KATHERINE PANCOL
MUCHACHAS 3
Traduzione di Fabrizio Ascari
ROMANZO
BOMPIANI
Pancol, Katherine, Muchachas 3
Copyright © Éditions Albin Michel, 2014
First published in 2014 by Éditions Albin Michel, Paris, France
© 2014 Bompiani / RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano
ISBN 978-88-452-7701-6
Prima edizione Bompiani novembre 2014
Per Octavie e Chacha, le mie due lettrici così attente,
Nadine, Dominique, Sarah,
Corinne, Sophie, Gloria,
Pascale, Béatrice, Melissa,
Nathalie, Sylvie, Marina,
Virginie, Carole, Magda, Lilo,
Lise, Marie, due chicas alla viola!
Muchas gracias, muchachas!
“Ogni uomo nella sua notte va verso la sua luce.”
Victor Hugo
Al volante del Kangoo rosso, Stella guarda sflare le colline,
i ponti, i villaggi della Borgogna. Riconosce una fattoria, uno
stagno, una staccionata bianca che il vento fa vibrare. Una gatta
tigrata si è acciambellata su un pilastro degli stabilimenti Moret.
Potrebbe guidare a occhi chiusi. Conosce la strada a memoria. Va a Lione regolarmente. Ha chiesto a Georges di prestarle
l’auto. E a Julie dei giorni di permesso. Non ha fornito spiegazioni.
“Me li scalerai dalle ferie.”
Julie ha risposto non preoccuparti. Georges le ha allungato
le chiavi. È come se sapessero che aveva un conto in sospeso.
Guarda il paesaggio sflare e si interroga su Lucien Plissonnier.
Pronuncia ad alta voce:
Lucien Plissonnier. Mio padre… Lucien Plissonnier.
Deve esistere una signora Plissonnier, vedova di Lucien. È
ancora viva? Aveva saputo che il marito la tradiva?
Se Adrian mi tradisse…
Non vuole pensarci.
Non sa dove abita, di che vive, se lavora. Le porta mazzette
di banconote che depone nella scatola del sapone sotto il lavandino del bagno. Mai la stessa somma. Sostiene che è meglio che
lei non sappia da dove proviene il denaro. Un giorno si ricon9
giungeranno, le dice. Anche Léonie pensava che un giorno lei e
Lucien si sarebbero ricongiunti.
Stella si ferma a uno stop. È la novità voluta dal dipartimento: mettere degli stop dappertutto. Gli automobilisti non li rispettano provocando così degli incidenti, spesso mortali.
Dà la precedenza a un motorino e riparte. Fa una strana
impressione entrare in una famiglia di sconosciuti. Si esamina
nel retrovisore. Le ciocche bionde dritte come penne di Sioux.
Sembra una guerriera piovuta dal cielo. Adrian dice che somiglia all’attrice Tilda Swinton, di cui le ha mostrato una foto su
un giornale. Joséphine non somiglia a Tilda Swinton. Ha un
fascino sottile, dolce, raffnato, che avvolge impalpabile come
bambagia. È sposata? Non porta la fede.
Stella suona il clacson perché il trattore che la precede si sposti e la lasci passare. Ha fretta, Tom la sta aspettando. Dalla
morte di Toutmiel si arrabbia per un nonnulla, trascorre ore da
solo nei boschi, mangia senza dire una parola e va a letto con la
sua armonica.
Nadine, la direttrice della scuola, assicura che ha ricominciato ad azzuffarsi con i compagni.
“Tuo fglio è sempre arrabbiato, Stella, sai perché?”
“Qualcuno ha ucciso il suo cane.”
“Dovresti mandarlo da uno psicologo.”
“Credi che aprirebbe bocca davanti a uno psicologo? Proprio non lo conosci.”
Tom è come lei. Non dice niente. Regola i conti da solo.
“Hai bisogno di assentarti così spesso?” le ha chiesto Suzon.
“Mi domando proprio che cosa tu stia combinando! Dalla morte di Toutmiel ho sempre paura che ti capiti qualcosa, solo l’idea
mi fa gelare il sangue.”
“Ma no, Nannie. Non c’è pericolo dove vado io.”
“Ma che cosa fai esattamente?”
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“Ricognizioni.”
“Cos’è, un hobby?”
Stella è come un animale, vuole osservare Joséphine prima
di avvicinarla. Ha imparato a decifrare le persone, a leggere nei
gesti, negli sguardi, come legge sulle labbra. Nel tremolio di una
voce scopre la rabbia repressa, la viltà, la menzogna. Indovina
un colpo basso in arrivo, un probabile tradimento.
Ore di strada all’andata, ore al ritorno per decidere se accordare o no la propria fducia a Joséphine Cortès.
Anche Léonie vuole sapere. Sapere cosa? Boh!
