giovanni rubino: frottage 2006 testo di Benelli progetto grafico di juliaan hondius in collaborazione con chiarello cosimo alberto livio nepi Giovanni Rubino Farememoria Il tema della Resistenza in pittura è stato iniziato e concluso da Guttuso, molto efficacemente. Da allora è tema difficile da trattare, non so citare esempi più validi. L’occasione per questo lavoro è venuta dalla mia partecipazione a una mostra di pittura sulle lapidi dei caduti della Resistenza. Il mio intervento in quell’occasione era un gesto d’artista sulla lapide di Alessandro Lugaresi, un giovane caduto la cui lapide è posta nella mia strada: via Gola. Quindi non realizzai un quadro, ma una performance che doveva per questo essere documentata da un fotografo. Da allora pensai di fare una ricerca più ampia sulle lapidi. Da qui l’invito a tanti fotografi: Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Mario De Biasi, Paola Mattioli, Cesare Colombo, Isabella Balena, Giovanni Ricci, Fabrizio Garghetti, Antonio Ria, Renzo Chiesa, Juliaan Hondius, Barry Lewis. Quindi un artista della fotografia per ogni lapide su cui lavoravo. Ognuno con la sua maniera personale documentava il mio gesto. Perciò un lavoro fatto da più autori, oltre me. E’ un work in progress: a questi fotografi se ne aggiungeranno altri. Il mio gesto intendeva ridare vivacità, nuova linfa al mantenimento del ricordo di quei momenti così importanti per il NOSTRO FUTURO, portare avanti quel ricordo, produrre memoria: FAREMEMORIA! Nel 2007 ero stato con Giovanni Pesce a celebrare il 70° della guerra di spagna.. Lo scorso anno mi arrivò da Los Angeles una e-mail sulla morte di uno degli ultimi membri della Lincoln Brigade (una delle brigate internazionali partecipanti alla guerra di spagna nel ‘37); era corredata dalle foto del memorial dei caduti della brigata: una forma di monumento semplice e scattante e nuovo. Già nel 2001 dopo le Twin Towers venne fuori un modo nuovo di riportarsi la memoria dei propri parenti in una forma semplice e diretta: i congiunti trascrivevano ricalcando il nome inciso dalla lapide collettiva nel piazzale antistante le torri. Questo modo mi venne utile quando fui invitato a partecipare a una mostra d’arte per il 60° della resistenza curata, da Giorgio Seveso e Gioxe De Micheli che aveva per tema le lapidi per le vie di Milano dei partigiani caduti, ben 360 sono le lapidi. Decisi di non fare una solita pittura sul tema ma una performance sintetizzata in quel semplice gesto che aveva bisogno, naturalmente, di essere documentato da un artista della fotografia. Maggio 2005 2/12/05 via s.giovanni bosco foto barry lewis Denis Curti La memoria fatta a mano Il lavoro artistico di Giovanni Rubino è ricco di esperienze di sentimenti. Impossibile restare impassibili di fronte a queste opere. La sua mano fluttua tra segrete omissioni e virate cromatiche del bianco e nero. Il tocco della matita sui fogli stesi delle lapidi resta delicato e definitivo allo stesso tempo. Ricalcare vuol dire sottolineare. Restituire vita e memoria alla storia recente e troppo spesso dimenticata. Tra le necessità della percezione e le tecniche di espressione, il dialogo si stringe. Al punto che guardando le opere di Rubino si incomincia ad articolare un dialogo quasi impercettibile, ci si trova così a sperimentare con la fotografia e la pittura militante. Il suo disegno somiglia a infinite spirali. E di fronte a queste opere si srotola ogni centimetro della propria inerzia per avvolgersi nel suo percorso per poi indossarlo. Farlo proprio. E tutto appare come sfocato, gli spigoli svaniscono e i toni risultano sfibrati, sfiniti. Il divenire viene intrappolato in caratteri orizzontali e in filamenti di energia vibrante. Una materia quasi viscosa impregna un simulacro sfuggente. Macchie di densità ondeggiano nel riverbero della massa che rappresentavano. E noi galleggiamo tra le fotografie dei molti amici che lo hanno ripreso mentre il suo pensiero trasversale ci attraversa, dall’alto della sua scala. Lì ricordi e pensieri remoti, trascurati ricorrono in un algoritmo, e finalmente riaffiorano. Lo sguardo corre e vira fino a fermarsi per setacciare la velocità di un istante, per capire che a cavalcare il vento se ne perde la sensazione. 