UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’Annunzio” di CHIETI FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN “TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO” CORSO INTEGRATO DI ORGANIZZAZIONE ED ECONOMIA SANITARIA DI LABORATORIO “LABORATORIO DI BIOCHIMICA E PATOLOGIA CLINICA” Docente: Dott. Enzo Di Claudio Aggiornamento 03-Gennaio ’10 1 Ringraziamenti: Si ringraziano i Tecnici Sanitari di Laboratorio Biomedico, Dott.sa Fabiola Palma e Dott. Francesco D’Amico per aver partecipato alla realizzazione della presente dispensa. 2 PREFAZIONE La diagnostica di Laboratorio ha vissuto in questi ultimi anni un’evoluzione impressionante. Le possibilità diagnostiche sono oggi tali che risulta non sempre agevole conoscere tutte le innumerevoli possibilità che le moderne tecnologie offrono. Questo manuale raccoglie il materiale che l’autore ha utilizzato negli ultimi anni per seminari e lezioni su aspetti generali o specifici sull’organizzazione, la sicurezza e l’economia del “Laboratorio Analisi”. L’esposizione degli argomenti segue, nella suddivisione, quello che potrebbe essere lo schema classico di un corso (corrispondente per quanto possibile a considerazioni individualmente compiute e ad informazioni acquisite). Al di là dell’assetto sistemico generale, l’autore non si è posto l’obiettivo di una particolare uniformità di trattazione; alcuni punti sono appena accennati, altri sviluppati diffusamente. La monografia, in definitiva, riflette esperienze, occasioni di approfondimento e, in qualche caso, punti di vista dell’autore. L’autore si augura che, anche in questo aspetto, come nel tentativo di organizzare sistematicamente la materia trattata, possa trovarsi qualche elemento di interesse e di utilità per i lettori. 3 Figura del tecnico sanitario di laboratorio biomedico I laureati in Tecniche di Laboratorio Biomedico sono operatori sanitari cui competono le attribuzioni previste dal D.M Ministero della sanità' 26 settembre 1994, n. 745 e successive modifiche ed integrazioni; ovvero sono responsabili degli atti di loro competenza, svolgono attivita' di laboratorio di analisi e di ricerca relative ad analisi biomediche e biotecnologiche ed in particolare di biochimica, di microbiologia e virologia, di farmacotossicologia, di immunologia, di patologia clinica, di ematologia, di citologia e di istopatologia. I laureati in tecniche diagnostiche di laboratorio biomedico svolgono con autonomia tecnico professionale la propria prestazione lavorativa in diretta collaborazione con il personale laureato di laboratorio preposto alle diverse responsabilità operative di appartenenza; È responsabile, nelle strutture di laboratorio, del corretto adempimento delle procedure analitiche e del proprio operato, nell'ambito delle proprie funzioni in applicazione dei protocolli di lavoro definiti dai dirigenti responsabili; verifica la corrispondenza delle prestazioni erogate agli indicatori e standard predefiniti dal responsabile della struttura; controlla e verifica il corretto funzionamento delle apparecchiature utilizzate, provvede alla manutenzione ordinaria ed alla eventuale eliminazione di piccoli inconvenienti; partecipa alla programmazione e organizzazione del lavoro nell'ambito della struttura in cui opera; svolge la sua attività in strutture di laboratorio pubbliche e private, autorizzate secondo la normativa vigente, in rapporto di dipendenza o libero-professionale. Il tecnico di laboratorio biomedico contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca. Viene anche chiamato LABORATORISTA o ANALISTA, definito come: Tecnico che, sulla scorta di una approfondita competenza professionale e di una indiscutibile preparazione fisiopatologica, è in grado di creare una diagnostica di laboratorio basata su una metodologia autonoma. E' un tecnico in grado di produrre un determinato repertorio di indagini e di fornire risposte in tempi sempre più brevi ; un tecnico abile il cui compito è quello di trovare strumenti idonei per produrre un risultato in grado di soddisfare la richiesta e l’aspettativa del clinico. Come si diventa tecnico sanitario di laboratorio biomedico Ieri con il diploma universitario (D.U.) di tecnico sanitario di laboratorio biomedico conseguito ai sensi dell'art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilitava all'esercizio della professione. Oggi Laurea di I° Livello-SNT3-Classe delle Lauree nelle professioni Sanitarie Tecniche di cui al D.M. 04/08/2000 Con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica sono individuati i diplomi e gli attestati, conseguiti in base al precedente ordinamento, che sono equipollenti al diploma universitario (Laurea di I° Livello) ai fini dell'esercizio della relativa attività professionale e dell'accesso ai pubblici uffici. Ambiti occupazionali previsti per i laureati I laureati "tecnici di laboratorio biomedico" sono, ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, articolo 3, comma 1, operatori delle professioni sanitarie dell'area tecnico-diagnostica e dell'area tecnico-assistenziale che svolgono, con autonomia professionale, le procedure tecniche necessarie alla esecuzione di metodiche diagnostiche su materiali biologici o sulla persona, ovvero attività tecnico-assistenziale, in attuazione di quanto previsto nei regolamenti concernenti l'individuazione delle figure e dei relativi profili professionali definiti con decreto del Ministro della sanità. Dove opera il teccnico di laboratorio biomedico: Servizi di medicina di laboratorio (laboratori biomedici) L'attività di medicina di laboratorio fornisce informazioni ottenute con metodi chimici, fisici o biologici su tessuti o liquidi di origine umana o su materiali connessi alla patologia umana, ai fini della prevenzione, della diagnosi, del monitoraggio della terapia e del decorso della malattia e ai fini della ricerca. Si individuano, in base alle normative vigenti: 1. Laboratori generali di base 2. Laboratori specializzati 3. Laboratori generali di base con settori specializzati 4 A livello legislativo, attualmente, le leggi nazionali e regionali che disciplinano il laboratorio biomedico sono: • LEGGE REGIONALE 31 LUGLIO 2007, n. 32: Norme regionali in materia di autorizzazione, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private. • D.P.R. 14-01-1997: Requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. • LEGGE REGIONALE 31 AGOSTO 1978, n. 53: Regolamentazione dei servizi diagnostici extraospedalieri: laboratori di analisi. REQUISITI DI UN LABORATORIO BIOMEDICO (D.P.R. 14 gennaio 1997 e LEGGE REGIONALE 31 LUGLIO 2007, n. 32) Premessa Ai fini dell’applicazione dei requisiti minimi, e tenuto conto che con il termine di requisito organizzativo si intende l’azione organizzativa, si definisce: Azienda: il soggetto giuridico, pubblico e privato, che offre attività o prestazioni sanitarie. Presidio: struttura fisica (ospedale, poliambulatorio, ambulatorio ecc.) dove si effettuano le prestazioni e/o le attività sanitarie. Struttura Organizzativa Dimensione organizzativa complessa della funzione svolta. Si intendono presidi diagnostici di laboratorio: Laboratori di analisi cliniche aperti al pubblico: • • • che eseguono prelievi per prove funzionali; che eseguono indagini su materiali provenienti dal corpo umano; che producono risultati analitici con giudizi diagnostici. Identificazione dei presidi diagnostici I Servizi diagnostici sono: • i servizi di laboratorio degli ospedali pubblici, nonché quelli degli istituti pubblici di ricovero e cura a carattere scientifico; • i servizi di laboratorio degli istituti universitari, nonché quelli degli ospedali policlinici universitari; • i laboratori di analisi cliniche dei presidi territoriali collegati con le A.S.L., compresi i laboratori dei presidi multizonali di prevenzione che effettuano analisi cliniche; • i laboratori di analisi cliniche privati aperti al pubblico. Classificazione funzionale Il Servizio di medicina di laboratorio fornisce informazioni ottenute con metodi chimici, fisici, o biologici su tessuti o liquidi di origine umana o su materiali connessi alla patologia umana ai fini della prevenzione, della diagnosi, del monitoraggio della terapia e del decorso della malattia ai fini della ricerca. Fornisce consulenza su quesiti clinici ed epidemiologici. La tipologia di prestazioni eseguite nei diversi laboratori e la dotazione strumentale hanno un diverso grado di complessità commisurato alla tipologia dei quesiti diagnostici posti al laboratorio. I servizi di Medicina di Laboratorio si distinguono in: Laboratori generali di base: sono laboratori ad organizzazione semplice e unitaria che possono svolgere indagini nell’ambito della biochimica clinica e tossicologica, dell’ematologia ed emocoagulazione, dell’immunoematologia, della microbiologia. 5 Laboratori specializzati: esplicano indagini diagnostiche monospecialistiche ad elevato livello tecnologico e professionale nell’ambito della biochimica clinica, della tossicologia, dell’ ematologia ed emocoagulazione, dell’ immunoematologia, della microbiologia, della virologia, della citoistopatologia, della biologia molecolare e genetica. Laboratori generali di base con settori specialistici: sono laboratori ad organizzazione complessa che, per carico di lavoro, tipologia analitica e complessità dei quesiti diagnostici posti, necessitano di: • una articolazione in unità operative ( moduli specializzati); • una disponibilità di tecnologie di livello superiore e di competenze professionali particolari. Tipologia di prestazioni La tipologia di prestazioni eseguite nei diversi laboratori e la dotazione strumentale hanno un diverso grado di complessità commisurato alla realtà sanitaria ed alla tipologia dei requisiti diagnostici posti al laboratorio. Non è sufficiente che il laboratorio assolva il mero compito di esecuzione di una analisi, ma è necessario che questo sia integrato in un processo diagnostico, che va dal corretto quesito clinico alla individuazione corretta dei campioni e quindi alla produzione del referto finale. I laboratori di analisi delle strutture con degenza devono essere attrezzati ed organizzati per soddisfare le diverse esigenze legate principalmente: • alle attività di ricovero; • alle attività operatorie; • alle prestazioni in urgenza ed emergenza. I Laboratori Generali di base con settori specialistici si distinguono dai laboratori di analisi cliniche di base per la maggiore e più complessa ampiezza dei test richiesti, dovuta alla casistica più complessa, propria delle strutture in cui si effettua attività di ricovero. Autorizzazioni La Commissione Tecnico-Consultiva Regionale ha il compito di: • esprimere pareri per il rilascio o la conferma dei decreti di autorizzazione; • formulare proposte per stabilire la dotazione strumentale e gli organici dei presidi in relazione al carico di lavoro; • fornire indicazioni relative all’organizzazione delle strutture finalizzate alla realizzazione dei programmi di controllo di qualità; • stabilire i criteri generali per una distribuzione dei laboratori di analisi cliniche, in modo da assicurarne la funzionalità, l’accessibilità e l’economicità di gestione al fine di evitare forme di concorrenza non corrette. Adeguamento delle strutture Per i laboratori esistenti il mancato adeguamento costituisce motivo di immediata sospensione dell’attività. Caratteristiche generali organizzative I locali, gli archivi, le apparecchiature e tutto quanto necessario per il corretto svolgimento delle attività dei laboratori di diagnostica, debbono essere opportunamente rapportati al carico di lavoro, nonché soddisfare le norme vigenti in materia di igiene del lavoro e di tutela contro i rischi da radiazioni ionizzanti qualora vengano impiegate sostanze radioattive per la effettuazione di attività diagnostiche radioisotopiche. Requisiti Minimi Organizzativi Generali Sotto questa voce sono indicati i requisiti minimi relativi ai seguenti aspetti organizzativi: obiettivi ed attività; • struttura organizzativa; • gestione delle risorse umane; • gestione delle risorse tecnologiche; • gestione, valutazione e miglioramento della qualità, linee guida e regolamenti interni; • sistema informativo. 6 Requisiti Minimi Strutturali e Tecnologici • Tutti i laboratori devono essere in possesso dei requisiti previsti dalle vigenti leggi in materia di: • protezione antisismica • protezione antincendio • protezione acustica • sicurezza elettrica e continuità elettrica • sicurezza anti-infortunistica • igiene dei luoghi di lavoro • protezioni delle radiazioni ionizzanti • eliminazione delle barriere architettoniche • smaltimento dei rifiuti • condizioni microclimatiche • impianti di distribuzione dei gas • materiali esplodenti Requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi del laboratorio biomedico I locali e gli spazi devono essere correlati alla tipologia e al volume delle attività erogate. La dotazione minima di ambienti per l'attività di medicina di laboratorio è la seguente: - area di attesa dotata di servizi igienici dedicati all'utenza ambulatoriale e di un adeguato numero di posti a sedere rispetto ai picchi di frequenza degli accessi; - locale per il prelievo, che consenta il rispetto della privacy dell'utente; - almeno un locale per l'esecuzione delle analisi, nonché almeno un locale per ogni settore specializzato; - servizi igienici distinti per il personale; - locale per le attività amministrative e di archivio; - locale per il trattamento del materiale d'uso. Il personale sanitario medico e/o tecnico deve essere adeguato alla tipologia e al volume delle prestazioni erogate. È presente un documento che descriva tutti i servizi/prestazioni offerti dal laboratorio ed in cui sono esplicitati gli esami che vengono eseguiti direttamente, con quali procedure ed attrezzature, e quelli che vengono inviati ad altre strutture. Devono esistere documenti di servizio (regolamenti interni o linee guida) per lo svolgimento delle principali attività di gestione, concordati con i servizi competenti. In particolare: - riconoscimento degli utenti; - identificazione dei campioni; - trasferimento del materiale biologico dalle zone di prelievo al laboratorio; - processi di sanificazione (pulizia ambiente, procedure di disinfezione e di sterilizzazione, decontaminazione, ecc.); - smaltimento dei rifiuti. I reagenti, materiale di controllo, materiale di calibrazione devono presentare etichette che ne indichino: identità, concentrazione, condizioni di conservazione, data di preparazione e di scadenza, ogni altra informazione necessaria per l'uso corretto. Deve esistere un sistema di archiviazione che deve contenere almeno: - i risultati degli esami sugli utenti (conservati per almeno un anno); - i risultati dei controlli di qualità interno conservati per almeno un anno e quelli esterni per almeno tre anni. Deve esistere un manuale delle procedure diagnostiche, contenente per ogni esame almeno: - preparazione dell'utente agli esami; - modalità di raccolta, trasporto e conservazione del campione; - caratteristiche e descrizione del metodo analitico impiegato; - modalità di compilazione, trasmissione e consegna dei referti. Valutazione e miglioramento della qualità Il laboratorio deve svolgere programmi di Controllo Interno di Qualità e partecipare a programmi di Valutazione Esterna di Qualità promossi dalle Regioni, o, in assenza di questi, a programmi validati a livello nazionale o internazionale. Presso ogni laboratorio: - deve esistere uno opuscolo informativo sul Servizio per gli utenti, che deve contenere almeno le modalità di accesso; - deve poter essere possibile il ritiro dei referti in tutti i giorni feriali e in almeno alcuni pomeriggi della settimana. 7 Organico Dotazione minima di personale • Laboratorio Generale di Base: 1. 2. 3. 4. 5. Un direttore medico o biologo. Entrambi devono essere iscritti all’albo dell’ordine di appartenenza, essere in possesso della laurea in Medicina e chirurgia e della specializzazione o della libera docenza in una delle branche attinenti al laboratorio di analisi cliniche o, in alternativa, della laurea in Scienze biologiche e della specializzazione o della libera docenza in una delle branche attinenti il laboratorio di analisi. Un collaboratore laureato in Medicina, Biologia o Chimica. Un tecnico di laboratorio diplomato. Un ausiliario con funzioni esecutive. Un addetto alle attività amministrative. • Laboratori Specializzati: 1. Per i laboratori di analisi chimico-cliniche e tossicologiche, il personale previsto è uguale a quello dei laboratori generali di base. Il direttore può essere anche un laureato in chimica iscritto all’albo dei chimici. Nel caso il direttore sia un chimico o un biologo deve essere compreso tra i collaboratori un laureato in Medicina e Chirurgia. Per i laboratori specializzati in microbiologia e sierologia, ematologia e genetica medica, virologia, il personale previsto è uguale a quello dei laboratori generali di base. Per i laboratori specializzati in citoistopatologia, il personale previsto è uguale a quello dei laboratori generali di base. Il direttore responsabile deve essere un laureato in Medicina e Chirurgia munito dei requisiti indicati. 2. 3. Gestione Delle Risorse Umane La direzione definisce il fabbisogno di personale: - in termine numerici per ciascuna professione o qualifica professionale - per posizione professionale - per qualifica - in rapporto ai volumi ed alle tipologie delle attività secondo criteri specificati dalle normative regionali E’ indispensabile che tutti i ruoli e le posizioni funzionali siano ricoperti da personale in possesso dei titoli previsti dalla vigente normativa. Deve essere predisposto un piano di formazione ed aggiornamento del personale con indicazione del responsabile. Devono essere normalizzate le modalità per favorire l’inserimento operativo del personale di nuova acquisizione. COMPITI DELLE FIGURE SENSIBILI DIRETTORE DEL LABORATORIO Non può ricoprire tale incarico per più di un laboratorio. Sceglie ed approva i metodi di analisi, risponde dell’attendibilità dei risultati, organizza i servizi ed i controlli di qualità, risponde dell’idoneità delle attrezzature e degli impianti, firma i risultati delle analisi ed è responsabile della archiviazione degli esami. Quando si ammala deve essere sostituito da un altro laureato. Per i laboratori specializzati, per 15gg, può essere sostituto da un medico specializzato. TITOLARE DI LABORATORIO Il titolare di un laboratorio di analisi cliniche è tenuto a trasmettere alla Regione entro il 31/1 di ogni anno: - l’elenco nominativo con identificazione delle relative qualifiche del personale in servizio; - il numero di esami eseguiti nel corso dell’anno precedente; -la comunicazione del nominativo del sostituto, in caso di assenza del Direttore per un periodo superiore a 60 gg.; -tutti i dati e le informazioni richieste, particolarmente per ciò che concerne il controllo di qualità sugli esami eseguiti. PERSONALE TECNICO Il tecnico di laboratorio deve essere in possesso dei titoli necessari per l’ammissione al concorso. 8 SCHEMI ORGANIZZATIVI DEI LABORATORI. Laboratori generali attrezzatura minima in dotazione a) superficie adeguata; b) attrezzatura minima: - frigoriferi: 2 (due); - congelatore a -20 gradi centigradi (può essere sostituito dal freezer di un frigorifero); - deionizzatore; - stufa a secco (250 gradi centigradi); - autoclave (10 litri utili minimo); - 1 bagno maria a 37 gradi centigradi; - 1 bagno maria a 56 gradi centigradi; - bilancia tecnica; - 1 centrifuga (per almeno 30 posti); - 1 microscopio; - contaglobuli elettronico; - fotocolorimetro; - spettrofotometro per letture fino a 334-340 nm; - diluitore automatico; - centrifuga per microematocrito; - fotometro a fiamma per K, Na, Li; - alimentatore e vasche per elettroforesi; - densitometro per lettura strisce elettroforetiche; - metabolimetro (consigliato); - agitatori; - inceneritore; - armadi per vetreria e per i reattivi; - cappa di aspirazione; - banchi o banco di lavoro; - termostato; - coagulometro; - lavapipette automatico; c) personale minimo: - 1 laureato responsabile del laboratorio; - operatori di cui almeno 1 tecnico di laboratorio (Laurea di I° livello) o perito chimico con corso di perfezionamento per tecnici di laboratorio ed un preparatore di laboratorio. Sezione di batteriologia e sierologia (di un laboratorio generale) a) superficie utile adeguata; b) attrezzatura minima: - attrezzatura del laboratorio generale; - 1 bagno maria termoregolabile; - banco a flusso laminare verticale; - microscopio in campo chiaro; - microscopio in campo oscuro e per fluorescenza; - banchi o banco di lavoro; - autoclave (20 lt utili minimo); c) personale minimo: - 1 laureato. Sezione di endocrinologia (di un laboratorio generale) a) superficie utile adeguata; b) attrezzatura minima: - attrezzatura del laboratorio generale; - 1 bagno maria termoregolabile; - frigorifero (almeno 200 lt) Con termostato esterno; - agitatori; - diluitori; - fluorimetro o spettrofluorimetro; - cappa di aspirazione; - gas cromatografo (consigliato); 9 - contatore di raggi X (solo per gli esami che si riferiscono alla funzionalità tiroidea); - banco o banchi di lavoro; c) personale minimo: - 1 laureato. Sezione di citologia e istopatologia (di un laboratorio generale) a) superficie utile adeguata; b) attrezzatura minima: - attrezzatura del laboratorio generale; - microtomo; - stufa a paraffina; - microscopio; - banco o banchi di lavoro; - vasche con coperchio in numero adeguato per le colorazioni fondamentali; c) personale minimo: - 1 laureato. Laboratorio di batteriologia e sierologia a) superficie utile adeguata; b) attrezzatura minima: - frigorifero; - congelatore a -20 gradi centigradi; - deionizzatore; - stufa a secco; - autoclave; - essiccatore vetreria; - 1 termostato; - bagno maria a 37 gradi centigradi; - bagno maria a 56 gradi centigradi; - bilancia tecnica; - centrifuga; - microscopio; - 1 microscopio in campo oscuro e per fluorescenza; - agitatore; - diluitore; - 1 banco a flusso laminare verticale; - armadi per vetrerie e per i reattivi; - inceneritore; - cappa di aspirazione; - banchi o banco di lavoro; c) personale minimo: - 1 laureato responsabile del laboratorio; - 2 operatori di cui almeno 1 tecnico di laboratorio o perito chimico. Laboratori di endocrinologia a) superficie utile adeguata (di cui un vano idoneo per le indagini utilizzanti radionuclidi); b) attrezzatura minima: - frigoriferi con termostati esterni; - congelatore a -20 gradi centigradi; - deionizzatore; - distillatore e bidistillatore; - stufa a secco; - autoclave (20 lt minimo); - essiccatore; - bagno maria termoregolabile; - bilancia tecnica; - bilancia analitica; - centrifughe; - agitatori; - diluitori; - spettrofotometro per visibile e ultravioletto; 10 - contatore per i raggi x; - gas cromatografo; - spettrofluorimetro; - cappa di aspirazione; - armadi per la vetreria e per i reattivi; - inceneritore; - banchi o banco di lavoro; c) personale minimo: - 1 laureato responsabile del laboratorio; - 2 operatori di cui almeno 1 tecnico di laboratorio o perito chimico (uno dei due operatori tecnici può essere altresì un tecnico di radiologia con indirizzo di medicina nucleare ovvero un perito fisico o nucleare). Laboratorio di citologia e istopatologia a) superficie utile adeguata; b) attrezzatura minima: - frigorifero; - bilancia tecnica; - stufa a paraffina; - microtomo; - centrifuga; - microscopio; - armadi per vetreria e per i reattivi; - inceneritore; - banco o banchi di lavoro; - apparecchio automatico per processing; - vasche con coperchio in numero adeguato per le colorazioni fondamentali; c) personale minimo: - 1 laureato responsabile del laboratorio; 2 operatori di cui almeno 1 tecnico di laboratorio o perito chimico. Centri di prelievo e raccolta campioni a) superficie adeguata; b) attrezzatura minima: - l'attrezzatura prevista per un ambulatorio medico, più un frigorifero; c) personale minimo: 1 medico. QUALITA' ED ACCREDITAMENTO Secondo la definizione del W.H.O. del 1988 la “QUALITÀ” è: la disponibilità di un mix di servizi sanitari diagnostici e terapeutici tali da produrre con la maggiore probabilità, per il paziente, l'esito di un'assistenza sanitaria ottimale, compatibilmente con le conoscenze raggiunte dalla scienza medica ed il rapporto con fattori biologici quali l'età del paziente, la malattia da cui è affetto, le diagnosi secondarie concomitanti, le risposte al regime terapeutico, ed altri fattori connessi; con il minimo dispendio di risorse per raggiungere questo risultato; con il minor rischio possibile di ulteriori danni o disabilità in conseguenza a tale terapia; e con la massima soddisfazione possibile del paziente riguardo al processo di assistenza, alla sua personale interazione con il sistema sanitario ed ai risultati ottenuti. Il termine “qualità” è stato definito nel corso degli anni in diversi modi: Il termine "Qualità" nel corso degli anni 11 Nel campo dei servizi sanitari c'è ormai ampio consenso sul fatto che i fondamentali criteri per valutare la qualità delle prestazioni sono: efficacia, efficienza, equità, etica e soddisfazione degli attori. Possiamo, cioè, definire di buona qualità le prestazioni che: • migliorano effettivamente lo stato di salute di persone o collettività o riducono i rischi per la salute o per l'ambiente (efficacia); • rispondono in modo pertinente ed equo, ai bisogni ed alle aspettative dei singoli e della collettività (equità); • si sviluppano nell'ambito delle conoscenze e delle possibilità delle tecnologie attuali e nei limiti delle risorse disponibili nel contesto (efficienza); • rispettano i principi etici (etica); • producono soddisfazione degli attori (clienti, operatori, amministratori e politici). La qualità non è un fatto solamente tecnico, ma ha aspetti organizzativi e gestionali e va a coinvolgere tutta l’azienda, compresa la Direzione. Pertanto il livello di qualità richiesto dal cliente, una volta raggiunto, dev’essere mantenuto in modo costante nel tempo, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali, per questo si parla attualmente di Garanzia della Qualità e di Sistema Qualità. Il Sistema di qualità è la struttura organizzata, riconosciuta e documentata della qualità, articolata in un sistema multidimensionale integrato, spesso orientato a migliorare non soltanto la "gestione della produzione" (prodotti, processi, risultati), ma anche la funzione di "governo" del sistema-organizzazione (e i processi decisionali connessi) ed i suoi macro-risultati. Il Sistema Qualità è una realtà importante poiché è l’espressione del modo in cui l’impresa opera e tiene sotto controllo le attività svolte. Il Sistema Qualità, affinché sia certificabile, viene descritto in documenti, i quali costituiscono il mezzo con cui l’azienda dichiara e garantisce alla propria committenza che i suoi prodotti sono realizzati attraverso adeguati processi e risorse. Inoltre la documentazione è uno strumento per conseguire un progressivo e certo miglioramento. Requisiti del Sistema Qualità in conformità alla norme UNI EN ISO 9000: Aspetti generali della norma Vision 2000 Nel contesto internazionale e nazionale esistono ad oggi due tipi fondamentali di normativa: le norme tecniche d’impiego volontario e quelle d’impiego obbligatorio. La normativa Vision 2000, formata dalla UNI EN ISO 9000, UNI EN ISO 9001 e UNI EN ISO 9004, appartiene alla sfera del volontario ed ha validità mondiale. La norma ISO 9000: 2000 indica gli otto principi fondamentali della “Gestione Totale per la Qualità” (TQM – Total Quality Management) affinché il vertice aziendale li consideri come base di azione per la pianificazione delle attività che porteranno l’organizzazione alla soddisfazione del cliente. Gli otto principi si fondano sulla definizione di Qualità Totale intesa come: “Filosofia, tessuto connettivo di tutto l’agire organizzativo in funzione del miglioramento continuo, orientato al cliente/fruitore e incentrato sulla risorsa professionale. I suoi valori di base si riferiscono alla centralità di tre elementi dell’organizzazione: i clienti, gli operatori, i fornitori d’azienda”. Gli otto principi sono quindi: 1. Orientamento al cliente: individuare i bisogni e le aspettative di tutte le parti interessate, confrontare gli impegni (Carta dei Servizi) creando momenti di contatto con i clienti e obiettivi condivisi. 2. Leadership: la Direzione deve stabilire e sostenere la strategia politica e gli obiettivi della qualità per la struttura, coinvolgendo tutto il personale. Sebbene esista una gerarchia aziendale, la norma richiede leadership da parte dei “capi” libera dall’autoritarismo, ovvero una capacità di guida e motivazione in un clima che faciliti la comprensione ed il raggiungimento degli obiettivi. 3. Coinvolgimento del personale: le persone costituiscono l’essenza dell’organizzazione e l’attivazione delle risorse individuali favorisce il senso di responsabilità e di collaborazione interna. 12 4. Approccio per processi: si abbandona una visione dell’azienda per “funzioni e gerarchie” per privilegiare una visione integrata sui processi ed i risultati attesi. Ciascuno riveste un ruolo nelle attività a cui partecipa, ha una responsabilità su risultati e beneficia di una visione integrata e trasparente dei flussi operativi. 5. Approccio sistemico alla gestione: il Sistema Gestione Qualità (SGQ) dev’essere considerato nella sua integrazione con altri strumenti gestionali dell’azienda, definendone i metodi per misurare efficacia e efficienza di ciascun processo. 6. Miglioramento continuo: il principio dell’evoluzione tramite miglioramento è la strada per accrescere la capacità dell’organizzazione di generare processi a prestazioni superiori e di erogare servizi sempre più soddisfacenti. 7. Decisioni basate su dati di fatto: la raccolta e l’analisi dei dati reali sono necessari per determinare i mezzi atti a prevenire le non conformità ed eliminare le cause che le hanno generate. Le decisioni sono supportate da dati oggettivi, raccolti con metodologie conosciute (principio di trasparenza) e sostituiscono l’arbitrarietà delle decisioni basata su approcci individualistici spesso dipendenti da visibilità parziali e soggettive. 8. Relazioni con i fornitori con benefici reciproci: il risultato finale del processo dipende dai prodotti, dalle prestazioni e dai servizi di provenienza esterna. Controlli specifici anche nelle attività dei fornitori contribuiscono al miglioramento continuo delle prestazioni finali. Qualità tecnica La Qualità tecnica è la capacità del professionista di soddisfare i bisogni degli utenti, così come da lui stesso definiti, utilizzando tecniche e procedure corrette ed appropriate. che tengono conto delle evidenze scientifiche più recenti, e la loro corretta effettuazione con rispetto del paziente/utente, al fine di ottenere i migliori esiti di salute ed il miglior alleviamento delle sofferenze, con i minori inconvenienti e disagi possibili. La corretta applicazione del sistema qualità in risonanza con la qualità tecnica porta ad una certa “percezione di qualità” Qualità percepita La Qualità percepita è intesa come scarto fra osservato ed atteso dall’operatore nel vissuto della organizzazione e dall’utente nel ricevere la prestazione. E’ influenzata dalle aspettative individuali e dall’immagine del servizio. Si misura con scale di valore soggettive. Miglioramento continuo della qualità (MCQ) Il Miglioramento continuo della qualità (MCQ) è un sistema di gestione della qualità, fondato sull’analisi dei processi di produzione-erogazione di beni e servizi. Si basa sul concetto di “tensione continua” degli operatori alla ricerca, allo sviluppo, al mantenimento ed al miglioramento dei livelli di qualità perseguibili nell’organizzazione. Lo scopo che si intende raggiungere con l’applicazione di tale sistema di gestione nelle aziende sanitarie è quello di organizzare l’intero processo assistenziale in modo da perseguire la massima soddisfazione dell’utente garantendo, al tempo stesso, livelli elevati di efficienza gestionale, organizzativa e di economicità. In tale senso le iniziative di MCQ prevedono l’identificazione di un problema, la definizione dei criteri di buona qualità, la progettazione e l’effettuazione dell’intervento migliorativo, la valutazione di impatto dell’intervento migliorativo, la diffusione a tutti gli interessati, il monitoraggio nel tempo dei livelli di qualità raggiunti, la ricerca di nuovi elementi di miglioramento. Valutazione e miglioramento della qualità La Valutazione e il miglioramento della qualità sono attività che hanno lo scopo di garantire all'utente che le prestazioni o i servizi ricevuti siano di buona qualità. Tali iniziative possono riguardare processi/esiti di prestazioni dirette agli utenti o processi/esiti delle attività di supporto (gestionali, organizzative, amministrative, etc.). Le iniziative di valutazione e miglioramento della qualità sono progetti che prevedono: • • • l'identificazione di un problema (intesa come occasione di miglioramento) la determinazione delle cause possibili la definizione dei criteri, degli indicatori e dei livelli soglia di buona qualità 13 • • • la progettazione e l'effettuazione di uno o più studi per precisare la differenza tra i valori attesi e quelli osservati nonché per identificare le cause di tale discrepanza la progettazione e l'effettuazione dell'intervento migliorativo la valutazione di impatto a breve e medio termine dell'intervento migliorativo nei confronti del problema affrontato la diffusione dei risultati a tutti gli interessati. Accreditamento L’accreditamento nasce 1918 negli Stati Uniti per iniziativa del dott. Franklin Martin, collega di Codman, dell’“American College of Surgeons (ACS)” (fondato nel 1913), basato sul sistema dei “risultati finali”. I pazienti ricoverati dovevano essere seguiti per confermare e valutare l’efficacia del trattamento prestato. Dal modello americano hanno tratto origine, mossi dagli stessi principi, i maggiori sistemi di accreditamento mondiali (Canada, Australia, Catalogna, Francia) dove sono circa 4000 le strutture sanitarie pubbliche e private, interessate all’accreditamento. L’Accreditamento Istituzionale Per Accreditamento Istituzionale si intende il provvedimento con il quale si riconosce alle strutture pubbliche e private già autorizzate, munite dei requisiti esplicitati nell’apposito Manuale di Accreditamento, lo status di potenziali erogatori di prestazioni nell’ambito e per conto del servizio sanitario nazionale. Tale processo tende a garantire assistenza sanitaria di buona qualità ed efficienza organizzativa.1 L’Accreditamento Volontario all’Eccellenza «L’accreditamento è il processo di autovalutazione e di revisione esterna fra pari utilizzato dalle organizzazioni sanitarie per valutare accuratamente il proprio livello di performance relativamente a standard prestabiliti e per attivare modalità di miglioramento continuo del sistema sanitario».[Definizione “International Society for Quality in Heath Care (ISQUA)” , (Regole operative della federazione, 1998)]. Le principali differenze tra l’Accreditamento Istituzionale e l’Accreditamento Volontario all’Eccellenza sono illustrate nella tabella seguente: Accreditamento istituzionale Accreditamento all'eccellenza Obiettivo Selezione Fornitori SSN Promozione alla qualità Opzione Obbligatoria Volontaria Ricaduta Economica Prestigio Livello Qualità Adeguato Eccellente Diffusione Tutti Pochi Gestione Regione Società Scientifica Modalità Ispezione/Valutazione Valutazione e Consulenza Contenuti Normativi Tecnico Professionali Riferimenti Normativa Stato dell’arte ed evidenza scientifica 1 [1]Nota: Decreto Legislativo 502/92 (art. 8 comma 7) e successive modifiche e integrazioni e D.Lgs. 229/99 (articolo 8 quater). Compete alle Regioni l’introduzione di sistemi di sorveglianza e di strumenti e metodologie per la verifica della qualità dei servizi a partire dalla autorizzazione ad operare già posseduta (requisiti minimi: DPR 14.1.97) per riconoscere ai soggetti già autorizzati all’esercizio di attività sanitarie lo status di potenziali erogatori di prestazioni nell’ambito e per conto del Servizio sanitario nazionale. Regione Abruzzo: LEGGE REGIONALE 31 LUGLIO 2007, n. 32: Norme regionali in materia di autorizzazione, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio- sanitarie pubbliche e private. 