La Tigre bianca Re:La Tigre bianca

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La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/05 10:36
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http://img207.imageshack.us/img207/6129/latigrebiancawd9.jpg
ADN KRONOS
14 OTTOBRE 2007
Un esemplare non deforme vale fino a 60mila dollari
La tigre bianca, un business crudele
La denuncia dell'associazione no profit BigCatRescue: ''Sono un'aberrazione allevata artificialmente e fatte riprodurre da
alcuni zoo, allevatori privati e da alcuni circhi per ragioni economiche. Possono esistere solo in cattività grazie a continui
incroci tra consanguinei, con conseguenti difetti genetici e morti premature''
Milano, 14 ott. (Adnkronos/Ign) - E' bella, grande e magica. La tigre bianca è un animale che colpisce la fantasia, attrae
visitatori negli zoo e nei parchi e viene usata anche in Italia negli spot pubblicitari. Ma il grande felino dal manto candido
striato di nero, contrariamente a quel che comunemente si pensa, non è affatto un raro animale costantemente a rischio
di estinzione. E' invece il prodotto di un business lucroso e non privo di crudeltà. A denunciarlo è l'associazione no profit
statunitense BigCatRescue (http://www.bigcatrescue.org), gestore di una grande riserva a Tampa, in Florida, che ospita
grandi felini nati in cattività.
Le tigri bianche, spiega l'associazione, possono esistere solo in cattività grazie a continui incroci tra consanguinei, come
tra padre e figlia, fratello e sorella, madre e figlio e così via. Le tigri bianche, i leoni bianchi e le tigri dorate (golden tabby
tigers) sono solo un prodotto di questa pratica di incrocio: non vengono allevati per alcun programma di conservazione
della specie. Tutte le tigri bianche, continua l'ong, hanno gli occhi storti, che sia evidente o meno, perché il gene che
causa la pelliccia bianca provoca sempre anche la connessione del nervo ottico con la parte sbagliata del cervello.
"E' questo - continua BigCatRescue - il motivo per cui le tigri bianche sono le preferite da chi sogna di essere un
domatore di tigri: sono molto più dipendenti dal loro padrone. Il mito della rara tigre bianca del Bengala è un'illusione
mirata ad ingannare il pubblico, perché si pensi che questi felini siano in pericolo. La realtà è che non sono nemmeno tigri
del Bengala pure, ma sono tutte frutto di un incrocio originario tra una tigre del Bengala e una tigre siberiana. Come
risultato degli incroci tra consanguinei si hanno difetti genetici, morti premature, nascita di cuccioli morti. I felini non sono
molto brillanti, caratteristica che è il motivo per cui vengono preferiti per scopi di intrattenimento".
Tutte le tigri bianche oggi esistenti derivano da pochi progenitori. La prima ad essere allevata in cattività di cui si abbia
notizia è un giovane maschio catturato nel 1951 in India, cresciuto e poi incrociato con una delle sue figlie dal maharajah
che lo aveva catturato. Negli Usa, derivano tutte da un maschio di tigre siberiana e una femmina di tigre del Bengala,
entrambe portatrici del gene recessivo, allevate in un piccolo zoo del South Dakota. Le tigri bianche possono
sopravvivere solo in cattività. In natura, riescono a restare in vita molto raramente, poiché il manto candido annulla il
mimetismo naturale indispensabile a questi grandi felini per predare con successo.
In natura, quindi, sono estremamente rare, poiché entrambi i genitori devono essere portatori del gene recessivo: il
normale comportamento delle tigri allo stato selvatico impedisce l'accoppiamento tra consanguinei necessario a produrre
tigrotti candidi.
