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Maurizio GUAITOLI
La politica della new economy
CULTURA
Nello scenario complesso delle politiche economiche, la new economy si
accredita quale terza via tra capitalismo e welfare democracy, strumento, quest’ultimo, attraverso cui le socialdemocrazie europee hanno stratificato, nel corso di
alcuni decenni, a partire dal Secondo Dopoguerra, l’intervento dello Stato, sia nell’economia, sia nelle forme fondamentali di assistenza e di prestazioni di servizi
pubblici al cittadino (sanità, previdenza, occupazione, formazione scolastica ed
universitaria). In Italia, il ruolo e la estensione a tutto campo, che hanno contraddistinto l’intervento dello Stato, non hanno, tuttavia, favorito lo sviluppo di servizi pubblici efficienti, malgrado le notevoli risorse che sono state destinate a tale
scopo, producendo effetti fortemente negativi, sui livelli del debito pubblico,
giunto, attualmente, alla soglia dei due milioni e mezzo di miliardi.
Esistono, ancora oggi, notevoli rigidità e condizionamenti sociali, riferibili
ad una forte presenza sindacale, più orientata alla difesa degli attuali livelli occupazionali e poco propensa ad accogliere l’invito della controparte industriale ad
introdurre sufficienti aliquote di flessibilità, sul mercato del lavoro, che avvicini il
nostro Paese al modello USA, visti i risultati conseguiti, nell’ultimo decennio, dall’economia americana, in grado di assicurare, almeno come linea di tendenza, la
piena occupazione. I vincoli esistenti, tuttavia, potrebbero essere attenuati o
rimossi dall’incedere impetuoso ed inarrestabile dei nuovi modelli di sviluppo,
sostenuti da una visione fortemente liberista del mercato, destinata a soppiantare,
senza alcun passaggio intermedio, il regime precedente, fondato sulla tutela oligopolistica delle grandi famiglie nonché sull’intervento massivo dello Stato (attraverso le mille articolazioni del sistema parastatale, IRI compreso, per la copertura
dei mercati bancari, assicurativi ed industriali), per il controllo della finanza e
delle attività produttive.
Quel che sta accadendo nell’universo delle imprese dà l’impressione di voler
operare una sorta di “saltus”, reso possibile dall’affermazione della cosiddetta
“Azienda virtuale”, che tende ad esaltare le prerogative di Internet, ovvero la creatività individuale, utilizzando al meglio le illimitate risorse intellettive, che trovano ospitalità nella Rete delle Reti. In base alla legge non scritta della new economy,
vince la gara al successo chi ha più fantasia ed è capace di conquistare il mondo
attraverso la pagina web ed il “dot. com”. Alcuni osservatori, nondimeno, avverto-
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no come il nuovo modello economico comporti un rischio non indifferente di
deresponsabilizzazione politica: poiché, secondo un diffuso modo di ragionare, è
impensabile voler regimentare le innumerevoli attività che si sviluppano ed hanno
luogo nella Rete, l’Istituzione-Governo può essere tentata di confidare esclusivamente nella capacità di autoregolazione dello strumento, nella convinzione che
non possa accadere nulla di grave, dato che i posti di lavoro virtuali, persi o creati, non danno luogo, in realtà, ad alcuna contabilità reale.
Quanto sia avvertita, al contrario, l’esigenza di un’adeguata tutela di investitori ed operatori, pubblici e privati, lo dimostra la recente dinamica, che ha caratterizzato le forti oscillazioni delle Borse mondiali sui valori dei titoli tecnologici,
sintetizzati dal Nasdaq, la cui volatilità intrinseca (può, ad esempio, uno spot ben
congegnato rappresentare un valore duraturo, anche se i suoi creatori internauti
hanno beneficiato di una ricchezza insperata?) crea improvvise fortune ed altrettante, rapide depressioni. Di fatto, poiché nell’economia di Internet l’accesso alla
Rete rende, di norma, superfluo il discorso relativo all’accertamento della consistenza dei beni reali (i così detti “assets” della old economy, quali proprietà immobiliari, siti ed impianti produttivi, tasso di innovazione tecnologica), ne deriva che
gli attuali operatori finanziari non possano più affidarsi agli strumenti ed ai parametri tradizionali, inservibili per valutare le imprese dell’economia immateriale,
che viaggia su fibre ottiche e su superstrade telematiche.
