LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA NEL CONTESTO

LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA
LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA
CAMPANIA NEL CONTESTO
DELL’ECONOMIA ILLEGALE:
LE DIFFICOLTÀ DEGLI
IMPRENDITORI
Alfonso Marino
Il fenomeno, la sua definizione
Nel 2008 il valore aggiunto prodotto nell’economia non direttamente osservata (Endo) è compreso tra un minimo del 15,3% del Pil (pari a circa
227 miliardi di euro) e un massimo del 16,9% (circa
250 miliardi di euro), stima dell’ Istituto Nazionale
di Statistica. In questa forbice si colloca il settore:
il primo in Italia. La tenuta dell’Endo e la sua crescita da alcuni decenni a questa parte risiedono
e prosperano in imprese e attività economiche di
varia natura appartenenti al circuito spesso difficile
da individuare di economia, illegale, sommersa e
informale. Il mezzogiorno, non solo, ma in primis il
Mezzogiorno è area di crescita dell’Endo. La comprensione del fenomeno è indispensabile, perché
è collegato ad alcuni obiettivi di politica economica
locale, nazionale ed europea che vengono definiti
dalle istituzioni governative, dall’accademia, dagli
operatori economici, importanti. In quest’ambito
è utile sottolineare come l’Endo nelle sue diverse
manifestazioni di economia sommersa, illegale e
informale ostacola la crescita economica, lo sviluppo di opportunità d’impresa, la diffusione della
democrazia.
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L’Endo (economia illegale, sommersa e informale) presenta robusti problemi di misurazione
statistica. Le attività illegali sono quelle proibite
dalla legge (ad esempio, la produzione di droghe),
o che possono essere legali considerate in sé ma
non quando siano condotte da soggetti non autorizzati (ad esempio, la pratica di una professione
senza autorizzazione). La produzione illegale è
quindi classificata in due categorie: (1.a) produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione
o possesso sono proibiti dalla legge; (1.b) attività
produttive legali realizzate da persone non autorizzate. Entrambi i tipi di produzione sono inclusi
all’interno della frontiera di produzione del sistema
contabile, a patto di essere veri e propri processi
produttivi che risultino in beni e servizi per i quali
esista un’effettiva domanda sul mercato. Nel raccomandare l’inclusione delle attività illegali all’interno
della frontiera di produzione, esiste una distinzione
chiara tra le transazioni per le quali esiste mutuo
consenso tra compratore e venditore (ad esempio
la vendita di droghe o di merce rubata, la prostituzione), che sono incluse, e le altre attività dove tale
accordo è (ad esempio, l’estorsione, il furto), escluso. Bisogna infatti prestare attenzione al fatto che
un’attività illegale può essere o produttiva o redistributiva; soltanto la prima ha un impatto sulla stima
del PIL, mentre la seconda non implica creazione
di valore aggiunto. L’economia sommersa indica
l’insieme della produzione legale di cui la pubblica
amministrazione non ha conoscenza per diverse
ragioni: (2.a) evasione fiscale (delle imposte sul
reddito, sul valore aggiunto o di altre tasse); (2.b)
evasione di contributi sociali; (2.c) non osservanza
di regole dettate dalla legge relativamente a: salario minimo, numero massimo di ore di lavoro, sicu-
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rezza sul lavoro; (2.d) mancato rispetto di norme
amministrative, come nel caso della mancata compilazione dei questionari statistici o di altri moduli
amministrativi. Le attività sommerse possono far
parte del sommerso economico, che comprende le
attività caratterizzate dalla deliberata volontà di non
rispettare le norme di legge al fine di ridurre i costi di produzione, oppure del sommerso statistico,
che comprende le attività non rilevate a causa delle
inefficienze del sistema statistico, nel censire le unità produttive non identificabili in specifici luoghi di
lavoro (ad esempio ambulanti, liberi professionisti,
consulenti). Il confine tra sommerso e produzione
illegale nella realtà economica è sfumato, anche se
la contabilità nazionale distingue tra i due concetti,
per quanto arbitraria possa essere tale distinzione.