15/11/05 c.so di p.ta vittoria foto antonio ria Roberto Mutti L’archeologo del presente Era il 1970 e Milano una città viva dove si poteva pensare di realizzare progetti di grande respiro come quello voluto da Pierre Restany che qui scelse di ricordare il decennale del gruppo Nouveau Réalisme con una serie di bellissime performance e installazioni. Christo, che ancora non era l’artista affermato in tutto il mondo che è poi diventato, scelse di ricoprire coi suoi teli bianchi il monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Duomo e quello a Leonardo da Vinci in piazza della Scala. Non era una vera provocazione ma una messa a punto perché, nascondendoli alla vista, l’artista permetteva ai cittadini di interrogarsi seriamente su un fatto: pur potendole sempre vedere, ben pochi osservavano davvero quelle statue e l’unico modo per far tornare su di loro l’attenzione era farle momentaneamente sparire in un ben confezionato impacchettamento. Molti capirono e si interrogarono su un tema così delicato come quello della memoria storica, altri si mobilitarono lamentando una supposta lesa maestà. Un’associazione di reduci della guerra scese in campo in difesa di Vittorio Emanuele II (dimostrando, appunto, molte carenze storiche: i Savoia meriterebbero metaforici calci nel sedere per i danni che hanno fatto, altro che monumenti) mentre i neofascisti bruciarono l’impacchettamento di Leonardo senza un vero perché se non quello di essere neofascisti e di avere sempre una grande paura della cultura, salvo poi lamentarsi dell’egemonia della sinistra in questo campo. Mi sono venuti in mente questi lontani episodi seguendo il lavoro di Giovanni Rubino attraverso i suoi racconti e quelli dei fotografi che lo hanno seguito e vedendo il risultato finale del suo progetto ora completato. Molte cose sono cambiate in questa città – qualcosa in meglio, quasi tutto in peggio – e quello della memoria resta un tema di bruciante attualità, colpevolmente sottovalutato dalle sedicenti Autorità, interessate semmai a riscrivere la storia a proprio vantaggio, come da un’opinione pubblica tutta concentrata sul presente. Pensare a soluzioni di ampio respiro è giusto quanto impraticabile (invocare la scuola e l’educazione è diventato un esercizio retorico) e allora c’è bisogno di piccoli, grandi gesti come quelli che Giovanni Rubino ha compiuto armandosi di pochissimi strumenti: una lunga scala, dei grandi fogli di carta, una bella matita di grafite. Forse non ci vuole più il clamore, forse basterebbero la determinazione e la consapevolezza per cominciare ad avanzare per passi che sembrano piccoli e forse non lo sono. Le performance compiute da Rubino somigliano a dei riti nella misura dei gesti, nella linearità della sequenza, nel meccanismo dello svelamento che li conclude. Forse in molti, vedendolo all’opera, si sono chiesti che era quell’uomo che si arrampicava sui gradini, cercava un equilibrio stabile e si soffermava davanti a lapidi spesso oramai illeggibili. La risposta è semplice: è un archeologo della contemporaneità. Si aggira non fra le rovine di un’antica civiltà, ma fra le pieghe di una apparentemente vitale e l’aiuta a scoprire reperti tutti da interpretare, storie di cui riappropriarsi perché parlano di uomini che hanno rinunciato a se stessi per costruire un mondo più giusto e più libero. Libero anche di dimenticarli, anche se questo è più rischioso di quanto non si pensi. 