A02 53 Abraham Seiden Fisica delle particelle Un compendio introduttivo a cura di Carlo Del Papa Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2483-6 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: aprile 2009 Prefazione del curatore La traduzione in italiano di un libro di fisica non comporta grandi difficoltà: il lessico è ristretto e non occorre sempre un’accorta scelta di parole per rendere una sfumatura di significato, come avverrebbe per la traduzione di un romanzo. Tuttavia, anche la traduzione di un testo scientifico ha qualche difficoltà: per esempio, ci sono sostantivi nuovi di cui occorre trovare una traduzione. Alternativamente si può decidere di adottare la parola inglese. L’uso poco frequente di parole note richiede una certa attenzione nel trovare l’equivalente italiano. Ecco un elenco di come ho scelto di tradurre o di non tradurre alcune parole. Angular Momentum. L’ho sempre tradotta nel più lungo, ma più esatto (in italiano) “momento della quantità di moto”. Best fit. Miglior adattamento, adattamento. Cabibbo-suppresed. Cabibbo-ridotto e parole simili. Dominance. Predominio o predominanza. Gauge. Una traduzione letterale risulterebbe fuorviante. Del resto, l’uso della parola “gauge” e di come sia finita nel lessico della fisica attuale costituisce una lunga ed interessante storia che si può trovare in: L. O’Raifeartaigh, The Dawning of gauge Theory, Princeton Series in Physics. Grand Unified Theory. Teorie di Grande Unificazione (come in L. Maiani, Idee per divenire Fisico, Zanichelli, Gennaio 2008) Jet. Si trova sul dizionario, ma solo, per la verità, nel senso di aereo a reazione. L’estensione al nostro caso sembra naturale, anche per l’assonanza con “getto”: un fiotto di particelle appunto. Kaon. L’ho tradotto Kaone, forse sarebbe stato più logico scrivere Caone, giacché la lettera cappa non è usata in italiano. Tuttavia il nome abbreviato della particella è notoriamente K, nome difficilmente giustificabile per una particella chiamata Caone. Leading particle. Particella guida. Momentum. Ho evitato, senza riuscirci sempre, la traduzione in “momento” o “impulso”, preferendo invece il termine “quantità di moto”. Ho, tuttavia, usato il termine impulso o momento in associazione con spazio (spazio degli impulsi) o con i prefissi “quadri” o “tetra” (quadrimpulso o quadrimomento). Partner. La parola si trova ormai sul vocabolario italiano. 5 6 Prefazione del curatore Plot. Tracciare, tracciato, grafico e diagramma. Quark. Come sopra (Garzanti). Ho lasciato i nomi dei quark come sono in inglese: up, down, charm, top e bottom. Mi pare che i nomi propri dei quark non vadano tradotti, come non sono tradotti i nomi propri delle persone: ho tradotto solo “strange” in “strano”, perché esso è stato sempre tradotto (vedi per esempio: E. Segrè, Nuclei e Particelle, Zanichelli). In particolare, ho rinunziato all’uso della parola “incanto” per il charm: ho pure rinunziato alla traduzione di top e bottom in alto e basso, rispettivamente. Raising e lowering operator. La traduzione che sembra universalmente accettata è quella di operatore di salita e di discesa. Per ragioni puramente estetiche mi sembra una brutta traduzione, avrei preferito “operatore di incremento e di decremento”, parola usata comunemente in informatica. Ho finito per usare entrambi i termini come equivalenti. Rate. La parola rateo è usata in economia, nel linguaggio dei piloti d’aereo (più o meno equivalente a velocità verticale: rateo di salita e di discesa) e nell’ambito della dosimetria e medicina nucleare. Altre possibili parole sono: tasso di decadimento, di reazione e velocità di decadimento. La velocità di reazione è un termine usatissimo in chimica. Ho scelto, alla fine, la parola tasso per assonanza col tasso d’interesse, usato in economia, anche esso indicante un rapporto col tempo. Running coupling constant. Qui c’è la difficoltà di tradurre “running”, che non mi sembra ragionevole lasciare in inglese. L’ho tradotto con “corrente”. Scaling. Invarianza di scala. Simmetry breaking. Il termine che ho usato spesso è “violazione della simmetria”, ma credo che tutti usino ormai “rottura”. Spin. Si trova sul dizionario nel senso dato in fisica (Garzanti). Test. Parola usata comunemente in italiano. L’ho talvolta tradotta con “verifica” o “verificare”. Vorrei ringraziare i dott. Marina Cobal e Mario Paolo Giordani per l’aiuto nella revisione e la Prof. M. Picarelli per aver riletto alcune parti e per i suoi consigli con l’italiano. Vorrei anche ringraziare la dott. Giorgia Del Bianco per l’eccellente lavoro di composizione tipografica. Udine, 15 Novembre 2008 Carlo del Papa Prefazione Questo testo tratta i concetti fondamentali e le teorie che costituiscono il Modello Standard delle interazioni tra particelle. Lo sforzo per sviluppare questo modello, proseguendo nella tradizione di guardare dentro l’atomo ed il nucleo per vedere come questi sistemi sono costituiti e capire i principi che governano il loro comportamento, ci ha condotti ad una comprensione sempre più profonda della materia. Il Modello Standard descrive queste interazioni usando un certo numero di costituenti fondamentali, tre famiglie di quark e leptoni ed i quanti dei campi di gauge attraverso i quali essi interagiscono. Questi costituenti sono stati scoperti attraverso lo studio di oggetti naturali e di interazioni sotto condizioni controllate presso parecchie generazioni d’acceleratori. Il Modello Standard ci ha fornito la base quantitativa per capire la grande massa di dati accumulati con acceleratori di particelle con energia e luminosità sempre crescenti. In questo testo i vari tipi d’interazione sono presentati in sequenza, il che ci consente di esaminare ciascuna parte del Modello Standard in un certo dettaglio. I vari concetti sono sempre introdotti insieme con molti dettagli fenomenologici spiegati da questo concetto; abbiamo dato rilievo anche ai principi generali, come, per esempio, quelli che derivano dalla meccanica quantistica. La fisica delle