UN GRANDE CARILLON – IL CIELO CHE SUONA

A.S.2008-09 – CLASSE V LICEO SCIENTIFICO
ESAME DI STATO
UN GRANDE CARILLON – IL CIELO CHE SUONA
A cura di
Chiara M.
Introduzione
Istintivamente siamo tutti portati a volgere il nostro sguardo verso il cielo stellato. La sola vista ci
meraviglia e ci rendiamo conto che anche noi facciamo parte dell’Universo.
Fin dagli albori, l’uomo sa che ciò che lo circonda è ordinato; e così anche il cielo ha un suo
ordine, che si manifesta in un’armonia, che si esprime tramite il suono. Ordine, armonia, suono
vanno quindi di pari passo: lo sapevano già Pitagora e Aristotele, lo conferma Scipione l’Emiliano
nel “Somnium Scipionis”, lo ribadisce Dante nel “Paradiso” e, infine, le ultime scoperte scientifiche
sulla radiazione cosmica di fondo (il “suono” prodotto dal Big bang) ci dicono che, su larga scala,
l’Universo è omogeneo e isotropo. Benchè oggi sappiamo che l’Universo non sia un sistema di
sfere concentriche che girano intorno alla terra (come pensavano gli antichi e gli uomini del
Medioevo), si sta però affermando l’idea che una sfera esista davvero: quella che circonda la terra e
che è evidenziata proprio dalla radiazione cosmica di fondo.
Quello che andrò a discutere in questa tesina è come l’armonia dell’universo si manifesti
attraverso il suono. Partendo dalle fonti più antiche, arriverò alle tesi più moderne per dimostrare
l’esistenza di questa armonia e, soprattutto, l’esistenza di una “musica” che proviene dal cielo.
Nell’antichità, per ascoltare il sublime suono proveniente dalle stelle, serviva un cuore puro,
mentre oggi la cosa si è semplificata: cerchiamo il suono del cielo con enormi radiotelescopi che
setacciano tutta la volta celeste. Questa ricerca non è stata vana: è progredito, per esempio, lo studio
delle pulsar, stelle che emettono una radiazione a sincrotrone e, più che brillare, suonano. La ricerca
del suono nell’universo, quindi, è una frontiera ancora aperta, ma che ha solide basi sulle quali
progredire.
Prima premessa: i Pitagorici
È difficile separare le opinioni di Pitagora da quelle dei suoi seguaci. La sua filosofia, poi, è stata
molto influenzata dai viaggi in Egitto e nel vicino Oriente.
La cosmologia in Pitagora è uno degli aspetti più interessanti perché si basa sull’armonia.
Armonia è termine che per i Pitagorici presenta la matrice numerica, la disposizione compiuta della
natura. C’è quindi kosmos, ordine. Esso non è stato prodotto, è stato sempre ed è definito “fuoco
sempre vivo”. Non a caso, al centro del sistema cosmologico Pitagorico, teorizzato da Filolao, c’è
un fuoco attorno al quale girano la terra, la luna, il sole e i cinque pianeti allora conosciuti
(Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Per arrivare al 10, numero della perfezione per i
Pitagorici, era stata introdotta l’antiterra, pianeta non visibile perché con orbita e posizione antitetici
rispetto a quelli della terra. Il cielo delle stelle fisse chiude tutto il sistema.
Quanto detto è connesso alla musica: il sistema cosmologico era appunto un modo per studiare
scientificamente la musica (i Pitagorici sono i primi a instaurare il parallelismo musica-numeri),
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che, a sua volta, diventava una dimostrazione dell’armonia dell’universo. I pianeti producono un
suono armonico, dolcissimo e bellissimo che però l’orecchio umano non riesce a percepire in
quanto il suono non è intervallato da silenzi e pause. La differente distanza degli astri e la loro
diversa velocità producevano dei suoni differenti, come succede per le corde di una lira. C’è quindi
una musica cosmica da cui deriva quella umana, prodotta dall’anima attraverso gli strumenti.
Pertanto, conoscere la musica vuol dire conoscere i rapporti quantitativi esistenti tra le cose.
Seconda premessa: Aristotele
Il sistema cosmologico aristotelico è molto importante, in quanto sta alla base (con il modello
tolemaico) della concezione del cielo sostenuta non solo in epoca antica, ma addirittura fino a
Keplero. Lo stesso Copernico aveva mantenuto la struttura sferica del cielo, mentre Keplero – in
seguito – formulerà le 3 leggi
che prevedono orbite ellittiche.
La cosmologia aristotelica è
esposta nel “De cielo”. Secondo
Aristotele, i corpi celesti sono
organizzati in sfere ruotanti
intorno a un centro costituito
dall’elemento più pesante in
assoluto: la terra. C’è poi
un’altra divisione: la luna
costituisce una linea di confine;
sotto la luna c’è il mondo
corruttibile, mentre sopra, luna
compresa, quello incorruttibile. I
primi due libri del “De cielo”
parlano della terra: la sua regione celeste incomincia oltre l’estrema circonferenza del globo
terracqueo, oltre la sfera di fuoco. Segue poi la luna, che partecipa alla luce emanata dal sole, tanto
che per Aristotele la luna è come un altro sole, ma più piccolo. Gli altri pianeti sono chiamati stelle
erranti: Mercurio, Venere, il sole, Giove, Saturno. A chiudere l’universo c’è il cielo delle stelle
fisse.
