È l`animale che Un po` di storia antica Molti nomi per un solo animale

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BESTIARIO ALPINO
Fantazoologia
SALVIAMO IL DAHU
prima che sia
troppo tardi!
Rappresentazione
notturna di dahu
secondo l’artista
Jean-Claude Schweizer,
La Chaux-de-Fonds.
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È l’animale che si è meglio adattato alla
marcia a mezza costa in montagna. Le gambe a valle più lunghe di quelle a monte gli
consentono un’eccezionale stabilità sui
pendii ripidi. È molto conosciuto nell’area
francofona europea, dalle Alpi ai Pirenei.
Ogni inventore ha creato il suo dahu: per
questo l’animale ha assunto forme tanto diverse nel tempo.
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L’UOMO MODERNO È ABITUATO alla scomparsa di piante e
animali. L’espansione dell’asfalto e del cemento relegano la vita selvaggia sempre più lontano. Se alcuni
opportunisti come il topo grigio, il ratto surmulotto,
la faina o la volpe hanno abilmente approfittato delle nuove condizioni createsi nei biotopi urbani, altri,
al contrario, sono stati cacciati fin sulle cime più alte
(il camoscio e lo stambecco). Un’ulteriore categoria
di animali, i grandi predatori come l’orso, il lupo e
la lince, hanno subito incessanti persecuzioni fino a
rischiare la sparizione nell’Europa occidentale.
Per il dahu (Dahutus montanus), più conosciuto per la caccia subita che per gli esemplari conservati nei musei di storia naturale, le cose sono state
ancora più complicate, legate perlopiù alle mutazioni delle nostre abitudini culturali. Questo mitico animale, celebre per il suo adattamento alla marcia sui
fianchi delle montagne, si caratterizza per l’asimmetria del corpo. Un fenomeno più diffuso di quanto ci si immagini: il canguro e la lepre sono due altri esempi.
Il dahu appartiene al nostro patrimonio faunistico e mentale. Una mappa della sua diffusione
realizzata di recente (Jacquat, 1995) sulla base dei
dati paleontologici, storici, linguistici e folclorici, ci
permette di constatare che il dahu è molto conosciuto nell’area francofona europea, dal Belgio ai Pirenei, passando per il Lussemburgo, il
Giura e le Alpi. Curiosamente la montagna
non è il suo unico habitat, perché lo si incontra anche sulle rive della Loira.
L’ AUTORE
MARCEL S. JACQUAT
Biologo e conservatore
del Museo di Storia naturale
di La Chaux-de-Fonds,
nel Giura svizzero. Cultore
di storia delle scienze,
è riconosciuto come
Un po’ di storia antica
uno dei massimi specialisti
del dahu, la specie in via
di estinzione a cui ha dedicato
Si può individuare un lontano antenato del
una monografia nel 1995.
dahu nel Dahutherium agilis del medio Triassico, individuato nella regione di Aubenas
(Ardèche) e descritto nel 1970 dal Montenat?
Niente di impossibile, anche se è difficile stabilire
una filogenesi scientificamente difendibile del Dahutus montanus.
Numerose testimonianze confortano l’ipotesi
di un’esistenza assai remota del dahu. Le pitture
rupestri di Julma-Ölkky, in Finlandia, ci mostrano
un cacciatore di sesso maschile che insegue un
mammifero dalle zampe asimmetriche.
Altre testimonianze accreditano la storia, finché, nel XIV secolo, un manoscritto di Johannes di
Sacromonto (pubblicato da Menty, Jeanpace e Desmeyeurs nel 1865 e citato da Alibert nel 1995) non
riporta queste parole: «Li dahuts est une très ferine
beste que nus hom ne puet veoir car de loingt cognoit les gens qui viennent se ils sont veneor ou
non, et lors d’eschampe isnelement. Et il vit es
haultimes montaignes, neporquant a li 2 jambes
aval plus halz que li amont. Et tozjors va paissant
par montagnes et glassiers...». Segue un testo del
1583 di cui è ancora più difficile comprendere il significato esatto (Pierre de l’Estoile, Journal d’un
Bourgeois de Paris sous Henri III): «Perché sembrerebbe… che si stessero incamminando a prendere il
Daru». Poi più nulla fin verso il 1840: una testimonianza riportata dal linguista Horning nel 1920, fa
cenno alla caccia al «daru» in alta Saona.