L'ong, che dedica un'ampia sezione del sito a smascherare il mito della tigre bianca, cita Ron Tilson, direttore del
Minnesota Zoo e amministratore del Tiger Species Survival Plan: "I proprietari delle tigri bianche dicono che sono animali
molto popolari per le esibizioni e che aumentano il pubblico degli zoo e anche i ricavi. Idem dicasi per la propagazione
selettiva di leoni bianchi, ghepardi reali (king cheetah, un ghepardo dal manto a chiazze più grandi di quello comune,
ndr) e altri fenotipi animali aberranti''. Le tigri bianche, continua Tilson, "sono un'aberrazione allevata artificialmente e
fatte riprodurre da alcuni zoo, allevatori privati e da alcuni circhi per ragioni economiche, più che di conservazione della
specie".
Su quattro tigrotti nati dall'incrocio tra una tigre bianca e una tigre arancione portatrice del gene bianco, solo uno nasce
bianco. I cuccioli arancioni vengono spesso venduti, oppure uccisi. L'80% della figliata, spiega BigCatRescue, muore per
difetti legati all'incrocio tra consanguinei (inbreeding). Tra quelli che sopravvivono, la maggior parte è affetta da difetti
talmente gravi alla nascita (immunodeficienza, scoliosi della spina, palato fesso, handicap mentali e occhi storti) che solo
una piccola percentuale può essere mostrata al pubblico. Le tigri bianche che sopravvivono sono spesso soggette a morte
precoce: secondo alcuni allevatori, continua BigCatRescue, "solo una su trenta può esibirsi in modo accettabile davanti al
pubblico. Il numero di tigri che deve essere prodotto per soddisfare il desiderio del pubblico di vedere le tigri bianche è
sorprendente".
Chi riesce ad allevare una tigre bianca che non abbia evidenti handicap esteriori e che possa quindi essere mostrata ai
visitatori paganti degli zoo, però, può guadagnare molto bene: un esemplare sul mercato, informa l'associazione, valeva
fino a qualche anno fa intorno ai 60mila dollari, 42.300 euro circa al cambio attuale.
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Re:La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/05 10:38
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La sfortunata
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Re:La Tigre bianca
Postato da francesca - 2008/08/05 12:29
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infatti gli zoo vanno tutti chiusi, che vuol dire andare a vedere gli animali in gabbia con il bambino moccicoso per mano al
quale interessa solo tirare sassi alle scimmie per farle arrabbiare, prima in gabbia ci mettevano anche i neri e la donna
barbuta, ora non si fa più , è un concetto quello dell'andare allo zoo a vedere le bestie feroci che rispecchia un'etica
ottocentesca, della "bestia" per far divertire l'uomo (!)abbasso zoo e circhi con animali, non ci andate e non ci portate i
bambini (che non ne hanno bisogno proprio!)
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Re:La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/05 19:08
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I DELETERI EFFETTI DELL'INBREEDING NELL'ALLEVAMENTO FELINO
Cercherò in quest’articolo di spiegare perché la pratica dell’inbreeding ha, anche da un punto di vista scientifico, effetti
sempre deleteri, che si acutizzano particolarmente nelle specie animali dove gli allevatori, con l’errata idea di
salvaguardare le proprie linee di sangue, mettono in atto tutta una serie di strategie, che non fanno altro che
danneggiare le stesse linee di sangue, oltre che il patrimonio genetico dell’intera razza di gatti da essi allevati.
L’inbreeding è una pratica allevatoriale molto nota e anche molto utilizzata in passato, quando l’allevamento si basava
soprattutto su nozioni tramandate da una generazione all’altra, fondate più su nozioni empiriche che scientifiche.
Considerate che i primi studi scientifici in campo genetico furono condotti da Mendel, un monaco cecoslovacco, solo a
partire dalla seconda metà del 1800; il concetto di gene, fu invece introdotto solo nel 1910. L’allevamento selettivo da
parte dell’uomo è stato praticato fin dalla preistoria, quando l’uomo da cacciatore raccoglitore, divenne agricoltore e
allevatore.