I corpi celesti sono formati da etere, che, pur non essendo fuoco, li rende luminosi e caldi. Il
sole, per esempio, ha queste caratteristiche perché l’attrito causato dall’aria proveniente dalle
regioni sottostanti e il suo movimento circolare scaldano l’etere; il calore giunge poi alla terra.
Come il sole, anche tutti gli altri astri sono sferici dal momento che la sfera è la figura più adatta al
movimento che il corpo fa su sé stesso, in quanto consente di muoversi il più velocemente possibile
restando sempre nello stesso luogo.
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Gli astri si muovono perché trasportati dal movimento circolare della loro sfera, nella quale essi
giacciono immobili come le stelle fisse. La sfera ha tutte e tre le dimensioni dei corpi e la sua destra
è la parte dove si levano gli astri, la sinistra dove tramontano.
Aristotele nega che il cielo abbia una musica o rumore. Dimostra questo per assurdo: se esistesse
un suono prodotto dalla rotazione degli astri, sarebbe talmente forte e intenso da distruggere la vita
sulla terra. La musica delle sfere non esiste perché gli astri si muovono in mezzo alla propria sfera.
L’armonia del cielo nella latinità: Cicerone e il “Somnium Scipionis”
Cicerone, nel capitolo 17 del “Somnium Scipionis”, racconta che Scipione l’Emiliano ha avuto
l’opportunità di vedere la struttura del cielo: tanto grandiosa che Scipione l’Africano lo rimprovera
perché al posto di ammirarla rivolge lo sguardo fisso verso la Terra:
“Quam cum magis intuerer: 'Quaeso,' inquit Africanus, 'quousque humi defixa tua mens erit? Nonne aspicis,
quae in templa veneris? Novem tibi orbibus vel potius globis conexa sunt omnia, quorum unus est caelestis,
extimus, qui reliquos omnes complectitur, summus ipse deus arcens et continens ceteros; in quo sunt infixi illi,
qui volvuntur, stellarum cursus sempiterni. Cui subiecti sunt septem, qui versantur retro contrario motu atque
caelum. Ex quibus summum globum possidet illa, quam in terris Saturniam nominant. Deinde est hominum
generi prosperus et salutaris ille fulgor, qui dicitur Iovis; tum rutilus horribilisque terris, quem Martium dicitis;
deinde subter mediam fere regionem Sol obtinet, dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi
et temperatio, tanta magnitudine, ut cuncta sua luce lustret et compleat. Hunc ut comites consequuntur Veneris
alter, alter Mercurii cursus, in infimoque orbe Luna radiis solis accensa convertitur. Infra autem iam nihil est
nisi mortale et caducum praeter animos munere “movetur et infima est, et in eam feruntur omnia nutu suo
pondera.”
Dal brano si evince che l’universo è composto da nove orbite, o meglio nove sfere ruotanti, una
sola delle quali può tuttavia essere definita celeste: infatti, l’ultima sfera è dio. Cicerone non usa il
termine “chiudere”, ma “abbracciare”: dio non è solo limite dell’universo, ma chiude dentro di sé
anche tutte le altre sfere.
La costruzione del cosmo è quella aristotelica, ma Cicerone ha ricevuto anche influssi dallo
Stoicismo. Importante è l’espressione “conexa sunt omnia”: l’universo è un tutto unitario e le sue
parti sono collegate armonicamente. Intorno alla terra ruotano nove sfere concentriche: la prima
porta le stelle fisse, le altre otto portano ciascuna un pianeta.
I.
sfera delle stelle fisse: è definita “Extremus”, ultima. Come per Aristotele, anche per
Cicerone la sfera delle stelle fisse è quella più grande, che abbraccia tutte le altre e quindi
anche la natura; è quella a contatto immediato con il Primo Motore dal quale attinge il moto
che passa a tutte le altre sfere. Le stelle fisse sono distinte dalle stelle erranti, cioè i pianeti:
Luna , Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Tranne questi sette pianeti, gli altri
astri sarebbero fissati alla volta celeste e si muoverebbero in giro con essa, con un moto di
rivoluzione che dura 24 ore, da Oriente a Occidente. Questo moto apparente della sfera
celeste ha fatto credere agli antichi che si trattasse di un “cursus infixus”. Invece i pianeti
prima sembrano spostarsi da est verso ovest, in seguito subiscono delle mutazioni nel loro
movimento; e vengono perciò chiamati stelle erranti. Proprio questo è stato uno dei
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problemi che l’astronomia geocentrica ha affrontato con più difficoltà. È stata poi introdotta
la dottrina degli epicicli. I pianeti stanno tutti al di sotto della sfera delle stelle fisse. Questi
girano autonomamente nei vari segni dello Zodiaco in modo contrario alla rivoluzione del
cielo (Est-Ovest).
II.
Saturno: Scipione l’Africano mostra poi a Scipione l’Emiliano questa stella. In greco il
nome significa “stella brillante”. Gli antichi avevano calcolato il suo corso in modo molto
preciso, tanto che il valore della sua rivoluzione non si scosta di molto da quello attuale. Era
considerato il pianeta più lontano dalla terra. Cicerone è il primo degli scrittori latini che
racconta di questo astro.
III.
Giove: è chiamato da Cicerone “favorevole e salutare” perché si riteneva che emanasse
sugli uomini riflessi particolarmente benigni.
IV.
Marte: è chiamato “rutilus” per il suo aspetto rosseggiante, che per gli antichi dipende
dalla sostanza calda del pianeta. Si contrappone a Saturno, che invece è considerato freddo,
mentre Giove è temperato. Marte è detto anche “horribilis terris” perché si riteneva avesse
una influenza negativa e condizionasse guerre e stragi.
