L’ALITOSI E L’ ASSOCIAZIONE CON LA PARODONTITE Introduzione Con il termine alitosi (dal latino halitus alito, dal greco osis anormale) o foetor ex ore (dal latino foetor cattivo odore, ex dalla, os, oris bocca) si indica l'odore fetido e sgradito dell'aria emessa durante gli atti di fonazione e respirazione. Questa condizione colpisce un segmento considerevole di popolazione, senza distinzioni di sesso e razza. Costituisce, inoltre, un notevole handicap sociale e psicologico, giacché, nella società attuale, l'odore sgradevole proveniente dall'individuo è considerato un importante tabù. Il problema ha sempre avuto rilevanza sociale, lo testimoniano antichi scritti provenienti dalla Cina, dalla cultura greca, cristiana, romana e islamica, circa le possibili cause e i rimedi all'alito cattivo. In particolare, la teologia islamica insiste sull'efficacia dell'uso del Siwak o Miswak, un utensile detergente e officinale (collocabile a metà tra lo stuzzicadenti e lo spazzolino), ricavato dal ramoscello di una pianta chiamata Salvadora Persica; tale rimedio naturale apportava benefici su denti (eliminando i residui di cibo) e gengivea. Altra testimonianza interessante ci è pervenuta dallo stesso Ippocrate, il quale, già nel 400 a.C. aveva rilevato un’associazione tra parodontite e alitosi, deducendo che “il risanamento della gengiva comportava una scomparsa del cattivo odore”7. Nel 1934, Fair e Wells misero a punto uno strumento in grado di misurare l'intensità degli odori; apparecchio che, anni dopo, verrà utilizzato per l'analisi dell'alito1. Sarà, tuttavia, solamente negli anni settanta, con il contributo di Joe Tonezetich (University of British Columbia di Vancouver)2 e di Mel Rosenberg (University of Telaviv)3che verranno condotti i primi studi su: eziologia, aspetti clinici e diagnosi. In tempi recenti, i progressi scientifici e la crescente attenzione individuale dei soggetti affetti, ha portato ad un maturato interesse per questa problematica. Altro aspetto da non sottovalutare riguarda le conseguenze economiche dell’alitosi: oggi, in commercio, si trovano numerosi presidi che mirano a risolvere gli effetti di questa condizione. Tali presidi tendono, tuttavia, a trascurarne l'eziologia, che solo in minima parte è riconducibile a patologie non correlate al cavo orale. Si stima, infatti, che l'alitosi sia riconducibile a patologie che hanno sede all'interno della bocca per l’80-90% dei casi4. a. Le virtù benefiche del Siwak sulle gengive si ottenevano mediante lo sfregamento dello stesso sulla parete gengivale. Epidemiologia Gli studi epidemiologici sull'alitosi non sono numerosi, ne consegue che neppure i dati sulla prevalenza risultano abbondanti; questo è associato all'esistenza di una marcata difficoltà nell'individuazione obiettiva del disturbo. Solo recentemente sono stati introdotti in commercio strumenti in grado di valutare, nell'aria, la presenza di composti volatili solforati correlati all'alitosi. Uno studio effettuato nel 1966 nei Paesi Bassi (de Wit, 1966)1, su un campione di 11625 persone, ha dimostrato che la prevalenza del disturbo era del 25%, in individui con più di 60 anni di età, mentre scendeva drasticamente al 10 %, se l'età dei soggetti era inferiore a 20 anni: l'incremento della prevalenza risultava quindi proporzionale all'aumento dell'età. Negli Stati Uniti la percentuale di popolazione che presenta problemi di alitosi oscilla tra il 10 il 30% (Meskin,1996)1. Nonostante i dati sulla prevalenza non siano recenti, è rilevante che negli Stati Uniti vengano spesi circa un bilione di dollari l'anno in prodotti rinfrescanti per l'alito; pare oggettivo che si tratta di un problema talmente sentito dalla popolazione, da ricorrere a tali rimedi. Lo studio condotto da Miyazaki et al.