo, delle mancanze di solidarietà. “Secco” è il legno degli uomini senza spirito, senz’anima, attaccati alle condizioni materiali della propria esistenza, senza respiro per l’oltre, senza ansia di dono, di condivisione. Piangono dunque le donne sull’uomo, nel vederlo così mal ridotto, a una sola dimensione, a una macchina da rottamare e da vendere a pezzi, a un corpo mercificato sui mercati del ludibrio senza pudore. Piangano sui propri figli, piangano sull’uomo: se saranno capaci di lacrime vere, sarà lo sguardo del Figlio dell’uomo ad asciugarle per sempre, facendole evaporare nel calore di un affetto nuovo, l’amore che crea una nuova figliolanza, una più grande fraternità. 24 Via Crucis X. Il Crocifisso: l’Incarnato tra cielo e terra è crocifisso Crocifisso, è un condizione impossibile per Colui che è venuto solo a fare il bene, a praticare il diritto e la giustizia, a offrire libertà. L’assurdo – ciò che il pensiero non riesce a concettualizzare –, nei fatti accade di continuo: è assolutamente assurdo che penda dal legno della croce proprio Lui, Colui che camminando per le strade della Palestina ha guarito i lebbrosi, ha ridato la vista ai ciechi, ha fatto parlare i muti e camminare gli storpi, ha consolato i cuori affranti e donato la speranza di un nuovo volto di Dio, solo Padre nell’amore, a tutti i poveri afflitti del mondo. Quest’uomo – mirabile fusione di “cielo e terra” –, è ora crocifisso, soffre tutto il male dell’ingratitudine infinita di cui solo gli uomini sono capaci. Questa assurda situazione realizza però un innesto pieno del Figlio dell’uomo nell’albero della croce. Nella croce c’è Lui, nella libertà del suo dono. Ora è il crocifisso il cuore della croce: la croce non dovrà mai più diventare lo spazio vuoto su cui appendere altri indifesi, deboli, poveri, oppressi. è Lui crocifisso per tutti. La croce non sarà mai più una “bella teoria” della possibilità del soffrire dell’uomo come salvezza, perché è il vissuto umano del Figlio dell’uomo, è esperienza che si fa carico di ogni peccato e di ogni dolore, di ogni infamia, di tutte le iniquità. “Il più bello dei figli dell’uomo” vive la condizione disumana “più brutta”: nella crocifissione, il benedetto, atteso dai secoli, appare come il maledetto da Dio. Ma, “per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato un nome al di sopra di ogni altro nome”. A lui tutti volgeranno lo sguardo per cercare e trovare salvezza, liberazione. Via Crucis 25 XI. I due ladri: del pentimento possibile e del perdono che non si lascia pregare Scendere dalla croce e salvarsi, avendone il potere, è senz’altro una via di uscita intelligente. Stare sulla croce e morire, se è una libera scelta, non può che essere orribilmente insensata. La logica del ladro istruisce sempre sulla via più comoda e interessata, mentre il ladro resta un ripiegato, ha occhi solo per sé, si impegna come può a cavarsela, totalmente insensibile alla sofferenza innocente dell’Altro. La potenza del Crocifisso non è però superficiale: non si tratta di combattere magisticamente con “potenze celesti superiori”, ma di restare “al chiodo” della libertà dell’amore nella quale soltanto splende la vera onnipotenza di Dio. Per quell’ora il Figlio dell’uomo è venuto, perché la rivoluzione di Dio tocchi anzitutto Dio stesso e il pensiero che gli uomini hanno di Lui. Il “potere tutto” non è nel fuggire. La fuga mundi è debolezza, a volte vigliaccheria. L’onnipotenza invece è forte e si manifesta nello stare sulla croce e dalla croce non scendere, perché solo così può dimostrare che “nulla nella storia è un reale contropotere per Dio”. Niente e nessuno lo può bloccare nella sua volontà di continuare ad amare l’umanità: nemmeno la morte della maledizione cui gli uomini condannano il Figlio. Nessuna potenza può separare l’uomo dall’amore di Dio: questa certezza apre al pentimento, inesorabilmente, e attiva il perdono, immediato e totale. Anche per un ladro, purché lasci sprigionare da sé un po’ di compassione per chi soffre senza colpa e così si accompagni a Colui che già lo eleva, conducendolo nella sua gloria in paradiso. 