Molti allevatori continuano a commettere errori in buona fede, perché si ostinano ad allevare, utilizzando dei metodi che
la genetica moderna considera deleteri per le specie che si allevano, siano essi polli, cavalli, maiali, cani o gatti. Inoltre
gli effetti deleteri dell’inbreeding, non sono spesso immediatamente visibili sulla prima generazione di cuccioli che si
ottiene, ma si evidenziano sulle generazioni successive, quando il danno è già così esteso da diventar poi difficile da
combattere. Quest’aspetto dell’allevamento, è stato notato anche per via empirica, dai vecchi allevatori molto esperti i
quali, infatti, ricorrevano all’inbreeding di rado.
Si parla d’inbreeding per descrivere la pratica di far accoppiare tra di loro soggetti strettamente imparentati. Tale pratica
però non avvantaggia la variabilità genetica dei soggetti ottenuti. Se da un lato essa rappresenta una valida scorciatoia per
fissare nel patrimonio genetico della razza alcune caratteristiche, dall’altro aumenta esponenzialmente (tanto più i
soggetti sono strettamente imparentati tra loro), la possibilità di rendere evidenti anche caratteristiche negative. Questo
perché se nel DNA dei genitori vi sono delle tare genetiche recessive latenti (perché in forma eterozigote), il successivo
re incrocio di questi soggetti tra loro, può rendere questi difetti omozigoti, quindi evidenti e manifesti anche se recessivi.
Generalmente si tende a sottovalutare questo concetto della genetica, perché si ritiene di essere esenti da inbreeding,
semplicemente perché non si fanno accoppiare tra loro soggetti troppo strettamente collegati, ma non è così. Soprattutto
quegli allevatori che si vantano di allevare ricercatissime linee di sangue, sono soggetti a una forma d’inbreeding,
determinata dalla stretta affinità genetica dei soggetti utilizzati.
Questa forma d’inbreeding è calcolata tramite un parametro che si chiama: coefficiente d’inbreeding (COI). Questo
coefficiente calcola il numero di loci omozigoti, dovuto a strette affinità tra genitori. Per fare dei semplici esempi: se i
riproduttori sono genitore figlio o fratello e sorella, la loro percentuale di loci omozigoti è pari al 25%; l’accoppiamento tra
fratellastri da origine al 12,5% di loci omozigoti, stessa percentuale si ottiene accoppiando nonno nipote; l’accoppiamento
tra cugini genera una % di loci omozigoti pari al 6,5%. I genetisti calcolano che il 6,5% di omozigosi sia il limite massimo
tollerabile in una popolazione, per essere relativamente protetta da un’alta percentuale di nascite con tare genetiche. Il
fatto è, che un COI anche più elevato di questa percentuale, è facilmente riscontrabile anche in quei soggetti non
necessariamente ibridati tra loro, ma provenienti comunque da linee di sangue strettamente affini tra loro.
Oltre a causare un generale impoverimento del patrimonio genetico, l’inbreeding crea anche notevoli problemi al sistema
immunitario, rendendo i soggetti nati da tale pratica più facilmente soggetti a malattie di ogni sorta, poiché ereditando un
sistema immunitario meno vario, esso è più sensibile ad attacchi esterni. Il sistema immunitario in un gatto è
semplicisticamente rappresentato dai linfociti T e B. I primi agiscono sulle cellule direttamente infettate, essi intervengono
quando è in corso una risposta immunitaria dell’organismo sia cellulo-mediata, sia anticorpale da parte di attacchi esterni;
inoltre hanno il compito di distruggere un eventuale eccesso di anticorpi. I linfociti B producono letteralmente anticorpi,
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ossia quelle armi molecolari biologiche, che hanno il compito di identificare e aderire su eventuali aggressori esterni
all’organismo. E’ ovvio che un limitato corredo genetico di un soggetto derivante da incrocio tra affini, generi anche un
limitato sistema immunitario. E’ bene anche sapere che, scarsa fertilità sia dei maschi sia delle femmine, basso tasso di
natalità dovuto a un riassorbimento dei feti, la nascita elevata di cuccioli morti, segni di schizofrenia o di un
comportamento eccessivamente irritabile, sono tutte sintomatologie secondarie da ricondurre in moltissimi casi a una
forma d’inbreeding. Siamo certi di voler allevare cuccioli da best in expo a costo di tutto ciò?