Per chiarire questo punto, occorre aggiungere due
ulteriori osservazioni che definiscono illegale un’attività: illegalità in senso stretto si riferisce ad atti di
violazione della legge penale, illegalità in senso
lato si riferisce alle attività che infrangono la legge
attraverso la violazione di norme riguardanti tasse, contributi sociali, alcuni standard legali come il
salario minimo, il numero massimo di ore lavorate,
norme sanitarie e di sicurezza. Per definire il settore
informale, bisogna fare riferimento a unità istituzionali produttive caratterizzate da: (3.a) basso livello
di organizzazione; (3.b) poca o nessuna divisione
tra lavoro e capitale; (3.c) relazioni di lavoro basate
per lo più sull’occupazione occasionale, parentela
o relazioni personali in contrapposizione ai contratti formali. In questo settore, il proprietario è totalmente responsabile per tutti gli obblighi finanziari
e non finanziari contratti per l’attività produttiva in
questione. Le attività informali non vengono necessariamente svolte per evadere le tasse o i contributi
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sociali, mentre è questo il motivo sottostante l’economia sommersa e illegale.
Il ruolo delle Università è fondamentale per
lo sviluppo e l’approfondimento di questi temi, anche se i gruppi disciplinari e interdisciplinari che si
legano al tema dell’ Endo stentano ad identificarsi
tra gli atenei e il livello internazionale di attenzione sul tema dell’Endo in Italia – perché il fenomeno è forte nel mezzogiorno ma, avanza anche nel
resto del Paese – è alta in concomitanza di eventi
ma sopisce durante il tempo normale, tempo nel
quale il fenomeno continua ad esserci. Allo stesso modo è difficile trovare attenzione continua da
parte delle imprese colpite dal fenomeno. Questa
critica è anche accompagnata da comportamenti
e pratiche positive, infatti, le imprese, le università,
in quei luoghi dove l’Endo prospera, rappresentano
con la loro vitalità, la presenza di giovani studenti
che frequentano e vivono in quel territorio, i progetti di ricerca, le lezioni tenute nei corsi ufficiali da
imprenditori e nei seminari di confronto, occasione
di riflessione singola e collettiva, approfondimento
scientifico e culturale. Tutte queste attività tentano
di imporre una distanza tra le regole del vivere civile, della prospettiva democratica e la presenza
spesso opprimente di comportamenti illegali, informali e sommersi diffusi.
Le fonti teoriche dell’Endo
Data la particolarità dell’oggetto di misurazione, è palese la difficoltà di definire una metodologia unica per osservare il fenomeno. L’insieme
delle tecniche e degli approcci utilizzati è determi-
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nato, oltre che dal sistema di informazioni statistiche disponibili, anche dalle caratteristiche con le
quali il fenomeno si presenta. I diversi approcci,
che hanno dato luogo a differenti stime in Italia,
possono essere classificati in diverse categorie:
metodi diretti basati sulla raccolta di informazioni
statistiche e/o amministrative presso le imprese e
le famiglie, controlli fiscali e indagini speciali, sono
i principali strumenti utilizzati; metodi indiretti basati su modelli econometrici: all’interno di questa
categoria possiamo collocare l’approccio monetario che si propone, pur con diverse articolazioni,
di stimare l’ampiezza del fenomeno attraverso la
relazione che si ipotizza esistere tra quest’ultima
e le variazioni della velocità di circolazione della
moneta. L’idea sottostante a questo approccio è
che quella parte di transazioni sui beni e servizi nel
sistema economico che sfugge all’osservazione e
alla misurazione statistica possa essere quantificata grazie alle informazioni derivanti dalle statistiche
finaziarie; metodi indiretti che si basano sulla integrazione tra fonti, ossia sulla possibilità di misurare
lo stesso aggregato economico usando fonti informative che lo osservano da differenti punti di vista,
come quello della produzione e del consumo. Le
eventuali discrepanze tra le diverse stime possono
costituire il punto di partenza per misurare le attività
sommerse; metodi misti che utilizzano combinazioni dei precedenti metodi.