(1995), su un campione di popolazione di età compresa tra i 18 e i 64 anni, dimostra inoltre, che la prevalenza tra individui di sesso maschile e femminile non è significativa. (La prevalenza in questo studio è del 28%, è stata valutata con Halimeter® ed è stata considerata patologica la presenza di composti volatili maggiore di 75 ppm)12. Anche studi più recenti hanno dimostrato che la prevalenza (su un campione di popolazione che frequenta abitualmente uno studio) non si riduce con il passare del tempo. I risultati dell'ultima ricerca, che risale al 2006 (Liu et al.), hanno evidenziato che il 27,5 % dei soggetti era affetto da alitosi1. La pratica clinica ci insegna che la percentuale di pazienti con alito sgradevole è, in realtà, molto più numerosa e che, le percentuali sopra riportate, tendano a sottostimare il problema. Secondo la nostra esperienza, infatti, quasi la totalità dei pazienti parodontopatici presenta alitosi e questo (pare) fortemente correlato alla gravità della patologia. Eziologia La bocca va considerata, strutturalmente e funzionalmente, un'entità anatomofunzionale sia dell'apparato respiratorio che di quello digerente, in quanto ne costituisce per entrambi il tratto iniziale. L'aria emessa dalla bocca è pertanto composta sia dall'aria contenuta della stessa, sia da quella proveniente dagli spazi oro e nasofaringei, dalla trachea, dai polmoni e più raramente, può sussistere un'influenza da parte del contenuto gastrico (generalmente in caso di alterata funzione del cardias). In teoria, quindi, qualsiasi alterazione o patologia che provochi la liberazione di composti volatili dall'odore sgradito, che s’immettono poi nell'aria espirata, può essere causa di alitosi. Dopo aver scisso l'alitosi temporanea (che non può essere considerata alitosi, come quella presente solo al risveglio mattutino), dall'alitosi pura, è possibile suddividere le cause che la provocano in due grandi gruppi: l'alitosi da cause intraorali e quella da cause extraorali (Tab.1). La teoria definisce anche un terzo tipo di alitosi, la pseudoalitosi, che si traduce nella costante paura di essere affetti da questa patologia: come pare ovvio non si tratta di una vera e propria alitosi, ma di un problema di natura psicologica. CAUSE DI ALITOSI • • • • • • ORALI Gengiviti, Parodontiti Patina linguale Carie Xerostomia Cattiva igiene orale (protesi) Alterazioni della mucosa • • • • • • NON ORALI Ernia iatale Malattie o.r.l. Diabete mellito Epatopatie Nefropatie con uremia Cibi alitogeni, fumo, alcool Tabella 1 Fra queste cause uno studio condotto da Delanghe et al.(1997) ha dimostrato che nell’87% dei casi l'eziologia è strettamente orale, nell'8% è di origine otorinolaringoiatrica e contro le credenze popolari solo nell'1% dei casi è correlata a disturbi gastroenterici1,5(Fig. 1). Le cause intraorali più comuni sono la gengivite, la parodontite e la presenza di una quantità eccessiva di batteri che si accumulano nel dorso della lingua. Origine orale Origine gastroenterica Origine otorinolaringoiatrica Altre origini Figura 1 Patogenesi dell’alitosi intraorale L'alitosi da cause orali è provocata dalla presenza di composti, con caratteristiche fisiochimiche che li rendono volatili; questi composti vengono prodotti sulla superficie delle strutture del cavo orale e in minima parte nella saliva. L'alitosi si manifesta poiché questi composti vengono facilmente trasportati all'esterno del cavo orale durante la fonazione e la respirazione. I composti volatili solforati (VSC, volatile sulphur compounds) che si trovano più comunemente sono: il solfuro di idrogeno (H2S) e il metilmercaptano (CH3SH). Nell'alito dei soggetti affetti possono essere riscontrati, in quantità meno considerevole, altri composti che appartengono alla stessa famiglia (come il dimetilsolfuro e il bisolfuro dimetilico); tuttavia, considerarne la presenza causa di alitosi rimane discutibile. In alcuni casi possono presentarsi l'acido butirrico, l'acido valerico, l'acido isovalerico, l'acido propionico, la metilamina, la putrescina e la cadaverina5,6. L'esistenza di VSC è dovuta ad alcuni microrganismi generalmente gram negativi facoltativi o anaerobi obbligati: come le spirochete, i batteri fusiformi, la veillonella e i vibrioni; quest'ultimi hanno la capacità di produrre cattivo odore attraverso la putrefazione dei substrati proteici (metionina,cisteina) contenuti nella saliva, nelle cellule di sfaldamento della mucosa orale, nel fluido crevicolare e nel sangue. Gli studi condotti da Persson (1989,1990,1993) hanno provato che sono 82 le specie batteriche in grado di produrre H2S o CH3SH, alcune delle quali sono addirittura in grado di produrre entrambi i composti organici, è il caso di 12 sottospecie del F. Nucleatum8. Inoltre, è stato riscontrato che la presenza