In secondo luogo, così come accade per le dinamiche relative al funzionamento dei vasi comunicanti, la transizione tra old e new economy impone l’abbandono progressivo dei sistemi tradizionali di produzione, a favore delle tecnologie
legate alla comunicazione, il che, almeno nel medio periodo, causerà un ulteriore
innalzamento del tasso di disoccupazione, dati i tempi necessariamente non brevi
che impiegherà la forza-lavoro tradizionale per convertirsi alle pratiche ed alle strategie dell’e-commerce (commercio elettronico) e dell’e-business. Infatti, la progressiva identificazione tra Rete ed Azienda (e su questo punto occorrerà ritornare
ancora, nel futuro) ha come conseguenza diretta la scomparsa di tutta un’organizzazione sociale del lavoro, fondata, nel passato, sulla “fisicità” delle relazioni aziendali (sindacalizzazione, orari di lavoro e del tempo libero, rilevazione delle presenze, gestione di mense ed altri servizi aziendali, pendolarismo e tempi di trasferi-
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mento dal luogo di lavoro a quello di residenza e viceversa). Un simile fattore di
cambiamento è, ovviamente, destinato ad avere un impatto ed effetti traumatici e
destabilizzanti, per quanto riguarda sia la riconfigurazione dei rapporti di potere,
sia l’orientamento dei comportamenti individuali.
Chiunque, infatti, ed in qualunque parte del globo risieda, purché dotato dei
necessari “skills” (o abilità operative e conoscenze professionali), può entrare, a
pieno titolo, a far parte di una qualsiasi Azienda, che abbia i suoi supporti produttivi su Internet, saltando così, di colpo, qualunque vincolo regolamentare,
vigente nel Paese d’origine e posto a salvaguardia del diritto del lavoro e della fiscalità. La new economy è, dunque, una pratica planetaria di “deregulation”, ma non
per questo la si può o la si deve configurare come una sorta di Eden, dove chi vuole
e sa è libero di conseguire gioia e ricchezza. All’apertura selvaggia di siti e pagine
web - moderne chiavi per l’accesso ai paradisi artificiali della comunicazione e degli
affari - si associa un’analoga, elevata mortalità d’impresa, con la possibilità, per persone prive di scrupoli, di ampliare a dismisura il proprio volume di affari illeciti
(truffe, raggiri, violazione dei codici personalizzati, commercio e diffusione di
immagini proibite o di informazioni sensibili), senza lasciare alcuna traccia del
proprio passaggio.
Terzo ed ultimo punto: quali dovranno essere le strategie formative (oltre a
quelle, evidenti, che fanno leva su concetti del tipo: “Un computer per ogni studente”), per consentire alle giovani generazioni di accedere alle immense opportunità, offerte dalla new economy? Oggi, la nostra organizzazione scolastica ha un
carattere esclusivamente “fisico”: si va a scuola in luoghi ed in fasce orarie prestabiliti; gli insegnamenti sono impartiti per materie, sulla base di programmi e di iter
scolastici predefiniti; il corpo docente si articola per specialità, su piante e quadri
organici fissati annualmente, per singolo plesso scolastico. Tutto ciò non può avere
alcun senso, né ragione di essere, nelle future strategie associate alla net-education.