particelle, a livello di questo testo, è solitamente insegnata al secondo anno del corso di dottorato, dopo la meccanica quantistica e spesso durante lo stesso anno in cui si insegna un corso di teoria dei campi. Poiché la sequenza e il numero di corsi seguiti dallo studente varia da istituzione a istituzione, ho cercato di rendere il materiale presentato nel testo autosufficiente. Cosı̀ ho presentato l’equazione di Dirac ed anche un po’ di teoria dei campi. Con questo non si è inteso sostituire un corso che tratti questi argomenti estesamente. Ho tuttavia assunto che lo studente abbia una certa conoscenza della meccanica quantistica, in particolare del momento della quantità di moto e argomenti correlati come, per esempio, i coefficienti di Clebsch-Gordan. Nel caso della teoria dei campi, ho cercato di mostrare ciò che la matematica “fa” piuttosto che tentare una derivazione rigorosa del materiale. Il soggetto è presentato usando la teoria a molte particelle, piuttosto che l’equazione a particella singola, come spesso viene fatto e spero che questo contribuirà ad un giudizio positivo sul contenuto del libro. Questa maniera di affrontare il soggetto consente una trattazione uniforme dei fermioni e dei bosoni, cosı̀ come delle particelle 7 8 Prefazione e delle antiparticelle. Dopo il materiale introduttivo, che è contenuto nei primi tre capitoli, viene presentata l’intera fenomenologia della fisica delle particelle, basata sui costituenti fondamentali. Questo include lo spettro degli stati delle interazioni forti, la fenomenologia dei decadimenti e del mescolamento dovuti alle varie interazioni e il comportamento delle sezioni d’urto di diffusione. Uno dei miei scopi principali è stato quello di elaborare un gran numero di calcoli, a beneficio particolarmente degli sperimentali, che potrebbero non avere l’opportunità di vedere questi calcoli in alcun altro corso. Un certo numero di problemi accompagnano ciascun capitolo, cosı̀ da consentire allo studente di dimostrare la propria comprensione del materiale e, in qualche caso, di estenderla. Nel presentare la fisica delle particelle possiamo scrivere un certo numero di equazioni e tentare di dedurne le conseguenze o lavorare a partire dai fenomeni verso una sintesi teorica. Il materiale in questo testo viene presentato principalmente usando il secondo modo. Ciò dà allo studente l’opportunità di elaborare gli elementi della teoria più lentamente e comprendere i fatti che hanno condotto a stabilire le varie parti del Modello Standard. Inoltre, le parti non perturbative delle interazioni forti sono per lo più non calcolabili rigorosamente, ciò ci impone di sviluppare una comprensione separata di questi fenomeni, che ne mostri le loro regolarità. Ho usato gli adroni più leggeri per questo scopo. Lo spettro di questi stati e i loro decadimenti illustrano un certo numero di fenomeni interessanti. Il testo copre i decadimenti forti (cap. 5), elettromagnetici (cap. 6) e deboli (cap. 8) di queste particelle con un certo numero di dettagli. Il testo dà sufficiente materiale per un corso di un anno. Può essere però usato anche per un corso di un semestre su argomenti specifici, come, per esempio, sulle interazioni deboli. La quantità di materiale dei primi tre capitoli che viene insegnata può essere regolata a seconda di quali altri corsi sono insegnati in una data istituzione. Argomenti esaminati in dettaglio, come il modello a quark e i decadimenti deboli, possono essere trattati più brevemente, con qualche lettura aggiuntiva lasciata agli studenti. Un argomento non trattato è la connessione tra fisica delle particelle, astrofisica e cosmologia. Questo è un punto interessantissimo e mi aspetto che in qualche istituzione questa connessione sia insegnata in uno specifico corso semestrale dopo il corso di fisica delle particelle. L’enfasi in questo libro è sulla didattica. Non ho tentato di presentare gli argomenti nella loro sequenza storica. Alcuni argomenti importanti, come le tecniche di rivelazione e di accelerazione di particelle, non sono stati affrontati per mancanza di spazio. Parecchi libri trattano questi argomenti; alcuni di essi sono citatati nella bibliografia e costituiscono interessante materiale di lettura aggiuntiva. Questo testo non contiene riferimenti alla letteratura scientifica originale; però molti riferimenti utili sono contenuti nella bibliografia. La bibliografia è stata scelta con criteri pedagogici e non bisogna vedere nella selezione di questa un implicito credito per le scoperte originali. Prefazione 9 Il testo dovrebbe consentire all’istruttore la possibilità di qualche aggiunta interessante. Per esempio, per quanto gli esperimenti scientifici non siano discussi, l’istruttore può includere materiale rilevante agli esperimenti della sua istituzione. Una discussione delle tecniche di rivelazione rilevanti a questi esperimenti può poi essere aggiunta. I calcoli del cap. 11 possono formare una base per questa discussione. Queste aggiunte possono aiutare lo studente a fare la transizione alla ricerca che viene portata avanti nella sua istituzione. Inoltre l’insegnante può aggiungere materiale grafico a discussioni che sono prevalentemente algebriche o descrittive. Esempi includono diagrammi di Feynman e vari triangoli unitari per il mescolamento dei quark. Il materiale presentato in questo libro illustra il magnifico quadro che abbiamo acquisito, all’inizio del 21◦ secolo, della fisica delle particelle. Parti ancora mancanti in questo quadro saranno scoperte nella prossima decade. L’ultimo capitolo presenta alcune idee su dove la natura ci potrebbe condurre. La discussione è tenuta breve, giacché non è chiaro quali idee risulteranno essere idee chiavi nel futuro. Lo studente può aspettarsi di imparare di più su questi argomenti nei prossimi anni. RINGRAZIAMENTI Essere parte di una comunità scientifica cosı̀ attiva è uno speciale privilegio. L’educazione che riceviamo ci fornisce il linguaggio comune di cui abbiamo bisogno per apprezzare e goderci