di composti organici solforati aumenta in maniera direttamente proporzionale all'aumentare della profondità di sondaggio, in presenza di sangue, e in associazione all'aumentata essudazione del fluido crevicolare; segni caratteristici di gengivite e parodontite. I batteri che più frequentemente si riscontrano in pazienti con alitosi, sono: Treponema denticola, Porfiromonas gengivalis, Phorfiromonas endodontalis, Prevotella intermedia, Bacteroides loescheii, Enterobacteriaceae, Ekinella corrodens, Fusobacterium nucleatum. Non tutti questi batteri sono presenti in caso di parodontite, ma vengono comunque associati ad altre patologie del cavo orale. I siti del cavo orale dove avvengono maggiormente i processi di putrefazione e che quindi sono imputabili all'accumulo di VSC sono la lingua e i solchi gengivali. Al contrario della quantità di VSC presente nell'alito di pazienti affetti da alitosi, in cui H2S è il composto predominante, la quantità di VSC proveniente dalle sole tasche, rivela come composto predominante il CH3SH8. La letteratura interanazionale2,5,6 è abbastanza concorde nell'affermare che i processi di putrefazione avvengono nella lingua, nello specifico nel suo terzo posteriore. La superficie linguale è costituita da numerose estroflessioni, le cosiddette papille gustative che ne aumentano notevolmente la superficie e che ne migliorano la sensibilità gustativa e propriocettiva. Queste caratteristiche fisiche la rendono anche un habitat perfetto per la flora batterica che, insieme ai residui alimentari e alle cellule di sfaldamento della mucosa orale, costituiscono la cosiddetta patina linguale; quest'ultima non solo varia nelle diverse aree della lingua e in relazione all'attività funzionale e al livello di igiene orale, ma anche in momenti diversi della giornata5. Rimuovere la placca dalle sole superfici dentali non'è sufficiente a eliminare il cattivo odore, è necessaria anche una pulizia del dorso linguale soprattutto in pazienti parodontalmente sani. Spazzolare la lingua, infatti, riduce la produzione di composti solforati di circa il 75%, mentre spazzolare solo le superfici dentali, li riduce del 25%6. Postulato che nella lingua avvengono i processi di putrefazione, la nostra esperienza diretta ci insegna che questa non ha un ruolo predominante rispetto alle tasche. L'alitosi in pazienti parodontali, infatti, diminuisce drasticamente o addirittura viene eliminata, dopo poche sedute di scaling e root planning. Ridurre drasticamente la carica batterica, l'infiammazione e quindi il sanguinamento è, quasi nella totalità dei casi, risolutiva. In casi di parodontite avanzata, dove si possono trovare tasche di almeno 7 mm, con essudato purulento, la riduzione di composti solforati può continuare nonostante le prime sedute di detartasi. In questi casi il quadro generale di alitosi, se ancora presente, è nettamente migliorato; ciò non esclude che soffiando con la pistola aria-acqua nelle tasche si generi comunque odore sgradevole. In questi siti l’alitosi sarà presente fino al momento della guarigione; circostanza in cui la profondità di sondaggio si ridurrà progressivamente. Un altro studio ha evidenziato che la presenza di composti solforati è più alta in pazienti con profondità di sondaggio maggiore di 4mm piuttosto che in pazienti con profondità minore di 4 mm. É stato anche notato che quest'associazione è direttamente proporzionale alla presenza di sangue e alla profondità di sondaggio, segni che riflettono la gravità della malattia7. Sappiamo che tra i più comuni composti solforati il solfuro di idrogeno è prodotto a partire dai tioli, come la cisteina, mentre il metilmercaptano origina dalla metionina attraverso la reazione delineata sotto: metionina → 2-ketobutyrate + ammoniaca + metilmercaptano É stato dimostrato che la quantità di 2-ketobutyrate nella saliva aumenta drammaticamente nei pazienti malati rispetto a quelli sani e questo dimostra che il metabolismo della metionina è accelerato nei pazienti parodontali e ne comporta un conseguente aumento dei valori di metilmercaptano. Tutto ciò suggerisce che il metabolismo di questo amminoacido essenziale è accelerato nelle tasche parodontali, sia a causa del sanguinamento, sia per la presenza abbondante di microrganismi patogeni, che