V.
Sole: occupa il luogo centrale ed è considerato dagli antichi uno dei pianeti. Illumina solo la
luna: infatti tutti gli altri pianeti brillano di luce propria. Il corso di tutti pianeti è fissato
entro i limiti corrispondenti a determinate distanze dal sole. Il sole è la mente regolatrice del
mondo perché segna l’avvicendarsi del giorno e della notte e il succedersi delle stagioni.
Cicerone è qui condizionato dallo Stoicismo che ha una teologia solare: gli Stoici credevano
infatti che il sole fosse la forza regolatrice del mondo. Il sole è per gli antichi una stella
misteriosa, le cui dimensioni rimangono controverse.
VI.
Venere e VII. Mercurio: Cicerone descrive Mercurio insieme a Venere: li chiama
“compagni del sole” perché, a differenza degli altri pianeti, girano intorno al sole. Sono
quindi suoi satelliti.
VIII. Luna: non risplende di luce propria, ma riflessa. Il sole la illumina.
Sotto il cielo della Luna c’è la terra. Rimane la distinzione di Aristotele nelle due parti. Di
aristotelico rimane anche la fisica: la terra che attira verso di se tutti i pesi.
L’universo nel suo ordine risuona di un’armonia che Scipione l’Emiliano ha occasione di sentire.
Cicerone lo scrive nel capitolo 18:
“Quae cum intuerer stupens, ut me recepi: 'Quid hic?' inquam, 'quis est, qui complet aures, tantus et tam dulcis
sonus?' 'Hic est,' inquit, 'ille, qui intervallis disiunctus imparibus, sed tamen pro rata parte distinctis, impulsu et
motu ipsorum orbium efficitur et acuta cum gravibus temperans varios aequabiliter concentus efficit; nec enim
silentio tanti motus incitari possunt, et natura fert, ut extrema ex altera parte graviter, ex altera autem acute
sonent. Quam ob causam summus ille caeli stellifer cursus, cuius conversio est concitatior, acuto et excitato
movetur sono, gravissimo autem hic lunaris atque infimus; nam terra nona immobilis manens una sede semper
haeret complexa medium mundi locum. Illi autem octo cursus, in quibus eadem vis est duorum, septem efficiunt
distinctos intervallis sonos, qui numerus rerum omnium fere nodus est; quod docti homines nervis imitati atque
cantibus aperuerunt sibi reditum in hunc locum, sicut alii, qui praestantibus ingeniis in vita humana divina
studia coluerunt.”
L’armonia è prodotta dal movimento delle sfere celesti. Scipione l’Africano illustra a Scipione
l’Emiliano questa armonia.
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L’armonia è chiamata “sonus” : viene ripresa qui la dottrina pitagorica con piccole modifiche.
Le sfere non producono un suono unico, ci sono invece suoni differenti per ogni cielo. I suoni sono
emessi a intervalli impari, perché le distanze tra i cieli non sono tutte uguali. Gli intervalli, tuttavia,
sono in proporzioni tali da produrre un accordo completo tra i suoni stessi (c’è infatti l’ottava con le
sue sette note). I suoni diversi dipendono dalle velocità diverse: maggior velocità vuol dire maggior
distanza dalla terra e quindi suono più acuto (quello delle stelle fisse). Al contrario il cielo più
vicino alla terra ha il suono più grave. Venere e Mercurio, muovendosi alla stessa velocità, hanno
un suono uguale, per questo i suoni sono sette e non otto.
Il sette, a partire dai Pitagorici, è un numero che ha caratteristiche eccellenti: è l’unione dei
numeri superiori, l’1 e il 6, il 2 e il 5, il 3 e il 4. Lo studio di questi numeri componenti, in
particolare della coppia 3 e 4, e dei rapporti settenari vuol dire indagare la natura. L’armonia
diventa un mezzo per arrivare a capire i segreti della natura e aiuta l’uomo a conoscerla. Per
Cicerone, gli uomini cercano di imitare questa musica con gli strumenti musicali; l’Arpinate
omaggia i musicisti, degni di salire dopo la morte al cielo per poter contemplare la musica più bella.
Oltre che ai musicisti il cielo si apre anche ai filosofi. Purtroppo non possiamo udire questa armonia
sulla terra per due motivi: perché ne siamo insensibili oppure perché ne siamo assuefatti. Per
Cicerone è più valida la seconda ipotesi e fa l’esempio di una cateratta che si trova si trova vicino al
Nilo: l’enorme portata d’acqua produce un rumore fortissimo che però gli abitanti non sentono dato
che sono abituati a sentirlo. C’è anche un altro paragone: non riusciamo a sentire l’armonia delle
sfere come non riusciamo a guardare il sole. Scipione, quando sente l’armonia, ne è incantato. Nel
capitolo 19 Cicerone infatti scrive:
“ Hic vero tantus est totius mundi incitatissima conversione sonitus, ut eum aures hominum capere non possint,
sicut intuerim solem adeversum nequitis eiusque radiis acies vestra sensusque vincitur”
Scipione dice che il suono “compleat”, “riempie” le sue orecchie.
Dante, nei vari canti del “Paradiso”, farà riferimento a un sistema cosmologico ordinato e
armonioso molto simile a quello del “Somnium Scipionis”. Non si sa, tuttavia, se Dante abbia avuto
un contatto con l’opera di Cicerone.