A peggiorare ulteriormente questo già funesto quadro della situazione, intervengono anche tutti i concetti ai quali facciamo
riferimento nell’articolo successivo ( almeno così come appare pubblicato sul blog), dove abbiamo già discusso di
popolazione effettiva, di frequenza genetica e di deviazione genetica casuale. Questo è oltretutto tanto più vero quanto
più piccola ed ibridata è la popolazione che stiamo studiando. Come? Facciamo una semplice supposizione e vediamo
come potrebbero essere andate le cose per una famosa malattia genetica dei gatti persiani, la PKD.
La malattia è sicuramente iniziata come una normale mutazione genetica, avvenuta molti anni fa e che, supponiamo, si
sia verificata in un gatto maschio morto all’età di circa 7-8 anni, ovvero l’aspettativa di vita media di un gatto affetto da
questa malattia. Durante la sua vita, il maschio si è normalmente riprodotto, generando, all’insaputa del suo allevatore,
dei gatti affetti da PKD. Ora se ciò fosse avvenuto in una popolazione molto ampia, con libera circolazione genetica fra i
vari soggetti facenti parte di questa popolazione, malgrado tutti i cuccioli affetti da tale problema, a fronte dell’ ampio
numero di gatti che costituiscono la popolazione, la frequenza genetica con la quale la malattia si sarebbe manifestata,
sarebbe rimasta comunque molto bassa, addirittura sarebbe potuto casualmente avvicinarsi allo 0% e scomparire, se
supponiamo si fosse verificata una deviazione casuale al ribasso. Dal momento che tutto ciò non si è verificato,
supponiamo ancora di cominciare a fare selezione contro il gene, non appena appurata la presenza della malattia,
continuando a ricorrere al maggior numero di esemplari disponibili. Anche in questo caso, soprattutto se aiutati da un
pizzico di fortuna, si sarebbe potuto tenere la frequenza genetica di questa malattia molto bassa. Invece, gli allevatori di
persiano presero coscienza in ritardo della malattia, la quale, presentandosi in una popolazione di riproduttori non così
ampia come sembra, a causa anche di una deviazione casuale che, invece di diminuire la frequenza genetica, incrementò
la stessa nei primi anni di diffusione del morbo, ha portato l’attuale diffusione della PKD nel persiano ad una percentuale
stimata di circa il 35% - 38%.
La risposta a queste complesse tematiche da parte di molti seri ed affermati allevatori, continua ad essere l’empirico
rilascio di pedigree NFB, questo perché a loro modo di vedere si salvaguarda così la specie da molti inesperti colleghi,
che iniziano ad allevare.
Quando le associazioni feline capiranno finalmente che con questa pratica non si salvaguarda un bel niente, si potrà
ricominciare a far circolare liberamente il patrimonio genetico di ogni singolo gatto appartenente ad una qualsiasi specie,
all’interno della razza, la sola condizione valida secondo molti seri genetisti ai problemi delle malattie genetiche, così
frequenti nei nostri amici felini, unitamente all’uso in allevamento di soggetti i più sani possibile.
Anna e Pino
(li voglioooooo):P
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Re:La Tigre bianca
Postato da cyberex - 2008/08/05 19:32
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nuvola ha scritto::
I DELETERI EFFETTI DELL'INBREEDING NELL'ALLEVAMENTO FELINO
Cercherò in quest’articolo di spiegare perché la pratica dell’inbreeding ha, anche da un punto di vista scientifico, effetti
sempre deleteri, che si acutizzano particolarmente nelle specie animali dove gli allevatori, con l’errata idea di
salvaguardare le proprie linee di sangue, mettono in atto tutta una serie di strategie, che non fanno altro che
danneggiare le stesse linee di sangue, oltre che il patrimonio genetico dell’intera razza di gatti da essi allevati.