Studi recenti in materia di Endo hanno avuto
una notevole risonanza a livello internazionale. In
particolare, i risultati dei lavori effettuati da Schneider hanno costituito la base informativa principale
per il rapporto ufficiale della Commissione europea.
Si è di fronte, in questi casi, ad analisi che utilizza-
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no approcci e impostazioni teoriche molto diverse
tra loro i cui risultati, quindi, non sono facilmente
e direttamente comparabili. L’approccio usato che
si colloca nel filone dell’analisi delle discrepanze
(tra dati fiscali e dati statistici, tra dati di offerta e
domanda), cerca di quantificare quanta parte dell’
Endo sia compresa nei conti nazionali, assumendo
che le stime ufficiali riescano a cogliere questo fenomeno.
Alcune considerazioni sullo studio di Schneider.
Il lavoro di Schneider, si colloca pienamente
nell’ambito dei metodi indiretti ed utilizza in particolare un approccio basato sulla domanda di moneta
(currency demand approach), nell’ipotesi secondo
cui le transazioni dell’ Endo avvengono per cassa,
in modo da non lasciare “tracce” nel sistema bancario.
Il metodo della domanda di moneta va incontro a molteplici obiezioni (del resto già indicate
e discusse dallo stesso Schneider ma raramente
richiamate), fra le quali segnalo le seguenti:
non necessariamente tutte le transazioni
vengono effettuate per cassa; soprattutto nei paesi
dove sono meno efficienti e capillari i controlli di
natura fiscale, non è improbabile che i pagamenti
avvengano anche ricorrendo ad altri mezzi;
l’aumento della domanda di moneta può
essere dovuto ad una riduzione della domanda di
depositi o ad altre cause interne ai meccanismi di
funzionamento del mercato monetario e creditizio;
LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA
la velocità di circolazione della moneta può
essere non identica nell’economia ufficiale e nell’
Endo;
la stima del prodotto non rilevato a partire
dalla misurazione della domanda di denaro circolante dell’ Endo risulterebbe quindi non del tutto
significativa.
Stime specifiche sulla velocità di circolazione della moneta nelle due economie, regolare ed
Endo, andrebbero inoltre formulate per ciascuno
delle regioni italiane. Sul piano dei risultati, ricordiamo le conclusioni alle quali Schneider perviene:
il peso dell’Endo è in rapida crescita nell’ultimo
quarantennio.
L’Endo in Italia
L’ampia diffusione del fenomeno comprende
in Italia diversi settori e quindi specifiche modalità
di misurazione. Per ragioni di sintesi è utile elencare per punti nella tavola 1 sia i settori che gli strumenti utilizzati.
Tavola 1 Settori e strumenti utilizzati per misurare Endo
strumenti
Il prodotto tra quantità e prezzo
La spesa dichiarata e quella del settore
Voci dirette di costi e ricavi dei bilanci
Redditi distribuiti
Il prodotto di unità di lavoro e valori medi pro
- capite
settore
Agricolo, energetico, costruzioni
Locazioni, settori privati d’insegnamento,
ricerca, sanità, spettacolo, servizi ricreativi
Credito, assicurazioni, aziende pubbliche
Servizi non di mercato
Industria manifatturiera e servizi privati
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Alla specificità degli strumenti elencati nella
tavola precedente si affiancano le indagini campionarie relative alla spesa delle famiglie per specifici
servizi. (tavola 2)
Tavola 2 spese delle famiglie e settori per Endo
famiglie
Spese per pasti e consumazioni fuori casa
Spese per riparazioni autoveicoli
Spese per manutenzione delle abitazioni
Spese per le vacanze
Spese multiscopo
settore
Bar e ristoranti
OfÞcine di riparazione
Costruzioni e imprese edili
alberghiero
Collaboratori domestici
Risulta evidente che tutto questo sforzo di
controllo e misurazione è valutabile in termini di
stime perché le transazioni elencate (tavola 1 e 2)
sono difficile da verificare e quindi il fenomeno è
la sua copertura risente di questa impostazione.
Le difficoltà evidenziate possono essere corrette attraverso altri metodi, – stime dell’input1 - che
comunque copre in modo parziale il fenomeno.