14 La Certificazione Recentemente si è diffusa nella realtà sanitaria la procedura della Certificazione, mutuata dalle aziende private di produzione che viene ora applicata anche nelle aziende dei servizi. Essa è finalizzata alla verifica della corrispondenza dell’organizzazione, delle strutture e delle procedure delle organizzazioni rispetto a criteri di buona qualità prestabiliti da appositi Enti. Tali verifiche hanno lo scopo di garantire il rispetto dei criteri nei confronti di terzi o del mercato, sono solitamente svolte a richiesta degli interessati da agenzie specializzate esterne. Nell’ambito dei Sistemi Qualità le verifiche sono volte a valutare la conformità dei documenti di pianificazione della qualità, la loro applicazione e il livello di efficacia del sistema rispetto ad obiettivi prestabiliti. In seguito a queste verifiche (audit), organismi autorizzati a livello europeo ed internazionale rilasciano un certificato ed il diritto d’uso di un marchio. In campo sanitario il termine audit viene distinto in audit interni (revisioni fatte all’interno del singolo gruppo di lavoro o della singola organizzazione) ed esterni (multicentrici: iniziative affidate ad enti professionali, in cui verificatori esterni controllano se l’assistenza fornita corrisponda a standard predefiniti). Una volta ottenuta la certificazione, l’organizzazione è sottoposta a verifiche ispettive di sorveglianza (annuali o semestrali) nel triennio seguente. Al termine dei tre anni sarà condotta una verifica di rinnovo del Certificato. Le eventuali carenze o non conformità rilevate durante le verifiche ispettive vengono comunicate all’azienda senza però fornire consulenza sulle modalità di attuazione delle azioni correttive da adottare. La procedura attuale di certificazione che si ispira alle norme ISO 9000 presenta una concezione di tipo formale e statico, nel senso che lo stimolo al miglioramento della qualità aziendale si esaurisce nel momento in cui si realizza la conformità alle prescrizioni contenute nelle norme ed in essa vengono trascurati gli aspetti legati alle dimensioni tecnico-professionali della qualità. IL CONTROLLO DI QUALITA’ NEL LABORATORIO È preciso dovere ed obbligo per ogni laboratorio analisi che possa chiamarsi tale, anche il più piccolo, garantire agli utenti che richiedono le sue prestazioni dei risultati che siano accurati, riproducibili nel tempo e forniti in tempi clinicamente utili. Il laboratorio biomedico, sia generale che specialistico, essendo un sevizio sanitario è sottoposto ad un sistema di controllo della qualità. Nel laboratorio biomedico esistono due tipi di controllo qualità: 1. Il controllo interno (C.Q.I.) intralaboratorio 2. Il controllo esterno (V.E.Q.) extralaboratorio Controllo di Qualità Interno (C.Q.I.) Il Controllo di Qualità Interno (C.Q.I.) è solo un momento del processo qualità e precisamente è l’insieme delle procedure che permettono di mantenere l’errore analitico entro limiti prefissati e tali da non inficiare il significato clinico del dato. Questo concetto e’ chiaramente espresso da Westgard: “la qualità analitica non e’ l’unico elemento che determina la qualità totale dell’informazione di laboratorio ma senza la certezza sulla qualità analitica, tutto il resto non conta…………….” Negli ultimi trent’anni il ruolo degli analisti e quello delle aziende fornitrici di prodotti diagnostici si sono profondamente modificati: il ruolo delle aziende si è andato espandendo, mentre gli analisti hanno oggi principalmente compiti di scelta, verifica e controllo dei metodi e degli strumenti. Tutto ciò ha permesso di estendere le procedure del controllo dalla chimica clinica agli altri settori del laboratorio e di ridurre drasticamente gli errori della fase analitica, che attualmente rappresentano il 7-10% di tutti gli errori di laboratorio. 15 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 e rrori di tipo analitico e rrori di tipo non analitico Figura 1: Errori di laboratorio Con il CQI le grandezze che si tengono sotto controllo sono la “precisione” e ”l’accuratezza” misurate attraverso i loro reciproci: “imprecisione” ed “inaccuratezza”. 1. L’imprecisione rappresenta la stima dell’ errore casuale. 2. L’inaccuratezza e’ la stima dell’ errore sistematico. Imprecisione ed in accuratezza sono caratteristiche intrinseche di ciascun sistema analitico.In un metodo analitico l’imprecisione e l’accuratezza si combinano quindi in varia maniera per dare origine all’errore totale. CQI ci permette in definitiva di monitorare l’errore totale in funzione di quanto detto sopra. Pianificazione del CQI all’interno del laboratorio Per pianificare il CQI all’interno del laboratorio bisogna: • • • • Stabilire le caratteristiche da tenere sotto controllo (imprecisione) ed (inaccuratezza). Fissare le specifiche di qualità per i singoli analiti, cioè definire i nostri traguardi analitici. Scegliere il sistema, le regole di controllo e le modalità operative da mettere in atto per ottenere un CQI efficace. Definire gli interventi correttivi in caso di necessità . VALUTAZIONE ESTERNA DI QUALITA’ (V.E.Q.) Ormai da alcuni anni, il concetto di valutazione dei dati analitici, effettuata da un Ente Esterno al Laboratorio di Analisi, è entrato a far parte integrante delle procedure quotidiane di chi dirige i Centri Clinici sparsi in tutto il mondo. La Qualità può essere una percezione soggettiva ed un concetto astratto, il significato che le viene attribuito dipende dai punti di vista che sono influenzati dal contesto professionale culturale di provenienza, dalle risorse disponibili, dagli interessi in gioco, etc. Ma acquisisce un significato concreto quando è misurabile, valutabile e confrontabile. La VEQ è un passaggio importante verso il sistema di qualità totale in quanto, mentre il Controllo di Qualità Interno (CQI) fornisce informazioni sulla precisione ed accuratezza dei risultati, permette cioè di validare quotidianamente le serie analitiche, essa è un sistema che fornisce una valutazione a posteriori dell'attendibilità analitica. I Programmi di Valutazione Esterna di Qualità rappresentano uno strumento che consente di valutare la propria attività e di confrontarla con quella di altri laboratori partecipanti che utilizzano lo stesso metodo e/o metodi differenti. Tali programmi servono a mantenere e rafforzare il loro ruolo di indicatore di efficacia dell’insieme delle procedure di Controllo di qualità adottate nel laboratorio. Il responsabile della qualità Dai concetti esposti si delinea la figura del responsabile della qualità promotore della diffusione di tali concetti . E’ il braccio destro della Direzione, ma è anche il confidente di tutto il personale aziendale. In un clima in cui non esistono più conflittualità tra qualità e costi, qualità e produttività, qualità e clima aziendale, lavora al servizio di tutti, con la collaborazione di tutti. 16 Pertanto il responsabile della qualità: • • • • è nominato dal Direttore del Servizio risponde direttamente al Direttore del Servizio deve avere esperienza nel campo di attività non deve essere direttamente coinvolto nell’attività Deve: • • • • • assicurare che il Sistema Qualità sia stabilito, applicato e mantenuto giorno dopo giorno programmare, documentare e organizzare verifiche della qualità interne assicurare la tempestiva correzione di difetti o mancanze documentare al Direttore del Servizio il livello di Qualità assicurare che sia messa in atto ogni azione di miglioramento necessaria sulla base delle evidenze delle verifiche della qualità interne Collabora: • • • • con la Direzione nel riesame del sistema qualità con i responsabili delle sezioni analitiche nella gestione dei documenti tecnici con i responsabili delle sezioni analitiche per le procedure di accettazione dei campioni con i responsabili delle aree pre-analitiche nella gestione dei reclami E’ responsabile: • • • • • • • • della gestione del sistema qualità della gestione dei documenti del sistema qualità delle procedure di identificazione e rintracciabilità dei campioni e dei materiali delle non conformità interne delle azioni correttive delle azioni preventive del controllo delle registrazioni delle qualità delle verifiche ispettive interne MANUALE DELLA QUALITA’ POLITICA, OBIETTIVI, ATTIVITA’ E CARTA DEI SERVIZI Deve essere definita la politica ed esplicitati gli obiettivi da raggiungere sia per la tipologia ed i volumi che per la qualità delle prestazioni e dei servizi che intende erogare. Devono essere definite le modalità di riesame degli obiettivi, individuando gli eventuali scostamenti. Deve essere descritta l’organizzazione interna con particolare riferimento all’organigramma, alle funzioni di ciascun operatore, ai livelli di responsabilità; alle modalità di erogazione del servizio; alle prestazioni ed alle attività erogate. Deve essere descritto come vanno effettuate le attività di verifica dello svolgimento e della realizzazione del piano. Deve essere descritta la procedura per la gestione dei reclami e per la verifica della soddisfazione degli utenti STRUTTURA ORGANIZZATIVA Deve essere definita l’organizzazione e vanno dichiarate le politiche di gestione delle risorse umane ed economiche. Devono essere definite le modalità con cui garantire la continuità dell’assistenza al paziente in caso di urgenze o di eventi imprevisti (clinici, organizzativi, tecnologici). GESTIONE DELLE RISORSE UMANE Deve essere definito il fabbisogno di personale. Devono essere definite le modalità per mantenere attivo un piano di formazione - aggiornamento del personale. Devono essere definite le modalità per verificare il grado di soddisfazione degli operatori, ovvero il clima interno e per intraprendere azioni correttive e preventive per il miglioramento. 17 GESTIONE RISORSE TECNOLOGICHE Devono essere descritte le specifiche procedure di programmazione degli acquisti delle apparecchiature biomediche e dei dispositivi medici. Queste procedure devono tenere conto dell’obsolescenza, dell’adeguamento alle norme tecniche, dell’eventuale disponibilità di nuove tecnologie per il miglioramento dell’assistenza sanitaria. Devono essere descritte le modalità di valutazione dei fornitori e deve essere riportato l’elenco. Devono essere descritte le modalità di gestione di un inventario delle apparecchiature in dotazione. Devono essere descritte le modalità di gestione della manutenzione ordinaria e straordinaria delle apparecchiature biomediche. GESTIONE, VALUTAZIONE E MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’, LINEE GUIDA E REGOLAMENTI INTERNI Devono essere descritte le modalità di gestione, valutazione e miglioramento della qualità. Designa il responsabile per la qualità. Devono essere descritte le modalità di gestione delle verifiche interne. Devono essere descritte le modalità di svolgimento del controllo di qualità analitico. Deve essere predisposta una raccolta di regolamenti interni e linee guida, aggiornati per lo svolgimento delle procedure tecniche più rilevanti (selezionate per rischio, frequenza, costo), nonché per i criteri e modalità • di accesso dell’utente (programmazione liste di attesa, accoglimento e registrazione); • di prelievo, conservazione, trasporto dei materiali organici da sottoporre ad accertamento; • di pulizia, lavaggio, disinfezione e sterilizzazione di tutti gli strumenti ed accessori; pulizia e sanificazione degli ambienti; • di compilazione, conservazione, archiviazione dei documenti comprovanti un’attività sanitaria. SISTEMA INFORMATIVO Devono essere descritte le modalità di gestione del sistema informativo finalizzato alla raccolta, elaborazione ed archiviazione dei dati di struttura, processo ed esito. REQUISITI STRUTTURALI E TECNOLOGICI GENERALI Tutti i presidi devono essere in possesso dei requisiti previsti dalle vigenti leggi (nazionali , regionali e locali). In particolare tutte le attività per la prevenzione e sicurezza dei lavoratori devono essere garantite all’interno della struttura dal servizio di prevenzione e protezione previsto dal D.L. N° 81/2008. SCHEMA BASE PER LA PREPARAZIONE DI UN MANUALE DEI METODI UTILIZZATI DAL LABORATORIO Indice a. b. c. d. e. Scopo Norme generali Riferimenti Metodi di analisi dei seguenti analiti Allegati a. Scopo Descrivere lo scopo b. Norme generali Fornire regole di comportamento di applicazione generale, indipendentemente dal tipo di analisi, come la manutenzione, il controllo di qualità analitico, la conservazione dei campioni dopo l’analisi, la gestione delle scorte di reagenti, le modalità di validazione analitica, ecc. La serie analitica viene validata se almeno un valore dei materiali di controllo, analizzati alla fine della serie dei campioni dei pazienti cade entro l’intervallo di accettabilità riportato sulle relative carte di controllo. c. Riferimenti Riportare i titoli dei riferimenti importanti per il lavoro, come i manuali degli strumenti e la loro dislocazione. 18 d. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. Metodi di analisi riportare: il nome del costituente (sinonimi e abbreviazioni) Tipo di campione e il volume richiesto, nonché il volume minimo per poter eseguire l’analisi, stabilità in varie condizioni Tipo di contenitore provetta o altro ed eventuali particolari conservanti Frequenza di esecuzione eventuali modalità di conservazione prima dell’invio al laboratorio Principio del metodo: con il riferimento bibliografico Materiali necessari: strumenti, accessori, pipette particolari, ecc Descrizione dei Reagenti con numero di codice e Ditta, eventuali modalità di preparazione in laboratorio Descrizione dei materiali usati per la calibrazione , con numero di codice e Ditta, eventuali modalità di preparazione in laboratorio Descrizione dei materiali usati per il controllo di qualità interno, con numero di codice e Ditta, eventuali modalità di preparazione in laboratorio Descrizione dettagliata del metodo se manuale, o delle modalità di messa a punto della strumentazione automatizzata. Descrizione dettagliata dei punti fondamentali strumentali Descrizione dettagliata delle principali Caratteristiche analitiche come la linearità e l’imprecisione nella serie e totale tra serie (giorni) Descrizione delle principali Cause di errore o interferenza Intervalli di riferimento ed eventuali limiti decisionali e di allarme, suddivisi per sesso ed età, se necessario, con l’indicazione della fonte Significato Clinico con le principali patologie correlate Avvertenze, precauzioni tossicità e pericolosità di reagenti La documentazione del Sistema Qualità deve comprendere: - il Manuale della Qualità - la Politica della Qualità - il diagramma organizzativo - la descrizione schematica del processo aziendale - le risorse umane e tecnologiche (professionalità, esperienza, addestramento, etc.) - il coordinamento fra le attività di progettazione o ricerca, produzione, assistenza tecnica, controllo qualità e relativa documentazione - i piani della qualità (per particolari progetti, commesse, etc.) - le procedure organizzative, operative e le istruzioni di lavoro - i piani di controllo - le specifiche, i criteri di accettazione - i metodi di controllo - le apparecchiature di controllo (tipo, manutenzione taratura) - la predisposizione e l'identificazione dei moduli ed altri documenti di registrazione della qualità Dichiarazione della politica della qualità Essa conterrà i principi generali, gli obbiettivi e i programmi e sarà diffusa all'interno ed all'esterno del laboratorio. Viene nominato il responsabile per la qualità e il rappresentante della Direzione, un membro della struttura direttiva aziendale che, pur potendo avere altre responsabilità abbia specifica autorità per assicurare che sia istituito, applicato e mantenuto attivo un sistema qualità conforme alla norma; riferire alla direzione sull'andamento del sistema qualità al fine di permetterne il riesame e il miglioramento. Nella fase iniziale l’incarico consisterà nella cura e nella redazione del manuale della qualità e delle procedure organizzative e comporterà il coordinamento dell'attività dei collaboratori nella stesura delle procedure loro richieste. Questi compiti dovranno essere in linea con le direttive generali della Direzione e dovranno ottenere la collaborazione piena ed attiva di tutti gli operatori che avranno nel frattempo già avuto un'adeguata sensibilizzazione e formazione. Questa fase è critica e richiede il massimo contributo da parte del top management. In una fase successiva, il responsabile per la qualità assumerà il compito di organizzare le verifiche ispettive interne, di raccogliere ed organizzare i dati di controllo del processo operativo (tempi di consegna, eventuali errori, andamento delle carte di controllo, etc.). Questi dati costituiranno parte dei documenti da discutere con la Direzione del laboratorio ed i responsabili dei vari reparti per valutare l'efficacia del sistema di qualità messo in atto. 19 Carta Dei Servizi Pubblici Sanitari In accordo a quanto previsto dal D.P.C.M. del 19/07/1995, presso ogni laboratorio deve essere presente la:Carta dei servizi sanitari Indice della carta dei servizi • • • • • • • • • Come raggiungere la struttura, mezzi di trasporto Presentazione dell’azienda Descrizione della struttura Principi fondamentali Informazioni sui servizi Servizio amministrativo Modalità di prenotazione ed esecuzione prestazioni Modalità di raccolta dei campioni da analizzare Elenco degli esami di laboratorio PRESENTAZIONE DELL’ AZIENDA 1. Origine e obbiettivi Gli obbiettivi prefissati sono perseguiti mediante: • Servizi diagnostici di base convenzionati: Laboratorio di Analisi. Descrizione della struttura • Breve descrizione (Es. dove si trova, come raggiungerla etc..) PRINCIPI FONDAMENTALI • Uguaglianza A tutti i cittadini sono erogati uguali servizi, a prescindere dall’età, sesso, razza, lingua, nazionalità, religione, opinioni politiche, costumi, condizioni fisiche, condizioni psichiche, condizioni economiche, struttura della personalità. • Imparzialità A tutti i cittadini è assicurato un comportamento obiettivo ed unanime, da parte del personale che opera nella Struttura. • Continuità Ai cittadini è assicurata la continuità quantitativa, qualitativa e la regolarità dei servizi. • Diritto di scelta Ogni cittadino, munito della richiesta del medico del Servizio Sanitario Nazionale su ricettario nazionale, può esercitare il diritto di “ libera scelta “ rivolgendosi direttamente alla Struttura accreditata prescelta. • Partecipazione È garantito il diritto del cittadino a collaborare, con osservazioni e suggerimenti, alla correlata erogazione della prestazione e al miglioramento del servizio prestato dalla Struttura. • Efficienza ed efficacia Il servizio è erogato in modo da garantire l’efficienza e l’efficacia e la Struttura adotta le misure idonee al raggiungimento di tali obiettivi. Il laboratorio è in grado di espletare quasi tutte le analisi di laboratorio richieste ricorrendo, per poche analisi a bassa frequenza, alla consulenza di un laboratorio esterno. 20 MODALITA’ DI PRENOTAZIONE ED ESECUZIONE DI PRESTAZIONI AMBULATORIALI 2. Accettazione La prescrizione del medico deve contenere le seguenti indicazioni: a) Nome, cognome, età dell’assistito (data di nascita) b) Numero di Tessera sanitaria e/o codice fiscale dell’assistito, con la specificazione di eventuali diritti di esenzione dal pagamento della prestazione. c) Tipo della prestazione richiesta d) Quesito diagnostico e) Timbro e firma del medico f) Data 3. Privacy – Trattamento dei dati sensibili - Reclami Al momento dell’accettazione il paziente viene informato anche tramite cartelli affissi , ai sensi della L. 675/96, circa il trattamento dei dati sensibili. Il personale amministrativo è a disposizione per qualsiasi informazione inerente le disposizioni legislative sulla privacy. Per qualsiasi inconveniente documentabile si prega di rivolgersi al personale di segreteria che potrà predisporre un appuntamento con il responsabile del settore di competenza. 4. Pagamento delle prestazioni Il pagamento del ticket va effettuato prima dell’esecuzione delle prestazioni. I cittadini non esenti sono tenuti al pagamento di assistenza medico specialistica ambulatoriale secondo le tariffe vigenti, fino alla concorrenza dell’importo previsto dalla normativa in atto. Per prestazioni in libera professione è a disposizione del cittadino, presso l’Accettazione della Struttura, il relativo tariffario. Il personale amministrativo è a disposizione per ogni chiarimento. 5. Liste di attesa Per alcune prestazioni, nell’impossibilità di un’immediata erogazione per necessità di programmazione della Struttura potranno essere create liste di attesa. 6. Prelievi La struttura effettua prelievi tutti i giorni, incluso il sabato dalle ore 8.00 alle ore 9.30. Modalità di raccolta dei campioni 21 Organizzazione del Laboratorio chimico-clinico DESCRIZIONE SCHEMATICA DELLE ATTIVITA’ DEL LABORATORIO ANALISI ARRIVO DELLE RICHIESTE E DEI CAMPIONI SUDDIVISIONE DELLE RICHIESTE RY UE UT EW RU TW EIU RY UE UT EW RU TW EIU SUDDIVISIONE E PREPARAZIONE CAMPIONI RY UE UT EW RU TW EIU SETTORE DI CHIMICA CLINICA SETTORE DI EMATOLOGIA SETTORE DI MICROBIOLOGIA Preparazione dei registri di lavoro Preparazione dei registri lavoro Preparazione dei registri lavoro Esecuzione delle analisi con autoanalizzatore Esecuzione delle analisi Esecuzione delle analisi Trascrizione dei risultati sui registri di lavoro Trascrizione dei risultati sui registri di lavoro Trascrizione dei risultati sui registri di lavoro PREPARAZIONE DEI REFERTI Assemblaggio dei risultati dei pazienti REFERTI INCOMPLETI ARCHIVIO STORICO REFERTI REFERTI 22 DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’ DEL LABORATORIO COMPUTERIZZATO RICHIESTA ESAME RY UE UT EW RU TW EIU RY UE UT EW RU TW EIU RY UE UT EW RU TW EIU RICHIESTE LISTE DI LAVORO LISTE DI LAVORO Accettazione automatizzata campioni Suddivisione Preparazione LISTE DI LAVORO SETTORE DI CHIMICA CLINICA SETTORE DI EMATOLOGIA SETTORE DI MICROBIOLOGIA Esecuzione delle analisi Esecuzione delle analisi Esecuzione delle analisi Strumento collegato: Selezione automatica esami Acquisizione risultati Controllo di qualità Strumento collegato: Selezione automatica esami Acquisizione risultati Controllo di qualità Trascrizione dei risultati sulle liste di lavoro ARCHIVIO REFERTI REFERTAZIONE AUTOMATICA REFERTI LISTE DI LAVORO COMPILATE INTRODUZIONE RISULTATI AL TERMINALE REFERTI INCOMPLET I ARCHIVIO STORICO REFERTI REFERTI INCOMPLETI REFERTI ● Fase preanalitica - analitica – postanalitica 23 FASI LAVORATIVE FASE PRE-ANALITICA E VALIDAZIONE DEL CAMPIONE BIOLOGICO I risultati dei test di laboratorio sono usualmente utilizzati per fare diagnosi, per monitorare l'avanzamento della malattia, per monitorare la risposta al trattamento e per effettuare lo screening di una data patologia nella popolazione apparentemente sana. Spesso si considera la malattia come l’unica causa delle variazioni trovate nei test di laboratorio. In realtà molti fattori oltre la malattia possono alterare la composizione dei liquidi biologici utilizzati per le determinazioni di laboratorio; questi fattori sono dovuti sia al trattamento dei campioni in Laboratorio (cause analitiche) che a cause preanalitiche. Per fase preanalitica si intende tutto ciò che avviene prima dell’analisi comprendendo la preparazione del paziente, la corretta esecuzione del prelievo, le corrette modalità di conservazione e trasporto al Laboratorio. Nelle indagini più recenti, probabilmente per un’automatizzazione dei processi di refertazione lo studio statistico degli errori ha rilevato come la maggior parte di questi avvenga nella fase preanalitica. RACCOMANDAZIONI PER IL PRELIEVO DEL CAMPIONE Ogni laboratorio dovrà: • Stabilire la tipologia di test che intende offrire al cliente • Per ogni test è necessario indicare: • Natura del materiale su cui viene eseguita l’analisi • Esatte modalità di prelievo e raccolta • Volume necessario • Qualità e quantità di anticoagulante o eventuali altri additivi • Eventuale necessità di prelievo ad orario prefissato (ritmi cronobiologici, TDM, ecc.) • Eventuali condizioni critiche di conservazione del campione • Tempi di consegna al laboratorio 24 CAMPIONE BIOLOGICO: adeguatezza e validità La raccolta di un “campione” per l’esecuzione di un test di laboratorio si prefigge due obbiettivi fondamentali: Ottenere un campione adeguato per volume modalità di prelievo ed altre caratteristiche analitiche; Standardizzare ed uniformare tutte le variabili che concorrono al suo ottenimento in modo da limitare l’errore di campionamento. Purtroppo bisogna sempre fare i conti con la variabilità biologica che può essere: • Intraindividuale: dovuta alla diversità delle influenze fisiologiche sull’individuo (ritmi circadiani, variazioni stagionali, ciclo mestruale, postura, ecc.) • Interindividuale: indica le differenze delle misurazioni dello stesso costituente effettuate su individui diversi, nelle stesse condizioni (valori di riferimento differenziati per età, per sesso) • Pre-analitica può essere dovuta: 1. Materiali utilizzati 2. Modalità di esecuzione del prelievo Fattori che interessano il soggetto al momento dell’ottenimento del campione(dieta, digiuno, attività fisica, postura) VARIAZIONI FISIOLOGICHE INDIVIDUALI Nella Tabella 1 sono elencati i più importanti fattori fisiologici causa di variazione: TAB. 1 : Fattori fisiologici che danno luogo a variazioni prenalitiche Dieta Stress Variazioni ritmiche Stress mentale - diurne Esercizio fisico - ciclo mestruale Stress mentale Gravidanze Ritmo Dieta È importante tenere in considerazione la dieta che il paziente pratica, in quanto l'ingestione recente di alimenti dà luogo a variazione di parametri biochimici. La concentrazione dei trigliceridi aumenta immediatamente dopo il pasto, in risposta all'assorbimento dei grassi il plasma acquista una torbidità più o meno marcata. L'aumento dei trigliceridi torna al valore basale dopo 8-10 ore. È meglio prelevare il sangue per qualunque analisi (quando possibile) nello stato di digiuno del paziente. Quando non è possibile, ci si deve sempre chiedere se i risultati degli esami possano essere influenzati dalla ingestione degli alimenti. In caso di dubbio consultare il laboratorio. Anche il digiuno prolungato ha effetti biologici: per es. un digiuno di oltre 24 ore può fare aumentare la bilirubina nel siero. Il digiuno prolungato altera la produzione di molti ormoni e provoca la caduta del livello delle proteine, dei lipidi e degli elettroliti nel siero. Variazioni del ritmo Alcuni parametri biochimici non sono costanti nell'arco delle 24 ore (variazioni diurne). Per evitare questa fonte di variabilità, i prelievi di norma si eseguono tra le 7 e le 9 del mattino. I risultati di un analita, ottenuti in ore diverse, possono essere influenzati da un ritmo circadiano. Per esempio la concentrazione di ferro nel siero varia nelle 24 ore, più alta il mattino rispetto al pomeriggio. La fosfatasi acida è più elevata il pomeriggio del mattino. Si ricorda che i valori normali sono sempre riferiti a soggetti il cui prelievo è stato eseguito il mattino; pertanto la valutazione di risultati "anormali" ottenuti in altre ore può essere difficoltosa. Durante il ciclo mestruale è noto che i parametri ormonali si modificano, non è altrettanto noto che anche per parametri non strettamente correlati al ciclo mestruale ci possano essere variazioni; il colesterolo, per esempio, è di circa il 20% più basso nella fase luteale del ciclo. 25 Stress fisici e psichici Posizione: esercita un significativo effetto sui risultati di laboratorio. Si possono ottenere risultati differenti se si preleva in un soggetto in posizione eretta, oppure seduta o sdraiata: tra queste posizioni varia la distribuzione dei fluidi tra lo spazio extra e intravascolare. Per esempio le proteine plasmatiche possono avere una variazione del 5-10% in seguito al mutamento della posizione. Per standardizzare questa fase è bene perciò che il paziente ambulatoriale sia seduto e tranquillo da almeno 30' prima del prelievo. Esercizio fisico: è bene che il paziente ambulatoriale prima di un prelievo non effettui esercizi fisici di notevole entità (per esempio la corsa). Questa attività può infatti influire su alcuni parametri: per esempio l'acido lattico o alcuni enzimi, come il CK, LDH e l'AST aumentano. Quando è possibile il paziente dovrebbe trattenersi dal fare esercizi fisici strenui anche per diversi giorni prima del prelievo, a meno che non ci sia una precisa indicazione. Stress mentale: si raccomanda, dove possibile, di evitare stress psicologici; il paziente dovrebbe sempre essere rassicurato e reso tranquillo. Per alcuni parametri biochimici ci possono essere alterazioni dovute a questo: è nota ad esempio la sua influenza sulle fluttuazioni della concentrazione di prolattina. PROBLEMI DEL PRELEVATORE E DEL LABORATORIO Soddisfacimento del cliente (sala d’attesa, tempi di attesa, cortesia del personale) Modalità di prelievo e problemi connessi: 1. Posizione ortostatica, clinostatica, seduta 2. Applicazione del laccio 3. Eventuale emolisi 4. Uso di anticoagulanti 5. Uso di conservanti 6. Uso dei gel separatori 26 CAMPIONE BIOLOGICO: sangue Molti esami ematochimici vengono eseguiti su siero ottenuto lasciando coagulare il campione di sangue e separando il coagulo dalla parte liquida per centrifugazione. Quando si devono eseguire indagini su sangue intero o su plasma è necessario impedire la coagulazione con l’aggiunta di sostanze anticoagulanti. Il campione di siero dal risultato dell’azione dei fattori della coagulazione. Il sieraggio si compone di due processi biochimici: • Coagulazione del Sangue influenzata “in vitro” da attivazione esterna-cariche negative. • Ritrazione del Coagulo influenzata “in vitro” da componenti del sangue, pareti del contenitore, forzata meccanicamentecentrifugazione. Per il campionamento del siero si usano le provette: • “SECCA” con disco di silice attivatore della coagulazione e pareti siliconate. Istruzioni per l’uso, dopo il prelievo mescolare dolcemente, attendere la coagulazione per 10’ e centrifugare a 1500 G • con GEL: con disco di silice, pareti siliconate, Gel Olefinico a maggiore densità del siero e minore densità della massa cellulare. Forma una barriera tra il siero ed il coagulo durante la centrifugazione. Istruzioni per l’uso, Dopo il prelievo mescolare dolcemente, Attendere la coagulazione per 30’ centrifugare a 1200 G per 10’. Durante la coagulazione mantenere la temperatura tra i 4° ed i 25°C, con l’aumentare della temperatura aumentano le possibilità di deterioramento del gel. In terapia anticoagulante possibilità di fibrina nel gel. Permette di ottenere siero con alta densità. Vantaggi in favore dell’utilizzo del gel rispetto alla “secca”: 1. Completa separazione del siero dal coagulo in seguito a centrifugazione. 2. Prolungata conservazione senza decantazione del siero e senza effetti sui risultati della maggior parte dei test clinici 3. Trasporto senza rilascio di elementi intracellulari 4. Possibile l’utilizzo completo del siero 5. Facile decantazione ANTICOAGULANTI Per anticoagulante si intende qualsiasi sostanza in grado di prevenire, ritardare o sopprimere il processo di coagulazione in vitro e in vivo. Gli anticoagulanti più utilizzati nella pratica di laboratorio sono: • Eparina: inibisce il fattore X • EDTA: lega il calcio rendendolo indisponibile • Citrato: chelante del calcio • Potassio ossalato: forma un complesso insolubile con gli ioni calcio Le provette con anticoagulante permettono di ottenere il PLASMA, che è la parte del sangue ottenuta mediante centrifugazione del sangue intero. Gli anticoagulanti agiscono in linea di massima attraverso due meccanismi: • • Inibizione della formazione/attività della trombina Rimozione di Ca++ Confronto tra SIERO e PLASMA nella valutazione dei parametri biochimici: Vantaggi nell’uso del Plasma Non serve attendere l’avvenuta coagulazione Nessun problema legati a ritardi nella coagulazione Basso rischio di emolisi Svantaggi nell’uso del Plasma Il contenuto di proteine è alterato Interferenze dipendenti dalle metodologie Per risolvere i problemi relativi alla relazione tra risultato e metodologia per ogni procedura si dovrebbe valutare l’interferenza dell’anticoagulante prima di passare dall’utilizzo del Siero a quello del Plasma 27 PROVETTE CON ANTICOAGULANTE EPARINA Il plasma eparinato è usato in chimica clinica • L’attività anticoagulante dell’eparina è limitata nel tempo • L’eparina determina un blocco della forza ionica limitando la fragilità osmotica • Diminuzione Ca++ L’uso dell’eparina è sconsigliato: • Studi morfologici • Analisi emo-citometrica PROVETTE CON ANTICOAGULANTE EDTA • Lega Ca++ • EDTA-K2 • 1.2 mg/ml di sangue come “sequestric acid” • Istruzioni per l’uso: • Mescolare dopo il prelievo • Avvertenze • EDTA è l’anticoagulante per l’ematologia • Il sangue con EDTA è stabile per 6 h a 4°C per la valutazione di RBC e di WBC EDTA-K3, EDTA-K2, EDTA-Na2 sono gli anticoagulanti più diffusi nel mondo. Tutti mostrano la tendenza ad alterare le dimensioni degli Eritrociti specialmente in seguito alla conservazione per diverse ore del campione EDTA-K3 è in forma liquida e ciò causa la diluizione del campione di sangue. EDTA-K3 inoltre provoca la sottostima dei Leucociti La differenza tra EDTA-K2- EDTA-Na2 per la conservazione è molto ridotta con una leggera preferenza per il sale di potassio. I Sali di potassio sono maggiormente solubili rispetto a quelli di sodio (EDTA-K2 1650 g/l - EDTA-Na2 108 g/l) “International Council for Standardisation in Haematology” suggerisce di utilizzare EDTA-K2 come anticoagulante in Ematologia PROVETTE CON ANTICOAGULANTE CITRATO DI SODIO Istruzioni per l’uso: Non campionare come prima provetta Miscelare dopo il prelievo Conservazione e centrifugazione in base ai parametri Na3 – citrato.2H2O 0.011M o rapporto 9:1 (sangue/citrato) al 3.2% PROVETTE CON ANTICOAGULANTE CITRATO DI SODIO PER SEDIMENTAZIONE Forma complessi con il Ca++ Soluzione di citrato tamponato 3.8 g% Na3 – citrato.2H2O soluzione (0.129 mol/l) 3.2 g% Na3 – citrato.2H2O soluzione (0.109 mol/l) Rapporto: 4 parti sangue/1 parte di anticoagulante Istruzioni per l’uso: Miscelare dopo il prelievo Conservazione massima: 2h a temp. amb., 6h a 4°C Linee Guida per un Corretto Prelievo Venoso 1. Preparazione del materiale. Assicurarsi che tutto sia a portata di mano. cotone, laccio, sistema per provette sottovuoto (aghi, camicie, provette), contenitori per l'eliminazione del materiale usato per il prelievo, supporti per provette; 2. Identificazione del Paziente e delle provette. Identificare il Paziente ed etichettare le provette. Si raccomanda di fare sempre un controllo incrociato con etichette al letto dei Paziente; 3. Prelievo venoso. Dopo aver ispezionato il sito di prelievo, disinfettare, asciugare il sito, applicare il laccio emostatico e quindi utilizzare per la puntura l'ago montato su camicia Vacutainer; 28 4. Raccolta del campione. Infilare ad una ad una ed in successione le provette tappate all'interno della camicia in modo che il tappo venga perforato dall'apposito sistema che si trova dal lato opposto dell'ago, e quindi attendere fino a riempimento. Si raccomanda la seguente sequenza: a) provette per emocultura (sangue intero), b) provetta per siero senza additivi (sangue intero), c) provetta con citrato per coagulazione (plasma), d) provetta con eparina (plasma), e) provette con EDTA per emocromo (plasma), f) eventuali altre provette. Viene raccomandato questo ordine per l'attendibilità del risultato analitico. Se si preleva con butterfly in sistema sotto vuoto, per le provette di coagulazione, se il tubicino del butterfly non è pieno di sangue, si rischia di sbagliare il rapporto di diluizione sangue/soluzione di citrato. 5. Rimozione ago e tamponamento con cotone. Porre un batuffolo dì cotone sulla sede di puntura, senza premere, sfilare l'ago e quindi tenere premuto il cotone per 5 minuti a braccio disteso. 6. Eliminazione materiali. In questa fase si procede all'eliminazione di ago e camicia negli appositi contenitori. Si raccomanda vivamente, per motivi di sicurezza dell’operatore, di non reincapucciare per nessun motivo gli aghi. VARIAZIONI CHE SI VERIFICANO DURANTE LA RACCOLTA DEL CAMPIONE Nella Tabella 2 sono riportate le fonti di variabilità dovute al metodo di raccolta del campione. Oltre al tipo di prelievo, inteso come prelievo arterioso, venoso, misto, ecc. che di per se è una fonte di variabilità anche se controllabile, sono sicuramente fonte di variabilità da tenere sotto controllo l'effetto del laccio, l'emolisi, e la contaminazione da linee IV, l'uso corretto degli anticoagulanti e conservanti, l'etichettatura del campione. Effetto del laccio: il laccio facilita la raccolta del campione, ma è anche causa di un'emoconcentrazione artificiale. Si può verificare infatti un apparente aumento della concentrazione delle proteine e delle sostanze ad esse legate, anche quando il laccio viene applicato anche per un solo minuto. Se si lascia il laccio per circa 3 min. queste aumentano dell'8-10%. Per un’applicazione più prolungata aumentano lattato, ammonio, ecc. Questi effetti sono ancora più pronunciati se il laccio viene rilasciato durante il prelievo del sangue. Contaminazione da liquidi di infusione: in un paziente che riceve liquidi per via endovenosa, il prelievo di sangue dallo stesso braccio anche se in sito lontano dal catetere può essere causa di contaminazione del campione da esaminare. È stato valutato che il sangue può essere prelevato dal catetere qualora venga prelevato inizialmente e scartato un volume uguale al volume del catetere. Se non è possibile prelevare dal braccio controlaterale, questa tecnica può essere adeguata per dare una misura accurata dei parametri biochimici ed ematologici più comuni; in altri casi è inadeguata. Tenere comunque presente la possibilità di contaminazioni. Emolisi: causata da un flusso turbolento del sangue, dà luogo al rilascio di contenuti intracellulari come LDH e altri enzimi cellulari, potassio, magnesio, e fosfato. Inoltre l'emoglobina libera provoca interferenza in molti metodi di dosaggio. Scegliere l’ago della misura idonea, evitare assolutamente di togliere la provetta da vuoto prima che sia stata riempita e di prelevare con siringa e travasare il sangue nelle provette sottovuoto espellendolo dalla siringa con ago innestato. 