L’inbreeding è una pratica allevatoriale molto nota e anche molto utilizzata in passato, quando l’allevamento si basava
soprattutto su nozioni tramandate da una generazione all’altra, fondate più su nozioni empiriche che scientifiche.
Considerate che i primi studi scientifici in campo genetico furono condotti da Mendel, un monaco cecoslovacco, solo a
partire dalla seconda metà del 1800; il concetto di gene, fu invece introdotto solo nel 1910. L’allevamento selettivo da
parte dell’uomo è stato praticato fin dalla preistoria, quando l’uomo da cacciatore raccoglitore, divenne agricoltore e
allevatore.
Molti allevatori continuano a commettere errori in buona fede, perché si ostinano ad allevare, utilizzando dei metodi che
la genetica moderna considera deleteri per le specie che si allevano, siano essi polli, cavalli, maiali, cani o gatti. Inoltre
gli effetti deleteri dell’inbreeding, non sono spesso immediatamente visibili sulla prima generazione di cuccioli che si
ottiene, ma si evidenziano sulle generazioni successive, quando il danno è già così esteso da diventar poi difficile da
combattere. Quest’aspetto dell’allevamento, è stato notato anche per via empirica, dai vecchi allevatori molto esperti i
quali, infatti, ricorrevano all’inbreeding di rado.
Si parla d’inbreeding per descrivere la pratica di far accoppiare tra di loro soggetti strettamente imparentati. Tale pratica
però non avvantaggia la variabilità genetica dei soggetti ottenuti. Se da un lato essa rappresenta una valida scorciatoia per
fissare nel patrimonio genetico della razza alcune caratteristiche, dall’altro aumenta esponenzialmente (tanto più i
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soggetti sono strettamente imparentati tra loro), la possibilità di rendere evidenti anche caratteristiche negative. Questo
perché se nel DNA dei genitori vi sono delle tare genetiche recessive latenti (perché in forma eterozigote), il successivo
re incrocio di questi soggetti tra loro, può rendere questi difetti omozigoti, quindi evidenti e manifesti anche se recessivi.
Generalmente si tende a sottovalutare questo concetto della genetica, perché si ritiene di essere esenti da inbreeding,
semplicemente perché non si fanno accoppiare tra loro soggetti troppo strettamente collegati, ma non è così. Soprattutto
quegli allevatori che si vantano di allevare ricercatissime linee di sangue, sono soggetti a una forma d’inbreeding,
determinata dalla stretta affinità genetica dei soggetti utilizzati.
Questa forma d’inbreeding è calcolata tramite un parametro che si chiama: coefficiente d’inbreeding (COI). Questo
coefficiente calcola il numero di loci omozigoti, dovuto a strette affinità tra genitori. Per fare dei semplici esempi: se i
riproduttori sono genitore figlio o fratello e sorella, la loro percentuale di loci omozigoti è pari al 25%; l’accoppiamento tra
fratellastri da origine al 12,5% di loci omozigoti, stessa percentuale si ottiene accoppiando nonno nipote; l’accoppiamento
tra cugini genera una % di loci omozigoti pari al 6,5%. I genetisti calcolano che il 6,5% di omozigosi sia il limite massimo
tollerabile in una popolazione, per essere relativamente protetta da un’alta percentuale di nascite con tare genetiche. Il
fatto è, che un COI anche più elevato di questa percentuale, è facilmente riscontrabile anche in quei soggetti non
necessariamente ibridati tra loro, ma provenienti comunque da linee di sangue strettamente affini tra loro.