per l'essudazione maggiore di fluido crevicolare7. É importante evidenziare inoltre che, solo la metionina libera è una buona fonte per la produzione di metilmercaptano e quindi è fondamentale indagare dove questa si concentri maggiormente. Il fluido crevicolare rappresenta da questo punto di vista la fonte migliore. Anche uno studio (Tonzetich J. et al., 1986) ha riscontrato che i livelli dei composti solforati ricchi di metilmercaptano in pazienti parodontali sono altamente più elevati rispetto a i pazienti sani. Questo studio dimostra che la patina linguale aumenta in pazienti parodontali e che gioca un ruolo importante nella produzione di composti solforati in tutti i tipi di pazienti7. Come abbiamo evidenziato in precedenza, la patina è ricca di cellule epiteliali, microrganismi e leucociti provenienti dalle tasche parodontali. Per dimostrare ciò, in questo studio, sono stati valutati i livelli di VSC in pazienti parodontali e sani, prima e dopo aver rimosso accuratamente la patina linguale, che è stata valutata anche in peso. Si è riscontrato che i pazienti parodontali hanno una quantità di patina, in media, molto superiore ai controlli (14,6 mg contro 90,1 mg) e la produzione di composti solforati è aumentata almeno del quadruplo. Inoltre, la patina dei pazienti parodontali è ricca di metilmercaptano piuttosto che di solfuro di idrogeno e che immediatamente dopo la rimozione di questa, la produzione di VSC si riduce della metà sia nei malati che nei controlli7. Anche questo studio avvalora la nostra ipotesi secondo cui i cambiamenti, che avvengono a livello parodontale, sono quelli che poi hanno ripercussioni a livello linguale,come esemplificato appena sopra, dove la quantità di patina e di composti solforati nei pazienti parodontali era altamente superiore. Uno studio recente condotto in una clinica italiana (Abati S. et al.) ha analizzato, attraverso la microscopia elettronica a scansione, gli aspetti morfologici dei biofilm presenti nel dorso linguale dei pazienti parodontopatici, dimostrando che questi non sono poi così diversi da quelli riscontrati nelle tasche parodontali. Inoltre sono gli stessi batteri che provocano la patologia in individui in stato di salute5. Un test meno attuale ( Loesche WJ et al. 1990) ha riscontrato la presenza di patogeni parodontali come T. Denticola e P.gengivalis, nel 74,4% dei denti e nel 92,5% della lingua in individui parodontalmente sani. Anche se la specificità e la sensibilità di questo test non sono elevatissime (rispettivamente 53% e 85%) c'è sicuramente una forte indicazione per cui almeno uno dei patogeni parodontali è presente nel dorso linguale di pazienti affetti da alitosi in stato di salute orale6. Questo è sicuramente da attribuire al fatto che la lingua, con le sue caratteristiche, simula, per i motivi sopraelencati, un microambiente simile alle tasche gengivali. Non tutta la letteratura è concorde su questo aspetto, infatti uno studio condotto da Lindhe, precedentemente confermato da Loesche e Kazor (2002), ci illustra un'indagine condotta su una selezione di 100 pazienti senza problemi parodontali, sui quali sono stati messi in cultura patogeni parodontali presenti nella loro bocca; ciò che hanno notato è che la specie predominante risulta essere il Fusobacteruim, più che la Prevotella Intermedia. Questo suggerisce che la flora della lingua è diversa dalla flora parodontale e quindi che le informazioni microbiologiche dei pazienti con alitosi vadano chiaramente divise tra pazienti con o senza parodontite. Altro aspetto importante da valutare nella correlazione tra malattia parodontale e alitosi è l'esposizione in vitro di cellule sia a H2S, che a CH3SH, il quale induce, in queste, numerose alterazioni8,9 (Fig. 2). In particolare l'esposizione diretta a questi composti e ai loro metaboliti, anche se a basse concentrazioni, provoca effetti nella sintesi proteica, da parte dei fibroblasti gengivali. Questo significa che oltre ad essere associati alla produzione di odore sgradevole contribuiscono all'eziologia e alla progressione sia di gengiviti, che di parodontiti. La malattia parodontale è il risultato di una combinazione di eventi, tra cui: l'attivazione cronica del sistema immunitario, la produzione di citochine, alterazioni nel metabolismo