il progresso scientifico che viene prodotto dai tanti praticanti del settore. Come attività veramente internazionale, la fisica delle particelle ha anche il vantaggio aggiuntivo che vi si può partecipare assieme ad una varietà di persone interessanti provenienti da tante nazioni. Dunque il modo in cui si sceglie di affrontare i problemi riflette le molte fertili interazioni con altri membri della stessa comunità. Lo scrivere un libro di testo offre la possibilità di condividere le idee e il linguaggio del proprio campo con una nuova generazione di studiosi. L’autore desidera ringraziare Nicolò Cartiglia per la sua lettura critica di molti capitoli. Il lavoro sul word processor di Nora Rogers, Rachel Cunningham ed Emily Williams, lavoro durato diversi anni, ha reso possibile produrre questo testo. L’autore desidera anche ringraziare il personale alla Addison-Wesley per il suo aiuto. A. Seiden Santa Cruz, California, 2004 Indice Prefazione del curatore 5 Prefazione 7 1 2 Il programma della fisica delle particelle 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Cosa misuriamo? . . . . . . . . . . . 1.3 Costituenti fondamentali e interazioni Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Come si calcolano le ampiezze 2.1 Particelle libere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Particelle a spin zero . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Densità di lagrangiana . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Le simmetrie e la lagrangiana . . . . . . . . . . . . . 2.5 Particelle a spin 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 I fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7 Particelle a spin 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1 L’equazione di Dirac . . . . . . . . . . . . . 2.7.2 La lagrangiana e le simmetrie delle particelle a spin 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.3 Soluzioni d’onda piana esplicite . . . . . . . 2.7.4 Covarianti bilineari . . . . . . . . . . . . . . 2.8 Interpretazione delle soluzioni addizionali . . . . . . 2.9 Evoluzione temporale degli stati . . . . . . . . . . . 2.10 Evoluzione temporale e scambio di particelle . . . . 2.11 Il propagatore nello spazio degli impulsi . . . . . . . 2.12 Calcolo dei tassi di decadimento e delle sezioni d’urto 2.12.1 Tassi di decadimento . . . . . . . . . . . . . 2.12.2 Sezioni d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 19 19 22 27 36 39 39 41 43 46 49 51 54 56 58 61 64 66 68 75 83 86 86 89 12 Indice 2.13 Scambio di particelle e potenziale di Yukawa 2.14 Teoria quantistica dei campi . . . . . . . . . 2.14.1 Campi scalari carichi . . . . . . . . . 2.14.2 Campi dei fermioni . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 . 93 . 98 . 100 . 104 3 Diffusione di leptoni e fotoni 109 3.1 Hamiltoniana d’interazione e correnti leptoniche . . . 109 3.2 La diffusione elettrone–muone . . . . . . . . . . . . 113 3.2.1 Il propagatore del fotone . . . . . . . . . . . 115 3.2.2 Alcune implicazioni del propagatore del fotone118 3.2.3 Diffusione elettrone–muone; metodi per facilitare i calcoli per lo spin 12 . . . . . . . . . 119 3.2.4 Fattore dello spazio delle fasi a due corpi . . 125 3.2.5 Sezione d’urto nel limite relativistico . . . . 126 3.3 L’annichilazione di e+ e− in μ+ μ− . . . . . . . . . . 127 3.3.1 Le variabili s, t, u . . . . . . . . . . . . . . 127 3.3.2 Calcolo della sezione d’urto d’annichilazione 129 3.4 La diffusione e− e− . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 3.5 La produzione di e+ e− da e+ e− . . . . . . . . . . . 133 3.5.1 Conservazione dell’elicità nel limite relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 3.6 Processi con due leptoni e due fotoni . . . . . . . . . 137 3.6.1 Elemento di matrice della diffusione γe− . . 141 3.6.2 Sezione d’urto della diffusione Compton . . 145 3.7 Termini d’ordine superiore nell’espansione perturbativa, le regole di Feynman . . . . . . . . . . . . . . . 148 3.8 Covarianza di Lorentz e teoria dei campi . . . . . . . 152 3.9 Simmetrie speciali della matrice S . . . . . . . . . . 154 Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 4 Gli adroni 4.1 La struttura di carica delle interazioni forti . . . 4.2 I numeri quantici . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 I numeri quantici additivi . . . . . . . . 4.2.2 I numeri quantici vettorialmente additivi 4.2.3 I numeri quantici moltiplicativi . . . . 4.3 Simmetrie interne . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4 I generatori di SU (2) e di SU (3) . . . . . . . . 4.5 L’interazione di colore . . . . . . . . . . . . . 4.6 Il potenziale di colore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 159 160 162 163 164 166 172 177 182 Indice 13 4.7 Le dimensioni degli stati legati . . . . . . . . . . . . 189 4.8 I barioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 196 Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 198 5 6 Isospin e sapori SU (3), simmetrie accidentali 5.1 I quark leggeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 I mesoni leggeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 I propagatori di Breit–Wigner e la storia della vita dei mesoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3.1 Risonanze strette ed eventi indipendenti . . . 5.3.2 Propagatori ed autostati della massa . . . . . 5.4 I decadimenti dei mesoni vettori . . . . . . . . . . . 5.4.1 Forma delle ampiezze di decadimento dei mesoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 Quadro fisico del processo di decadimento . . . . . . 5.5.1 La parità G . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5.2 Processi a massa invariante grande e jet adronici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Stati barionici a tre quark . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 203 206 Il modello a quark costituenti 6.1 I quark costituenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Momenti magnetici dei barioni . . . . . . . . . . . . 