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L’armonia del cielo nel Medioevo: Dante
1. Premessa
Dante, nel corso del “Paradiso”, fa spesso riferimento all’armonia dell’Universo, governata
dall’amore divino, che si manifesta nell’ordine in cui l’universo stesso è costruito.
Dante non aggiunge niente di nuovo sul suono del cielo, ma gli va riconosciuto il merito di
essere stato capace di rielaborare le teorie più antiche e anche quelle che, cronologicamente, gli
sono più vicine. Il poeta prende spunto dalla teoria di Pitagora, in quanto Aristotele, filosofo che
nel Medioevo è molto ammirato, aveva negato l’esistenza di un suono celeste. Nel Medioevo,
quindi, ci sono due correnti di pensiero: quella neo-pitagorica e quella aristotelica.
• Un esponente del Neo-pitagorismo è Nicomaco di Gerasa che scrive l’“echiridion
harmonices”: in questo manuale di argomento musicale è descritta la necessità del rumore di
un corpo lanciato e ruotante. Il rumore dipende dalla dimensione del corpo, dalla sua
velocità e dal mezzo di propagazione. Ammiratore di Nicomaco è Severino Boezio, che
scrive il “De institutione musica” e affronta l’argomento da un punto di vista logico: se il
suono ha origine nel movimento, non è assurdo pensare che l’universo muovendosi produca
un’armonia.
• Grande sostegno aveva la teoria aristotelica, condivisa dai maggiori commentatori
di Aristotele: Averroè, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.
Dante non concorda con le tesi aristoteliche, mentre aderisce a quella di Boezio, molto simile a
quelle formulate da Sant’Agostino e San Bonaventura. C’è anche un ipotesi che collega il sistema di
Dante con quello ciceroniano. È una teoria controversa, ma sia Cicerone che Dante partono dal
modello comune di Pitagora. Ciò che fa sospettare che Dante attinga da Cicerone sono termini che
sembrano tradotti dal latino del “Somnium Scipionis” al volgare della “Commedia”. A sostegno di
questa ipotesi c’è anche il fatto che Dante e Cicerone parlano di situazioni talmente simili che
risulta difficile non pensare all’influenza di Cicerone. Un esempio sono i versi 73-84 del canto I del
“Paradiso”:
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso,
con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto, allor, del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece mai tanto disteso.
La novità del suono e ‘l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume
Dante, come Scipione, è stato innalzato a una conoscenza che gli altri uomini non possono
avere: osserva l’universo dal cielo, precisamente dalla Via Lattea che, in Pitagora e nella dottrina
stoica del “Somnium Scipionis” , è ritenuta la sede delle anime. C’è anche un altro punto in comune
tra Scipione e Dante: entrambi vedono ridimensionata l’importanza della terra, piccolo pianeta della
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regione sublunare, dove tutto, eccetto le anime, è caduco e destinato a morire. Cicerone usa il verbo
“paenitet”, mentre Dante dice “… io sorrisi del suo vil sembiante”. Entrambi volgono lo sguardo
verso l’alto: Scipione per ammirare il “templum”; Dante, per contemplare il Paradiso. Sia Dante
che Scipione chiedono ragione del suono alle loro guide.
C’è chi pensa, proprio per questi e altri punti in comune, che Dante abbia ripreso le teorie di
Pitagora dal “Somnium Scipionis” o dai Padri della Chiesa come Ambrogio, Origene e Onorio
d’Autun, che non dipesero dalla tradizione aristotelico-tomistica.
2. Struttura del cielo
L’universo descritto da Dante si presenta in forma tolemaica: la terra è al centro e intorno a essa
ruotano 7 pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno). C’è poi il cielo delle
stelle fisse o Primo Mobile e, infine, l’Empireo, che non è considerato un cielo materiale, ma è la
luce stessa di Dio. L’Empireo non ha spazio. L’universo è uno spazio contenuto nel “non spazio”:
muovendosi nel Primo Mobile, fonda spazio e tempo, perché il movimento è fondante dello spazio
in cui esso avviene e del tempo che impiega per avvenire. Fondamento dell’universo medievale e
dantesco è il dualismo di fondo tra spirito e materia, che si basa su quello più antico della filosofia
classica, essere e divenire.
La materia che forma i cieli è finissima, diversa dai quattro elementi. Dante fornisce indicazioni
precise sulla distanza dei cieli dalla terra: la distanza minima è di 200.000 km; quella massima,
cioè dal cielo delle stelle fisse, è di 130 milioni di km.
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Il movimento dei pianeti è causato dalla velocissima rotazione del Primo Mobile. Il moto dei
cieli è costituito dal moltiplicarsi del primo moto che, a sua volta, è frutto dell’amore di Dio e per
Dio, Motore Immobile del tutto. Il movimento è prodotto e regolato dalle potenze motrici o
gerarchie angeliche che vedono Dio e seguono la sua volontà: fanno muovere l’universo in base alla
loro visione di Dio.
L’universo fisico rispecchia una verità profonda che vede Dio come centro della realtà spirituale
costituita dalle gerarchie angeliche. Tutto questo diventa il riflesso di un ordine morale che ha Dio
al suo vertice. Tale ordine si pone come meta e come scala normativa per il comportamento umano.
L’ordine è in primo luogo fisico, quindi c’è un collegamento armonico di tutto il creato: tutto si
muove da Dio, motore immobile, a Dio, causa finale. Tra l’assoluta grandezza e altezza di Dio e la
limitatezza e la bassezza mondana sta, come ponte provvidenziale, l’incarnazione del Verbo, che
traduce il disegno ordinato e perfetto nella storia degli uomini e nella morale.