del tessuto connettivo e il danno diretto da parte degli enzimi batterici. La tossicità dei composti sulforidici è dovuta al fatto che contengono tioli liberi in grado di reagire chimicamente sia con il DNA, sia con le proteine. Per quanto riguarda la provenienza dei composti sulforidici, avevamo in precedenza sottolineto che gli unici siti che anatomicamente rappresentano una fonte sono: la lingua e i solchi gengivali. Rimane, tuttavia, un ulteriore aspetto da trattare, ovvero le proporzioni nella produzione di H2S e CH3SH. A differenza della proporzione di composti solforati provenienti dall'aria emessa dal cavo orale, dove H2S è il composto principale, la misurazione di VSC provenienti dalle tasche parodontali dimostra che CH3SH è predominante. Questo diventa ancor più evidente se le tasche vengono divise in base alla presenza di sanguinamento. Questo fatto appare rilevante dal momento che, la presenza o assenza di CH3SH all'interno di una tasca, può essere associato ad una patologia parodontale in fase attiva. Vediamo ora come i tioli influenzano il parodonto ai vari stadi: dalla gengivite alla malattia parodontale. Con la gengivite avvengono numerose alterazioni, come una prima risposta immunitaria scatenata dagli antigeni cellulari, ma anche alterazioni a livello del tessuto connettivo. La presenza di antigeni batterici come i lipopolisaccaridi (LPS) induce infiammazione gengivale in molti pazienti, anche se la sola presenza non sarebbe sufficiente a spiegare lo sviluppo della malattia in tutti gli individui. I composti volatili solforati sono potenzialmente capaci di alterare la permeabilità dei tessuti gengivali, indurre una risposta infiammatoria e cambiare le funzioni dei fibroblasti gengivali. Uno primo lavoro condotto da A. Rizzo (1970) sosteneva, infatti, che al fine di permettere la penetrazione di LPS all’interno di una gengiva sana sono necessari agenti favorenti: se, normalmente, non si creava nessuna risposta infiammatoria in seguito all’applicazione topica di antigeni batterici su una gengiva sana, al contrario l’esposizione di questi tessuti a H2S aveva come risultato proprio l’infiammazione. Inoltre successivi studi (Ng W, Tonzetich J., 1974) hanno dimostrato, attraverso analisi istologiche, che bastano poche ore (almeno tre), in presenza di VSC, affinché si presentino le prime conseguenze. Cambiamenti che riguardano: l’epitelio non cheratinizzato, la membrana basale e la lamina propria. Questo significa che la presenza di tioli può essere considerata un fattore promotore delle gengiviti negli stati iniziali. Quando sono visibili alterazioni gengivali, significa che il centro dei cambiamenti risiede nel tessuto connettivo. È vero anche, che i cambiamenti epiteliali sono, con molta probabilità, da considerarsi i primi importanti eventi nella progressione della malattia parodontale: le cellule epiteliali, infatti, che vivono in un ambiente di questo tipo producono collagenasi. Come sappiamo, il tessuto epiteliale vive in funzione di quello connettivo, da cui trae sostentamento. Sia in caso di gengivite che di parodontite si ha una mitosi cellulare aumentata di otto volte. Questo significa che i tessuti, per far fronte a questa divisione, necessitano di maggiore nutrimento, che può non essere disponibile a causa della stasi venosa nel tessuto connettivo, provocata dall’infiammazione. Ne consegue una necrosi cellulare che crea una porta di ingresso ai batteri e ai loro metaboliti all’interno della lamina propria. Inoltre è stato dimostrato in vitro, che la presenza di CH3SH induce la secrezione di intrerluchina-1β (IL-1β) che gioca un ruolo importante nella patogenesi della parodontite; la presenza di IL-1β, LPS e il metilmercaptano agiscono sinergicamente, incrementando la secrezione di prostaglandine e collagenasi che sono importanti mediatori dell'infiammazione e del danno tissutale. La presenza di VSC ha effetti nella formazione della matrice extracellulare dei fibroblasti poiché riduce la produzione di proteine. In particolare CH3SH inibisce la sintesi del collagene. Se la gengivite non viene curata, progredisce e comporterà il coinvolgimento dei tessuti duri: effetto comunemente classificato come parodontite. Vediamo quindi quali sono i danni sui tessuti mineralizzati. É