20/03/05 via bramante v.le montello foto ferdinando scianna Maurizio Galimberti Rubino Con Rubino … per Rubino … lo racconto … racconto la sua “APPROPRIAZIONE LEGATA ALLA MEMORIA…” IL PATHOS scrive immagini che “URLANO” la storia della lapide … Scrivo “RUBINO”… lo unisco alla lapide … Lui sale sulla scala … il mio segno rosso lo incapsula … per “BACON” … per il dolore della storia … Lo fotografo… mangio la fotografia gnam… gnam… Mosaico Rubino… si trasfigura nel mosaico… il gesto è rigoroso e veloce… Finisce tutto… ricompongo le immagini… tutto è in equilibrio… anche il mio cuore… l’emozione è forte… Rubino mi mostra il FROTTAGE… Febbraio 2009 5/02/09 via f.abbiati foto maurizio galimberti Giorgio Galli Via Gola 31 Io ho abitato in via Gola al numero 31 fino a 25 anni e qui Alessandro Lugaresi è stato il mio compagno di giochi della prima adolescenza . Abbiamo giocato insieme per un periodo abbastanza lungo. Lui è stato poi ucciso nel ‘44. Era un ragazzo molto, molto ribelle. Odiava il fascismo per il suo autoritarismo del quale sentiva il peso anche in casa. In casa aveva un padre autoritario, molto violento. Non credo fosse fascista,ma era autoritario e violento e Sandro aveva maturato questa profonda avversione per l’autoritarismo. Credo che una volta fosse scappato di casa e fosse andato da una zia per sfuggire a questo padre violento e nell’estate del ‘44 aveva raggiunto i partigiani in Val d’Ossola. Noi abbiamo saputo che poco tempo dopo era stato intercettato da una pattuglia fascista, aveva cercato di fuggire e l’avevano ucciso. Questa lapide, come le altre qui raccolte, fanno parte di una ricognizione dei luoghi che hanno fatto di Milano la capitale della Resistenza, da cui partivano i partigiani per la montagna e in cui si sviluppavano le azioni dei Gap di Giovanni Pesce. Febbraio 2009 12/04/05 via emilio gola foto renzo chiesa Antonio Pizzinato Far vivere la memoria dei caduti per la libertà Una paziente ed intensa attività durata anni, percorrendo i luoghi del Milanese in cui si è combattuta la lotta di Liberazione, alla ricerca delle lapidi e dei cippi che ricordano i caduti partigiani, i deportati e tutti coloro che hanno sacrificato la vita per conquistare la libertà e la democrazia di cui oggi noi beneficiamo. Giovanni RUBINO ha visitato quartieri, vie, caseggiati, fabbriche… Ha riportato in evidenza i nomi sulle lapidi per consentire alle nuove generazioni di conoscere e “incontrare” la passione, il coraggio e l’impegno che videro protagonisti migliaia di donne, giovani,operai, intellettuali, caduti durante la lotta partigiana a Milano, capitale della lotta di Liberazione, città Medaglia d’oro della Resistenza al valor militare. Nel suo paziente lavoro, Giovanni Rubino si è fatto accompagnare da alcuni valenti fotografi e dal loro reportage per immagini è nata oggi una mostra bella e stimolante. Essa permette alle nuove generazioni di rivivere momenti importanti della storia del Novecento sollecitandole a studiare i valori e gli ideali della Resistenza implementati nella Costituzione. Un sentito ringraziamento, da parte dell’A.N.P.I., a Giovanni Rubino e a quanti hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro. Febbraio 2009 11/03/05 ripa di porta ticinese caselli p.le cantore foto gianni berengo gardin 01/05/07 loggia dei mercanti foto livio nepi 18/05/06 p.za enzo paci foto paola mattioli 15/12/05 p.za conciliazione foto giovanni ricci Cesare Colombo Un gesto silenzioso Su questo lavoro di Giovanni Rubino affiorano immediatamente diverse riflessioni. Cercherò di farne una breve sintesi. Si tratta anzitutto, come dice il tema, di un’azione fisica, e concettuale, che opera sul trascorrere del tempo; sui simboli-valori di una città, ieri vivi, e oggi all’apparenza perduti. Le lapidi ai caduti della Resistenza, collocate più di sessant’anni fa, alludono ad episodi di drammatico eroismo, ma anche ad emozioni e progetti che possono apparire obsoleti. Che sicuramente ormai sfuggono al ricordo ed alla coscienza dei cittadini più giovani, dei ragazzi che passano sotto, e amoreggiano sul marciapiede. Il marmo coperto di smog, le corone con le foglie secche, che le delegazioni Anpi ormai non riescono a sostituire… le stesse parole, moderatamente-correttamente ‘retoriche’ che le lapidi esibiscono, rischiano di