3. Il suono dell’universo
Il suono del cielo nella “Commedia” è strettamente legato alla luce. Per Dante, i due sensi più
importanti sono la vista e l’udito; poche volte troviamo descrizioni operate tramite altri sensi. Vista
e udito si completano anche per quanto riguarda l’armonia dell’universo. Questa, infatti, attrae
Dante, che in seguito vedrà la luminosità dei cieli. Luce e suono, quindi, vanno di pari passo, tanto
che nell’inferno, più precisamente, nel limbo, Virgilio ci dice che non essendoci luce non c’è
neanche suono. Oltre al carattere di luminosità, Dio ha anche quello di musicalità: per questo, se
manca la luce, manca anche la musica. La luce e il suono vengono associati al sole, come già
accadeva in antichità: il sole era chiamato “lumen irradians” e “numero numerans”. Non a caso
nel “Somnum Scipionis” il sole ha un ruolo centrale: occupa una posizione preferenziale, cioè una
posizione intermedia, come nell’ordine caldeo. Al sole è attribuito l’epiteto “temperatio”, che
allude all’accordatura delle corde. Il concetto è ripreso da Dante che, nel canto X del Paradiso ai vv.
28-30, scrive riguardo al sole:
“Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo impentra
e col suo lume il tempo ne misura”.
“Valore” è termine musicale che fa riferimento a quello che già Cicerone nel “Somnium
Scipionis” affermava: la sovrapposizione degli otto giri e dei sette suoni. Il sole è “ministro della
maggior natura” (“mens mundi” per Cicerone): regola il suono di tutti cieli, proprio come nelle
corde di una lira quella che sta al centro serve per accordare le altre. Il sole ordina l’armonia: infatti
nell’inferno, non essendoci il sole, non c’è armonia. L’armonia vera e propria si trova solo nel
Paradiso, dove c’è pienezza di luce: gli spiriti che in occasione del viaggio di Dante si dispongono
nel cielo del sole sono detti, nel canto X al verso 66:
“più dolci in voce che in vista lucenti”
Dante aggiunge, nei successivi vv. 73-75, che la loro melodia è ineffabile:
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“ e ‘l canto di quei lumi era di quelle;
chi non s’impenna sì che la su voli,
dal muto aspetto quivi le novelle”
Dante, a differenza di Cicerone, non si occupa dell’aspetto tecnico della musica, ma è colpito
piuttosto dalla novità di questo suono nuovo, dalle sue caratteristiche qualitative e dal fatto che non
si riesce a capire quale ne sia la fonte. L’unico collegamento che si può stabilire è quello tra musica
e tempo, completato con quello della luce associata allo spazio.
Per spiegarci la natura del suono, Dante segue la tesi di Simplicio: la musica delle sfere non va
intesa come una vibrazione che, propagandosi nell’aria, colpisce l’udito umano, ma è un atto
intellettivo, tramite il quale l’uomo può capire quali sono i rapporti armonici che regolano
l’universo. Dante, affermando ciò, si schiera contro le critiche mosse da Tommaso d’Aquino a
Simplicio: l’opera di Dante si pone come dimostrazione che il suono del cielo esiste veramente e
che è a sua volta dimostrazione di un’armonia, prodotta dal fatto che l’universo è una struttura
ordinata. L’ordine è imposto ai cieli per amore divino.
Dante accetta da Tommaso l’allusione al numero, il rapporto numerico-proporzionale che c’è
nella musica. Nel “Convivio” (Tratt. 2, 13) scrive infatti:
“e il cielo di Marte si può comparare alla musica per due proprietari l’una si è la sua più
bella relazione: chè, annumerando li cieli mobili, da qualunque si comincia, o dall’infimo o
dal sommo, esso cielo di Marte è lo quinto, esso è lo mezzo di tutti, cioè delli primi, delli
secondi, delli terzi e delli quarti. L’altra si è che esso Marte (…) E queste due proprietari
sono nella Musica: la quale è tutta relativa, sì come si vede nelle parole armonizzate e nelli
canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta quando più la relazione è bella: la quale in
essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa si intende. Ancora: la
Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi
cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre
allo spirito sensibile che riceve lo suono”.
Nella prima parte Dante collega il cielo di Marte con la scienza musicale. Nella conclusione dice
che si ha la possibilità di ottenere un’armonia tanto più dolce quanto la relazione è bella, ma non
spiega il termine relazione, né i parametri per stabilire la maggiore o minore bellezza. Il fatto che
Marte si trovi al quinto posto della scala planetaria da qualsiasi parte la si consideri, unito
all’osservazione della sua bellezza e alla relazione che ne consegue, potrebbe richiamare il diapente
greco, intervallo consonante. In questo ordine matematico, la musica permette di cogliere il disegno
ordinato dell’universo dall’ordine provvidenziale. L’universo è ordinato secondo una logica
numerica rigorosa, la stessa che organizza la musica: il suono dei pianeti è regolato, a un pianeta
con una certa altezza sonora, ne è contrapposto un altro con un’altra altezza.
Conoscere la musica celeste non è altro che un modo per arrivare a capire i misteri della natura e
cercare di comprendere il disegno provvidenziale divino.