L’Endo però rappresenta un modalità culturale e di
riferimento per molte imprese e al tempo stesso è
modalità lavorativa diffusa nella nostra penisola. In
particolare in Campania la stima del fenomeno è
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la stima dell’input, prevede i seguenti correttivi: armonizzazione temporale e territoriale delle fonti; correzione dei
principali errori nelle fonti dal lato dell’offerta di lavoro (ad esempio, riguardo alla classificazione per attività economica di coloro che si sono dichiarati occupati); armonizzazione concettuale
alle definizioni proprie della contabilità nazionale, in particolare
secondo il concetto di “occupazione interna” sottostante il PIL;
integrazione separata delle fonti dal lato dell’offerta e dal lato
della domanda di lavoro; confronto delle fonti e quantificazione
dei vari segmenti individuabili di occupazione, in termini di “posizioni lavorative”; trasformazione in “unità di lavoro” equivalenti
a tempo pieno.
LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA
pari ad 11,1 miliardi di euro, in Lombardia è di 10,9
miliardi di euro. Campania e Lombardia, collocate
al sud e al nord dell’Italia sono al primo e secondo
posto della classifica riguardante il fenomeno dell’Endo.
L’Endo nella regione Campania: metodologia
Il fenomeno che osserviamo nella regione
Campania, ma è verificabile in molte altre aree del
meridione d’Italia è riferito all’economia illegale. Il
motivo di questa scelta è dettato dalla difficoltà di
raccogliere e verificare le fonti delle attività illegali,
come affermato nei precedenti paragrafi. Alla scarsa disponibilità dei dati si è deciso di affiancare
l’osservazione diretta. Osservazione diretta che si è
concretizzata con un questionario alle imprese artigiane, dedicato all’economia illegale. Le imprese
artigiane rappresentano nella regione Campania
un patrimonio di esperienza e cultura del lavoro in
forte crisi e al tempo stesso evidenziano difficoltà di accesso al credito e dunque la necessità di
recuperare liquidità dall’attività produttiva e lavorativa senza ampliare i contatti e le relazioni con forme di economia diffuse sul territorio e classificate
come Endo. Dal punto di vista della composizione
geografica, il campione è significativo della distribuzione percentuale effettiva delle imprese tra le
province della regione Campania. Sono state effettuate per ogni provincia 80 interviste con visita nelle
imprese artigiane per un totale di 400 imprenditori
– artigiani intervistati e altrettante imprese visitate.
I settori produttivi analizzati sono elencati di
seguito:
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attività manifatturiera;
edilizia;
commercio al dettaglio;
alberghi e ristoranti;
servizi alle imprese.
Il questionario si compone di tre pagine con
una anagrafica di riferimento molto leggera e sezioni che attengono alla percezione da parte dell’intervistato del:
grado di diffusione dell’economia illegale nel
settore dell’intervistato;
grado di diffusione dell’economia illegale
nella provincia dell’intervistato;
grado di diffusione dell’imposizione di manodopera;
grado di diffusione dell’imposizione di fornitura.
Risultati
Una sintesi dei risultati viene presentata nel
presente paragrafo. Il primo set di domande attiene
alla presenza di economia illegale nel settore degli
imprenditori intervistati. Le domande sono riferite
sia alla percezione del fenomeno che ad esperienze personali vissute dall’imprenditore intervistato.
La prima considerazione, figura 1, attiene all’elevato numero di artigiani che dichiara la presenza di
economia illegale nel proprio settore di riferimento.
LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA
Il valore 79% è riferito al totale dei 400 intervistati2.
L’età media degli intervistati e di 52 anni, il sesso è
maschile (95%), il titolo di studio è: 32% diploma di
istituto tecnico, 18% diploma di istituto alberghiero,
45% licenza media, 5% laurea. La media di appartenenza al settore degli intervistati è di 15 anni.