perdere il loro senso comunicativo. E così il ricalco operato da Giovanni diventa il gesto rivelatore per un progetto non banale. Che vuole sottintendere una sorta di recupero di quelle parole, ma indica anche un modo rinnovato di scriverle. Un gesto silenzioso che prelude a modelli di memoria rinnovati, proprio perché non li enfatizza, non li vuole declamare. Ed ecco le fotografie, il video, tutto il lavoro di altri autori che a loro volta leggono a modo loro l’episodio, e chiudono – per ora – il cerchio. Se Giovanni Rubino, coi suoi gesti, sembra ripetere in forma rituale quei lontani sacrifici, volendo quasi recuperarli… suggerisce nel contempo, di fronte agli obbiettivi dei suoi amici, che il proprio intervento personale, nello svolgersi, si trasforma in qualcos’altro. Solo rivedendo – sotto angolazioni sempre diverse – quei gesti, collocandoli nei desolati spazi urbani di oggi, si può tentare la misura o la comprensione dell’odierno ‘contesto’ culturale. L’alienante quotidianità che oggi circonda quei segni di memoria, sembra averli letteralmente divorati. Proprio come i rovi selvatici coprono le tombe nei cimiteri abbandonati, qui il nuovo ‘arredo urbano’ fatto di plastica, ruggine, fessure, lesioni, poster, cavi ( senza più tensione ) assedia i rapidi gesti di Giovanni… Forse è giusto così. Quei nomi, quelle vite brutalmente distrutte – per ideali spesso traditi – rinasceranno forse dentro futuri modelli storici, diversissimi. Su muri nuovi, che noi non vedremo. Oggi l’importante, caro Giovanni, è non cancellare e non permettere che venga cancellato nulla. Ma rivedere, ricalcare, reinterpretare, rivivere tutto. Lungo tutti i marciapiedi delle nostre città. Lungo tutte le nostre piccole vite. Aprile 2007 9/04/06 campo giuriati foto cesare colombo 25/04/06 p.za conciliazione foto isabella balena Mario de Biasi Un mattino con l’artista in via Tortona Era il 2005 quando l’artista Giovanni Rubino dopo vari tentativi riuscì a convincermi a partecipare alla sua iniziativa FAREMEMORIA. L ‘incontro di lavoro avvenne in via Tortona. Subito, vedendolo prendere un pezzo di carta e una matita mi resi conto che la macchina fotografica non era l’ideale per documentare la bellezza della mano che con rapidità e con ritmo incalzante schizzava le foto dei due partigiani poste sulla lapide nel mentre che ricalcava le scritte in loro memoria. L’ideale sarebbe stato avere una macchina da presa e impressionare il rapido e straordinario movimento della matita. Alla fine mi sono accorto che Rubino, come se avesse letto nel mio pensiero,aveva lui utilizzato la macchina da presa.Ma non per riprendere sè stesso ma per documentare il gesto, la maniera, lo stile di noi fotografi mentre riprendevamo lui all’opera. E ho valutato appieno il sottile processo di lavoro. febbraio 2009 20/04/05 via tortona foto juliaan hondius 20/04/05 via tortona foto mario de biasi Giusi Busceti E’ una via crucis E’ una via crucis. Percorsa da Giovanni Rubino, volontario cireneo (volontario dell’arte, si definiva nel video su Serajevo) che, senza chiamate e costrizioni esterne, si vota – e Rubino lo fa da tutta la vita, non solo artistica – a seguire il percorso di chi non può evitare l’essenziale. Di chi lotta per vivere, ma sa anche giocare con la minima materia che resta agli ultimi – a chiunque consiglio di non perdersi il colpo di vita e di colore delle arance nel suo micro-video “Ritorno a Napoli” – per fare di qualsiasi giornata“’a bella jurnata” di un popolo che ha trasformato in gaiezza e canto ogni più tragica vicenda storica e personale. Questo è il suo specifico, la sua cifra artistica, la vocazione umana cui non sfugge neppure per un giorno. Il quotidiano, percorso sulle proprie gambe (in bicicletta), si fa icona di tutti coloro che la vita l’attraversano a piedi, senza sconti. Ed eccolo a costruire la propria figura in mezzo ai viventi, con la sua “divisa” nera, che concentra ogni colore e respinge qualsiasi fronzolo, con una matita e un notes su cui