Oltre a causare un generale impoverimento del patrimonio genetico, l’inbreeding crea anche notevoli problemi al sistema
immunitario, rendendo i soggetti nati da tale pratica più facilmente soggetti a malattie di ogni sorta, poiché ereditando un
sistema immunitario meno vario, esso è più sensibile ad attacchi esterni. Il sistema immunitario in un gatto è
semplicisticamente rappresentato dai linfociti T e B. I primi agiscono sulle cellule direttamente infettate, essi intervengono
quando è in corso una risposta immunitaria dell’organismo sia cellulo-mediata, sia anticorpale da parte di attacchi esterni;
inoltre hanno il compito di distruggere un eventuale eccesso di anticorpi. I linfociti B producono letteralmente anticorpi,
ossia quelle armi molecolari biologiche, che hanno il compito di identificare e aderire su eventuali aggressori esterni
all’organismo. E’ ovvio che un limitato corredo genetico di un soggetto derivante da incrocio tra affini, generi anche un
limitato sistema immunitario. E’ bene anche sapere che, scarsa fertilità sia dei maschi sia delle femmine, basso tasso di
natalità dovuto a un riassorbimento dei feti, la nascita elevata di cuccioli morti, segni di schizofrenia o di un
comportamento eccessivamente irritabile, sono tutte sintomatologie secondarie da ricondurre in moltissimi casi a una
forma d’inbreeding. Siamo certi di voler allevare cuccioli da best in expo a costo di tutto ciò?
A peggiorare ulteriormente questo già funesto quadro della situazione, intervengono anche tutti i concetti ai quali facciamo
riferimento nell’articolo successivo ( almeno così come appare pubblicato sul blog), dove abbiamo già discusso di
popolazione effettiva, di frequenza genetica e di deviazione genetica casuale. Questo è oltretutto tanto più vero quanto
più piccola ed ibridata è la popolazione che stiamo studiando. Come? Facciamo una semplice supposizione e vediamo
come potrebbero essere andate le cose per una famosa malattia genetica dei gatti persiani, la PKD.
La malattia è sicuramente iniziata come una normale mutazione genetica, avvenuta molti anni fa e che, supponiamo, si
sia verificata in un gatto maschio morto all’età di circa 7-8 anni, ovvero l’aspettativa di vita media di un gatto affetto da
questa malattia. Durante la sua vita, il maschio si è normalmente riprodotto, generando, all’insaputa del suo allevatore,
dei gatti affetti da PKD. Ora se ciò fosse avvenuto in una popolazione molto ampia, con libera circolazione genetica fra i
vari soggetti facenti parte di questa popolazione, malgrado tutti i cuccioli affetti da tale problema, a fronte dell’ ampio
numero di gatti che costituiscono la popolazione, la frequenza genetica con la quale la malattia si sarebbe manifestata,
sarebbe rimasta comunque molto bassa, addirittura sarebbe potuto casualmente avvicinarsi allo 0% e scomparire, se
supponiamo si fosse verificata una deviazione casuale al ribasso. Dal momento che tutto ciò non si è verificato,
supponiamo ancora di cominciare a fare selezione contro il gene, non appena appurata la presenza della malattia,
continuando a ricorrere al maggior numero di esemplari disponibili. Anche in questo caso, soprattutto se aiutati da un
pizzico di fortuna, si sarebbe potuto tenere la frequenza genetica di questa malattia molto bassa. Invece, gli allevatori di
persiano presero coscienza in ritardo della malattia, la quale, presentandosi in una popolazione di riproduttori non così
ampia come sembra, a causa anche di una deviazione casuale che, invece di diminuire la frequenza genetica, incrementò
la stessa nei primi anni di diffusione del morbo, ha portato l’attuale diffusione della PKD nel persiano ad una percentuale
stimata di circa il 35% - 38%.
La risposta a queste complesse tematiche da parte di molti seri ed affermati allevatori, continua ad essere l’empirico
rilascio di pedigree NFB, questo perché a loro modo di vedere si salvaguarda così la specie da molti inesperti colleghi,
che iniziano ad allevare.