In particolare, l’adolescente, così come lo studente maturo, potrà attingere
ovunque gli strumenti formativi. Internet, infatti, consente non solo di avere tutto
lo scibile a portata di tastiera, purché impacchettato nel formato giusto, bensì di
poter raggiungere qualsiasi docente, in ogni parte del mondo in cui si trovi, digitando semplicemente un indirizzo e-mail, dove l’accesso tramite una porta imma-
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teriale dà luogo al colloquio interattivo tra studente ed insegnante, anche se divisi
da migliaia di miglia di distanza o da interi continenti. Il sapere diviene, di conseguenza, una forma di comunicazione capillarmente diffusa, vanificando, in tal
modo, le sperequazioni e le ingiustizie sociali connesse a configurazioni territoriali, organizzate selettivamente per “isole di qualità”, alle quali si alternano ampie
aree di arretratezza, culturale e linguistica. Con la Grande Rete, le scelte formative possibili conquistano definitivamente la loro indipendenza dal luogo di residenza, per spaziare sia orizzontalmente che verticalmente, nella complessa stratificazione dei saperi e delle conoscenze scientifiche.
Altro terreno minato, su cui dovranno concentrarsi, in un immediato futuro, l’attività parlamentare e l’azione di governo, è rappresentato dai risvolti fiscali, connessi allo sviluppo della net-economy, che presuppone l’individuazione delle
forme più idonee (il meno possibile invasive), per l’accertamento reale del valore
aggiunto prodotto attraverso la miriade di attività, che hanno luogo nella Rete.
Potrebbe accadere, inoltre, che si avveri una sorta di colonizzazione culturale, linguistica e comportamentale, favorita dai grandi produttori mondiali di software
per la Rete, con progressiva emarginazione e svuotamento di alcune missioni istituzionali del pubblico impiego, impossibili da esercitare in un modello di totale
delocalizzazione dei sistemi decisionali e produttivi.
Del resto, l’avvento della così detta “new economy”, che fonda il suo successo sulle potenzialità offerte da Internet e sullo sviluppo dei commerci telematici,
favorisce il consolidamento di alcuni processi strutturali di transizione, tra l’attuale periodo post-industriale ed una nuova era di attività economico-produttive virtuali (che esistono, cioè, soltanto grazie alla presenza di siti Internet ed ai relativi
portali di accesso telematici). Tecnicamente, nel nuovo linguaggio, rispetto al
quale la P.A. è chiamata ad adeguare rapidamente i suoi moduli organizzativi e
produttivi, ai fini di un aumento significativo dell’efficienza complessiva del Sistema-Paese, il prefisso “e” (e-commerce; e-business), contrazione del vocabolo inglese
“electronic”, ingloba tutte quelle attività, relative alla fornitura di servizi ed allo
scambio di merci, di informazioni e di “materia grigia”, che hanno luogo e sono
supportati dalla Rete delle Reti.
Questo moderno, inusuale e complesso coacervo di saperi, conoscenze e
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professionalità (che, nel termine anglosassone, viene indicato collettivamente
come “skills”) è in via di integrazione, a quanto è dato di capire, con una sorta
di rivoluzione copernicana, da ricondurre al concetto di e-administration, visto
che, in un futuro molto prossimo, anche la P.A. dovrà viaggiare su dorsali telematiche (Rete Unitaria ed Internet), mentre al suo interno, sotto il profilo
organizzativo, la suddivisione del lavoro subirà modifiche radicali, in seguito
all’entrata in vigore del protocollo informatizzato, della firma e del documento digitale.
La prospettiva, dunque, alla quale è direttamente ed implicitamente ricollegabile l’interesse dell’Amministrazione, fa riferimento all’impatto che è destinato
ad avere sulle politiche pubbliche il successo del nuovo modello di Azienda virtuale, presente in termini diffusi sulla Rete, secondo un principio di delocalizzazione (anche totale) delle sue attività produttive e dei centri erogatori di servizi, a
beneficio di altre aziende, privati cittadini o Enti e Istituzioni pubbliche. La new
economy, infatti, modifica un’intera organizzazione sociale del lavoro, fondata, nel
passato, come si è già detto, sulla fisicità delle relazioni aziendali (sindacalizzazione, orari di lavoro e del tempo libero, rilevazione delle presenze, gestione di mense
ed altri servizi aziendali, pendolarismo e tempi di trasferimento dal luogo di lavoro a quello di residenza e viceversa). Un simile fattore di cambiamento è, ovviamente, destinato ad avere un impatto severo ed a provocare notevoli squilibri, per
quanto riguarda sia la conduzione e l’articolazione dei rapporti Stato-cittadino, sia
l’orientamento dei comportamenti individuali.