ritrae quanto deve balzare all’occhio, all’osso. Ma questa volta non è la bicicletta, né la prova d’un artista che si azzarda a infilarsi nei cunicoli scavati sotto una città bombardata. Qui l’essenziale è non dimenticare, e alla sua maniera: alle ossa. Così la matita deve toccare quest’ultima vita materiale, le “ultime lettere” di questi condannati a morte, eroi per forza o per coraggio; ultime lettere, però, della lingua del mondo sulle loro ossa: le lapidi. Le più dimenticate, dissimulate sotto un cartellone pubblicitario o dall’insegna di un ristorante. L’artista ne inventa un dies irae, un giorno della resurrezione, va a “scoprirle”, queste icone dell’addio: e ci conduce tutti con sè, a scoprirle. Rubino queste anime che vanno a morire le ha seguite. Ma attenzione: non come un tifoso davanti alla tv per guardare la squadra del cuore. Il tifo di Rubino per la Resistenza che ci consentì di scrivere la Costituzione non si fa alla finestra, ma è in prima persona: autentica atletica. Qui si vedrà la nobiltà dell’arte di darsi per seguire speranze in salita verso giorni immaginati migliori, almeno per gli altri, per chi resta in questo mondo. E dunque eccoli, tutti i movimenti di un Requiem, celebrato ora anche per i più oscuri caduti. Ecco le facce un po’ stupite o perplesse che guardano per le strade, che assistono a tutte le stazioni della via crucis laica ma colma di religiosa attenzione di Giovanni Rubino: svolte, portoni, strade ghiacciate dopo folta nevicata di città, fermate del bus e stazioni del metrò sono le tappe di un uomo che segue l’uomo, portando non la croce (che, quella, la portarono i caduti) ma la scala. Alta, pesante, ingombrante, imbarazzante, scomoda compagnia che fa da bordone a tutto il coro dei morti di quest’opera-video: che nessuno, più nessuno possa ignorarla, che tutti vengano un po’ infastiditi dalla sua immagine di durezza e spigolosità; che sia di scandalo, insomma, alla quiete pubblica: anche solo per la semplicità di un gesto – lo scendere e salire quella scala, come di chi sta costruendo una casa – che si fa rito, ossessivamente ripetuto, sempre uguale, fino allo sfinimento che a tratti coglie lo spettatore. Sfinimento che dura un attimo per noi ma , per chi si alza ogni mattina all’alba per salire su una impalcatura che a volte diventa il suo patibolo, tutta la vita. Fare memoria: sembra piatta una lapide, finche non ci trascini sopra una matita, che evidenzia tutti i rilievi, tutte le asperità, i nervi scoperti di tutti i nomi, direbbe Saramago, fisici della condizione umana, del corpo che non rifugge la morte. Fare memoria: non è solo un tributo artistico mettersi al fianco, condividere la sorte di chi scala il suo calvario. Non dimenticate quella scala, è la medesima che Rosso Fiorentino, Pontormo o Tintoretto appoggiano alla croce. Per aiutare “la deposizione” di quei corpi verso l’onore della sepoltura; e chi è sopravvissuto a ricevere tra le braccia il peso di un dono estremo che, raccolto da un testamento artistico, diventa memoria: ciò che non si cancella. marzo 2009 20/07/06 via san vigilio foto juliaan hondius 24/04/07 università statale foto angelo golizia 15/06/05 via s.spaventa foto fabrizio garghetti Giancarlo Majorino Eroi Le attività artistiche di Giovanni Rubino sono molteplici: pittura, performance, regia video, fotografia. Ma in tale molteplicità, permanente rimane l’indiscutibile qualità dell’artista, del pittore in particolare. E così pure nell’originale “copertura delle lapidi partigiane”, da lui effettuata nel 2005 e parzialmente poi rappresentata alla casa della poesia di Milano, Palazzina Liberty, con una riflessione di Giorgio Majorino su alcuni aspetti della guerra in città. L’operazione assume contemporaneamente diversi aspetti, modellata sul tipo delle neoforme nate e tuttora praticate negli USA. Scomponendo l’insieme, che in sé raggiunge (e sprigiona) esiti emozionali variati e densamente espressivi, possiamo riconoscere alcuni piani: quello del senso