6.2.1 Decadimento della Σ0 in Λ0 + γ, transizioni di dipolo magnetico . . . . . . . . . . . . . 6.2.2 Decadimento della φ in η + γ . . . . . . . . 6.3 Le masse dei mesoni e dei barioni . . . . . . . . . . 6.3.1 Le masse dei mesoni . . . . . . . . . . . . . 6.3.2 Le masse dei barioni . . . . . . . . . . . . . 6.3.3 Scissioni delle masse mesoniche in violazione dell’isospin . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.4 Scissioni delle masse barioniche in violazione dell’isospin . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.5 I decadimenti del mesone η . . . . . . . . . 6.4 Accoppiamento del fotone ai mesoni vettori . . . . . 6.4.1 Predominanza dei mesoni vettori . . . . . . . 6.4.2 Predominanza della ρ nel canale π + π − con J P = 1− . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.4.3 Mescolamento ρ, ω . . . . . . . . . . . . . 263 263 263 215 220 222 224 230 232 241 243 245 253 267 270 272 275 276 278 280 282 285 287 288 292 14 Indice 6.5 Transizioni radiative tra mesoni pseudoscalari e mesoni vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6 Decadimenti dei mesoni pseudoscalari in due fotoni . 6.6.1 Predominio dei mesoni vettori e decadimenti radiativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.7 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 8 297 300 303 304 304 La teoria di gauge del colore completa 7.1 Simmetria di gauge locale . . . . . . . . . . . . . . 7.2 Il paradosso dell’assenza di scale . . . . . . . . . . . 7.2.1 La costante d’accoppiamento corrente in elettrodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.2 Espressione di α(q 2 ) in elettrodinamica . . . 7.2.3 La costante d’accoppiamento corrente nella QCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 La simmetria approssimata di chiralità delle interazioni forti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.1 La relazione di Goldberger–Treiman . . . . . 7.4 Rottura spontanea della simmetria . . . . . . . . . . 7.4.1 Il ruolo del vuoto . . . . . . . . . . . . . . . 7.5 Le masse dei quark nella lagrangiana . . . . . . . . . 7.6 Altri problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311 311 315 Le interazioni deboli dei fermioni 8.1 Il gruppo di gauge debole . . . . . . . . . . . . . . . 8.2 Il decadimento del muone . . . . . . . . . . . . . . . 8.3 I decadimenti del leptone tau . . . . . . . . . . . . . 8.4 Le correnti cariche deboli dei quark . . . . . . . . . 8.4.1 La matrice di Cabibbo-Kobayashi-Maskawa . 8.4.2 Violazioni di CP . . . . . . . . . . . . . . . 8.5 Decadimenti dei pioni carichi . . . . . . . . . . . . . 8.5.1 Corrente vettoriale conservata . . . . . . . . 8.5.2 Operatori di carica . . . . . . . . . . . . . . 8.5.3 Tasso del decadimento semileptonico del π − 8.6 Operatore delle correnti che cambiano la stranezza e decadimento del kaone . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6.1 Modello della predominanza vettoriale dell’elemento di matrice della corrente per i kaoni in pioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 339 339 345 351 357 360 363 366 369 370 373 315 317 320 323 325 328 330 331 332 334 373 377 Indice 15 Operatore del decadimento del K in stati finali di soli adroni . . . . . . . . . . . . . . 8.7 Quadro generale dei decadimenti deboli dei mesoni pseudoscalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.8 Ampiezze di decadimento dei kaoni in due pioni . . . 8.9 Ampiezze di decadimento dei kaoni in tre pioni . . . 8.10 Decadimenti rari del K 0 . . . . . . . . . . . . . . . 8.11 Decadimenti deboli dei quark pesanti c, b, t . . . . . 8.11.1 Decadimento debole del charm . . . . . . . . 8.11.2 Decadimento debole dei sistemi di quark con il b . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.12 Teoria effettiva dei quark pesanti . . . . . . . . . . . 8.13 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6.2 9 Fenomeni di mescolamento debole 9.1 Azione reciproca tra produzione, propagazione e rivelazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2 Mescolamento dei mesoni pseudoscalari che decadono debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.3 Il sistema K 0 , K̄ 0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.3.1 Oscillazioni dei kaoni . . . . . . . . . . . . 9.3.2 Violazione di CP nel sistema dei kaoni . . . 9.4 Il sistema D0 , D̄0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.5 I sistemi B 0 , B̄ 0 e Bs0 , B̄s0 . . . . . . . . . . . . . . 9.5.1 La violazione di CP nel sistema B 0 , B̄ 0 . . 9.6 Le oscillazioni del neutrino . . . . . . . . . . . . . . 9.6.1 Le tre generazioni di neutrini . . . . . . . . . 9.6.2 Oscillazioni dei neutrini solari . . . . . . . . 9.6.3 Oscillazioni indotte dalla materia nel sole . . 9.6.4 Violazione di CP nel mescolamento dei neutrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Teoria di gauge elettrodebole e rottura delle simmetrie 10.1 La corrente debole neutra . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Mescolamento delle correnti neutre . . . . . . . . . 10.3 La fenomenologia della Z 0 . . . . . . . . . . . . . 10.4 Interazioni tra i bosoni di gauge . . . . . . . . . . 10.5 Il meccanismo di Higgs . . . . . . . . . . . . . . . 10.6 La teoria di Weinberg e Salam . . . . . . . . . . . . . . . . . 381 388 392 394 396 398 400 405 408 410 411 417 417 420 423 426 427 435 437 439 442 445 448 452 456 457 461 461 461 467 474 475 482 16 Indice 10.7 Correzioni alle masse della W e della Z 10.8 Generazione delle masse dei fermioni . 10.9 Neutrini di Majorana . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 488 492 494 495 11 Processi a grande sezione d’urto 11.1 Tipi di processi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 La diffusione coulombiana multipla . . . . . . . 11.2.1 L’angolo di diffusione multipla . . . . . . 11.2.2 La lunghezza di radiazione . . . . . . . . 11.2.3 Perdita di energia . . . . . . . . . . . . . 11.3 Processi radiativi di elettroni e fotoni . . . . . . . 11.3.1 Calcolo dei tassi di produzione di coppie 11.4 Distribuzioni inclusive nella diffusione adronica . