Ripensaci, Severino Chi ricorda come il filosofo Severino (cfr. WP 173) abbia fatto ricorso all’autorità di Aristotele per dimostrare che dell’”embrione”, non “essendo” un “essere umano”, ci si può liberare impunemente, stupirà alquanto nell’apprendere che – sviluppandosi il dibattito (cfr. “Corriere della Sera”, 6 gennaio 2005) – il filosofo Reale (nome professionalmente perfetto) abbia fatto ricorso alla medesima autorità di Aristotele per ricavarne la tesi diametralmente opposta: L’embrione va difeso, è vita. Lo ha spiegato anche Aristotele. Chi sa qualcosa della storia della filosofia, invece, non stupirà affatto. Da che filosofia è filosofia, la medesima base argomentativa serve ad una tesi ed alla sua contraria. Giorni dopo (cfr. “Corriere della Sera”, 26 gennaio 2005), Edoardo Boncinelli torna sull’argomento e, da biologo qual è, fregandosene ampiamente sia della “potenza” che dell’”atto”, spiega agli interessati che “per gli embrioni non esiste l’ora x”. Tiene quindi una bella lezione in cui racconta come la fecondazione in altro non consista che nella “congiunzione di un gamete maschile, lo spermatozoo, e uno femminile, la cellula-uovo o ovocita maturo”; come questo processo si svolga in diverse ore e come, condizione necessaria a che si possa parlare di un “nuovo organismo”, è la combinazione dei Dna dei due genomi. Così si ha una singola cellula che, in quattro e quattrotto, prende a duplicarsi. Fino ad un momento nel quale, smettendola, assume sembianze tali per cui, guardandole attentamente, qualcuno potrà parlarne come di un cane, di una giraffa o di Brigitte Bardot. Allorché Boncinelli ha concluso la sua lezione di biologo, si pone una domanda: “Quando è che un embrione diventa persona e come tale gode dei diritti scritti e non scritti spettanti ad una persona ?”. E si dà una risposta: “Questa è una domanda che esula dalla biologia e dalla scienza in generale e qui mi fermo”. In proposito, farò due considerazioni. La prima verte sulla categoria implicata nella vicenda: l’inizio. Siamo alle solite (come in fisica allorché si tratta di definire l’inizio dell’universo, come nelle scienze giuridiche allorché si tratta di definire l’inizio di un reato, etc.) e pare strano, veramente strano, che dopo secoli la consapevolezza in materia sembri ancora così scarsa. Sottostiamo ancora ad una sorta di tabu in grazia del quale non si può dire che qualcosa è di provenienza categoriale e non di provenienza osservativa. Certo, tale consapevolezza non è sufficiente per risolvere il problema, perché una volta individuata la matrice categoriale di qualcosa si tratta di discutere le condizioni della sua applicabilità. Ma è altrettanto certo che, se non si parte da questa consapevolezza, qualsiasi discussione in proposito è destinata ad essere improduttiva (lo stesso “processo” senza inizio di Boncinelli rischia di aggiungere nuove contraddizioni). La seconda considerazione verte sull’argomento tramite il quale Boncinelli, detta la sua, svicola lestamente dal dibattito. E’ l’argomento che, di solito, fornisce preti e stregoni vari di lasciapassare per entrare da protagonisti nei dibattiti scientifici: qui la scienza deve fermarsi. E perché mai ? Perché si dà per scontato che la definizione delle parole – e delle categorie che queste parole designano – non sia questione di scienza. Come se di parole come “inizio”, “persona”, “individuo”, non si potesse fornire analisi alcuna, dovendole lasciar fluttuare beotamente nei sargassi della polisemia e della malfermità degli impegni semantici. Felice Accame