immediato, imprevedibile, scaturente dalle immagini, ciascuna di un fotografo prestigioso, naturalmente l’una diversa dall’altra, contribuendo così con suggestioni imprevedibili a creare un duplice spessore in rapporto con quanto Rubino compie; l’accadere dell’operazione stessa consistente nel ricalcare ogni lapide partigiana con foglio di carta che consenta il riporto tale e quale del testo ripreso; infine, la serie delle “rivisitazioni” contiene pure - non ne abbiamo ancora parlato - incisivi ricordi di Giovanni Pesce e della sua consorte, compagna di lotta e di vita Nori, due eroi della Resistenza, sulle loro temerarie imprese in quel drammatico ma vitale periodo. Concludendo, sottolineiamo l’attualità profonda e l’irradiazione simbolica e reale di un operare correttamente rappresentative di un’inconciliabile libertà generativa non integrabile. los angeles 2007 neoforme memoriali omaggio alla Lincoln Brigade nel 70.le della guerra di Spagna Luciano Ferrara la masseria pagliarone Sono passati alcuni giorni da quando sulla lapide della masseria Pagliarone, simbolo della Resistenza della nostra città all’aggressione nazi-fascista, è apparsa una svastica a coprire la targa commemorativa. Non è un caso: è in questo punto del Vomero che scoppiò la prima scintilla della Resistenza napoletana. Ada Murolo, classe 1924, racconta: “Era la fine del 1943, i tedeschi stavano rastrellando tutti i ragazzi. Questi scapparono, si rifugiarono nel Pagliarone, in via Belvedere, dove c’era un pozzo secco, tutti i ragazzi si nascosero lì. In seguito ad una soffiata, i tedeschi fecero un’incursione, costrinsero i ragazzi ad uscire dal pozzo e li fucilarono”. Qui, all’insaputa del resto della città, circa trecento combattenti avviarono la cacciata dei tedeschi, con poche armi, ma grande coraggio. Contadini, operai e popolani del Vomero Vecchio diedero a tutti il segnale che si poteva - e si doveva - resistere all’oppressore. Con questo gesto demente e vigliacco sono state offese quelle giornate nelle quali sono morti migliaia di napoletani (senza contare i rastrellati e i deportati in Germania, i morti di fame, di malattie e di bombardamenti causati da una guerra che il fascismo aveva fortemente voluto). Febbraio 2009 20/02/09 masseria pagliarone-napoli foto luciano ferrara Scampia - Piscinola Allievi del corso professionalizzante per i minori a rischio. 08/11/06 scampia foto fabio donato e pino miraglia Edoardo De Carli La storia nella pietra La nostra è un’epoca in cui sembrano tacere da una generazione all’altra i ricordi famigliari e la conoscenza della storia, lontana e recente; per questo forse si istituiscono “Giornate della memoria” ed iniziative simili, perché nei fatti c’è invece la tendenza ad ignorare il passato. E allora una decina di anni fa ho deciso di dedicarmi ad una raccolta di monumenti e lapidi creando per hobby il sito web www.chieracostui.com: magari chi non legge queste epigrafi sul posto le cerca in internet... E ho cominciato dalla mia città, Milano, dove ci si mette anche lo smog a cancellare scritte e sbriciolare pietre: sono nato nel 1945 e spesso osservo che lapidi mie coetanee o quasi mostrano i segni del tempo più pesantemente di quanto succeda a me. A Milano ho raccolto (finora) circa 350 targhe che commemorano personaggi della Resistenza o caduti nei lager nazisti; molti erano milanesi, molti venivano da fuori ma hanno combattuto a Milano o sono stati qui arrestati e deportati o uccisi; altri erano della città ma sono caduti altrove. Spesso sono gli amici o gli abitanti del quartiere che hanno voluto fossero ricordati. Quasi tutte le lapidi, infatti, hanno una sorta di anche minima “personalizzazione” del testo; nova agli affetti di un tessuto urbano. E questo dà più vitalità al ricordo; poco importa che talora ci siano imprecisioni grafiche (Mauthausen spesso scritto Mathausen, in un caso Maktausen; qualche nome di battesimo è storpiato) o cronologiche (in un paio di targhe è inesatto il giorno della morte) o