29 Queste manovre danno luogo ad emolisi certa. TAB. 2 : Fonti di errore nella fase del prelievo Mancato controllo del rispetto della dieta da parte del paziente Applicazione prolungata del laccio Contaminazione da infusione venosa Emolisi Incompleto riempimento della provetta Uso di provette con anticoagulanti e conservanti non idonei Errata identificazione del paziente Errata etichettatura delle provette Mancata indicazione del tipo di prelievo ( arterioso , venoso, ecc.) Mancata indicazione di data e ora del prelievo VARIAZIONI CHE SI VERIFICANO TRA LA RACCOLTA DEL CAMPIONE E LA FASE ANALITICA Effettuato il prelievo, il materiale va inviato subito al Laboratorio per essere sottoposto alla preparazione idonea all’analisi. Se non può essere inviato subito, va trattato e conservato seguendo le istruzioni specifiche per ciascun analita per evitare quelle modificazioni "in vitro" che possono alterare il risultato dell’analisi. Per esempio, se campioni di sangue vengono lasciati a temperatura ambiente anche per un tempo limitato (inferiore all’ora) si hanno alterazioni nette dei livelli di alcuni analiti (es. lattato, ammoniaca). Lasciando i campioni per un tempo più lungo a temperatura ambiente si osserva una caduta nella concentrazione del glucosio (diminuzione del 3-5% ogni ora a causa del metabolismo degli elementi figurati); una volta che il glucosio viene completamente utilizzato, i globuli rossi cominciano a perdere il loro contenuto citoplasmatico dando luogo ad aumento di LDH, AST, potassio e fosfati. Nella Tabella 3 sono riportate le cause più frequenti di errori dopo aver eseguito il prelievo. TAB. 3 : Fonte di errore dopo i prelievi Ritardi nel trasferire i campioni al laboratorio Non osservanza delle istruzioni per la corretta conservazione del campione Se nella scheda dell’analita che interessa non sono riportate istruzioni specifiche per il trattamento preliminare e la conservazione del campione in caso di consegna differita al Laboratorio, vanno seguite queste norme generali : L’analisi va eseguita su sangue intero : conservare la provetta di prelievo in frigorifero (+4°C) e mantenerla refrigerata fino alla consegna ; L’analisi va eseguita su siero o plasma : centrifugare la provetta di prelievo (a coagulazione avvenuta nel caso del siero), travasare il siero o plasma in altra provetta, da porre in frigorifero e mantenere refrigerata fino alla consegna ; 30 L’analisi va eseguita su urina : preparare un campione in una provetta da 10 mL, refrigerare e conservare refrigerato fino alla consegna. Se il campione proviene da una raccolta di urina a tempo (2 ore, 24 ore), miscelare bene tutto il quantitativo di urina raccolta prima di prelevarne i 10 mL necessari, misurare la quantità totale con un cilindro graduato e indicare sulla richiesta di esame la quantità misurata in mL (per es. : diuresi 24 ore 1250 mL). VALUTAZIONE DELL’IDONEITÀ DEL CAMPIONE: CRITERI DI INACCETTABILITA’ DEI CAMPIONI La decisione di rifiutare un campione è da attuarsi: • al momento dell’arrivo del campione in laboratorio • durante la fase preparativa Ogni qual volta venga rilevata una non conformità, questa deve essere registrata in modo da poter seguire la sua evoluzione attraverso azioni correttive e preventive che portino alla sua eventuale risoluzione. Al momento dell’arrivo del campione in laboratorio si rilevano: Errata identificazione del campione Insufficiente volume del campione Inadeguato rapporto sangue/anticoagulante Uso di contenitori inadeguati Trasporto e conservazione incongrua (specialmente nel caso di analiti labili) Durante la fase preparativa si rilevano: • Emolisi • Ittero • Siero lattescente EMOLISI È il rilascio di componenti intracellulari degli eritrociti, piastrine e leucociti nel fluido extracellulare, il plasma o il siero, e può avvenire in tutti gli stadi della fase preanalitica. L’emolisi è visibile come una colorazione rossa del plasma o del siero dopo centrifugazione del campione. Per avere un’emolisi visibile la concentrazione di emoglobina libera, nel plasma o nel siero, varia tra i 100 e i 300mg/L. nei campioni itterici il limite di concentrazione dell’emoglobina è significativamente più alto. L’emolisi può avvenire nello spazio intravascolare o in quello extravascolare, ma in molti casi la distinzione tra emolisi intra od extra vascolare è impossibile. L’emolisi è un fattore di influenza biologica se il rilascio di costituenti delle cellule del sangue avviene in vivo, dovuto a malattie o altre cause, e i costituenti intracellulari devono essere misurati. È un’interferenza se avviene in vitro dopo la raccolta del campione e cambia i risultati del processo analitico ed è dovuto a modalità errate di prelievo, trasporto o stoccaggio. L’emolisi in vitro può essere infatti causata da fattori fisici (distruzione meccanica, congelamento, shock iperosmotico), chimici (detergenti) o metabolici (esaurimento del glucosio nel campione, incremento della fragilità dovuto a malattie ereditarie, inibitori metabolici di enzimi) che conducono tutti al rilascio di potassio con aumento concomitante di sodio e cloro. A seconda del meccanismo coinvolto l’interferenza dell’emolisi può essere classificata in tre differenti tipi: Chimico: quando l’interferente interviene nella reazione, ad esempio nella determinazione dell’ammonio gli eritrociti liberano NADPH che è un componente del reattivo usato; e nella determinazione dell’attività del CK che viene aumentata dal G-6-PDH e dal ATP liberati anche essi dagli eritrociti. Biologico: quando l’interferente libera nel plasma, l’analita stesso che andiamo a determinare, ad esempio il potassio. Spettrofotometrico: quando l’assorbanza dell’interferente si somma a quella dell’analita. ITTERO Tutte le condizioni in cui si ha un aumento della produzione di bilirubina (es. itteri emolitici), una mancata captazione o coniugazione (epatopatie), una difficoltosa escrezione della bile (es. colestasi), portano ad un eccesso di bilirubina in circolo, cioè all’ittero. La bilirubina è un pigmento biliare prodotto dal catabolismo dell’eme, proveniente dall’emoglobina dei globuli rossi in disfacimento, da quella dei precursori dei globuli rossi nel midollo e dalle proteine del fegato ed altri tessuti contenenti eme. La bilirubina formatasi secondo le modalità sopra brevemente citate, per la maggior parte a livello del sistema-reticolo-endoteliale, è costituita da acido bilirubinico libero la cui solubilità in mezzo acquoso è molto bassa. Per circolare nel sangue in attesa di pervenire alle cellule epatiche, la bilirubina è solubilizzata e veicolata dall’albumina serica, che per ogni molecola lega generalmente una molecola di bilirubina. Una volta pervenuta entro la cellula epatica, la bilirubina va incontro a importantissime modificazioni metaboliche consistenti nella sua esterificazione prima con una e poi con una seconda molecola di acido glucoronico. L’influenza di questo interferente è di natura spettrofotometrica. 31 TORBIDITA’ (siero lattescente, lipemia) È il tasso di lipidi presenti nel sangue. La torbidità del plasma appare sempre correlata con il contenuto di trigliceridi, tanto che l’osservazione dell’aspetto del plasma è considerata un corollario di notevole significato quando si indaga sulle alterazioni dei trigliceridi plasmatici. L’aumento dei trigliceridi plasmatici è un fenomeno naturale con carattere transitorio dopo digestione e assorbimento di un pasto ricco di grassi e glicerolo ma vengono subito ricostituiti nelle stesse cellule della mucosa del tenue. Salvo casi particolari di dislipidemie costituzionale, la digestione e l’assorbimento di grassi non sono responsabili di un aumento di trigliceridi tale che possa essere osservato anche a molte ore di distanza dal pasto. Infatti un aumento duraturo della trigliceridemia dipende da una eccessiva sintesi epatica di trigliceridi. È importante rilevare che un aumento della sintesi epatica di trigliceridi può essere dovuta anche ad un esagerato apporto di pool metabolico di carboidrati di origine alimentare. Si ritiene che la perdita di limpidezza del plasma possa talora verificarsi con un contenuto di trigliceridi di 250mg/dl ed è sempre presente quando questo supera i 400mg/dl. L’interferenza della lipemia dipende essenzialmente dalla strumentazione utilizzata e dal metodo. Nelle situazioni in cui non ci sono chiarificatori all’interno del reagente, la soluzione è l’introduzione della lettura di un bianco campione o l’utilizzazione di una cinetica. Se invece è necessaria una chiarificazione, occorre che questa sia fatta prima della lettura analitica. L’interferenza può essere: 1. Spettrofotometrica (aumento dell’assorbanza) 2. Chimica (formazione di complessi con i reagenti) INTERFERENZE DA FARMACI • • • Di natura biologica (effetto diretto o attività biologiche collaterali su specifico analita) Di natura fisico-chimica (interferenza nel procedimento analitico) Legame del farmaco o suo metabolita con le proteine del plasma in competizione con l’analita da misurare MODALITA’ DI RACCOLTA DEI CAMPIONI DA ESAMINARE Esame delle urine Per l’esame delle urine completo, raccogliere un campione delle urine del primo mattino e consegnarlo al più presto in laboratorio. Il recipiente da utilizzare può essere ritirato gratuitamente in laboratorio o acquistato in farmacia. Urinocoltura (Da non eseguirsi in corso di terapia antibiotica) Il recipiente da usare per la raccolta del campione di urine deve essere sterile e può essere ritirato gratuitamente in laboratorio o acquistato in farmacia. Procedere come segue : Eseguire un’accurata pulizia locale; Scartare le prime gocce di urina; Raccogliere l’urina direttamente nel contenitore avendo cura di non toccarne le pareti interne; Richiudere il contenitore e consegnarlo al più presto in laboratorio. Raccolta urine delle 24 ore Occorre munirsi di un contenitore adeguato che può essere ritirato in laboratorio. Per eseguire correttamente la raccolta : Scartare la prima urina del mattino; Raccogliere da questo momento in poi, tutte le urine che saranno prodotte nelle successive 24 ore inclusa la prima del mattino seguente. Il contenitore va conservato al fresco per tutto il tempo della raccolta. Durante il giorno in cui vengono raccolte le urine bere qualche bicchiere d'acqua più del solito onde ottimizzare la diuresi. Feci : esame per la ricerca dei parassiti Raccogliere una piccola quantità di feci (una nocciola) e porla in un contenitore pulito (esistono contenitori muniti di paletta). Il campione non deve essere contaminato da urina. Il contenitore può essere ritirato gratuitamente in laboratorio o acquistato in farmacia. Una ricerca corretta dei parassiti nelle feci va ripetuta almeno 3 volte. 32 Feci : esame per la ricerca del sangue occulto Raccogliere una piccola quantità di feci (una nocciola) e porla in un contenitore pulito (esistono contenitori muniti di paletta). Il campione non deve essere contaminato da urina. L’esame è specifico per il sangue umano, quindi non è necessaria alcuna dieta mentre è opportuno evitare il periodo mestruale. Il contenitore può essere ritirato gratuitamente in laboratorio o acquistato in farmacia. Feci : esame colturale (coprocoltura) Raccogliere una piccola quantità di feci (una nocciola) e porla in un contenitore pulito (esistono contenitori muniti di paletta). Il campione non deve essere contaminato da urina e va consegnato al più presto in laboratorio. Segnalare se sono in corso terapia antibiotiche. Il contenitore può essere ritirato gratuitamente in laboratorio o acquistato in farmacia. Tampone uretrale E’ necessario evitare di urinare alcune ore prima di effettuare l’esame. Segnalare se sono in corso terapie antibiotiche. Tampone vaginale Prendere l’appuntamento con il laboratorio. E’ necessario eseguire un’adeguata pulizia locale. Segnalare se sono in corso terapie antibiotiche. Prova immunologica di gravidanza (su urina) L’esame si esegue su un campione di urina preferibilmente del primo mattino. Il metodo utilizzato consente una diagnosi attendibile dopo 10-12 giorni dal concepimento. Curva glicemica Il paziente si presenta a digiuno per essere sottoposto ad un primo prelievo del sangue. Successivamente all'assunzione di una precisa quantità di glucosio, saranno effettuati altri 4 prelievi. La prova finisce dopo 2 ore. 33 Compilare il questionario anamnestico ritirato insieme ai recipienti presso il laboratorio 34 35 36 CONCLUSIONI Gli Errori di laboratorio sono ascrivibili in larga misura alla fase pre-analitica sia in ordine di frequenza che di gravità (non conformità che riguardano il materiale biologico prima che venga sottoposto a procedimento analitico). Alcune cause di errore, anche se poco frequenti, sono particolarmente gravi per le conseguenze e purtroppo una volta effettuato il prelievo non più rimediabili (errore di identificazione e di accoppiamento fra paziente e suo materiale biologico). Molto più frequenti, ma meno gravi risultano tutte le altre cause di non conformità già ricordate Solo l’adesione scrupolosa a condizioni standardizzate può eliminare o almeno contenere l’effetto di “cause di disturbo” che rendono un po’ meno sicura l’interpretazione clinica del test di laboratorio e il suo confronto con i “valori di riferimento” LA FASE ANALITICA I compiti del Tecnico Sanitario di Laboratorio Biomedico vanno oltre la corretta esecuzione della metodica analitica. Sono infatti altrettanto importanti i passi successivi, che si possono così riassumere: -Registrazione accurata dei dati analitici, sperimentali e corretta esecuzione dei calcoli ove necessario. -Scelta del valore migliore da riportare quando una stessa determinazione è stata ripetuta più volte. -Valutazione dei risultati ottenuti e calcolo dei limiti probabili dell'errore, che vanno poi indicati insieme al risultato finale. -Elaborazione di una strategia per controllare le fonti di errore e migliorare così la qualità delle prestazioni analitiche. Analisi chimica/biochimica clinica e biomedica Analisi: scomposizione di una sostanza nelle parti che la compongono. L’analisi chimica/biochimica può essere: 1. Analisi qualitativa: individua il tipo di sostanza presente in un “campione”. 2. Analisi quantitativa: misura quanta sostanza è presente in un “campione”. Avvolte i due tipi di analisi possono coesistere nella stessa metodica analitica. Ora possiamo affermare che una Metodica analitica è un metodo di analisi che comprendente i reagenti per il tipo di sostanza e lo strumento per misurare quanta sostanza è presente in un “campione”. Caratteristiche principali di una metodica e di uno strumento Nelle metodiche analitiche si usano diversi strumenti di misura e reagenti allo scopo di effettuare un’analisi, ma tutti hanno le seguenti caratteristiche: Portata: valore massimo della grandezza che uno strumento è in grado di misurare. Sensibilità: il valore più piccolo della grandezza che uno strumento è in grado di apprezzare. Specificità: capacità di una metodica analitica di distinguere tra analiti a struttura molto simile. Accuratezza: indica quanto grande è la corrispondenza tra il valore reale della grandezza misurata e quello rilevato dallo strumento e dalla metodica. Precisione: indica la riproducibilità dei valori ottenuti da una misurazione. Si dice che una misura è “precisa” quando ripetute esecuzioni della stessa danno valori concordanti. Attendibilità: è data dall’insieme della sensibilità, specificità, precisione e accuratezza del metodo adottato, nonché precisione e accuratezza dell’analista. Essa caratterizza in senso globale un risultato analitico. Purtroppo qualunque misura di grandezze chimiche o fisiche contiene in se un certo margine di incertezza, dovuta a molteplici fonti di errore che sono comunque riconducibili a due classi fondamentali. Gli errori sistematici e grossolani sono strettamente legati alle capacità dell'operatore, all'organizzazione del laboratorio, alle prestazioni degli strumenti o infine al metodo analitico utilizzato. Queste fonti di errore possono essere individuate abbastanza facilmente e, quindi, eliminate in una certa misura o del tutto. Gli errori casuali sono invece indeterminabili e non possono mai essere eliminati completamente. La loro influenza sui risultati analitici può essere stimata da un punto di vista teorico mediante l'analisi statistica dei dati raccolti attraverso una serie ripetuta di misure. 37 Selezione di un metodo analitico I procedimenti analitici vanno selezionati in base a : 1. Proprietà caratteristiche: • Precisione • Accuratezza • Sensibilità • Specificità 2. Criteri di praticabilità: • Rapidità • Semplicità • Costi • Possibilità di automazione Il test di screening Il test di screening è l’applicazione di una metodica analitica per studiare e valutare la frequenza di una malattia in una “popolazione”. Quali sono i criteri per attuare un test di screening: • il tipo di malattia deve essere frequente • deve essere presente un tempo sufficiente per comparsa dei sintomi • facilità di esecuzione del test • adeguata disponibilità di servizi • agevolazioni economiche • accuratezza del test • trattamento idoneo in caso di conferma della malattia Caratteristiche del test di screening malattia presente malattia non presente totale test + a veri positivi b falsi positivi a+b test - c falsi negativi d veri negativi c+d totale a+c b+d caratteristiche del test di screening: Sensibilità: Si definisce come la probabilità che il test sia positivo posto che l’individuo sia malato, proporzione di soggetti con la malattia che sono risultati positivi al test. sensibilità = veri positivi / totale malati sensibilità = a / (a + c) 38 Specificità: Si definisce come la probabilità che il test sia negativo posto che l’individuo sia sano, proporzione di soggetti senza la malattia che sono risultati negativi al test. specificità = veri negativi / tot non malati specificità = d / (b + d) Valore predittivo positivo (PV+): Si definisce come la probabilità che il soggetto sia malato posto che sia positivo al test, indica quanti dei positivi sono realmente ammalati PV+ = veri positivi / tot positivi al test PV+ = a / (a + b) Valore predittivo negativo (PV-) Si definisce come la probabilità che il soggetto sia sano posto che sia positivo al test, indica quanti dei negativi sono realmente sani PV- = veri negativi / tot negativi al test PV- = d / (c + d) Per una malattia frequente e per un test valido il valore predittivo positivo è del 50% cioè, di tutti i positivi al test di screening solo la metà ha la malattia; per una malattia meno frequente e per un test valido il valore predittivo positivo è solo dell’ 8% cioè, di tutti i positivi al test di screening meno di uno su dieci ha la malattia; per una malattia rara e per un test valido il valore predittivo positivo è solo dell’ 1% cioè, di tutti i positivi al test di screening meno di uno su cento ha la malattia Come si fa a scegliere il punto di “cut-off” di un test diagnostico? Abbiamo visto in precedenza che i test diagnostici si dividono in due categorie “qualitativi” e “quantitativi”. Per i test quantitativi occorre individuare sulla scala di lettura un “valore soglia” (cut off quantitativo) che discrimini i risultati da dichiarare “positivi” (soggetti malati) da quelli “negativi” (soggetti sani). Ciò consente di categorizzare in positivi e negativi la gamma di tutti i possibili risultati e di equiparare l’interpretazione di un test quantitativo a quella di un test qualitativo. Il problema della scelta di un cut off non sorge se non ci sono sovrapposizioni tra le persone malate e le persone sane (situazione ideale). E’ quindi possibile scegliere un cut off che risponda ad un valore di sensibilità o di specificità, ma non è detto che sia il valore ottimale. La sensibilità e la specificità associate ad un singolo cut off non rappresentano descrittori esaurienti della validità del test potenzialmente ottenibili con altri valori di cut off . I valori predittivi, in quanto dipendenti dalla prevalenza della malattia nella popolazione studiata, non sono caratteristiche intrinseche del test e quindi non possono essere usati come descrittori esaurienti della validità dei test. Purtroppo nella pratica si verifica sempre una sovrapposizione più o meno ampia delle due distribuzioni ed è perciò impossibile individuare sull’asse delle ascisse un valore soglia che consenta una classificazione perfetta. 39 Le curve di ROC (Relative Operating Characteristic) Se vi è sovrapposizione si può ricorrere alle curve ROC L’ analisi di ROC viene effettuata attraverso lo studio della funzione che lega la probabilità di ottenere un risultato Vero positivo nella classe dei malati-veri (Se) alla probabilità di ottenere un risultato Falso positivo nella classe dei non malati (Sp). Ovvero vengono studiati i rapporti fra allarmi veri e falsi allarmi. Come si costruisce una curva ROC Sull’asse delle ordinate sono riportati i valori di sensibilità Sull’asse delle ascisse sono riportati i valori del complemento della specificità riportare i punti per ciascun valore di cut off. 7 5 9 Conclusioni I test diagnostici forniscono risultati sotto forma di variabili continue. In questi casi è necessario individuare un valore soglia allo scopo di decidere, a fronte di un determinato valore, l’individuo deve essere classificato come sano o malato. Pur non essendo il valore di cut off critico ai fini decisionali, non esiste un cut off ottimale. Infatti ogni variazione del valore adottato coincide con una variazione della Se o Sp del test. Purtroppo le suddette variazioni si verificano in direzioni opposte, nel senso che ad un incremento di Se corrisponde un decremento di Sp e viceversa. Le curve ROC permettono di analizzare la correlazione tra Se e Sp di un test per una gamma di differenti cut off. Attraverso l’esame della curva ed il calcolo dell’area ad essa sottesa (AUC, area sotto la curva) si può misurare la capacità discriminante del test ed individuare il miglior cut off . L’analisi ROC è di grande utilità per confrontare la validità di due o più test. Confronto di test diagnostici mediante curve ROC 40 Metodi elettrochimici Elettrochimica L'elettrochimica è quella branca della chimica che si occupa dei processi che coinvolgono il trasferimento di elettroni: le reazioni di ossido-riduzione (dette comunemente redox). Tratta le trasformazioni chimiche prodotte dal passaggio di elettricità in determinati sistemi chimici e la produzione/immagazzinamento di elettricità per mezzo di trasformazioni chimiche. Chimica elettroanalitica La chimica elettroanalitica è la branca della chimica analitica che impiega metodi elettrochimici per rilevare la natura e la concentrazione di specie chimiche in soluzione. Le tecniche analitiche elettrochimiche presentano il vantaggio di esser spesso specifiche nei confronti di particolari stati di ossidazione di un elemento, al contrario della maggior parte delle altre tecniche analitiche, in cui si è in grado solamente di determinarne la concentrazione totale. Inoltre la strumentazione necessaria è spesso poco costosa e maneggevole, permettendo dunque di operare anche fuori dal laboratorio. Le più importanti tecniche elettroanlitiche sono: ● ● ● ● ● ● ● ● Potenziometria Elettroforesi Polarografia Voltammetria Amperometria Conduttimetria Elettrogravimetria Coulombometria Potenziometria Per potenziometria si intende generalmente l'insieme dei metodi analitici che si basano sulla misura del elettrochimico di una cella galvanica in condizione di assenza di corrente. potenziale Equazione di Nernst L'equazione di Nernst esprime il potenziale d'elettrodo (E), relativamente al potenziale d'elettrodo standard (E0), di una coppia di elettrodi o di una semielemento di un pila. In altre parole serve per vedere il potenziale dell'elettrodo in condizioni diverse da quelle standard. Per soluzioni non troppo concentrate, la relazione si può esprimere attraverso le concentrazioni: La tipica strumentazione utilizzata in potenziometria comprende un elettrodo di riferimento, il cui potenziale deve essere noto, costante nel tempo e indipendente dalla composizione della soluzione contenente l'analita in cui è immerso, un elettrodo indicatore (o di lavoro), la cui risposta dipende dalla concentrazione dell'analita, e infine un dispositivo per la misura del potenziale che può essere rappresentato da un potenziometro o un moderno voltmetro elettronico. Il potenziometro è in pratica un misuratore di potenziale (elettrico). Successivamente il termine si è esteso ad indicare l'impiego del dispositivo in applicazioni del tutto diverse dalla pura misura. 41 I potenziometri sono utilizzati per misurare con precisione la tensione elettrica per confronto con una sorgente di riferimento. Elettrodo di misura Un elettrodo è un conduttore usato per stabilire un contatto elettrico con una parte non metallica di circuito, per esempio un semiconduttore, un elettrolita o il vuoto. Con il termine elettrodo di misura si intende indicare un particolare elettrodo, sfruttabile nell'analisi chimica potenziometrica, il cui potenziale varia in funzione della concentrazione di una determinata specie ionica (che rappresenta l'analita) presente in soluzione. L'elettrodo di riferimento invece rappresenta l'altro semielemento galvanico che ha potenziale costante e chiude il circuito. Il tipo di sonda più usato nei laboratori chimici per la misura del pH di soluzioni acquose tramite il piaccametro è l’elettrodo a vetro. Sono necessari due elettrodi per la misura del pH (uno di misura e uno di riferimento), gli elettrodi a vetro disponibili sul mercato combinano in un'unico corpo sia l'elettrodo a vetro vero e proprio, che funge da elettrodo di misura, con un secondo elettrodo interno, di riferimento. Un elettrodo di questo tipo viene detto "combinato". In genere si compone di un tubo di vetro incamiciato da un tubo esterno in cui sono contenuti: 1)filo d'argento tubo esterno [5] 2)cloruro d'argento + elettrolita (generalmente una soluzione di cloruro di potassio) che fungono da elettrodo di riferimento [6] 3)filo d'argento tubo interno [4] 4)cloruro d'argento + elettrolita [2] 5)ponte salino [7] 6)tappo rimovibile [3] 7)membrana di vetro sottile [8] 8)cavo coassiale [1] Lo schema elettrochimico complessivo è il seguente: Ag / AgCl / soluzione di KCl // membrana di vetro // soluzione del campione // diaframma // soluzione di KCl / AgCl / Ag Piaccametro Un piaccametro consiste di una sonda (un elettrodo a vetro) collegata ad un dispositivo elettronico che raccoglie il segnale della sonda, calcola il valore di pH corrispondente e lo rappresenta su un display.La sonda misura la differenza di potenziale elettrico su due lati della membrana di vetro posta all'estremità dell'elettrodo, tale differenza di potenziale è legata alla differenza tra le concentrazioni degli ioni idrogeno all'interno e all'esterno della membrana. Un'unità di pH generalmente produce una differenza di potenziale di circa 0,059 V. Le sonde immerse nella soluzione sono due: oltre all'elettrodo viene immersa anche una sonda di temperatura, il cui compito è correggere la lettura dell'elettrodo in funzione dell'effettiva temperatura del campione. Il circuito del misuratore fondamentalmente è un voltmetro che mostra i risultati in scala di unità di pH anziché in volt. L'impedenza del misuratore deve essere molto alta, a causa dell'alta resistenza elettrica (tra i 20 e i 1000 MΩ) degli elettrodi a vetro comunemente usati. Il circuito di un semplice piaccametro consiste di un amplificatore operazionale. L'amplificatore converte il debole potenziale elettrico prodotto dalla sonda (+0.059 volt/pH nelle soluzioni basiche, -0.059 volt/pH nelle soluzioni acide) in unità di pH, spostando il risultato di 7 unità (offset) per farlo rientrare nella scala di pH. 42 Calibrazione e utilizzo Calibrare un piaccametro significa aggiustare i valori del circuito amplificatore affinché il valore fornito dallo strumento coincida con quello previsto dalla lettura di soluzioni standard a pH noto. Operativamente, la calibrazione viene condotta con due o tre soluzioni tampone standard, preferibilmente prima dell'uso, anche se i piaccametri più moderni sono stabili anche fino ad un mese. Nella calibrazione a due punti si usa una soluzione tampone a pH 7,01 (praticamente neutra) e una a pH 10,01; in quella a tre punti si aggiunge anche una terza soluzione tampone a pH 4,01. Guadagno e offset vengono aggiustati ripetutamente fino a quando gli standard utilizzati producono la lettura di pH attesa. Negli strumenti più moderni questo aggiustamento è eseguito in maniera completamente automatica. Terminata la calibrazione, l'elettrodo viene sciacquato con acqua distillata, asciugato e immerso nel campione. L'elettrodo a vetro è generalmente conservato immerso in una soluzione a pH 3 per impedire che la membrana di vetro si secchi; si tende ad evitare l'uso di acqua distillata perché potrebbe estrarre per osmosi gli ioni idrogeno presenti all'interno dell'elettrodo. Elettrodi ione-selettivi Un elettrodo ionoselettivo, definito anche elettrodo a membrana, è un elettrodo in grado di misurare la concentrazione di una specifica specie chimica ionica o anche molecolare: questa peculiare sensibilità rappresenta la caratteristica saliente di questa classe di elettrodi. La parte sensibile è costituita da una piccola membrana sita sul fondo dell'elettrodo tra le cui interfacce interna ed esterna si stabilisce una differenza di potenziale dovuta alla differenza di concentrazione esistente tra la soluzione di riferimento e quella contenente l'analita e nelle quale è immerso l'elettrodo a membrana. Il funzionamento dell'elettrodo ionoselettivo è descritto dall'equazione di Nicolsky: • • • • E0 è una costante di elettrodo; ai l'attività dell'analita; Kj il coefficiente di selettività dell'elettrodo; aj l'attività della specie j-esima presente in soluzione e verso la quale l'elettrodo presenta una più o meno marcata sensibilità; • n è la carica ionica dell'analita e nj la carica della specie j-esima di cui sopra. Il coefficiente di selettività (Kj )indica il livello di specificità dell'elettrodo a membrana e varia da valori di 10-13, tipici degli elettrodi a vetro, a valori compresi tra 10-4 - 10-7 per altri elettrodi selettivi. Esistono diverse tipologie di membrane che si differenziano sia in base al loro stato fisico sia in base alla loro composizione chimica: 1.Membrane solide 2.A vetro, utilizzate ad esempio per determinare ioni Na+ e H+ 3.Cristalline, come quelle sensibili a ioni quali F-, Pb2+ e Cu2+ 4.Resine a scambio ionico, selettive ad esempio verso il potassio e diversi cationi ed anioni 5.Membrane liquide, formate da soluzioni di composti organici in solventi immiscibili con l'acqua e supportate su di un solido 6.Elettrodi ad enzima, formato da una membrana contenente un enzima il cui prodotto di reazione (solitamente ioni H+ o OH-) viene misurato dal reale elettrodo ionoselettivo ricoperto dalla precedente membrana (un esempio è l'elettrodo glucosio selettivo). Elettrodi ione-selettivi nell'analisi degli elettroliti Analita Sodio Potassio Cloro Elettrodo Membrana a corona con etere liquido Membrana con valinomicina liquida Membrana a scambio ionico con sali d'ammonio quaternari 43 L'analisi si basa sulla detrminazione della differenza potenziale tra l'elettrodo ione selettivo e l'elettrodo di riferimento. Il potenziale dell'elettrodo a membrana è dovuto alla permeabilità della membrana agli anioni o ai cationi. L'equazione generale che descrive il potenziale (E) per l'elettrodo è: ΔE= RT/nF log Acampione / Acalibratore Dove: E=potenziale misurato R=costante dei gas n=carica dello ione misurato F=costante di Faraday A=attività dello ione Per la determinazione quantitativa in vitro su plasma, siero e urine vengono impiegati 3 soluzioni denominate: ISE Diluente ISE Soluzione di riferimento ISE Calibratore La concentrazione del campione (C) è calcolato dal computer secondo la formula: Csample = Cdiluent d exp[ CF / Ntheory mV ]-Cdiluent (d-1) CF = fattore di correzione-determinato su 1 punto calibrazione Ntheory = Nernst slope (2.303 RT/nF), teorico (per ioni monovalenti è 59.16 mV a 25°C) mV = differenza di potenziale tra il campione e il diluente d = rapporto di diluizione Cdiluent = concentrazione dello ione nel diluente Cenni di Amperometria L’amperometria misura la corrente che fluisce attraverso un microelettrodo a potenziale costante. E’ una misura della concentrazione della specie che sta cedendo cariche all'elettrodo o acquistandone da esso. I [Conc] Esempio Cella di Clark: + Ag | KCl || KCl | Pt 4 Ag + 4Cl − → 4 AgCl + 4e − O2 + 4 H + + 4e − → 2 H 2O 44 Le applicazioni principali sono: 1. Fermentatori 2. Studi di base mitocondri, cloroplasti, enzimi redox 3. Emogasanalisi (EGA) 4. Macchina cuore-polmoni Rivelatore elettrochimico per HPLC Metodi ottici di analisi La radiazione elettromagnetica (modello ondulatorio) La radiazione elettromagnetica è una forma di energia che si propaga e presenta una duplice natura: ondulatoria e corpuscolare Lunghezza d’onda (λ), è la distanza tra punti ripetitivi di una forma d'onda Frequenza (ν), numero di oscillazioni al secondo Velocità di propagazione (c), velocità delle onde elettromagnetiche nel vuoto = 3*1010cm/sec Ampiezza (A), massimo spostamento di un punto rispetto alla posizione di equilibrio Questi parametri sono legati dalla relazione: c=νλ Modello corpuscolare La radiazione elettromagnetica può essere anche definita come flusso di particelle, dette fotoni I fotoni sono dei quanti di energia, veri e propri corpuscoli in movimento. L’energia di un fotone è proporzionale alla frequenza della radiazione ed è data dall’equazione di Einstein-Planck: Sapendo che c = ν λ, potremo scrivere: E=hν dove h è la costante di Planck, uguale a 6.63*10-34J s. E=hν=h c/λ Le radiazioni a maggiore energia, dunque sono quelle a più alta frequenza (e minore lunghezza d’onda). 45 SPETTRO ELETTROMAGNETICO Tutte le onde elettromagnetiche sono classificate in base alle loro frequenze caratteristiche all'interno di quello che è noto come spettro elettromagnetico: TECNICHE OTTICHE DI ANALISI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. RIFLESSIONE RIFRAZIONE DIFFUSIONE POLARIZZAZIONE INTERFERENZA DIFFRAZIONE LUMINESCENZA ASSORBIMENTO EMISSIONE Spettroscopia di riflettanza Rifrattometria Turbidimetria, nefelomatria, spettroscopia Raman Polarimetria Interferometria Spettroscopia di assorbimento atomico e molecolare Spettroscopia di emissione Spettrofotometria Il termine spettrofotometria designa lo studio degli spettri elettromagnetici. La spettrofotometria si occupa di luce visibile, di ultravioletto e di infrarosso. La misura dell'assorbanza di soluzioni chimiche a lunghezze d'onda tipiche è il principio su cui si basa l'analisi spettrofotometrica. 46 Legge di Lambert-Beer La legge di Lambert-Beer è una relazione empirica che correla la quantità di luce assorbita da un mezzo alla natura chimica, alla concentrazione ed allo spessore del mezzo attraversato. Quando un fascio di luce (monocromatica) di intensità I0 attraversa uno strato di spessore l di un mezzo, una parte di esso viene assorbita dal mezzo stesso e una parte ne viene trasmessa con intensità residua I1. Un fascio di luce di intensità I0 attraversa uno spessore l di una soluzione a concentrazione c e ne emerge con intensità I1. Il rapporto tra le intensità della luce incidente e trasmessa con il mezzo attraversato è espresso dalla seguente relazione dove kλ è detto coefficiente di estinzione ed è una costante tipica del mezzo attraversato per la lunghezza d'onda λ. Definita quindi la trasmittanza (T) come il rapporto I1/I0 e come assorbanza (A) il reciproco della trasmittanza, la legge assume una forma ancora più semplificata: logaritmo decimale del che per una soluzione viene ulteriormente modificata in dove ελ è detto coefficiente di estinzione molare e c è la concentrazione molare della soluzione. Il valore di ελ è considerato costante per una data sostanza ad una data lunghezza d'onda, benché possa subire lievi variazioni con la temperatura. Inoltre, la sua costanza è garantita solo all'interno di un dato intervallo di concentrazioni, al di sopra delle quali la linearità tra assorbanza e concentrazione può essere inficiata da fenomeni chimico-fisici (ad esempio la precipitazione della specie chimica colorata). 