26 Via Crucis XII. Sotto la Croce: la madre dell’accoglienza, il cammino della fede Sotto la croce qualcosa di nuovo sta accadendo. è il novum di una creazione rinnovata. Il dolore è immane, straziante: del tutto innaturale, per la madre che sa della sorte umiliante del Figlio e lo guarda con occhi di fede, sperando contro ogni speranza. è sofferenza infinita, quanto è infinito l’ultimo istante di vita che sopravviene con il primo istante della morte. Tutto sarà presto compiuto, perciò occorre concentrarsi ora sull’essenziale della vita: l’affidamento dello spirito a Dio che resta sempre Padre anche nel mistero dell’esperienza dell’abbandono. è tempo di consegna, per l’ultima consegna di sé, perché il tutto (ta panta = la realtà tutta), possa essere ricapitolato nell’amore e innestato nel cuore di Dio da cui dall’eterno proviene. La via stabilita è quella della croce, del dono totale di sé all’altro: questa morte riconcilia tutte le cose, abbatte il muro di separazione dell’indifferenza e della disaffezione. Una nuova relazione amativa è creata per sempre, un nuovo affetto, come un’alleanza nuova nel sangue: accoglienza e dono. Perciò Maria è consegnata e affidata a Giovanni, perché sia – come è nella verità del mistero – la donna, nuova Eva, madre di tutti i viventi, e anche “sua” madre, la madre dei discepoli, epifania della nuova umanità generata non da carne e sangue, ma dallo Spirito di Dio attraverso la fede. Il primo frutto dell’affidamento è l’accoglienza, nella quale soltanto si specchia l’umano dell’uomo, la sua pietas: accogliere il dono è, a sua volta, dono che genera accoglienza e perpetua il dono. La croce è l’inizio di questo nuovo umanizzante cammino: strada ripida e in salita, come scalare una montagna, ma resa possibile dal sangue del Figlio dell’uomo che rende i piedi degli uomini – divenuti fratelli – come quelli delle cerve, per poter camminare sulle altezze di una nuova umanità, capace di fondare la civiltà dell’amore. Via Crucis 27 XIII. Morte di Gesù: lutto è compiuto Davvero tutto è compiuto. Nel Crocifisso morto sulla croce Dio ha raggiunto l’uomo anche laddove era religiosamente impossibile farlo. Quella è la morte del maledetto e dunque dell’assenza totale di Dio: il grido dell’Abbandonato mostra tutta l’assurda crudezza della morte di croce. Il Figlio dell’uomo ha sempre parlato con Dio chiamandolo Abbà/papà. In quell’ora però Dio non sembra essere più il Padre suo, ma soltanto “Dio”. Non è dunque una morte apparente: è vera morte di Dio nell’uomo. La morte aggredisce così quell’uomo, nel nucleo incandescente della sua vita di Figlio eterno, la sua relazione filiale col Padre. Il duello della morte si infittisce e arriva a queste profondità eterne. Muore realmente la Vita, ma in questa morte muore definitivamente la morte. La sconfitta è vittoriosa, perché contro la morte duella la Vita di Colui che ha il potere di donarla e di riprenderla di nuovo, la Vita eterna di Dio-Figlio nel Dio-amore, Dio comunione, Dio Trinità. Tutto è veramente compiuto ora: il volto vero e ultimo di Dio si manifesta nella libertà dell’amore di gesto che solo oramai lo identifica sulla terra: l’essere Dio-amore, pane spezzato e sangue sparso per la salvezza di tutti. è un Dio condividente, pro-esistente, un Dio per gli uomini. Ora, il Figlio dell’uomo può riposare: i segni delle atrocità umane sono scomparsi dal volto. è tempo di silenzio e di attesa. Tutto è però compiuto per il bene dell’uomo che non potrà più gridare la sua solitudine a Dio perché Dio si è fatto abissalmente vicino: è presenza di misericordia dentro ogni angoscia. Anche sulla soglia della morte, dove si giunge veramente da soli, là Dio è accoglienza e perdono, Dio-amore. 