importante ricordare che le cellule del legamento parodontale sono correlate alla formazione e al mantenimento dei tessuti duri; questo implica che i danni provocati a queste cellule si riflettono anche nell'osso. Inoltre, la componente principale della matrice extracellulare dell'osso è il collagene di tipo I e abbiamo già detto che il danno causato dai tioli, si riflette proprio su questo tipo di fibre. Le cellule del legamento parodontale, in presenza di tioli, dimostrano un abbassamento del ph intracellulare, il che si traduce in una funzionalità ridotta. I cambiamenti che si verificano, sono soprattutto a carico del collagene, come avveniva per i fibroblasti gengivali. Se, quindi, facciamo riferimento ad una associazione tra malattia parodontale e alitosi, è indispensabile tener conto del danno che i composti solforati provocano a livello tissulare: una sintesi ridotta, una degradazione aumentata del collagene ed un accumulo di precursori di collagene che porteranno facilmente a proteolisi8,9. PATOGENESI Cellule batteriche o epiteliali morte Degradazione proteica dei residui alimentari Degradazione delle catene polipeptidiche Presenza di cisteina e metionina libera all’interno della saliva e del fluido crevicolare Cisteina Metionina H2S CH3SH Penetrazione degli antigeni attraverso l’epitelio Penetrazione degli antigeni attraverso l’epitelio GENGIVITE La risposta infiammatoria provoca un danno al tessuto connettivo Risposta infiammatoria Effetti negativi su fibrociti e fibroblasti PARODONTITE Progressiva degradazione del tessuto connettivo Cambiamenti avversi nell’adiacente tessuto mineralizzato Figura 2 Diagnosi La valutazione dell'alito del paziente dovrebbe essere una manovra di routine da parte dell'odontoiatra o dell'igienista, giacché potrebbe trattarsi di un segno e un sintomo di patologie in atto, che necessitano trattamento. Molto spesso, è lo stesso paziente che, durante la visita, riferisce di avere alitosi; che sia lui stesso ad essersene accorto o che qualcun'altro glielo abbia riferito. Spesso però il reclamo del paziente non ha fondamento: il 40-60% dei pazienti che si recano in uno studio dentistico per l'alitosi, non presentano alcun problema obiettivamente riscontrabile. Ad esempio: solo per il 41% dei pazienti che si sono rivolti alla clinica per l'alitosi di Toronto, è stato riscontrato un problema di alitosi maggiore di 3, su una scala di valori da 1 a 5 (tab. 2)11. Risultati simili sono stati ottenuti in numerosissimi altri studi11. La condizione per cui molti pazienti credono di avere l'alitosi è chiamata alitofobia. Si tratta di uno status psicologico, per cui il paziente riferisce e lamenta un alito cattivo, non oggettivamente rilevato. Spesso sono pazienti che interpretano in maniera errata comportamenti altrui, come fossero provocati dal loro alito; sono soggetti affetti da complessi di inferiorità, generalmente molto introversi, emotivi e scarsamente propensi alle relazioni sociali. Su un paziente affetto da alitosi occorre eseguire una valutazione che solitamente inizia con un colloquio anamnestico, volto a chiarire le caratteristiche dell'alitosi di quel paziente e le possibili correlazioni con gli stili di vita e le abitudini viziate dello stesso. É importante cercare di capire se l'alitosi di quel paziente è transitoria, quindi presente solo in alcuni momenti della giornata (la mattina appena alzati e al digiuno tra due pasti), legata ad alcune abitudini o condizioni particolari: parlare per molto tempo, assumere determinati cibi alitogeni (aglio, cipolla) o proteici, l'abitudine al fumo o all'alcol, l'assunzione di alcuni farmaci (riducono la secrezione salivare) e le abitudini di igiene orale del paziente. Inoltre l'esame clinico dovrà completarsi di un esame obiettivo rivolto ad analizzare le condizioni del cavo orale: denti, gengive e mucose. SCALA DI VALUTAZIONE ORGANOLETTICA 1. 2. 3. 4. 