Attualmente, il possibile collegamento tra la sfera di interessi delle Aziende private e quella delle Pubbliche Amministrazioni risiede nel nuovo impianto
normativo che, volendo costruire una nuova Amministrazione di risultato, ha
istituito, anche in ambito pubblico, i sistemi di contabilità economica per centri di responsabilità e centri di costo. Tale parallelismo consente ai pubblici
amministratori di ricercare ed avvalersi di supporti informatici evoluti, per
quanto riguarda il controllo di gestione e l’articolazione del piano dei conti
(necessaria per incrociare i dati della contabilità economica con quella finanziaria), già ampiamente sperimentati all’interno delle medio-grandi organizzazioni
aziendali. Le sigle più ricorrenti che, nel linguaggio aziendale, caratterizzano le
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applicazioni relative, sono descritte dai seguenti acronimi: ERP (Enterprise Ressources Planning, ovvero pianificazione delle risorse d’impresa); ABC, o Activity
Based Costing (che prende in esame i fattori di costo dei singoli prodotti od attività produttive); HRP, o Human Ressources Planning (che sta per pianificazione
delle risorse umane).
Applicazioni, quali gli ERP, ABC ed HRP, costituiscono i così detti “tools” ,
o strumenti di governo dei processi - produttivi, amministrativi ed organizzativi aziendali. Ovviamente, la P.A. ha tutto l’interesse a mutuare (qualora compatibili)
le risorse di know how (ovvero, le conoscenze tecnologiche di alto profilo), sviluppate nel corso degli ultimi decenni, dal mondo delle imprese, con particolare riferimento agli ERP, che si caratterizzano per le loro doti di scalabilità e modularità,
in quanto scorporabili, al loro interno, in moduli o segmenti autonomi, a loro
volta contraddistinti da una più o meno elevata flessibilità, in funzione della grandezza e della complessità della struttura organizzativa (azienda o pubblica amministrazione), in cui si trovano ad operare. All’interno degli ERP, infatti, le grandi
società di sviluppo software offrono, sul mercato, un ventaglio molto ampio di
applicazioni principali e secondarie, legate ai concetti di contabilità aziendale, di
controllo di gestione e della razionalizzazione dei flussi di magazzino e degli ordinativi, soprattutto del tipo “just-in-time” (traducibile in italiano nella espressione
“detto-fatto”, in base alla quale un ordine viene immediatamente evaso, rendendo
quanto più possibile economica la gestione delle scorte).
Anche nella sfera privata, tuttavia, si registrano significativi condizionamenti, che rendono meno agevole l’accesso orizzontale - indispensabile in un regime di
globalizzazione dei mercati - del sistema delle imprese al patrimonio delle applicazioni e delle informazioni residenti nei domini informatici aziendali, a causa dei
vincoli imposti dai sistemi così detti di “legacy”, ovvero dai sistemi informativi proprietari protetti da copyright e ad accesso selettivo, spesso riservato esclusivamente
a componenti organizzative o a persone fisiche, operanti all’interno della società
interessata. La P.A., pertanto, ed il Ministero dell’Interno, in particolare, sono oggi
in grado, grazie ai riferimenti disponibili sull’offerta di mercato esistente, di acquistare prodotti competitivi, per uso interno e per una migliore offerta di servizi ai
cittadini, ai fini dello svolgimento delle gare, che si renderanno necessarie per la
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modernizzazione degli Apparati e per la realizzazione, nell’immediato, di Sistemi
Informativi automatizzati, finalizzati, in particolare, all’implementazione operativa della contabilità economica, del controllo di gestione e dei supporti statistici,
indispensabili per la rilevazione dei costi della P.A.
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