di identificazione (ad es. confusione fra i Mantovani, Validio, Rotilio e Venerino). Importante è che quei nomi siano conservati e trasmessi alla storia, anche quando la loro conoscenza si limita a ciò che riporta la targa. Infatti non per tutti si riesce a raccogliere un corredo di notizie utili a ricostruire l’itinerario che li ha portati al sacrificio della vita. E purtroppo lamento queste lacune nonostante la cortesia della direttrice dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, che interpello continuamente e da cui ricevo tutto il sussidio possibile. In compenso comincio a ricevere qualche messaggio di discendenti dei personaggi commemorati, come nel caso di Salvatore Principato, che arricchiscono significativamente le informazioni disponibili, con tratti anche assolutamente inediti. Credo che questo piccolo archivio web non sia una fatica inutile: vedo che anche artisti lo usano per le loro performance, come Giovanni Rubino con il suo “Show della memoria” o Giulio Iacchetti con i suoi “Piedi della memoria”. Ma forse lo vedo anche nello slancio con cui diversi comuni italiani in questi ultimi anni si sono messi a ripulire le loro lapidi commemorative: voglio immaginare che lo abbiano deciso vedendo sul mio sito le fotografie che bollavano le condizioni di abbandono in cui prima si trovavano. Giovanni Rubino nato a Napoli nel 1938, allattato culturalmente a Pompei, vive a Milano ha sempre creduto che oltre ad un’arte autonoma esista un’arte sociale, immersa cioè nei grandi momenti sociali, cioè nella Storia. C’è un filo rosso che lega i suoi interventi: i momenti significativi, significanti dello sviluppo dell’uomo, a cui l’artista non si è negato, partecipando in prima persona alle varie situazioni di lotta ed esprimendole poi attraverso opere pittoriche e video, tendenti a cogliere in diretta le dinamiche vissute. Ed allora: 1 - L’occupazione del Teatro Municipale di Reggio Emilia nell’autunno del ‘ 67 con Corrado Costa poeta e Marc’O regista e situazionista francese, in nome della libertà della cultura. 2 - L’azione al Petrolchimico di Marghera nel ‘71:”MORTEDISON” sull’inquinamento e la condizione operaia, realizzato con gli operai dell’ Assemblea Autonoma di Porto Marghera. Presentata poi alla Biennale di Venezia del ‘76. 3 - ”SMONTEDISON” nel ‘75 sullo smantellamento delle fabbriche. 4 - L’organizzazione insieme a Gigliola Rovasino gallerista e a Corrado Costa poeta della “Mostra Incessante per il Cile” contro Pinochet, che durò finchè non fu ristabilita la democrazia in quel paese nel ‘77; la mostra coinvolse molti artisti italiani. 5 - Negli stessi anni la formazione del Collettivo Artisti Autonomi di porta Ticinese per interventi grafico-pittorici in sostegno delle lotte sociali. 6 - Murales sul tema dell’ autoriduzione dei prezzi “Il manzo aumenta, mangiamo Agnelli” nel ‘76. 7 - 2 grandi tele satiriche su Agnelli,realizzate con il collettivo, esposte alla Quadriennale di Roma del ‘76 8 - Murales a Gioiosa Jonica ( R.C.) per l’assassinio di Rocco Gatto contro la ‘Ndrangheta restaurato poi da Rubino nel 2008. 9 - Nel ‘93 contro l’attentato mafioso al P.A.C. la Galleria di Arte Moderna di Milano in via Palestro. 10 - Nel ‘95 a Sarajevo durante l’assedio. 11 - Nel ‘97 in Albania durante lo sbarco della NATO. 12 - Nel 2004 a Kiev per la “rivoluzione arancione” 13 - Nel maggio 2005 in Israele nei territori che passeranno ai palestinesi. E’ parte integrante del suo lavoro la realizzazione di molti video documentaristico/creativi: 1991 - ”Vendere cara la pelle” su manipulite 1993 - ”La calda estate del 43” sul P.A.C. 1995 - ”Io volontario dell’Arte a Sarajevo” 1996 - ”Capodanno a Sarajevo” 1997 - ”Sbarco a Durazzo” 1997 - ”Corpo di Guerra” 2005 - ”Capodanno a Kiev” Ha realizzato vari foto/libri in collaborazione con Corrado Costa: 1970 - ”Le apparizioni o La preghiera Infinita” 1970 - ”MAOGRAD” 1971 - ”MORTEDISON” 1974 - ”Eruzione,Erosione,Muntagna è Sfizio” 26/02/09 via viviani foto enrico cattaneo