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L’armonia del cielo studiata con la cosmologia moderna
La concezione che l’universo sia armonico non si è persa nel corso dei secoli; la cosmologia ha
subìto rivoluzioni sconvolgenti: oggi sappiamo che l’universo non è un insieme di sfere rotanti con
la terra al centro, che nel loro movimento producono una musica celestiale. Rimane, tuttavia, una
“musica” nell’universo, un sottile sussurro che ci proviene dalle profondità del cielo: la radiazione
cosmica di fondo. Benché questa sia un sibilo, ci fornisce dati importanti sulla struttura
dell’universo, argomento ancora molto dibattuto.
1. L’origine della radiazione cosmica di fondo
Per capire da dove provenga il suono dell’universo, bisogna prendere in considerazione l’origine
dell’universo: il Big Bang. Dal nulla c’è un gigantesco lampo di energia. Da lì in poi l’universo
comincia a espandersi. La materia comincia a condensarsi: dopo un miliardesimo di secondo, si
formano quark, gluoni e leptoni. Inizia a formarsi una radiazione, chiamata plasma di quark e
gluoni.
Era subatomica
Era nucleare
Era del plasma
atomico
Era dei processi
chimici
Tempo (s)
10-6
10-2
1013
Energie scambiate
1
10-2
10-8
Temperature (K)
1013
1011
10 4
da 300.000 anni dopo il
big bang
10-11
3
Dopo un milionesimo di secondo la temperatura scende fino a diecimila miliardi di gradi. Le
particelle di materia perdono energia e rallentano: il plasma di quark e gluoni si addensa e
formano protoni e neutroni e in particelle che decadono in poco tempo.
L’universo, espandendosi , si raffredda ancora di più: si formano i primi nuclei atomici.
Alcuni protoni rimangono slegati e formano i nuclei di idrogeno. L’universo arresta poi la sua
nucleosintesi: è ormai troppo freddo per formare nuovi nuclei (serve una temperatura
sufficientemente alta perché protoni e neutroni possano scontrarsi e rimanere uniti). La
temperatura, tuttavia, non permette ancora di formare gli atomi della materia ordinaria.
A questo punto non si può più parlare di plasma di quark e gluoni, ma di un’altra
radiazione: la radiazione elettromagnetica, una luce di energia estremamente grande, tanto
che l’universo deve ancora raffreddarsi per impedire il bombardamento dei fotoni. Questo
accade durante la ricombinazione, quando iniziano a formarsi i primi atomi. La materia
formata è però allo stato di plasma, cioè gli elettroni sono staccati dai nuclei. Questo stato della
materia interagisce con i fotoni: se un fotone entra nel plasma, è assorbito dagli elettroni e dai
nuclei.
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Prima della ricombinazione, ogni fotone veniva deviato in continuazione, l’universo era
opaco alla radiazione e questo non permetteva ai fotoni di viaggiare liberamente. Quando poi
l’universo si raffredda i fotoni iniziano a viaggiare liberamente. È così che la radiazione di
fondo giunge fino alla terra, dandoci informazioni sull’origine e, in seguito, sulla struttura
dell’universo (le stesse informazioni ci sono date anche dalla legge di Hubble e l’elio
primordiale).
Nel 2002 è stato lanciato in orbita intorno alla terra un satellite che ha esteso lo studio della
radiazione cosmica di fondo a tutta la volta celeste.
2. Gli studi di Penzias e Wilson
La radiazione cosmica di fondo è stata studiata da Penzias e Wilson nel 1963. I due scienziati
avevano osservato che questa proveniva da tutte le direzioni del cielo. Ciò che realmente videro fu
una debole immagine dell’ultima superficie di diffusione, la nube di plasma che diffuse la luce
prima di lasciarla libera. Questa radiazione, liberata al tempo della ricombinazione, ora ci giunge
stirata e attenuata dopo 14 miliardi di anni.
La radiazione era all’inizio formata da raggi γ a altissima energia, poi nel tempo anche la luce si
è smorzata e raffreddata, trasformandosi prima in raggi X, poi in luce ultravioletta, in seguito in
luce visibile e, infine, passando per l’infrarosso, in microonde. Queste onde sono difficili da
cogliere sul pianeta, perché sono presenti in qualsiasi cosa sulla terra, compresi i telescopi che
devono studiarle. Le microonde hanno un’energia minore dell’infrarosso. Importante è considerare
la temperatura del plasma che ha originato la radiazione cosmica di fondo. Ora la radizione che ci
giunge è simile a quella di un corpo nero della temperatura di 2,7 gradi sopra lo zero assoluto,
valore determinato dal numero delle microonde emesse. La radiazione è coperta perché ogni altro
corpo nell’universo ha una temperatura maggiore di questa in quanto emette un numero di
microonde maggiore. Per studiare la radiazione bisogna bloccare tutte le altre microonde. Sono
serviti 50 anni per perfezionare gli strumenti adatti a rilevare la radiazione.
Quello che si è scoperto è che il plasma che ha prodotto la radiazione cosmica di fondo non era
uniforme: in alcune zone era più denso, in altre più sottile. Quando la materia si è espansa, questo
plasma si è aggregato in zone più dense e ha formato le galassie. Le regioni sottili corrispondono a
bolle di vuoto tra gli ammassi di galassie. Sono proprio le zone meno dense, chiamate fluttuazioni
di massa, che hanno lasciato un marcio sul fondo cosmico di radiazione.
3. Le scoperte di Yakov Zel’dovich e il satellite COBE
Yakov Zel’dovic e altri fisici, all’inizio degli anni ’70, hanno approfondito gli studi sulla radiazione
cosmica di fondo. La scoperta più importante riguarda la radiazione prima dell’età della
ricombinazione: la luce e la materia ribollivano e oscillavano; questo avrebbe dovuto rendere il
fondo cosmico irregolare. Non è così: il sibilo è identico in tutte le direzioni. Il segnale è però più
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forte e “caldo” dove il plasma era particolarmente denso; è invece più debole e “freddo” dove il
plasma era più sottile. Questa diversa intensità del suono del cielo è detta anisotropia.