Nella figura 2, sintesi del set di domande relativo al
grado di diffusione dell’economia illegale nel settore dell’intervistato, il dato generale viene scomposto per settore di appartenenza cosi come indicato
nel paragrafo 5. Il riferimento alla presenza elevata
di economia illegale è forte in tutti i settori ed è pari
per il totale del campione al 24,3%. Questo dato è
preoccupante se sommiamo anche la modalità “diffusa”, dunque percepibile, palpabile, forse, “con la
quale si convive”. La somma è pari al 78,9%. L’elevata presenza di economia illegale è riferita al settore del commercio e manifatturiero, al settore della
ristorazione, dei servizi alle imprese e settore edile.
La modalità “diffuso” vede al primo posto il settore
edile, seguito dai servizi alle imprese e poi dai re2
Il totale delle imprese artigiane censite, in Campania
sono comprese nell’intervallo tra 50 e 60 mila. Quelle scelte per
l’indagine diretta sono nei settori con maggiore presenza di imprese.
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stanti settori considerati. Se sommiamo le due modalità, “elevata” e “diffusa” il fenomeno analizzato
vede al primo posto il settore dell’edilizia con il 79,3
seguito dal settore dei servizi alle imprese.
Il dato è stato disaggregato per provincia di
appartenenza come evidenziato nel paragrafo 5.
La percezione della presenza di economia illegale
nell’area nella quale operano gli intervistati è presentata – sempre in modo sintetico - nella figura
3. La presenza di economia illegale nelle diverse
province presenta forti elementi di diversità. Le due
province nelle quali viene valutata sicura l’attività
nella quale operano gli intervistati sono quelle di
Avellino e provincia con il 31,1% e Benevento e
provincia con il 39,2%. Siamo al di sotto del 40%
ma distanti da Caserta e provincia che presenta
la percentuale del 9,5 degli intervistati che dichiara di svolgere la propria attività in modo sicuro. Il
campione evidenzia che esistono due blocchi: gli
imprenditori di Caserta e Napoli con le rispettive
province affermare che la presenza di economia
illegale determina “elevato rischio” e “forte rischio”
per le proprie attività. All’opposto gli imprenditori
di Benevento e Avellino con le relative province di-
LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA
chiarano una minore propensione alla presenza di
economia illegale nella propria area di attività. La
minore propensione è comunque riferita al 17,4 di
Avellino e provincia e al 11,5 di Benevento e provincia, dunque un fenomeno robusto, preoccupante ma minore se consideriamo il blocco Caserta e
Napoli con il 41,3 e 37,3. Salerno presenta andamento diverso. Il fenomeno dell’economia illegale
viene giudicato diffuso dagli intervistati con una
presenza minima di “elevato rischio” ed una altrettanto sicurezza percepita dagli imprenditori intervistati. La maggioranza degli intervistati si colloca
nella modalità “forte rischio”. Il fenomeno dunque,
in questa provincia e nel suo capoluogo, non è ancora radicato ma in via di diffusione e quindi con
una elevata possibilità di radicarsi in quel territorio
che non è ancora abituato alla presenza di economia illegale diffusa.
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Nella figura 4 che segue, presentiamo la percentuale di risposte relative alla ”diffusione dell’imposizione di manodopera” come uno dei fenomeni appartenenti all’economia illegale presente nei diversi
territori e all’interno della regione. Caserta e provincia e Napoli e provincia presentano i valori più
elevati con il 26,9% e il 32,1%. Al terzo posto c’è
Salerno e provincia con il 21,8%. Questo dato conferma quello evidenziato e commentato nella figura 3. Benevento e provincia e Avellino e provincia
si attestano con percentuali diverse e confermano
la maggiore criticità all’interno della regione campania per l’asse geografico ed economico, Napoli
– Caserta. E’ interessante segnalare che una percentuale elevata degli imprenditori intervistati inizia
ad organizzare la propria vita familiare lontano dal
luogo nel quale conduce l’attività economica, dunque 120 degli imprenditori intervistati nell’area di
Napoli e provincia e Caserta e provincia cambia
abitazione e residenza, addensandosi nella provincia di Benevento ed Avellino. I settori nei quali l’imposizione di manodopera è robusta appartiene per
le qualifiche basse “manovale” e medie, all’edilizia,
ma anche al settore dei servizi alle imprese.