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 499 499 502 504 506 508 512 515 521 528 . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Diffusione ad alto momento trasferito 12.1 Tipi di processi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2 Annichilazione di e+ e− in adroni . . . . . . . . . . 12.2.1 Energia al di sotto della Z 0 ; il regime elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.2 Funzioni di frammentazione dei quark . . . . 12.2.3 Annichilazione di e+ e− nel regime elettrodebole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.4 Scala d’energia per la produzione della particella di Higgs . . . . . . . . . . . . . . 12.3 Struttura degli adroni e diffusione a breve distanza . . 12.3.1 Spettro d’impulso dei costituenti . . . . . . . 12.4 Diffusione profondamente anelastica leptone–protone 12.4.1 La sezione d’urto della diffusione profondamente anelastica . . . . . . . . . . . . . . . 12.4.2 Funzioni di struttura e costituenti . . . . . . 12.4.3 Il modello a quark delle funzioni di struttura . 12.5 Violazione dell’invarianza di scala . . . . . . . . . . 12.5.1 Equazione dell’evoluzione delle funzioni di struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.6 Risultati della diffusione a grande momento trasversale nelle reazioni p̄p . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.7 La prossima frontiera . . . . . . . . . . . . . . . . . Esercizi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 533 533 534 535 536 541 543 543 546 549 551 553 557 563 570 572 573 575 Indice 13 Fisica a più alte energie 17 579 A Convenzioni 585 A.1 Unità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 585 A.2 Uso degli indici di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . 586 Bibliografia 589 Indice Analitico 597 Il programma della fisica delle particelle Capitolo 1 1.1 Introduzione 2 3 Particella 1 Figura 1.1: Rappresentazione di una interazione locale coinvolgente tre particelle quantistiche in un dato punto del cronotopo. Potrebbe rappresentare il decadimento della particella 1 nelle particelle 2 e 3. La fisica delle particelle mira alla scoperta delle forme basilari nelle quali la materia può esistere ed alle interazioni tra queste forme. La ricerca dei più semplici e più basilari oggetti ha condotto allo studio della materia a distanze molto piccole. Noi chiamiamo le forme della materia su queste corte scale di distanza “particelle”. L’interazione tra le particelle deve essere descritta con la meccanica quantistica; lo stato presente della sperimentazione ha permesso lo studio della fisica fino a scale di distanza di 10−16 cm. Questi esperimenti di solito richiedono alte energie; in effetti, le energie di tali processi particellari sono frequentemente grandi paragonate alle masse delle particelle coinvolte, il che implica che esse abbiano moti relativistici. Come conseguenza nelle interazioni si producono di solito nuove particelle: la gran quantità d’energia cinetica trasportata dalle particelle interagenti fornisce, infatti, l’energia sufficiente alla creazione di queste nuove particelle. Incorporare la relatività nella meccanica quantistica richiede alcune nuove idee. In particolare, la richiesta d’invarianza relativistica è un forte vincolo al modo in cui guardiamo alle interazioni tra le particelle. Le interazioni fondamentali devono avere il carattere della località. Non esistono interazioni istantanee a distanza. Pertanto noi immaginiamo un processo tra particelle o evento quantistico come un’interazione di oggetti di dimensioni molto piccole (eventualmente tendenti a zero per le particelle “fondamentali”) in un punto del cronotopo. Questo è mostrato nella fig. 1.1. Naturalmente abbiamo bisogno di definire il significato di questa immagine, incluso i possibili partecipanti e l’intensità delle interazioni. 19 20 Capitolo 1. Il programma della fisica delle particelle In un dato evento quantistico, tutte le particelle obbediscono alle stesse regole quantistiche e queste sostituiscono il quadro dato dalla fisica classica di un’interazione locale relativisticamente covariante tra una particella e un’entità diversa: il campo classico. In effetti, noi useremo in maniera alquanto equivalente le parole campo e particella per descrivere le particelle di cui discutiamo. Possiamo pensare ad una particella singola come alla più semplice configurazione di campo dopo il vuoto. L’evento quantistico basilare consente la creazione e l’assorbimento di particelle, come è stato visto per la prima volta chiaramente nell’effetto fotoelettrico. Le particelle coinvolte hanno energia e quantità di moto oltre ad altri attributi come spin e carica. Questi attributi sono pienamente assorbiti o creati nell’evento e i loro possibili valori sono determinati dagli stati quantistici permessi ad ogni tipo di particella. Per quanto le interazioni siano locali, le particelle quantistiche non sono pienamente localizzate, ma piuttosto la loro presenza è “spalmata” nel cronotopo (in altre parole, sono descritte da una funzione d’onda). Cosı̀, il calcolo degli effetti dell’interazione locale in situazioni reali comporta sempre l’aggiunta di contributi distribuiti nel cronotopo. L’evoluzione nel cronotopo e la rivelazione dei sistemi di particelle obbediscono ai principi di base della meccanica quantistica. Questi sono i principali: 1. In qualunque sistema esiste un insieme completo di stati che formano una base che possiamo usare per descrivere il sistema, quando ne misuriamo le caratteristiche. I valori misurati degli osservabili fisici sono i valori che caratterizzano gli appropriati stati della base. I valori permessi possono essere sia discreti sia continui. I vari tipi di misura possono essere o possono non essere compatibili tra loro, il che, nel caso di misure incompatibili, porta alle limitazioni quantificate dal principio d’indeterminazione. Esempi di stati di base sono gli stati a energia quantizzata di atomi, molecole e nuclei. Essi cominciano alla più bassa energia formando una sequenza discreta, ogni membro della quale rappresenta il sistema legato e proseguono con una sequenza continua, ogni membro della quale rappresenta il sistema non più legato. Questi stati sono anche caratterizzati dai valori del momento della quantità di moto che formano una sequenza discreta. Un sistema fisico del quale parleremo spesso è il fascio di particelle 1.1. Introduzione 21 che si usa negli esperimenti di diffusione. Le particelle in tali fasci sono usualmente descritte in termini di un continuo di stati di base dell’energia e della quantità di moto. Per ottenere una descrizione completa è anche richiesto l’orientamento dello spin delle particelle, orientamento che è rappresentato da una variabile discreta. 