47 Trasmittanza La trasmittanza, trasmittanza, in ottica e in spettroscopia, è la frazione di luce incidente ad una data attraversa un campione. lunghezza d'onda che dove I0 e I1 sono rispettivamente l'intensità della luce incidente e della luce che emerge dal campione attraversato. Generalmente la trasmittanza è espressa come valore percentuale: La trasmittanza è legata all'assorbanza dalla seguente relazione: L'andamento della trasmittanza in funzione della lunghezza d'onda per una data sostanza rappresenta lo spettro della sostanza stessa. Spettrofotometro Lo spettrofotometro è un dispositivo per la misura dell'intensità luminosa, che può determinare l'intensità come funzione del colore, o in termini più fisici, della lunghezza d'onda della radiazione luminosa. Sono disponibili molti generi di spettrofotometri. Tra le distinzioni più importanti adottate per classificarli vi sono gli intervalli di lunghezze d'onda nei quali operano, le tecniche di misurazione che adottano, le modalità secondo le quali acquisiscono uno spettro e le sorgenti dell'intensità luminosa variabile per la cui misura sono stati progettati. Altri aspetti importanti degli spettrofotometri includono la loro banda spettrale e il loro intervallo di linearità. L'applicazione forse più comune degli spettrofotometri è la misurazione dell'assorbimento luminoso, ma essi possono essere progettati anche per misurare la riflettanza diffusa o speculare. In termini strettamente fisici, anche la mezza emissione di uno strumento a luminescenza costituisce una specie di spettrofotometro. Vi sono due maggiori categorie di spettrofotometri; quelli a monoraggio e quelli a doppio raggio. Uno spettrofotometro a doppio raggio misura il rapporto dell'intensità luminosa di due diversi percorsi della luce, mentre uno spettrofotometro a monoraggio misura un’intensità luminosa assoluta. Sebbene le misure di rapporti siano più facili, e in genere più stabili, gli strumenti a monoraggio presentano dei vantaggi; ad esempio possono avere degli intervalli dinamici più estesi. 48 IL PROFILO EMATOLOGICO E’ così definito l'insieme dei parametri ematologici indispensabili per un primo giudizio diagnostico, punto di partenza per eventuali approfondimenti. Contempla il conteggio del numero dei globuli rossi (eritrociti), dei globuli bianchi (leucociti) e delle piastrine (trombociti), nonché la determinazione quantitativa dell’emoglobina. Con la formula leucocitaria si intende la percentuale di ciascun tipo di globulo bianco (granulociti neutrofili, eosinofili e basofili monociti, linfociti). È detto anche esame emocromocitometrico che letteralmente significa "misurazione del colore del sangue e del numero delle sue cellule, cioè dei globuli". Il profilo ematologico dovrebbe comprendere almeno le seguenti determinazioni fornite da tutti i contaglobuli: CONTEGGIO TOTALE DEI GLOBULI BIANCHI ( WBC ) Il conteggio è attualmente molto attendibile ma 1' interpretazione di una leucocitosi dipende dalla formula leucocitaria, mentre la leucopenia è già di per sé segno di alterata funzione midollare da non sottovalutare. CONTEGGIO TOTALE DEI GLOBULI ROSSI ( RBC ) Il conteggio è attualmente molto attendibile ma di scarso significato assoluto perché dipende dall'emoconcentrazione o emodiluizione del paziente e quindi dal valore dell’emoglobina e dell'ematocrito. CONCENTRAZIONE EMOGLOBINICA ( HGB ) Calcolata con metodo colorimetrico dai contaglobuli in commercio, è il parametro fondamentale per definire un'anemia o una poliglobulia. EMATOCRITO ( HCT ) Viene definito come la misura del volume occupato dai globuli rossi in un dato volume di sangue opportunamente centrifugato. E 'espresso comunemente come valore percentuale. I valori di HCT nel maschio variano dal 40 al 50% e nella femmina dal 37 al 47%. Valori > 50 % = emoconcentrazione, disidratazione, policitemia vera o secondaria. Valori < 35% = emodiluizione per gravidanza, anemia da varie cause. VOLUME CORPUSCOLARE MEDIO ( MCV ) Calcolato automaticamente dai contaglobuli, si esprime in femtolitri (fL) e si può calcolare dal rapporto HCT % : RBC x 10. 49 I valori di riferimento nella nostra popolazione variano da 80 a 99 fL. MICROCITOSI ( MCV < 80 fL ): è il limite decisionale per indagare un sospetto trait talassemico. La microcitosi è costantemente presente nell'anemia sideropenica. MACROCITOSI ( MCV > 99 fL): è presente nell'anemia da carenza di Vitamina B12 o Folati per arresto della maturazione delle emazie per un difetto nella sintesi del DNA e riduzione delle mitosi ed anche nell’anemia macrocitica dell’etilismo cronico. CONTENUTO EMOGLOBINICO CORPUSCOLARE MEDIO ( MCH ) E' il contenuto medio, espresso in pg di emoglobina per globulo rosso. VALORI DIMINUITI si hanno in corso di ANEMIA MICROCITICA IPOCROMICA: con 1' uso degli analizzatori automatici ha assunto maggiore (giungendo a significato diagnostico per le ANEMIE FERROCARENZIALI valori > 20 pg ) rispetto all'MCHC, che negli analizzatori non dotati di misura diretta della densità eritrocitaria risulta di fatto una costante. VALORI AUMENTATI si hanno in caso di MACROCITOSI. FALSI INCREMENTI sono dovuti agli aumenti spuri della concentrazione emoglobinica (iperlipemia leucocitosi ,ecc). CONCENTRAZIONE EMOGLOBINICA CORPUSCOLARE MEDIA (MCHC) E’ la concentrazione media di emoglobina in un dato volume di emazie, è calcolato dal rapporto fra l’HGB e l’HCT. Attualmente solo gli analizzatori sono in grado di misurare la densità dei singoli eritrociti, di costruirne la curva di distribuzione e di ricavarne il valore medio CHCM ( per distinguerlo dall’MCHC calcolato ) , in questo caso il parametro deriva da una misura diretta e quindi le sue variazioni sono reali. CONTEGGIO TOTALE DELLE PIASTRINE ( PLT ) In passato era meno attendibile del conteggio dei WBC e dei RBC, anche se con i moderni strumenti la ripetibilità ha un coefficiente dì variazione di circa il 10% e quindi accettabile. • NORMALE • RIDOTTO ( PIASTRINOPENIA) • AUMENTATO ( TROMBOCITOSI ) • ATTENZIONE ALLA PSEUDOPIASTRINOPENIA EDTA DIPENDENTE Solitamente un’emorragia spontanea è rara in presenza di un conteggio piastrinico superiore a 40.000 PLT / L, è frequente ma non costante per valori inferiori, è costante e grave al di sotto di 10.000 PLT / L. Se avviene un’emorragia spontanea per valori superiori a 40.000, si devono considerare altre concause, come un difetto della funzionalità piastrinica o un difetto coagulativo o cause locali. 50 CAUSE DI PIASTRINOPENIA 1) DISORDINI PIASTRINICI QUANTITATIVI * Dovuti a ridotta o difettosa produzione di piastrine : • Forme congenite, forme ereditarie ( Sindrome di WISKOTT- ALDRICH legata al sesso, anomalia di MAYHEGGLIN autosomica dominante ) • Forme acquisite ( anemia aplastica, infiltrazione del midollo in corso di neoplasie, linfomi, uso di sostanze che alterano la produzione di piastrine, gravidanza, deficit nutrizionali, infezioni virali, insufficienza renale, emoglobinuria parossistica notturna) * Dovuti a riduzione delle piastrine con meccanismi non immunologici: - Forme congenite ( eritroblastosi fetale, dei prematuri, preeclampsia, infezioni, Sindrome di KASABACH-MERRIT ) - Forme acquisite ( infezioni virali, batteriche, micetiche, malaria, tripanosoma, ustioni, CID, malattia aortica valvolare, glomerulonefrite , ecc) - porpora trombotica trombocitopenica (ITP) - sindrome uremico-emolitica nei bambini e negli adulti - gravidanza e puerperio - indotta da eparina * Dovuti a riduzione delle piastrine con meccanismo immunologico: - indotta da farmaci - associata a ITP materna - porpora post-trasfusionale - ITP cronica ( malattia di WERLHOF ) - associata a infezione da HIV * Dovuti a sequestro delle piastrine in alcune forme di splenomegalia TROMBOCITOSI AUMENTO DELLA CONTA PIASTRINICA OLTRE 400.000 / µL • TROMBOCITOSI PRIMARIA : disordine mieloproliferativo, caratterizzato da conta piastrinica persistentemente superiore a 600.000/µL. Le MANIFESTAZIONI EMORRAGICHE sono simili a quelle che si osservano nei pazienti con piastrinopenie : epistassi, gengivorragie, ecchimosi. Possono essere pericolose dopo traumi o procedure chirurgiche ed essere aggravate dall’uso di acido acetilsalicilico. • TROMBOCITOSI SECONDARIA : conseguente a stati infiammatori acuti, cronici, emorragia acuta, carenza marziale, stati postoperatori, farmaci, esercizio fisico, ecc. Le manifestazioni emorragiche sono molto rare così come episodi trombotici venosi. Questi dati essenziali sono integrati con l'utilizzo dei moderni contaglobuli da altri parametri. 51 INDICI PIASTRINICI MPV ( VOLUME PIASTRINICO MEDIO ) • AUMENTATO : nelle piastrinopatie, sindromi mieloproliferative, porpora trombocitopenica idiopatica, infarto miocardico, arteriopatie, diabete. • RIDOTTO : nella Sindrome di Wiscott Aldrich, nella depressione della piastrinopoiesi midollare ( carenza di B12 e folati, chemioterapia, infiltrazione neoplastica, ipersplenismo ) PDW (AMPIEZZA DELLA DISTRIBUZIONE DEI VOLUMI PIASTRINICI ) E’ UN INDICE DI ANISOCITOSI PIASTRINICA • AUMENTATO: nelle sindromi mieloproliferative, anemia megaloblastica, anemia refrattaria PCT ( PIASTRINOCRITO ) FRAZIONE PERCENTUALE DELLA MASSA DI SANGUE INTERO OCCUPATA DALLE PIASTRINE • AUMENTATO: è stato osservato da alcuni autori che nella seconda settimana dopo interventi di media e grande chirurgia, il PCT % è aumentato in modo significativo rispetto ai valori basali e poiché questo aumento è concomitante con il periodo di maggior rischio trombotico, potrebbe indurre ad utilizzare una profilassi con farmaci antipiastrine. P - LCR ( PERCENTUALE DI GRANDI PIASTRINE ) E’ un dato molto controverso fornito solo da alcuni contaglobuli. Queste piastrine corrisponderebbero al 20-30 % del totale e rappresenterebbero la frazione di primo intervento nell’attività omeostatica, il loro numero è costante nel soggetto normale. Il loro numero può aumentare in presenza di CID compensata con conteggio piastrinico nella norma, in corso di sindromi mieloproliferative. Il loro aumento sembra quindi un indice di accelerato turn-over piastrinico. INDICE DELLA Distribution Width ) DISTRIBUZIONE DEL VOLUME ERITROCITARIO ( RDW Red cell E' un indice dell’anisocitosi eritrocitaria. L'importanza di questo indice nel la diagnostica differenziale delle anemie o nel monitoraggio della terapia si deve essenzialmente ai lavori di Bessman dei primi anni ‘80. Questo autore studio un'ampia casistica di soggetti e dai risultati ottenuti propose una nuova classificazione morfologica delle anemie basata sui due parametri MCV e RDW. Questa classificazione oltre alla tradizionale distribuzione in forme micro, normo o macrocitiche prevede un'ulteriore divisione in forme omogenee in cui 1 'RDW e normale e in forme eterogenee in cui 1 'RDW è aumentato. Dopo l'iniziale entusiasmo in seguito ad ulteriori studi cominciarono ad evidenziarsi molte eccezioni , quali l'aumento dell'RDW in pazienti con infezioni croniche di origine tubercolare ed in almeno metà dei soggetti portatori di eterozigoti talassemica o valori di RDW normali nel 15- 20 % delle anemie sideropeniche. Studi sulle macrocitosi hanno dimostrato la scarsa sensibilità di questo parametro ( RDW normale) in corso di anemia da carenza di B12 o alcool correlata. 52 Un'ulteriore complicanza deriva dal metodo di calcolo dell'RDW: infatti nella maggior parte dei casi è espresso come coefficiente di variazione percentuale ( RDW - CV ) ma anche come misura diretta dell'ampiezza della curva di distribuzione ( RDW - SD ). Anche nel caso in cui l'RDW sia espresso alla stessa maniera l'intervallo di riferimento differisce se ottenuto con analizzatori differenti. Questo può essere spiegato con l'utilizzo di diversi algoritmi per la definizione della distribuzione indispensabile per eliminare i valori estremi spesso artefatti. PERTANTO ATTUALMENTE L'UTILIZZO CLINICO DELL'RDW DEVE ESSERE RICONDOTTO IN VIA ESCLUSIVA AGLI INTERVALLI DI RIFERIMENTO STABILITI PER CIASCUN ANALIZZATORE. HDW ( Haemoglobin Distribution Width ) E' un indice di anisocromia eritrocitaria fornito solo dai contaglobuli. Questi strumenti sono in grado di misurare direttamente la concentrazione emoglobinica del singolo eritrocita e con i valori ottenuti viene automaticamente costruito un istogramma di distribuzione dal quale sono ricavati il valore medio (definito CHCM ) della concentrazione emoglobinica e un indice di dispersione corrispondente alla deviazione standard espresso in g/dL ) e definito HDW. UN’ INCREMENTO DELL'HDW RISPETTO AI VALORI BASALI SEMBRA ESSERE PREDITTIVO DI CRISI EMOLITICHE IN SOGGETTI CON ANEMIA FALCIFORME. • UN AUMENTO PRECOCE DELL'HDW SI HA NELL'IPOSIDEREMIA LATENTE E NELL'ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE DA ANTICORPI CALDI. • QUESTO PARAMETRO HA UNA MAGGIORE SENSIBILITA' RISPETTO ALL'RDW NELLA RIPRESA MIDOLLARE A SEGUITO DELLA TERAPIA CON VITAMINA B12. IL ( INDICE DI LOBULARITA’ ) Indica il grado di segmentazione de neutrofili, è quindi una valutazione dell’indice di Arneth. Una sua riduzione è dovuta alla presenza di neutrofili giovani con indice deviato a sinistra. Infatti il neutrofilo vecchio ha il nucleo più sementato ( 5 - 6 lobi ) mentre quello giovane è mono o bilobato e la formula di Arneth deviata a sinistra indica appunto la presenza in circolo di questi neutrofili . Questa situazione si può verificare in presenza di neutrofilia reattiva in corso di malattie infiammatorie acute. L'indice di Arneth deviato a destra indica la presenza di neutrofili vecchi plurilobati quindi un ridotto turnover midollare quale si ha nell'anemia perniciosa. E' un parametro da valutare in senso critico, in quanto la presenza di anomalie della distribuzione cromatinica dei neutrofili che si ha nell’ 'anemia macrocitica megaloblastica può causare un errato allarme di deviazione a sinistra. FORMULA LEUCOCITARIA Avendo a disposizione in tutti i laboratori analisi degli analizzatori automatici, nel profilo ematologico di base andrebbe compresa la formula leucocitaria. Le popolazioni leucocitarie: granulociti, linfociti, eosinofili, monociti, basofili vanno espresse in percentuale ed in valore assoluto. 53 Accanto a risposte di tipo numerico gli analizzatori automatici producono degli istogrammi relativi ai volumi eritrocitari, piastrinici e leucocitari e negli strumenti più sofisticati vengono forniti anche i citogrammi (immagini distribuzionali in due dimensioni) delle popolazioni leucocitarie. Queste rappresentazioni grafiche sono molto diverse per analizzatori di marche differenti poiché strettamente connesse ai principi analitici ed alle modalità di elaborazione della macchina. Nell’ analisi emocromocitometrica automatizzata, ulteriori informazioni possono derivare da MESSAGGI DI ALLARME, che possono essere di vario tipo: 1. QUANTITATIVI : dovuti al superamento degli intervalli di riferimento pre-impostati e delle capacità di conta dell’ 'analizzatore. 2. INTERFERENZIALI: dovuti alla mancata separazione fra popolazioni cellulari normali (interferenza generica di regione) causati da cellule patologiche non meglio definibili o da altre particelle interferenti. 3. MORFOLOGICI: dovuti alla presenza di anomalie specifiche: eritrocitarie (anisocitosi. ipocromia, micro o macrocitosi...), piastriniche (piastrine giganti, aggregati... ) per la presenza di cellule immature o atipiche (granulociti immaturi, linfociti attivati, blasti, plasmacellule). Gli istogrammi e i citogrammi accompagnati dagli eventuali allarmi risultano di grande utilità nell'indirizzare verso ben definiti sospetti diagnostici che vanno sempre confermati con un accurato esame dello striscio di sangue da parte del patologo clinico. Gli analizzatori attualmente in commercio possono essere suddivisi in due gruppi principali: 1) SISTEMI CHE ESEGUONO LO SCREENING A TRE POPOLAZIONI Sono i primi strumenti commercializzati ed utilizzano il metodo resistivo, questi contaglobuli eseguono la formula leucocitaria con la creazione di un ISTOGRAMMI in cui le cellule sono suddivise in base al le dimensioni cellulari in fL in TRE GRUPPI: • LINFOCITI, in questa regione possono cadere anche i linfociti attivati, plasmacellule. • CELLULE INTERMEDIE ( MONOCITI, EOSINOFILI, BASOFILI) in quest'area si possono trovare anche i blasti, le cellule mieloidi immature. • NEUTROFILI, vi si possono trovare anche i mielociti e i metamielociti. In presenza di cellule atipiche, compaiono degli allarmi caratteristici per cui è necessario eseguire la FL al microscopio. Attualmente sono sostituiti da strumenti più complessi che eseguono la differenziazione delle popolazioni leucocitarie. 2) SISTEMI A DIFFERENZIAZIONE LEUCOCITARIA COMPLETA Questi sistemi possono essere suddivisi in due importanti gruppi: • ANALIZZATORI CHE ESEGUONO LA FL QUANTIFICANDO IN VALORE % E ASSOLUTO LE CINQUE POPOLAZIONI NORMALI. Dall'analisi computerizzata del citogramma bidimensionale questi strumenti sono in grado di fornire allarmi di sospetto mirati per la presenza di granulociti immaturi, linfociti attivati, blasti, aggregati piastrinici. Ciò risulta possibile in quanto queste cellule si dispongono in zone caratteristiche dei citogrammi. • ANALIZZATORI CHE ESEGUONO LA FL A CINQUE POPOLAZIONI E SONO ANCHE IN GRADO DI DEFINIRE ULTERIORI POPOLAZIONI CELLULARI, VALUTARE IN PERCENTUALE ED IN VALORE ASSOLUTO LA PRESENZA DI GRANULOCITI IMMATURI, BLASTI, LINFOCITI 54 ATTIVATI, ERITROBLASTI Appartengono a questo gruppo i contaglobuli di ultima generazione che valutano la FL su circa oltre 1000 elementi e la differenziazione cellulare avviene mediante la combinazione delle informazioni provenienti dal sistema ottico a luce laser e, dall’integrazione con il sistema ottico per la lettura della PEROSSIDASI Dall’ 'integrazione di queste informazioni si definisce la popolazione cellulare delle "LUC ( Large Unstained Cells) costituito da linfociti attivati, blasti, mononcitoidi, tutte cellule perossidasi negative: il loro numero è normale fino al 4 %. Dalla combinazione di questi dati in un diagramma si ricava il GRAFICO DELLA PEROSSIDASI. Il canale baso mediante il sistema a luce laser ed il sistema a lisi differenziale in cui solo i basofili ed i nuclei delle altre cellule restano integri, permette una diffrazione della luce differenziata in funzione del tipo di nucleo e del suo grado di segmentazione. In questo modo si ottiene il GRAFICO DEI BASOFILI. Questo canale permette di eseguire il conteggio esatto dei basofili, valutare l'INDICE DI LOBULARITA' (IL) dato dal rapporto fra la % di polimorfonucleati e la % di mononucleati, questo indice è proporzionale al grado ed alla % di maturazione dei neutrofili. CONTEGGIO DEI RETICOLOCITI Il conteggio dei reticolociti è un’importante indicatore dell’attività eritropoietica del midollo. I reticolociti sono definiti dalle cellule eritroidi mature non nucleate con un livello di RNA più alto degli eritrociti maturi. La maturazione dei reticolociti dura 4 giorni nel midollo e la maturazione finale avviene nel sangue periferico, dove normalmente sono identificati per 24 ore. Il conteggio dei reticolociti serve per: 1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE ANEMIE 2. VALUTAZIONE DELAL RISPOSTA ALLA TERAPIA MARZIALE 3. VALUTAZIONE DELLA RIPRESA MIDOLLARE DOPO CHEMIOTERAPIA O IRRADIAZIONE CON O SENZA TRAPIANTO DEL MIDOLLO 4. VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA ALLA TERAPIA CON ERITROPOIETINA METODI DI CONTEGGIO DEI RETICOLOCITI 1. VALORE PERCENTUALE % DI RETICOLOCITI PER 100 ERITROCITI, osservati al microscopio ottico dopo colorazione sopravitale con blu brillante di cresile che causa la precipitazione intracellulare dell’ RNA dei reticolociti V.R.: ADULTI = 1% + / - 0.5 ( MEDIA + /- 2 SD ) NEONATI = 2-6 % 2. CONTEGGIO AUTOMATIZZATO DEFINIZIONE DEL VALORE % E ASSOLUTO DEI RETICOLCITI, VALUTAZIONE DEL GRADO DI MATURAZIONE ( RETICOLOCTI A BASSA,MEDIA E ALTA FLUORESCENZA). E’ eseguito con la citometria a flusso; in passato era necessario uno strumento dedicato , attualmente lo stesso contaglobuli che è utilizzato per l’emocromo può eseguire questa valutazione. 55 Profilo emocoagulativo e controllo della terapia anticoagulante Cenni sul meccanismo della coagulazione Qualsiasi lesione della superficie interna di un vaso comporta l'interruzione dello strato delle cellule endoteliali, le quali formano una specie di rivestimento liscio e regolare della parete stessa per permettere al sangue di scorrere regolarmente. Nella zona lesionata si verifica una vasocostrizione che riduce il calibro del vaso, il quale libera anche nel sangue il fattore tessutale e delle sostanze che facilitano l'adesione delle piastrine alla zona lesionata. Si forma così il cosiddetto tappo emostatico primario che ha il compito di arrestare l'emorragia. Fig.1 -Moderna interpretazione dell’attivazione della cascata coagulativa Contemporaneamente il fattore tissutale attiva il fattore VII, che a sua volta attiva il fattore X innescando l'attivazione della cascata coagulativa, alla fine della quale, come abbiamo già detto, si ha la trasformazione del fibrinogeno in fibrina, ad opera del fattore II a o protrombina. La fibrina stabilizza e rinforza il tappo emostatico primario, consolidando così in modo definitivo il coagulo formatasi nella zona lesionata. Successivamente viene attivata la fibrinolisi che ha il compito di sciogliere il coagulo; questo viene riassorbito e, contemporaneamente, si avvia il processo di riparazione della ferita, al termine del quale si ricostituisce lo strato di cellule endoteliali e la parete vasale riacquista la sua normale struttura. Fino a qualche decennio fa, la coagulazione, si pensava fosse attivata da reazioni enzimatiche a cascata, ad opera di singoli enzimi, attraverso due vie: l'estrinseca e l'intrinseca (Mac Farlane et coll.). Poi numerosi studi portarono alle seguenti acquisizioni fondamentali: 1. Attivazione della coagulazione ad opera di complessi enzimatici (enzima + substrato + cofattore proteico + ioni Ca2+ ) e non di singoli enzimi. 2. Lo svolgersi delle reazioni su membrane cellulari (complesso enzimatico + fosfolipidi di membrana e recettori). 3. Continua generazione di trombina. 56 Queste acquisizioni chiarirono definitivamente che la coagulazione che la coagulazione in vivo non avviene con i meccanismi di “via estrinseca e via intrinseca”, ma bensì come descritto in Fig.1 attraverso meccanismi di attivazione fisiologici o patologici. Quindi in definitiva il sistema coagulativo è in uno stato di attività continua e per usare un immagine si può descrivere come “l’ago di una bilancia” in equilibrio tra il “piatto” emostasi ed il “piatto” emorragia. Patologia della coagulazione Numerose sono le malattie che possono risultare da anomalie di uno o più dei tre compartimenti. Schematicamente possiamo considerare: A) Emorragie che possono essere dovute ad: • Alterazioni congenite o acquisite della parete vascolare • Piastrinopenie o piastrinopatie, cioè anomalie delle piastrine il cui numero può essere anche normale • Deficit congeniti o acquisiti di uno più fra i fattori della coagulazione (per es. emofilia, malattia di Von Willebrand) • Eccessiva attività del meccanismo della fibrinolisi B)Trombosi, che possono essere dovute a: ● Alterazioni, in genere acquisite della parete vasale ● Deficit congeniti o acquisiti degli inibitori naturali della coagulazione (per es. deficit di AT III, di Proteina C o proteina S ● Aumento notevole e persistente delle piastrine ● Deficit del meccanismo fibrinolitico L’emostasi è l’insieme dei fenomeni fisiologici che portano all’arresto di un sanguinamento conseguente a soluzione di continuo della parete vascolare. Si tratta di un processo che, schematicamente, è suddiviso in tre fasi ( vascolare, piastrinica e plasmatici o coagulativa), ciascuna delle quali può essere indagata con opportuni test di laboratorio. Le moderne conoscenze sulla fisiopatologia emocoagulativa impongono l’abbandono di tutti quei test di laboratorio complessivamente conosciuti come prove emogeniche (tempo di coagulazione, prova del laccio, del pizzicotto, tempo di stillicidio dal lobo dell’orecchio, etc.) perché scarsamente correlati con l’emostasi in vivo, poco standardizzati e non riproducibili. I test di laboratorio per la coagulazione sono influenzati dalla quantità e dal grado di freschezza del campione di plasma prelevato. Il materiale di scelta è sangue intero anticoagulato con citrato di sodio. Per l’accuratezza dei test coagulativi è prescritto un rapporto sangue citrato di 9:1, perché un rapporto inferiore può dare risultati falsamente elevati. Le condizioni che possono creare difficoltà nell’ottenere il corretto rapporto 9:1 sono una elevazione dell’ematocrito, un prelievo di sangue traumatizzante o un emolisi del campione. Una contaminazione da EDTA può dare risultati falsamente allungati del tempo di protrombina e del tempo di protrombina parziale. 57 Il campione va accettato al più presto e il plasma deve essere refrigerato per evitare il deterioramento dei fattori. E’ generalmente accettato il criterio diagnostico di una esplorazione del sistema emocoagulativo impostata in due tempi: - test di primo livello, in grado di evidenziare la maggior parte dei difetti dell’emostasi, - test di secondo livello, quando ci si trova in presenza di un quadro clinico suggestivo , non chiarito dalle indagini preliminari (primo livello). I test di primo livello esplorano le diverse fasi del processo emocoagulativo fornendo informazioni su ciascuna di loro o globali. tempo di emorragia o di stillicidio o di sanguinamento indaga la fase vasculo piastrinica e, se correttamente eseguito (standardizzazione della incisione bracciale a 40mmHg), risulta affidabile e riproducibile. conteggio delle piastrine attualmente sono eseguiti esclusivamente con metodi automatizzati, più affidabili precisi e riproducibili dei vecchi metodi manuali . tempo di protrombina o PT o attività protrombinica o tempo di Quick: studia la fase plasmatica della coagulazione è sensibile a deficit isolati o multipli, congeniti o acquisiti o farmacologici dei fattori VII,X,V, II (fattori vitamina K dipendenti) e del fibrinogeno, si usa nello screening preoperatorio, nei test di funzionalità epatica, nel monitoraggio e controllo dei pazienti in terapia con anticoagulanti orali (TAO). Reagente: Un estratto fosfolipoproteico che serve come fonte di reattivo per il fattore tissutale. Al reagente PT si aggiunge anche un eccesso di calcio. Principio: Si aggiunge il plasma citratato al reagente lipoproteico con calcio, e si misura il tempo necessario per la formazione del coagulo fibrinico. Valori di riferimento : Il test PT ha un ambito approssimativo di normalità di 11 – 13 secondi; tuttavia è importante che ogni laboratorio stabilisca il suo proprio ambito di valori. Un aspetto fondamentale è rappresentato dalla espressione del risultato soprattutto in relazione alla confrontabilità dei dati di laboratori diversi o dello stesso laboratorio quando viene monitorizzata la terapia anticoagulante orale. 58 Diverse modalità di espressione del risultato con un giudizio di confrontabilità Secondi: esprime il tempo necessario alla coagulazione di una miscela plasma tromboplastina. Confrontabilità pessima sia intra- che interlaboratorio: da non usare; % di attività: traduce il tempo di attività coagulativa rapportata ad una curva di calibrazione in cui la normalità risulta pari al 100%. Confrontabilità scarsa sia intra- che interlaboratorio; è la modalità di espressione del PT, ancora oggi utilizzata. Ratio: è il rapporto tra il tempo di coagulazione del plasma in esame e quello di un plasma normale: PT paziente Ratio = ______________ PT normale Confrontabilità accettabile, specialmente intralaboratorio; - INR ( international normalized ratio = rapporto internazionale normalizzato): esprime la ratio dopo correzione per un indice di sensibilità della tromboplastina utilizzata. In pratica ciascun lotto di reagente, prima di essere messo in commercio, viene tarato su uno standard internazionale di riferimento; il risultato di questa taratura è espresso come rapporto tra il tempo di coagulazione ottenuto con una specifica tromboplastina e quello ottenuto con la tromboplastina di riferimento. Tale rapporto, utilizzato nel calcolo della INR, viene denominato ISI (International Sensitivity Index); il valore di ISI, obbligatoriamente dichiarato da ciascuna ditta produttrice per ciascun lotto, esprime, in un certo senso la qualità del reagente utilizzato: il valore 1.00 rappresenta la tromboplastina ideale con comportamento coagulativo identico allo standard internazionale di riferimento. Tromboplastina in uso ISI = ______________________ Tromboplastina di riferimento INR = Ratio( ISI ) - Tempo di tromboplastina parziale attivato o aPTT: studia la fase plasmatica della coagulazione è sensibile ai difetti dei fattori XII, XI. IX, VIII, X, fibrinogeno, si usa nel controllo della terapia eparinica e nell’individuazione dell’ emofilia A e B. Il risultato viene espresso generalmente in secondi anche se appare più corretto l’uso della ratio, analogamente a quanto detto per l’attività protrombinica. Reagenti: Come sostituto della membrana piastrinica si usa un preparato ricco di fosfolipidi . Per fornire la carica superficiale negativa necessaria per attivare il fattore XII e la precallicreina si aggiunge al reagente aPTT anche un attivatore come caolino, acido ellagico o celite. Per innescare la coagulazione si usa anche un altro reattivo, il cloruro di calcio. 59 Principio: Un campione di sangue citratato viene preincubato con il reagente fosfolipidico per dare l’avvio ai fattori dell’attivazione da contatto della via intrinseca. Dopo l’incubazione si aggiunge separatamente il cloruro di calcio per far partire la cascata coagulativa, e si misura il tempo necessario per la formazione del coagulo piastrinico. Valori di riferimento: Il test aPTT ha un ambito approssimativo di valori normali di 25-40 secondi, ma importante che ciascun laboratorio stabilisca il suo proprio ambito. Si ricorre ai test di secondo livello quando si documentino alterazioni dei test di primo livello o comunque in presenza di un quadro clinico non chiarito dalle indagini preliminari. Ricordiamo: - Test di aggregazione piastrinica- indaga la funzionalità piastrinica e la risposta ad eventuali terapie antiaggreganti . - Tempo di trombina (TT) – sensibile ai difetti quantitativi e qualitativi del fibrinogeno; è allungamento in corso di terapia eparinica. Dosaggio del fibrinogeno – rappresenta una espansione della metodologia del TT. Valori di riferimento 200-400 md/dl. Aumenta in processo infiammatorio Diminuisce nelle malattie epatiche. Principio: A plasma citratato si aggiunge una quantità misurata di trombina del commercio . Si misura il tempo di coagulazione e lo si raffronta con i tempi di plasmi standard contenenti quantità note di fibrinogeno. Si costruisce una curva standard , in cui ai tempi di coagulazione in secondi corrispondono i milligrammi in decilitro di fibrinogeno. La fibrinogenia del paziente in esame viene letta dalla curva standard. - Dosaggio dei fattori emocoagulativi - i mix test si basano sulla capacità di un plasma normale , aggiunto al plasma in esame, di correggere (carenza fattoriale) o meno (presenza di inibitori ) il difetto. - Ricerca del D-Dimero indice di attivazione in vivo del processo emocoagulativo e pertanto positiva nei casi di coagulazione intravascolare disseminata (DIC), trombosi venose profonde,embolia polmonare , può essere più appropriatamente considerato un test per lo studio della fibrinolisi. Il D- Dimero è raramente elevato nei soggetti sani ma è poco specifico per il tromboembolismo venoso poiché aumenta in molte altre condizioni in cui si forma e degrada la fibrina (infezioni, tumori, traumi, interventi chirurgici, insufficienza renale, infarto,..) = bassa specificità clinica. Tutti i metodi di determinazione del D-Dimero attualmente in uso, prevedono l’impiego di anticorpi monoclonali e sono quindi dotati di elevata specificità analitica (misurano solo il D–Dimero e non altri prodotti di degradazione della fibrina ) e buona sensibilità (misurano bassi valori di D-Dimero ) e buon valore predittivo negativo (VPN: probabilità di assenza della malattia con test negativo). 60 Antitrombina III – rappresenta il più importante inibitore delle proteasi seriniche attivate, gli effetti inbitori sono accelerati dall’eparina. Applicazioni diagnostiche: ridotti livelli : • carenza congenita (episodi trombotici ricorrenti) • carenza acquisita (episodi trombotici). APPARECCHIATURA PER L’ANALISI DELLA COAGULAZIONE Si tratta di strumenti dedicati allo studio di reazioni coagulative in vitro, che misurano il tempo di coagulazione in plasmi interi o diluiti dopo aver opportunamente avviato il processo coagulativo. Esistono strumenti con diversi grado di automazione e con diverso sistema di rilevazione del coagulo. Sotto questo aspetto, la strumentazione può essere suddivisa in due grandi categorie: - a rilevazione foto-ottica: la coagulazione di plasma si associa ad un cambiamento della sua densità ottica indicando la formazione di fibrina. La registrazione e il calcolo della curva di torpidità, vengono eseguiti con metodi fotometrici. Sistemi basati sull’assorbimento: viene misurato l’aumento dell’assorbanza della soluzione in esame conseguente al formarsi del coagulo. Il passaggio della soluzione in esame dallo stato liquido a quello di gel, conseguente al formarsi dei filamenti di fibrina, porta infatti ad un aumento dell’assorbanza. Nel caso della turbidimetria o della nefelometria il principio fisico sfruttato è quello relativo ad un fascio di luce che attraversa un mezzo contenente una fase finemente dispersa (colloidi o precipitato colloidale) con il verificarsi di due possibilità : 1. l’assorbimento della luce incidente; 2. la diffusione della luce da parte delle particelle in sospensione con ,l’origine della luce di opalescenza. - a rilevazione meccanica: misurano il cambiamento (a seguito della formazione del coagulo) di viscosità del plasma nel quale è immersa una lamina di plastica oscillante. Le variazioni dell’ampiezza della oscillazione indicano l’avvenuta coagulazione (aumentano quando si aggiunge il reagente di partenza, diminuiscono quando avviene la coagulazione). I sistemi a rivelazione elettromeccanica sono stati i primi a subentrare ai metodi completamente manuali, all’inizio sono stati proposti sotto forma di strumenti semiautomatici. In realtà si basano sulle variazioni di conducibilità elettrica conseguente al formarsi della fibrina nella miscela in esame con conseguente blocco del sistema segna tempo. Una variazione di tale principio è presente anche in strumenti dell’ultima generazione: per la misurazione viene utilizzata una cuvetta a fondo rotondo in cui viene fatta basculare una pallina metallica sotto azione di un campo magnetico. Ma appena la viscosità del mezzo varia, a causa della formazione dei primi filamenti di fibrina, l’ampiezza dell’oscillazione diminuisce. Il tempo trascorso tra l’aggiunta dello starter e la variazione del moto, dà la misura della variazione. 61 Esistono inoltre metodi funzionali cromogenici, essi si basano sul fatto che i fattori della coagulazione, della fibrinolisi gli inibitori fisiologici una volta attivati posseggono attività enzimatica e sono così in grado di catalizzare reazioni con substrati specifici. Nel corso degli anni sono stati messi a punto altri substrati cromogeni, la maggior parte dei quali utilizzano come gruppo cromoforo la paranitroanilina. Tali dosaggi su carta presentavano minori problemi di standardizzazione rispetto ai metodi funzionali coagulometrici; tuttavia va riconosciuta la possibile esistenza di differenze sul piano biologico tra i substrati naturali ed i substrati sintetici, soprattutto perché nel caso dei processi emocoagulativi l’aspetto funzionale è estremamente importante. Monitoraggio della terapia anticoagulante Il monitoraggio della terapia anticoagulante si pone come obiettivo principale l’integrazione dei molteplici processi assistenziali coinvolti nella gestione del paziente anticoagulato e, laddove possibile, il miglioramento della loro efficacia e appropriatezza. Tale gestione è affidata ad un pool di medici della diagnostica di laboratorio. I centri di monitoraggio, grazie ad un software gestionale dedicato e mediante la connessione tramite local area network al coagulometro del laboratorio analisi, gestisce un archivio dati informatico, dove ogni paziente viene inserito ed hanno a disposizione una cartella clinica individuale in cui sono registrati: - i dati anagrafici e sanitari, - i dati anamnestici; - le indicazione al monitoraggio della terapia anticoagulante ed il target terapeutico; - il tipo di farmaco usato; - il risultato degli esami di laboratorio; - la prescrizione giornaliera della terapia; - gli appuntamenti per i controlli successivi. Le potenzialità del software gestionale dedicato, grazie ad algoritmi valicati, consentono inoltre: - l’esecuzione di periodici controlli di qualità . Profilo biochimico – metabolico GLUCOSIO I carboidrati sono la principale fonte di energia dell’organismo e l’amido è la principale fonte di carboidrati. La classificazione si fonda sulla struttura dei carboidrati. I monosaccaridi sono zuccheri semplici che contengono 4-8 atomi di carbonio e un solo gruppo aldeidico o che tonico. Fra gli esempi citiamo glucosio e fruttosio. 