Fino al 1990 non era possibile analizzare sperimentalmente la radiazione cosmica di fondo
perché gli strumenti non erano abbastanza perfezionati. Il primo “ascolto” si è ottenuto con il
satellite COBE (Cosmic Background Explorer). Il satellite è stato raffreddato con elio liquido e
schermato dalla radiazioni provenienti dalla terra e dal sole, dopodiché è stato inviato nel vuoto
dello spazio. Il COBE per la prima volta è riuscito a registrare l’anisotropia, senza però registrarne i
particolari. La “musica” proveniente dall’universo è giunta al satellite come un debole strimpellare
e l’anisotropia rilevata era molto lieve. Il satellite, tuttavia, è riuscito a dimostrare l’esistenza di un
suono nell’universo e della sua anisotropia.
4. Un grande carillon – Il cielo che suona
Queste scoperte non possono che far pensare ai miti antichi sulla musica che risuona nell’universo.
Un sogno si è realizzato: finalmente, siamo riusciti a ascoltare l’armonia celeste che solo Scipione e
Dante hanno potuto udire. Il COBE ha dimostrato che l’universo suona: la radiazione che provoca
questa “musica” proviene dal passato, quando tutto l’universo risuonava come un grande strumento
musicale, in modo armonioso, del quale possiamo percepire solamente la sua eco distante: il fondo
cosmico di microonde.
Così come le onde sonore sono costituite da un alternarsi di compressione e rarefazione dell’aria,
le onde acustiche prodotte dall’universo nelle sue prime fasi sono causate dall’alternanza tra
compressioni e rarefazioni nel plasma prima della ricombinazione: sul plasma primordiale ha
influito la gravità, che tende a far aggregare la materia, opposta alla pressione di radiazione, la forza
esercitata sul plasma dai fotoni. La pressione di radiazione tende a far allontanare le particelle. Più
calda è la porzione di materia, più fotoni emette e quindi la pressione di radiazione è più intensa: ciò
fa espandere la materia. La radiazione cosmica di fondo ci presenta zone nelle quali la gravità ha
avuto subito il sopravvento: dove il plasma era più compresso e caldo, la radiazione è più intensa.
La spinta della radiazione prima bilancia l’attrazione gravitazionale, poi la supera, determinando
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un’espansione: qui la radiazione diventa meno intensa perché il plasma si è raffreddato e produce
meno fotoni. La pressione di radiazione diminuisce e permette alla gravità di riprendere il
sopravvento.
Questo è quanto è successo nei primi istanti di vita dell’universo. 400.000 anni dopo il Big Bang,
il ciclo gravità-pressione di radiazione si arresta: gli elettroni si uniscono ai nuclei e il plasma
diventa un gas trasparente. Siccome i fotoni non vengono più deviati, la pressione di radiazione non
agisce più e la gravità ha il sopravvento. Le oscillazioni acustiche si fermano quindi prima della
ricombinazione, ma rimane la loro traccia nell’universo: l’anisotropia del fondo cosmico. Sono
evidenti dall’osservazione del COBE zone dove il plasma stava cominciando a espandersi: calde,
dense e brillanti; altre regioni erano al massimo dell’espansione e stavano per contrarsi: fredde e
poco brillanti. Ci sono poi zone in cui il processo è intermedio.
Le oscillazioni acustiche dell’universo sono studiate anche con la velocità della luce, che
evidenzia la grandezza massima sia delle zone fredde ( dove la materia ha potuto aggregarsi), sia
delle zone calde
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Zone grandi e calde: all’inizio, il limite del diametro era circa 1 grado; ciò avrebbe
permesso alla materia di contrarsi prima della ricombinazione; per questo le regioni calde
brillano di più delle zone circostanti. Queste sono anche le zone formatesi 14 miliardi di
anni fa.
Zone piccole e fredde: Non tutte le nubi di materia però avevano il diametro massimo: ci
sono alcune zone che misurano la metà; il loro tempo di aggregazione è dimezzato, hanno
impiegato 200.000 anni per arrivare alla densità massima. Alla ricombinazione mancavano
altri 200.000 anni: la nube piccola si è contratta più che poteva, è calda e brillante, irraggia
molta luce; ma maggior quantità di luce vuol dire maggior pressione di radiazione, che
causa una nuova espansione, il cui picco e proprio durante la ricombinazione. Queste zone
sono evidenziate dalla radiazione cosmica come macchie fredde.
Zone ancora più piccole: sono un terzo della dimensione massima. Si sono potute
contrarre prima della ricombinazione. Sono visibili come macchie calde.
La radiazione cosmica di fondo è quindi picchiettata da macchie calde e fredde: quelle più grandi
hanno la misura di circa un grado, per poi passare a quelle che misurano circa un terzo di grado, un
quinto di grado e così via. Le macchie fredde decrescono allo stesso modo. Le macchie calde sono
chiamate anche picchi, quelle fredde valli. Il picco più alto è quello corrispondente a un grado.
Questo è uno dei problemi maggiori che ha dovuto affrontare il satellite COBE, che permetteva solo
di vedere variazioni su scala di 7 gradi. Un’altra difficoltà è quella che riguarda la veridicità dei
valori teorici: il calcolo di 1 grado può essere errato, perché lo spazio e il tempo possono aver
distorto i valori reali.