28 Via Crucis XIV: la pietà popolare che conduce alla Pasqua, il silenzio di Dio Il silenzio di Dio è forma inedita di una nuova parola d’amore tra le braccia della madre che accoglie suo Figlio senza vita, deposto dalla croce. è la pietà di una carezza sul volto: è la pietà interrogante con trepidazione il mondo, perché è il dolore di una madre che spera nel Dio dei vivi e non dei morti. Lei, la madre, qui – nel momento in cui tutto tace e Dio stesso appare impotente e muto – diventa “figlia di suo figlio”, la prima credente, che nella sequela della croce lascia risuonare la parola del Maestro: “se il chicco caduto in terra non muore non porta frutto”. Il Figlio dell’uomo è nuovamente accolto dal grembo che lo ha generato: quel grembo è il seno della terra nel quale Egli scende per ricapitolare, facendo nuove tutte le cose, per una nuova seminagione. è nell’anima del mondo, nell’intimo più profondo dell’umanità che il seme dell’amore attiva un nuovo passaggio, dalla vita corruttibile alla Vita eterna, incorruttibile, immarcescibile. La pietà è speranza, quel silenzio di Dio è parola eloquente: la morte è l’ultimo nemico da vincere, non è l’ultimo istante della vita, la quale continua nell’Eterno. Terreno fertile, quel grembo ritorna a dare il suo frutto più bello, la speranza della vita risorta. «Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se mette gemma la vite se sbocciano i fiori se fioriscono i melograni». Messaggio per la Quaresima 29 30 Messaggio per la Quaresima Con Maria sulla via del dolore 31 Con Maria sulla via del dolore I. Via crucis condannato beffeggiato schiaffeggiato flagellato Ecce homo tunica scarlatta già segno del sangue la violenza s’abbatte senza pudore offende e disprezza l’agnello è condotto al macello in silenzio non apre la bocca eppure la parola è diffusa Ricade su lui l’iniquità di tutti ecco una nuova misura un nuovo giudizio perdona l’amore è paziente la carità tutto copre e comprende la croce un patibolo avrà altro senso il segno è contraddetto ha un altro sapore che sapienza poterla portare saperla amare Signore pietà II. Afflitta all’estremo la madre segue impotente trafitta nel cuore la spada apre varchi al dolore caricata della sofferenza del Figlio Gravata dai pesi dell’uomo prepotenze sopraffazioni orgoglio bestemmie mancanze d’amore la madre lo incontra non c’è un dolore simile al suo la pena è più acuta Sorregge solo la fede tutto è dono tutto grazia sarà l’incomprensibile è crudo Non dura però questa condanna non è per la morte ma per la gloria Partecipare condividere Cirenei d’ogni tempo chi può alleviare tanto patire eppure insieme si può soffrire per sostenere la croce che tutti porta e sostiene il sudore asciugato lascia una traccia un volto su un panno l’affetto consuma un ultimo gemito in un punto tutto il degrado 32 Con Maria sulla via del dolore Ora capisco perché vasto è l’odio nel mondo esorbitante contamina inquina Gesù cade tante volte E riprende il cammino Parola consolante non stare a terra ma in piedi il problema non è cadere piuttosto è il rialzarsi cadere sette volte alzarsi otto III. Piangere fare lamenti battersi il petto diverso è amare l’Amore da donna io dico: «donne capite il dolore condividete col cuore più non serve un culto esteriore» Quando l’acqua giunge alla gola si sprofonda nel fango chi avrà compassione chi potrà compatire chi avrà pietà se le piaghe oscurano l’animo impresse per sempre là dove il cuore indurisce e il corpo è perduto privo d’ogni sensibilità Spogliato nudo derelitto così si presenta il più bello dei figli carico d’ogni bruttezza fino all’estremo la maledizione del legno oltre l’estremo spirò in fiduciosa consegna Chi sentì l’abbandono per tutti Maria Dio mio Dio mio dimmi se questo è un uomo dicci se può essere un Dio impotente libera muto parla