5. Assenza di odore Lieve maleodore Moderato maleodore. L'odore è facilmente riscontrabile. Forte moleodore. Il maleodore è obbiettivo, ma l'esaminatore lo può tollerare. Fortissimo maleodore. Odore non tollerabile dall'esaminatore. Tabella 2 È, inoltre, importante valutare la presenza e la quantità di patina linguale. Il modo più semplice di valutare l'alitosi è quello organolettico, che consiste nell'odorare l'aria emessa dalla bocca del paziente. Per avere un risultato più obiettivo possibile è necessario che almeno due persone effettuino questo tipo di test. Il risultato si traduce nell'attribuzione di un valore, in base ad una scala. Esistono molte scale con quantità di punti differenti, qui ne abbiamo riportata una a 5 punti (tab. 2). L'inconveniente maggiore di questo tipo di metodica è il disagio che si crea sia da parte dell'operatore che del paziente11. Ronserberg10, nell’effettuare il test organolettico valuta quattro parametri: l'aria emessa dalla bocca ad una distanza di 10 cm, l'odore prodotto dal biofilm presente nella parte anteriore della lingua (si esegue facendo leccare il polso del paziente), l'odore proveniente dal biofilm presente nel terzo posteriore della lingua (che si ottiene raccogliendo la patina con un cucchiaio) ed infine l'odore generato dal filo interdentale dopo averlo utilizzato negli spazi interprossimali posteriori. É possibile valutare l'alitosi anche strumentalmente: nel 1970 Tonzetich e i suoi colleghi, progettarono uno strumento in grado di valutare la quantità di composti solforati presenti nell'aria emessa dalla bocca del paziente, l'Halimeter®. Questo strumento, esprime la concentrazione in parti per bilione, in più, se viene collegato ad una stampante, è in grado di valutare la concentrazione in funzione del tempo, attraverso un grafico. Il prelievo dell'aria si esegue inserendo nella bocca del paziente una cannula aspirante collegata alla macchina, per una profondità di 4 cm, si esegue un prelievo, inserendola in corrispondenza delle tonsille e infine nelle cavità nasali. Per fare diagnosi di alitosi, i valori dei composti volatili solforati devono essere superiori a 75100 ppb. L'analisi strumentale, come quella organolettica, deve essere realizzata in condizioni particolari, ad esempio: il paziente, nelle ore che precedono il test, non può assumere bevande o collutori a base alcolica o contenenti oli essenziali, poiché altererebbero il risultato. L'utilizzo dell'Halimeter®, anche se è molto motivante per il paziente, non può essere l'unico dato che si utilizza per fare diagnosi. Questo strumento, infatti, valuta solo la presenza di VSC, che nonostante siano i composti predominanti, non sono gli unici, rimangono esclusi la cadaverina e gli acidi grassi volatili. Tra i batteri presenti in caso di malattia parodontale, tre di questi, il Treponema denticola, il Pophiromonas gengivalis e il Bacteroides forsythus producono anche acidi grassi volatili come il butirrato e il propionato. Un'alternativa all'Halimeter® potrebbe essere, dunque, l'esecuzione del BANA test che si esegue analizzando la placca. Il test si basa sulla capacità di questi batteri di degradare un substrato (benzoyl-DL-arginine-α-naphhtylamide-BANA); l'aggiunta al substrato di un cromoforo fa sì, che quando avviene la degradazione, ci sia un cambiamento colorimetrico. La presenza di batteri, nell'ordine di 104, è di colore blu, ed indica la presenza dell'enzima BANA nel campione esaminato11,13. Trattamento Il trattamento corretto di qualunque patologia prevede, in primo luogo, una corretta diagnosi ed una terapia legata l'eziologia; inizialmente abbiamo sostenuto che le cause di alitosi sono molteplici e che per poter effettuare un trattamento corretto, è necessario capire da dove si è originato il problema. Se siamo di fronte ad un'alitosi da cause extraorali o ad una pseudoalitosi sarà opportuno indirizzare il paziente da uno specialista consono alla specificità del problema. Quando il disturbo ha origine nel cavo orale, occorre capire da dove proviene. Se l'individuo presenta delle carie, potrebbero essere i batteri presenti nelle cavità dentali a generare il problema: in questo caso sarà sufficiente fare otturazioni per ottenere un'immediata soluzione. La xerostomia, ovvero la riduzione e alterazione della saliva, è un problema più complesso da trattare: sono molte le cause che possono provocarla, alcune facilmente interrompibili (l'abitudine smisurata al fumo), altre più complesse, tra queste c'è l'uso di alcuni farmaci (antidepressivi, chemioterapici, antistaminici, miorilassanti), o ad alcune patologie (diabete, morbo di Parkinson, sindrome di Sjogren, alterazioni