2. L’evoluzione di un sistema da uno stato iniziale ad uno stato di base finale è descritto da un’ampiezza complessa il cui modulo quadrato dà la probabilità di trovare il sistema in quello stato di base finale. Un esempio d’ampiezza è la funzione d’onda non relativistica con la quale lo stato della particella viene proiettato su autostati della posizione. Quadrandola essa ci dà la densità di probabilità di trovare la particella in una data posizione in funzione del tempo. 3. La meccanica quantistica è lineare. Ciò vuol dire che l’ampiezza che rappresenta l’evoluzione di un sistema a partire da una combinazione lineare di stati di base iniziali a uno stato finale è una combinazione lineare di ampiezze, ciascuna descrivente l’evoluzione verso quello stato finale che il singolo stato di base avrebbe, se esso avesse costituito da solo lo stato iniziale. Per una particella singola che va da uno stato iniziale spazialmente localizzato a uno stato finale localizzato e ben separato dallo stato iniziale, possiamo calcolare un’ampiezza per ciascuna traiettoria o cammino nel cronotopo che la particella potrebbe aver intrapreso. Queste ampiezze hanno la caratteristica della linearità. Le ampiezze complesse di cammini alternativi indistinguibili, che connettono gli stessi stati iniziali e finali, si sommano, quando si costruisce l’ampiezza completa. Questo è noto da lungo tempo per la luce che mostra varie figure d’interferenza e diffrazione; in questo caso gli eventi quantistici tra i quali la propagazione avviene sono l’emissione iniziale e l’assorbimento finale del quanto di luce. I cammini alternativi sono le traiettorie disponibili al quanto di luce. Fenomeni analoghi d’interferenza si vedono per altre particelle come i neutroni o gli elettroni. L’uso di ampiezze, con l’interferenza che ne deriva, dà luogo ad una propagazione ondulatoria tra successivi eventi quantistici. Combinato con l’interazione locale particellare, ciò produce la dualità onda–corpuscolo cosı̀ caratteristica della meccanica quantistica. 4. Le ampiezze devono avere una descrizione relativistica covariante, poiché noi insistiamo sulla richiesta che il quadro fisico del sistema e la sua evoluzione devono consentire un’interpretazione equivalente in tutti i sistemi di riferimento inerziali. 22 Capitolo 1. Il programma della fisica delle particelle Si è verificato che i principi appena descritti sono universali. Per esempio, non esistono oggetti strettamente classici; tutti gli oggetti sono quantistici nella loro natura. Inoltre, non esistono potenziali arbitrari; piuttosto un potenziale è una conseguenza dell’interazione locale e della propagazione delle particelle. Questo è un passo avanti, rimarchevole e avvincente, verso lo sviluppo di una visione unificata delle regole di funzionamento della natura. Tipico della fisica è la sorprendente varietà di fenomeni consentiti dalle stesse regole. Per esempio, le regole quantistiche, quando sono combinate con le diverse masse ed intensità d’interazione, producono una molteplicità di strutture o sistemi con dimensioni ed energie caratteristiche diverse. Ciascuno di tali sistemi ha i suoi stati di base ed ampiezze che soddisfano equazioni risolubili, di solito, usando approssimazioni che mettono in luce i gradi di libertà rilevanti del sistema e quindi valide su una qualche gamma di distanze ed energie. Alcuni esempi, con energie caratteristiche in aumento, sono gli stati interni ad un cristallo, il comportamento degli atomi, le strutture del nucleo e dei nucleoni dentro il nucleo. 1.2 Cosa misuriamo? Lo studio delle forme e delle interazioni della materia è basato sulle osservazioni di sistemi naturali e su esperimenti progettati per creare interazioni sotto condizioni controllate. Questi ultimi, per i quali si usano i grandi acceleratori, sono divenuti il principale strumento di ricerca per studiare la materia su scale di distanza molto piccole. Allo stato attuale la sperimentazione ha sondato scale d’energia fino ad approssimativamente 200 GeV. Ciò corrisponde a distanze dell’ordine di 10−16 cm. Per alcuni tipi di misure noi comprendiamo la fisica fino a 10−17 cm. I tipi di osservazioni di solito fatte negli esperimenti sono caratterizzati qui sotto. Lo spettro delle particelle Ciò significa la determinazione degli stati di base consistenti in una sola particella isolata, assieme ad ogni numero quantico necessario ad una completa descrizione di questi autostati dell’energia. Tale particella può essere un oggetto composito. Questi stati sono autostati dell’hamiltoniana che determina l’evoluzione temporale del sistema; essi procurano informazioni sugli oggetti e le interazioni descritte dalla hamiltoniana. 1.2. Cosa misuriamo? 