62 Gli oligosaccaridi si formano dall’interazione di due monosaccaridi con perdita di una molecola d’acqua, e vengono talvolta chiamati disaccaridi. Fra gli esempi maltosio, lattosio e saccarosio. Gli polisaccaridi si formano dall’interazione di molte molecole di zuccheri semplici. Fra gli esempi amido e glicogeno. Il metabolismo dei carboidrati inizia nella bocca. L’amilasi salivare scinde gli amidi ingeriti in disaccaridi, e questi sono ulteriormente scissi in monosaccaridi e assorbiti dalle cellule intestinali. I monosaccaridi sono poi trasportati al fegato e trasformati in glucosio. Parte del glucosio viene riversato nel sangue, e il resto è immagazzinato nel fegato e nella muscolatura scheletrica sotto forma di glicogeno. La glicogenesi è il processo di formazione di glicogeno dal glucosio per azione enzimatica. La glicogenolisi è la degradazione del glicogeno, con formazione finale del glucosio 6 fosfato o glucosio libero che può essere usato per la produzione di energia. La glicolisi è il catabolismo del glucosio con formazione di piruvato o lattato per la produzione di adenosin trifosfato (ATP). La gluconeogenesi è la formazione di glucosio da aminoacidi e lipidi che si verifica quando si verifica quando si riduce l’introduzione di carboidrati. I fattori che influiscono sul livello di glucosio (Glicemia) sono: - L’insulina, che è un ormone pancreatico che abbassa la glicemia aumentando la captazione di glucosio da parte delle cellule e favorendo la glicogenesi e la lipogenesi. - Il glucagone, ormone pancreatico che aumenta la glicemia stimolando la glicogenolisi e la gluconeogenesi. - L’adrenalina ormone surrenalico che eleva la glicemia. - L’ormone della crescita e l’ormone corticosurrenotropo (ACTH), ormoni ipofisari che elevano la glicemia. - Gli ormoni tiroidei che stimolano la glicogenolisi e aumentano la glicemia. - I glicocorticoidi (es. cortisolo), ormoni surrrenalici che stimolano la gluconeogenesi e in definitiva elevano la glicemia. Le alterazione del glucosio si classificano in base alla glicemia: • l’iperglicemia si ha quando il livello ematico a digiuno si eleva al di sopra di 110 mg/dl per qualche patologia , come il diabete mellito o l’insufficienza renale. • L’ipoglicemia si ha quando il livello ematico di glucosio a digiuno è inferiore a 70mg/dl • La glicosuria (glucosio nelle urine) si ha quando è superata la soglia renale per il glucosio (160-180 mg/dl)in corso di iperglicemia. • Il diabete mellito è un disordine del metabolismo del glucosio che provoca una carenza di insulina e mancata tolleranza per i carboidrati. • Tipo 1, diabete mellito insulino dipendente. • Tipo 2, diabete non insulino dipendente. 63 I metodi di analisi del glucosio comprendono: Metodo della glucosio ossidasi : Il glucosio è ossidato ad acido gluconico e acqua ossigenata, con formazione finale di un prodotto colorato. Metodo dell’esochinasi: il glucosio viene fosforilato e deidrogenato, con formazione finale di NADPH. Metodo dell’emoglobina glicosilata. La ricerca dell’Hb glicosilata viene effettuata nei pazienti diabetici; l’esame consente di valutare la compliance del paziente al regime di terapia insulinica nell’arco delle 8-10 settimane. Il test di tolleranza del glucosio (detto anche prova o curva da carico) valuta la risposta dell’insulina ad un carico. E’ utile per lo studio del diabete della gravidanza e si pratica prelevando un campione di sangue a digiuno e poi facendo ingerire, in un tempo di cinque minuti, una dose orale di 75 g di glucosio sciolto in un liquido. Poi si prelevano campioni di sangue ad intervalli di 30-60, 120 e 180 minuti e si esegue su di essi la glicemia. Si esamina anche l’urina. • I soggetti non diabetici non hanno glucosio nelle urine e mostrano il livello glicemico più elevato dopo 3060 minuti e successivamente livelli bassi e normali. • Nei diabetici gravi la glicemia raggiunge il picco dopo 30 – 60 minuti e poi i livelli restano elevati. Il test post prandiale serve per lo studio del diabete. Si preleva un campione di sangue a digiuno e un altro campione due ore dopo la prima colazione . Nei soggetti normali dopo due ore non si osserva aumento della glicemia. 64 I LIPIDI I lipidi sono sostanze insolubili in acqua, che possono essere estratte dalle cellule con solventi organici (es. etere o cloroformio). Costituzione lipidica degli alimenti I trigliceridi costituiscono il 98 % dei grassi presenti negli alimenti e sono composti per il 95% da acidi grassi e per il 5% da glicerolo. Il restante 2% del grasso alimentare è composto da colesterolo, fosfolipidi di gliceridi, vit. Liposolubili, steroidi e terpeni. Il colesterolo è uno sterolo , struttura tetraciclica prodotta nel fegato da due molecole di acetato. Il colesterolo è un componente importante delle membrane cellulari è un precursore di molti ormoni. La maggior parte del colesterolo si trova sotto forma di esteri del colesterolo, che attraversano il torrente circolatorio trasportati da lipoproteine a bassa densità (LDL) e ad alta densità (HDL). I trigliceridi sono costituiti da acidi grassi e glicerolo e sono in parte sintetizzati nel fegato dall’epatocita. Nel sangue sono trasportati da chilomicromi e lipoproteine a bassissima densità (VLDL). I trigliceridi forniscono energie alle cellule perdendo i loro acidi grassi e formando ATP, fungendo così da riserva energetica sotto forma di grasso, e, come depositi di grasso servono anche come isolante per gli organi interni. Le lipoproteine sono il veicolo che trasporta i lipidi, e contengono quantità variabili degli specifici lipidi, fosfolipidi e apoproteine. I chilomicromi sono grosse molecole che contengono soprattutto trigliceridi. Originano nell’intestino e attraverso il sangue e la linfa raggiungono i vari tessuti. Sono degradati nel fegato. 65 Le VLDL sono più piccole dei chilomicromi. Contengono soprattutto trigliceridi endogeni Sono prodotte nel fegato, contengono quantità uguali di fosfolipidi e colesterolo e in circolo si degradano a LDL. Le LDL contengono principalmente colesterolo con quantità uguali di fosfolipidi e proteine e un certo quantitativo di trigliceridi. Questo è considerato colesterolo cattivo. Le HDL contengono soprattutto proteine, una certa quantità di colesterolo e pochi trigliceridi. Sono prodotte nel fegato e rimuovono dalle cellule il colesterolo in eccesso. Le HDL sono le cosiddette lipoproteine buone. Le dislipidemie portano in genere ad abnormi depositi di grasso nelle pareti dell’albero vascolare (arterosclerosi) e nella pelle (xantomi). L’ostruzione da iperlipidemie provoca assenza di bile, cosicché il colesterolo non può essere adeguatamente assorbito dall’intestino tenue. Metodi di analisi dei lipidi Per la determinazione del colesterolo totale si usa alternativamente : 1. la formazione di colesterolo libero, che è ossidato con formazione di acqua ossigenata, che poi reagisce con un colorante dando un prodotto colorato. 2. un elettrodo ossigeno – selettivo, che misura la velocità di consumo di ossigeno quando al siero si aggiunge un enzima specifico per il colesterolo. Per la determinazione del colesterolo delle HDL si precipitano le LDL e le VLDL e poi si misurano le HDL nel sovranatante. Per il colesterolo delle LDL si usa uno dei seguenti metodi: 1. Il calcolo per mezzo della seguente formula: LDL = colesterolo totale – (HDL + Trigliceridi) 5 2. L’immunoseparazione con la reazione di Ag – Ab. Per l’analisi dei trigliceridi si usano in alternativa: • Il metodo enzimatico, che si basa su tre enzimi – lipasi, glicerolo chinasi e glucosio 6 fosfato deidrogenasi – con formazione di NADH • Il metodo colorimetrico, che si basa sulla formazione di acqua ossigenata. UREA , ACIDO URICO E CREATININA EMATICI Le sostanze azotate del sangue si dividono in due frazioni: l’azoto proteico e quello non proteico. L’azoto non proteico comprende varie sostanze: Urea, Aminoacidi, acido urico, creatinina , ammoniaca , etc. L’urea rappresenta la frazione preminente per cui si identificano i suoi valori con quelli dell’azoto non proteico (azotemia). 66 L’urea è il principale prodotto escretorio del metabolismo proteico, ed è sintetizzato nel fegato a partire dall’anidride carbonica e dell’ammoniaca derivante dalla deaminazione degli aminoacidi. La formazione di urea è un processo che viene espletato a livello epatico in funzione del catabolismo degli aminoacidi: in condizioni normali l’intensità del catabolismo si adatta all’apporto esogeno e pertanto la quantità di azoto escreto è uguale a quella di origine catabolica, che a sua volta corrisponde all’azoto esogeno. L’urea è molto solubile, viene escreta per il 90% attraverso le vie urinarie (filtrazione glomerulare, riassorbimento tubulare parziale) e per il 10% per via extrarenale (feci, sudore, saliva, ecc.) Tutti i metodi analitici comprendono, come tappa iniziale, l’idrolisi dell’urea per mezzo di ureasi, con conseguente produzione di ammoniaca I test con doppio enzima (reazione enzimatica accoppiata) sono prove cinetiche che comportano l’uso di un secondo enzima. Con un colorante indicatore di pH si individua la presenza di ammoniaca e si produce un cambiamento di colore, che viene letto da uno spettrofotometro. Nel metodo diretto non si usa l’ureasi; l’urea viene misurata direttamente con l’impiego di diacetilmonossima. Le alterazioni dell’urea consistono tipicamente in un suo elevato livello ematico, definito iperazotemia. L’uremia è una condizione tossica legata ad una fortissima elevazione dell’azotemia associata a insufficienza renale. La creatina è contenuta prevalentemente nel tessuto muscolare in forma fosforilata con legame ad alto livello energetico utilizzato per rigenerare ATP. Una piccola quota è presente nelle cellule del sistema nervoso, negli spermatozoi e negli eritrociti. Allo stato anidro è denominata creatinina, e viene secreta nel plasma in quantità proporzionale alla massa muscolare e poi escreta con le urine. Poiché il livello di creatinina non è influenzato dalla dieta esso è espressione del filtraggio glomerulare. Metodi analitici per la creatinina: • Nella reazione di Jaffè si fa reagire la creatinina con acido picrico, e si ha la formazione di un cromogeno rossastro. L’assorbanza viene misurata colorimetricamente. • Nel metodo cinetico si usano vari enzimi e acqua ossigenata per formare un prodotto colorato. • La clearance della creatinina è una stima del filtrato glomerulare ottenuta misurando la creatinina plasmatica e la sua velocità di escrezione nell’urina. Per questa prova è necessario un campione di urina delle 24 ore e un campione di sangue per la creatininemia. La formula per il calcolo è: Creatinina urinaria in mg/l x Volume dell’urina in ml/min x 1.73 Creatinina plasmatica in mg/l 1.73 = Fattore di normalizzazione per la superficie corporea. 67 ACIDO URICO L’acido urico è il prodotto finale del catabolismo delle purine esogene ed endogene (adenina, guanina) attraverso le seguenti tappe: Adenina Guanina Xantina Ipoxantina Xantina Acido urico Ossidasi E’ scarsamente solubile in un ambiente acquoso ed è presente nel sangue in forma di urato monosodico è legato a proteine (albumine, alfa 1 e alfa 2 globuline). E’ un importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari aterosclerotiche. Viene escreto per via renale e per via intestinale. I metodi analitici si basano tutti sulla stessa reazione iniziale in cui l’acido urico è ossidato dall’uricasi con formazione di allantoina e acqua ossigenata .Vi sono due metodi di reazione enzimatica accoppiata che comportano, alternativamente : - la misurazione della produzione di acqua ossigenata in seguito alla reazione con fenolo e 4 aminofenazone - la misura della produzione di perossido per mezzo dell’ossidazione catalizzata dell’etanolo accoppiata alla produzione di acetato. I livelli di acido urico possono essere: - Elevati, in caso di gotta; per aumentato catabolismo nucleare (da aumento della distruzione cellulare, come nel caso della chemioterapia); per malattie renali; o per tossiemia gravidica. - Ridotti, soprattutto in caso di gravi epatopatie o nefropatie. SIDEREMIA Il ferro è contenuto nell’anello porfirinico dell’eme dell’emoglobina, della Mioglobina, della catalasi e dei citomicromi. L’interazione reversibile del ferro con l’ossigeno, e la sua capacità di funzionare in reazioni di trasporto elettronico, lo rendono fisiologicamente importante. Metabolismo del ferro: L’assorbimento del ferro avviene principalmente nel duodeno e rappresenta soltanto il 5-10 % di quello introdotto giornalmente con gli alimenti, il suo rifornimento nell’organismo è controllato dal suo assorbimento a livello intestinale. Il trasporto del ferro si effettua grazie ad una proteina di trasporto, la transferrina, che lega ferro ferrino (trivalente). Il ferro legato è portato ai mitocondri per la sintesi dell’eme oppure è immagazzinato nelle cellule sotto forma di ferritina. I depositi di ferro sono sotto forma di ferritina, solubile (presente nella maggior parte delle cellule), oppure emosiderina, relativamente insolubile. Un terzo del ferro è depositato nel fegato, un terzo nel midollo osseo e un terzo nella milza. L’analisi del ferro comporta l’esame dei suoi tre compartimenti: globuli rossi (emoglobina), ferro di deposito (ferritina) e ferro circolante e cioè ferro sierico, transferrina e capacità ferro legante TIBC = total iron binding capacity). La misurazione della saturazione della transferrina stabilisce lo stato del ferro di un individuo. Infatti, se inferiore al 18% è indice di uno stato ferro-carenziale e se superiore al 50% è indice di un sovraccarico di ferro. Il suo valore aumenta nella gravidanza, anemie sideropeniche, siderocromatosi e dopo somministrazione di anticoncezionali. 68 La determinazione della sideremia si basa sulla liberazione del ferro dalla transferrina e sulla successiva riduzione da ferrino a ferroso. La sideremia si abbassa negli stati di ferro-carenza e di infiammazione cronica, in seguito a perdite di ematiche e in seguito a infarto del miocardio. La sideremia si innalza in seguito a sovraccarico, intossicazione da ferro ed epatite, e durante l’uso di contraccettivi orali. La capacità ferrolegante o TIBC è la misura della concentrazione massiva di ferro che la transferrina può legare. La transferrina si misura con tecniche di immunoassay o nefelometriche. La ferritina è l’indicatore più sensibile di sideropenia: essa si abbassa all’inizio dell’anemia e si innalza all’inizio di malattie croniche. ELETTROLITI Gli elettroliti sierici sono ioni circolanti nel plasma che svolgono le funzioni più disparate. Essendo ioni hanno una carica elettrica e quindi possono essere agonisti o antagonisti a seconda delle loro cariche negative o positive, nello svolgere azioni biologiche. Ciò è tanto importante che essi devono essere in perfetto equilibrio non solo fra di essi, ma anche fra essi e la massa liquida dell'organismo, un squilibrio porterebbe all'insorgenza di gravi patologie. Sodio: è il catione extracellulare più abbondante. Esso contribuisce all’osmolarità del liquido extracellulare e mantiene la dimensione e la forma delle cellule. Il sodio è essenziale per la trasmissione degli impulsi nervosi. Alterazioni del sodio: L’iponatremia è l’abbassamento del sodio nel siero, causato da perdita dall’intestino, ustioni o problemi renali. L’iponatremia da diluizione è la riduzione relativa del sodio causata da un eccesso di acqua corporea, come nella nefrosi o nella cirrosi. L’ipernatremia è l’aumento del sodio causato da eccessiva perdita d’acqua, come nella sudorazione o nella diarrea. Potassio: è il principale catione intracellulare, che regola l’attività in corrispondenza delle sinapsi neuromuscolari, come pure la contrazione del muscolo cardiaco e il pH. Le alterazioni del potassio comprendono: L’ipopotassiemia che deriva da una ridotta assunzione con la dieta, perdita gastrointestinale o disfunzione renale, e può provocare aritmie cardiache. L’iperpotassiemia è rara. Si verifica per eccessiva introduzione con la dieta., insufficienza surrenalica, emotrasfusioni o lesioni da schiacciamento. Cloro : è il principale anione extracellulare, che agisce mantenendo la pressione osmotica , l’idratazione corporea e la neutralità elettrica, grazie alla sua interazione con il sodio o l’anidride carbonica Le alterazioni del cloro comprendono: L’ipocloremia, causata da perdita di sale in corso di malattie renali di chetoacidosi diabetica o di vomito protratto. L’ipercloremia causata da disidratazione, insufficienza renale acuta, diarrea protratta con perdita di bicarbonato di sodio e intossicazione da salicilato. 69 I principali metodi per la determinazione degli elettroliti sono: Con elettrodi iono selettivi, che usano una membrana semipermeabile per sviluppare un potenziale tra due diverse concentrazioni ioniche. Con titolazione amperometrica –coulometrica per la determinazione dei cloruri; in questo motodo ioni argento sono combinati con il cloruro e, quando si riscontra la presenza di un eccesso di ioni argento liberi, l’intervallo di tempo trascorso è proporzionale alla concentrazione di cloruri. Il Calcio nel sangue rappresenta solo l'1% del calcio totale dell'organismo, il 99% è depositato nelle ossa. Di questo 1% il 5 - 10% è sotto forma di sali, il 35 - 45% è legato a proteine e il 50 - 60% è la forma ionizzata biologicamente attiva. Essa partecipa alla regolazione dell'attività e dell'eccitabilità neuromuscolare, nella diminuzione della permeabilità vascolare e cellulare, nell'attività di coagulazione e enzimatica. Il fabbisogno giornaliero di calcio nell'adulto è di 700 mg per raggiungere i 1500 mg durante la fase di sviluppo, nella gravidanza e nell'allattamento. La frazione ionizzata è la forma biologicamente attiva, implicata nel controllo dell’attività e dell’eccitabilità neuromuscolare, nella diminuzione della permeabilità vascolare e cellulare, nella attività emocoagulativa ed enzimatica. E’ calcolata dalla formula: (Ca totale x 6) - Proteine totali g/dl 2+ Ca mg/dl = 3 Proteine totali + 6 I livelli di calcio sono regolati dal paratormone con la mediazione della vitamina D ( azione ipercalcemizzante) e dalla tireocalcitonina (azione ipocalcemizzante). Un aumento del calcio può indicare iperparatiroidismo primitivo e secondario, metastasi ossee, alcune neoplasie, leucosi, mieloma, ipertiroidismo, anche un'immobilizzazione prolungata. Una diminuzione si può trovare nell'ipoparatiroidismo, nel rachitismo, nell'osteomalacia, nella pancreatite acuta e cronica, nella cirrosi epatica, nell'insufficienza renale cronica, ecc. Il fosforo nel corpo umano è presente per l'80% nelle ossa e per il 20% nel sangue e nei muscoli, esso è assunto con i cibi ed è assorbito nei primi tratti dell'intestino, è eliminato soprattutto attraverso il rene e solo in piccola parte attraverso le feci. La quantità di fosforo necessarie alle esigenze dell'organismo è regolata da un ormone secreto dalle ghiandole paratiroidi, detto paratormone. La concentrazione del fosforo nell'organismo è in costante equilibrio con quella del calcio, un aumento dei fosfati plasmatici determina, con meccanismo ancora ignoto, una riduzione del calcio. Nel sangue il fosforo si presenta sia come frazione organica, fosfolipidi e esteri fosforici, sia come frazione minerale, proprio quest'ultima è dosata nella fosforemia o meglio fosfatemia. Un aumento dei valori può essere dovuto a ipoparatitoidismo, insufficienza renale cronica, ipertiroidismo, ipervitaminosi D, acromegalia; all'inverso una diminuzione si riscontra nell'iperpartiroidismo, ipovitaminosi D, malattie dei tubuli renali, ipercorticosurrenalismo, ecc. 70 ENZIMI ED ISOENZIMI Gli enzimi sono proteine che catalizzano reazioni biochimiche ma non alterano il punto di equilibrio della reazione. Non si consumano né si modificano. Gli enzimi sono specifici per ciascuna reazione fisiologica a cui prendono parte, pertanto presentano particolari quadri di distribuzione tissutale e cellulare. Ogni organo, tessuto o liquido biologico è caratterizzato da un tipico corredo enzimatico. Per cui un dosaggio degli enzimi nel plasma può essere utilizzato per diagnosticare il danno di un tessuto od organo particolarmente ricco in alcuni enzimi, e l’entità del rilascio enzimatico fornirà un indice del grado del danno cellulare. L’utilità della diagnostica enzimatica si può inoltre dedurre dal fatto che il rilascio enzimatico da parte di un organo colpito da un processo morboso si può verificare anche quando gli altri sintomi della malattia non sono ancora evidenziabili. Il dosaggio dell’enzima nel plasma permette pertanto una diagnosi precoce a quadro clinico silente e quindi un intervento terapeutico tempestivo ed efficace. Questo è per esempio il caso dell’infarto del miocardio e dell’epatite acute che possono essere diagnosticate precocemente in base al rilascio in circolo di notevoli quantità di creatin-fosfochinasi (CPK), lattico-deidrogenasi (LDH) e glutammico-ossalacetico- transaminasi (GOT) nel primo caso, glutammico – piruvico-transaminasi (GPT) e GOT nel secondo caso. CPK (creatinfosfochinasi) La creatinfosfochinasi svolge un ruolo fondamentale nelle funzioni energetiche cellulari. E' composta da tre isoenzimi, MM, MB, BB. Sono concentrati soprattutto nei muscoli scheletrici, nel muscolo cardiaco e nel tessuto cerebrale. Le variazioni dei valori nel sangue originano dai muscoli, poiché la quota cerebrale non riesce a superare la barriera ematoencefalica. Da quanto detto si evince che qualunque insulto ai muscoli sia scheletrici che cardiaco comporta un innalzamento dei valori ematici della creatinfosfochinasi. Infatti valori molto elevati sono indice di distrofia muscolare di Duchenne, polimiosite, dermatomiosite, infarto miocardico acuto, valori elevati possono essere indice di miocardite, alcolismo, miastenia, convulsioni, embolia e edema polmonare, ma può essere indice anche di esercizio fisico intenso, di iniezioni intramuscolari, traumi muscolari, ecc. TRANSAMINASI 1) Si tratta di sostanze enzimatiche (proteine) che stanno all’interno delle cellule del fegato. 2) Più che la bilirubina, il loro valore è utile per valutare il corretto funzionamento del fegato; 3) possono anche indicare lo stato di salute del cuore e dell’apparato scheletrico. 4) Si dividono in: transaminasi GPT o ALT, che riguardano soprattutto il fegato e transaminasi GOT o AST che riguardano invece soprattutto il cuore e lo scheletro. 71 TRANSAMINASI GOT o AST • transaminasi glutamico-ossalacetico" GOT oppure AST (aspartato transferasi). • È presente nel fegato e viene analizzato per studiare le condizioni di questo organo, ma anche per valutare eventuali lesioni del muscolo cardiaco oppure alterazioni di quei muscoli che coordinano i movimenti dello scheletro. • Valori normali a 40-45 U/l negli adulti e fino a 80 U/l nei bambini • Valori superiori da alcolismo, asma, cirrosi epatica, distrofia muscolare, epatite, gotta, infarto del miocardio, interventi chirurgici, leptospirosi, ittero ostruttivo, metastasi epatiche, mononucleosi, pancreatite. • Valori inferiori da diabete, dialisi, gravidanza Per la misura dell’attività totale esistono tre approcci principali: • La reazione con dinitrofenilidrazina, che accoppia il reattivo colorato con il chetoacido prodotto. • La reazione con Sali diaconio, che accoppia il sale con il chetoacido prodotto e forma il colore.. • Il metodo enzimatico accoppiato (metodo di Karmen) in cui da NADH, malato deidrogenasi e chetoacido si ha la formazione di NAD. TRANSAMINASI GPT o ALT • transaminasi glutamico piruvica", GPT oppure ALT (alanino amino transferasi); • le transaminasi GPT danno la esatta valutazione della gravità dell’alterazione del fegato. • Valori normali dovrebbero essere compresi tra 10 e 40 U/l per gli uomini e tra 5 e 35 U/l per le donne. • Valori superiori da cirrosi epatica, uso di contraccettivi, distrofia muscolare, emolisi, epatiti, ittero ostruttivo, metastasi epatiche, da mononucleosi, da obesità, da pancreatite, da scompenso circolatorio, da traumi. Per la misura della sua attività totale si impiegano reazioni simili a quelle descritte per la AST; però nel metodo enzimatico accoppiato si usa lattico deidrogenasi per il piruvato a lattato e ossidare NADH. GAMMA GT g -glutamiltranspeptidasi. Enzima situato nelle cellule del fegato, del cuore, del pancreas e del rene. Sono ritenuti valori di riferimento 7-33 U/l. Valori superiori a quelli considerati normali possono essere determinati da alcolismo, da epatite virale acuta, da infarto del miocardio, da metastasi epatiche, da nefrosi, da tumori maligni. La misurazione dell’attività totale si effettua con il metodo di Szasz, in questa reazione il substrato è la gamma – glutamil -p – nitroanilide, e si libera p – nitroanilina. 72 BILIRUBINA E’ il principale pigmento biliare e si forma dall’emoglobina quando i globuli rossi invecchiati sono fagocitati. Le tappe di questa trasformazione sono le seguenti: l’emoglobina è scissa in globina (riutilizzata) + porfirina (escreta) + biliverdina ( ridotta a bilirubina). Nel fegato la bilirubina viene coniugata ( esterificata ) e diventa idrosolubile. Questa sostanza fuoriesce dai canalicoli biliari e raggiunge l’intestino, dove viene infine degradata con formazione di urobilinogeno, che ossidandosi produce urobilina che è escreta nelle feci. Parte dell’urobilinogeno è escreto dal rene. Nel siero vi è una certa quantità di bilirubina non coniugata; un aumento della bilirubina nel sangue provoca ittero. Mediante test colorimetrico (reazione di Van den Berg) è possibile determinare la bilirubinemia totale e frazionata, ossia la quota indiretta alla forma non coniugata o libera. PROTEINE SIERICHE Le proteine circolanti hanno un carattere “anfotero”: si comportano cioè da acidi in ambiente basico e da basi in ambiente acido. Questo perché sono dotate di gruppi –NH2 e – COOH. Al pH normale del sangue (7.35-7.4) funzionano da acidi deboli e dal punto di vista elettrico si possono considerare come gli elettrodi deboli. L’elettroforesi proteica si basa sul principio che le proteine in ambiente alcalino e immesse in un campo elettrico saranno cariche negativamente e tenderanno a migrare verso il polo positivo (anodo). La mobilità elettroforetica (espressa in cm/sec con campo elettrico pari a 1 V/cm) è funzione della somma delle cariche di superficie della proteina, della forma e della grandezza delle molecole proteiche. Normalmente l’elettroforesi proteica viene effettuata a pH 8.6 dando luogo così a una migrazione anodica di tutte le proteine. Lo schema di distribuzione elettroforetica delle proteine plasmatiche è funzione di due sottotipi principali di protidi: l’albumina e le globulina. L’albumina, la frazione proteica principale del plasma, è prodotta dal fegato in condizioni fisiologiche normali. Le globuline costituiscono una frazione minore del contenuto proteico totale del sangue. I sottotipi e le quantità relative di questi protidi costituiscono il nucleo dell’interpretazione del grafico elettroforetico. In un tracciato elettroforetico normale l’albumina, il picco più alto, è la frazione proteica più vicina al catodo. Le successive cinque componenti proteiche, le globuline, vengono indicate come alfa1, alfa 2, beta1, beta2 e gamma. I picchi di queste componenti si dispongono progressivamente verso l’anodo, con la frazione gamma come elemento più vicino all’elettrodo negativo. Albumina: è la principale proteina oligomerica a catena singola (di circa 582 aa) nel plasma, con punto isoelettrico 4,8. 73 Fa da riserva energetica per gli aminoacidi essenziali, tampona gli ioni H+ e Ca++ , trasporta sostanze poco idrosolubili (come birilubina , colesterolo, ormoni steroidei, acidi grassi) e mantiene la pressione colloido-osmotica del sangue. Frazione Alfa: spostandosi verso l’elettrodo negativo, dopo il picco dell’albumina si incontrano i picchi delle componenti alfa 1 e alfa 2. La frazione alfa 1 comprende l’alfa 1- antitripsina, la globulina legante gli ormoni tiroidei , la transcortina, l’acido glicoproteico, l’antichimotripsina, la lipoproteina HDL, la fetoproteina e l’antitrombina III. La componente alfa 2 (regione della fase acuta) comprende la ceruloplasmina, l’alfa 2-macroglobulina, l’aptoglobina e la lipoproteina VLDL. Frazione Beta: tale frazione si evidenzia nel tracciato elettroforetico come due picchi ravvicinati, beta 1 e beta 2. La componente beta 1 è data essenzialmente dalla transferrina, ferritina, frazioni del complemento, fibrinogeno; la beta 2 contiene le beta-lipoproteine. All’interno delle frazione beta possono distribuirsi anche le IgA, le IgM e talvolta le IgG. Frazione Gamma: la maggior parte dell’interesse clinico si accentra in questa frazione dello spettro elettroforetico, dato che le immunoglobuline migrano in questa regione, si osservano infatti curve reattive delle IgM, IgA, IgG, ed IgE, prodotte da diversi cloni plasmocitari come risposta agli stimoli antigenici. : Frazioni elettroforetiche Grammi/decilitro Percentuale Albumina 3.6 – 4.9 g/dl 55% - 64% Αlfa 1 globuline 0.2 – 0.4 g/dl 4.2% - 7.2% Alfa 2 globuline 0.4 – 0.8 g/dl 7% - 9% Beta globuline 0.6 – 1 g/dl 9% - 13% Gamma globuline 0.9 – 1.4 g/dl 13% - 21% Rapporto albumina globulina: 1.2-1.7 * E importante ricordare che i valori delle analisi cliniche possono essere assai diversi a seconda della metodica utilizzata. I livelli plasmatici delle proteine mostrano delle modificazioni ragionevolmente prevedibili in risposta a processi infiammatori acuti, neoplastici, traumi, necrosi, infarto, ustioni e danni chimici. Questo cosiddetto schema di proteine da fase acuta comporta innalzamenti nei livelli di fibrinogeno, alfa 1 antitripsina, aptoglobina, ceruloplasmina, PCR, la proteina complementare C3 e l’alfa 1- glicoproteina acida. Spesso si associano anche riduzioni dei livelli di albumina e transferrina 74 GEL ELETTROFORESI Il nome di questo tipo di elettroforesi deriva dal fatto che il supporto inerte è rappresentato da una gelatina che può essere amido, agarosio, o acrilamide. Queste sostanze opportunamente trattate danno origine ad una gelatina che può essere stratificata su di una lastra oppure posta su di una colonna. Il vantaggio di questa metodica è che si possono facilmente eluire i soluti una volta che è avvenuta la separazione elettroforetica. Inoltre, va notato che la struttura porosa del gel agisce anche come filtro che permette la separazione dei componenti di una soluzione in base al peso molecolare. IMMUNOELETTROFORESI Un particolare metodo di elettroforesi zonale è la immunoelettroforesi; questa tecnica elettroforetica, con immunoprecipitazione, è basata sulle reazioni specifiche tra anticorpi (immunoglobuline) e antigeni. Generalmente gli anticorpi vengono posti all’esterno della matrice elettroforetica, quindi le proteine in corrispondenza dello specifico anticorpo precipitano a causa della reazione immunitaria; si avrà così una banda la cui densità è approssimamene proporzionale alla concentrazione delle singole frazioni proteiche. La metodica consente la tipizzazione immunochimica delle Ig, ossia la determinazione della classe della catena pesante e del tipo di catena leggera utilizzando antisieri polivalenti per le Ig umane si avranno tre archi di precipitazione corrispondenti alle tre principali classi: IgG, IgA, IgM. Utilizzando antisieri contro le catene leggere si identifica anche il tipo di Ig (k o λ). IMMUNOFISSAZIONE E’ la tecnica più sensibile per la ricerca delle componenti M sieriche ed urinarie. Sfrutta la combinazione tra elettroforesi proteica su agarosio con successiva reazione delle proteine separate con anticorpi monospecifici. Campioni di siero vengono seminati in più solchi lineari su supporti di agarosio e sottoposti ad elettroforesi. Per ogni solco viene seminato un antisiero specifico per le catene pesanti e leggere (IgA, IgG, IgM, k, λ). Quando l’antisiero incontra l’antigene specifico determina un immunoprecipitato che rimane nel supporto di gel dopo lavaggio effettuato per allontanare le proteine non precipitate. Una opportuna colorazione metterà in evidenza l’eventuale componente M. Analoga procedura potrà essere effettuata anche su campioni di urine per determinare la presenza di catene K o λ monoclonali. Problematica di questa tecnica è rappresentata dal cosiddetto effetto prozona che si realizza quando il rapporto antigene/anticorpo non è corretto. L’effetto prozona nella IFE è dovuto ad un eccesso di antigene, si rende quindi, necessario aggiustare il contenuto proteico del campione effettuando ulteriori diluizioni. Eccessive quantità di antigene migrato diminuiscono la capacità risolutiva dell’analisi e richiedono maggiori concentrazioni di antisiero. 75 Per una separazione ottimale ed una sufficiente intensità di colore che permette il rilevamento visivo, bisogna standardizzare attentamente il titolo anticorpale, la concentrazione del campione, il tempo e il voltaggio. Occasionalmente la striscia IFE presenta delle bande di precipitazione nella stessa posizione in ogni tracciato della piastra. Il fenomeno può essere dovuto a : • Immunoglobuline monoclonali IgM (effetto sticky); • Alti titoli di Fattore Reumatoide (FR) o di immunocomplessi. • Fibrinogeno. Si ovvia a tali inconvenienti, riducendo il campione con ß-2-mercaptoetanolo diluito 1:10. Si consiglia di lavorare sempre sotto cappa quando si usa il 2 – ME. IMMUNOFISSAZIONE MEDIANTE SOTTRAZIONE (IFE/s): L’elettroforesi a immunofissazione mediante sottrazione consiste nel far reagire il siero con uno specifico anticorpo legato a granuli di sefarosio prima di avviare la procedura di elettroforesi capillare. Ogni campione diluito viene esposto in cinque diversi pozzetti: tre pozzetti contengono le perline rivestite con agenti leganti specifici per Ig G, Ig A e Ig M e due pozzetti contengono perline rivestite per kappa e lambda. Poiché il campione viene incubato con gli anticorpi legati alle perline, le immunoglobuline aderiscono alle perline e vengono estratte dalla soluzione, mentre le perline ad alta densità si depositano sul fondo del pozzetto. Un sesto pozzetto senza perline funge da riferimento. L’assorbimento di un componente da parte delle perline viene rilevato dall’assenza del picco corrispondente sull’elettroferogramma quando questo viene messo a confronto con il pattern SPE. Le immunoglobuline sono identificate dall’assenza o dalla riduzione di picchi se confrontate con l’elettroferogramma del riferimento di siero non trattato. Il risultante set di elettroferogrammi consente all’operatore di determinare la natura del picco sospetto mediante un processo di eliminazione. Le variazioni qualitative che ne risultano nel quadro elettroforetico consentono la tipizzazione della componente monoclonale. 76 ELETTROFORESI CAPILLARE L’idea alla base dell’elettroforesi capillare (Capillary electropHoresis) consiste nell’adattare i meccanismi di separazione dell’elettroforesi tradizionale ad un sistema di separazione capillare in grado di superare per efficienza e selettività le tecniche cromatografiche tradizionali. Il principio di separazione non è la ripartizione, come nelle tecniche cromatografiche, ma gli analiti vengono separati in base alla differenza di mobilità elettroforetica. A pH >3 la superficie interna del capillare in silice si carica negativamente per effetto della ionizzazione dei gruppi silanolici, così che i cationi sono attratti verso la superficie. Quando si applica il campo elettrico, i cationi carichi positivamente nella soluzione dirigono il flusso elettrosmotico (EOF) verso il catodo. Tutte le specie - cationiche, anioniche e neutre - fluiscono verso il catodo quando l’EOF supera la loro velocità di migrazione sotto l’azione del campo elettrico. I cationi di solito eluiscono per primi, ma alla soluzione dell’elettrolita si aggiungono talvolta modificanti del flusso elettrosmotico per invertirne la direzione. 