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Molti nomi per un solo animale
Se il nome dahu sembra il più diffuso ai nostri giorni, si incontrano anche il «dahut», il «daru» e il
«darou» (Francia-Contea, regione di Ginevra), il
«dairi» (Giura svizzero), il «dari», eccetera.
Frédéric Mistral individua nel «darut» o
«daru» provenzale il sinonimo di una persona stupida, che non è certo il caso del nostro animale.
Anzi, al contrario…
Questo mammifero passa per l’animale che si
è meglio adattato alla marcia in montagna. L’asim-
metria laterale delle membra ha permesso di distinguerne due tipi principali, definiti rispettivamente
dahutus montanus levogyrus (le zampe più lunghe
sul lato destro gli permettono facili spostamenti in
senso antiorario) e dahutus montanus dextrogyrus
(le zampe più lunghe sul lato sinistro lo rendono
particolarmente abile sui pendii che girano verso
destra). Si presenta un problema quando il dahu si
trova in regioni vulcaniche. Non è raro, infatti, che
la bestia si addentri all’interno di un cratere spento,
e questo provoca evidentemente un’inversione del
suo senso di marcia…
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Dahutus montanus
calcifondensis
(DISEGNO DI CH. BROUTIN).
Scultura in acciaio
dell’artista Gianni Bersezio
(COLLEZIONE GRIVEL, COURMAYEUR).
La riproduzione del dahu
Avviene soprattutto per trasmissione orale. Si nota
una certa tendenza alla moltiplicazione dell’animale
in presenza di gruppi sportivi, compagnie di esploratori, eccetera. Ma tutto ciò non garantisce la sopravvivenza della specie, in pericolo di estinzione
per i cambiamenti dei nostri comportamenti culturali e per il miglioramento delle informazioni sugli
animali selvatici. Quanto alla riproduzione per via
sessuale, ci si può facilmente immaginare le difficoltà di un incontro tra un dahu maschio e una
femmina.
Si sa che per gli animali gli odori sono fondamentali. La percezione olfattiva è dozzine di volte
superiore a quella umana e questo permette loro di
fiutare da grande distanza un esemplare della stessa specie. Nella stagione degli amori, in inverno, un
dahu maschio che avverta l’odore di una femmina è
capace di percorrere dozzine di chilometri per incontrarla. Quando finalmente si trovano l’uno di
fronte all’altra, è logico pensare che le zampe più
corte dei due animali poggino sullo stesso fianco
della montagna… ma si tratta di accoppiarsi, e ciò
comporta dei problemi difficilmente sormontabili,
con notevoli probabilità di un capitombolo per il
maschio che tenti di aggirare la sua femmina.
Tuttavia in particolari circostanze l’accoppiamento è riuscito, e allora la femmina ha partorito
tre piccoli dahu con il pelo ingannevolmente simile
a quello dei caprioli. Se non fosse stato per la forma
della testa e per le zampe, si sarebbe potuto facilmente confondere le due specie.
L’alimentazione
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Varia a seconda delle disponibilità stagionali. Appartenente all’ordine dei mustelocanidi, un gruppo
che gli zoologi hanno inserito tra la faina e la volpe,
il dahu è un opportunista, in grado di procurarsi da
mangiare ovunque e in ogni periodo dell’anno. Se
d’inverno gli bastano i muschi e i licheni, d’estate è
capace di procurarsi le erbe più delicate, i piccoli
frutti, le lumache, gli insetti, i ragni. Va in cerca del
cibo durante la notte. A suo volta, però, il dahu
rientra nella catena alimentare perché è inserito nei
raffinati menu dei gran duchi d’Europa, dell’aquila
reale e, più raramente, del nibbio reale.