23 Diffusione di particelle Oltre a cercare lo spettro di particelle individuali, possiamo creare collisioni tra particelle. Ciò ci porta a misurare i risultati di un esperimento di diffusione. In tali esperimenti, fasci di particelle sono indirizzati l’uno contro l’altro o su bersagli statici. Le collisioni risultanti ci consentono di scoprire nuove particelle negli stati finali, oltre alle caratteristiche delle interazioni delle particelle iniziali. I fasci per gli esperimenti di diffusione di solito trovano origine o da elettroni di bassa energia strappati da un materiale o da protoni ottenuti ionizzando atomi d’idrogeno. Queste particelle sono accelerate e possono essere usate direttamente negli esperimenti o possono essere usate per produrre fasci di particelle secondarie generate nelle collisioni con bersagli intermedi. Questi fasci secondari possono poi essere usati negli esperimenti di diffusione. Le collisioni finali d’interesse coinvolgono due particelle alla volta, una dal fascio e una dal bersaglio finale. Prima della collisione queste particelle erano distanti e non interagenti. Dopo la collisione misuriamo, a grande distanza dalla zona d’interazione, le particelle prodotte. Qui, di nuovo, lo stato può essere descritto in termini di particelle isolate e non interagenti. Per ottenere la massima energia il bersaglio è spesso formato anch’esso da un fascio di particelle dotate di una grande quantità di moto. Gli stati che si scelgono per descrivere il moto delle particelle iniziali e finali sono usualmente autostati della quantità di moto. I fasci sono in genere prodotti con una quantità di moto ragionevolmente precisa e le misure eseguite sulle particelle dello stato finale di solito cercano di determinarne la quantità di moto. In qualche caso usiamo autostati del momento della quantità di moto, ma questi sono difficili da maneggiare nel caso di stati finali con molte particelle. Per completare la descrizione spazio–temporale di un autostato della quantità di moto, abbiamo bisogno di specificare la proiezione dello spin lungo la direzione del moto, detta elicità. Stati finali di diversa elicità sono distinguibili e non interferiscono. Lo stato delle particelle iniziali può essere preparato intenzionalmente con popolazioni delle diverse elicità diseguali: in tal modo ci procuriamo uno stato iniziale polarizzato. Nel caso più comune, quando cioè nulla viene fatto per popolare preferenzialmente uno stato di spin, le particelle iniziali sono in uno stato costituito da una mistura incoerente di tutte le elicità, fatto che spesso riflette le caratteristiche della sorgente delle particelle. 24 Capitolo 1. Il programma della fisica delle particelle Siccome l’evoluzione del sistema è determinata dai principi quantistici, la descrizione del processo di diffusione è contenuta in un’ampiezza che è funzione delle quantità di moto e delle elicità iniziali e finali: A(P1 , λi1 ; P2 , λi2 ; k1 , λf1 ; . . . ; kn , λfn ), (1.1) in cui P1 , λi1 ; P2 , λi2 sono le quantità di moto ed elicità iniziali e k1 , λf ; . . . ; kn , λfn sono le analoghe quantità per le particelle finali, 1 nel caso di n particelle finali. I tassi di reazione sono determinati dal quadrato dell’ampiezza, il quale dà una densità di eventi nello spazio degli impulsi descrivente le n particelle finali. Il calcolo deve fornire una risposta covariante e questo fatto dà un vincolo sul modo in cui le quantità di moto appaiono nell’ampiezza. Infine, le ampiezze devono essere lineari nei gradi di libertà di spin a causa del nostro postulato di linearità. Nel caso di particelle identiche nello stato finale, le ampiezze devono anche rispettare la relazione tra spin e statistica, relazione che è obbedita da tutti i sistemi identici, incluso i sistemi complessi, che emergano dalla reazione come particelle individuali. Se le particelle i e j sono identiche, l’ampiezza deve soddisfare la relazione: A(. . . ; ki , λfi ; . . . ; kj , λfj ; . . . ) = ±A(. . . ; kj , λfj ; . . . ; ki , λfi ; . . . ), con il segno + per le particelle di spin intero (chiamate bosoni) e il segno − per le particelle con spin semintero (chiamate fermioni). Si deve stare attenti a non contare più di una volta le configurazioni indistinguibili, quando si computano i tassi d’interazione integrando sullo spazio degli impulsi. Produzione di risonanze Un terzo tipo di misure è la determinazione delle proprietà delle risonanze. Le risonanze sono particelle isolate che vivono abbastanza a lungo da lasciare il punto d’interazione, ma che in seguito decadono spontaneamente. Le risonanze sono caratterizzate da una massa m e una vita media di decadimento τ . Generalmente useremo piuttosto l’inverso della vita media, Γ = τ1 , detto “larghezza di decadimento”, che ha le dimensioni di un’energia1 . La massa di questi stati è usualmente determinata come un 1 Noi poniamo = c = 1. Vedere l’appendice per una discussione sulle unità di misura. 1.2. Cosa misuriamo? 25 autovalore di una parte dell’hamiltoniana completa. In questo modo lo spettro di massa e le configurazioni di questi stati sono spesso simili allo spettro delle particelle stabili e difficilmente si fa distinzione tra risonanze e particelle stabili. La larghezza è spesso dovuta ad interazioni diverse da quella di produzione che possono avere poco a che fare con la massa, ma che causano transizioni a stati finali di parecchie particelle. In generale sono possibili diversi modi di decadimento, ciascuno dei quali dà un contributo parziale fisso alla larghezza di decadimento. Le risonanze ci danno un sistema utile col quale studiare le interazioni responsabili del loro decadimento, giacché esse sono i più semplici stati iniziali che possiamo preparare la cui probabilità è dipendente dal tempo. Diamo più giù alcuni esempi. Un esempio semplice e familiare di uno stato stabile e di un insieme di risonanze correlate è quello dello stato fondamentale e degli stati eccitati dell’atomo d’idrogeno. In questo caso, tutte le energie degli stati legati si possono calcolare con grande accuratezza in termini del potenziale di Coulomb e dell’energia cinetica dell’elettrone. Il decadimento degli stati eccitati deriva dall’emissione di fotoni che conduce ad una transizione ad uno stato di energia più bassa. Sia l’energia di legame sia le larghezze derivano dalle interazioni elettromagnetiche; comunque, il campo elettromagnetico consiste in un potenziale statico (senza fotoni reali presenti) e di un fotone separato emesso dalla risonanza. Da notare che all’equilibrio termico, al contrario di ciò che accade ad