77 La strumentazione base per CE è composta da un alimentatore ad alta tensione, collegato a due elettrodi, posizionati in due contenitori per il tampone nei quali sono immersi i due capi di un capillare. Ad una estremità del capillare è posto un rivelatore, in genere con lettura diretta on column, collegato con un sistema di acquisizione dati. In tutte le strumentazioni è previsto l’utilizzo di un autocampionatore per gestire le varie fasi della pulizia del capillare, iniezione ed analisi, e di un sistema di controllo strumentale mediante microprocessore interno, comandato da tastiera integrata nell’apparecchio. Sono disponibili ora anche software per PC per la gestione strumentale completa e l’elaborazione dati. La strumentazione è sempre corredata da un sistema di termostatazione del capillare in quanto questo è considerato un aspetto critico della tecnica. 78 79 Cenni di immunologia Definizioni: Un antigene è una sostanza che stimola la formazione di anticorpi e ha la capacità di legare gli anticorpi stessi. Un aptene è una sostanza non antigenica a basso peso molecolare, che si combina con un antigene, ne modifica la specificità. Un anticorpo è una sostanza glicoproteica (immunoglobulina) prodotta dai linfociti B in risposta ad un antigene. Reazione antigene anticorpo Un epitopo è quella parte dell’antigene che reagisce specificatamente con l’anticorpo o con il recettore T linfocitario. L’agglutinazione è l’aggregazione di antigeni corpuscolari da parte di anticorpi specifici per quegli antigeni. L’affinità è la tendenza che un epitopo ha di combinarsi con il sito antigenicodella molecola anticorpale. L’avidità è la forza del legame tra antigene e anticorpo. La sensibilità è la quantità minima di antigene o anticorpo che può essere individuata. La specificità è la capacità di un anticorpo di legarsi ad un antigene con determinati complementari e non ad un antigene con determinati dissimili. Le immunoglobuline sono sostanze glicoproteiche secrete da B linfociti stimolati da antigeni. Tutte le classi di immunoglobuline hanno in comune la stessa struttura di base: due catene pesanti e due catene leggere legate da un numero variabile di ponti di disolfuro. Le catene pesanti determinano l’isotipo o la classe delle immunoglobuline. Le classi delle immunoglobuline sono cinque: IgA, IgD, IgE, IgG e IgM . Ciascuna molecola di immunoglobuline ha due catene leggere Kappa oppure due catene leggere Lambda. L’immunità può essere naturale o acquisita. L’immunità naturale è presente alla nascita e fornisce protezione contro le malattie e aiuta nella guarigione dalle malattie stesse. Tuttavia fornisce anche la base del rigetto dopo trapianto d’organo L’immunità acquisita o specifica interviene quando, in risposta a un antigene estraneo, si sviluppa la memoria immunologica e l’anticorpo specifico verso l’antigene. 80 TECNICHE IMMUNOLOGICHE E SIEROLOGICHE Le prove di agglutinazione dimostrano la presenza di reazioni antigene anticorpo grazie all’aggregazione visibile dei complessi antigene anticorpo. Queste prove sono di facile esecuzione e sono spesso il metodo più sensibile. - Prove di flocculazione. Quando un antigene solubile interagisce con l’anticorpo si ha la formazione di un precipitato. Se l’antigene è legato a particelle di reagente, quando l’anticorpo si lega all’antigene le particelle, agglutinandosi, rendono visibile la reazione. - Agglutinazione al latice. L’anticorpo è legato a palline di latice : quando a questo si lega l’antigene si ha agglutinazione visibile. - Agglutinazione batterica diretta. Gli anticorpi si legano agli antigeni di superficie di batteri in sospensione provocando agglutinazione visibile. - I test di emoagglutinazione si usano per individuare anticorpi contro antigeni eritrocitari. Nei test di emoagglutinazione passiva o indiretta antigeni solubili sono adsorbiti sulla superficie dei G.R.; questi antigeni poi si legano all’anticorpo corrispondente: se questo è presente i globuli rossi agglutinano. - Le prove di inibizione dell’agglutinazione sono molto sensibili e sono in grado di individuare piccole quantità di antigene. Nei test di inibizione dell’emoagglutinazione, antigene e anticorpo sono legati ai globuli rossi. Se nel campione in esame è presente l’anticorpo, non si verifica agglutinazione perché vi è già anticorpo legato all’antigene, e pertanto l’agglutinazione costituisce un risultato di negatività. Prove di precipitazione. Se sono entrambi presenti in proporzioni appropriate, antigeni e anticorpi interagiscono e formano precipitati visibili. La quantità massima di precipitato si osserva quando antigeni e anticorpi sono presenti in quantità ottimali: si parla allora di zona di equivalenza. Quando l’antigene o l’anticorpo sono presenti in eccesso possono aversi reazioni falsamente negative. − Immunodiffusione radiale: è un metodo, ormai superato, di diffusione singola che può essere usato per quantificare immunoglobuline e altre sieroproteine. I campioni vengono introdotti in pozzetti ritagliati in agarosio contenente antisiero e lasciati diffondere, in genere dalla sera alla mattina. Il diametro dei risultanti anelli di precipitazione corrisponde alla quantità di antigene presente. Gli immunoassays con un marcante possono essere qualitativi o quantitativi, e possono essere eseguiti in fase solubili o solida. Il marcante può essere radioattivo, enzimatico, chemiluminescente o fluorescente. Il RIA (radioimmunoassay) è un metodo rapido e sensibile che può essere impiegato per rilevare piccole quantità di antigene o di anticorpo. Tuttavia, l’esposizione a radioisotopi può danneggiare il DNA e provocare malattie da radioazioni, aumentando incidenza di neoplasie. Questi rischi potenziali costituiscono un fattore negativo del metodo RIA. Il RAST (radioallergosorbent test) è un metodo RIA specificatamente destinato a misurare IgE antigene specifiche. Il RIST (radioimmunosorbent test) è una tecnica di legame competitivo che si usa per la determinazione quantitativa delle IgE. L’ELISA (enzyme- linked immunosorbent assay) usa un marcante enzimatico . Gli enzimi più usati sono la per ossidasi e la fosfatasi alcalina. L’ELISA può essere usato per individuare quantità estremamente piccole di antigene o di anticorpo. 81 La NEFELOMETRIA (o Turbidimetria) misura fotometricamente la torbidità di soluzioni contenenti particelle in sospensioni. E’ accurata, rapida e precisa ed è usata di frequente per la determinazione quantitativa di immunoglobuline, componenti del complemento e immunocomplessi. Il metodo può essere usato anche per misurare la concentrazione di antigeni. La lunghezza d’onda negli strumenti per nefelometria è 840 nm. Test di neutralizzazione. Gli anticorpi neutralizzanti sono in grado di distruggere l’infettività di virus, e questo principio fornisce la base dei test atti a determinare la quantità di anticorpo contro quel virus presente nel campione. Queste tecniche si usano spesso per individuare anticorpi contro i virus dell’herpes simplex tipo 1 e 2 e contro ecovirus. La citometria a flusso è una metodica di analisi cellulare basata sulla valutazione delle caratteristiche fisiche ed immunologiche degli elementi figurati del sangue o di altra provenienza. Tale caratteristiche sono rilevate da un sistema ottimo collimato con una camera di flusso attraverso la quale le cellule passano allineate una per una (focalizzazione idrodinamica). Quando per definizione di parametri cellulari ci si avvale dell’uso d’anticorpi marcati con sostanze fluorescenti, possiamo parlare di citofluorimetria (CFM). Un citofluorimetro (CF) è un microcoscopio a fluorescenza specializzato, dotato cioè di un automatismo di trasporto delle cellule e di un sofisticato sistema di misura della luce. Ciò che caratterizza in modo molto preciso la CFM è che si tratta di una tecnica di misura e non di sola osservazione. IL CF , a differenza dell’occhio umano, è in grado di misurare simultaneamente diverse caratteristiche e parametri cellulari: dimensioni, granularità relativa e complessità interna,quantità di fluorescenza. L’utilizzo di sostanze fluorescenti garantisce un’elevata sensibilità i misura, essendo possibile quantificare fino a poche centinaia di molecole per cellula. Alla base di ogni misura in CFM stanno due fenomeni fisici: la diffusione della luce(light scattering ) e la fluorescenza. Il raggio di luce è proiettato in un punto preciso del sistema. Quando una particella lo attraversa, una parte della luce è diffusa. La quantità ed intensità di questa sono proporzionali alle caratteristiche da misurare: - la luce “diffusa avanti”, cioè a piccolo angolo rispetto alla direzione del raggio incidente (Forward Scatter FSC), è proporzionale alle dimensioni della particella. - La luce “ diffusa a 90° “ è proporzionale alla complessità della particella (Side Scatter SSC). Contestualmente il raggio di luce ecciterà le molecole, le molecole fluorescenti eventualmente presenti emetteranno fluorescenza verde, rossa, arancione, etc. Se si analizza sangue intero dopo lisi dei globuli rossi, l’uso combinato dei due parametri fisici FSC e SSC, combinati in un citogramma bidimensionale può consentire la suddivisione delle tre principali popolazioni di leucociti. L’uso di anticorpi monoclonali (Mab), oltre a garantire un’ottima specificità, ha consentito le più svariate applicazioni della citofluorimetria nell’ambito delle scienze biomediche. Gli anticorpi monoclonali sono immunoglobuline prodotte da cellule animali con la classica tecnica degli ibridomi. Ognuno è in grado di riconoscere una parte di un antigene complesso, cui si lega con vario grado di affinità ed elevatissima specificità. 82 Epatite C Il virus dell’epatite C (HCV) è un virus a RNA a singolo filamento di circa 9400 nucleotidi, di 60nm di diametro. Sono state presentate diverse classificazioni, tra cui quella più attuale proposta da Simmonds prevede il raggruppamento dei vari isolati virali in 6 distinti genotipi. (da 1 a 6), ciascuno caratterizzato da più sottotipi (a,b,c); 1°, 1b, 2°,2b sono più frequenti in Europa¸ è presente anche un terzo tipo, che è più frequente in sud America. Oltre ad un interesse epidemiologico, lo studio dei genotipi virali pare abbia anche un importante rilevanza clinica. Alcuni studi, concordano nell’attribuire ai diversi genotipi diverso potere patogeno, virulenza, infettività, tropismo cellulare e risposta al trattamento con interferone. Attualmente dati disponibili in letteratura associano quadri più severi di malattia al genotipo 1, soprattutto di tipo b. I pazienti di tipo 2° sembrerebbero rispondere meglio alla terapia con interferone . L’HCV viene trasmesso attraverso il sangue. Non si registrano casi di HCV trasmesso per via enterica (orale/ fecale). Decorso clinico - periodo di incubazione da 2 a 26 settimane - esordio insidioso - la maggior parte dei soggetti infetti (75% ed oltre) può essere asintomatica - il 10-25% non sviluppa sintomi specifici - l’85% circa di soggetti infetti da HCV sviluppa una infezione cronica - delle persone affette da epatite C cronica circa il 10-20% progredisce verso la cirrosi; di questi più dellì1 % sviluppa epatocarcinoma. TEST PER LA DIAGNOSI DI INFEZIONE DA HCV La diagnostica di laboratorio per le infezioni da HCV utilizza, come per altre malattie infettive, metodiche indirette, basate sulla ricerca della risposta anticorpale dell’organismo e metodiche dirette finalizzate, cioè alla evidenziazione nell’organismo di materiale nucleico virale. In sintesi: 1. test sierologici di screening; 2. test sierologici di conferma; 3. ricerca diretta di HCV-Rna con tecniche di biologia molecolare. Test sierologici di conferma (immunoblot/Riba). Ricercano anticorpi verso le singole proteine del virus C, codificate dalle regioni C22, NS3, NS4, NS5. Servono per conferma di avvenuta infezione. I marcatori sierologici, di screening e di conferma, pur avendo un importante valore diagnostico non riescono tuttavia a coprire l’intervallo di tempo che intercorre fra il momento dell’esposizione all’infezione e la sieroconversione. Resta una zona finestra di circa 70 giorni, coperta solo in parte dal test HCV- Core Antigen Elisa. Questo test di recente introduzione sembra ridurre la finestra da circa 70 a circa 20 giorni. La metodica di elezione per cercare di coprire la zona finestra resta la ricerca del virus con tecniche di biologia molecolare, positive già nelle prime fasi precoci della malattia. 83 Ricerca diretta con tecniche di biologia molecolare Sono utilizzate essenzialmente per: - confermare la presenza dei virus in Positivi evidenziati con i test sierologici (replicazione virale) - esclusione della presenza virale in neonati da madre HCV - monitoraggio terapia. La ricerca di HCV- Rna mediante tecniche di biologia molecolare assume valore prognostico, dal momento che l’RNA virale tende a scomparire precocemente nei pazienti con malattia autolimitante, e a persistere ad elevati livelli nei casi con evoluzione cronica. HIV La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) è causata dal virus dell’immunodeficienza umana 1 (HIV – 1) o dal virus dell’immunodeficienza umana 2 (HIV -2). Le cellule bersaglio principali sono i T linfociti CD4 – positivi; sono infettati anche il 5% dei B linfociti. Il virus HIV appartiene alla famiglia dei retrovirus; con tale denominazione si definisce una famiglia di virus il cui genoma è costituito o da RNA, nella fase in cui il virione completo si trova al di fuori della cellula, o da DNA, nel momento in cui il microrganismo infetta la cellula ospite e si integra nel suo menoma. La trasmissione del virus avviene principalmente attraverso contatti sessuali con persone infette e per via parenterale (ad esempio trasfusioni di sangue o emocomponenti infetti). LA DIAGNOSI La strada maestra per la diagnosi di ogni patologia infettiva è la ricerca e l’identificazione dell’agente eziologico oppure di una sua traccia non equivoca (un agente o segmento di genoma) in un campione adeguato. L’infezione da HIV possiede la peculiarità di persistere, una volta instauratasi, anche nei periodi di remissione clinica, perciò la diagnosi di certezza dell’infezione in atto può essere posta anche attraverso il rilievo di anticorpi specifici nel siero dell’individuo. La positività del test di screening immunoenzimatico, soprattutto in presenza di dati anamnestici positivi, è indicativa della presenza dell’infezione. L’infezione deve essere sempre convalidata mediante l’esecuzione del test di conferma in Western blot (WB). Questo test appare di grande rilevanza soprattutto in assenza di dati anamnestici positivi e di bassa reattività del test di screening. Il test combinato con l’evidenza degli anticorpi contro la proteina P36 propria cdel virus HIV-2 è inoltre indicativo dell’infezione da HIV -2. La diagnosi sierologia dell’infezione da HIV basa su metodi indiretti (ricerca di anticorpi ) e metodi diretti (ricerca del genoma virale). Metodi indiretti: Test immunoenzimatico(Elisa): è il primo test eseguito quando si sospetta il contagio ed il test più noto e più diffuso per lo screening (HIV 1/2). Test Western blot: è il test più utilizzato come conferma della positività del test Elisa. Distingue i diversi anticorpi prodotti dal sistema immunitario in risposta a particolari prodotti dal sistema immunitario in risposta a particolari prodotti (antigeni) del virus. Metodi diretti: Metodi basati sulla ricerca del genoma del virus HIV. Il test PCR (che individua anche minime quantità di acido nucleico, amplificandole) viene usato anche per test sierologici(test screening e di conferma del test anticorpale e come primo esame per la diagnosi neonatale. 84 Criteri di indagine e precauzioni Prelievo: tutti i prelievi di sangue debbono essere considerati potenzialmente infetti. Per la raccolta dei campioni per test sierologici (test screening e di conferma per gli anticorpi anti HIV ) utilizzare provette sottovuoto. Per la ricerca di sequenze genomiche (PCR) utilizzare provette sottovuoto contenenti EDTA come anticoagulante (l’eparina inibisce la Polimerasi). Trasporto: dopo il prelievo i campioni devono essere consegnati quanto prima al laboratorio. Per i test di PCR il plasma deve essere separato entro 6 ore dal prelievo e congelato a -20° o conservato a 4° C per non più di 3 giorni. Marcatori Tumorali Nella diagnostica oncologica i marcatori tumorali rappresentano un supporto valido per la valutazione della presenza di una neoplasia, ed ancor più per il monitoraggio del suo decorso. In senso lato per marcatore biologico di neoplasia s’intende ogni indicatore biochimico correlato alla presenza di un tumore: in quest’ambito rientrano alcuni parametri ematochimici classici come la VES, le proteine della fase acuta, gli enzimi epatici, espressioni dell’interazione tumore ospite e come tali alterati generalmente in uno stadio avanzato di malattia. Per marcatore in senso stretto intendiamo sostanze prodotte prevalentemente dalla neoplasia, legate al fenotipo trasformato in senso maligno. Tali sostanze sono indicatori più precoci di malattia; inoltre, la loro concentrazione nel sangue è correlata con l’entità della massa tumorale. In quest’ambito sono compresi marcatori a struttura biochimica nota, come diversi enzimi ed ormoni, e marcatori identificati da anticorpi monoclonali, ad esempio le diverse mucine o gli antigeni associati al tumore. Per la maggior parte dei marcatori, la sensibilità, intesa come capacità della sostanza di individuare i soggetti affetti da tumore è piuttosto bassa; questo li rende inadatti ad essere utilizzati in procedure di screening o nella diagnosi differenziale con la malattia benigna. I settori di applicazione clinica dei marcatori sono quindi, in ordine di importanza: 1) Il monitoraggio del paziente neoplastico (che comprende sia la valutazione della risposta della malattia al trattamento, sia la diagnosi di ripresa di malattia nel paziente trattato); 2) La valutazione iniziale della neoplasia (che comprende la determinazione del marcatore nel paziente sintomatico sia come parametro di presenza, sia come parametro di estensione della malattia). 3) Un aiuto diagnostico in casi particolari 4) Informazioni prognostiche. I marcatori migliori sono quelli organo e tessuto specifici, che costituiscono per definizione un prodotto del metabolismo del tessuto da cui deriva il tumore. Tale orientamento è giustificato dalla maggiore probabilità di riscontrare livelli significativi di positività nei pazienti studiati, nonché di ottenere una più elevata selettività di informazioni dall’esame. 85 Nel paziente sintomatico il problema diagnostico è quello di differenziare il tumore dalla patologia non neoplastica. Le limitate caratteristiche di sensibilità e specificità sconsigliano l’uso dei marcatori tumorali e scopo diagnostico, tranne che in poche patologie (aumento di AFT e HCG in pazienti con tumefazioni testicolari, di AFP in portatori di masse epatiche, di calcitonina in soggetti con noduli tiroidei, di PSA in pazienti con nodulo prostatico). Va comunque ribadito che i marcatori tumorali non possono costituire il solo parametro diagnostico differenziale e sono pertanto da considerare in questa fase come indagine di supporto. E’ importante ricordare inoltre che si possono avere livelli ematici aumentati di vari marcatori tumorali in diverse condizioni non neoplastiche, patologiche e non. Riportiamo le più significative: Gravidanza (AFP, HCG, CA 125, TPS, TG); Ciclo mestruale (CA 125); Fumo (CEA, TPS, TG), Abuso di alcool (CEA, TPS) Epatopatia cronica (CEA, TPS, Ferritina, CA19.9, CA 125, Ca15.3, CA50); Peritonite, Pleurite, endometriosi (CA125); Ipertrofia prostatica benigna, ritenzione urinaria (PAP, PSA); Tireopatie (TG); Insufficienza renale cronica (CEA, CA50, CA 125, NSE, TPS); Malattie reumatiche, diabete (CA19.9); Psoriasi (SCC). Infine i marcatori possono subire un incremento in seguito di manovre diagnostiche, come il PAP e il PSA dopo esplorazione rettale, cateterismo vescicole o agobiopsia prostatica, la TG dopo agobiopsia tiroidea, il TPS dopo broncoscopia o dopo un qualunque traumatismo chirurgico, il CA 125 dopo un traumatismo chirurgico sul peritoneo. Per essere clinicamente rilevanti (diagnosticamente accessibili) i marcatori tumorali devono avere elevata sensibilità e specificità per la malattia, e il loro livello deve essere espressione dello stato del processo morboso. Questi analiti vengono tipicamente esaminati con qualche forma di immunoassay (test immunochimico). Gli antigeni oncofetali esistono come proteine normali nell’embrione e nel feto e si trovano anche in taluni tumori. Antigene carcinoembrionario (CEA = carcinoembryogenic antigen) è un antigene oncofetale usato per lo studio dei tumori del colon. Non è così specifico come un tempo si riteneva, e non tutti i carcinomi del colon hanno elevati livelli di CEA. Alfa – fetoproteina (AFT) è un antigene oncofetale usato per determinare la presenza di tumori epatici (epatomi) e testicolari. Antigene CA 125 è un antigene oncofetale glicoproteico che compare nel siero di pazienti con carcinoma ovario. Ca 19.9 è un altro antigene oncofetale glicoproteico associato con tumori gastrointestinali. L’antigene prostato specifico (PSA = prostate specific antigen) è un antigene oncofetale importante nello screening e nel monitoraggio di pazienti con carcinoma prostatico. Le proteine placentari sono sintetizzate dai trofoblasti placentari e da taluni tumori. Beta gonadotropina corionica umana si usa tipicamente per la diagnosi di gravidanza. Tuttavia un suo elevato livello può essere indicativo di tumori testicolari o ovarici, come pure di una neoplasia trofoblastica. L’ormone lattogeno placentare hPL è impiegato per il monitoraggio del benessere fetale, ma il suo livello può elevarsi in pazienti con neoplasie trofoblastiche. 86 Velocità di eritrosedimentazione Se il sangue periferico prelevato è reso incoagulabile e lasciato in una provetta, i suoi globuli rossi tendono a sedimentare spontaneamente. Già gli antichi greci osservarono che gli eritrociti del sangue periferico di persone gravemente ammalate sedimentavano al fondo del contenitore più rapidamente degli eritrociti del sangue di persone normali con formazione di un deposito scuro chiamato “bile nera” L’influenza del campo gravitazionale terrestre è osservabile solo con particelle sufficientemente pesanti e se queste sono sospese in un mezzo fluido, la velocità finale di caduta è determinata da bilancio tra la forza gravitazionale e la resistenza di attrito del mezzo fluido al movimento della particella. La velocità gravitazionale delle emazie nel campo gravitazionale terrestre dipende dal peso specifico delle emazie che è superiore di poco a quello del mezzo in cui sono sospese, il plasma. La velocità di sedimentazione secondo la legge di Stokes per particelle ideali sferiche è il doppio del quadrato del raggio, questa legge può essere ritenuta valida anche nel caso di particelle non sferiche e molto concentrate come i globuli rossi e che tendono ad aggregarsi o come si dice ad “impilarsi”, cioè a formare degli ammassi simili a pile di monete ( detti in francese rouleaux) allineati lungo un singolo asse perpendicolare al piano della cellula. Legge di Stokes: 2 V = 2 r (d1 - d2) g 9η • V = velocità di sedimentazione • r= raggio delle particelle sferiche • d1 = densità delle particelle sferiche • d2 = densità del fluido di sospensione • g= accelerazione di gravità • η= viscosità del liquido Densità delle emazie 1,10 Densità del plasma 1,02 Tanto più le emazie si organizzano in questo modo, tanto più aumenta la loro velocità di sedimentazione. Pertanto la VES non indica soltanto una variazione delle proteine del plasma, ma riflette anche le variazioni dell’ematocrito e dipende dalla deformità ed aggregabilità delle emazie. Infatti la sedimentazione dipende anche da: 1) Concentrazione delle particelle 2) Dalla temperatura (in genere sopra 20°C la legge di Stokes non funziona) 3) Dalle variazioni di densità delle particelle. La tendenza delle emazie ad aggregarsi dipende in parte dalla loro forma e dimensione: le normali emazie biconcave tendono ad aggregarsi più facilmente delle emazie caratteristiche di alcune anemie, (con sferocitosi, acantocitosi, falcemia) in cui si dovrebbe avere un ritardo di VES. Anche la concentrazione delle emazie, che condiziona la viscosità del sangue, tende ad influenzare la VES: la policitemia fa aumentare la viscosità e quindi la tendenza delle emazie a rimanere in sospensione ritardando la VES, al contrario le anemie gravi accelerano la VES ( in assenza di altri fattori se l’ematocrito è inferiore al 20%). 87 La poca predisposizione delle emazie normali ad aggregarsi dipende principalmente dal fatto che : la forza di Van der Waals che favorisce la coesione tra le emazie, è bilanciata o in parte superata dalle cariche negative della membrana cellulare (potenziale zeta) che tendono a respingere le emazie. Nei g.r. il potenziale zeta (strato di cariche che possono essere dello stesso segno o di segno opposto) va da 20 a 25 MV, le proteine dissolte o adsorbite sulla superficie del g.r. abbassano il potenziale zeta; ad un potenziale di 15 MV si ha aggregazione eritrocitaria Le proteine fibrose asimmetriche (fibrinogeno α e γ-globuline) determinando una ragnatela tra le particelle, fanno aumentare la viscosità e quindi si dovrebbero opporre alla sedimentazione, ma poiché formano grossi aggregati (con le loro cariche positive diminuiscono il potenziale zeta), esse favoriscono la sedimentazione. La determinazione della VES , è stata introdotta come test clinico negli anni ’20 ed è da considerare un test diagnostico aspecifico ed indiretto di presenza di risposta della fase acuta. Durante la fase acuta aumenta nel plasma la quantità di proteine ad alto peso molecolare, soprattutto fibrinogeno, molecola lunga ed asimmetrica ed in parte anche molecole poco simmetriche come le globine, che fanno aumentare la velocità di sedimentazione delle emazie. Poiché il tempo di risposta del fibrinogeno è di 24-48 ore dall’inizio dell’infiammazione, l’aumento della VES non coincide con l’insorgenza del processo patologico ma solo dopo questo tempo di latenza e tenderà a normalizzarsi alcuni giorni dopo l’effettiva regressione della fase acuta. I valori normali della VES variano in rapporto all’età ed al sesso 1) 1-3 mm in 1 ora per l’uomo 2) 4-7 mm in 1 ora per la donna con un incremento durante le mestruazioni. I bambini tendono ad avere valori più alti del normale, anche superiori a 20. I fattori analitici che possono far variare o falsare la VES. L’eccessiva quantità d’anticoagulante (citrato di sodio) rallenta la sedimentazione. Come già accennato (Legge di Stokes), la temperatura ambiente deve essere di 18-20°C: temperature superiori aumentano, le inferiori rallentano e quindi se il sangue è stato conservato in frigorifero deve essere riportato a temperatura ambiente prima di eseguire la prova. Comunque il sangue deve essere utilizzato entro le due ore dal prelievo e non deve essere emolizzato e deve essere accuratamente risospeso prima di montarlo in provette per evitare fenomeni di aggregazione. La pipetta deve essere asciutta e messa in posizione perfettamente verticale perché l’umidità e l’inclinazione fanno aumentare la VES. Attualmente la misurazione avviene dopo un ora di sedimentazione ed è stata abbandonata la lettura alla 2a ora e l’espressione dei risultati secondo l’indice di Katz; poiché non fornisce migliori indicazioni rispetto alla sola lettura alla prima ora, anzi nei casi di aumento della VES si osserva un valore erroneamente basso alla 2a ora. Infatti l’’aggregazione eritrocitaria si svolge in tre fasi: • Iniziale formazione di piccoli aggregati • Sedimentazione degli aggregati a velocità costate • Impaccamento degli aggregati al fondo della pipetta, Nei forti aumenti della VES l’impaccamento avviene molto più velocemente e si sa che l’impaccamento, e il conseguente aumento della viscosità, riduce la sedimentazione. 88 Quindi la determinazione della VES è una prova di valutazione delle proteine della fase acuta poco costosa e semplice da eseguire. E’ però difficile la sua standardizzazione in quanto: I campioni non sono stabili I risultati non sono disponibili prima di un ora Espone gli operatori ad un possibile rischio biologico Inoltre la VES non riflette solo la variazione delle proteine plasmatiche giacché dipende in parte anche dalla componente eritrocitaria. Per questi motivi si pensa di sostituire la VES con la determinazione della viscosità plasmatica che mostra gli stessi effetti della VES dopo 24 ore dall’inizio della risposta di fase acuta. A differenza della VES la viscosità plasmatica non risente della concentrazione, della deformità e dell’aggregazione eritrocitaria Inoltre i campioni sono stabili a temperatura ambiente per 4 giorni e la risposta del laboratorio può essere fornita nel giro di pochi minuti. La VES e’ un indice aspecifico di malattia e non costituisce nemmeno un indice specifico di fase acuta. INFATTI L’AUMENTO DELLA VES SI HA PER: Patologie infettive Processi infiammatori non infettivi Processi necrotici Neoplasie Altri processi patologici NORMALE O LIEVE AUMENTO TUBERCOLOSI POLMONARE ATTIVA TIFO BRUCELLOSI EPATITE VIRALE ALTRE MALATTIE VIRALI NON COMPLICATE ALLERGIE APPENDICE ACUTA TOXOPLASMOSI ACQUISITA DIMINUZIONE ANEMIE IPERCROMICHE TALASSEMIA MINOR POLICITEMIA IPOFIBRINOGENEMIA AFIBRINOGENEMIA LINFOGRANULOMA BENIGNO 89 INDICAZIONI DIAGNOSTICHE La VES va richiesta se si sospetta una malattia proliferativa, necrotizzante o infettiva; in tutti questi casi è buona norma associare anche l'analisi della Proteina C Reattiva MONITORAGGIO DELLA GRAVIDANZA Prevenzione del danno da agenti infettivi. Le malattie possono danneggiare il feto sia indirettamente per gli effetti sfavorevoli sull’organismo materno, sia direttamente per via ematogena o per contiguità. La gravità delle lesioni causate da un’infezione in utero è in relazione con l’antigene infettivo e con l’epoca gestazionale di contagio. I principali agenti infettivi responsabili di infezioni prenatali ematogene transplacentari sono convenzionalmente indicati sotto l’acronimo TORCH (Toxoplasmosi, Rosolia, Citomegalovirus, Herpes virus). Le infezioni da toxoplasma, citomegalovirus e rosolia contratte in gravidanza debbono, ai fini di un’efficace prevenzione, essere diagnosticate tempestivamente poiché, le conseguenti misure terapeutiche possano essere attuate in tempo utile. La diagnostica sierologia mediante ricerca di anticorpi specifici è la sola che possa essere applicata a bassi costi e su larga scala. Di seguito sono esaminati i profili sierologici maggiormente significativi per le tre patologie infettive di più frequente riscontro e di maggior rischio teratogeno. TOXOPLASMOSI: L’infezione da toxoplasma contratta prima del concepimento conferisce alla donna un’immunità permanente nei confronti dell’infezione fetale. L’infezione contratta durante la gravidanza può essere trasmessa al feto con effetti variabili in relazione all’età gestazionale. Diagnosi di laboratorio: il problema principale è rappresentato dalla datazione di una possibile infezione, nel caso in cui la donna non abbia documentato il proprio stato sierologico preconcezionale. Di seguito sono fornite le interpretazioni di alcuni profili sierologici, con la precisazione che si tratta solo di aspetti orientativi poiché, ogni caso, deve essere valutato anche sulla base dei criteri clinico anamnestici. La sierologia attuale prevede la ricerca e la quantificazione delle IgG e la ricerca delle IgM antitoxoplasma. Criteri interpretativi : • IgM ed IgG negative: soggetto non immunizzato, recettivo nei confronti dell’infezione toxoplasmica; • IgM ed IgG presenti: tale profilo sierologico è in genere caratteristico dell’esordio dell’infezione; tuttavia non è raro il caso di persistenza delle IgM anche per oltre 18 mesi dall’inizio dell’infezione (IgM residue). I questi casi è indispensabile ripetere le determinazioni a distanza di 14-21 giorni allo scopo di valutare la cinetica anticorpale( nessuna variazione =infezione pregressa con persistenza residua di IgM; incremento o riduzione = infezione recente).Maggiori informazioni sono fornite dal dosaggio delle IgA specifiche antitoxoplasma che sono prodotte dal sistema immunitario leggermente più tardi delle IgM, prima delle IgG e permangono in circolo per non più di tre mesi: la loro positività è indicativa d’infezione recente. 90 • IgG presenti ed IgM assenti: la presenza di IgG antitoxoplasma a basso titolo depone per infezione pregressa . Se le IgG sono ad alto titolo ed il dosaggio è stato effettuato per la prima volta dopo il quarto mese di gravidanza, non può essere esclusa un’infezione primaria postconcezionale. • IgM presenti IgG assenti: Le IgM antitoxoplasma sono presenti, prima della positivizzazione delle IgG, nelle fasi iniziali dell’infezione; in questo caso un successivo prelievo a distanza di due settimane evidenzierà una variazione del titolo IgM e la positivizzazione delle IgG. Nel caso in cui le IgM persistono in assenza dell’ IgG si può escludere l’infezione ed attribuire la reattività IgM alla presenza di IgM naturali, formatesi, vale a dire, in assenza di contatto con il toxoplasma. ROSOLIA: la maggior parte delle gestanti presenta anticorpi antivirus della rosolia di classe IgG, acquisiti a seguito di malattia o di vaccinazione. Questi soggetti non necessitano, in gravidanza, di ulteriori controlli. La diagnosi sierologia di rosolia acuta richiede la documentazione della sieroconversione, vale a dire la comparsa ex-novo di anticorpi anti virus della rosolia. Più frequentemente lo stato immunitario preconfezionale non è conosciuto e i dati anamnestici non sono conclusivi per precedente infezione o per vaccinazione; in questi casi occorre determinare il movimento anticorpale specifico su due prelievi eseguiti a distanza di alcuni giorni l’uno all’altro, valutando l’aumento di titolo IgG ed IgM. Le IgM antirosolia compaiono generalmente 1-3 giorni dopo l’esantema, raggiungono il picco dopo circa sette giorni e scompaiono dal circolo entro 8-12 settimane; in alcuni soggetti, tuttavia, le IgG permangono per mesi o anni. Appare opportuno ribadire, pertanto, che l’unico modo per distinguere un’infezione recente (potenzialmente pericolosa per la gravidanza) da un’anomala persistenza delle IgM ( di nessun effetto sulla gravidanza ) è rappresentato dalla variazione del titolo anticorpale valutata a distanza di 2-4 settimane. INFEZIONE DA CITOMEGALOVIRUS (CMV): I problemi diagnostici relativi all’infezione da virus citomegalico possono essere così schematizzati: • accertamento di infezione pregressa : a tale scopo è sufficiente la rilevazione di IgG anti CMV che documentano l’avvenuto contatto del virus con il sistema immunitario dell’ospite; - identificazione di infezione attiva: la documentazione di IgM anti CMV non sempre è sufficiente a questo scopo poiché le IgM possono permanere in circolo per molti mesi dopo la fase acuta; il criterio della variazione di titolo non è affidabile sia per motivi metodologici sia per una cinetica particolarmente lenta. Tale diagnosi poggia sulla ricerca diretta delle urine del virus infettante con l’uso di metodiche di amplificazione del materiale nucleico , tra queste la più affidabile è rappresentata dalla reazione di polimerizzazione a catena (PCR); oltre che nelle urine il virus può essere ricercato nel sangue e in particolare nei neutrofili periferici. I test di avidità delle IgG In tempi recenti è stata messa a punto una metodica IgG Avidity che affiancata alla sierologia “classica” permette una migliore datazione dell’esordio infettivo. 