Il primo picco è stato osservato 10 anni dopo. L’osservazione è stato condotta in Antartide, sul
monte Erebus: il gruppo Boomerang, stanziato sul monte, nell’aprile del 2000 è riuscito a ottenere
una fotografia più precisa di quella del COBE.
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In questa foto sono visibili le macchie corrispondenti alle diverse temperature. Lo strumento
utilizzato per studiare la radiazione cosmica di fondo è un telescopio chiamato Boomerang (
abbreviazione di ballon observation of millimetric extragalactic radiation and geophysic). Questo
era attaccato a un pallone di elio sopra l’antartico dal 1998. L’antartico è stato scelto perché essendo
più freddo irradia meno microonde che possono nascondere le minime variazioni della radiazione,
che, raccolta dal telescopio, è poi stata trasportata a dei bolometri, sensori di calore molto sensibili.
Le macchie studiate dal Boomerang hanno verificato le teorie formulate in precedenza. Sono
diventate elementi di riferimento per capire la struttura dell’universo. Attualmente è aperto un
dibattito: ci sono tre modelli possibili ma non si sa quale sia il più corretto. La radiazione cosmica
di fondo però ne verifica uno: quello dell’universo inteso come struttura piatta (ρc = ρ); le macchie
hanno la dimensione massima di circa 1 grado, se l’universo fosse incurvato come una sfera (ρ>ρc)
le macchie apparirebbero più grandi, si calcola circa un grado e mezzo o due. Se l’universo fosse
incurvato come una sella (ρc>ρ), le macchie più grandi apparirebbero al massimo di due terzi di
grado. Gli esperimenti verificano che la grandezza è quella di circa un grado. Questo significa che
la radiazione proveniente dall’universo non è distorta dalla curvatura, l’universo è quindi piatto.
Si è riusciti finalmente a verificare in modo scientifico quello che Scipione e Dante hanno potuto
percepire spiritualmente: la struttura del cielo che in tutto il suo ordine si mostra a noi tramite il
suono. I risultati sono diversi: per gli antichi l’universo era sferico, per noi è piatto. Questa però non
è una certezza.
5. Siamo in una bolla!
La radiazione cosmica di fondo verifica anche un altro modello cosmologico recente che si basa
non più sull’anisotropia che si verifica su piccola scala, ma sull’isotropia che l’universo mostra nel
suo complesso. Questo nuovo modello elimina giustificazioni basate sulla materia oscura,
sull’energia oscura e pone in una posizione preferenziale la terra (cosa che contravviene a uno dei
cardini della cosmologia: non c’è centro nell’universo, tutti i punti possono essere il centro).
Materia e energia oscura sono state introdotte per verificare il fatto che l’universo sta accelerando la
sua espansione. Questo però va a compromettere il fatto che, su larga scala, l’universo sia uniforme.
Si è introdotto quindi un modello a bolle di vuoto; in una di queste si troverebbe anche la terra.
Dentro la bolla, la gravità è più debole e la sua espansione è più veloce rispetto all’area circostante,
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dove c’è maggiore densità. La prova che la terra si trova al centro del grande vuoto è la radiazione
cosmica di fondo. Attualmente, si sta studiando l’interazione che i fotoni e la radiazione cosmica di
fondo hanno con la bolla quando passano al suo interno.
Conclusione
Troppe volte siamo portati a pensare che sia vero solo quello che possiamo vedere. In realtà,
l’universo si manifesta in molti altri modi, che consideriamo meno attendibili perché non rientrano
nell’ambito del visibile. Il cielo, però, si manifesta in tutto il suo ordine non tanto ai nostri occhi
quanto nel suo suono; che la sua “musica” sia una celestiale melodia o un debole sussurro, l’effetto
è lo stesso: i grandi segreti che il cielo nasconde agli occhi sono portati sulla terra da altre parti
dello spettro elettromagnetico, le microonde, che nel loro percorso nello spazio e nel tempo, sono
testimoni dei primi istanti di vita dell’universo e della sua reale conformazione.
I segreti del cielo erano manifesti tramite il suono anche presso gli antichi. Dopo Copernico, il
sistema cosmologico che poneva la terra al centro è crollato e, successivamente, con Keplero la
teoria del cielo organizzato in sfere concentriche. Questo non vuol dire che ciò che si è scoperto
prima di Copernico sia da scartare. Le teorie sull’armonia dell’universo e del suono che ne deriva
non possono essere definite false, perché prima di tutto sono un valido punto di partenza: se gli
antichi non avessero posto il problema, ora non potremmo discuterne; in secondo luogo, non si può
decretare quale tra la loro concezione e la nostra sia la migliore, perché si fondano su “sensibilità”
diverse: gli antichi e Dante si sono avvicinati al cielo in maniera spirituale e il suono arrivava alla
mente o al cuore; noi invece indaghiamo il cielo in modo tecnico-scientifico. Quando si parla di
qualcosa di misterioso come l’universo, i due ambiti in qualche modo si mescolano: il viaggio
spirituale di Scipione (e poi quello di Dante) è valido come dimostrazione per il sistema aristotelico
e per l’esistenza dell’armonia dei cieli. Lo stesso vale per noi: il nostro avvicinarci in modo
scientifico al cielo richiede sempre un interesse che non è solo scientifico; l’universo ci colpisce
nello spirito con la sua meraviglia. È proprio per questo che scienze come la cosmologia e
l’astronomia possono progredire.
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Bibliografia
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