Quando le associazioni feline capiranno finalmente che con questa pratica non si salvaguarda un bel niente, si potrà
ricominciare a far circolare liberamente il patrimonio genetico di ogni singolo gatto appartenente ad una qualsiasi specie,
all’interno della razza, la sola condizione valida secondo molti seri genetisti ai problemi delle malattie genetiche, così
frequenti nei nostri amici felini, unitamente all’uso in allevamento di soggetti i più sani possibile.
Anna e Pino
(li voglioooooo):P
Qui non stiamo parlando tanto di inbreeding... quanto di ignoranza e pessime pratiche allevatoriali.
Quindi mi chiedo... se (cito) "Molti allevatori continuano a commettere errori in buona fede, perché si ostinano ad
allevare, utilizzando dei metodi che la genetica moderna considera deleteri per le specie " (e sulla buona fede avrei
qualcosa da ridire) per quale sacro santa ragione dovrei io vendere tutti i miei cuccioli For Breed? :blink:
Per aiutarli a rovinare anche quelle poche linee pulite e sane che ci sono in giro? :whistle:
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Generato: 11 June, 2017, 05:41
Direi che non fa una piega :laugh:
Se questo è ciò che tu pensi... ok... c'è libertà di pensiero :P
Io credo continuerò a lavorare e selezionare con quella decina di allevamenti che non si "ostina ad allevare commettendo
errori in buona o cattiva fede" ma che SA quello che fa e che cerca sempre e cmq di anteporre la salute a tutto il resto :P
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Re:La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/05 22:38
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L articolo parla di gatti in buona salute e testassimi con avi conosciuti e in buona salute.
Se cosi è, perchè no?
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Re:La Tigre bianca
Postato da cyberex - 2008/08/05 22:57
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nuvola ha scritto::
L articolo parla di gatti in buona salute e testassimi con avi conosciuti e in buona salute.
Se cosi è, perchè no?
Di tutti coloro che si definiscono allevatori, e allevano, quanti credi abbiano gatti in buona salute, testatissimi e abbiano
anche un'approfondita conoscenza degli avi che compaiono nei pedigree dei loro gatti?
Secondo me pochi...
Quanti ne sono coscienti e si impegnano a imparare, studiare e selezionare andandoci con i piedi di piombo?
Ancora meno...
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Re:La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/05 23:10
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Omamma Cybe, a dire il vero io pensavo fossero in pochi, per come la dici tu è ancora più grave,,, se ci penso io che
non sono nessuno... gli altri ci dovrebbero pensare molto molto più di me
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Re:La Tigre bianca
Postato da TAROT - 2008/08/05 23:44
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Ammettendo che sono stupende e lo sono!...direi che l'uomo ormai ha speculato su tutto ma proprio tutto ....in nome di
che cosa?? dell'etica ?...della prosecuzione o la conservazione della specie??...magari!...il "non avrai altro Dio all'infuori
di me" si e' trasformato in "il Dio Denaro"
ED E' ANCHE PER QUESTO CHE IL PIANETA PIAN PIANO CI STA RESTITUENDO CON I DOVUTI INTERESSI
QUELLO CHE NEGLI ANNI ABBOIAMO SEMINATO!
che squallore! ,,ma non era meglio che i dinosauri continuassero nella loro scala evolutiva invece di estinguersi del tutto?
..scusate la mia sincera amarezza!:(
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Generato: 11 June, 2017, 05:41
Re:La Tigre bianca
Postato da vr045180 - 2008/08/06 08:38
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nuvola ha scritto::
Omamma Cybe, a dire il vero io pensavo fossero in pochi, per come la dici tu è ancora più grave,,, se ci penso io che
non sono nessuno... gli altri ci dovrebbero pensare molto molto più di me
infatti per come la penso io, io collaboro solo con chi ritengo abbia gatti, testa e conoscenza per portare avanti quel
progetto.