91 Tale metodica si avvale dell’evidenza che le immunoglobuline di classe IgG anti toxoplasma, anti rosolia e anti CMV posseggono una più bassa capacità di legame per l’antigene (avidity) nelle prime fasi di infezione; pertanto le IgG precoci, a bassa capacità di legame possono essere più facilmente distaccate dall’antigene rispetto alle IgG che si formano più tardivamente. Utilizzando tale principio sono stati messi a punto test IgG avidity anti Toxo, anti CMV ed anti rosolia che permettono una migliore interpretazione dei profili sierologici e quindi una maggiore affidabilità diagnostica della fase precoce d’infezione. Monitoraggio biochimico della gestante Nel corso della gravidanza (primo trimestre) si rende necessaria una valutazione della situazione immunologica e dei principali parametri di laboratorio con lo scopo di accertare: • Se eventuali modificazioni sono già presenti nelle fasi iniziali della • Se i fenomeni di adattamento dell’organismo femminile presenteranno un andamento regolare. Tale gravidanza, adattamento coinvolge il sistema ematologico ed immunologico, i metabolismi lipidico, glucidico, protidico ed idrominerale e le funzioni renali ed epatiche. Il Diabete gestazionale Lo screening va condotto su tutte le donne tra la 24 e la 28 a settimana di gravidanza e consiste in una glicemia a 60’ dalla assunzione di 50g di glucosio per es.: valori a 60’ a 140 mg/dL sono indicazione per la esecuzione di una curva da carico con 100g di glucosio. La curva completa va eseguita anche nei seguenti casi: • Glicemia a digiuno uguale o superore a 105 mg/dL, • Presenza di glicosuria normoglicemica, • Familiarità di 1° grado per diabete, • Precedenti aborti • Precedente microsomie fetali • Obesità. Durante la gravidanza compaiono nel sangue nuove proteine prodotte dalla placenta e dal feto. Di queste, alcune sono dosate per valutare la funzionalità e l’evolutività feto placentare. Gonadotropina corionica o hCG: viene prodotta dal trofoblasto ed ha azione luteotropa. I valori di hCG crescono esponenzialmente fino alla 12a settimana e quindi decrescono rapidamente,restando per successive settimane a valori pari a 1/5 – 1/10 di quelli iniziali. Alfa – fetoproteina: glicoproteina prodotta dal fegato fetale, con funzioni analoghe a quelle dell’albumina dell’adulto. Il suo livello aumenta fino alla 32a settimana per poi diminuire gradatamente. Nei casi di minaccia di aborto nel secondo trimestre la sua progressiva riduzione è un indice sfavorevole, mentre valori elevati sono in relazione con anomale del tubo neurale. 92 Profilo urinario Con la diagnostica urinaria è possibile rilevare lo stato di salute dei reni e delle basse vie urinarie. Il controllo di questo apparato è particolarmente importante in quanto numerose patologie, specie renali, solo tardivamente presentano una evidente sintomatologia ed il conseguente ritardo diagnostico è spesso causa di esiti invalidanti. Tra le diverse determinazioni richieste al laboratorio, il cosiddetto esame delle urine riveste un ruolo rilevante in quanto i numerosi parametri indagati da tale metodologia sono in grado, generalmente, di offrire una valutazione sintetica dello stato di funzionalità ed integrità dell’apparato urinario. Per studiare lo stato metabolico di un paziente è spesso necessario fissare alcune regole su taluni aspetti della raccolta del campione di urine, come l’ora, la durata, e il metodo di raccolta, così come sulla dieta del paziente e sui medicamenti da lui assunti. I tipi di campioni di urina possono essere: Random , è quello più frequentemente usato. Può essere raccolto in qualsiasi ora del giorno ed è ideale per lo screening di molte anomalie. Se si deve eseguire una coltura per batteri è opportuno raccogliere un campione “da mitto intermedio” in cui è ridotta al minimo la contaminazione dei genitali esterni e dalla vagina. Di prima mattina, va raccolto appena alzati e consegnato in laboratorio quanto prima. Si usa per lo studio della proteinuria ortostatica e per individuare la presenza di gonadotropina corionica umana (hCG) in bassa concentrazione. Nelle urine di prima mattine le sostanze sono più concentrate che non nella maggior parte degli altri campioni random, perché l’urina è stata trattenuta in vescica tutta la notte. Frazionati, consistono in due raccolte di urine emesse spontaneamente. Per lo più si tratta della raccolta di una serie di campioni di sangue e di urine a intervalli di tempo specifici per confrontare la concentrazione di una sostanza nell’urina con quella del sangue. In questo modo si giudicano i valori soglia renale nella diagnosi di malattie come il diabete. Ad ore determinate, consente la determinazione quantitativa di vari analiti urinari. Le variazioni circadiane o diurne dell’escrezione di varie sostanze, e anche gli effetti dell’esercizio fisico, del metabolismo e dell’idratazione, possono rendere necessaria la raccolta di campioni urinari ad ore predeterminate o per un intervallo di tempo predeterminato ( in genere 2, 12 o 24 ore). L’accuratezza dell’intervallo di tempo è essenziale per assicurare la validità dei risultati. I campioni di urina vanno analizzati entro un’ora dalla raccolta oppure conservati in frigorifero al buio fra 4° C e 7°C per preservare i componenti chimici e cellulari. Costituenti normali dell’urina L’urina è formata continuamente dal rene. A seconda dell’apporto dietetico, dell’attività fisica, del metabolismo corporeo e della funzione endocrina, la concentrazione dei suoi costituenti normali varia. L’urea rappresenta normalmente la metà dei soluti sciolti nell’urina. E’ un prodotto di rifiuto del metabolismo, derivante dalla degradazione delle proteine e degli aminoacidi da parte del fegato. Altri composti organici dell’urina sono la creatinina e l’acido urico. I cloruri sono il principale solido inorganico sciolto nell’urina, seguiti dal sodio e dal potassio. Viene normalmente escreta una piccolissima quantità di proteine, soprattutto l’albumina. L’urobilinogeno è normalmente presente alla concentrazione di 1 mg/dl. Nel sedimento urinario è normale reperire poche cellule epiteliali squamose, transizionali e renali per campo microscopico a forte ingrandimento (40x), ed anche una o due emazie e 1-5 leucociti. E’ comune il reperto di muco e di 1-2 cilindri ialini per campo microscopico a piccolo ingrandimento. Cellule spermatiche possono reperirsi normalmente in un campione urinario di donna ma non di uomo. Sono comuni cristalli amorfi di urato e di fosfato, specie in campioni refrigerati. ESAME FISICO DELLE URINE Volume urinario Il volume urinario oscilla in genere da 400 a 2000 ml al giorno nell’adulto normale. Si parla di oliguria quando si evidenzia una riduzione della produzione giornaliera normale di urina ed accompagnata solitamente da stati di disidratazione L’anuria è una condizione di assenza di urina e può derivare da grave danno renale o da riduzione del flusso ematico renale. La Poliuria è un aumento della normale emissione giornaliera di urina e si osserva in individui con diabete mellito e diabete insipido, oppure può trattarsi di una situazione indotta da diuretici, caffeina o consumo di alcool. La Nicturia è un aumento dell’escrezione notturna di urina. 93 Aspetto L’urina normale è fondamentalmente limpida, anche se una torbidità non indica necessariamente una condizione patologica. La torbidità è spesso causata da precipitazioni di cristalli, detti materiale amorfo. Altre cause di torbidità dell’urina sono la presenza do batteri, di lieviti, di leucociti, di emazie, di muco, di cellule epiteliali squamose, di spermatozoi e liquido prostatico, o di lipidi. Colore L’osservazione del colore e della trasparenza delle urine va sempre eseguita su un campione ben mescolato e non centrifugato. Il colore delle urine può variare da incolore a marrone scuro. Colore normale può variare durante la giornata da giallo paglierino a giallo ambra , chiaro o scuro, a seconda della concentrazione delle urine. Il colore normale delle urine è prodotto dalla presenza di tre pigmenti : urocromo, pigmento giallo uroeritrina, pigmento rosso urobilina, pigmento rosso-arancio. Colore abnorme può derivare da condizioni patologiche , o da circostanze normali come l’assunzione di medicamenti e alimentazione (l’ingestione di rabarbaro e di barbabietole in soggetti geneticamente suscettibili). L’anomalia più frequentemente osservata è un colore rosso o rosso bruno, che in genere indica la presenza di sangue (ematuria) o di emoglobina (Emoglobinuria) Un colore marrone scuro tendente al nero può essere causato da alcaptonuria o da un melanoma maligno (i pazienti affetti da questa patologia emettono melanogeno nelle urine, questo cromogeno, se esposto alla luce si trasforma in melanina che è di colore nero). Un colore giallo bruno e giallo verdastro deriva dalla escrezione di bilirubina o pigmenti biliari nell’urina di pazienti con ittero ostruttivo. Tale colorazione può anche derivare dalla assunzione di particolari farmaci. Odore L’urina normalmente ha un lieve odore aromatico causato dalla presenza di acidi volatili prodotti dalla ingestione di vari alimenti. Gli odori anormali possono indicare condizioni patologiche, trattamento inadatto o conservazione non corretta del campione. Se il campione non viene conservato cioè non refrigerato, i batteri presenti degradano l’urea con formazione di ammoniaca. Infezioni urinarie = fetido (putrefazione o necrosi) Corpi chetonici = odore di fruttato (diabetici o diete restrittive) Necrosi tubulare = assenza di odore Disordini del metabolismo = odore di topo (fenilchetonuria) odore di rancido (tirosinuria) odore di cavolo (malassorbimento metionina ) odore di pesce putrefatto (presenza di trimetilamilanuria) Peso Specifico, indice di rifrazione e l’osmolarità Sono misure che indicano la quantità di soluti disciolti nell’urina ossia la loro concentrazione. Il peso specifico dell’urina è una misura della sua densità, ed è influenzato dal numero e dalle dimensioni delle particelle presenti. Il P.S. dell’urina oscilla intorno da 1.003 a 1.035. Il peso specifico è dunque espressione della capacità di concentrazione e di diluizione del rene. In genere è inversamente proporzionale al suo volume, ma se il rene è sofferente questa capacità va perduta e il PS resta fisso a 1.010 si parla si isostenuria. Esistono strisce reattive (sticks) che possono essere immerse nelle urine per misurare la concentrazione degli ioni. I risultati sono identici a quelli del peso specifico, perché non tutte le sostanze urinarie ionizzano. Il peso specifico si misura anche con l’urodensitometro (densità riferita a H2Od a 15°C), oppure il reflattometro che misura l’indice di una soluzione, che è il rapporto fra la velocità della luce nell’aria e la stessa velocità in una soluzione. La velocità dipende dal numero di particelle sciolte nella soluzione e determina l’angolo al quale la luce passa attraverso la soluzione . Il metodo della goccia cadente è impiegato nella maggior parte degli strumenti automatizzati di analisi delle urine . Lo strumento misura la quantità di tempo necessaria perché una goccia di urina cada ad una distanza prefissata in un liquido in cui non si scioglie; lo strumento converte questo tempo in peso specifico. L’osmolarità è una misura del numero di particelle di soluto per unità di solvente. E’ influenzata soltanto dal numero di particelle presenti e non dalla loro densità. Si usa per valutare il potere di concentrazione del rene. 94 ESAME CHIMICO DELL’URINA Nell’analisi delle urine si usano in genere le strisce reattive multitest dette dipstick, che sono strisce di plastica impregnate di sostanze chimiche. Le prove che si eseguono con tali stick comprendono in genere il pH, il peso specifico, la ricerca di sangue, proteine, glucosio, corpi chetonici, bilirubina, urobilinogeno, leucociti e nitrati. La striscia reattiva viene immersa per 2 minuti nel campione di urina. Dopo la rimozione dell’eccesso di urine, la striscia è posizionata nell’area di reazione dove in 60 sec. I reagenti contenuti nei diversi settori della striscia, reagiscono con le urine determinando un viraggio del colore che viene rilevato dal sistema ottico. Due radiazioni di lunghezza d’onda (una di riferimento a 760nm e l’altra di misura a 635nm o a 565nm a seconda dell’analita da determinare) vengono emesse dal sistema ottico e raggiungono sia settori di reazione della striscia che il settore dove viene rilevata la tonalità dei colori. Le radiazioni riflesse dai vari settori vengono raccolte da un sistema di rilevamento Se le urine sono fortemente pigmentate possono aversi difficoltà nella lettura delle reazioni colorate. Il pH è la misura della capacità del rene di mantenere normale la concentrazione idrogenionica del plasma e dei liquidi extracellulari. Le cellule tubulari scambiano idrogeno con sodio e l’urina diventa acidica. Nell’adulto sano normale il pH delle urine oscilla da 4.8 a 8 a seconda dell’alimentazione. Il sangue nelle urine può essere sotto forma di emazia integre o di emoglobina proveniente da emazia lisate. Anche la mioglobina reagisce nella zona testo del sangue. Il metodo di rilevamento del sangue si basa sull’attività della catalasi e della per ossidasi dell’eme, della mioglobina e dei globuli rossi, che provocano ossidazione dell’ortotoluidina producendo un colore da verde a blu scuro. Le proteine sono normalmente escrete nelle urine in ragione di 150 mg/ 24h Il test si basa sull’errore proteico degli indicatori. La striscia contiene un tampone citrato a pH 3 e un indicatore, il blu di tetrabromofenolo. A questo pH l’indicatore è giallo. Il test è capace di evidenziare l’albumina ma non le proteine più grandi. Con questo metodo, campioni di urine alcaline fortemente tamponate possono dare risultati di falsa positività. Il glucosio non è normalmente reperibile nell’urina; esso viene escreto nelle urine quando il suo livello plasmatico supera la soglia renale di 150-180 mg/dl o quando vi è un difetto nel suo meccanismo di riassorbimento. I corpi chetonici sono prodotti dal metabolismo incompleto dei grassi e la loro presenza nelle urine indica acidosi. I tre corpi chetonici presenti nelle urine sono acido acetacetico, acetone e3-idrossibutirrato. La bilirubina non è normalmente evidenziabile nell’urina . Il metodo dello stick è in grado di evidenziare 0.4-0.8 mg/dl di bilirubina con la diazoreazione. L’urobilinogeno è normalmente presente nelle urine in piccole quantità, fino a 4 mg/24h. Il test dei nitriti fornisce un rapido screening per l’individuazione di batteri capaci di ridurre i nitrati a nitriti. Il risultato deve essere normalmente negativo. ESAME MICROSCOPICO DELLE URINE: Per garantire l’accuratezza e la riproducibilità dell’esame microscopico dell’urina ciascun laboratorio deve stabilire un protocollo per la preparazione del sedimento. I fattori che vanno tenuti presenti per meglio standardizzare l’esame microscopico sono: la corretta raccolta, conservazione e il corretto trattamento del campione. Una quantità standard di urina ( 12 ml, viene posta in una provetta conica e centrifugata per un tempo uniforme a velocità uniforme: 5 minuti alla forza centrifuga di 400 . Si decanta la provetta lasciando circa 1 ml di liquido in cui risospendere il sedimento urinario. Se si usa un colorante questo va aggiunto in questo momento. Il sedimento risospeso va posto su un vetrino porta oggetto in quantità opportuna, tale da ridurre al minimo le variazione di profondità del campo microscopico. Si copre poi con un vetrino copri oggetto, evitando comunque che questi galleggi sul sedimento. Per aiutare nell’identificazione degli elementi corpuscolari si possono usare coloranti, che in genere colorazioni sopravitali (sternheimer – Malbin, blu di toluidina allo 0.5%, blu di prussia per confermare la presenza di emosiderina in cellule epiteliali e cilindri, colorante di Hansel, 1-2 gocce di acido acetico al 2% aggiunte a poche gocce si sedimento urinario possono essere usate per differenziare le emazia da lieviti, piccoli leucociti e cellule epiteliali, infatti le emazia sono lisate mentre le cellule di lieviti vengono accentuate). 95 Globuli rossi (GR): possono originare da ogni parte del rene e delle vie urinarie Globuli bianchi (WBC): Possono entrare nelle urine in ogni punto, dal glomerulo all’uretra Cellule epiteliali: possono originare da ogni parte del tratto genito-urinario Cellule epiteliali squamose Cellule dell’epitelio di transizione Cellule dell’epitelio tubulare renale Globuli rossi (GR): possono originare da ogni parte del rene e delle vie urinarie Globuli bianchi (WBC): Possono entrare nelle urine in ogni punto, dal glomerulo all’uretra Cellule epiteliali: possono originare da ogni parte del tratto genito-urinario Cellule epiteliali squamose Cellule dell’epitelio di transizione Globuli rossi (ematuria) Se presenti in grossa quantità: infezioni / infiammazioni Traumi Tumori Calcoli renali Danno glomerulare Contaminazione di origine mestruale Globuli bianchi (leucocituria, piuria) La loro presenza suggerisce: Processi infiammatori del tratto urinario Cistiti Pielonefriti Infezioni genitali Prostatiti Cerviciti Vaginiti Possono anche trovarsi in condizioni non infettive Glomerulonefriti Disidratazione Stress Febbre Cellule epiteliali Cellule epiteliali squamose Origine uretrale o vaginale scarso significato Cellule dell’epitelio di transizione 2-4 volte più grandi dei leucociti Tonde o a forma di pera Originano da: Pelvi renale Uretere Vescica Cellule dell’epitelio tubulare renale Poco più grandi dei leucociti Piatte, cuboidali o colonnari La loro presenza suggerisce un danno tubulare Necrosi tubulare Rigetto trapianto Pielonefrite Uretra 96 Globuli rossi Globuli rossi Globuli rossi e bianchi Globuli Bianchi 97 Globuli bianchi Cellule epiteliali squamose Cellule epiteliali di transizioni Cellule epiteliali tubulari Tipi di cilindri Cilindri ialini: I più comuni Rinvenuti spesso dopo esercizio fisico o stress Cilindri eritrocitari: Suggestivi di ematuria renale Sempre indicativi di una patologia Trauma renale Glomerulonefrite Nefrite lupica Cilindri leucocitari Formati da PMN neutrofili Osservati in: Pielonefrite acuta Nefrite interstiziale Nefrite lupica Cilindri granulari: La loro presenza indica normalmente patologie renali significative A volte sono presenti pure dopo esercizio fisico estremo Cilindri di cellule epiteliali Derivano da: Stasi urinaria Degenerazione tubulare Necrosi tubulare Cilindri cerei Derivano dalla degenerazione dei cilindri granulari 98 Osservati in: Insufficienza renale cronica severa Ipertensione maligna Amiloidosi renale Patologie renali acute Infiammazione e degenerazione tubulare Cilindri lipoidei derivano da: Degenerazione lipoidea dell’epitelio tubulare Sindrome nefrosica Reperti vari Batteri Le urine sono normalmente sterili Un grande numero di batteri e WBC è indicativo di infezione urinaria (UTI) La presenza di soli batteri, senza WBC, all’esame diretto può indicare una contaminazione Lieviti Possono riscontrarsi nelle infezioni e nei diabetici Sperma Muco Corpi grassi ovalari Parassiti Trichomonas vaginalis: Il parassita più frequente Schistosoma haematobium: Diffusione ematogena localizzazione nelle vene pelviche deposito uova nella parete muscolare di vescica, ureteri ed uretra Enterobius vermicularis: Contaminante È possibile vedere delle uova nelle femmine adulte Cilindro granulare 99 Cilindro eritrocitario Cilindro eritrocitaria 100 Cilindro ialino Cilindro leucocitario Cilindro cereo Cilindro di cellule epiteliali Lieviti Batteri 101 Lieviti Trichomonas Trichomonas Corpi grassi ovalari Cristalli (urine acide, di norma non patologici) Cristalli di acido urico Anche nelle urine normali 16% dei pz con gotta Cristalli di ossalato di calcio Alte concentrazioni di acido ossalico in: Vegetali a foglia verde Pomodori Bibite gasate The 102 Cioccolato Urati amorfi Cristalli di acido ippurico Assunzione di frutta e verdura che contengano acido benzoico Acido urico Acido urico Ossalato di calcio Ossalato di calcio Ossalato di calcio Urati amorfi 103 Cristalli (urine basiche, di norma non patologici) Triplo fosfato Carbonato di calcio Fosfato di calcio Biurato d’ammonio Fosfati amorfi Triplo fosfato Fosfati amorfi Cristalli (patologici) Cristalli di cistina: Patologie metaboliche congenite Cristalli di tirosina Patologie degenerative tissutali, incluse le epatiti e le leucemie Cristalli di leucina Patologie degenerative tissutali, incluse le epatiti e le leucemia Cristalli di colesterolo Patologie renali Sindrome nefrosica Condizioni che portano alla formazione o deposizione di lipidi nel rene Cristalli di bilirubina Ittero clinico Cristalli di emosiderina Emolisi severa Anemie emolitiche Reazioni trasfusionali Cristalli di cistina Cristalli di tiroxina 104 Cristalli di colesterolo Cristalli di leucina Altri cristalli Sulfonamidi I sulfamidici possono formare calcoli e provocare danni tubulari Mezzo di contrasto Rx In seguito a pielografia endovenosa Sulfonamidi ANALISI DELLE FECI Le anomalie nella formazione delle feci sono spesso secondarie a malattie gastrointestinali. La raccolta del campione segue in genere regole di buon senso. Ai pazienti occorre dare istruzioni su come raccogliere un campione appropriato: il contenitore deve essere pulito, infrangibile e a tenuta, di dimensione sufficiente a contenere il campione. Il tipo e la quantità del campione dipendono dal tipo di esame da eseguire. (per la ricerca del sangue occulto, dei leucociti o per un’analisi qualitativa dei grassi basta un piccolo campione). Nell’esame macroscopico si osserva il colore e la consistenza. Alterazioni del colore del campione di feci possono derivare da irregolarità gastrointestinali. I vari colori (e le indicazioni che essi forniscono) possono essere: - marrone (colore normale) - grigio (ostruzione fecale o bario) - rosso ( sangue o coloranti alimentari) 105 - nero (sangue proveniente dalla parte prossimale del tratto intestinale, terapia con ferro o trattamento con carbone vegetale). - Verde (verdure, biliverdina). Nella consistenza si possono osservare le seguenti variazioni: - formate (cioè normali) - Dure (cioè da stipsi) - Acquose (cioè diarrea o steatorrea) Nell’esame chimico fisico delle feci si ricercano tipicamente il sangue, i grassi o i carboidrati. La ricerca del sangue fecale è importante come indizio precoce di carcinoma colon-rettale. Il medico curante deve rendersi conto che qualsiasi perdita emorragica, dalle gengive all’ano, può dare positività nella ricerca del sangue occulto fecale. Si definisce Melena la presenza nelle feci di grosse quantità di sangue (cioè 50-100 ml/die) che possono far assumere alle feci un colore nero. Si parla di sangue occulto quando le feci contengono piccole quantità di sangue (30-50 ml/die). I principi dell’esame si basano sulla sensibilità e sui tempi. - I metodi di riduzione dell’emoglobina, si basano sulla reazione tra emoglobina (Hb) e acqua ossigenata (H2O2) in presenza di un indicatore. Questi metodi sono popolari e di uso molto comune data la loro facilità e il breve tempo necessario per effettuare l’esame. Vi sono svariati fattori interferenti che possono provocare false positività o false negatività. Si può avere falsa positività se la dieta è ricca di carne poco cotta; o contiene alcune verdure, alcuni frutti e farmaci. Falsa negatività può essere provocata dalla vitamina C Esistono limitazioni alla sensibilità e specificità di questo metodo. Ai fini dell’accuratezza è necessario testare più di una parte del campione fecale. Se l’Hb si è degradata nell’intestino, o perché il campione di feci è stato conservato per qualche tempo, la sua attività pseudoperossidasica va perduta e non reagisce con l’indicatore. Il principio del Heno Quant si basa sulla conversione dell’eme, che non è fluorescente, in porfirine, che sono fluorescenti. I metodi immunenzimatici con anticorpo anti-Hb umana sono i più sensibili. L’esame microscopico è necessario per identificare nelle feci la presenza di leucociti o di un aumento del grasso. La ricerca dei leucociti nelle feci è utile per la diagnosi differenziale di diarrea. La presenza di leucociti fecali è indice di infezione o infiammazione della mucosa intestinale. La presenza di leucociti fecali può essere attribuibile alle seguenti patologie: - colite ulcerosa, - Dissenteria, - Diverticolite ulcerativa. - Tubercolosi intestinale, - Ascessi. 106 Diagnostica dei liquidi da versamento endocavitario In condizioni fisiologiche le grandi cavità sierose pleuriche, pericardica, peritoneale) rivestite da un monostrato di cellule mesoteliali piatte, contengono solo pochi millilitri di liquido con funzione lubrificante. A seconda delle caratteristiche chimico fisiche del liquido e dell’eziopatogenesi, si distinguono trasudati ed essudati. Gli essudati sono di origine flogistica, neoplastica, traumatica. I trasudati sono di origine meccanica o discrasia. Dal punto di vista macroscopico, il liquido trasudato ha un aspetto limpido citrino ed è caratterizzato citologicamente dalla presenza prevalente di cellule mesoteliali con occasionali istiociti, linfociti e granulociti neutrofili. Il liquido essudatizio invece è torbido ed è caratterizzato citologicamente dalle cellule mesoteliali, frammiste a granulociti neutrofili, macrofagi, linfociti e plasmacellule in varia proporzione fra loro, nonché da eventuali altri elementi cellulari non tipici per morfologia e sede. Il liquido biologico deve pervenire al laboratorio preferibilmente subito essere stato prelevato e comunque non oltre le 24 ore, in tal caso conservato nel frattempo in frigorifero a + 4 °C. La quantità suggerita per poter effettuare l’esame è di 1-5 mL. Il liquido deve essere collocato in contenitori eparinati . Il materiale conservato in maniera non corretta darà luogo a preparati insoddisfacenti per poter esprimere un giudizio diagnostico. Il preparato ottimale è rappresentato da un monostrato di cellule prive di artefatti tecnici e separate fra loro. Per l’allestimento dei preparati si procede nel seguente modo: citocentrifugazione a bassi giri fissazione cellulare colorazione di routine o speciale o immunoistochimica. Le analisi delle cavità sierose comprendono: La valutazione dell’aspetto macroscopico. Il normale contenuto delle sierose ed i trasudati sono limpidi. La torbidità indica o un elevato contenuto proteico o un alto numero di cellule. Un liquido ematico indica la presenza di un processo infiammatorio, un danno vascolare o un trauma. La presenza di coaguli o filamenti di fibrina si riscontra negli essudati. Il colore normalmente giallo paglierino (trasudati) o giallo carico (essudati), può variare al giallo verdastro negli essudati purulenti o per presenza di bilirubina fino ad un colorito bluastro per la contaminazione da Pseudomonas. Il peso specifico, correlato al contenuto proteico e maggiore di1.015 negli essudati ed è minore nei trasudati. Il pH, costantemente alcalino nei trasudati e neutro o lievemente alcalino negli essudati. Le cellule, normalmente inferiori a 5 per campo microscopico (x400), se presenti in numero elevato (specialmente neutrofili) sono indice di patologia. L’analisi chimica che in genere comprende misura del glucosio, proteine e LDH, dovrebbe comprendere anche il rapporto proteine del versamento e quelle del siero e LDH versamento , LDH siero. ANALISI DEL LIQUOR CEFALO RACHIDIANO. Il liquor ha la funzione di proteggere il SNC formandogli intorno un cuscinetto ammortizzando gli urti, di fornire sostanze nutritive al tessuto nervoso e allontanare i prodotti di rifiuto. Il liquor circola attraverso un sistema di canali che comprende un sistema Ventricolare interno e un sistema subaracnoideo esterno, che ricopre l’intera superficie del cervello e del midollo spinale. E’ un liquido incolore, limpido e chiaro. Nelle flogosi purulente il liquido cefalorachidiano diventa torbido e di colore bianco-grigiastro. Per la presenza di globuli rossi, esso può assumere un aspetto rosato od emorragico; per la presenza di bilirubina, in caso di ostruzione subaracnoidea protratta con blocco spinale (aumento delle proteine) o in caso di emorragie cerebrali o subaracnoidee pregresse o di ittero grave, può assumere aspetto xantocromico. Ogni campione di liquor deve essere inviato in laboratorio immediatamente (perché le cellule vanno incontro a rapida degenerazione); deve essere corredato da adeguate notizie cliniche, compresi gli esami strumentali ed eventuali terapie. Il liquor in condizione fisiologiche è acellulare o contiene scarsi elementi cellulari, al massimo 5 cellule mm3, in genere linfociti e meno frequentemente monociti; possono anche osservarsi cellule leptomeningee, globuli rossi e cellule squamose. Poiché il materiale da esaminare è quantitativamente scarso ed in genere poco cellulare, requisito fondamentale per una corretta interpretazione morfologica è l’immediato allestimento degli strisci, applicando metodiche adeguate. L’analisi di routine del liquor comprende tipicamente l’esame fisico, chimico e microscopico L’analisi macroscopica comprende l’osservazione del colore e della trasparenza del campione. 107 L’esame chimico può comprendere molti analiti, ma soltanto pochi di essi hanno valore diagnostico in routine: le proteine totali del liquor rappresentano una combinazione di prealbumina, albumina, transferrina e tracce di IgG. Normalmente le proteine liquorali oscillano tra 20 e 50 mg/dl e l’albumina ne rappresenta il 50-70%. Nel liquor il contenuto di proteine è 100-200 volte inferiore a quello del siero ed è perciò necessario ricorrere preliminarmente alla loro concentrazione. Il quadro elettroforetico normale delle proteine liquorali differisce da quello delle proteine sieriche per la presenza di una netta banda prealbuminica che costituisce il 3-5 % delle proteine totali, per la presenza di una elevata quantità di beta globuline e di scarsa quantità di gamma globulina. La concentrazione delle proteine nel liquor fornisce informazioni sull’integrità della barriera emato-encefalica. Un aumento delle proteine può derivare da: contaminazione con sangue periferico nel corso del prelievo. ostacolo alla circolazione del liquor. Degenerazione tissutale. Aumentata permeabilità della barriera emato-encefalica causata da fattori tossici o infezione. Emorragia cronica ed emolisi. Il glucosio è in equilibrio con il glucosio plasmatico i valori normali nel liquor oscillano da 50 a 80 mg/dl; il livello si riduce nella meningite batterica e nelle infezioni micotiche. il livello aumenta nell’iperglicemia e in casi di puntura traumatica. E’ possibile determinare il livello degli enzimi liquorali, che aumentano in determinate patologie. La concentrazione di LDH può elevarsi in caso di meningite batterica, linfomi, leucemie, neoplasie metastatiche Il CK ( Creatinchinasi) può aumentare in casi di ictus, sclerosi multipla,convulsioni epilettiche..) Le AST (Aspartato aminotransferasi)può essere elevata nelle condizioni di emorragia intracerebrale meningite batterica..) La concentrazione dei cloruri nel liquor è leggermente superiore a quella del sangue. La clorurorrachia sembra dipendere dalla permeabilità della barriera ematoencefalica e dalla intensità dei fenomeni metabolici, l’una e l’altra profondamente alterati in varie condizioni patologiche. La conta delle cellule va eseguita entro un’ora dal momento del prelievo. Se si trova un aumento di leucociti, si presenta uno striscio alla citocentrifuga e lo si colora con il colorante Wright per eseguire la formula leucocitaria. La presenza di qualsiasi altro tipo cellulare, o un’altra alterazione della formula potrebbero indicare una patologia grave. L’esame microbiologico consiste nella colorazione di GRAM o nella colorazione acido resistente, e nella coltura con antibiogramma. Si possono eseguire anche studi virologici e colture micotiche. Con i metodi immunologici si possono evidenziare gli organismi che causano la meningite . CITOGENETICA Il ruolo della citogenetica nello studio della patologia umana ha assunto sempre maggiore significato sia in relazione ai progressi realizzati dalla genetica formale sia in funzione dell’introduzione di tecniche di coltura, di colorazione e di bandeggio più efficienti. Di conseguenza il numero delle patologie cromosomiche oggi note, costituisce una entità consistente, in continuo aumento e che merita una trattazione sistematica. In campo diagnostico è necessario sottolineare come la citogenetica abbia non solo permesso un inquadramento di patologie per le quali in passato non era stato possibile formulare una precisa diagnosi, ma ha anche contribuito sostanzialmente nella diagnostica differenziale e in quella precoce. E’ opportuno ricordare come le tecniche di citogenetica utilizzate nell’analisi dei villi coriali e sulle cellule provenienti da prelievi di liquido aminiotico permettano diagnosi prenatali fin dalle prime settimane dal concepimento. Prelievo villi coriali: metodo invasivo ottenuto per via transcervicale o, più comunemente, per via transaddominale , che permette l’analisi cromosomica già nel primo trimestre di gravidanza. Amniocentesi: prelievo di liquido amniotico ottenuto generalmente tra la 15a e la 16a settimana di gravidanza. Le cellule fetali sospese nel liquido amniotico vengono poste in coltura ed utilizzate per la determinazione del cariotipo; viene determinata anche la concentrazione dell’alfa –feto proteina per evidenziare eventuali difetti del tubo neurale aperti (DNT). 108 Il liquido amniotico è costituito essenzialmente da trasudati, urina fetale e cellule fetali. Tali cellule derivano dallo sfaldamento dei tessuti di rivestimento, prevalentemente dalle ultime vie urinarie e dalla cute. Il prelievo consiste nell’aspirare 20 ml di liquido amniotico: una piccola quantità di liquido prelevato è usata per analisi biochimiche (dosaggio degli elettroliti,dei glucidi, delle proteine - alfa feto proteina-, lipidi, ormoni) , mentre la parte cellulare è utilizzata per l’indagine cromosomica. Le cellule ottenute dal liquido amniotico, sono coltivate in vitro. Per la crescita cellulare occorrono circa 8-10 giorni di coltura; successivamente le cellule sono bloccate durante la metafase quando sono visibili i cromosomi. Dopo aver bloccato le cellule in metafase i cromosomi sono colorati ed osservati al microscopio. Si passa successivamente all’analisi dei singoli cromosomi fetali e al loro raggruppamento in coppie di cromosomi omologhi allestendo così il cariotipo costituzionale dl feto. Quest’analisi cromosomica di primo livello permette di evidenziare anomalie cromosomiche, sia numeriche (quali trisonomie, per esempio la trisonomia 21 libera = sindrome di Down; monosemie, per esempio monosemia X = sindrome di Turner), che strutturali (traslocazioni, delezioni ed inversioni) In alcuni casi è necessario eseguire ulteriori analisi di secondo livello per studiare nei dettagli l’anomalia in questione. Queste analisi sono eseguite con tecnica di ibridazione in situ (FISH). La tecnica FISH permette l’ibridazione di sequenze di DNA specifiche (sonde) oltre che direttamente sui cromosomi anche sui nuclei in interfase. E’ possibile inoltre eseguire diagnosi di malattie genetiche quali la fibrosi cistica, distrofie muscolari, emoglobinopatie, talassemie, sindromi da microdelezioni (per esempio X fragile), ecc., qualora in sede di consulenza prenatale venga evidenziato un rischio familiare per tali patologie. In questi casi dalle stesse cellule del liquido amniotico coltivate in vitro ed utilizzate per eseguire il cariotipo è possibile estrarre il DNA ed evidenziare la presenza di tali anomalie geniche nel nascituro con metodiche di secondo livello quali la PCR. NORME COMPORTAMENTALI Generali: • In caso di accesso i visitatori, dopo autorizzazione della Direzione del Laboratorio, devono essere accompagnati e, se necessario, attrezzati con indumenti protettivi (camici monouso). • Gli addetti all'Assistenza Tecnica della strumentazione devono essere accompagnati e, se necessario, attrezzati con indumenti protettivi (camici monouso). • I collaboratori scientifici possono accedere ai corridoi antistanti gli studi dei laureati. La porta di accesso del Laboratorio deve riportare una targa con l'indicazione di "Ingresso vietato agli estranei" e di "Zona a rischio biologico". • Cibi e bevande: è vietato assumere cibi e bevande nelle aree a rischio di esposizione. • Fumo: è proibito fumare nelle stanze di lavoro. 109 • Abbigliamento: usare in laboratorio (ma non fuori da esso) camici da lavoro che devono essere disponibili con regolarità e sostituiti al bisogno, le calzature devono essere antisdrucciolo e coprire tutto il piede in maniera tale che proteggano da tagli e spargimenti di liquidi. • DPI: usare maschere, occhiali o schermi facciali nelle situazioni a rischio di contaminazione da schizzi di materiale biologico. • Usare sempre i guanti di protezione quando si manipola materiale biologico, eliminarli subito dopo l'uso (non lavarsi le mani indossando i guanti). • Tutta la biancheria sporca deve essere trattata con cautela. I camici in uso devono essere tenuti separati dalla biancheria pulita. • Lavaggio delle mani: deve essere effettuato frequentemente e accuratamente. • Soprattutto: • all'inizio del lavoro, prima di indossare i guanti; • dopo aver tolto i guanti; • • prima di tutte le attività che prevedono contatto con mucose e/o occhi; immediatamente, se si verifica contatto accidentale con materiale biologico; in tal caso far precedere la disinfezione con disinfettante idoneo; • al termine del lavoro e prima di lasciare il Laboratorio. • Aerosol: le operazioni che implicano la produzione di aerosol o che richiedono la manipolazione di colture devono essere effettuate sotto cappa di sicurezza biologica. • Qualsiasi ferita o lesione cutanea deve essere adeguatamente disinfettata e protetta con cerotti impermeabili. • La contaminazione accidentale con sangue o altro materiale deve essere notificata agli organi preposti. • Pulizia arredi e locali: le aree di lavoro devono essere mantenute in ordine e il più possibile libere per permetterne la pulizia. Giornalmente il piano di lavoro deve essere decontaminato con idoneo disinfettante (es. ipoclorito di sodio diluito 1:10). Sempre, giornalmente, devono essere puliti i pavimenti. • Le superfici delle attrezzature devono essere mantenute pulite e le apparecchiature devono essere accuratamente decontaminate (salvo indicazioni diverse dalle ditte fornitrici) con ipoclorito di sodio diluito 1:10, poi risciacquate, prima di qualsiasi intervento di manutenzione interno e/o esterno. • Particolari : • Centrifughe: le centrifughe devono essere posizionate ad un'altezza che permetta a qualsiasi operatore di vedere chiaramente all'interno. Le centrifughe devono essere pulite almeno una volta a settimana con ipoclorito di sodio diluito 1:10 oppure con altro disinfettante appropriato. 