atomi isolati, le popolazioni relative dello stato fondamentale e delle risonanze sono determinate dalla temperatura. Questa dunque non è la situazione di un esperimento fatto ad un acceleratore dove le particelle sono rivelate come oggetti isolati e le transizioni avvengono da stati più pesanti a stati più leggeri. Un altro esempio interessante ci viene dai tre mesoni π, π + , π 0 e π − . Tutti e tre hanno quasi la stessa massa, determinata dalle interazioni forti. Il π + ed il π − decadono a causa dell’interazione debole e vivono sufficientemente a lungo da consentire la produzione di fasci di tali particelle. Il π 0 decade in due fotoni, un processo proibito al π + ed al π − dalla conservazione della carica, e ha una vita media di circa 108 volte più breve di quella degli stati carichi. In questo caso masse e larghezze discendono da interazioni completamente diverse. Come ultimo esempio guardiamo al caso delle risonanze ρ0 e 26 Capitolo 1. Il programma della fisica delle particelle ω 0 che decadono rispettivamente in π + , π − e π + , π − , π 0 . Le loro masse sono di nuovo determinate dalle interazioni forti ed esse hanno quasi la stessa massa e sono fatte dagli stessi costituenti nello stesso stato spaziale. Se pensiamo in termini di un potenziale, potremmo pensare che questo sia lo stesso per entrambe, data la quasi uguaglianza delle masse. Entrambe le particelle decadono a causa dell’interazione forte, cosicché esse hanno una vita media assai breve. Il decadimento avviene di nuovo con la creazione di nuovi quanti che si combinano con i quanti iniziali per produrre i pioni dello stato finale. Discuteremo più avanti i principi che impongono ad una particella di decadere in due e all’altra di decadere in tre pioni. Il risultato finale è che Γρ è circa 20 volte maggiore di Γω . Vediamo anche qui che le larghezze possono differire significativamente per stati risonanti che hanno molto in comune. In tutti i precedenti esempi le larghezze sono determinate dalla dinamica dell’interazione. Le particelle non hanno una larghezza “intrinseca”. Le masse sono anch’esse almeno parzialmente determinate dalla dinamica, certamente lo sono nel caso degli stati legati e ci si potrebbe chiedere se esistano masse “intrinseche”. Una delle scoperte più sorprendenti è che non sembra ci siano masse “intrinseche” per gli stati stabili dello spettro, incluso la nostra particella più familiare l’elettrone! Queste masse risultano dalla dinamica, per quanto la dinamica non è pienamente compresa allo stato attuale. Discuteremo le interazioni che generano la massa in qualche dettaglio nel cap. 10. Jet ad alta energia Ad energie molto alte nei processi di diffusione in cui si generano particelle ad interazione forte, il numero di particelle prodotto può essere molto grande. Fermare la propria attenzione sulla funzione di distribuzione che tiene conto di tutte le molte particelle può oscurare le caratteristiche globali dello stato finale. Pensiamo che le particelle dello stato finale possono spesso essere raggruppate in “jet” individuali, che riflettono più chiaramente la fisica sottostante l’interazione. Ciascun jet contiene un numero di particelle molto vicine nello spazio degli impulsi e separate dalle altre particelle prodotte nell’evento. A differenza delle risonanze che escono dal volume di collisione e decadono attraverso un processo indipendente da quello di produzione, dando un numero medio ben definito di particelle finali, indipendente dalla quantità di moto della risonanza o di come essa sia stata prodotta, i jet non sono indipendenti l’uno dall’altro in un evento. Primo jet Secondo jet Figura 1.2: Stato finale con due jet. Esso potrebbe essere stato prodotto in una annichilazione e+ e− . Ciascun jet contiene quattro particelle. 1.3. Costituenti fondamentali e interazioni 27 Il più semplice processo che illustra la produzione di jet è l’annichilazione di un positrone con un elettrone in particelle ad interazione forte che emergono in due jet. Un esempio di come tali due jet possono apparire è illustrato nella fig. 1.2. Il numero medio di particelle nello stato finale è determinato dalla coppia di jet e cresce con la massa invariante (ovvero con l’energia totale nel centro di massa) della coppia di jet. Quando questa energia cresce, le particelle finali sono via via più collimate nelle due strutture a getto, rendendo progressivamente più semplice definirne la direzione e le energie. La domanda che sorge spontanea è allora: cosa determina l’energia dei jet e la loro direzione? La direzione di cosa il jet ci indica? Discuteremo questo punto nel prossimo paragrafo, dove volgiamo la nostra attenzione dal cosa misuriamo alle forme della materia sulle quali facciamo le nostre misure. 1.3 Costituenti fondamentali e interazioni L’insieme di tutte le particelle e delle loro interazioni fino a scale d’energia dell’ordine di 200 GeV può essere descritto in termini di un piccolo numero di costituenti della materia. Noi escludiamo qui, in ogni modo, la gravità che è un’interazione estremamente debole alle energie disponibili oggi. Le particelle e le interazioni hanno una certa semplicità e unità e formano quello che è chiamato il Modello Standard. La maggior parte di questo libro è dedicata a sviluppare questo modello e a collegare i risultati sperimentali ai costituenti che sono postulati. Questo paragrafo introduce le idee del modello. Cominciamo col descrivere il più semplice insieme di particelle, chiamati leptoni e le loro interazioni, cominciando con le interazioni che sono forti alla scala di qualche GeV. C’è un totale di sei leptoni, e− , μ− , τ − , νe , νμ e ντ (noi preferiamo non mettere nella lista le antiparticelle come fossero particelle separate). Tre di questi leptoni sono carichi elettricamente, con la stessa carica dell’elettrone, e tre, i neutrini, sono neutri. Le masse dei neutrini sono piccole e oggi sono oggetto d’intensa attività di studio. I leptoni carichi hanno masse: me =0, 5110 MeV, mμ =105, 7 MeV, mτ =1777 MeV.