Alla fine ognuno a modo suo fa le stesse cose che tu hai elencato...
La differenza è che c'è chi cede tutti i cuccioli fb a chiunque, e chi cede solo i cuccioli a suo dire più meritevoli alle
persone di cui si fida!
Perchè cedere un cucciolo fb è anche avere grosse responsabilità e non lavarsi le mani dopo la vendita!
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Re:La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/06 09:31
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Vr, tutto quello che era da dire è stato detto, ora sarà la coscienza personale di allevatori e privati, sperando come sempre
si segua la soluzione migliore per l animale, che poi è un concetto esteso a tutto il resto della vita.
Questo non è il forum adatto, però vorrei farti una domanda, come mai i gatti che allevi tu e altri tipi di gatti (esotici,
siamesi ecc..ecc..)
sono cosi poco conosciuti?
Non ne vedo nelle case, eppure sono cosi belli e particolari e se non avessi visto fotografie o non fossi andata in expo
mai li avrei visti.
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Re:La Tigre bianca
Postato da cyberex - 2008/08/06 09:43
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nuvola wrote:
Questo non è il forum adatto, però vorrei farti una domanda, come mai i gatti che allevi tu e altri tipi di gatti (esotici,
siamesi ecc..ecc..)
sono cosi poco conosciuti?
Non ne vedo nelle case, eppure sono cosi belli e particolari e se non avessi visto fotografie o non fossi andata in expo
mai li avrei visti.
Posso rispondere anche io? :silly:
Forse è perchè CMQ il devon rex è un gatto molto molto particolare e moltissima gente preferisce gatti con un aspetto
più... come dire... da gatto? :P
Molti non apprezzano nemmeno l'idea di avere un esserino maniacale, appiccicoso e lunatico con cui condividere le
proprie giornate. Se poi quell'esserino ha anche poco pelo e la testolina che assomiglia a quella di E.T....
Il devon è una di quelle razze in cui la maggior parte degli allevatori da cuccioli FB... un po' tutti... a standard, non a
standard.. sani o meno... il risultato è che ci sono moltissimi cuccioli che del devon rex hanno solo il pelo riccio!
Ma a quanto pare hanno cmq "mercato"... speriamo non propongano la creazione di una nuova razza... l'European Rex
:laugh:
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Re:La Tigre bianca
Postato da nuvola - 2008/08/06 09:53
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grazie della risposta, stavo giusto giusto guardando il tuo sito:laugh:
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Generato: 11 June, 2017, 05:41
Re:La Tigre bianca
Postato da vr045180 - 2008/08/06 10:02
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nuvola ha scritto::
Vr, tutto quello che era da dire è stato detto, ora sarà la coscienza personale di allevatori e privati, sperando come sempre
si segua la soluzione migliore per l animale, che poi è un concetto esteso a tutto il resto della vita.
Questo non è il forum adatto, però vorrei farti una domanda, come mai i gatti che allevi tu e altri tipi di gatti (esotici,
siamesi ecc..ecc..)
sono cosi poco conosciuti?
Non ne vedo nelle case, eppure sono cosi belli e particolari e se non avessi visto fotografie o non fossi andata in expo
mai li avrei visti.
come ti ha risposto cyber è proprio perchè è una razza molto molto particolare.. sia nell'aspetto che nel carattere....
Gli esotici cmq li trovi ovunque, ono diffusi quanto i maine!
ma il 90% degli allevamenti in italia di devon rex vende cuccioli fb senza alcun problema.. quindi non è un problema di
diffusione della razza ma un problema di gusti...
e così come i devon la stessa cosa vale per gli sphynx orientali e tutti i gatti con un carattere non indipendente e molto
appicicosi!
Forse Nuvola tu non sei da molto in questo ambiente se speri ancora nella coscienza di qualcuno.... io mi sono disillusa
molto tempo fa!
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