110 • Contenitori per campioni: si devono utilizzare solo contenitori che garantiscano la tenuta ermetica, comunque sempre quelli indicati dal laboratorio. Ogni contenitore deve essere identificato con etichetta autoadesiva. I documenti di accompagnamento dei campioni non devono essere arrotolati attorno al contenitore ma inseriti in un sacchetto a doppia tasca ermetica in modo da tener separati il contenitore del campione ed i documenti. • Apertura dei contenitori di campioni : il personale che riceve ed apre i contenitori dei campioni deve essere al corrente del potenziale rischio microbiologico ed essere in grado di operare correttamente in situazioni dì emergenza, come ad esempio in caso di rotture. Le confezioni contenenti i campioni vanno ricevute in apposito locale. • I campioni etichettati con il simbolo di pericolo biologico devono essere aperti in cappa di sicurezza biologica. Le superfici di appoggio vanno mantenute disinfettate. • Impiego di supporti per provette: utilizzare supporti autoclavabili, distinguibili per colore, con bordi arrotondati salvadita, infrangibili. • Vetreria: prima e durante il lavaggio va considerata contaminata e pericolosa e va quindi trattata come tale. Se rotta e non integra va eliminata (pericolo di ferite). • Aghi e altri presidi taglienti: l'eliminazione deve avvenire con cautele idonee ad evitare punture o tagli accidentali. • In particolare gli aghi e gli altri strumenti acuminati o taglienti monouso non debbono essere rimossi dalle siringhe o da altri supporti né in alcun modo manipolati o reincappucciati, ma riposti, per l'eliminazione, negli appositi contenitori a parete rigida. Uso delle cappe: • Si suddividono in: • cappe chimiche: con aspirazione ed espulsione dell'aria senza trattamenti; cappe biologiche, che si suddividono in tre classi: - per impieghi a basso e medio rischio; forniscono buona protezione all'operatore ed all'ambiente ma scarsa protezione all'area di lavoro dalla contaminazione esterna; - dotate di flusso laminare, proteggono sia il personale, sia l'ambiente, sia il prodotto; sono quelle comunemente utilizzate nei laboratori; - forniscono garanzie elevate per manipolazione di materiali ad alto rischio; sono completamente sigillate e le operazioni vengono eseguite tramite guanti a manicotto. Ordinaria manutenzione ed impiego dei frigoriferi: frigoriferi e congelatori devono essere sbrinati e puliti periodicamente per garantirne il corretto funzionamento. 111 Tutti i contenitori conservati all'interno del frigorifero devono essere chiaramente identificati con apposite etichette che indichino un riferimento relativo al contenuto, alla data di stoccaggio e di scadenza, ecc.. Utilizzare solo contenitori a tenuta ermetica. Non conservare materiale biologico insieme ai reattivi. Non conservare nei frigoriferi materiale infiammabile. Indossare guanti isolanti per l'utilizzo del congelatore a -80°C. • Acqua del bagnomaria: rinnovare l'acqua ogni una/due settimane. DISPOSITIVI di PROTEZIONE INDIVIDUALE Protezione delle mani. Nella manipolazione dei materiali biologici, nell'esecuzione di analisi e nell'uso di strumentazione analitica vanno utilizzati guanti protettivi, anche se occorre tenere sempre presente che nemmeno l'uso dei guanti dà protezione assoluta della pelle. I guanti devono essere sempre sostituiti quando non appaiono più integri e quando sono visibilmente imbrattati di sangue e/o di liquidi biologici potenzialmente infetti. Non si devono mai riutilizzare guanti tolti. Lavare accuratamente le mani dopo averli rimossi. Nella manipolazione di liquidi biologici usare i guanti di vinile o lattice; se si manifestano allergie segnalarle al Primario e all'Ufficio del Medico Competente. Guanti più robusti (tipo pulizie) proteggono le mani da detergenti aggressivi e corrosivi; possono difendere da abrasioni. Protezione del viso e degli occhi. Il viso e gli occhi devono essere protetti con occhiali o visiera durante tutte le operazioni che possono in qualche modo provocare schizzi o produzione di aerosol di materiale potenzialmente infetto, o di sostanze chimiche dannose. E' compito del Responsabile di Settore individuare le operazioni a rischio e disporre in tal caso l'uso dei dispositivi di protezione. RISCHIO BIOLOGICO Gli agenti biologici vengono classificati in 4 gruppi in base alla potenzialità di procurare infezioni in dipendenza della: • INFETTIVITA', rappresentata dalla capacità di un microrganismo di penetrare e moltiplicarsi nell'ospite. Il rischio di acquisizione dell'infezione è proporzionato alla possibilità di esposizione. Le principali tipologie di rischio espositivo nell'attività di Laboratorio sono: a. il rischio di esposizione a microrganismi potenzialmente presenti nel sangue e negli altri materiali biologici su cui si effettuano le indagini diagnostiche; b. il rischio di esposizione agli agenti biologici deliberatamente amplificati. 112 Tutti i campioni devono essere trattati come potenzialmente contaminati e in grado di trasmettere infezioni, non essendo possibile accertare a priori in essi la presenza di agenti infettanti. La trasmissione degli agenti biologici dalla fonte di esposizione all'ospite (infezione) è possibile quando si verificano le seguenti condizioni: • ospite sensibile; • agente biologico patogeno; • sufficiente concentrazione del microrganismo; • opportune vie di trasmissione (condizione su cui può intervenire la prevenzione del rischio). La trasmissione dalla fonte di infezione al soggetto suscettibile può avvenire per contatto diretto con la cute, per via ematica, a causa di punture accidentali (con aghi e/o oggetti taglienti infetti), per via enterica e per via inalatoria. RISCHIO CHIMICO II termine Agenti chimici è riferito a tutti i prodotti chimici utilizzati durante l'attività analitica e a quelli che si generano a seguito delle reazioni ad essa correlate. Gli Agenti chimici presenti nel Laboratorio clinico sono numerosi e la loro identificazione è resa possibile dall'obbligo imposto ai produttori e fornitori sia di prodotti chimici puri, sia di prodotti pronti all'uso di apporre apposite etichette di segnalazione sui contenitori e di allegare le Schede di sicurezza che devono riportare tutte le informazioni indispensabili ad un utilizzo del prodotto in condizioni di massima sicurezza, mediante i simboli R e S, che sono sigle espressamente codificate nelle direttive CEE 67/548 e nel D.P.R. 141/88. R con S con (uno o più numeri) (uno o più numeri) Indicano frasi codificate di rischio Indicano consigli di prudenza Gli agenti chimici possono essere utilizzati sotto forma di : solidi, polveri, liquidi, vapori, gas. I prodotti chimici in uso nei Laboratori clinici e che sono da considerare come pericolosi sono definiti: corrosivi (C), esplosivi (E), facilmente infiammabili (F), comburenti (O), tossici e cancerogeni (T), irritanti (I). Per gli agenti chimici cancerogeni è prevista una particolare sorveglianza sanitaria da parte del Medico Competente e gli operatori sono sottoposti a specifiche procedure di protezione e prevenzione. Anche per quanto riguarda il rischio chimico è importante la valutazione dell'esposizione dell'operatore, ciò consiste nella stima dell'intensità, frequenza, durata dell'esposizione ad una sostanza chimica. In definitiva bisogna identificare per ogni sostanza le sue proprietà chimico-fisiche, le principali sorgenti di esposizione, l'uso che ne viene fatto e la sua durata (D. Lgs 81/08 da art. 221 a 232; Protezione da agenti chimici.). 113 RISCHIO ELETTRICO L'installazione e la riparazione di equipaggiamenti elettrici devono essere eseguite unicamente da elettricisti dell'Azienda o dagli addetti all'assistenza degli strumenti. Importanza fondamentale ha però, per tutti gli utenti dell'elettricità, la conoscenza dei pericoli che la corrente elettrica presenta per l'organismo umano. I principali rischi connessi all'utilizzo dell'energia elettrica sono: • shock elettrico da apparecchiature o da circuiti elettrici: tale pericolo risulta aumentato se la pelle, i vestiti o i pavimenti sono bagnati; • ustione, che può essere profonda anche se la superficie danneggiata sembra piccola; • incendio, che può essere provocato da archi voltaici, scintille, corto circuiti, circuiti sovraccarichi, da elementi o superfici calde che vengono in contatto o sono vicine a materiale infiammabile. Per ridurre la probabilità di incidente è necessario: • non toccare parti di circuiti elettrici con le mani umide o con parti del corpo bagnate o in contatto con acqua; • spegnere immediatamente qualsiasi strumento che sia stato accidentalmente bagnato e attendere, prima di riavviarlo, che sia completamente asciutto (mettere un cartello informativo); • non staccare la spina dalle prese elettriche tirandola per il cavo; • disattivare l'alimentazione elettrica prima di intervenire su di una strumentazione; • non eseguire riparazione sull'impianto elettrico della struttura; • non usare prese multiple. In caso di incidente staccare immediatamente la corrente agendo sull'interruttore dei singoli banchi o eventualmente sull'interruttore generale e chiedere l'intervento del Pronto Soccorso. Se non è possibile farlo, staccare la persona dall'impianto sotto tensione usando materiali isolanti quali attrezzi in legno. Non toccare direttamente l'infortunato. RISCHIO DI INCENDI L'incendio può essere definito come una combustione non controllata, ossia una reazione chimica esotermica che avviene in un luogo non predisposto a contenerla. Nel Laboratorio l'incendio di qualunque tipo può avere conseguenze disastrose. E' importante che sia presa ogni precauzione per prevenirlo e per limitarne la propagazione. I locali destinati al Laboratorio devono essere progettati e costruiti rispettando la normativa vigente e in accordo con le Autorità Antincendio Preposte (Vigili del Fuoco). Devono essere predisposte vie di fuga da utilizzare in caso di emergenza, segnalate con apposita cartellonistica. Il Personale deve aver cura che le vie di fuga siano sempre tenute sgombre. 114 Tra le cause principali che possono determinare inneschi di incendio si ricorda quella dovuta a comportamento imprudente, quale il mancato rispetto del divieto di fumare. Per ridurre la probabilità di incidente è necessario: • non conservare i liquidi infiammabili in frigoriferi che abbiano interruttori o luci interne; • non versare nei lavelli liquidi infiammabili o volatili; • lo svuotamento o il trasferimento di liquidi combustibili da contenitori più grandi a contenitori più piccoli deve essere eseguito sotto cappa chimica ed in una bacinella; • i contenitori dei liquidi infiammabili non devono mai essere lasciati aperti; • i corridoi del laboratorio che permettono di accedere all'uscita devono essere sempre mantenuti liberi e non ostruiti; problemi all'impianto elettrico possono causare incendi: quindi segnalare immediatamente il riscontro di fili o spine danneggiati; la carta è un ottimo combustibile: non ammucchiare carta o schedari vicino a prese elettriche che possono essere causa di scintille; tenerla separata dagli infiammabili. RISCHI DA VIDEOTERMINALI Gli articoli dal 172 al 179 del D. Lgs. 81/08, dopo aver chiarito quali siano le attività da considerarsi a rischio, definiscono anche come il rischio debba considerarsi connesso non solo all'uso del videoterminale ma anche del software, degli accessori opzionali, delle apparecchiature connesse: telefono, modem, stampante, supporto per i documenti, sedia, posto di lavoro (Allegato XXXIV). Premesso che al momento gli studi fisici sull'uso di videoterminali non ha confermato la presenza di rischi derivanti da radiazioni ionizzanti (raggi X) o da radiazioni non ionizzanti (campi elettromagnetici) e che gli studi clinici non hanno registrato alcun significativo aumento di danni per la salute e per la funzione riproduttiva, si può affermare che le radiazioni emesse dai videoterminali non possono essere considerate dei pericoli. I videoterminali possono però essere considerati pericolosi in quanto determinano: danni alla salute derivanti da affaticamento visivo, per errato contrasto tra il fondo dello schermo ed i caratteri o per errata illuminazione o posizione dello schermo nei confronti della luce; disturbi muscolo scheletrici derivanti da posture non corrette per via di supporti o sedili non idonei; stress derivante dall'uso di software troppo complessi o da rumore collegato all'uso di più stampanti. Lo stress può causare diminuita capacità di concentrazione, irritabilità, insonnia. Lavoratori addetti ai videoterminali sono coloro che ne fanno uso sistematico e abituale per almeno 20 ore settimanali (ex. L. 422/00), per essi si adotteranno le precauzioni suggerite dal Medico Competente. 115 GESTIONE DEI RIFIUTI I rifiuti provenienti da una struttura sanitaria vengono classificati dalla vigente legislazione in tre categorie principali: Rifiuti non infetti assimilabili agli urbani; devono essere classificati non infetti i rifiuti che non siano venuti a contatto con fluidi biologici ovvero non provengano da degenti affetti da malattie infettive (rifiuti alimentari, rifiuti cartacei, contenitori in vetro, materiale metallico non ingombrante, materiali ingombranti). Sono soggetti a smaltimento in discarica o recuperati con le stesse modalità previste per i rifiuti urbani di analoga qualità, fatta salva la necessità di provvedere alle necessarie operazioni di disinfezione, ove lo si reputi necessario. Rifiuti speciali infetti o potenzialmente infetti; sono rifiuti provenienti dalle attività cliniche vere e proprie, quali quelli provenienti dai laboratori biologici o che comunque presentano o possono presentare pericolo per la salute pubblica. Si ricorda che, ai fini dello smaltimento finale, sono assimilabili ai rifiuti contaminati con fluidi biologici anche tutti quei rifiuti che derivano da attività di laboratorio e di ricerca chimico-biologica (come, ad esempio, piastre di coltura e materiale monouso in genere) e che siano venuti a contatto con materiale biologico in genere non necessariamente infetto. La ottimale destinazione finale di questi rifiuti è la termodistruzione. Tali rifiuti, classificati come SPECIALI, prima del loro allontanamento dal luogo dove vengono prodotti, devono essere sottoposti a trattamenti di disinfezione, confezionati adeguatamente in appositi contenitori e contrassegnati con data e reparto di produzione, devono essere facilmente distinguibili dai contenitori usati per altri tipi di rifiuti e recare evidente la scritta "RIFIUTI OSPEDALIERI TRATTATI (R.O.T.)". 3. Rifiuti speciali e tossico-nocivi. A norma delle vigenti disposizioni di legge, la differenziazione tra rifiuti speciali e tossico-nocivi avviene sulla base della presenza nel rifiuto di una delle sostanze elencate nel dlgs 156/2006. E' possibile che risultino tossici nocivi anche parti delle soluzioni esauste di formaldeide e glutaraldeide utilizzate per la disinfezione, se ad alta concentrazione. E' assolutamente necessario provvedere alla raccolta differenziata dei rifiuti, suddividendoli al momento della produzione, sia per attenersi ai disposti di legge, sia per minimizzare le ingenti spese connesse con la particolari modalità di smaltimento dei rifiuti ospedalieri. Il Laboratorio deve essere fornito di contenitori a perdere per rifiuti speciali infetti, con adeguate caratteristiche di resistenza impermeabili e dotati di un sistema di chiusura che eviti la fuoriuscita accidentale di contenuto. E' competenza della Ditta appaltatrice fornire tali contenitori. E' competenza del Personale provvedere ad una accurata cernita e raccolta dei rifiuti speciali che, a fine giornata, verranno portati in luogo concordato. I rifiuti speciali taglienti (lame di bisturi, siringhe, aghi, ecc...) devono essere raccolti in contenitori opportunamente predisposti, sigillati ed introdotti nel contenitore principale. 116 Quest'ultimo, una volta pieno, verrà addizionato della dose di disinfettante e sigillato sempre ad opera del Personale. Tale contenitore, ad opera del personale della Ditta appaltatrice, verrà posto in un secondo contenitore rigido, chiuso ermeticamente, contrassegnato con data. L'obbligo di disinfettare i rifiuti ospedalieri è norma precauzionale atta a fornire garanzie di sicurezza durante le operazioni di raccolta e di trasporto degli stessi. E' noto che solo la sterilizzazione può assicurare l'abbattimento della potenziale carica infettiva, ma presuppone l'impiego di mezzi tecnici difficilmente reperibili nella maggior parte delle strutture ospedaliere. La disinfezione viene perciò effettuata mediante l'impiego di disinfettanti comuni che vengono aggiunti nei contenitori prima della chiusura. I MARCATORI BIOCHIMICI PER LA DIAGNOSTICA DI DANNO MIOCARDICO La valutazione del paziente con dolore toracico nel dipartimento d'Emergenza comporta notevoli implicazioni organizzative, economiche e legali e costituisce una delle problematiche cliniche più difficili cui far fronte quotidianamente. Se, da un lato, tra i pazienti con dolore toracico ospedalizzati con diagnosi di possibile sindrome coronarica acuta (angina instabile o infarto miocardico acuto), solo 1/4 ne è davvero affetto, dall'altro una strategia di dimissione precoce comporta la mancata ospedalizzazione di una piccola (2- 8%) ma non trascurabile percentuale di pazienti con infarto miocardico in corso, con ovvie possibili catastrofiche conseguenze. Di contro, l'indicazione al ricovero ospedaliero del paziente clinicamente stabile non può essere indiscriminata stante la limitazione delle risorse. L'indicazione è inoltre condizionata da un eventuale orientamento terapeutico più aggressivo, riservando le strategie di rivascolarizzazione coronarica a pazienti con diagnosi certa di sindrome coronarica acuta onde incidere significativamente sulla evoluzione della malattia. Il protocollo valutativo utilizzato più comunemente in questi pazienti prevede un tradizionale triage clinico basato sulla anamnesi, l'obiettività ed il quadro elettrocardiografico di presentazione, abbinato ad uno screening bioumorale mirato alla ricerca dell'eventuale danno miocardico in corso. Lo screening bioumorale attuale deve comunque essere semplice ma contemporaneamente sensibile e specifico al fine di contenere quanto più possibile il numero dei soggetti "falsi positivi" (altrimenti inappropriatamente ospedalizzati) e dei pazienti "falsi negativi" (ed erroneamente misconosciuti al triage). Il marcatore ideale di necrosi miocardica dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: rapido incremento ematico, al fine di consentire una diagnosi precoce; specificità per il tessuto miocardico, per una diagnosi certa alla presenza di danno muscolare non cardiaco; adeguata persistenza nel torrente ematico, per una diagnosi a distanza dall'episodio, ma allo stesso tempo, rapida clearance per consentire la valutazione della riperfusione miocardica dopo ricanalizzazione meccanica o farmacologica del vaso di necrosi, e la diagnosi di eventuale recidiva precoce di infarto miocardico. Negli ultimi anni i marcatori tradizionali di danno miocardico (CK, CK-MB activity, AST ed LDH), sono stati oramai largamente sostituiti da nuovi marcatori (mioglobina, CK-MB massa, troponina Te troponina I) in grado di svelare la presenza di tessuto miocardico necrotico già meno di tre ore dalla insorgenza del dolore. I nuovi marcatori forniscono inoltre informazioni utili sull'efficacia della terapia riperfusiva e, nel caso delle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST, sono largamente utilizzati ai fini della immediata stratificazione prognostica e della scelta terapeutica più o meno invasiva. Caratteristiche biochimiche dei marcatori Mioglobina: proteina strutturale a basso peso mole- colare tanto del muscolo scheletrico che del miocardio, è rilasciata direttamente nel sistema vascolare in seguito alla lesione della miocellula. La sua concentrazione ematica aumenta rapidamente dopo danno miocardico ed il suo dosaggio comporta una sensibilità diagnostica assai elevata per IMA a fronte di una bassa specificità; è il marcatore più precoce, risultando positivo già dopo 2-3 ore dalla insorgenza del dolore. 117 La finestra diagnostica (periodo in cui variazioni del dosaggio hanno significatività ed utilizzo clinico) è compresa tra 2.5 e 20 ore. CK-MB massa: subunità della creatinchinasi-isoenzima (CK) presente all'interno della cellula miocardi- che, il cui dosaggio prevede una determinazione immunologica (anticorpi monoclonali anti sub-unità M e sub-unità H) che ne permette una stima quantitativa (ng/mL), a differenza della determinazione della attività enzimatica espressa come percentuale della attività totale CPK. Rispetto al CK-MB "activity", la determinazione del CK-MH massa ha maggiore specificità e sensibilità. La CK-MB massa è un marcatore precoce: positivo dopo la 3a ora), e la finestra diagnostica è compresa tra 3 e 24 ore dall'esordio della sintomatologia. Troponine: mioproteine della struttura contrattile muscolare. La troponina p.d. è un complesso formato falle sottofrazioni C (TnC), T (TnT), ed I (TnI); di queste, la TnT e la TnI sono utilizzate nella diagnostica cardiologia utilizzando anticorpi monoclonali rivolti verso le isoforme specifiche miocardiche. Per tali motivi la determinazione delle troponine TnT e TnI ha valori elevatissirni tanto di specificità che sensibilità. In caso di danno miocardico l'elevazione del marcatore può essere rilevabile già a tre ore. La clearance plasmatica è estremamente lenta, e si possono riscontare valori elevati di troponinemia a distanza di quattro (TnI) e cinque giorni (TnT) dall'evento acuto. Uso clinico dei marcatori cardiaci In virtù della loro elevata sensibilità e specificità, i nuovi marcatori biochimici, in particolare CK-MB massa e la Troponina, hanno imposto alla comunità scientifica internazionale la revisione dei tradizionali criteri diagnostici di infarto miocardico OMS. La commissione congiunta ESCI ACC European society of Cardiology /American College of Cardiology ha con- venuto di definire come infarto miocardico ogni incremento di qualunque entità degli indici di citonecrosi miocardica più specifici (CM-MB massa e, preferibilmente, troponina) in presenza di dolore toracico e/o modificazioni ECC (tabella 1). Quindi, non sembra più sostenibile l'ipotesi di una soglia al di sotto della quale il danno miocardico non abbia significato clinico, stante le recenti ed innovative raccomandazioni internazionali. Il dosaggio dei marcatori di citonecrosi miocardica assume diverso rilievo in differenti situazioni cliniche. Uno dei due seguenti criteri soddisfano la diagnosi di infarto miocardico acuto (in evoluzione o subacuto): • Tipico incremento e graduale diminuzione (troponina) o più rapido incremento e diminuzione (CK-MB) dei marcatori biochimici di necrosi miocardica, associati ad almeno una delle seguenti condizioni: • sintomi ischemici; • sviluppo di onde Q patologiche all'ECG; • modificazioni ECG indicative di ischemia (innalzamento o depressione del tratto ST); • intervento coronarico (ad esempio, angioplastica coronarica). • Reperti anatomopatologici di infarto miocardico acuto. Tabella 1. Definizione di infarto miocardico. Utilizzo dei marcatori di danno miocardico nel triage del paziente con dolore toracico in Pronto Soccorso Sono stati proposti numerosi protocolli per un uso integrato dei marcatori ai fini di una corretta e rapida diagnosi di danno miocardico. Sebbene nessuno appaia ancora ben consolidato per l'utilizzo e quindi univocamente accettato, esiste un notevole accordo sul fatto che: 1) è consigliabile la ripetizione seriata delle determinazioni ad intervallo di tempo prefissato (generalmente al momento della presentazione e a 6 ore dall'esordio dei sintomi). 2) il marcatore da preferirsi per la diagnosi di infarto miocardico è la troponina. 3) L'utilizzo combinato del duplice marcatore mioglobina + troponina si caratterizza per la rapida ed elevata accuratezza diagnostica. 4) L'incremento di troponina e/ o di CK-MB massa, se non accompagnato da un contesto ischemico, non è criterio sufficiente per la diagnosi di infarto miocardico acuto. 118 Sulla base di queste premesse, i Dipartimenti d'emergenza, le Divisioni di Cardiologia ed i Laboratori Clinici dovrebbero collaborare allo sviluppo di un protocollo diagnostico nella valutazione dei pazienti con sospetta sindrome coronarica acuta. Da tali esperienze scientifiche dovranno scaturire Linee Guida che permettano di ottimizzare l'uso delle risorse e di ridurre la variabilità di comportamento tra Centri diversi e addirittura tra operatori dello stesso Centro. In pazienti con sospetto infarto miocardico acuto, le Linee Guida sui marcatori di lesione miocardica del Gruppo di Studio interdisciplinare ANMCO-sIMEL Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri e Società Italiana Medicina di Laboratorio, in relazione alla cinetica di incremento dei diversi marcatori (figura 1), propone lo schema di campionamento dei prelievi riportato nella tabella 2. Livelli decisionali La misurazione degli incrementi della troponina permette di individuare necrosi miocardiche di entità di tessuto <l g. Questa estrema sensibilità comporta, nell'utilizzo pratico, la necessità di porre precisi limiti decisionali "minimi" il documento ESCI ACC prevede che i Produttori dei kit diagnostici specifichino sempre per ogni metodo analitico i valori minimi di concentrazione della troponina che la metodica riesce a rilevare ed i relativi valori “normali”. Figura 1. Andamento temporale degli incrementi dei marcatori di necrosi dopo infarto miocardico acuto. 7. Marcatore precoce (CK-MB massa o Mioglobina) Troponina Ammissione SI SI +4h SI SI +8h SI/NO SI + 12-14 h o mattino NO SI Successivo Tabella 2. Frequenza di prelievo consigliata, per la determinazione dei marcatori biochimici di lesione miocardica. E' auspicabile che tale intervallo di normalità sia desunto da una casistica di soggetti periodicamente testati nel singolo laboratorio periferico. E' inoltre indispensabile che sia specificato il livello di imprecisione analitica espresso come coefficiente di variazione del valore corrispondente al limite di riferimento o SD della mediana, che non dovrebbe essere > 10%. Sebbene in tal modo si diminuisca la sensibilità clinica complessiva del sistema di analisi, si evitano gran parte dei riscontri occasionali di abnormi valori di troponinemia ("troponinismi"), di difficile inquadramento clinico. Organospecificità Oltre ai problemi intrinseci alle metodiche di dosaggio sopra riportate, esistono condizioni in cui un incremento della troponina, pur essendo espressione di danno miocardico, non indica la presenza di una "necrosi miocardica" e quindi di una sindrome coronarica acuta. La grande sensibilità dei metodi chimico-c1inici di recente introduzione all'incremento anche minimo dei marcatori, in particolare della troponina, implica che si osservino sempre più frequentemente incrementi della troponina in contesti clinici disparati. Tale incremento sebbene organo-specifico, non è "patologiaspecifico": quindi tali riscontri, sebbene non francamente da intendersi "falsi positivi" non devono necessariamente comportare una genesi ischemica dell'incremento del marcatore e, quindi, una diagnosi errata di coronaropatia. 119 La pericardite e la miocardite, ad esempio, comportano una necrosi cellulare, cui segue un incremento dei marcatori di necrosi non espressione di coronaropatia. Analogamente traumatismi cardiaci, tossicità miocardica da chemioterapici e rigetto di trapianto cardiaco possono provocare incrementi dei marcatori di necrosi miocardica. Lo scompenso ventricolare sinistro, compreso l'edema polmonare acuto, può essere un'altra causa non coronarica di incremento degli indici di citonecrosi. Nell'edema polmonare acuto sono stati osservati, in circa la metà dei casi, incrementi della troponina che identifica pazienti con peggior prognosi. L'embolia polmonare, specie se significativa dal punto di vista emodinamico, provoca un sovraccarico acuto del ventricolo destro con aumento dello stress subendocardico con conseguente necrosi cellulare, anch'essa non necessariamente espressione di coronaropatia. Di recente è stata segnalata una correlazione tra prognosi negativa ed entità dell'incremento della troponina nell'embolia polmonare. Meccanismi simili possono essere chiamati in causa per spiegare gli incrementi di troponina in corso di polmonite e nelle crisi asmatiche severe. Altre condizioni in cui sono state riportate incrementi della troponina, sono l'ipertensione arteriosa severa, l'ipotensione, specie se accompagnata da aritmie, l'ipotiroidismo, le situazioni di grave compromissione generale specie in presenza di diabete mellito, l'insufficienza renale cronica e le sepsi. Anticorpi eterofili Pazienti trattati con farmaci costituiti da frazioni anticorpali (ad es. l'abciximab, potente farmaco bloccante i recettori piastrinici GPIIb/IIIa e comunemente usato in pazienti con sindromi coronariche e nel corso di procedure invasive coronariche) possono produrre anticorpi detti eterofili (cioè diretti contro le frazioni anticorpali del farmaco), che possono dare reazioni crociate con i reagenti utilizzati nel dosaggio della troponina. Le Case produttrici dei kit riferiscono di aver risolto il problema, ma la cosa è da verificare. Il problema non è da poco, visto il crescente utilizzo clinico di farmaci anticorpali. Conclusioni finali A fronte dei numerosi problemi legati alla diagnosi, monitoraggio clinico e terapeutico della sindrome coronarica acuta, i nuovi marcatori di danno miocardico sono di grande aiuto nel: • riconoscere/confermare precocemente la presenza di danno miocardico acuto; • fornire informazioni affidabili circa il successo della terapia trombolitica; l'estensione della necrosi e la prognosi; • escludere l'infarto entro 16/24 ore nei soggetti con sintomatologia dubbia ed ECG dubbio/non interpretabile; • individuare tra i pazienti senza sopraslivellamento del tratto ST coloro che possono trarre giovamento da un trattamento aggressivo; • evidenziare il danno miocardico periprocedurale. I nuovi marcatori di citonecrosi miocardica sono dotati di grande sensibilità e specificità; pertanto hanno contribuito a modificare la definizione e quindi l'epidemiologia dell'infarto miocardico e le strategie terapeutiche delle sindromi coronariche acute. Il significato clinico degli incrementi di questi marcatori ("necrosi miocardica acuta") è certo per i pazienti: a) con elevata probabilità di malattia coronarica; b) contesto clinico ischemico; c) per standard di laboratorio conformi alle disposizioni della Comunità Scientifica. 120 VERIFICA DI AUTOAPPRENDIMENTO 1. A B C D D.P.R. 14 gennaio 1997; .. D.lgs. 81/08 ; D.lgs. 242/96 ; D.P.R. 547/1955. 2. A B C D Si definisce Azienda il soggetto giuridico, pubblico e privato che offre attività o prestazioni sanitarie; l’Azienda di soggiorno; l’Azienda di trasporto municipalizzata; l’Azienda Sanitaria Locale. 3. A B C D Si intende per Presidio: luogo in cui è possibile ritirare documenti smarriti luogo in cui è possibile pagare il Ticket luogo in cui è possibile ritirare le radiografie struttura fisica (ospedale, poliambulatorio, ambulatorio ecc) dove si effettuano le prestazioni e/o le attività sanitarie 4. A B Si intende per linee guida: indicazioni per gli utenti; insieme di indicazioni procedurali suggerite; finalizzate ad assistere gli operatori in specifiche circostanze; indicazioni sulla guida degli automezzi; indicazioni valide solo per il personale di assistenza. C D 5. Requisiti minimi organizzativi generali: sotto questa voce sono indicati i requisiti minimi relativi ai seguenti aspetti organizzativi: personale minimo necessario alla struttura obiettivi, attività, struttura organizzativa; obiettivi ed attività;struttura organizzativa; gestione delle risorse umane;gestione delle risorse tecnologiche;gestione, valutazione e miglioramento della qualità, linee guida e regolamenti interni;sistema informativo; valutazione del carico di lavoro; 6. Presso ogni laboratorio deve esistere la carta dei servizi pubblici sanitari prevista da: A B C D A B C D D.P.R. 547/55 ; D.P.R. 303/56 ; D.P.C.M. del 19/07/1995; D.lgs. 242/96; 7. A B C D I requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l’accreditamento delle strutture sanitarie pubbliche e private sono regolamentati da: La dotazione minima di personale del Laboratorio deve essere: un medico ed un amministrativo; a scelta del Direttore; non vi sono norme da rispettare; Un collaboratore laureato in Medicina, Biologia o Chimica, un tecnico di laboratorio diplomato, un ausiliario con funzioni esecutive, un addetto alle attività amministrative; 121 8. A B C D D.Lgs 277/91; Decreto Ministeriale 30/01/1982; D.P.R. 547/55; L. 422/00; 9. A B C D Il Personale Tecnico di Laboratorio deve essere in possesso dei requisiti previsti da: Le più importanti cause di variabilità preanalitica possono essere di natura: fisica; chimica fisica; fisica chimica e biochimica; nella fase preanalitica non vi possono essere cause di variabilità; 10. Il prelievo venoso può essere effettuato: A B C D solo presso il laboratorio analisi; solo presso il distretto; in tutti gli ambulatori autorizzati; lo stabilisce il Medico Richiedente; 11. Il governo ed il controllo in laboratorio sono parametri indicativi della fase: A B C D pre-analitica; analitica; post-analitica; di nessuna fase; 12. La formazione e l’aggiornamento dei Tecnici è di competenza: A B C D delle Università e delle Regioni; delle Università, delle Regioni, degli Ordini Professionali; del Dirigente della struttura; a carico del singolo Tecnico; 13. I lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti sono in presenza di un rischio: A B C D rischio fisico; rischio chimico; rischio biologico; rischio meccanico; 14. I lavoratori esposti a sostanze allergizzanti sono in presenza di un rischio: A B C D rischio fisico; rischio chimico; rischio biologico; rischio antinfortunistico; 15. Quali obbiettivi si prefigge la raccolta di un campione secondo i criteri di adeguatezza e validità: A B C D ottenere un campione adeguato e standard; minimizzare l’errore; ottimizzare la performance analitica; ridurre il rischio chimico; 122 16. A B C D individuale, interindividuale, pre-analitica; pre-analitica, analitica, post-analitica; la fase pre-analitica; nessuna delle precedenti; 17. A B C D Il siero è: un liquido infiammabile; un componente citoplasmatico; dovuto a 2 processi biochimici; il risultato dei fattori della coagulazione; 18. A B C D Il plasma è: uno stato della materia; il liquido intracellulare; la parte liquida che si ottiene dal sangue reso incoagulabile per centrifugazione; un refrigerante 19. A B C D I criteri di inaccettabilità di un campione durante la fase preparativa sono: le attività delle trasferasi alterate; trigliceridemia, colesterolemia, iperprotidemia; elevata temperatura del campione; emolisi, ittero, siero lattescente; 20. A B C D la variabilità biologica è: La decisione di rifiutare un campione è da attuarsi: sempre; mai; al momento dell’arrivo del campione in laboratorio; durante la fase preparativa; 123 DOMANDE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 RISPOSTE ESATTE A A D B C C D B C C B B A B A A C, D C D C, D RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ● AA.VV., Esa System: trimestrale di medicina del laboratorio, anno VI, n.3, settembre 1997. ● Ligugnana R., Zanin F., La sicurezza nel laboratorio di analisi in accordo al D.L. n° 626/94, International pbi S.p.A., 1996. ● L’esame emocromocitometrico dal sito internet (www.pat.clin.unito.it) ● Biochimica clinica, 2004, vol. 28 n°4 "Fisiopatologia della coagulazione: nuove acquisizioni". ● Interpretazione dei dati di laboratorio – R. Bonari – V. Deambrosio – A. Oliario. ● Metodi e tecniche in biochimica – Tecniche preparative ed analitiche – Sergio Papa. ● Compendio di scienze di laboratorio clinico – Joel D. 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