ucciso vivifica sepolto risuscita nel giardino un sepolcro nuovo nuovo come il tempo nuovo come il cielo e la terra nuovo come la vita che ora comincia. Dove tu sei il deserto fiorisce Dove tu sei la vita rinasce Dove tu sei il cielo schiarisce Con Maria sulla via del dolore IV. Mi incanti oh! roccia del sudore di Cristo nell’orto prostrato il Signore posò il suo corpo ti bagnò col suo sangue e sentisti l’angoscia del Figlio dimmi del suo abbandono nelle ore tristi io possa gridare con lui sia fatta la tua volontà Fitte fredde nell’intimo vibrano in tutti i sensi del corpo elargendo uno strano tepore una pietra ghiacciata affligge pesante l’attesa ed è l’Ora Dio sei Padre nel mio dolore? quando e perchè grido anelante fino all’aurora Un bacio è segno d’affetto ma tutto cambia in questa ora il tradimento si compie il maledetto pende dalla croce straziato è il volto di Lei la madre una lancia squarcia il suo petto la spada trafigge il suo animo Dimmi se c’è un Dio se c’è 33 dimmi se è Padre – Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato – ora qui il Padre è solo dio la notte è arrivata vuole regnare e si perde per sempre nel sentimento di un Figlio nell’impenetrabile gemito Dio resta Padre nel sempre – Padre nelle tue mani affido il mio spirito – sotto la croce l’abbraccia la madre quanta pietà ecco tuo figlio il grembo è ancora fecondo s’apre a nuova maternità Maria, madre amabile Maria madre affidabile Maria madre ammirabile Muore la morte la croce è gloriosa Cristo è risorto alleluia alleluia il suo morire l’annuncia è certezza d’Eterno l’Eterno ora innerva la vita. Indice Urge la Carità sotto la Croce L’umanesimo cristiano sfida le relazioni dis-umane dell’indifferenza (Messaggio del Vescovo per la Quaresima) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3 I. Nell’Orto degli Ulivi: lotta, agonia, abbandono II. Il bacio di Giuda: il tradimento che non sa quanto Dio è perdono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III. Il Sinedrio: nell’abisso dell’ingiustizia risplende la suprema giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . IV. Pietro: alla luce dell’alba il Suo sguardo ridà vigore alla roccia fragile che lo ha rinnegato tre volte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V. Pilato: Lo stupore per l’uomo mite, povero e innocente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI. Ecce Homo: incoronato dal dolore dell’umanità, sferzato dai peccati del mondo . . . . . . . . . . VII. L’incontro con la croce: cacciato fuori dalla vigna, va verso il Golgota caricato di salvezza . . VIII. Verso il Calvario: croce che coglie improvvisamente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX. Le donne: legno verde che brucia d’amore per Gerusalemme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . X. Il Crocifisso: l’Incarnato tra cielo e terra è crocifisso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XI. I due ladri: del pentimento possibile e del perdono che non si lascia pregare . . . . . . . . . . . . . . . . . XII. Sotto la Croce: la madre dell’accoglienza, il cammino della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XIII. Morte di Gesù: tutto è compiuto . . . . . . . . . . . . XIV: la pietà popolare che conduce alla Pasqua, il silenzio di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15 » 16 » 17 » 18 » 19 » 20 » 21 » 22 » 23 » 24 » 25 » » 26 27 » 28 Con Maria sulla via del dolore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31 Via Crucis © Edizioni Santocono Finito di stampare nel mese di febbraio 2012 presso Grafiche Santocono - Rosolini (SR) I lr i c a va t ode l l ave ndi t ade lvol ume( €12) s a r àde s t i na t oa l l ’ As s oc i a z i oneOnl us“ Pi no St a gl i a nò”pe rl ac os t r uz i onediunc e nt r oc a r di ol ogi c one l l aDi oc e s ige me l l adiBut e mboBe ni( Re pubbl i c aDe moc r a t i c ade lCongo) .