La caccia
Tra le popolazioni di montagna la caccia al dahu è
tra le attività folcloristiche più apprezzate, ma per
garantirne la riuscita vanno rispettate alcune condizioni. Si sceglierà di preferenza una sera di dicembre o di gennaio, quando fa un freddo da spaccare
le pietre, perché il dahu è costretto a muoversi per
non soccombere al gelo. Le condizioni possono variare secondo le regioni e secondo le tradizioni, ma
alcuni elementi comuni sono: una notte senza luna;
un luogo lontano dalla civiltà; un manto nevoso sufficiente per individuare le tracce dell’animale; la
presenza di uno specialista dautologo (sono rari e
molto richiesti); un sacco di iuta inumidita per catturare la bestia; un pugno di sale in fondo al sacco;
un randello per accoppare la preda senza rovinarne
la pelle; un richiamo (fischietto o altro); una grande
sensibilità con le mani (niente guanti…); una grande pazienza; una gioiosa squadra di battitori accanto al cacciatore sul luogo idoneo.
Le tecniche divergono tra loro. Certe scuole
consigliano di aspettare che il dahu esca dalla tana
per non morire congelato. Il cacciatore deve stare all’erta in un punto strategico con il sacco ben aperto,
mentre i battitori, facendo il massimo rumore, gli indirizzano la bestia direttamente dentro al sacco.
Un’altra scuola prevede che si attiri il dahu
con uno strumento musicale. Quando l’animale è vicino, bisogna provocare un rumore violento che gli
generi una tale paura da fargli perdere l’equilibrio
(data anche la sua natura instabile). È il momento
giusto per metterlo nel sacco.
La rarità dell’animale consiglia di trattare la
preda con il massimo rispetto: la pelle non dev’essere assolutamente danneggiata. Il pelo del dahu è
molto ricercato per la produzione di speciali pen-
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nelli e la sua carne delicata è riservata ai più raffinati intenditori. I musei di storia naturale sono
sempre pronti ad acquistarne le spoglie a peso d’oro, ma la caccia al dahu finisce più spesso in un
lauto pasto che priva la scienza di questa specie
sempre più preziosa. Le autorità non ne hanno ancora compreso l’importanza e finora non sono state
adottatele le giuste misure di protezione.
D’altra parte chi caccia il dahu dimostra di interessarsi all’animale e al mondo selvaggio. Si può
individuare in questa tradizione relativamente recente (come si è visto, il dahu compare nella lingua
moderna soltanto nella prima metà dell’Ottocento)
una sorta di rito di integrazione sociale, ma anche la
ripresa del vecchio gioco con la natura che l’uomo
pratica da sempre. I naturalisti, i pittori e gli scultori
del Medioevo hanno creato un’infinità di animali di
natura misteriosa: si pensi ai bestiari, ai capitelli
delle cattedrali, alle tele di Jérôme Bosch… Creare è
soddisfare un sogno, permettersi una fantasia, fare
un gioco per il gioco, tutte cose che l’attuale modo di
vivere urbano non autorizza quasi più.
In fondo ogni inventore (e ogni cacciatore)
crea il suo dahu, ed ecco la ragione per cui l’animale ha assunto forme tanto diverse nel tempo.
BIBLIOGRAFIA
• ALIBERT E., TEUBNER F., On a retrouvé le Dahut,
in «Alpirando», n. 184, febbraio 1995.
• CHARTOIS J., Hunting the dahut: a french folk custom,
in «Journal of American Folklore», n. 227, gennaio-marzo
1945.
• FERRARA J., Le code génétique du Dahu, in «Science et Vie»,
n. 703, aprile 1976.
• HORNING A., «Daru», in Romania, tome XLVI, Librairie
ancienne Honoré Champion, Parigi, 1920.
• JACQUAT M. S., Le Dahu. Monographie ethno-éthobiologique, La Chaux-de-Fonds, 1995.
• MONTENAT C., Empreintes de pas de reptiles dans le Trias
moyen du plateau du Daüs près d’Aubenas (Ardèche),
in «Bulletin scientifique de Bourgogne», XXV, 1967-1968.
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