LE IMPRESE ARTIGIANE DELLA CAMPANIA
Questa considerazione non si attenua se analizziamo la figura 5. La percentuale di “diffusione dell’imposizione di forniture” è molto diffusa nell’area di
Napoli e provincia e Caserta e provincia con Salerno e provincia in posizione intermedia in relazione
all’osservazione del fenomeno per Benevento e provincia e Avellino e provincia. Gli intervistati dell’area
Napoli – Caserta evidenziano valori più alti sia nel
caso dell’imposizione della manodopera che delle
forniture con Salerno e provincia in posizione intermedia, come spiegato in precedenza, mentre, Benevento, Avellino e relative province rappresentano
una diversità all’interno della regione.
Considerazioni finali
Il primo elemento di riflessione è teorico ed
attiene alle difficoltà di valutazione del fenomeno
e alla disomogeneità con la quale viene misurato.
Queste difficoltà attengono sia alle contingenze
con le quali si manifesta nelle diverse regioni del
nostro Paese l’Endo che, dalla stratificazione nel
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tempo di comportamenti e culture che convivono
con esso senza percepire il distinguo, la differenza, tra economia illegale, sommersa e informale
e attività produttiva e lavorativa dichiarata, legale.
Il secondo elemento emerge dall’analisi diretta. Il
fenomeno osservato è presente in modo robusto
nella regione campania e al tempo stesso è evidenziato dal campione degli imprenditori artigiani
intervistati. Fenomeno quello dell’economia illegale
che si amplifica nell’attuale crisi economica. La crisi economica in presenza di una robusta economia
illegale, modifica l’idea d’impresa artigiana sia in
relazione alla produzione di beni e servizi che di
cultura del lavoro e della professione. Il dato del
titolo di studio del campione non deve essere valutato solo in modo negativo per la scarsa presenza
di imprenditori laureati, ma anche in positivo, vista
la duratura presenza nel settore di appartenenza,
dunque il saper fare il proprio mestiere, conoscere il settore, essere conosciuti dal mercato e dalla
clientela. Elementi importanti che il perdurare della
crisi e della diffusa presenza di economia illegale possono destrutturare, far venire meno, modificando, cambiando anche la dimensione culturale
e professionale degli imprenditori. Imprenditori che
sono in massima parte maschi e con una età media
che se conferma la conoscenza del settore evidenzia anche lo scarso ricambio generazionale e di
genere, dunque una perdita di interesse da parte
delle giovani generazione nel seguire l’impresa di
famiglia, una sorta di difficoltà nel passaggio generazionale, di seconda generazione che deve essere
verificato e dovrebbe prevedere interventi robusti
per non disperdere un patrimonio di conoscenze
utile alla nostra regione. Interventi che oltre ad es-
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sere di natura sanzionatoria e repressiva in termini
giuridici – controllo e sanzione forte e continuativa nei confronti dell’economia illegale, dovrebbero
anche cogliere le differenze e creare opportunità,
in termini sociali e politici nelle diverse aree della
regione e nei diversi settori di appartenenza degli
imprenditori. Il fenomeno dell’economia illegale è
presente in modo difforme tra le singole province
della regione Campania. Napoli e provincia (NaPv)
e Caserta e provincia (CePv), dove il fenomeno è
più robusto, insediato e diffuso con una serie di relazioni consolidate. Benevento e provincia (BePv) e
Avellino e provincia (AvPv) dove pur in presenza di
una economia illegale percepita e vissuta dagli intervistati, il fenomeno è meno consolidato, stringente. In evoluzione Salerno e provincia (SaPv) dove la
crescita del fenomeno è evidente e dunque questa
parte della regione, potrebbe fare proprie quelle di
Napoli e Caserta dove il fenomeno è diffuso e consolidato. Le imprese artigiane rappresentano nella
regione Campania un patrimonio di esperienza e
cultura del lavoro in forte crisi e al tempo stesso
evidenziano difficoltà economiche, finanziari e culturali che non devono portare al contatto e alla relazione con forme di economia diffuse sul territorio e
classificate come economia illegale.
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