“È strano,” dice, “è come se trovassi fnalmente il mio posto,
come se diventassi legittima. Tutti questi anni senza sapere…
sono impazzita a furia di pensarci. Finivo col chiedermi se non
avessi inventato Lucien e se tu non fossi davvero la fglia di
Ray.”
“Ma è sterile, mamma! Non ti ricordi come lo chiamavano?
Pallesecche!”
“Non sapevo più niente con certezza. Perdevo memoria di
me stessa.”
“Era la conseguenza delle botte.”
“Finalmente saprò…”
“Non entusiasmarti, mamma, forse sono persone odiose.”
“Ha un’aria odiosa Joséphine Plissonnier?”
“No. E gli studenti sembrano apprezzarla molto.”
“Vedi!” ribatte Léonie, fera di avere segnato un punto.
Chiede precisazioni, è alta, è snella, è carina? Porta gli occhiali? Come si veste? Alza la voce quando parla? Deve essere
intelligente per occupare quel posto! Lucien diceva che non poteva andarsene e lasciare Joséphine, che doveva rimanere per
proteggerla. Doveva essere successo qualcosa di grave.
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Stella ha voglia di gridare “E tu mi hai protetta?” ma si limita
a dire:
“Ti ha mai spiegato?”
“No, sembrava abbattuto.”
Léonie si lascia sfuggire un sospiro e mormora:
“Hai una sorella, Stella. Non è meraviglioso?”
Non ho bisogno di una sorella! brontola Stella fermandosi a
uno stop. Non ho bisogno di nessuno.
Vista dal fondo dell’aula, Joséphine Cortès sembra dolce,
modesta. Non alza mai la voce. Pare abbia un cane bruttissimo
che si chiama Du Guesclin.
Oggi le ha lasciato un biglietto sul parabrezza. Avrei forse
dovuto scrivere qualcos’altro? Essere più chiara? Mi chiamo
Stella, sono la sua sorellastra, suo padre è stato l’amante di mia
madre… non per molto tempo ma abbastanza da farmi nascere.
Mi piacerebbe sapere… che tipo di uomo era? Ha una sua foto?
Di cosa è morto quel 13 luglio? Non era vecchio. Sulla quarantina? Quindici giorni prima, quando aveva lasciato Léonie, era
in perfetta salute. Le pare normale?
È stato a forza di pensarci che le è venuta quell’idea: non è
normale morire a quarant’anni. E se fosse stato Ray? È un pensiero stupido, lo sa, ma tutto è possibile. Sarebbe bastato che
Turquet, Gerson e Lancenny decidessero di vendicare l’onore
di Ray, il capo. È il genere di frasi virili che usano tra di loro, con
la mano sul petto e il gomito sul bancone del bar. “Vendicare
l’onore”, “fargli la pelle”, “fargliela pagare a quel mascalzone”.
Vuotano il bicchiere di birra e partono all’attacco.
Le conosce a memoria.
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Il passato, pensa scorgendo il tetto a punta della fattoria dei
Pioppi, il passato… Crediamo sia alle nostre spalle e torna ad
assalirci. Esige spiegazioni, pone domande. Fa il giustiziere. Il
passato non dimentica mai. Torna sempre. Con un conto in sospeso. Non gli piacciono le storie incompiute.
Violette, per esempio. Perché è tornata a Saint-Chaland?
Quando i suoi sono morti, tre mesi prima, ha fatto appena in
tempo a scuotere l’aspersorio sulla loro tomba prima di saltare
su un taxi che la aspettava con il motore acceso. Indossava un
elegante soprabito adatto alla stagione, a quadretti rosa e bianchi. La attendevano per le riprese di un flm, non ho tempo,
non ho tempo. La gente era scandalizzata, eclissarsi così dopo
l’ultima palata di terra!
Violette. Da quando è tornata, Stella ha avuto tutto il tempo
di studiarla. Quando era ragazzina, Violette le chiudeva il becco
con la sua sicurezza, la sua audacia, i suoi piccoli seni che attiravano i ragazzi del quartiere. Era evidente che avrebbe avuto
successo. Le sarebbe bastato schioccare le dita per diventare
un’attrice di successo.
Stella a volte prende il caffè con Violette facendo funzionare
gli occhi, il naso, le orecchie. Tutti i sensi all’erta.
Violette è poco loquace. Ha capito che le conveniva essere
evasiva. Meno la gente ne sapeva e più avrebbe acquistato prestigio in quella cittadina in cui il più piccolo mormorio diventa
pettegolezzo. Perché è tornata a Saint-Chaland? Conta di proseguire la sua carriera di attrice? Perché non si è visto nessuno
dei suoi flm da queste parti? Ha guadagnato abbastanza denaro
da poter vivere senza lavorare? Non la reclamano a Parigi? Co13