alle ghiandole salivari). In questi casi il trattamento è solo riduttivo dei sintomi: si può, ad esempio, consigliare al paziente di tenere in bocca dei cubetti di ghiaccio o si possono utilizzare dei presidi presenti in commercio che alleviano i sintomi (gel, dentifrici, collutori specifici). É importante ricordare che la saliva non ha solo funzione umettante, ma anche digestiva e, soprattutto nel nostro ambito, protettiva delle mucose e dei denti, grazie ad alcuni enzimi tra cui il lisozima, la lattoferrina e gli anticorpi, che, in parte, impediscono la proliferazione batterica. Infine, in condizioni normali, mantiene la bocca ad un ph neutro: habitat non perfetto per la proliferazione batterica. Se l'alitosi è provocata da alterazioni della mucosa orale, è importante identificarne la causa: si ricorda che una volta eliminato l'agente causale, la lesione deve scomparire nell'arco di 15 giorni; in questi casi l'alitosi risulterà transitoria. Per quanto concerne il cattivo odore associato a cibi alitogeni, da fumo o da alcol è deduttivo che la cessazione di queste abitudini può risolvere il problema. Aspetto ben diverso è quello legato all'alitosi provocata da degradazione proteica, che avviene a causa di batteri associati alla scarsa igiene orale. Il cattivo odore può essere eliminato tramite la riduzione della carica batterica e dalla diminuzione della presenza di nutrienti. Questo è il primo punto su cui ci dobbiamo soffermarci perché in tempi brevi porta alla risoluzione del problema. I batteri che si accumulano nel cavo orale, in placca e tartaro, portano, infatti, allo sviluppo di gengiviti e parorodontiti. Attraverso un'igiene orale accurata, prassi che viene comunemente svolta nei nostri studi attraverso l'uso del microscopio operatorio, si possono ottenere risultati apprezzabili anche solo dopo una seduta di scaling e root planning. Il paziente deve avere anche una buona igiene orale domiciliare che comprenda l'uso di strumenti per la pulizia interdentale e pulisci lingua. Per la riduzione della carica batterica si può intervenire anche attraverso l'uso di agenti antimicrobici. Tali collutori sono arricchiti con sostanze quali: clorexidina, oli essenziali e triclosan,di cui sono note le proprietà antibatteriche. La neutralizzazione del cattivo odore, mediante questi sciacqui, avviene anche in seguito all'aggiunta di sostanze al sapore di mentolo. É indispensabile sottolineare che questo tipo di rimedio è, a nostro parere, solo complementare e non del tutto necessario a risolvere il problema. Pensare di ridurre la carica batterica all'interno di una tasca parodontale, attraverso l'uso di collutori antimicrobici, è meccanicamente impensabile: un collutorio non arriverà mai alla base di una tasca, né tantomeno riuscirà ad eliminare i batteri accumulati in concrezioni di tartaro. A questo scopo riteniamo che, solo attraverso scaling, root planning e utilizzo del laser, possiamo risolvere il problema di alitosi così come quello di parodontite. A nostro avviso, questi presidi possono essere utili nel ridurre, in tempi brevi, la carica batterica presente sulla lingua, sulle mucose e la placca sopragengivale e quindi possono essere un rimedio complementare nelle prime fasi della terapia12. La nostra esperienza ci insegna che una volta rimossa placca e tartaro e quando la gengiva si avvia al processo di guarigione, i problemi di alitosi scompaiono. Conclusioni Il disturbo dell'alitosi ha solo apparentemente un'importanza di carattere cosmetico: questa trattazione ha analizzato quali sono le principali associazioni e come le alterazioni al parodonto siano, fra queste, le più facili da riscontrare. Questo significa, non solo che al primo incontro con il paziente, occorre valutare la presenza di questa patologia, ma che diagnosi e trattamento risultano di fondamentale importanza nello stato di salute orale dello stesso. Vista la rilevanza che l'alitosi ha per gli individui, l'eliminazione del problema, inciderà anche sul benessere psicologico del paziente. Sulla base della nostra esperienza possiamo affermare che sono sufficienti poche ore di igiene, eseguite nella maniera opportuna, affinché il cattivo odore svanisca. Bibliografia 1. Edwin H. 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